EST Edilizia Sviluppo Territorio numero 4

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Lug / Ago 2009

Poste Italiane spa - spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, CNS VI

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IL TEATRO IL PATTO INSTABILE Un coro di critiche sugli effetti perniciosi del Patto di Stabilità sta portando verso un patto bipartisan per una sua revisione. La parola d’ordine è fare presto.

LA TORRE IL MERCATO

Il ministro Renato Brunetta spiega la sua ricetta per aumentare la produttività della pubblica amministrazione Approvato il piano casa. Le aspettative della giunta regionale nell’intervista all’assessore Renzo Marangon


Ponte ferroviario sul fiume Po Ostiglia (MN)

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EST

indica un territorio reale come il Veneto di oggi e ideale come il Veneto che vogliamo

EST

segnala una direzione, verso oriente, verso un’area destinata allo sviluppo e a cui l’economia del Veneto da sempre guarda e che si va allargando a Nord come a Sud

EST

vuol dire essere, esserci per essere protagonista

EST

afferma il ruolo dell’edilizia quale motore dell’economia

EST

è la rivista del mondo delle costruzioni promossa da ANCE Veneto e dalle Associazioni Provinciali

Edilizia Sviluppo Territorio UN TERRITORIO DA ESPLORARE EST è un progetto culturale che si declina in un percorso guidato e che ha come riferimento un’idea, o meglio un’idealità. Un territorio ideale che ha nelle sue città la sua forza. Un percorso che vuole richiamarsi al Rinascimento e che trova in luoghi simbolici la propria sostanza. Così si entra da una Porta (Editoriale) e si arriva in un Teatro (In primo piano), dove ci si rappresenta e ci si confronta attraverso un tema (In scena), Gli attori (la politica) e il Dietro le quinte (i commenti dei tecnici). In coda l’anticipazione sul tema in scena nel prossimo numero: In cartellone e, a volte, la possibilità di approfondire temi trattati nei numeri scorsi ne La replica Si attraversano un Labirinto (L’inchiesta), il Palazzo comunale (l’indagine sui comuni del Veneto) e La torre (osservatorio). Si attraversa La Piazza (Gli articoli di approfondimento): luogo del confronto e delle idee per nuove tematiche. Ci si ferma a riflettere sul Mercato (focus economico) e ad ammirare da un Belvedere (inserto architettura) le opere che verranno, siano esse case, viadotti, scuole, ospedali. Si riparte dalla complessità del Cantiere con i suoi materiali, le macchine, la tecnologia e le innovazioni. Il percorso si chiude con nuove notizie, strumenti per approfondire le conoscenze attingendo alla Biblioteca e si conclude con l’informazione “locale” scandita dai rintocchi del Campanile (Ance news), in attesa del prossimo viaggio…

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Editoriale Una macchina politica a volte inadeguata

di Stefano Pelliciari Presidente ANCE Veneto

A

priamo questo numero di EST con una buona notizia: l’approvazione del Piano Casa è finalmente arrivata! Possiamo, quindi, tracciare una sorta di bilancio di questa importante iniziativa delle nostre Autorità regionali. Partiamo dagli aspetti positivi, primo fra tutti la ratio della legge. Il Piano Casa nasce come provvedimento anticiclico, adottato per combattere la crisi che ha colpito il mondo produttivo veneto e globale, puntando a creare nuove opportunità di lavoro per le imprese del settore delle costruzioni, rilanciando così anche tutta la lunga filiera dell’edilizia, rispondendo, tra le altre, alla forte esigenza di riqualificazione delle nostre città. In secondo luogo dobbiamo considerare gli altri, e parimenti importanti, effetti virtuosi della legge: la riqualificazione del patrimonio edilizio e del territorio della nostra Regione, la spinta all’utilizzo di tecnologie che garantiscono l’efficienza energetica e ambientale. Di fronte a queste considerazioni iniziali, risulta impossibile non sostenere questa iniziativa, non soltanto da parte del mondo delle imprese, ma anche da chi intravvede l’occasione di un nuovo “rinascimento” inteso come un salto di qualità per il Veneto. Anche in questa occasione, tuttavia, abbiamo avuto una nuova conferma dell’inadeguatezza della nostra macchina politica, capace di “disinnescare” ciò che di buono gli Amministratori possono intuire e concepire. Mi riferisco, ovviamente, al tempo sprecato e che purtroppo si è reso necessario per l’approvazione di una legge che, proprio per il suo carattere anticiclico, doveva essere definita, emanata ed applicata con urgenza. Invece, ancora una volta, abbiamo avuto dimostrazione dell’inefficienza del funzionamento dell’organo legislatore regionale, trovatosi “ostaggio” di una piccola minoranza, a cui è bastato semplicemente inventare e presentare innumerevoli emendamenti (oltre 2000 su 13 articoli!), per lo più ritirati al momento del dibattito in aula. Una situazione che ha avuto conseguenze non soltanto in termini temporali, ma anche di efficacia della legge. Il dibattito in aula, infatti, ha indebolito il provvedimento, che vede pregiudicato il raggiungimento di alcuni dei suoi importanti obiettivi originari (basti pensare all’assurda esclusione a priori dei centri storici, che rappresentano una parte consistente del nostro Territorio regionale). Di nuovo chi è chiamato ad amministrarci si è dimostrato lontano, incapace di rispondere alle istanze che arrivano dai cittadini e dalle imprese che quotidianamente vivono e operano in Veneto. Di nuovo torna in primo piano il problema del funzionamento della Politica e della Pubblica Amministrazione, da tempo additati come elementi di mancata competitività del nostro Paese. Oggi la crisi economica evidenzia come questo problema sia drammaticamente una delle cause delle difficoltà del mercato e della conseguente “morte” delle nostre aziende. Le procedure farraginose, la burocrazia che definirei “borbonica”, l’utilizzo maldestro di strumenti di controllo della Finanza - leggasi Patto di Stabilità -, i ritardati pagamenti su lavori e forniture già eseguite e quant’altro potremmo aggiungere, obbligano ognuno di noi, cittadini, imprenditori, ma anche amministratori pubblici, ad un percorso assai tortuoso e ricco di insidie con conseguenze spesso irrecuperabili. Si tratta di quella che definirei una “corsa alla deresponsabilizzazione”: i politici “scaricano” la responsabilità delle decisioni sull’apparato burocratico, che a sua volta la passano a chi opera e vive nel territorio, alle Imprese prima di tutti. Proprio così! La parola chiave può essere “responsabilità”. Durante l’intero iter di approvazione del Piano Casa non abbiamo forse assistito, da parte di qualcuno, all’ennesima dimostrazione di “abdicazione” al ruolo di amministratore responsabile della res publica? E il Patto di Stabilità e altri “artifizi” burocratici non rappresentano in alcuni casi una giustificazione all’inerzia di chi dovrebbe guidare lo sviluppo e, invece, più spesso ne è motivo di ostacolo? Ma noi siamo imprenditori, ottimisti per definizione, attendiamo con fiducia gli sviluppi del “Piano Casa nazionale” sull’housing sociale, con un auspicio: che questa esperienza serva di lezione alla coscienza di tutti, Istituzioni, Imprenditori, banche e cittadini e faccia ritrovare il coraggio di buttare il cuore al di là dell’ostacolo se gli obiettivi sono veramente individuati e condivisi. A



Giu/Lug 2009 Anno I Numero

Edilizia Sviluppo Territorio

IL TEATRO Il tema del momento sul palcoscenico di EST

IL PATTO INSTABILE

In Scena

12 LE IMPRESE VENETE NEL TRIANGOLO DELLE BERMUDA

Gli Attori

18 PATTO DI STABILITÀ: UN PARADOSSO KAFKIANO

La voce dell’opposizione

> Intervista a Maria Luisa Coppola, Assessore Regionale al Bilancio

22 SUPERARE IL PATTO DI STABILITÀ > Intervista a Franco Frigo, Onorevole del Partito Democratico

24 CAMBIARE IL PATTO SI PUÒ. TRE AZIONI PER RIDARE FIATO AGLI ENTI LOCALI E AIUTARE LE IMPRESE > La parola a Simonetta Rubinato, Sindaco di Roncade (TV) e parlamentare del Partito Democratico

26 UN MOVIMENTO A FAVORE DEL VERO FEDERALISMO FISCALE

> Intervista a Antonio Guadagnini, Vice Sindaco di Crespano del Grappa

18 30 PATTO DI STABILITÀ: UN PARADOSSO KAFKIANO

24

CAMBIARE IL PATTO SI PUÒ

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LAVORATORI IMMIGRATI: UNA RISORSA DA RISCOPRIRE

30 LA TORRE L’Osservatorio a 360° sul mondo dell’economia

IL LABIRINTO Interrogativi, polemiche... troviamo l’uscita

UN PROGRAMMA TRIENNALE PER L’INTEGRITÀ E LA TRASPARENZA

> Intervista a Renato Brunetta, Ministro per la Funzione Pubblica

38 LAVORATORI IMMIGRATI: UNA RISORSA DA RISCOPRIRE

> Intervista a Oscar De Bona, Assessore Regionale

ANCE VENETO ASSOCIAZIONE REGIONALE COSTRUTTORI EDILI

Proprietà Editoriale

ANCE Veneto Piazza De Gasperi Alcide, 45/A 35131 Padova (PD) info@anceveneto.it

Editore

S.I.C.E.T.A. S.r.l. Via Bonifacio, 8 31100 Treviso

Il Focus dedicato all’architettura

50 UNA FIERA PER ROVIGO

Il recupero post-industriale del vecchio zuccherificio

52 UN CENTRO POLIFUNZIONALE REINVENTATO > A colloquio con il progettista Guido Pietropoli

IL MERCATO Le soluzioni per essere competitivi

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43 OSSERVATORIO REGIONALE IMMIGRAZIONE: UN’ANALISI DEI DATI 45 ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

IL BELVEDERE

UNA FIERA PER ROVIGO

30 UN PROGRAMMA TRIENNALE PER L’INTEGRITÀ E LA TRASPARENZA

> Intervista a Veronica Fincati, Veneto Lavoro

EST Edilizia Sviluppo Territorio

58 IL PIANO CASA REGIONALE PUÒ ATTIVARE OLTRE MILIARDI DI INVESTIMENTI

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60 PIANO CASA IN VENETO: UN MODELLO POSSIBILE

> Intervista a Renzo Marangon, Assessore Regionale all’Urbanistica e alle Politiche del Territorio

Direttore Responsabile

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ATTIVITÀ ESTRATTIVA SENZA RISCHI

64 NO AI RITARDI SUL PIANO CASA

Zelio Pirani

> L’opinione di Stefano Pelliciari, Presidente ANCE VENETO

Direttore Editoriale Alfredo Martini

Redazione

A cura di Strategie & Comunicazione est@strategiecomunicazione.com

IL CANTIERE

68 ATTIVITÀ ESTRATTIVA SENZA RISCHI

Il nuovo Piano delle Attività di Cava della Regione Veneto

L’innovazione e i materiali

74 I SISTEMI DI GESTIONE DELLA SICUREZZA SUL LAVORO > La parola a Daniele Verdesca

Progetto Grafico e impaginazione Aurora Milazzo

80 SERGIO STEVANATO: “VI RACCONTO IO LA NOSTRA ECCELLENZA” La Stevanato Group punta sull’innovazione e vince la scommessa

Stampa

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LA BIBLIOTECA

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IL CAMPANILE

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Recensioni, segnalazioni, news

ANCE Informa

74 I SISTEMI DI GESTIONE DELLA SICUREZZA SUL LAVORO SERGIO STEVANATO: “VI RACCONTO IO LA NOSTRA ECCELLENZA”

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Edilizia Sviluppo Territorio

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IL TEATRO Il tema del momento sul palcoscenico di EST

Il Patto di StabilitĂ va cambiato I paradossi di un provvedimento che nasce per creare soluzioni e invece contribuisce a seminare ostacoli nei bilanci degli Enti Locali. Un consenso bipartisan per correzioni e revisioni.


IN SCENA

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LE IMPRESE VENETE NEL TRIANGOLO DELLE BERMUDA O

ra se ne parla di meno, ma alcuni anni fa quando si faceva ricorso all’espressione “triangolo delle Bermuda” si intendeva un luogo fisico o metaforico dove chi malauguratamente incappava era destinato a perire o se sopravviveva rimaneva segnato pesantemente. Era un luogo limitato geograficamente e dove si creavano condizioni particolarmente sfavorevoli. Ebbene, oggi molte imprese di costruzione si trovano in una condizione molto simile, dove i punti cardine che determinano una perturbazione dai profondi effetti negativi sono rappresentati dalla somma degli effetti del Patto di Stabilità, dalle difficoltà di molte amministrazioni pubbliche nel rispettare i termini di legge per i pagamenti, dall’alto costo del denaro e dalla prassi degli istituti di credito a limitare i finanziamenti. Il risultato è una situazione che non solo penalizza e mette a rischio la sopravvivenza di molte aziende, ma produce effetti drammatici sull’intera economia, considerata la difficile situazione recessiva che si sta vivendo. Siamo di fronte ad una serie di circoli viziosi. Il triangolo delle Bermuda produce una serie di vortici che attraggono verso il baratro le imprese, penalizzando contemporaneamente anche le amministrazioni locali e alimentando in maniera perversa la recessione. La situazione è giunta ad un punto tale che da ogni parte si invita ad intervenire

su tutti e tre i fronti. Le richieste vengono sia dagli amministratori locali che da parlamentari di diversa provenienza politica, facenti parte sia della maggioranza che dell’opposizione. Al primo posto dell’agenda politica del Presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro, vi è l’allentamento dei vincoli del Patto di Stabilità. In una lettera al Premier ha chiesto un intervento immediato, in quanto “questa situazione vede gli enti locali impossibilitati a pagare lo stato di avanzamento dei lavori già appaltati e in fase di esecuzione. Se non paghiamo gli avanzamenti dei lavori le imprese interessate saranno costrette a mettere in cassa integrazione i loro lavoratori con una forte ricaduta sui costi sociali.” E aggiunge “lo Stato vedrà la diminuzione delle entrate da reddito fisso (irpef, ires, irap) e calerà l’iva sui materiali. Questo significa incrementare la recessione”. Una richiesta quella di rivedere i vincoli del Patto che diventa un coro e che viene ribadita come una priorità politica anche dall’Assessore Coppola (si veda l’intervista che segue): “Una soluzione possibile potrebbe essere quella di ridefinire transitoriamente da parte del Governo i criteri del Patto di Stabilità, almeno per quelli che si profilano essere i due anni di crisi più profonda, ossia il 2009 e il 2010, rimuovendo i vincoli attualmente esistenti sul fronte delle uscite di cassa. L’iniezione di liquidità nel sistema che ne deriverebbe, potrebbe avere una parte tutt’altro che secondaria >

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IN SCENA BILANCIO DEGLI ENTI LOCALI

< nell’aiutare il sistema socio-economico a fronteggiare

la crisi perdurante, con minor livello di difficoltà e di angoscia. Con riferimento alla competenza si potrebbe, invece, mantenere l’attuale sistema di vincoli, in modo tale da preservare i meccanismi di freno all’ulteriore incremento della spesa pubblica.” Per l’Assessore “questo meccanismo di agevolazione dovrebbe essere riservato a quegli enti che si siano dimostrati ‘virtuosi’ in termini di gestione della propria finanza.“ L’effetto nel Veneto riguarderebbe circa 1,5-2 miliardi di euro di pagamenti, che verrebbero immessi nel sistema e “rappresenterebbero circa l’1,2% dei debiti delle imprese non finanziarie e delle famiglie venete verso il sistema bancario, così come rilevati da Banca d’Italia. Se a questo stock di pagamenti, applicassimo il tasso medio del costo del debito rilevato dall’ABI regionale, pari a circa il 6%, ciò comporterebbe riduzioni di oneri finanziari per i bilanci aziendali, nell’ordine del centinaio di milioni di euro su base annua.” Intervenire sul Patto di Stabilità per invertire un processo vizioso è anche

“L’attuale vincolo tende a colpire i comuni che si sono indebitati di meno e che hanno gestito in maniera più efficiente le risorse.” Franco Frigo, Partito Democratico 14

ENTRATE

SPESE

Entrate correnti

Spese correnti

Entrate in conto capitale

Spese in conto capitale

EQUILIBRIO DI PARTE CORRENTE

PAREGGIO COMPLESSIVO

la richiesta dell’onorevole Simonetta Rubinato che evidenzia come anche l’ultimo allentamento accordato nel maxiemendamento al D.L. n. 78/2009 agli enti locali che hanno rispettato il Patto nel 2008 (pari al 4% dell’ammontare dei residui passivi in conto capitale risultanti dal rendiconto del 2007) valga appena 2,25 miliardi rispetto al dato complessivo indicato dal Ministero dell’Interno in 53,6 miliardi di residui passivi di comuni e province. “Una soluzione assolutamente inadeguata a consentire il rientro nei limiti del Patto a tanti enti locali (che virtuosamente hanno scelto di contenere la spesa corrente a favore di investimenti in opere pubbliche) e per dare una seria risposta alle sacrosante attese di tante piccole e medie imprese, costrette ad aprire fidi e a pagare interessi che vanno dal 4 ad oltre il 6% per ottenere l’anticipazione del loro credito dalle banche.” Forte è l´impegno della Giunta a premere sugli istituti di credito affinchè alleggeriscano i freni finanziari nei confronti delle piccole imprese, facendo proprie le innovazioni in materia di certificazioni dei crediti esistenti nei confronti delle pubbliche amministrazioni e accelerando i tempi di erogazione.

