Numero 1 - gennaio 2021
Numero 1 - gennaio 2021 - Anno XLIX - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479
FARMACI
Si chiamano agnostiche le nuove cure che stanno cambiando l’oncologia MAMMOGRAFIA
La storia centenaria di una scoperta che ha cambiato la vita delle donne
QUIRINALE
Mattarella: la pandemia non ha debellato le altre malattie
Antonio Moschetta, globetrotter della ricerca
NUTRIZIONE E TUMORI VISTI DALLA CELLULA
SOMMARIO
FONDAMENTALE gennaio 2021
In questo numero: 04 VITA DA RICERCATORE 07 RICERCA AIRC 08 NOTIZIE FLASH 10 OSPEDALI 12 STILI DI VITA 15 STORIA DELLA MEDICINA 18 BORSE DI STUDIO 20 TESTIMONIANZA 21 TERAPIE 24 IFOM 26 CURIOSITà 27 RUBRICHE 28 PANDEMIA 29 I GIORNI DELLA RICERCA 36 RACCOLTA FONDI 37 NUTRIZIONE 38 IL MICROSCOPIO
04
Globetrotter della scienza per inseguire il “priscio” La chemio va in panchina nella LAL dell’adulto
Alla ricerca del legame tra cibo e tumori a livello molecolare
Dal mondo
Criteri di qualità per i centri oncologici
Le nuove linee guida ACS, più sport e controllo del peso
Storia del test diagnostico che ha cambiato la vita delle donne
07
Leucemia curata senza chemio
Intitolate o anonime, garantiscono il futuro Donare dà molte più soddisfazioni che ricevere I farmaci agnostici, terapie in cui credere
Cartografi molecolari per mappare l’ecosistema tumorale Il cancro del seno nella statua di Michelangelo
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I traguardi dei nostri ricercatori
Covid-19 e cancro, ogni tumore un rischio diverso
Cerimonia del Quirinale, premio Guido Venosta, scuole e protagonisti Partner
Arance, il frutto simbolo della ricerca
Con gli stili di vita corretti, 150.000 tumori in meno
Per Covid conta più l’età del tipo di tumore
Riflessioni sul 2020 e proiezioni per il 2021
FONDAMENTALE
Anno XLIX - Numero 1 Gennaio 2021 - AIRC Editore Direzione e redazione Fondazione AIRC Viale Isonzo, 25 - 20135 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A. Direttore responsabile Niccolò Contucci
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EDITORIALE
Pier Giuseppe Torrani
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Tre riflessioni per reagire alla pandemia
L’
anno trascorso sarà a lungo ricordato come quello della pandemia. Come tutti, auspico che il prossimo possa essere definito quello della ripresa, ma il modo in cui il Sistema Italia ha reagito alla pandemia fino a ora ha evidenziato alcuni temi sui quali desidero concentrarmi. Il primo è la necessità di adeguare il nostro servizio sanitario perché, con opportune modifiche e investimenti, possa attrezzarsi ad affrontare i casi di pandemia che è possibile si ripetano nei prossimi anni. Il cambiamento ambientale e la globalizzazione delle attività hanno bene messo in luce la debolezza dei nostri sistemi sanitari di fronte a virus nei confronti dei quali non abbiamo difese immunitarie di gruppo. È l’evidenza emersa da questa esperienza. Le risposte di fondo richiedono tempo e il sistema deve operare perché la nostra società possa sopravvivere con opportune strutture dedicate. Le risorse che ci verranno affidate dall’Europa potranno essere finalizzate a questa grande operazione di rinnovamento. Il secondo tema è la necessità di garantire l’andamento normale del sistema sanitario perché continui a svolgere senza alcun rallentamento le sue tradizionali funzioni. Due in particolare: la diagnosi precoce e la cura del cancro, malattia contro cui combattiamo da sempre, e che nonostante i sicuri successi nelle terapie raggiunti in anni di ricerche è un nemico ancora presente, con più di 300.000 nuovi casi ogni anno e tante diagnosi la cui prognosi è negativa. Numeri ingenti che continuano a creare forti preoccupazioni. Per questo la cura del cancro è ancora una priorità sanitaria e sociale e le azioni di contrattacco avviate non possono certo essere abbandonate o ridotte. Una pandemia non può spingere a sacrificare la lotta contro i tumori. È un problema di organizzazione sanitaria, un problema che dobbiamo affrontare subito: mentre ci prepariamo per la lotta contro le pandemie dobbiamo garantire l’efficienza delle strategie di contrasto al cancro, separando le strutture operative per consentire di non interrompere le cure contro i tumori. Come invece è purtroppo avvenuto in alcuni casi in questi mesi. Il terzo tema da affrontare è il potenziamento della ricerca scientifica nel campo medico sanitario. È qui che dobbiamo concentrare gli sforzi futuri. Si sa che si cura meglio dove si fa più ricerca. Cosa significa potenziare la ricerca scientifica? In primo luogo l’incremento delle risorse finanziarie a essa dedicate, e in secondo luogo l’avvio di una profonda riforma dei meccanismi di selezione dei ricercatori, dei medici, degli operatori tecnologici e degli apparati di servizio. (segue a pagina 30)
Fondamentale per la prevenzione
A febbraio torna l’iniziativa Le Arance della Salute: per l’occasione Fondamentale dedica alcuni articoli al tema dei corretti stili di vita
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VITA DA RICERCATORE Antonio Moschetta
V
a cura di FABIO TURONE ive a Bitonto, dove è nato, e lavora a dieci minuti di distanza da casa, a Bari, nell’Università in cui si è laureato in medicina nel 1997: malgrado ciò, Antonio Moschetta è quanto di più lontano si possa immaginare da un ragazzo timoroso di allontanarsi dal nido. Semmai è uno che non vede l’ora, appena si alza il vento, di mettersi in punta di piedi e allargare le braccia il più possibile per cercare di spiccare il volo, per inseguire il “priscio”, come nel dialetto di quello spicchio di Puglia si chiama la gioia profonda, che lui associa al piacere di assecondare la passione per la ricerca, vedendone sbocciare i frutti.
