Il futuro è di tutti, ma è uno solo

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ro così come degli altri spazi sociali condivisi. È il modo per ridurre le fratture tradizionali, quelle cui siamo abituati, quelle che hanno prodotto lotte sane e risultati stabili, ma non più efficaci a spiegare e rendere giusto il presente. È il modo per separare la distanza tra le generazioni di lavoratori la cui vita scorre incrociando esperienze e appartenenze frammentate, mai esclusive, che non possiamo considerare conflittuali. Si lavora e si fa impresa, si svolge una libera professione e ci si inventa un impiego, nello stesso momento, nello stesso paese, con lo stesso futuro davanti: diamoci una visione comune – che unisca le parti più responsabili e innovative di tutti i segmenti del mondo del lavoro – diamoci un racconto e una grammatica condivisa, diamoci percorsi di azione collettivi. Le rappresentanze, ovviamente, restano separate, autonome – così come autonome devono essere, reciprocamente, dalla politica e dal governo –, conflittuali, anche, per fasi, ma non pregiudizialmente antagoniste. Le relazioni sociali, politiche e industriali devono trovare la forza, oggi più che mai, per ragionare insieme, per produrre accordi al rialzo e non solo mediazioni al ribasso. Occorre costruire insieme un futuro possibile che veda il mondo del lavoro per quello che è, un luogo di vita, di progetto, di crescita, di sviluppo. Ciascuno il suo ruolo, ciascuno le sue responsabilità, ciascuno i suoi diritti e doveri, senza barricate pregiudiziali.

2. Ai giovani sindacalisti della Filtea e della Filctem Sembra invece prevalere, in questo strano paese attaccato a particolarismi e polemiche pregiudiziali, un procedere sconnesso e distinto dei diversi soggetti della rappresentanza e dello sviluppo, ognuno per sé, a contrattare a strappi e ad uso e consumo particolaristico, con istituzioni e governo – da parte loro troppo deboli. Dobbiamo allora ritrovare il senso del noi, dentro e tra i sindacati, tra parti politiche, tra rappresentanze sociali, tra colleghi, vi153


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