Un Patto che premia i peggiori

N

ato per incentivare i comuni ad essere più virtuosi il Patto di Stabilità finisce per agire in direzione esattamente opposta penalizzando i comuni più virtuosi. “L’attuale vincolo - sottolinea l’onorevole Frigo (si veda intervista a pag. 20) - tende a colpire i comuni che si sono indebitati di meno e che hanno gestito in maniera più efficiente le risorse. Infatti mette insieme sia la cassa che la competenza, con l’effetto che le amministrazioni si sono trovate a non effettuare più pagamenti per opere pubbliche, anche ordinarie, nel tentativo di rimanere nei parametri del Patto, aumentando di molto i residui di cassa e conseguentemente bloccando il pagamento per l’asfaltatura delle strade, per l’adeguamento delle scuole ed >


EQUILIBRIO DI BILANCIO CON EVIDENZIAZIONE INDEBITAMENTO ENTRATE

Entrate correnti Entrate in conto capitale Mutui

SPESE

Spese correnti

SALDO AI FINI DEL PATTO DI STABILITÀ ENTRATE

Entrate correnti

SPESE

Spese correnti

Rimborsi di capitale

Spese in conto capitale

< altro.” Sembra un paradosso, ma invece il meccanismo

perverso finisce proprio per raggiungere l’obiettivo opposto rispetto a quello per cui è stato creato. Lo spiega bene il segretario comunale di Vicenza, Mauro Bellesia. “Gli obiettivi del Patto sono sostanzialmente due: ridurre progressivamente il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e ridimensionare il rapporto tra il proprio indebitamento e il prodotto interno lordo. Gran parte delle spese in conto capitale dei Comuni vengono finanziate con l’accesso al credito. Il che vuol dire che le opere pubbliche si finanziano per lo più attraverso i mutui.” Ebbene i conteggi del Patto di Stabilità non tengono

Entrate in conto capitale

Spese in conto capitale

conto dell’indebitamento né in entrata né in spesa, così che il bilancio analizzato dalla lente del Patto finisce con il dilatare il disavanzo eliminando buona parte delle entrate previste dai bilanci dei comuni. Al centro del problema vi è quindi il modo in cui si valuta il disavanzo e l’obiettivo di incentivare i comuni a trovare proprie strade di acquisizione di risorse così come processi di razionalizzazione nella gestione dei servizi. Ecco allora che, eliminato l’indebitamento, per restare all’interno delle regole del Patto di Stabilità si deve intervenire sulle entrate tributarie che ricorda Bellesia “ sono bloccate dalla manovra economica dello Stato, oppure puntare ad una >

“Noi operatori ci troviamo tra l’incudine e il martello: da una parte c’è una normativa che ci obbliga a pagare entro un determinato periodo, dall’altra c’è il Patto di Stabilità che ci impedisce di farlo altrimenti usciamo dai vincoli generali della finanza pubblica rischiando pesanti sanzioni.” Mauro Bellesia , segretario comunale di Vicenza

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IN SCENA

Le possibili soluzioni SALDO AI FINI DEL PATTO DI STABILITÀ ENTRATE

ACCERTAMENTI (Crediti) RISCOSSIONI

SPESE

IMPEGNI (Debiti)

PAGAMENTI

< crescita dei trasferimenti statali che sono in diminuzione.”

Per quanto riguarda poi le entrate extra tributarie esse sono una fetta molto piccola, “non rilevante nel totale delle entrate correnti”. Egualmente rigide sono le spese correnti che riguardano i servizi pubblici, l’illuminazione, la manutenzione delle strade, le scuole e i servizi culturali, spese allo stato attuale delle cose e della organizzazione della maggior parte delle amministrazioni locali difficilmente comprimibili in termini di politiche di bilancio perché vorrebbe dire tagliare i servizi primari ai cittadini. E così si arriva alle entrate in conto capitale che fuori dall’indebitamento sono ben poca cosa. Cosa rimane? “La spesa in conto capitale che va considerata in termini di pagamenti. Per cui l’unica cosa immediata che si può fare per ridurre il disavanzo e che hanno fatto tutti i comuni è ridurre i pagamenti delle opere pubbliche e degli altri investimenti.” Bellesia ricorda come per le amministrazioni che non rispettino le regole del Patto siano previste pesanti sanzioni quali “una riduzione del 5% dei trasferimenti statali che è una cifra molto consistente, il blocco dei mutui, il blocco del personale, effetti veramente sproporzionati.” Il risultato è che quasi sempre non vengono applicate. Così le amministrazioni si trovano comunque a non poter erogare pagamenti già deliberati e a non rispettare impegni presi, quegli impegni per i quali l’Unione Europea richiede invece il pieno rispetto, compresi i termini di pagamento previsti a 60 giorni, altrimenti scattano delle penalità. Il vortice vizioso appare così in tutta la sua evidenza. Lo sottolinea ancora il segretario comunale di Vicenza. “Noi operatori ci troviamo tra l’incudine e il martello: da una parte c’è una normativa che ci obbliga a pagare entro un determinato periodo, dall’altra c’è il Patto di Stabilità che ci impedisce di farlo altrimenti usciamo dai vincoli generali di finanza pubblica rischiando pesanti sanzioni.” E a pagarne gli effetti sono migliaia di imprese.

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ome uscire allora dal paradosso? Come evitare che le imprese vengano annientate all’interno del triangolo delle Bermuda? Dal dibattito in corso emerge una generale convergenza di opinioni che rispecchiano ampiamente anche le posizioni rappresentate dai vertici imprenditoriali. A sintetizzarle è l’onorevole Rubinato che fa propria la richiesta di Frigo alla Regione perchè si batta in sede di Conferenza Stato Regioni, per imporre al Governo la modifica del Patto di Stabilità, attraverso la possibilità per ciascuna regione (come già è per le regioni a statuto speciale e le province autonome) di contrattare con il Governo un equo obiettivo di saldo, che tenga conto delle diverse realtà degli enti locali per andamento demografico, tipo ed estensione del territorio, media dipendenti/abitanti, media pro capite dei trasferimenti statali percepiti, contributo dato negli anni al risanamento dei conti pubblici del Paese. “In secondo luogo - aggiunge l’Onorevole del PD e sindaco di Roncade (TV) - va perseguita la ricerca di un’intesa in sede europea su un Piano straordinario per il pagamento accelerato dei residui passivi degli enti locali così come la costituzione di un Fondo nel bilancio dello Stato con una dotazione di almeno 8 miliardi di euro (reperibili attraverso una diversa redistribuzione delle risorse rispetto ad alcune grandi opere, come il Ponte di Messina) da destinare agli investimenti degli enti locali che siano in grado di aprire i cantieri nel giro di pochissimi mesi, sull’esempio della Spagna.” Una proposta questa ultima che collega direttamente la questione del credito alle imprese con la necessità di riavviare piccoli lavori per dare risposte di qualificazione e di micro infrastrutturazione del territorio, ridando vigore all’economia locale. Auspicabile è anche una maggiore omogeneità nei comportamenti da parte delle pubbliche amministrazioni rispetto alle diverse modalità e regole che condizionano i tempi di pagamento. Al di là, infatti, dei limiti imposti dal Patto di Stabilità restano questioni legate ai tempi di controllo e di liquidazione delle somme dovute. Un monitoraggio delle diversità operative e l’individuazione delle anomalie consentirebbe di correggerle e di intervenire garantendo una maggiore efficienza e superando problematiche talvolta sottovalutate. di Alfredo Martini

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GLI ATTORI

PATTO DI STABILITà: UN PARADOSSO KAFKIANO Intervista all’Assessore Regionale al Bilancio, Maria Luisa Coppola

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Il Patto di Stabilità è un provvedimento che può in qualche modo avere dei vantaggi oppure aumenta solamente i disagi per gli Enti Locali? E quali sono gli aspetti positivi? La questione dei vantaggi e dei disagi per gli Enti Locali originati dalle norme sul Patto di Stabilità interno può essere posta almeno su due aspetti. Da un punto di vista soggettivo è difficile - per non dire impossibile - immaginare che un Ente Locale sottoposto a tali norme possa percepire un qualche vantaggio prodotto dal Patto in proprio favore. E questo è tanto più evidente quando si consideri il semplice fatto che la gestione della spesa da parte dell’Ente risulta essere, giorno dopo giorno, condizionata negativamente da vincoli e limiti qualitativi e quantitativi, rispetto alle potenzialità finanziarie dell’ente stesso. Sul piano oggettivo è altrettanto evidente che i limiti introdotti dal Patto di Stabilità interno in capo anche agli Enti Locali rispondono ad una inderogabile necessità per il complesso della finanza pubblica italiana di rientrare nei limiti stabiliti dal Patto di Stabilità e crescita siglato dagli Stati membri dell’Unione Europea per assicurare, fin dal 1999, il comune obiettivo dell’equilibrio finanziario. Facile, in questa ottica, affermare che il Patto di Stabilità interno è essenziale affinché gli Enti locali possano nel tempo svolgere le proprie funzioni in condizioni di continuità e di equilibrio della finanza pubblica. In altre parole “nessuno è contento di sacrificarsi, anche se i sacrifici sono indispensabili”. Ma risolvere in questo modo la questione mi pare francamente semplicistico. A questa specie di “Giano bifronte” va aggiunta

un’ulteriore faccia, un terzo fondamentale aspetto. La traduzione in concreti meccanismi applicativi delle finalità – indubbiamente condivisibili – perseguite daI Patto di Stabilità interno è quantomeno discutibile. Da un lato le innumerevoli modifiche che questi meccanismi applicativi hanno subito nel tempo (per logiche, basi e metodi di calcolo adottati) hanno reso estremamente mutevole il quadro entro il quale, anno dopo anno, gli Enti dovevano muoversi. Questa mutevolezza ha di fatto impedito lo sviluppo da parte degli Enti di efficaci risposte di tipo previsionale e programmatorio in grado, pur in un contesto di sacrificio, di ottimizzare i comportamenti di spesa. Al contrario, questa mutevolezza ha generato una negativa rincorsa a impiegare via via ogni reale o presunto margine interpretativo delle norme da applicare, con il rischio di forzature, alterazioni e distorsioni che nulla hanno a che fare con l’uso efficace ed efficiente delle risorse finanziarie. Per altro verso, i meccanismi piuttosto “rozzi” impiegati per l’applicazione del Patto hanno escluso la possibilità di incentivare percorsi e situazioni di spesa pubblica effettivamente virtuosi. L’assenza di ogni ipotesi di premi - almeno fino al 2009 - per le Amministrazioni virtuose ha provocato uno “sbilancio” ancora più ampio tra i disagi affrontati e la percezione dei vantaggi originati dal Patto; sbilancio ovviamente tutto a favore dei primi. >

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Può fornirci qualche dato relativo ai bilanci degli Enti Locali del Veneto che possa farci capire meglio i problemi causati dalla normativa? Mi piacerebbe poter rispondere in “burocratese” che, come è vero, il monitoraggio del rispetto del Patto di Stabilità interno non è di competenza della Regione, ma dello Stato (Ministero dell’economia e delle finanze). E aggiungere che l’insieme dei dati e delle informazioni originari è appannaggio dell’Amministrazione Statale, così come le elaborazioni effettuate dal connesso sistema informativo. Ma il burocratese è una lingua che non mi appartiene e che non appartiene alla Regione del Veneto. Al di là delle competenze istituzionali resta il fatto che la quantificazione dei problemi generati agli Enti Locali a seguito dell’applicazione è un aspetto estremamente complesso e delicato. Affrontarlo nei suoi aspetti tecnici nel breve spazio di un’intervista lo sacrificherebbe ad una logica di eccessiva semplificazione. E questo ammesso, ma assolutamente non concesso, che esistano quantità realmente capaci di esprimere in modo compiuto - di misurare - le difficoltà e le conseguenze negative prodotte dal Patto in capo agli Enti locali. Faccio, al riguardo, una sola riflessione che, pur meramente esemplificativa, credo abbia la capacità di essere conclusiva. L’applicazione del Patto è convissuta con ripetuti cambiamenti negli obiettivi, nelle regole e nelle sanzioni; cambiamenti talora intervenuti nell’ambito dello stesso anno. Come dire che almeno altrettanti, e altrettanto diversi, dovrebbero essere i metodi di valutazione delle implicazioni in capo agli Enti. Personalmente ritengo che – senza disperdere la realtà in una selva di numeri - la via migliore per dare una reale dimensione ai problemi generati, anno dopo anno, dal Patto sia la semplice diretta valutazione dei limiti che il Patto stesso ha imposto alla gestibilità dei bilanci degli Enti locali.

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Chi riesce a rispettare il Patto riuscendo anche a rientrare nei termini di pagamento previsti dalla Comunità Europea? Una risposta veramente telegrafica: potenzialmente tutti, nei limiti dei pagamenti stabiliti dal Patto e, una volta raggiunti tali limiti, nessuno. Meno telegraficamente va detto che il Patto di Stabilità e la normativa sulla tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, pur collidendo sotto il profilo operativo, si originano in contesti diversi ed hanno proprie specifiche finalità. Le recenti disposizioni normative in tema di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni (faccio riferimento all’art. 9 del Decreto legislativo n. 78/2009) hanno innescato una serie di problemi interpretativi ancora

lontani dall’essere risolti. Penso, ad esempio, alla difficoltà di interpretare la differenziazione operata da questa norma fra i comportamenti “per il futuro” e “per il passato”, che le Amministrazioni pubbliche devono assumere in materia di pagamenti. Per gli Enti locali si devono, poi, aggiungere almeno due peculiarità. Da un lato, i pesantissimi limiti che il Patto stabilisce in termini di pagamenti in conto capitale; dall’altro, il fatto che il bilancio degli Enti locali è formulato in termini di competenza, ovvero non esiste un documento autorizzatorio per gli aspetti di cassa. L’intersezione di queste due peculiarità aggiunge un ulteriore forte elemento di perplessità e preoccupazione per i possibili effetti di negativa concatenazione sul piano delle due normative. Kafkiana la posizione del funzionario pubblico che dovrebbe garantire (in base alla normativa sulla tempestività) ciò che non può garantire (per effetto della mancanza di autorizzazioni di cassa in bilancio) e che non deve garantire (per effetto dei limiti imposti dal Patto). è comunque evidente che le questioni aperte su questo fronte sono di peso tale che domanda e risposta possano essere utilmente rinviate ad una situazione legislativamente maggiormente definita.

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Quali sono i possibili interventi per consentire alle amministrazioni di investire e soprattutto di rispettare gli impegni di pagamento nei confronti delle imprese? Una domanda, direi, cruciale. Una risposta non facile. Purtroppo la crisi economica globale sta facendo sentire pesantemente i suoi effetti anche nella nostra Regione. Da una parte, sulle PMI, nonostante la peculiarità del “sistema Veneto” normalmente in grado di auto sostenersi senza un eccessivo ricorso a sostegni e/o a sovvenzioni pubbliche; da un’altra parte non meno grave appare la situazione delle famiglie toccate anche duramente dalla crescita costante del tasso di disoccupazione, che inevitabilmente finisce con l’incidere sulla riduzione dei loro volumi di spesa, sia per consumi, che per investimenti (casa ed edilizia in particolare). In una situazione così difficile, i mancati incassi di crediti esigibili da parte delle imprese o i mancati introiti di sostegni o di sussidi monetari per le famiglie, rappresentano elementi di nuovo aggravio. Purtroppo, come noto, nel novero dei cattivi pagatori rientra anche la P.A. nel suo complesso, fra cui non fa eccezione la nostra Regione. Credo di essere realista quando dico che il principale motivo della lentezza innaturale nelle erogazioni da parte della nostra Regione e, più in generale della Pubblica Amministrazione, è rappresentato dal rispetto dei limiti di spesa imposti dal Patto di stabilità vigente. Per il Veneto questo è ancor più vero se si tiene conto di come la nostra Regione possa contare su uno stock di riserve di liquidità >

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GLI ATTORI

finanza e che, meno di altri, abbiano contribuito alla creazione di debito pubblico. Nel caso della Regione Veneto, per esempio, i circa 1,5-2 miliardi di euro di pagamenti, che riterremmo ragionevole poter immettere nel sistema, rappresenterebbero da soli circa l’ 1,2% dei debiti delle imprese non finanziarie e delle famiglie venete verso il sistema bancario, così come rilevati da Banca d’Italia. Se a questo stock di pagamenti, applicassimo il tasso medio del costo del debito rilevato dall’ABI regionale, pari a circa il 6%, ciò comporterebbe riduzioni di oneri finanziari per i bilanci aziendali, nell’ordine del centinaio di milioni di euro su base annua.

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Maria Luisa Coppola , Assessore al Bilancio <

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ampiamente capiente, sia in termini effettivi che in termini potenziali. Nella convinzione che il nostro Paese, fortemente indebitato, debba, come e più di altri membri dell’Unione Europea, attenersi con rigore ai regolamenti di Maastricht, allo stesso modo ritengo che, mai come in questo momento, un importante flusso di pagamenti dalla P.A. alle imprese e alle famiglie contribuirebbe ad attenuare gli effetti della crisi, grazie alla conseguente riduzione dei crediti di queste e, quindi, della necessità di ricorrere all’indebitamento bancario. Una soluzione possibile potrebbe essere quella di ridefinire transitoriamente da parte del Governo i criteri del Patto di Stabilità, almeno per quelli che si profilano essere i due anni di crisi più profonda, ossia il 2009 e il 2010, rimuovendo i vincoli attualmente esistenti sul fronte delle uscite di cassa. L’iniezione di liquidità che ne deriverebbe, potrebbe avere una parte tutt’altro che secondaria nell’aiutare il sistema socioeconomico a fronteggiare la crisi perdurante, con minor livello di difficoltà e di angoscia. Con riferimento alla competenza si potrebbe, invece, mantenere l’attuale sistema di vincoli, in modo tale da preservare i meccanismi di freno all’ulteriore incremento della spesa pubblica. Questo meccanismo di agevolazione dovrebbe, a mio modo di vedere, essere riservato a quegli enti che si siano dimostrati “virtuosi” in termini di gestione della propria

ANCE Veneto ha presentato un pacchetto di proposte di riforma della fiscalità. Quali sono le sue valutazioni? E come intende procedere la Giunta? L’ANCE individua una serie di misure fiscali, di cui alcune a carattere transitorio ed altre di natura strutturale, volte da un lato a rendere meno gravoso il carico fiscale per le imprese di costruzione e dall’altro a stimolare la domanda settoriale. Quelle transitorie (mi riferisco ad esempio alle agevolazioni che vanno ad incentivare l’acquisto di abitazioni di nuova costruzione attraverso la detraibilità, ai fini IRPEF, di una quota dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni di nuova costruzione o all’innalzamento della soglia di detraibilità degli interessi passivi sui mutui) appaiono ragionevoli e sostenibili in quanto, laddove applicate, potrebbero risultare efficaci e pervasive, soprattutto in un periodo di crisi economica come quello che stiamo attraversando. Nel medio periodo, l’ANCE prevede una serie di misure volte ad un riordino complessivo ed organico della fiscalità immobiliare, in un’ottica di innovazione del tessuto urbanistico esistente. Nello specifico si va dal ripristino della piena deducibilità ai fini IRES degli interessi passivi legati a finanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche e private su commessa, all’estensione delle detrazioni fiscali anche per gli immobili di nuova costruzione. Direi che anche in questo caso la proposta è sicuramente interessante e meriterebbe degli approfondimenti. È opportuno rilevare però che, su questo fronte, la nostra Regione non può esercitare alcun margine di decisione. Tutte le misure proposte dall’ANCE, infatti, possono essere attuate, a legislazione vigente, solamente dal Governo Centrale. Nelle more dell’emanazione dei decreti delegati che daranno forma compiuta alla legge delega sul federalismo fiscale, infatti, gli interventi proposti dall’ANCE non possono essere realizzati con gli strumenti di flessibilità fiscale assegnati alle Regioni. di Viola Moretti


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LA VOCE DELL’OPPOSIZIONE

SUPERARE IL PATTO DI STABILITà 1

Recentemente in Parlamento maggioranza e opposizione si sono trovate d’accordo nel voler cercare delle soluzioni per correggere gli effetti nefasti che il Patto di Stabilità produce nei piccoli e medi comuni. Qual è la sua opinione? La decisione di consentire alle amministrazioni locali il pagamento dei residui in conto capitale dell’anno 2007 nella misura del 4% rappresenta un piccolo ristoro al credito che le imprese italiane, che in un momento di crisi come questo rischiano di non sopravvivere, vantano nei confronti della pubblica amministrazione. Si tratta, però, di una misura molto limitata.