Globetrotter della scienza per inseguire il “priscio” Originario di Bitonto, medico e ricercatore, Antonio Moschetta ha viaggiato molto fin dai suoi primi anni di studi. Oggi lavora a Bari e, grazie ad AIRC, studia le relazioni tra nutrizione, metabolismo e alcuni tumori
Gioia e ambizione
Il priscio lo ispira e lo guida già dagli anni del liceo, quando riesce a conciliare l’ottimo rendimento scolastico con i pomeriggi di svago, lo studio (“Mi alzavo prestissimo al mattino per studiare, così al pomeriggio potevo uscire con gli amici”) con l’attivismo in occasione degli scioperi degli studenti e delle lotte in assemblea, da cui non si tira mai indietro. La personalità non gli è mai mancata, ma, dopo la rissa che alle scuole medie gli vale la sospensione, impara a tenere a bada la “testa matta”, anche perché, per via del narcisismo di cui è molto con-
In questo articolo: metabolismo nutrizione stili di vita
sapevole, non può accettare niente di meno che “ottimo” all’esame di terza media, e di 60 sessantesimi alla maturità. “Ho frequentato il liceo classico Carmine Sylos di Bitonto, con professori veramente bravi ed esigenti, grazie ai quali ho acquisito un metodo di apprendimento che mi è stato poi utilissimo all’università – per esempio all’esame di anatomia, che per molti rappresenta un ostacolo paralizzante – e ancora oggi mi permette di affrontare testi difficili senza tentennamenti e di assimilarli rapidamente.”
co, analizzarlo e risolverlo, è per lui un invito a nozze, e il semestre olandese lascia un segno “entusiasmante”. Passa poco tempo, giusto i mesi necessari per sostenere a Bari gli esami del terzo anno, e di nuovo l’idea di salire su un altro aereo lo affascina inesorabilmente. Se prima era andato nel nord Europa a cimentarsi con l’inglese, la nuova sfida lo porta molto a sud, e molto a ovest: approfittando di un altro programma europeo, nato per semplificare il riconoscimento degli esami sostenuti all’estero (chiamato ECTS, European Credit Transfer and Accumulation System), ha l’occasione di trascorrere un intero anno all’Università di La Laguna a Tenerife, nelle isole Canarie, che fanno parte della Spagna ma sono nel mezzo dell’Oceano Atlantico, al largo della costa desertica del Marocco. Nel piccolo ospedale universitario ha l’occasione di fare molta pratica in tutti gli ambiti della medicina: “Ero al quarto anno, e ho davvero fatto di tutto, scoprendo di provare amore per la disciplina” racconta Moschetta. “Avevo tantissimi amici, e forse è lì che ho iniziato a volermi affiancare alle persone che ritenevo più capaci, per provare a imitarle e imparare a essere come loro.”