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Intervista all’On. Franco Frigo, Partito Democratico

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Nel Veneto il fenomeno paralizza molte iniziative e impedisce soprattutto la realizzazione di opere di indubbia utilità sociale. Come intervenire? L’alto debito pubblico ha costretto tutte le amministrazioni pubbliche italiane a processi virtuosi, ma purtroppo l’attuale vincolo tende a colpire i comuni che si sono meno indebitati e che hanno gestito in maniera più efficiente le risorse. Infatti mette insieme sia la cassa che la competenza. Così le amministrazioni si sono trovate a non effettuare più pagamenti per opere pubbliche, anche ordinarie, nel tentativo di rimanere nei parametri del Patto. Hanno aumentato di molto i residui di cassa e conseguentemente hanno bloccato il pagamento per l’asfaltatura delle strade, per l’adeguamento delle scuole, della pubblica amministrazione ed altro. In linea teorica occorrerebbe pensare a forme di gestione di servizi pubblici come la scuola, la cultura e il sociale, promuovendo cooperative di autogestione da parte degli utenti di questi servizi.

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Cosa possono fare i Comuni? In via diretta non possono fare assolutamente nulla trattandosi di norme che devono essere rispettate, né è augurabile che attivino nuove società a cui affidare i servizi. Certamente occorre proseguire nell’opera di miglioramento dei servizi e di contenimento dei costi, mettendo insieme alcune funzioni attraverso strumenti come le Unioni dei Comuni, per gestire con un unico ufficio la segreteria generale, l’ufficio tecnico, la sicurezza ecc.

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E cosa dovrebbe fare la Regione? Il ruolo politico che le Regioni in Italia hanno assunto in questi ultimi anni consentirebbe loro di rimuovere i vincoli imposti dal Governo nazionale. Se i Governatori avessero una cultura amministrativa centrata sulle autonomie locali potrebbero, in sede di conferenza stato regioni, imporre al Governo la modifica del Patto di Stabilità, che sta strangolando le nostre imprese che vantano oltre 50 miliardi di euro nei confronti degli enti locali.

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Come vede una grande alleanza di parlamentari e politici veneti per un’azione comune sul Governo nazionale e sul Parlamento? Purtroppo in Italia, e anche nel Veneto, si parla tanto di federalismo e autonomia salvo poi sentire il Presidente Galan, quando è in difficoltà, rivendicare la sua amicizia con il compare Berlusconi. Il Vicegovernatore Manzato, interpellato sulle difficoltà nel rapporto tra Lega e Forza Italia affermava che loro, la Lega, fanno quello che decide Bossi. È chiaro che, con questi presupposti, pensare ad un’alleanza tra le forze politiche venete in chiave autonomistica e di tutela della nostra economia e delle nostre esigenze appare politicamente impossibile, anche se sarebbe un atto di buon senso. Per quel che mi riguarda, in sede di dibattito sull’assestamento di bilancio, ho proposto al Consiglio regionale di assumere una posizione che veda innanzitutto l’opportunità, per le istituzioni locali venete, di essere libere di poter dare un contributo fattivo al sistema economico, anche attraverso il superamento del Patto di Stabilità. Speriamo che l’appello venga accolto.

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GLI ATTORI

La parola a Simonetta Rubinato, Sindaco di Roncade (TV) e parlamentare del Partito Democratico

Cambiare il Patto si puO Tre azioni per ridare fiato agli Enti Locali e aiutare le imprese

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onostante l’ammontare del debito pubblico renda più difficile nel nostro Paese una politica economica in funzione anticrisi, ritengo che il Governo non possa limitarsi ad attenuare i costi sociali della recessione utilizzando sostanzialmente risorse già stanziate per altri impieghi, come purtroppo conferma anche il DPEF di recente presentato al Parlamento (si legga il commento di Tito Boeri e Piero Garibaldi sul sito www.lavoce.info, Aspettando la prima decisione di finanza pubblica). In realtà, “un’azione credibile e rigorosa di riequilibrio dei conti pubblici, in un orizzonte temporale prestabilito - come ha rilevato il Governatore Draghi nel maggio scorso - può permettere una politica economica più incisiva”, sia sul fronte del mercato del lavoro, sia sul fronte del sostegno al sistema produttivo. Il tema dell’allentamento - meglio sarebbe dire revisione - dell’attuale Patto di Stabilità interno incrocia in particolare il secondo fronte, in quanto misura idonea sia ad alleviare i problemi finanziari delle imprese, sia a sostenere la domanda aggregata con una ripresa degli investimenti. Del resto, sin dal dicembre scorso, in sede europea, è stato affermato chiaramente che il Patto di Stabilità e di crescita va rivisto in considerazione delle circostanze eccezionali che attraversa l’economia reale. Il premio Nobel Samuelson ha addirittura 24

affermato: “Dimenticatevelo il Patto di Stabilità, il mondo è in recessione. Non c’è un problema di inflazione in questo momento da affrontare, ma di vera e propria sopravvivenza di famiglie, di lavoratori e di imprese”. La Commissione europea, dopo aver indicato nel Piano anticrisi di dicembre l’accelerazione dei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni come una delle azioni degli Stati necessarie al sostegno delle imprese, l’8 aprile scorso ha presentato una proposta di integrazione della direttiva 2000/35/CE per la lotta contro i ritardi di pagamento, considerati ingiustificabili specie se riguardano le pubbliche amministrazioni, prospettando per queste ultime sanzioni molto più severe, quali la decorrenza automatica degli interessi di mora trascorsi i 30 giorni dal ricevimento della fattura o dalla prestazione dei servizi e dalla consegna delle merci. In pratica il termine entro il quale le P.A. sono tenute a pagare le imprese viene fissato in 30 giorni. In Italia non c’è che da augurarsi che la predetta modifica avvenga quanto prima! Da che mondo è mondo i debiti vanno pagati, tanto più da chi è un ente pubblico (e dovrebbe dare l’esempio) e specialmente in un momento come questo di crisi di liquidità e di stretta creditizia per le imprese. Ma fino ad allora, per pagare le imprese creditrici evitando il danno erariale, agli amministratori degli Enti Locali >


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(pur virtuosi) non resta che lo sforamento del “Patto”, che in realtà “Patto” non è – tanto meno “di Stabilità e crescita” - perché imposto in modo illogico ed iniquo da un nuovo centralismo statale. Infatti anche l’ultimo allentamento accordato nel maxiemendamento al D.L. n. 78/2009 agli Enti Locali che hanno rispettato il patto nel 2008 (pari al 4% dell’ammontare dei residui passivi in conto capitale risultanti dal rendiconto del 2007) vale appena 2,25 miliardi rispetto al dato complessivo indicato dal Ministero dell’Interno in 53,6 miliardi di residui passivi di comuni e province. Troppo modesto l’allentamento per consentire il rientro nei limiti del Patto a tanti Enti Locali (che virtuosamente hanno scelto di contenere la spesa corrente a favore di investimenti in opere pubbliche) e per dare una seria risposta alle sacrosante attese di tante piccole e medie imprese, costrette ad aprire fidi e a pagare interessi che vanno dal 4 ad oltre il 6% per ottenere l’anticipazione del loro credito dalle banche, ora garantite anche dalla certificazione rilasciata dall’Ente Locale in forza del D.M. emanato il 19 maggio scorso dal Ministero dell’Economia! Cosa resta di fronte a tale assurda situazione se non la disobbedienza civile? L’avevo invocata - e praticata da sindaco - nel settembre dello scorso anno, vista l’entità della manovra restrittiva posta ad agosto 2008 a carico degli Enti Locali, pari ad oltre 9 miliardi di euro in tre anni. Manovra che si ripercuoterà inevitabilmente in un’ulteriore notevole riduzione della spesa in conto capitale degli Enti Locali, essendo questa spesa per sua natura discrezionale, a differenza di quella corrente, molto più rigida. Secondo una ricerca commissionata da Dexia Crediop, i vincoli del Patto di Stabilità nel 2008 hanno generato una consistente flessione della spesa per investimenti di comuni e province (ovvero della più grande stazione appaltante del Paese), con uno spostamento della composizione della spesa dalla parte in conto capitale (che diminuisce del 27% per i comuni e del 25% per le province) verso la spesa di parte corrente (in crescita del 10% per i comuni e dell’8% per le province), il cui aumento è legato anche ai rinnovi contrattuali del personale, decisi a livello nazionale. Oggi anche la stessa Ance Veneto mi sembra avalli la disobbedienza civile, annunciando il proprio sostegno e la copertura politica agli amministratori locali, costretti a sforare il Patto di Stabilità. Ritengo che in questa scelta pesi anche la valutazione di una nuova (diabolica) norma introdotta con il DL n. 78/2009, all’art. 9, che impone l’obbligo al funzionario dell’ente,

che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa, di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia, non solo compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio (già è così), ma anche con le regole di finanza pubblica, dunque con il Patto di Stabilità. Ebbene, “l’applicazione dell’art. 9 del Dl 78 in questo contesto porta all’assoluta paralisi delle spese di investimento” (G. Conti, «Il Sole 24 Ore», 6 luglio 2009). Ecco perché, come parlamentare, continuo a chiedere con forza la modifica del Patto, attraverso: 1) la possibilità per ciascuna regione (come già è per le regioni a statuto speciale e le province autonome) di contrattare con il Governo un equo obiettivo di saldo, che tenga conto delle diverse realtà degli enti locali per andamento demografico, tipo ed estensione del territorio, media dipendenti/ abitanti, media pro capite dei trasferimenti statali percepiti, contributo dato negli anni al risanamento dei conti pubblici del Paese; 2) la ricerca di un’intesa in sede europea su un Piano straordinario per il pagamento accelerato dei residui passivi degli enti locali; 3) la costituzione di un Fondo nel bilancio dello Stato con una dotazione di almeno 8 miliardi di euro (reperibili attraverso una diversa redistribuzione delle risorse rispetto ad alcune grandi opere, come il Ponte di Messina) da destinare agli investimenti degli enti locali che siano in grado di aprire i cantieri nel giro di pochissimi mesi, sull’esempio della Spagna. Si tratterebbe di vere misure anticrisi, che consentirebbero agli enti locali di fare la loro parte contro l’attuale recessione: da un lato, alleviando la crisi di liquidità delle imprese, pagando rapidamente le spese in conto capitale del passato, dall’altro mettendo in moto nuovi investimenti per opere immediatamente cantierabili sui territori. Sostenendo così la domanda aggregata e dunque la crescita, sarebbero molti i posti di lavoro che si potrebbero salvare. Sino ad oggi il Governo è stato sordo a queste istanze, ma non per questo desisteremo dal portare avanti una battaglia che ha dalla sua non il colore politico, ma il buon senso e l’interesse generale del Paese.

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GLI ATTORI

UN MOVIMENTO A FAVORE DEL VERO

FEDERALISMO Intervista al Vice Sindaco di Crespano Del Grappa, Antonio Guadagnini

Il Movimento dei Sindaci Veneti per il federalismo è nato il 16 maggio scorso nel Trevigiano a Ponte della Priula, sul Piave, durante una riunione convocata dai sindaci di Crespano del Grappa, Asolo, Fregona, Santa Lucia e Loria. In breve tempo si è esteso a macchia d’olio a tutte le altre province del Veneto. Si tratta di un fenomeno di rilievo che ha scatenato polemiche e ammirazione a livello nazionale su tutta la stampa generalista. Cerchiamo di capire meglio in cosa consiste attraverso le parole del suo fondatore e promotore, il Vice Sindaco di Crespano Del Grappa, Antonio Guadagnini.

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In cosa consiste l’iniziativa proposta dal Movimento dei Sindaci Veneti? Un riferimento alla realtà di tutti i giorni per qualificare la portata della nostra idea: il 29 giugno 2006 una violenta tromba d’aria devastò 70 Comuni del Veneto, tra le province di Treviso, Vicenza e Verona. I danni furono calcolati in oltre 15 milioni di euro. A distanza di due anni, la Regione Veneto ha deliberato i rimborsi spettanti ai privati cittadini e attività produttive che hanno subito danni. Il fondo messo a disposizione dalla Regione per questo evento è stato di 518.358 euro. Privati cittadini e attività produttive hanno cosi dovuto attivare una complicata procedura per ottenere appena il 26

4,22% del danno subito. Molti Sindaci hanno commentato: “è una beffa”. Con il federalismo fiscale che i Sindaci propongono non sarebbe mai potuto accadere. Semplicemente, i fondi avrebbero potuto essere attinti dalla compartecipazione a questo tributo e ogni Sindaco avrebbe potuto ristorare nella misura ritenuta più equa i suoi cittadini e i suoi imprenditori. Senza aspettare due anni e soprattutto senza fare tanta burocrazia per ottenere un rimborso assolutamente modesto, che non paga nemmeno le carte che bisogna produrre… >


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Qual è l’obiettivo che intendete raggiungere attraverso questa iniziativa? L’obiettivo che ci siamo posti è tanto semplice nella sua definizione quanto complesso da raggiungere: ridefinire il sistema di finanziamento dei Comuni, al fine di rendere efficace il principio di sussidiarietà e il principio della capacità contributiva e dare attuazione ai principi costituzionali in materia di finanza locale, ottenendo una compartecipazione a favore dei Comuni pari al 20% del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. è venuto il momento di andarci a prendere i soldi delle nostre tasse e far restare sul territorio e all’Ente più vicino ai cittadini, il Comune, le tasse che paghiamo. La nostra proposta va esattamente in questa direzione: basta con il meccanismo della spesa storica, basato su dati di bilancio di quarant’anni fa. Cominciamo a ragionare per il nostro territorio e per i nostri cittadini. Una parte dell’IRPEF che noi paghiamo deve restare al Comune.

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Com’è nata l’idea del progetto del 20% dell’IRPEF? Studiando i sistemi di finanziamento dei comuni. Essi prevedevano già la compartecipazione all’IRPEF. Io l’ho solo modificata un po’, in senso veramente federalista. Chi è contro questa proposta di legge è contro il federalismo, e soprattutto è contro il Veneto. La Lega non ha scusanti, sta facendo una battaglia che ha il solo scopo di impedire che arrivino soldi in Veneto. Col 20% ho posto un problema più generale, che riguarda la corretta ripartizione delle risorse pubbliche. Il Veneto non può più accettare di essere considerato la vacca da mungere. Serve autonomia perché attraverso l’autonomia arriva la responsabilità. Questo è il solo modo per far ripartire le regioni meridionali.

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In cosa consiste la proposta di legge per la redistribuzione del gettito erariale Irpef da voi presentata alle Istituzioni? I dati presentati da Unioncamere mostrano che il residuo fiscale del Veneto è di più di 15 Mld di euro. Cifra che non ha portato alcun beneficio nelle regioni dov’è stata spesa, e che invece sta creando enormi problemi alla nostra economia. Il rispetto del principio della capacità contributiva è alla base della costituzione delle grandi democrazie liberali europee. Allora, le tasse pagate in un territorio si devono trasformare, almeno in proporzione, in servizi per quel territorio. I soldi sottratti alla nostra regione rappresentano distrazione di ricchezza prodotta, quindi, riduzione dei servizi resi, abbassamento della qualità della vita per i cittadini, deterioramento della capacità competitiva per le imprese. Il residuo fiscale del Veneto è raddoppiato rispetto a quello di 15 anni fa. Ciò dimostra che i tentativi fatti finora per

“I dati presentati da Unioncamere mostrano che il residuo fiscale del Veneto è di più di 15 Mld di euro. Cifra che non ha portato alcun beneficio nelle regioni dov’è stata spesa.” difendere la nostra regione non hanno funzionato. La richiesta, firmata da ben 450 sindaci del Veneto, di a pprovare la proposta di legge che prevede di azzerare i trasferimenti erariali e di dare ai comuni una compartecipazione al gettito IRPEF del 20%, se attuata, porterebbe in Veneto circa 1,5 miliardi di euro. Soldi che i comuni potrebbero investire immediatamente in servizi e opere pubbliche. Soldi che verrebbero immessi nel circuito Veneto e che contribuirebbero a dare ossigeno alla nostra economia. La quale non si può più permettere la sottrazione di risorse che subisce oggi. La proposta dei Sindaci, se approvata rapidamente, rappresenterebbe una soluzione immediata, rapida ed efficace rispetto all’applicazione pratica di un progetto, quale è quello del Disegno di Legge Calderoli sul Federalismo fiscale, che resta l’obiettivo imprescindibile per la piccola e media impresa e che, pur contando su larghe intese, per essere attuato richiede un iter lungo e complesso. Forti e compatte, le categorie dell’artigianato, del commercio e dei servizi, non ritengono la proposta “una forzatura mediatica”, ma uno stimolo positivo per affrontare strategicamente la “questione dello sviluppo” analizzando il beneficio federalista e misurandone da subito il ritorno per le economie territoriali. Sappiamo che in questo modo daremo ai nostri parlamentari la forza per difendere concretamente la loro regione. Siamo consapevoli che le regioni che attualmente sono in grado di condizionare le scelte di spesa pubblica dello Stato, si fanno forza di strumenti come quello che stiamo mettendo a punto noi.

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L’osservatorio a 360° sul mondo dell’economia

Brunetta: la ricetta per aumentare la produttività della Pubblica Amministrazione Intervista al Ministro per la Funzione Pubblica Renato Brunetta per capire quali sono i provvedimenti a favore delle imprese e degli enti locali, per un’Italia più veloce ed efficiente.


LA TORRE

UN PROGRAMMA TRIENNALE PER LA TRASPARENZA E L’INTEGRITA

Intervista al Ministro per la Funzione Pubblica Renato Brunetta

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er le imprese i rapporti con la pubblica amministrazione costituiscono spesso un fattore di criticità. Ciò è particolarmente rilevante per quanto riguarda le imprese di costruzioni: permessi, concessioni, autorizzazioni, una legislazione e una regolamentazione farraginosa si accompagnano a comportamenti che spesso prescindono da una consapevolezza del lavoro imprenditoriale. Partendo da questa considerazione abbiamo rivolto alcune domande al Ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta. L’intervista segue un percorso dal generale al particolare, guardando ai risultati ottenuti dalle azioni di maggiore vigilanza e incentivazione dei funzionari per migliorarne efficienza e qualità fino alle questioni che stano più a cuore alle imprese, ritardi dei pagamenti e scarsa attenzione alle loro esigenze. Renato Brunetta , Ministro per la Funzione Pubblica

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Signor Ministro, veniamo subito al punto: qual è la sua ricetta per aumentare la produttività della P.A.? Nessuna ricetta esoterica, ho solo scoperto l’acqua calda e avuto il coraggio di fare quello che moltissimi sapevano non essere più rinviabile. Vedete, per anni abbiamo nascosto i ritardi strutturali del Paese sotto il tappeto, come la polvere. Ci bastava infatti ricorrere periodicamente al “trucco” della svalutazione competitiva della lira che, sia pure importando inflazione, determinava una crescita drogata e illusoria. Con l’avvento dell’euro questo non è più possibile e oggi paghiamo il gap di competitività accumulato con le altre economie continentali. In questo contesto, i cittadini percepiscono come sempre più insopportabile l’arretratezza della nostra Pubblica Amministrazione: un mostro inefficiente e cogestito per decenni dal cattivo sindacato e dalla cattiva politica. Poiché il pesce puzza sempre dalla testa, è indubbio che le responsabilità più gravi vadano attribuite innanzitutto ai vari policy maker (più preoccupati di gestire il potere e acquisire consenso che non di garantire la soddisfazione dei clienti della P.A.) così come ai dirigenti, spesso distratti quando non incapaci. Ecco perché i cittadini italiani - siano essi di destra, di centro o di sinistra - esigono una profonda riforma e noi abbiamo il dovere di soddisfare le loro legittime

aspettative. Purtroppo i sindacati, in particolare la Cgil, non sono dalla loro parte e finora hanno ostacolato ogni tentativo serio di cambiamento. Peccato. Un sindacato conservatore è infatti un controsenso. Vorrà dire che continuerò per la mia strada, sostenuto da un fortissimo consenso popolare e da un sostanziale appoggio politico anche dell’opposizione in Parlamento. La mia battaglia è infatti a favore innanzitutto di quanti non possono permettersi i costi del mercato privato parallelo della P.A.: quello della scuola privata, della sanità privata, della giustizia privata (ricorrendo agli arbitrati), della sicurezza privata. Questi cittadini o mangiano la minestra pubblica oppure saltano dalla finestra. Ecco, io voglio per loro una minestra ottima e abbondante. E se fra cinque anni non avrò riformato la Pubblica Amministrazione, allora sarà giusto che mi inseguano con il forcone.

2

A un anno dal suo insediamento, quali sono i risultati concreti ottenuti? Le rilevazioni mensili che realizziamo con la collaborazione dell’Istat confermano l’efficacia delle misure contenute nella legge 133, la cosiddetta “legge antifannulloni”. >

“Riportare le persone al lavoro, non darla vinta ai furbi, è un segno di rispetto sia nei confronti del cittadino-cliente che paga le tasse sia nei confronti dei tanti impiegati che fanno coscienziosamente il loro dovere”

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LA TORRE

“Reti Amiche, un servizio a costo zero per lo Stato che grazie ad accordi con reti private mette a disposizione dei clienti della P.A. 30mila nuovi sportelli”

In che modo? Grazie alla mia legge di riforma della Pubblica Amministrazione, la prima approvata in questa legislatura, che fra poche settimane diventerà operativa una volta ottenuta l’approvazione da parte del Parlamento e della Conferenza unificata Stato-Regioni del relativo decreto legislativo. L’asse della riforma è l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, in modo da premiare i capaci e i meritevoli. Si intende così segnare una inversione di rotta rispetto alla generale tendenza alla distribuzione a pioggia dei benefici che da decenni ha prevalso nei fatti. Il decreto fissa in materia una serie di principi nuovi e solo parzialmente derogabili dai contratti collettivi: per esempio che non più del 30% dei dipendenti di ciascuna amministrazione potrà comunque beneficiare del trattamento accessorio nella misura massima prevista dal contratto e che a essi sarà in ogni caso erogato il 50% delle risorse destinate alla retribuzione incentivante. Inoltre vengono previsti premi aggiuntivi per le performances di eccellenza e per i progetti innovativi; criteri meritocratici per le progressioni economiche (che rappresentano nel pubblico l’equivalente dei “superminimi” del privato); l’accesso dei dipendenti migliori a percorsi di alta formazione.

3

<

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è stato cioè sufficiente decidere di non corrispondere più l’indennità di presenza (circa 10-15 euro al giorno) agli assenti per malattia e predisporre visite mediche fin dal primo giorno per ridurre ai livelli del settore privato il tasso di assenza per malattia dei dipendenti pubblici. I dati divulgati dal Ministero in questi giorni, e che hanno la forza statistica di un intero anno di rilevazioni condotte in collaborazione con l’Istat, parlano di una riduzione media del 40%. Sebbene le legge 133 sia stata molto criticata, abbiamo dimostrato che anche nella P.A. possono trovarsi rigore ed efficienza. Riportare le persone al lavoro e non darla vinta ai furbi sono segni di rispetto sia nei confronti del cittadino-cliente che paga le tasse sia nei confronti dei tanti impiegati che fanno coscienziosamente il loro dovere ma che per colpa dei colleghi fannulloni venivano anch’essi colpiti dalla condanna generalizzata dell’opinione pubblica. La partita però è appena iniziata. Dopo la battaglia vinta contro l’assenteismo porteremo nei pubblici uffici regole certe per misurare la produttività, premiando con riconoscimenti economici e di carriera chi lavora con impegno e competenza.

Come verrà valutata la performance del dipendente pubblico? Il decreto realizza il passaggio dalla cultura dei mezzi a quella dei risultati al fine di produrre un tangibile miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche. Per facilitare questo passaggio si mette il cittadinocliente al centro della programmazione degli obiettivi, grazie alla customer satisfaction, alla trasparenza e alla rendicontazione; si rafforza il collegamento tra retribuzione e performance; si aiutano le Amministrazioni ad assorbire la nuova mentalità con il supporto di una apposita Commissione per la valutazione e di organi indipendenti di valutazione, nel quadro di un programma triennale per la trasparenza e l’integrità. Inoltre, ai fini di un più stretto collegamento della remunerazione ai risultati, questa Commissione predisporrà ogni anno una graduatoria di performances delle singole amministrazioni statali su almeno tre livelli di merito, in base ai quali la contrattazione collettiva nazionale ripartirà le risorse premiando le migliori strutture e alimentando una sana competizione.

4

Quali azioni di medio periodo intende perseguire per migliorare i servizi offerti dalla P.A. e favorire una maggiore attenzione ai problemi dell’utenza? Mettermi dalla parte dei cittadini, semplificare la loro vita: obiettivi concreti che ho già messo in pratica con diverse iniziative. “Reti Amiche”, innanzitutto. Un servizio a costo


zero per lo Stato che grazie ad accordi con reti private già esistenti mette a disposizione dei clienti della P.A. 30mila nuovi sportelli (saranno 100mila entro la fine di quest’anno). Con questa iniziativa migliora la qualità del servizio al cittadino, si riducono sia i costi di sportello delle pubbliche amministrazioni sia il digital divide dei cittadini che hanno minor dimestichezza con Internet o che hanno minore mobilità fisica, si aprono le reti pubbliche alla collaborazione non solo tra di loro ma anche con le reti private. Finora sono state sottoscritte tre convenzioni, di cui le prime due già operative con sportelli e servizi al pubblico. Quella con Poste Italiane prevede il rinnovo e il rilascio dei passaporti, dei permessi di soggiorno, il pagamento dei contributi INPS e delle assicurazioni INAIL. Presso i tabaccai sono invece attivi i servizi di pagamento dei contributi per il riscatto laurea e per le Colf. Infine, lo scorso dicembre è stata siglata una convenzione con il Consiglio nazionale del Notariato per erogare le visure anagrafiche presso circa 5.000 studi notarili relativamente ai Comuni che aderiranno all’iniziativa. Inoltre sono previste le visure dei vincoli posti dalla soprintendenze sugli immobili di valore culturale ed artistico, al fine di permessi e transazioni immobiliari. Nei prossimi mesi contiamo di allargare questa esperienza anche alle reti della grande distribuzione, delle farmacie, dei carabinieri, ecc. mentre è già partita, all’IBM di Segrate, “Reti Amiche at the job”: desk elettronici posizionati all’interno di quelle aziende medio-grandi che vorranno consentire ai loro dipendenti di sbrigare le pratiche direttamente dal luogo di lavoro, senza essere costretti a prendere ore di permesso per recarsi negli uffici pubblici. Ma non è tutto. Lo scorso 29 gennaio abbiamo presentato

alla stampa “Linea Amica”, il più grande network europeo di relazioni con il pubblico che ormai raccoglie e coordina 374 URP o centri di risposta al cliente della Pubblica Amministrazione. Realizzato con la collaborazione del Formez, questo network supera ormai il milione e mezzo di contatti settimanali e presto saremo in grado di dettagliare il livello di soddisfazione del cliente per le risposte ottenute. Dalla fine di marzo è partita inoltre la sperimentazione di una forma innovativa di customer satisfaction: negli uffici di diversi Comuni così come di Poste Italiane, Inps, Enpals e Aci il cittadino-cliente ha infatti a disposizione dei touch screen con le classiche faccine (sorridente, neutra, arrabbiata), le stesse che compratori e venditori utilizzano nei feedback al termine delle transazioni su e-Bay: in questo modo i responsabili dei servizi potranno conoscere in tempo reale il giudizio sulla qualità della prestazione fornita. Infine, a settembre in via sperimentale e da gennaio su scala globale, tutti i cittadini che lo vorranno avranno la Posta Elettronica Certificata (PEC). Si tratta di un indirizzo di posta elettronica, gratuito e certificato, tramite il quale sarà possibile dialogare con la pubblica amministrazione, che dovrà rispondere nello stesso modo. In caso contrario, il cittadino avrà in mano immediatamente la prova dell’inadempienza e potrà promuovere la class action, individuale o collettiva, davanti alla magistratura amministrativa. In caso di condanna l’amministrazione dovrà ripristinare immediatamente il servizio negato oppure verrà commissariata con una sostituzione del responsabile > del disservizio.

33


LA TORRE

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“La vera sfida è l’eliminazione della montagna di carta prodotta ogni anno da oneri burocratici” 34


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Una questione che sta molto a cuore alle imprese italiane è la lentezza esasperante dei pagamenti della pubblica amministrazione. Concretamente, il Governo cosa sta facendo in questo senso? Non c’è dubbio che la pubblica amministrazione sia un pessimo pagatore e che la situazione alla lunga sia divenuta insostenibile. I contratti andrebbero sempre onorati con puntualità, anche perché a soffrirne non sono solo le imprese creditrici ma tutto quanto il loro indotto. Poche storie, è un fatto di moralità pubblica. Non posso, però, non ricordare come questa situazione si sia prestata per anni anche a comportamenti opportunistici e opachi da parte delle stesse aziende: “Tu mi paghi tardi e male? E allora io gonfio i prezzi per non rimetterci…”. Si è creato insomma un meccanismo perverso, che questo Governo ha deciso finalmente di scardinare. Nel recente decreto anti-crisi si è deciso di irrigidire il sistema di responsabilità dei funzionari pubblici, proprio per evitare che vengano presi impegni di spesa superiori alle reali capacità delle singole amministrazioni. Quanto al passato, con la legge di assestamento del bilancio, le risorse necessarie verranno trasferite per via amministrativa agli enti debitori. è un impegno preciso che si è assunto il ministro Tremonti a nome di tutto il Governo. Per quali motivi punta molto sul Piano E-Gov 2012? Perché senza innovazione tecnologica le riforme del pubblico impiego resterebbero monche, senza una vera concreta possibilità di applicazione. Il piano E-gov 2012 nasce proprio con l’obiettivo di garantire entro tre anni la riforma digitale della scuola, della sanità, della giustizia e della burocrazia. Il nostro obiettivo è quello di porre il cittadino al centro dell’azione amministrativa grazie all’utilizzo delle tecnologie, di garantire standard uniformi di servizi su tutto il territorio, indipendentemente dal medium con cui sono erogati, e, infine, di giudicare la qualità del servizio richiesto, la cosiddetta customer satisfaction. La vera sfida è l’eliminazione della montagna di carta prodotta ogni anno da oneri burocratici. La casella elettronica del cittadino, la fatturazione elettronica, i pagamenti e l’accesso alle pratiche on line consentono risparmi di costi e di carta: i servizi saranno disponibili dal 2010 per tutti i cittadini, per 4 milioni di imprese e per 10mila amministrazioni pubbliche. Solo attraverso questa operazione sarà possibile per lo Stato risparmiare qualcosa come 3 miliardi all’anno.

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di A. A.

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IL LABIRINTO Interrogativi, polemiche... troviamo l’uscita

La forza lavoro indispensabile che viene dall’estero L’immigrazione in Veneto è un fenomeno di grande rilevanza. Lo mostrano i dati dell’Osservatorio Regionale e i dati del Rapporto Migrantes.


FOTO: Porta di Lampedusa - Porta d’Europa

IL LABIRINTO

LAVORATORI IMMIGRATI:

UNA RISORSA DA RISCOPRIRE 38


S

econdo il rapporto presentato dall’Assessorato regionale alle politiche dei flussi migratori, i cittadini immigrati presenti in Veneto, al 30/12/2008, sono stimati intorno alle 500.000 unità (403.985 Stranieri residenti al 31/12/2007 + 49.354 saldo migratorio totale al 30/12/2008 + 9.700 nascite da famiglie immigrate + 50.000 nuove presenze presunte). Un dato che trova conforto anche nelle proiezioni di massima indicate nel Dossier statistico del rapporto Migrantes (449.623 su 403.985 residenti regolari, elaborazione dati Istat al 31/12/2007). Nella ricerca avviata dalla regione Veneto si stimano inoltre 50.000 presenze irregolari, quota che a nostro avviso non risulta però adeguatamente supportata da valide motivazioni circa la sua elaborazione. Confrontando i dati di archivio del “Rapporto italiani nel mondo” (Caritas/Migrantes) scopriamo che i nostri connazionali veneti regolarmente iscritti alle

rispettive anagrafi comunali per i residenti all’estero (260.849 presenze), corrispondono esattamente alla metà degli immigrati presenti su territorio regionale. Questa prima apertura dei dati ci porta ad evidenziare una prima contraddizione in ragione al rapporto tra offerta di lavoro e presenza di disponibilità all’impiego da parte dei lavoratori immigrati. Se da un lato infatti, l’apporto delle risorse umane straniere deve ritenersi indispensabile per il buon esito dei cicli produttivi (dato l’elevato numero di cittadini italiani emigrati), dall’altro occorre rilevare che circa il 28% dei disoccupati regionali nel corso del 2008, è costituito dagli stessi lavoratori stranieri. Ciò potrebbe voler significare una sovrastima delle quote assegnate per i flussi di ingresso annuali ovvero un decorso naturale di turn over dovuto al ricorso di contratti atipici o a termine, parimenti ad una flessione economica generalizzata su scala nazionale.

>

La fascia di età della popolazione immigrata è indubbiamente giovane, compresa in un range tra i 25 e i 40 anni 39


IL LABIRINTO

<

Chi sceglie il Veneto L

a fascia di età della popolazione immigrata è indubbiamente giovane, compresa in un range tra i 25 e i 40 anni con un periodo di permanenza sul territorio che tende verso una stabilizzazione durevole nel tempo. A sostegno di quanto affermato è sufficiente considerare che circa il 18,6% delle nascite nella regione Veneto è costituito da figli di cittadini immigrati a cui occorre aggiungere un ulteriore 23,3% di bambini nati da matrimoni con almeno un coniuge straniero. Le richieste di cittadinanza sfiorano circa il 12% del totale nazionale. Per quanto attiene invece la tipologia professionale ed i settori di impiego, secondo la dott.ssa Veronica Sincati (ricercatrice presso l’Osservatorio Regionale), la piena integrazione risulta essere ancora distante. Le motivazioni che soggiacciono a questa resistenza di impiego qualificato di manodopera straniera, sono da attribuirsi a causa diverse. Primariamente occorre assumere quale componente problematica l’impatto delle competenze linguistiche, che chiaramente debbono ritenersi indispensabili per qualunque

processo di integrazione non solo a livello lavorativo. In seconda battuta poi, occorre considerare le difficoltà legate all’equipollenza di titoli conseguiti all’estero che non possono, normativamente, essere convertiti in percorsi di studio validi per il nostro Paese. Tale situazione comporta un fenomeno di ripiegamento di una quota consistente di immigrati verso quei settori di bassa manovalanza o nei quali risultano sufficienti l’acquisizione di competenze generiche. Parallelamente però sembrerebbe avviarsi, almeno per il Veneto, un lento processo di riqualificazione dei lavoratori stranieri che si ritagliano un ruolo tra i cosiddetti “colletti blu” (operai industriali specializzati). Nonostante un incremento occupazionale nel settore del terziario e dei servizi, passando dal 28% al 43% nell’ultimo decennio (rapporto osservatorio), sono ancora i settori industriali ed edili ad affermarsi quali maggiori bacini di impiego di manodopera straniera, con circa il 48% (rapporto caritas/migrantes) sul totale regionale. >

Circa il 18,6% delle nascite nella regione Veneto è costituito da figli di cittadini immigrati a cui occorre aggiungere un ulteriore 23,3% di bambini nati da matrimoni con almeno un coniuge straniero. 40


Totale Regionale

= Maschi

Femmine

Totale

Romania

38.290

38.571

76.861

Marocco

29.288

20.365

49.653

Albania

20.743

17.055

37.798

Serbia e Montenegro

13.172

10.483

23.655

Cina

11.435

10.123

21.558

Popolazione straniera residente dal 31 Dic.

210.364

193.621

403.985

Minorenni

51.210

47.228

98.438

Nati in Italia

29.934

28.051

57.985

Famiglie con almeno uno straniero

-

-

179.624

Famiglie con capofamiglia straniero

-

-

152.383

Sono le città di Treviso, Verona e Vicenza a costituire il primo polo di attrazione

VERONA

= Maschi

Femmine

Totale

Romania

10.013

9.534

19.547

Marocco

8.019

5.459

13.478

Sri Lanka

3.593

2.787

6.380

Albania

3.138

2.482

5.620

Moldavia

1.388

2.312

3.700

Popolazione straniera residente dal 31 Dic.

45.065

40.997

86.062

Minorenni

10.394

9.699

20.093

Nati in Italia

6.650

6.227

12.877

Famiglie con almeno uno straniero

-

-

40.411

Famiglie con capofamiglia straniero

-

-

34.436

<

La situazione nelle diverse Province I

n conclusione riteniamo indispensabile accennare al rapporto tra distribuzione geografica territoriale e presenza di cittadini immigrati. Sono le città di Treviso, Verona e Vicenza a costituire il primo polo di attrazione (vedi tabelle). Rispetto al campione regionale che evidenzia una forte incidenza della comunità romena, seguita da quella marocchina e albanese, soltanto Treviso presenta condizioni di omogeneità con il campione totale. A Vicenza, i primi cittadini presenti sul territorio per quantità, sono quelli appartenenti alla Serbia e al Montenegro. Il motivo di questa scelta (la cui incidenza è la più alta di tutto il panorama nazionale) non è stato ben compreso. >

41


IL LABIRINTO

VICENZA

=

=

Maschi

Femmine

Totale

Maschi

Femmine

Totale

Romania

7.761

7.586

15.347

Serbia e Montenegro

6.616

5.644

12.260

Marocco

6.650

4.701

11.351

Romania

4.122

4.419

8.541

Albania

5.337

4.509

9.846

Marocco

4.604

3.530

8.134

Macedonia

4.162

3.294

7.456

Albania

3.362

2.847

6.209

Cina

3.569

3.035

6.604

Bangladesh

3.821

2.257

6.078

Popolazione straniera residente dal 31 Dic.

47.010

40.966

87.976

Popolazione straniera residente dal 31 Dic.