Dai grassi e dalla bile allo studio del cancro
Dall’Olanda a Tenerife Appassionato di storia e filosofia, dopo la maturità valuta se proseguire gli studi in quella direzione, ma è la mamma Antonietta – che insegna lettere in una scuola media – a spingerlo verso un corso di studi che offra più prospettive di un buon impiego. La scelta cade sulla facoltà di medicina, e quindi sul mestiere del papà Raffaele, gastroenterologo ospedaliero. Lo scoglio degli esami di ammissione viene superato al primo tentativo: ventisettesimo sui trecento nuovi immatricolati in medicina a Bari. Sono i primi esami a farlo vacillare un po’: materie come fisica, chimica e statistica – fondamentali per chi vuole poi fare ricerca – sono per lui pesanti e indigeste: “Mi piaceva il lato umano del mestiere del medico, e odiavo l’idea di fare ricerca” ricorda. Gli esami vengono comunque superati in corso, pur senza priscio. È grazie all’incontro con il docente di anatomia che inizia invece a provarlo: destino vuole che il professore sia anche il responsabile per l’Università del progetto Erasmus, che incoraggia gli studenti a fare esperienze all’estero. Antonio è appena al secondo anno quando decide di passare sei mesi a Maastricht, in Olanda, dove i corsi, focalizzati su immunologia e microbiologia, sono in inglese e l’approccio è innovativo. La richiesta di partire da un problema clini-
Aringhe con cipolle Dopo il ritorno a Bari deve sostenere alcuni esami fondamentali che non erano nel piano di studi spagnolo: “Mi mancava semeiotica medica, la disciplina che studia i sintomi e i segni clinici, e mi ritrovai nel reparto di clinica medica, da cui non sono mai più uscito. Fu un momento davvero importante per me”. La laurea in medicina arriva con il massimo dei voti nel 1997, e Antonio non ha ancora avuto il tempo per pensare al prossimo passo. Un ricercatore maturo però rinuncia a partire per un periodo di specializzazione all’estero presso un gruppo di ricerca con cui l’Università di Bari collabora. Il gruppo è a
Utrecht, in Olanda, e lui diventa il candidato naturale: “Mi chiesero: ‘Vuoi andare tu? È un progetto di sei mesi, poi vediamo’ e io accettai subito, seppure con un velo di tristezza. Ricordo ancora che partii per Amsterdam il giorno del mio compleanno, e all’arrivo il professore che era venuto a prendermi in aeroporto mi invitò a quello che chiamò il mio battesimo da olandese, per cui dovetti mangiare una tipica aringa con cipolla”. La prelibatezza nordica non incontra i gusti del neolaureato abituato a ben altra cucina, e rimane indigesta, ma è di buon auspicio: la permanenza si prolunga di oltre due anni, in cui si specializza nello studio dei grassi, della bile e delle malattie a essi correlati, iniziando a gettare le basi per le sue ricerche future.
In volo oltreoceano
Dopo la prima pubblicazione importante sul Journal of Lipid Research, arriva il dottorato di ricerca. “Tra gli esperti riuniti per discutere le tesi di dottorato mi trovai di fronte Martin Carey, gastroenterologo della Harvard Me- Antonio dical School, che mi propose Moschetta di andare a lavorare nel suo vive a laboratorio di Boston come Bitonto, in post-doc” rievoca Moschetprovincia ta. Per una volta, la risposta non è immediata: per quanto di Bari affascinante sia l’idea di trasferirsi nella prestigiosa Università del New England, vuole prima esplorare un’opzione per lui ancora più ghiotta, per il tipo di ricerche che ha in mente, sul rapporto tra nutrienti, ormoni e DNA: “Mandai una e-mail a David Mangelsdorf, che lavorava all’Università del Texas nel Dipartimento del farmacologo e biochimico vincitore di un premio Nobel Alfred Gilman, e che non conoscevo. Gli inviai i risultati della mia tesi, senza sapere bene che cosa aspettarmi” ricorda sorridendo. “Tempo 12 ore mi rispose GENNAIO 2021 | FONDAMENTALE | 5
VITA DA RICERCATORE Antonio Moschetta
Antonio Moschetta invitandomi ad andacol suo gruppo di ricerca re a Dallas per presentarli di persona.” La sul lungomare di Bari presentazione fa colpo, e all’alba del primo gennaio 2003 il ventinovenne bitontino festeggia l’anno nuovo prendendo un volo per Roma, e da lì per New York e poi per Dallas, dove acquisisce “non solo nuove tecniche, ma la libertà di osare nella scienza, esercitando la ricerca che si vuole fare e non solo quella che si può fare”. L’impegno si traduce nella pubblicazione di studi che hanno l’onore della copertina su riviste come Nature Medicine. Ma non solo. A Dallas Antonio trova anche nuovi esempi a cui ispirarsi, e a cui carpire insegnamenti che gli serviranno per il futuro ruolo da group leader.