44.031

38.176

82.207

Minorenni

12.190

11.195

23.385

Minorenni

11.395

10.335

21.730

Nati in Italia

6.770

6.454

13.224

Nati in Italia

6.977

6.510

13.487

Famiglie con almeno uno straniero

-

-

35.197

Famiglie con almeno uno straniero

-

-

34.840

Famiglie con capofamiglia straniero

-

-

30.037

Famiglie con capofamiglia straniero

-

-

30.058

<

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TREVISO

Il Veneto è sicuramente la regione più prossima ai territori della Ex Jugoslavia, ma la decisione di concentrare una percentuale così forte nella sola provincia vicentina è probabilmente dovuta ad una delle tradizionali “catene” che si attivano tra immigrati soggiornanti nel Paese ospitante e quelli che ancora vivono nei territori di partenza. Da un punto di vista di distribuzione geografica in relazione al genere, maschile e femminile, è possibile notare una sostanziale parità numerica perfettamente in linea con le rilevazioni statistiche regionali e nazionali. Le politiche sociali orientate all’integrazione attraverso l’inserimento abitativo in queste realtà, pur favorite da una serie di attività di sostegno economico parallelamente al ricorso a strategie di intervento mirate (social housing, prestiti agevolati, etc.), rivelano una dubbia capacità di convivenza tra i residenti locali e gli immigrati. Secondo il rapporto

Caritas, infatti, vi sarebbero forti concentrazioni di stranieri (con punte del 25%) in particolari segmenti di quartiere delle città di Padova e Verona, dovute per lo più ad un contestuale abbandono degli immobili da parte degli italiani direttamente proporzionale all’aumento della presenza di cittadini provenienti da altri Paesi. Attitudine che sembrerebbe confermata a livello regionale dalla collocazione del Veneto all’undicesimo posto tra le 20 regioni italiane come indice di integrazione complessivo degli immigrati (dati rapporto Caritas). Nonostante vi siano resistenze circoscritte a determinati ambiti provinciali, ci sembra di poter affermare, in definitiva, che l’impianto generale dei servizi offerti dalla Regione risulta sicuramente sopra il livello medio rispetto alle altre realtà italiane. Per questo, infatti, il Veneto continua ad essere una delle mete privilegiate dei lavoratori immigrati. di Fabio Olivieri


OSSERVATORIO REGIONALE: UN’ANALISI DEI DATI Intervista a Veronica Fincati, Veneto Lavoro

1

In cosa consiste l’Osservatorio e quali sono i dati più rilevanti che sono emersi dallo studio? L’Osservatorio Regionale Immigrazione è un progetto della Regione Veneto, affidato dal 2007 alla gestione di Veneto Lavoro. Le attività costanti di monitoraggio, studio e analisi del fenomeno migratorio alle quali risponde l’Osservatorio vengono approfondite in diversi studi e ricerche, di cui l’edizione annuale del Rapporto sull’immigrazione straniera in Veneto rappresenta una sintesi. Oltre alle analisi sulla presenza, il lavoro e l’inserimento scolastico della popolazione straniera, nel Rapporto 2009 sono stati presentati alcuni approfondimenti delle ricerche in corso, tra cui i primi risultati dell’indagine sulla condizione di disoccupazione degli immigrati nelle attuali

difficoltà del mercato del lavoro. In questo contesto congiunturale, la figura del lavoratore immigrato non sembra contraddistinguersi per una sua maggior espulsione dal mercato legata alla condizione sociale di “straniero”, bensì per una fragilità in quanto figura professionale inserita soprattutto nei settori economici più instabili e a rischio. Le iscrizioni da parte di cittadini stranieri nelle liste di disponibili al lavoro presso i Centri per l’impiego del Veneto hanno segnato una particolare accentuazione (da 19mila nel 2007 a circa 25mila nel 2008) così come è aumentato il loro peso sul totale complessivo degli iscritti (dal 24% al 27%). > 43


IL LABIRINTO <

Questo elevato incremento, vissuto anche dalla componente maschile italiana, mostra l’intensa situazione di difficoltà in alcuni comparti produttivi, spesso caratterizzati da sistemi di piccole imprese con una consistente presenza di lavoratori immigrati. Nel corso del 2008 si è osservato un notevole aumento dal flusso di lavoratori entrati nelle liste di mobilità senza indennità (l. 236/93) dove il peso rivestito dagli immigrati è particolarmente cresciuto, soprattutto nei settori delle costruzioni, del tessile, dell’abbigliamento e concia e della metalmeccanica. Nel 2008 il flusso di stranieri in mobilità senza sussidio si è più che raddoppiato nelle costruzioni (da 450 a più di 1.000 iscrizioni), aumentando anche il loro già elevato peso sul totale del comparto, passato dal 40% al 48%.

2

Come sta cambiando la composizione geografica di provenienza degli immigrati nel Veneto? L’apertura ai flussi migratori provenienti dall’Europa centro-orientale, correlata a diversi avvenimenti e decisioni socio-politiche a livello europeo, ha favorito nell’ultimo decennio una cosiddetta “europeizzazione” delle provenienze geografiche degli immigrati in Veneto, regione geograficamente ed economicamente più vicina ai paesi dell’Est rispetto ad altre. La domanda di manodopera immigrata in settori come il metalmeccanico, le costruzioni ed i servizi alla persona, dove i lavoratori stranieri s’inseriscono maggiormente, alimenta anche la catena migratoria, favorendo la presenza di determinate nazionalità in alcune attività, comparti economici e aree territoriali. Alcuni esempi sono rappresentati dalle alte quote di dipendenti cinesi nel settore della moda, o di lavoratori rumeni, albanesi e serbo-montenegrini in quello delle costruzioni; oppure, dal punto di vista delle singole nazionalità, la concentrazione nei settori della metalmeccanica e degli alberghi di gran parte dei lavoratori del Bangladesh. È bene ricordare che, parallelamente ai nuovi arrivi, cresce anche la componente più stabile delle migrazioni, aumentano la formazione, l’insediamento e il consolidamento di intere famiglie con il conseguente incremento di minori stranieri nati in loco. Nel 2008 i cittadini rumeni, marocchini, albanesi e serbomontenegrini, cinesi, moldavi e macedoni rappresentano il 60% degli stranieri residenti in regione.

3

Gli immigrati come affrontano la crisi, tornando a casa e/o cercando nuove soluzioni? Il modo in cui gli immigrati affrontano la crisi fa parte degli interrogativi di indagine che ci siamo posti nella ricerca che attualmente stiamo svolgendo. A questo 44

proposito è importante ricordare che per i lavoratori immigrati il rischio disoccupazione, e il vissuto che ne consegue, si verificano più facilmente in condizioni di forte svantaggio economico e sociale con importanti ripercussioni sul piano giuridico e amministrativo. Le stesse caratteristiche occupazionali dei lavoratori immigrati, tra cui il vincolo tra soggiorno e contratto di lavoro, l’inserimento nel settore secondario di un’economia segmentata e, ad esso associate, la frammentarietà e l’instabilità delle carriere occupazionali, rendono gli immigrati più esposti all’espulsione dal mercato del lavoro. Allo stesso modo, i lavoratori stranieri sono più esposti a situazioni che rischiano di destabilizzare le loro condizioni di vita anche in termini di interi nuclei familiari, anche se è vero che i lavoratori stranieri sono spesso reattivi nel ripianificare il vissuto migratorio di fronte a nuove condizioni contestuali.

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Tra le soluzioni vi è la tendenza a diventare imprenditori edili? Le costruzioni rappresentano il settore nel quale l’imprenditoria immigrata è cresciuta in modo particolare. In Veneto sono aumentate in modo intenso le cariche imprenditoriali nel comparto edile di cittadini nati in paesi non appartenenti all’Ue. Le quote di imprenditori immigrati nelle costruzioni ha superato quelle dei tradizionali comparti del commercio e delle attività manifatturiere. Secondo i dati Infocamere le cariche imprenditoriali attribuibili ai cittadini stranieri nel settore delle costruzioni sono passate da 3mila unità (20% del totale comparti) nel 2001 a 9mila unità (29%) nel 2008. Questo aumento risponde a diverse esigenze degli immigrati che vanno dal cercare una risposta alla mancanza di un inserimento occupazionale, al desiderio di migliorare le proprie risorse economiche, dall’ottenere una maggior autonomia operativa, a motivi familiari o, come emerso anche da una nostra ricerca sulla competitività e imprenditorialità immigrate, ad una necessità imposta dal precedente datore di lavoro. La maggiore presenza di titolari di aziende edili non comunitari provenienti per la maggior parte dalla Serbia e Montenegro, dall’Albania e dalla Macedonia indica quanto l’esperienza lavorativa in un determinato settore e la conoscenza dei meccanismi che lo reggono favoriscano certamente la decisione di mettersi in proprio. Tuttavia, nei momenti di crisi, come quello attuale, i rischi di fallimento sono vincolati non solo a un’esperienza meno solida in termini aziendali, ma anche ai vincoli giuridici tra lavoro e soggiorno degli stessi titolari, soci e dipendenti di queste aziende.


ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

Intervista all’Assessore delle Politiche dei Flussi Migratori Oscar De Bona

1

L’attuale congiuntura economica fa emergere con forza la “questione immigrati”. La crisi economica tende a mettere in evidenza il problema come fenomeno rilevante, soprattutto in una regione come il Veneto, dal punto di vista dell’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro. Qual è il quadro di insieme fotografato dalla Regione? L’immigrazione legale in Veneto è sempre stata connotata da un forte raccordo con il mercato del lavoro delle piccole e medie imprese e delle famiglie. I cittadini immigrati, richiesti dal sistema economico-produttivo veneto, si sono progressivamente stabilizzati sul territorio e, a seguito dei ricongiungimenti familiari, sono divenuti una

componente della popolazione veneta. La Regione Veneto, nell’attuale fase di difficoltà del sistema economico, ha tempestivamente concordato con l’Osservatorio Regionale Immigrazione l’attivazione (già in corso) del monitoraggio continuo dell’ingresso in disoccupazione dei lavoratori immigrati e ha promosso, in sede di programmazione di settore per il 2009, un impegno comune delle istituzioni e delle organizzazioni sociali per contenere gli effetti negativi della crisi sui lavoratori stranieri e prevenire possibili forme di conflittualità sociale, anche in relazione alle conseguenze che la perdita del posto di lavoro può comportare sul diritto al soggiorno sul territorio.

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IL LABIRINTO

“La Regione Veneto attraverso i propri programmi di settore ha operato e continuerà ad operare, anche in questo periodo di recessione economica, per la qualità e l’efficienza dei ser vizi di accompagnamento all’inserimento sociale della popolazione straniera e per il contrasto all’emarginazione”

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I dati evidenziano una fase abbastanza fluida del fenomeno. Si registra da un lato la tendenza di alcune comunità straniere, ad esempio i rumeni, a tornare nel Paese di provenienza, sfruttando la coincidenza tra questo momento critico e lo sviluppo di nuove prospettive nel Paese d’origine, dall’altro nuovi flussi migratori contribuiscono a cambiare la mappa dell’immigrazione, aumentando i problemi di relazione, sia sul piano sociale che economico. Come state affrontando la questione? Abbiamo stabilito alcune priorità strategiche per affrontare le variabili correlate alla fase attuale. Queste priorità possono essere così sintetizzate: - Sostenere e diffondere presso la componente immigrata le opportunità di orientamento, formazione e riqualificazione professionale. - Finalizzare le risorse annuali di settore al sostegno dell’integrazione degli immigrati stabilizzati e delle loro famiglie, sospendendo temporaneamente gli interventi di formazione pre-ingresso già promossi nei Paesi di origine. - Attivare gli enti locali, le associazioni di solidarietà e le associazioni degli immigrati per prevenire forme di emarginazione e nuove povertà. - Consolidare il servizio, già attivato in raccordo con l’ente regionale Veneto Lavoro, di assistenza tecnica allo sviluppo di progetti di reinserimento occupazionale nei Paesi di origine. 46

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La regione ha un proprio Osservatorio per valutare i livelli di integrazione così da suggerire soluzioni e attivare azioni specifiche. Può descriverci quali prospettive vi sono e quali strumenti intendete attivare per favorire un avanzamento dei processi di integrazione sociale, così da valorizzare l’immigrazione in termini di risorsa? La Regione Veneto attraverso i propri programmi di settore ha operato e continuerà ad operare, anche in questo periodo di recessione economica, per la qualità e l’efficienza dei servizi di accompagnamento all’inserimento sociale della popolazione straniera e per il contrasto all’emarginazione. Valorizzando le migliori competenze territoriali, interveniamo su molti settori decisivi: l’inserimento dei minori immigrati nel mondo della scuola, la mediazione culturale, l’apprendimento della lingua italiana e la sicurezza sul lavoro, l’housing sociale, la diffusione online di informazioni sui servizi utili all’integrazione, la formazione degli imprenditori immigrati, e la sperimentazione, particolarmente innovativa, di un Patto di accoglienza e di integrazione. di Alice Fassina


IL BELVEDERE Il focus dedicato all’architettura con l’inserto fotografico da conservare

Dalla raffinazione industriale alla raffinazione culturale: la nuova fiera di Rovigo Uno zuccherificio si trasforma da risorsa economica in risorsa culturale. La riconversione di un edificio storico per la formazione dei giovani e la promozione culturale della città.



Fiera di Rovigo – Ex zuccherificio


Una Fiera per Rovigo Il recupero post-industriale del vecchio zuccherificio

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lle porte di Rovigo, nella periferia nord della città, in prossimità dell’Adige, un’attenta opera di riconversione industriale ha trasformato lo storico zuccherificio della SIIZ, Società italiana per la produzione dello zucchero indigeno, in un importante polo della vita cittadina: centro espositivo, centro congressi e sede distaccata dell’Università. La zona, completa di una piazzola per l’atterraggio notturno di aerei, è stata restituita alla cittadinanza rivalutando il fascino dell’edilizia industriale dei primi del Novecento.

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All’inizio del XX secolo, infatti, dopo i primi faticosi tentativi di avvio dell’industria saccarifera in Italia, la provincia di Rovigo diviene sede di una importante sperimentazione di bieticultura sotto la direzione di un esperto come Ottavio Munerati. In capo a pochi anni, alle soglie della prima Guerra Mondiale, Rovigo è, insieme a Ferrara, uno dei principali centri della raffinazione e produzione dello zucchero in Italia. Ai primi anni del secolo scorso risale anche la costruzione di questo zuccherificio che però, dopo alterne vicende, chiude i battenti nel 1978. L’area originaria, di 190mila metri quadrati, viene venduta nel corso della procedura fallimentare della SIIZ, divisa in quattro lotti. Acquisita in un primo momento dalla Bassano Grimeca, l’area inizia ad essere recuperata ad uso civile dopo il dicembre del 1991. A questo periodo risale infatti la nascita della Società per Azioni Centro Servizi (Cen.ser) che ne controlla ancora, ad oggi, la gestione. Ottenuti i finanziamenti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, nel 1993 il progetto e la direzione dei lavori di recupero di una prima parte degli edifici dello zuccherificio vengono affidati all’architetto rodigino Guido Pietropoli. La prima tranche di lavori, che termina nel 1997, riguarda un’area di 90mila metri quadri e porta alla realizzazione di tre lotti: il Centro Mostre, comprensivo delle ampie aree esterne; la torre uffici e il cosiddetto lotto Retex, che ospita il punto ristoro. I lavori di sistemazione dell’area vengono portati a termine dall’architetto Luciano Cenna che, tra il 1998 e il 2001, recupera l’area nord dello zuccherificio realizzando la nuova sede universitaria, tramite l’integrazione di vecchi fabbricati con nuove costruzioni. Tutto il corpo centrale dell’ex zuccherificio ospita oggi il centro espositivo; la spazio, vincolato come archeologia industriale, è stato organizzato, rispettando l’architettura della vecchia fabbrica, su tre livelli, per un totale di 3.500 metri quadri destinati ad area espositiva. Nello spazio originario, 120 metri

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di lunghezza per 22 di larghezza, è stata realizzata un’importante hall d’ingresso dalla quale, per mezzo di due rampe gradonate, si accede ai piani superiori. L’ingresso principale alla struttura espositiva è stato realizzato in corrispondenza dello squarcio della facciata operato per asportare i macchinari; è stato possibile, così, dividere la grande navata in due sale per piano collegandole con un sistema di rampe e passaggi di quota. Il vano di distribuzione, invece, è stato lasciato a tutta altezza e sono stati ricostruiti gli orizzontamenti del primo e secondo piano. Esternamente lo spazio antistante è stato attrezzato per ospitare manifestazioni ed esposizioni all’aperto. L’edificio situato alla destra del corpo centrale, denominato “Torre”, che un tempo ospitava i macchinari per la lavorazione delle barbabietole, è stato recuperato e adibito ad uffici. I suoi 1.200

metri quadrati di superficie si sviluppano su 7 piani (5 normali più 2 ammezzati) l’ultimo dei quali ospita una sala riunioni illuminata da un lucernario. L’edificio è in mattoni e presenta le finiture all’interno e all’esterno; è stato dotato di ascensore e vano scale, nonché di quattro scale a chiocciola che collegano gli uffici agli spazi d’archivio soprastanti. In posizione di cerniera tra il Centro Mostre e il Centro Congressi, che funge anche da aula magna per la sede universitaria, è stata collocata, completamente interrata, la centrale termica (tre caldaie, locale pompe e centrale idrica). Il centro ristoro, infine, è stato ricavato da un fabbricato situato nella zona sud ovest del complesso, lotto Retex, in un edificio che si sviluppa su due piani, con l’aggiunta di una parte interrata ad uso del personale. di Federica Paoli 51


Un centro polifunzionale

reinventato A colloquio con Guido Pietropoli

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Come è nata l’idea di riconvertire l’area dello zuccherificio e di farne di nuovo un polo della vita cittadina? Fino al 1970 la realtà industriale più significativa per Rovigo è stato lo zuccherificio che si insediò a nord della città agli inizi del secolo scorso. Il complesso ha assolto per quasi settant’anni la funzione di manifattura di raffinazione dello zucchero ricavato dalle barbabietole; esso si è trasformato ed ingrandito nel tempo fino a raggiungere una dimensione notevole sia per la straordinaria consistenza dei fabbricati che delle aree esterne al servizio della produzione. Da un primo nucleo di edifici in cotto e orizzontamenti in acciaio su colonne in ghisa esso raggiunse la dimensione di più di 18 ettari sui quali insistevano la grande vasca delle polpe, gli spazi di raccolta e lavaggio delle bietole, gli uffici, i laboratori chimici, i forni di raffinazione e filtraggio, i magazzini per lo stoccaggio, le officine per la manutenzione degli impianti, gli alloggi dei dirigenti. Il corpo centrale in cui oggi è sistemata la grande hall d’ingresso al Centro Mostre e le prime sale espositive supera ampiamente per dimensioni i maggiori edifici storici della città di Rovigo con i suoi 22 metri di larghezza, 110 di lunghezza e quasi 20 d’altezza. L’insediamento fu completamente dismesso per una diversa localizzazione Guido Pietropoli, allievo e collaboratore di Carlo Scarpa, ha lavorato nell’atelier veneziano di Le Corbusier. Prima docente (1977 - 79) e poi direttore (1981 - 82) della Scuola d’Arte e Mestieri di Vicenza ha realizzato progetti di edilizia residenziale e civile tra cui la riconversione dello zuccherificio di Rovigo.

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delle attività di trasformazione alla fine degli anni ‘70. Nonostante che l’asporto dei macchinari interni avesse gravemente danneggiato le strutture edilizie la Sopraintendenza di Verona ritenne che l’intero complesso era meritevole di tutela in quanto esempio significativo di architettura industriale dei primi del ‘900. Pure se non si dà particolare peso alla componente culturale che fu alla base dell’ipotesi di conservazione dell’ex zuccherificio, è innegabile che la rossa silhouette dei suoi fabbricati fa parte da quasi un secolo del biglietto da visita della città per chi proviene dal ponte sull’Adige. La scelta della conservazione rese urgente il non piccolo problema di progettare e realizzare una trasformazione che salvaguardasse la memoria dei fabbricati e nel contempo fornisse efficienti risposte funzionali alle esigenze di Rovigo. Il programma/progetto per il riuso dell’ex zuccherificio vide la formulazione di molte ipotesi funzionali (sede specializzata per un polo universitario a indirizzo tecnologico, centro servizi per la città, centro residenziale di prima corona…) fino a quando, con l’incarico allo Studio Pietropoli (1994) fu possibile mettere a punto un lay out che prevedeva l’insediamento di un polo espositivo (centro mostre), di un distaccamento universitario e di un centro congressi collegato alle attività fieristiche. Il programma edilizio di grande impegno economico fu suddiviso in più tranches finanziate principalmente dalla Comunità Europea mentre la società di gestione fu sostenuta da vari enti ed associazioni rodigine e regionali. Storicamente gli edifici potevano anche essere letti come un palinsesto di tecniche costruttive estremamente aggiornate con riferimento alle rispettive epoche di esecuzione; pertanto si è inteso operare con lo stesso animus inserendo all’interno dei fabbricati nuovi solai a lacunari in cls, importanti opere di carpenteria, innovativi sistemi di climatizzazione, di dotazioni di sicurezza ed antincendio.


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Quali sono gli aspetti a cui avete dato maggior rilievo nella progettazione degli interni? È molto significativo dal punto di vista architettonico, oltre che inedito sotto il profilo strutturale e tipologico, il sistema delle doppie rampe pedonali in acciaio che hanno luce di oltre trenta metri e che collegano i tre piani del corpo principale del Centro Mostre; esse rappresentano un importante nodo funzionale ma anche un land mark nel paesaggio interno delle sale espositive. Nei primi tre corpi di fabbrica fronte strada hanno trovato sistemazione l’ingresso al Centro Mostre, la torre degli uffici della società di gestione e la sala del Centro Congressi. Questa ultima realtà viene a colmare una carenza strutturale della città di Rovigo ma, purtroppo, essa ha dovuto essere molto ridimensionata nel suo programma funzionale così da risultare carente negli spazi dei “passi perduti” e, più in generale, in tutti quei servizi a corollario dell’attività congressuale.

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Come avete deciso di intervenire per la ristrutturazione esterna? Per quanto riguarda gli spazi esterni la trasformazione è stata più radicale in quanto la loro originaria sistemazione al servizio delle attività manifatturiere non era facilmente convertibile alle nuove esigenze; ciò anche se, in una proposta iniziale, la grande vasca delle polpe era stata progettata per diventare un grande bacino d’acqua antistante il piazzale d’ingresso. In generale all’esterno sono stati realizzati grandi spazi pavimentati per mostre all’aperto e parcheggi ma purtroppo non è stato realizzato l’avancorpo con le pensiline d’accoglienza dei visitatori e l’edificio delle biglietterie. Attualmente esse si presentano con costruzione un po’ dimessa che, assieme alle sistemazioni esterne, è stata progettata dall’ufficio tecnico della società di gestione. In generale le scelte progettuali operate dallo Studio Pietropoli per i primi lotti esecutivi (opere per circa 9 milioni >

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di euro) sono state confermate da quelle degli altri gruppi di progettazione che si sono avvicendati nel restauro degli altri edifici del complesso: essi le hanno infatti riproposte adottando le stesse soluzioni tecnologiche, lo stesso repertorio di materiali di finitura, la stessa tavolozza di colori per gli intonaci, per la carpenteria in ferro e la serramentistica.

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Vi sono molte opportunità di riconversione di questo tipo in Veneto? Nel Veneto esistono molte realtà di edifici paleoindustriali analoghi allo zuccherificio di Rovigo e nel solo Polesine sono tuttora presenti decine di questi complessi in parte abbandonati in parte riconvertiti più o meno correttamente a nuove funzioni produttive o di stoccaggio. Resta il problema di individuare le funzioni conformi alle caratteristiche dimensionali ed organizzative dei manufatti storici e, non da ultimo, quello di saper progettare una sequenza di interventi di trasformazione che si pongano in continuità con la tradizione costruttiva degli edifici e non in negazione di essa. Il recupero dell’ex zuccherificio di Rovigo ha certamente raggiunto l’obiettivo dell’efficienza funzionale e quello, non secondario, della valorizzazione di una parte significativa del tessuto urbano e quindi della memoria collettiva della città di Rovigo.


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IL MERCATO

Le soluzioni per essere competitivi

Parte il Piano Casa. Ampliamenti e opportunità di riqualificazione urbana Con l’approvazione da parte del Consiglio Regionale si rimettono in moto risorse e si creano occasioni di modernizzazione di quartieri e “pezzi” di città.


IL MERCATO

IL PIANO CASA REGIONALE PUO ATTIVARE OLTRE 6 MILIARDI DI INVESTIMENTI

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artito da Venezia il Piano Casa ha fatto un po’ il giro d’Italia. Accolto con entusiasmo a Roma e rilanciato a livello nazionale, ha trovato apprezzamento in diverse regioni che lo hanno tempestivamente adottato. Tra queste la Toscana e la Lombardia. Ora è tornato in forma di legge a Venezia. L’approvazione definitiva è il risultato di un accordo politico che sancisce la possibilità di ampliamenti di edifici residenziali fino a un 20% della cubatura. Un provvedimento che ha come principale finalità quella di dare ossigeno all’economia sostenendo l’edilizia. Un provvedimento che se fatto proprio dalle amministrazioni comunali potrà attivare consistenti risorse private. Il CRESME ha stimato che le abitazioni - prevalentemente villette monobifamiliari - interessate alla nuova legge regionale siano oltre un milione. Sulla base di un’indagine nazionale presso 1.000 famiglie il CRESME ha registrato la volontà di utilizzare la nuova opportunità legislativa per provvedere agli ampliamenti di un 12% degli intervistati residenti nel Triveneto. Prendendo come riferimento questa percentuale si è stimato che, considerata una spesa media di 1.200 € al mq, il provvedimento potrebbe attivare nella regione investimenti corrispondenti a oltre 6 miliardi di euro, relativi alla costruzione di oltre 15 milioni di nuovi mc,

Il CRESME ha stimato che le abitazioni, prevalentemente villette monobifamiliari, interessate alla nuova legge regionale siano oltre un milione.

con una ricaduta occupazionale che riguarderebbe oltre 100mila addetti di cui oltre 75mila direttamente nelle costruzioni e i rimanenti nell’indotto. Perché ciò avvenga è necessario che i Comuni individuino le aree dove gli ampliamenti saranno possibili e dove invece verrà posto un vincolo. Per decidere hanno tempo fino al 30 Ottobre. Là dove le amministrazioni non dovessero procedere è prevista la nomina di un commissario che verrà designato dalla Giunta regionale entro i 15 giorni successivi. Una scelta che rischia di creare cittadini di serie A e cittadini di serie B. L’opportunità sarà pertanto gestita e decisa dai Comuni. Realisticamente l’attivazione delle prime opere non avverrà prima dell’inizio del nuovo anno. La legge del Veneto, a differenza di altre normative regionali, rende possibili gli ampliamenti anche per le seconde case e per gli edifici non residenziali. Gli ampliamenti costituiranno un’opportunità economica soprattutto per le piccole imprese e per le aziende artigiane, riguardando prevalentemente micro interventi. Di maggiore interesse per il sistema imprenditoriale più strutturato risulta la parte della legge che prevede interventi di demolizione e di ricostruzione con un premio pari al 30% della superficie totale originaria. IL premio sale al 40% in caso si faccia ricorso a fonti energetiche rinnovabili. La sfida riguarda ora la capacità da parte delle amministrazioni di creare le migliori condizioni per rendere attuabili gli interventi, valorizzando le semplificazioni procedurali previste dalla legge. Sul fronte degli operatori privati il nodo principale riguarda il credito, ovvero la disponibilità delle banche a sostenere finanziariamente le famiglie e a facilitarle nell’accesso al credito, magari individuando forme di liquidazione più rapida del tradizionale mutuo. Al di là delle polemiche e delle diverse valutazioni che hanno seguito l’approvazione della legge resta da vedere da un lato la risposta dei risparmiatori proprietari di case una volta che i Comuni avranno definito gli ambiti della possibile applicazione. Sul fronte dell’edilizia industriale e terziaria le potenzialità appaiono legate alla ripresa dell’economia. Infine le opportunità offerte dalla legge favorendo il ricorso alla demolizione e ricostruzione con gli aumenti di cubatura vanno verificate alla luce della reale possibilità di realizzazione e di compatibilità con certe rigidità di pianificazione, ma anche relative alla struttura della proprietà di edifici meritevoli di sostituzione. Una questione che sicuramente richiederà ulteriori approfondimenti. di A.M. 59


IL MERCATO

PIANO CASA IN VENETO: UN MODELLO POSSIBILE

Intervista a Renzo Marangon, Assessore Regionale all’Urbanistica e alle Politiche del Territorio

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“La legge ha carattere eccezionale, perché intende inter venire su una questione eccezionale, che è la crisi economica”

Renzo Marangon

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Assessore Marangon, il Piano Casa è stato finalmente approvato dalla Giunta regionale. Con l’approvazione si conclude un percorso che ha visto la Regione Veneto protagonista di una proposta che poi è diventata un progetto nazionale e che progressivamente, seppure con regole e finalità diverse, si sta affermando in tutte le regioni. Qual è l’obiettivo primario e quali sono i punti qualificanti della legge? La Legge regionale di fatto integra l’accordo Stato- Regioni del marzo scorso, prevedendo interventi a favore non solo dell’edilizia residenziale, ma anche produttiva. Si sono voluti, in tal modo, offrire molti vantaggi a quasi tutti i proprietari di immobili di ambiti diversi, con l’obiettivo di favorire la ripresa economica e quella

occupazionale dell’intera filiera del settore edilizio. Se l’edilizia ripartirà, come ci auspichiamo, si metteranno in moto anche altri 40 comparti. Per quanto riguarda i punti qualificanti della nuova legge, vi è quello che accorcia alcuni passaggi burocratici, visto che anche per la demolizione e la ricostruzione non viene richiesta la concessione edilizia, ma è sufficiente la Dichiarazione di Inizio Attività (Dia). Altro aspetto è quello relativo al premio del 40% di volumetria se si operano interventi di demolizione e ricostruzione con tecniche di edilizia sostenibile, premio che può essere elevato al 50% nel caso in cui si vada a riqualificare un’area di notevoli dimensioni; inoltre sono previste agevolazioni e premi se si installano impianti fotovoltaici. >

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IL MERCATO

“Premio del 40% di volumetria se si operano inter venti di demolizione e ricostruzione con tecniche di edilizia sostenibile, premio che può essere elevato al 50% nel caso in cui si vada a riqualificare un’area di notevoli dimensioni”

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Le preoccupazioni maggiori, rispetto alla parte della Legge che tratta gli ampliamenti, riguardano la provocazione di situazioni sperequate tra comune e comune; allo stesso modo preoccupano la possibilità di un silenzio decisionale da parte delle amministrazioni locali o l’esclusione dei centri storici tout court, fatti che potrebbero creare delle zone buie. Crede che i tempi lunghi di approvazione abbiamo portato, data la necessità di arrivare quanto prima alla conclusione dell’iter attuativo, al cambiamento di molti punti della legge? Nessun rimpianto in merito? L’iter attuativo della legge è stato un po’ lungo a causa soprattutto della concomitante tornata elettorale, che, per ovvi motivi, ha fatto rimandare l’approvazione del testo al dopo elezioni, ma quello che abbiamo approvato non è risultato né stravolto, né peggiorativo rispetto alla proposta della Giunta, anzi direi che in alcuni punti è stato migliorato, come nel caso del premio di cubatura, che è stato innalzato al 40% o in alcun i casi al 50%. Nessuna rinuncia, quindi, né rimpianti, perché la legge approvata è rimasta fondamentalmente quella della Giunta.

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Assessore, crede che nella realtà delle cose il Piano Casa sarà davvero lo spunto per risollevare il settore costruzioni sempre più in difficoltà per colpa della crisi economica? Crede che i cittadini saranno in grado di sfruttarne le potenzialità? La legge ha carattere eccezionale, perché intende intervenire su una questione eccezionale, la crisi economica, che è oggi e non domani. Motivo per cui bisogna intervenire con tempestività, anche in deroga ad una certa normativa dei regolamenti urbanistici degli enti locali, ma limitando l’efficacia della legge stessa solamente a due anni. Credo che questo sia un tempo sufficiente per consentire ad una famiglia di decidere se intervenire sulla propria abitazione sfruttando le opportunità della legge. Mi sento comunque di dire che le aspettative che ci eravamo posti con la proposta di legge saranno ampiamente raggiunte, viste le numerosissime richieste di informazioni già giunte ai comuni. di A.M.


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Le preoccupazioni degli imprenditori

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opo lunghi dibattiti e scontri politici, finalmente in Veneto il decreto è stato approvato. Possiamo ritenerci soddisfatti, soprattutto in vista del fatto che questa legge, se ben supportata, può essere un ottimo spunto per il rilancio dell’economia della nostra regione. Mi rammarico del fatto che due importanti aspetti ne escano indeboliti a seguito delle modifiche apportate al Piano: si tratta dell’esclusione dal Piano dei centri storici tout court e dell’esclusione delle agevolazioni fiscali previste per gli impianti fotovoltaici applicati ai fabbricati non residenziali. Per quanto riguarda il primo punto esistono, infatti, delle realtà, in alcune aree tutelate come patrimonio, non vincolate e prive di valore storico che potrebbero essere ripristinate secondo le modalità previste dal Piano. Ci chiediamo, quindi, perché non si possa intervenire in particolare su tali edifici, escludendo la possibilità di valorizzazione e rivalutazione del centro. Per quanto riguarda il secondo punto sarebbe logico e razionale estendere ai fabbricati non residenziali l’opportunità di godere delle agevolazioni fiscali per la costruzione di pensiline e/o tettoie finalizzate all’installazione di pannelli solari e fotovoltaici; infatti, in genere, proprio questi edifici si prestano alla

realizzazione di tettoie di dimensioni più ampie e, dato che questi fabbricati per natura presentano alti livelli di consumo energetico, si ridurrebbe l’impatto ambientale, oltre che i costi. Ancora, mi auspico davvero, per quanto concerne l’edilizia residenziale, che la sensibilità delle amministrazioni comunali, a cui spetta l’onere di individuare le soluzioni più idonee ai propri comprensori e che decideranno se e come applicare il decreto nel suo atto operativo, permetta di non creare cittadini di serie A o B, ovvero una distinzione tra i cittadini che potranno avvalersi o meno delle possibilità offerte e concesse dalla legge a seconda di dove vivono. Un passaggio delicatissimo che va affrontato, anche perché potrebbe dare titolo a chi si sentisse discriminato di rivolgersi alla giustizia in nome dell’uguaglianza. Il risultato? Che questo Piano Casa servirebbe non alle famiglie venete, ma alle tasche degli avvocati. Restiamo ora in attesa di vedere come le amministrazioni comunali si comporteranno a fronte del fatto che entro il prossimo 30 ottobre dovranno annunciare, con propria delibera, le aree del territorio in cui applicare il Piano. In caso contrario, sarà nominato un commissario ad hoc che si sostituirà al consiglio comunale qualora entro tale data questo non si sia ancora pronunciato. E nel caso in cui il Piano Casa Veneto non dovesse davvero essere un’occasione di rilancio per l’edilizia e di utilità per famiglie, a causa di ritardi della burocrazia o della mancata sensibilità delle amministrazioni, l’Ance Veneto non tarderà a far sentire la propria voce e a battere i pugni sul tavolo delle istituzioni regionali. Così come fa da sempre. Stefano Pelliciari

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el nuovo Programma Regionale di Sviluppo (PRS) si ribadisce che: “Una corretta gestione del territorio costituisce un elemento fondamentale nelle politiche regionali per garantire uno sviluppo economico e sociale equilibrato, compatibile con la valorizzazione e salvaguardia delle risorse disponibili”. Tale presupposto rimane imprescindibile anche per ciò che riguarda le basi del nuovo Piano per le attività di cava, recentemente messo a punto dalla Regione Veneto. Si tratta di una condizione che si accompagna ad una esigenza economica del territorio acuita ancor più in questi ultimi tempi dalla crisi nazionale e che consiste nell’avere a prezzi non elevati i materiali di base per costruire abitazioni, capannoni, strade, edifici commerciali e di servizio. Dall’attenzione verso queste due direttive, apparentemente in contrasto tra loro e che negli anni hanno scatenato non poche polemiche e disservizi, nasce il nuovo Piano riservato all’attività estrattiva del Veneto che si pone come documento strategico “aperto” e a cui è stata affiancata anche una proposta di legge per regolamentare alcuni processi ancora poco chiari. Proprio per rispettare il principio di dotarsi di strumenti più aperti e flessibili per regolare i comportamenti degli attori pubblici e privati, la legge e il nuovo Piano Cave saranno oggetto di approfondite presentazioni e consultazioni con tutti gli attori interessati. Si tratta, insomma, di un documento propositivo, non rigido ma suscettibile di osservazioni e correzioni che aiutino a trovare il migliore punto di equilibrio tra le due esigenze che abbiamo citato all’inizio. Di seguito riportiamo la sintesi degli obiettivi e delle finalità del Piano così come sono state riportate e pubblicate all’interno della struttura regionale.

Le grandi opzioni strategiche del nuovo piano regionale delle attività di cava Le grandi opzioni strategiche alla base del PRAC sono quattro: la salvaguardia ambientale; la prospettiva del recupero ambientale; la razionalizzazione delle attività estrattiva; l’intensificazione delle attività di vigilanza. La salvaguardia ambientale Un maggiore equilibrio sul fronte della salvaguardia ambientale deve prendere atto della non positiva situazione attuale: molti territori sono sacrificati da una intensa presenza di siti (effetto gruviera), numerose aree di attività estrattive sono state utilizzate come discariche, in molti casi il ripristino non ha prodotto un vero recupero ambientale. Ne deriva l’opzione strategica per una forte limitazione del numero di nuovi siti estrattivi. Non è più riproponibile il concetto di individuazione dei Comuni dove è possibile estrarre a percentuale variabile: questa prassi, in totale assenza di programmazione, è la principale responsabile dell’ ”effetto gruviera” sul territorio. In alternativa, la proposta del nuovo Piano Cave è fortemente restrittiva: si possono estrarre materiali solo nei bacini estrattivi esistenti e, nell’ambito di questi, nelle cave già in essere, o inserite nel bacino o come singoli siti di estrazione. Ben l’80% delle escavazioni verrà dunque svolta in siti già oggi interessati a queste attività. La realizzazione di nuove aree di attività di cava, limitata solo agli ambiti vocati, viene fissata a non più del 20% del numero di cave attualmente attive. La prospettiva del recupero ambientale Una seconda opzione strategica della nuova impostazione porta a superare il concetto di ripristino ambientale a favore del concetto di recupero ambientale. Se con il ripristino ci si limitava alla predisposizione di progetti finalizzati all’attività di coltivazione, con il recupero ambientale, che dovrà avvenire sulla base di un progetto presentato e a totale carico del titolare del permesso all’attività di cava, si procede ad una riqualificazione dell’ambito interessato dall’attività estrattiva con caratteristiche di tutela e valorizzazione ambientale più ampi, in modo da includere i bisogni e le necessità delle comunità interessate. >

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IL CANTIERE

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Attraverso le procedure concertative previste dalla legge, comuni e imprenditori potranno individuare progetti condivisi di riutilizzo del territorio che rendano i siti dimessi fruibili da tutti i cittadini (parchi, piscine, attività sportive e così via), ampliando lo spettro delle possibilità ben oltre il tradizionale riutilizzo a fini di coltivazione. In particolare, relativamente agli Ambiti Territoriali Estrattivi – le aree che comprendono uno o più siti attivi o dismessi - il recupero deve essere contenuto in un progetto complessivo che tenga in adeguata considerazione tutte le caratteristiche ambientali e sociali dell’intera area. Il passaggio da ripristino a recupero ambientale configura quindi un progetto generale di governo del territorio, nel cui ambito vanno inquadrate le attività di estrazione, non più fini a se stesse. Per rendere ancora più rigorosa questa seconda opzione strategica viene introdotto il divieto, in via assoluta, di trasformazione successiva dei siti estrattivi in discariche. Si prevede inoltre la costituzione di un archivio progetti di recupero ambientale, collocato

L’attività estrattiva di cava nella Regione Veneto costituisce un importante segmento dell’intero settore industriale locale. Le tipologie di materiali estratti trovano infatti collocazione in diversi settori di utenza, che spaziano dall’impiego degli inerti per il confezionamento di calcestruzzo, al calcare per cemento, dall’argilla ai laterizi, alla pietra da taglio.

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presso il costituende Osservatorio ambientale della Regione Veneto, che raccolga e censisca le migliori esperienze nazionali e internazionali, in modo da fornire agli Enti Locali e a tutti gli interessati il più ampio ventaglio di scelte alternative per i progetti di recupero ambientale. La razionalizzazione delle attività estrattiva L’attività estrattiva di cava nella Regione Veneto costituisce un importante segmento dell’intero settore industriale locale. Le tipologie di materiali estratti trovano infatti collocazione in diversi settori di utenza, che spaziano dall’impiego degli inerti per il confezionamento di calcestruzzo, al calcare per cemento, dall’argilla ai laterizi, alla pietra da taglio. Sulla base delle ricognizioni quantitative sui dati storici e i fabbisogni attesi, e attraverso opportune procedure di stima, viene introdotto il concetto di previsione della quantità globale consumata su un periodo di dieci anni, legata alle effettive necessità economiche, con ulteriori valutazioni su scala annuale e quindi


Una seconda opzione strategica della nuova impostazione porta a superare il concetto di ripristino ambientale a favore del concetto di recupero ambientale.

per quantità, tanto a livello regionale quanto delle singole province venete. La quarta opzione strategica del nuovo Piano Cave impone di fissare e verificare periodicamente le quantità davvero necessarie di materiali da estrarre sulla base delle effettive esigenze produttive del periodo. Si ottengono in questo modo diversi effetti positivi. Innanzitutto si introduce un elemento di calmierazione dei prezzi dei materiali, riducendo il rischio di costituzione di “cartelli” che alterano il mercato. Il meccanismo di definizione delle quantità può essere soggetto a revisioni determinate dagli andamenti dei settori legati all’attività estrattiva, con procedimenti di verifica almeno triennali. A questo si aggiunga che il nuovo Piano Cave prevede l’impossibilità di proroghe, proprio per evitare alterazioni artificiali dei prezzi attraverso il gioco delle scorte. In secondo luogo, sulla base del principio di sussidiarietà, viene attivata una delega piena alle Province per quanto riguarda i materiali di rilevanza provinciale: trachite, brecce, calcari lucidabili a marmo, calcari da taglio, calcari in lastre, quarzo e quarzite, pietre molari, argilla ferrifera e materiali vulcanici, terre coloranti, sabbie silicee e terra da fonderia, gesso, torba e ogni altro materiale rinvenibile sotto qualsiasi forma di deposito naturale industrialmente utilizzabile. Si prevede inoltre un significativo riequilibrio delle quote provinciali di estrazione di ghiaia, oggi fortemente sperequate a causa della localizzazione geologica dei materiali da escavazione. Infine, la definizione a tempi certi e periodici delle quantità da estrarre consente di tener conto di nuove opportunità alternative di estrazione di materiali, che vanno obbligatoriamente a riduzione dei volumi previsti dal presente piano. Il riferimento più pregnante va ai piani di pulizia dei fiumi, i quali potranno, appena predisposti, ridurre notevolmente il fabbisogno atteso di ghiaie stimato in questo piano.

L’intensificazione delle attività di vigilanza L’ultima opzione strategica prevista dal nuovo Piano Cave intende condurre ad un più stringente sistema di vigilanza, con l’assegnazione alle Province dei mezzi finanziari necessari a rafforzare il presidio del territorio. è previsto l’impiego, con delibera a parte, di 1.000.000 di euro a questi fini e l’assegnazione alle Province degli introiti totali delle sanzioni amministrative. Un’ulteriore modalità rafforzata di controllo e vigilanza da parte degli Enti Locali viene dal rafforzamento dei controlli preventivi attraverso il superamento delle CTRAE e l’introduzione estesa della valutazione di Impatto Ambientale. Severa e innovativa è anche la nuova disposizione per la quale i titolari del permesso all’attività di cava condannati in sede penale per gravi danni ambientali con sentenza passata in giudicato verranno sottoposti a provvedimenti di revoca o decadenza. Viene prevista la realizzazione di un Catasto dei siti di attività estrattiva informatizzato e georeferenziato, così da garantire una maggiore efficacia delle attività di programmazione e verifica dell’efficacia della programmazione territoriale. L’accertamento della conformità dei lavori di coltivazione e recupero ambientale dovrà essere svolta da collaudatori nominati dall’Amministrazione competente, con oneri a totale carico del titolare del permesso a coltivare. Infine, sarà istituito l’Osservatorio Ambientale, con compiti di controllo e monitoraggio, oltre di raccolta delle “buone pratiche” di recupero altrove realizzate, così da costruire una banca dati di interventi ambientali da utilizzare come modello in fase di redazione dei Progetti di recupero stessi. L’Osservatorio, opportunamente finanziato con successivi provvedimenti, costituirà la sede di incontro di tutte le parti interessate e la sede principale in cui sperimentare la reale efficacia di nuova governance del settore. di Emanuele Incanto 71




IL CANTIERE

I SISTEMI DI GESTIONE DELLA I

SICUREZZA SUL LAVORO

l regime di “responsabilità amministrativa” (di fatto però penale poiché riferita ai casi previsti dalla normativa penale) per le imprese e/o società è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano dal D.Lgs. 231/2001, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridiche, a norma dell’art. 11 della Legge 29 settembre 2000, n.30”. Tale responsabilità - per alcuni tipi di reato commessi nell’interesse od a vantaggio della società da parte di loro amministratori o loro dipendenti - va ad aggiungersi a quella tradizionale della “persona fisica” che ha materialmente commesso il fatto. L’ampliamento della responsabilità mira a coinvolgere nella punizione di illeciti penali il patrimonio di quei soggetti (giuridici ed economici) che, sino all’entrata in vigore del predetto decreto legislativo, non pativano conseguenze dallarealizzazionediquestireati: ilprincipio della responsabilità penale, infatti, li lasciava indenni da conseguenze sanzionatorie diverse dall’eventuale risarcimento del danno. L’innovazione normativa, che allinea il nostro ordinamento a quelli di molti altri paesi europei, è quella di prevedere un modello sanzionatorio rivolto anche al “soggetto collettivo portatore dell’interesse economico sotteso alla commissione del reato” (in primis le imprese), quando il comportamento illecito sia espressione della politica aziendale o, quanto meno, derivi da una “colpa di organizzazione”. In linea generale, però, il D.Lgs. 231/2001 prevede una c.d. forma di esonero dalla responsabilità nel caso in cui l’impresa/ società sia in grado di dimostrare (in sede giudiziale) di aver adottato ed efficacemente attuato un “Modello di organizzazione, gestione e controllo” idoneo a prevenire

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proprio i reati da cui trae vantaggio non solo il singolo che li compie ma direttamente l’impresa/società stessa. Il sistema di esonero istituito dalla normativa (in particolare le caratteristiche previste per la costruzione ed il funzionamento del modello), costituisce il cuore della nuova disciplina a cui devono conformarsi le imprese/società che intendono tutelarsi da una propria responsabilità in relazione ai reati “collettivi e/o di sistema” da cui potrebbero trarre indebito vantaggio. L’adozione del modello organizzativo quindi, pur essendo facoltativa, diviene di fatto necessaria nella misura in cui le imprese/società intendano beneficiare del sistema di esonero disciplinato dalla norma: la mancata adozione del modello, infatti, espone l’organo dirigente della impresa/società ad azioni di responsabilità non solo da parte della magistratura ma anche da parte dei propri membri/soci per le potenziali conseguenze derivanti dal non aver adottato il modello gestionale. Come conseguenza, anche le imprese che intendono beneficiare del sistema di esonero dalla propria responsabilità con riferimento a reati commessi in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, devono provvedere ad adottare e/o adeguare il proprio modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del predetto D.Lgs. 231/2001 (il riferimento è all’introduzione nel decreto dell’articolo 25-septies). Questa disposizione è stata successivamente stabilizzata dal D.Lgs. 81/2008 (TUS), che l’ha mantenuta in vigore grazie all’art. 304, comma 1, lettera c) e, parallelamente, potenziata con l’introduzione delle disposizioni “esimenti” dell’art. 30 in materia di SGSL (modelli per l’implementazione dei Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro).

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L’edilizia si mette in gioco

EDILTROPHY 2009 il premio per la qualità e professionalità in edilizia

Il sistema bilaterale che fa capo al FORMEDIL rilancia, insieme a BolognaFiere, il progetto Ediltrophy, la “gara” tra squadre di “muratori”. Dopo la prima edizione del 2008 a Bologna, il 31 Ottobre in occasione del SAIE 2009 si terrà la manifestazione di chiusura dove verranno premiati i “migliori muratori d’Italia” nelle due categorie “apprendisti” e “mastri”. Rispetto alla prima edizione nel 2009 la gara nazionale verrà preceduta dalla selezione regionale che verrà realizzata in venti città italiane in contemporanea il 26 Settembre p.v., in occasione delle Giornate della Formazione in Edilizia. Con la manifestazione “sportiva” si intende testimoniare l’importanza della formazione professionale nelle costruzioni valorizzando un patrimonio umano essenziale per garantire la qualità del costruire. La finalità di “premiare” chi lavora bene e ad alti livelli intende sottolineare l’importanza di realizzare strutture solide secondo le regole di sicurezza e qualità. La gara pertanto si articolerà in due fasi: una prima fase dedicata alla selezione delle squadre a livello regionale (sabato, 26 Settembre 2009); una seconda fase, a Bologna in occasione del SAIE, con la finale nazionale in cui si “sfidano” i vincitori del livello regionale (sabato, 30 Ottobre 2009). Alla “gara” potranno partecipare tutte le scuole edili d’Italia e ogni scuola edile potrà gareggiare con una o più squadre composte ciascuna da due “muratori”. La squadra potrà competere per la categoria Apprendisti o Mastri, a seconda del grado di esperienza e del livello contrattuale. La performance si baserà su un disegno tecnico predisposto dal FORMEDIL. Le squadre di ogni territorio si affronteranno in una sede regionale, od in alcuni casi interregionale e coloro che risulteranno vincitori a livello territoriale parteciperanno alla manifestazione finale in occasione del SAIE per il titolo nazionale. Ogni regione potrà scegliere di candidare per la finale una squadra di Apprendisti o di Mastri, a sua discrezione. “Con Ediltrophy - dichiara Massimo Calzoni, Presidente del Formedil - intendiamo valorizzare il patrimonio di capacità professionali che esiste oggi nelle costruzioni e che è a disposizione dell’industria edile in una fase in cui la qualità costruttiva è destinata a fare la differenza. Ediltrophy è la punta di un iceberg di azioni a favore dell’inserimento professionale che segue il lavoratore dagli esordi come apprendista alla specializzazione delle proprie competenze facendolo crescere professionalmente e fornendogli strumenti utili alla ricerca di una occupazione.”

www.formedil.it



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Il modello organizzativo e gestionale “esimente” deve in ogni caso prevedere – per quanto richiesto dalla natura e dalle dimensioni dell’organizzazione aziendale e dal tipo di attività svolta – un’articolazione di funzioni che assicuri:

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le competenze tecniche ed i poteri necessari per la verifica, la valutazione, la gestione ed il controllo del rischio; un

sistema

disciplinare

idoneo

a

sanzionare

il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

Sempre il predetto modello dovrà altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione delle sue stesse procedure (e modalità di gestione) e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. In ogni caso è opportuno evidenziare come l’art. 30 del TUS richieda esplicitamente che il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo debbano essere realizzate quando:

1 2

siano

scoperte

violazioni

significative

delle

norme relative alla prevenzione degli infortuni ed all’igiene sul lavoro; in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.

Sebbene le indicazioni del TUS possano apparire “stringenti”, ancora ben poco chiariscono su quelle che dovrebbero essere le effettive caratteristiche dei modelli gestionali per la sicurezza sul lavoro, attesa la diversità dimensionale e tipologica delle imprese operanti nel territorio nazionale. In attesa di indicazioni più precise sulla tipologia modellistica (il riferimento è agli indirizzi ed alle buone pratiche che potranno venire dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro prevista dall’art. 6 del TUS), il suddetto art. 30 del testo unico fornisce alcune indirizzi operativi per la fase di prima applicazione della norma. Il riferimento testuale della legge, in particolare, è a due tipologie di modelli: - Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001; - British Standard OHSAS 18001:2007.

Lo standard OHSAS 18000:2007 è stato pubblicato dal British Standard Institute (BSI) il I° luglio 2007 ed è stato, di fatto, adottato a livello internazionale come modello procedurale per la realizzazione e la certificazione dei Sistemi per la gestione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (SGSL). Lo standard 18000, infatti, stabilisce regole e linee guida per lo sviluppo delle varie fasi funzionali dell’SGSL mediante l’adozione di procedure operative che richiedono requisiti di organizzazione e di gestione che dovranno però poi essere certificati: sia internamente che da soggetti terzi esterni (certificatori), autorizzati alle funzioni di certificazione. è in questa ottica che lo standard britannico ha assunto il rango di vera e propria “norma” (anche se non lo è formalmente), in costante evoluzione rispetto alle sue versioni precedenti; compresi gli stessi documenti emessi dall’organismo inglese emanatore, che costituivano in Gran Bretagna - vere e proprie specifiche operative oggetto di rapporti di natura contrattuale. Le Linee Guida UNI-INAIL sono state pubblicate per la prima volta nel 2001 e successivamente implementate nel giugno (Manuale) e nell’ottobre (Guida operativa) 2003. Le Linee Guida (non obbligatorie e non certificabili) sono uno strumento di aiuto per le PMI nella definizione di un sistema di gestione aziendale della sicurezza sul lavoro e possono essere utilizzate come riferimento nella predisposizione di un manuale del sistema. Ciò poiché il grado di articolazione e complessità di un SGSL non può prescindere dalla dimensione e dal tipo di azienda che lo adotta. Per questo motivo le Linee Guida rappresentano un esempio di applicazione di un SGSL adatto ad aziende manifatturiere di medie dimensioni, sufficientemente strutturate ed articolate. L’applicazione di un SGSL come quello esemplificato da UNI ed INAIL presenta quindi aspetti critici in aziende di piccole dimensioni (ad esempio con meno di 4050 addetti), principalmente per la sovrapposizione dei ruoli rivestiti dai pochi soggetti presenti e per la difficoltà di avere figure sufficientemente indipendenti per le attività di monitoraggio. In ogni caso le imprese (o le PMI) che, in prima applicazione della norma, adottassero uno dei due modelli indicati (OHSAS certificabile; UNI-INAIL non certificabile), avrebbero una presunzione di conformità ai requisiti prima elencati dell’art. 30 del TUS e, di conseguenza, una esenzione dalle responsabilità in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro previste dal D.Lgs. 231/2001. di Daniele Verdesca 77




IL CANTIERE

SERGIO STEVANATO: “VI RACCONTO IO LA NOSTRA ECCELLENZA” La Stevanato Group punta sull’innovazione e vince la scommessa

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uando 60 anni fa Giovanni Stevanato aprì un laboratorio artigianale in una regione con una forte tradizione nella lavorazione del vetro, il Veneto, non avrebbe forse potuto immaginare che si sarebbe trasformato in un leader mondiale nella produzione di primary packaging in vetro ad uso farmaceutico. A testimoniare che si trattò di una scommessa vinta ora non c’è solo Sergio Stevanato, il nipote, attuale Presidente di Stevanato Group, ma anche i numeri. Il dato di partenza è infatti la crescita del 12% del fatturato prevista nel 2009: fino a 159 milioni di euro, rispetto ai 142,5 del 2008. Non solo: 1050 dipendenti dislocati nelle varie filiali in Italia, Slovacchia e America, e più di 120 Paesi in cui approdano gli oltre 2 miliardi di fiale, flaconi, tubofiale e siringhe in vetro prodotti all’anno. Stevanato Group è leader mondiale indiscusso nella produzione di tubofiale per insulina. Dati che colpiscono chiunque, ma non sorprendono affatto: l’incremento a due cifre è usuale negli ultimi anni per

il Gruppo. Da trasformatore di vetro per l’industria cosmetica e farmaceutica del dopoguerra è diventato gruppo indipendente dai fornitori che realizza internamente i complessi macchinari di cui necessita e, in più, li vende ai competitor. In grado, quindi, di raccontare al mondo le proprie eccellenze nel campo. “Le innovative soluzioni tecniche adottate - interviene il Presidente - hanno reso l’azienda in grado di competere negli anni e di seguire con successo la strada dell’internazionalizzazione fino a giungere a esportare il 70% del fatturato e ad avere nel proprio portafoglio ordini da parte di tutti i principali gruppi farmaceutici mondiali.” La crisi mondiale è vissuta senza grandi ripercussioni non solo perché l’industria farmaceutica è di per sé anticiclica e gode quindi di una certa stabilità. “All’interno di questo ambiente economico vengono premiati coloro che hanno saputo crearsi delle nicchie di mercato ad alto valore aggiunto investendo in ricerca e sviluppo: la crescita sarà confermata anche quest’anno.” >

1050 dipendenti dislocati nelle varie filiali in Italia, Slovacchia e America, e più di 120 Paesi in cui approdano gli oltre 2 miliardi di fiale, flaconi, tubofiale e siringhe in vetro prodotti all’anno

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IL CANTIERE

Con ritmi di crecita pari a 40% all’anno, l’azienda vuole acquisire nuove competenze sui prodotti ad alta componente tecnologica, innanzitutto ampliando la gamma delle produzioni sterili

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Dati tutti questi presupposti, Stevanato Group sembra destinato unicamente a crescere. “Lo faremo però strategicamente – interviene il Presidente - sempre in maniera razionale, mai un passo meno calibrato”. Prima la Slovacchia per il mercato est europeo, con lo stabilimento aperto già 4 anni fa, poi nel 2008 la filiale in Messico per servire quello nordamericano e in prospettiva anche il Sud America. E alla domanda: “Ma qual è il prossimo obiettivo?” lui risponde serenamente: Far East con un occhio di riguardo alla Cina. “Esportiamo in questo Paese da più di otto anni, ma la costruzione di una filiale sarà avviata solo una volta consolidato il Messico, su cui puntiamo di portare l’azienda in utile nel 2010”. E se di strategia vogliamo parlare, anche su questo Stevanato ha da raccontarci i segreti del suo successo. Dopo aver consolidato in soli quattro anni una posizione nelle siringhe, con ritmi di crescita

pari a 40% all’anno, l’azienda vuole acquisire nuove competenze sui prodotti ad alta componente tecnologica, innanzitutto ampliando la gamma delle produzioni sterili denominata EZ-Fill™, preparando prodotti pronti per essere riempiti. “Si tratta di un notevole valore aggiunto per le aziende farmaceutiche. Esse infatti potranno delegare la parte iniziale del processo produttivo, riducendo i costi e concentrando le proprie risorse nell’attività di ricerca che rappresenta il loro core business”. EZ-fill™ per flaconi e tubofiale avrà inoltre il vantaggio di essere integrabile con facilità agli impianti produttivi già esistenti nelle aziende farmaceutiche. “Sono allo studio nuovi dispositivi – conclude Stevanato – sui quali stiamo portando avanti diversi progetti per avere una chiara visione di quale sia il modo migliore per muoverci, ad esempio, in chiave di partnership.” Come sempre razionalmente, passo dopo passo. di Alice Fassina 83


Strategie & Comunicazione è una società che si pone l’obiettivo di offrire ad aziende ed enti di rappresentanza imprenditoriale, servizi strategici che vanno oltre la dimensione promozionale e di immagine, puntando su una generale integrazione di tutti gli aspetti della comunicazione. Forte di una rete relazionale consolidata nel settore edile, la società è diventata in breve tempo un punto di riferimento importante per aziende e associazioni operanti nel mercato delle costruzioni. L’originalità metodologica e le competenze professionali riconosciute da altri settori stanno favorendo un ampliamento del raggio d’azione della società, in particolare verso l’industria automobilistica e la consulenza aziendale.


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LA BIBLIOTECA Recensioni, segnalazioni, news

di Sara Vilardi

Le Dolomiti patrimonio dell’umanità

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l 26 giugno scorso a Siviglia il World Heritage Committee – Comitato dell’UNESCO per il patrimonio dell’Umanità - ha decretato all’unanimità che le Dolomiti, per la loro bellezza paesaggistica e il valore geomorfologico, vanno tutelate e conservate come patrimonio dell’umanità. Oltre alla spettacolare bellezza dei paesaggi, l’area presenta infatti un’ampia gamma di forme rocciose, derivanti da erosione, movimenti tettonici e glaciazioni, nonché una grande varietà di formazioni calcaree dal grande valore scientifico. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato ad un’area in cui sono compresi nove gruppi dolomitici per un’ estensione complessiva di 142 mila ettari, cui vanno aggiunte alcune “aree cuscinetto”, per un totale di 231 mila ettari, suddivisi tra le province di Trento, Bolzano, Belluno, Pordenone ed Udine. Quasi il 70% dell’area però rientra in territorio veneto: Pelmo e Croda da Lago, la Marmolada, le Dolomiti Bellunesi e le Dolomiti d’Ampezzo. “Un sogno cullato da tanto tempo, trova realizzazione” ha commentato Reinhold Messner aggiungendo che “la consapevolezza di questa eredità affidataci ci impegna direttamente ad assumerci delle responsabilità nei confronti di questo patrimonio e ci garantisce la presenza di un turismo maggiormente consapevole e sostenibile”. Alla proclamazione ha assistito la delegazione italiana guidata dall’ambasciatore all’UNESCO Giuseppe Moscato e dal ministro all’Ambiente Stefania Prestigiacomo; in sala c’erano anche esponenti delle realtà territoriali che hanno sostenuto la candidatura. 86 86


Inaugurato l’impianto fotovoltaico più grande del Veneto I

l 23 maggio scorso la Conergy, tra le principali aziende produttrici del mercato europeo del fotovoltaico e tra i maggiori operatori a livello internazionale nel settore dell’integrazione di sistemi solari, in collaborazione con il partner installatore CMD, ha portato a termine la realizzazione del più grande impianto fotovoltaico della regione Veneto. L’impianto, con moduli a film sottile su tetto e terra, alimenta la Athena Spa di Alonte (Vicenza), produttrice di componentistica meccanica per motocicli e di elettronica applicata allo sport. Gli 11.502 moduli che costituiscono il sistema, con una potenza complessiva di 862,65 kWp, sono in grado di produrre all’incirca 1 milione di kWh di energia pulita all’anno evitando l’emissione di circa 550 tonnellate di anidride carbonica. La parte di impianto installata a terra, composta da 3.654 moduli, è stata montata con strutture di fissaggio che non necessitano di fondamenta in calcestruzzo per l’ancoraggio, riducendo così al minimo l’impatto ambientale.

Torna a splendere il Duomo di Desenzano del Garda I

n vista delle celebrazioni per i 400 anni dalla consacrazione (6 dicembre 2011) il Duomo di Santa Maria Maddalena a Desenzano del Garda è stato riportato all’antico splendore da un attento restauro conservativo ad opera della TECNOART. La chiesa progettata da Giulio Todeschini venne completata solo dopo un lungo intervallo di anni e non rispetta dunque in tutto il progetto originario; la facciata presenta interessanti elementi barocchi che richiamano la romana Chiesa del Gesù opera del Vignola. All’interno, oltre ad un ciclo pittorico dedicato a Maria Maddalena di Andrea Celesti, uno dei principali pittori veneti del Seicento, va ricordata anche L’ultima cena di Gianbattista Tiepolo che risale all’incirca al 1738. L’azienda trentina che ha curato il restauro, sotto la direzione dell’architetto Gualtiero Rizzi, opera con una filosofia prettamente conservativa unendo tecniche antiche a iter metodologici innovativi, e ha lavorato con l’obiettivo di salvaguardare l’integrità del monumento, rispettandone i caratteri peculiari e originari. Gli interventi hanno riguardato la facciata principale, offuscata da uno strato di pigmentazione sintetica, tutti i prospetti esterni perimetrali molto degradati, con i relativi apparati decorativi, il campanile, il cui intonaco era ormai ridotto a pochi frammenti, e la copertura.

“L’arca di Potenza” incanta i Veneziani I

naugurata il 3 giugno scorso, a poco più di un mese dall’apertura al pubblico, la personale di Gianmaria Potenza ha già registrato oltre 7.000 presenze. Nonostante le creazioni dell’artista veneziano, che ha realizzato paramenti e suppellettili anche per il Pontefice Paolo VI, siano esposte in diversi luoghi del mondo, da Londra a Firenze, da Parigi a New York e Montecarlo, il riconoscimento e il successo tributatigli dalla sua città in occasione di quest’ultima mostra lo emozionano profondamente: “L’affetto e il calore che i veneziani e gli appassionati d’arte mi stanno dimostrando, lasciando ogni giorno numerosissimi messaggi di stima e apprezzamenti per le opere e per il mio lavoro” ha dichiarato “è davvero straordinario e mi commuove”. Genio eclettico e poliedrico, fondatore della rinomata vetreria La Murrina, Potenza utilizza in modo originale l’arte del mosaico e ha ridato nuova linfa alla lavorazione del bronzo e del vetro. L’inusuale cornice nella quale sono esposte le oltre venti opere inedite che compongono “L’Arca di Potenza” è il Giardino alla Salute (Dorsoduro, 49) dove resteranno a disposizione del pubblico fino al 30 settembre (tutti i giorni dalle 11 alle 20 tranne il martedì. Ingresso gratuito).

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IL CAMPANILE Ance informa

Ăˆ tempo di elezioni per i Campanili di EST Mentre Verona punta su interventi di nuova urbanizzazione e piani edilizi di riqualificazione a Padova, Treviso e Venezia si rinnovano le cariche associative.


IL CAMPANILE MERCATO CANTIERE

NUOVO MANDATO ALLA GUIDA DI ANCE TREVISO PER

CLAUDIO CUNIAL di ANCE TREVISO

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laudio Cunial succede a se stesso al vertice di Ance Treviso. La sua riconferma alla presidenza per il prossimo triennio è avvenuta in modo unanime da parte del direttivo eletto dalla recente assemblea, peraltro pure riconfermato nella sua interezza, eccezion fatta per i nuovi ingressi di Ivan Cervellin e Flavio Voltarel. Ad affiancare, in qualità di vicepresidente, Silvano Armellin, che già ricopriva tale incarico nel precedente mandato è stata designata anche Paola Carron, ex vicepresidente nazionale dei giovani. Il “team” si completa con il presidente del gruppo giovani Davide Feltrin, vicepresidente di diritto, e con il tesoriere Italo Comarella. I consiglieri, oltre alle due “new entry” già ricordate, sono Angelo Basso, Tullio Brussi (past president – componente di diritto), Giovanni Camilotto, Bruno Frate (past president – componente di diritto), Giovanni Marcon (presidente della Scuola Edile – componente di diritto), Stefano Pelliciari (past president – componente di diritto), Alessandra Pivato, Andrea Prevedello, Massimo Vendramin e Flavio Voltarel. Il collegio dei revisori, presieduto da Gianfranco Gallina, è composto dagli effettivi Sergio

Peruch e Ferdinando Sarttorato, nonché dai supplenti Antonio Costantini e Mario Durighello. Il collegio dei probiviri, presieduto da Bruno Frate, è composto da Lucio De Biasi e Francesco Fregonese, quali membri effettivi, e da Raffaele D’Agostin e Dario Piccin come membri supplenti. Piena fiducia, quindi, da parte delle imprese associate al direttivo uscente, a dimostrazione dell’ottimo lavoro portato avanti dal presidente Claudio Cunial e dalla squadra; Cunial, che ha ricevuto il testimone da Stefano Pelliciari, è riuscito a garantire all’associazione il mantenimento dell’ottimo livello di eccellenza raggiunto, facendole fare un ulteriore salto di qualità nel mondo socioeconomico trevigiano, oltre che nell’ambito associativo veneto. “Per me – dice il presidente di Ance Treviso – si tratta senza dubbio di una grande soddisfazione e devo ringraziare i colleghi che mi hanno rinnovato la loro fiducia, oltre che naturalmente gli amici del consiglio direttivo. Sono consapevole che la riconferma è sicuramente un segnale di forte responsabilità, tanto più in questo particolare momento di crisi che anche il nostro settore sta attraversando. Sono peraltro sicuro che lavorando con la stessa coesione e con lo stesso spirito con cui si è lavorato nel precedente mandato potremo >

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Claudio Cunial e Paolo Buzzetti

sia mantenere quel ruolo che la nostra associazione ormai occupa anche nei rapporti con le istituzioni e sia impegnarci proprio per affrontare assieme la difficile fase in cui oggi ci troviamo ad operare”. Argomenti questi che erano stati oggetto della relazione che lo stesso Cunial aveva tenuto in occasione dell’assemblea di fine mandato, quest’anno dedicata al tema dello sviluppo e dei rapporti con il

territorio. In quell’occasione erano presenti anche gli assessori regionali alle politiche delle infrastrutture Renato Chisso e all’urbanistica Renzo Marangon, “intervistati” dal direttore di Rete Veneta Luigi Bacialli, mentre le conclusioni erano state affidate al presidente nazionale di Ance, Paolo Buzzetti, che proprio a Treviso ha fatto la sua prima “uscita” dopo l’acclamata rielezione.

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IL CAMPANILE MERCATO CANTIERE

ANCE LIONELLO VENEZIA BARBUIO riconfermato Presidente di ANCE VENEZIA di ANCE VENEZIA

ATTIVA A SOSTEGNO DELLE IMPRESE CONTRO I RITARDI NEI PAGAMENTI

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l 18 giugno scorso, presso l’Hotel NH Laguna Palace a Mestre, si è svolta l’Assemblea Generale dei Soci, nel corso della quale si sono svolte le votazioni per il rinnovo delle cariche associative. Il responso delle urne ha premiato il geom. Barbuio che viene quindi riconfermato nella carica di Presidente. Si è votato anche per le rimanenti cariche associative: ossia per i 16 componenti del Consiglio Direttivo (cui si aggiungono di diritto il presidente e il presidente di ANCE Venezia Giovani) per i revisori dei conti nonché per il collegio dei probiviri. In occasione della prima riunione del Consiglio Direttivo tenutasi l’8 luglio scorso, si è provveduto alla designazioni dei due Vicepresidenti e del Tesoriere. Sono risultati eletti i signori Ciro Liccardi e Alessio Tiozzo quali Vicepresidenti e il dott. Paolo Merlo quale Tesoriere.

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nce Venezia ha avviato una forte azione a tutela delle proprie imprese di fronte ai ritardati pagamenti alle imprese da parte del Magistrato alle Acque di Venezia, quale stazione appaltante del Ministero delle Infrastrutture e di altri ministeri (Giustizia, Ambiente, Difesa…). Se negli anni scorsi il problema dei ritardati pagamenti del Magistrato alle Acque, pur molto pesante, era stato risolto anche grazie all’interessamento dell’Ance, quest’anno esso ha assunto connotazioni molto più gravi per effetto della nuova disciplina della “perenzione dei residui passivi”. Per effetto di tale istituto, infatti, le somme stanziate e non spese entro un dato termine (oggi 3 anni, in passato 7) vengono “cancellate” dal bilancio dell’ente e possono essere pagate solo se vi è una formale richiesta che comporta la loro reiscrizione a bilancio. Il tutto con tempi lunghissimi, tanto più che la richiesta di reiscrizione dev’essere fatta soltanto per l’importo della singola fattura (e non per l’ammontare dell’intero intervento) e quindi va reiterata per ogni SAL. Tutto ciò dilata a dismisura i tempi di pagamento delle imprese esecutrici. Stante la gravità della situazione, il numero di aziende coinvolte e l’entità dei crediti in ballo, dopo una serie di incontri con i soci interessati e una forte azione pubblicitaria sulla stampa locale, l’Associazione ha messo a disposizione un legale di fiducia per coordinare sotto un’unica regia l’azione giudiziaria delle singole imprese a tutela dei propri crediti. Il legale designato ha quindi provveduto all’invio al Magistrato alle Acque delle diffide al pagamento e, successivamente, al deposito dei ricorsi per ottenere i relativi decreti ingiuntivi.


TIZIANO NICOLINI ELETTO PRESIDENTE DI ANCE PADOVA

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di ANCE PADOVA

ingegner Tiziano Nicolini è il nuovo Presidente di Ance Padova – Collegio Costruttori Edili. Lo ha eletto l’Assemblea annuale svoltasi il 16 luglio scorso presso Villa Borromeo a Sarmeola di Rubano. Nicolini riceve il testimone dall’ingegner Leonardo Antonio Cetera, che assume così il ruolo di past-president per il biennio 2009-2011. Il neo Presidente – che insieme al fratello Massimo conduce l’azienda di famiglia Gino Nicolini srl, presente nel mercato dell’edilizia padovana pubblica e privata da molti decenni – avrà al suo fianco i Vice Presidenti geom. Fortunato Capparotto, ingegner Filippo Mazzei e Nicola Ometto (quest’ultimo Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori Edili). ­L’ingegner Tiziano Nicolini negli ultimi quattro anni ha ricoperto l’incarico di Vice Presidente di Ance Padova ed in precedenza quello di Presidente del Comitato Paritetico Territoriale. Nel corso dell’Assemblea sono stati inoltre eletti i Consiglieri: geom. Alberto Bido, geom. Fiorenzo Galiazzo, rag. Stefano Gallo, rag. Silvana Mason, arch. Stefano Perin, ing. Lorenzo Tombola, ing. Roberto Tresoldi e dott. Andrea Vittadello.

VERONA NUOVO BANDO PER

L’URBANIZZAZIONE E LA RIQUALIFICAZIONE

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di ANCE VERONA

al 20 luglio scorso e per i prossimi quattro mesi, è possibile proporre al Comune di Verona interventi di nuova urbanizzazione o piani edilizi di riqualificazione di edifici o di aree degradate in tutto il territorio sottoposto alla sua gestione. Il bando è stato presentato dal Sindaco Flavio Tosi e dagli Assessori all’Urbanistica Vito Giacino e all’Edilizia privata, Alessandro Montagna. Si potranno proporre interventi di recupero di tipo residenziale, direzionale e turistico-ricettivo a seconda delle zone e nella cornice definita dal Pat, il Piano di assetto territoriale. Il sindaco Tosi ha sottolineato che, a differenza di quel che accadeva col vecchio Prg, in cui l’Amministrazione comunale pianificava tutto il territorio, ora la nuova pianificazione urbanistica prevede che le aree possano venire valorizzate esclusivamente attraverso accordi con l’Amministrazione, che selezionerà le proposte sulla base del rilevante interesse pubblico, con vantaggio notevole in termini di opere a favore dell’intera comunità. In definitiva, per ottenere l’approvazione dei progetti dovranno esserci compensazioni, in opere o strutture pubbliche, a favore della collettività. Completata la fase di istruttoria, gli accordi pubblico-privato saranno sottoposti al vaglio delle circoscrizioni e, quindi, al voto del Consiglio comunale, insieme al Piano degli interventi, per l’approvazione. I privati dovranno realizzare le opere entro cinque anni. Diversi gli ambiti di intervento indicati dal bando. Nel contesto urbano si prevede la riconversione dei grandi contenitori dismessi o in via di dismissione, il riordino delle aree degradate, il potenziamento del verde e dei servizi nei quartieri, il miglioramento della rete viabilistica e il contributo alla realizzazione del parco della Spianà a vocazione sportiva. Per Verona sud c’è la riqualificazione della Zai e dei quartieri di Borgo Roma, Santa Lucia e Golosine, il potenziamento del Quadrante Europa e il miglioramento della viabilità. Infine il piano della collina e delle aree a parco intende incentivare la creazione di aree di eccellenza naturalistico-ambientale e la formazione dei parchi dell’Adige e delle colline, nonché il recupero di percorsi storici e di elementi che caratterizzano il paesaggio come i muri a secco. 93


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