Di nuovo a casa Alla prospettiva di ottenere un contratto permanente (la cosiddetta “tenure”) a Dallas preferisce l’offerta del Politecnico di Losanna. È in cerca di possibilità che gli garantiscano l’autonomia finanziaria quando fa domanda per lo Start-Up grant di AIRC, che ottiene a fine 2005. Può così aprire, in collaborazione con l’Università di Bari, il suo laboratorio all’Istituto Mario Negri Sud, a Santa Maria Imbaro in Frentania, dove in quegli anni lavoravano alcuni tra i migliori ricercatori d’Italia. “Il grant AIRC ha significato la possibilità di ac6 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2021
quistare i reagenti in prima persona. Firmare l’ordine con i tuoi fondi è un’esperienza forte. Al Negri Sud trascorrevo la settimana dormendo nella foresteria, e la sera si cucinava e si mangiava insieme. In quei momenti nascevano spesso discussioni appassionanti e stimolanti, anche per via delle competenze trasversali di ciascuno di noi.” Nei week-end torna a Bari, a due ore di macchina. Con grande priscio, il laboratorio guidato da Antonio pubblica nel campo del metabolismo dei tumori i risultati di nuovi studi che meritano le copertine di Cancer Research, Cell Metabolism, Gastroenterology, Gut ed Hepatology. È durante quel periodo di pendolarismo che nasce Raffaele, che oggi ha 14 anni e frequenta anche lui il liceo classico. Quando il Negri Sud ha difficoltà finanziarie e chiude, Moschetta fa domanda per il posto di direttore scientifico dell’Istituto oncologico di Bari, che dirige per un anno, perché, quando ottiene l’abilitazione a professore universitario e poi vince la cattedra all’Università, è costretto a scegliere. Il secondo figlio Adriano, che ora ha 8 anni, nasce dopo il ritorno a Bari. Ora il suo laboratorio ha compiuto 15 anni, e lui ha già visto passare quasi cento tra studenti di dottorato e
postdoc, grazie anche a finanziamenti di altre istituzioni, tra cui quello riservato dal Consiglio europeo per la ricerca ai giovani ricercatori che presentano una buona idea per uno studio. Nel 2019 ha avviato un nuovo progetto di ricerca grazie all’Investigator grant quinquennale di AIRC su metabolismo e tumore del fegato, visto e studiato da una prospettiva innovativa: l’intestino. Nel frattempo continua a insegnare medicina interna, la sua passione da sempre, e si muove da un piano all’altro per passare dal laboratorio all’ambulatorio al reparto, e dall’infinitamente piccolo alla visione d’insieme: “C’è chi al microscopio osserva subito al massimo ingrandimento, e chi invece parte dalla vista allargata. L’internista ama interpretare entrambe le visioni ma non è mai pienamente soddisfatto da nessuna delle due, e cerca sempre di essere vicino al paziente” spiega. “Il campo della relazione tra nutrizione, stili di vita e cancro è pieno di fake news, e di errori in buona fede. Per esempio con il primo grant AIRC ho studiato il recettore FXR che pensavamo fosse pro-tumorale, scoprendo che in realtà è anti-tumorale, cioè ha un effetto opposto a quello che immaginavo. L’errore è alla base della crescita, e io vivo con la cultura dell’errore.”
Dal laboratorio al reparto sempre a fianco dei pazienti
RICERCA AIRC Nuove terapie
La chemio va in panchina nella LAL dell’adulto In uno studio italiano, finanziato anche da AIRC, è stata valutata una nuova combinazione di farmaci mirati e immunoterapia per il trattamento “chemio-free”
’ E
a cura della REDAZIONE possibile trattare la leucemia acuta linfoblastica (LAL) senza ricorrere alla chemioterapia e quindi senza incorrere nei pesanti effetti collaterali di questo trattamento? Stando ai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine, la risposta è sì, almeno per i pazienti adulti affetti da uno specifico sottotipo di questo tumore del sangue, quello positivo per il cromosoma Philadelphia (Ph+). “I risultati della ricerca potrebbero cambiare profondamente la pratica clinica per quanto riguarda il trattamento del sottogruppo più frequente di LAL dell’adulto” afferma Robin Foà, professore di ematologia all’Università Sapienza di Roma, primo autore dell’articolo, ricordando che la LAL Ph+ è un
In questo articolo:
leucemia linfoblastica acuta immunoterapia ematologia
tumore più comune negli anziani, con un’incidenza che aumenta con l’avanzare dell’età e che fino a qualche anno fa aveva una prognosi decisamente infausta.
Parola d’ordine niente chemio
La novità della nuova terapia risiede nel fatto che si riesce a fare a meno dei farmaci chemioterapici. Più in dettaglio, i 63 pazienti adulti con LAL Ph+ coinvolti nella ricerca sono stati sottoposti a un trattamento in due fasi: nella prima (cosiddetta fase di induzione) sono stati somministrati l’inibitore tirosin-chinasico dasatinib e steroidi, nella seconda (cosiddetta di consolidamento) è stato somministrato l’anticorpo monoclonale blinatumomab. In altri termini una terapia mirata seguita da una immunoterapia. E i risultati parlano da soli: il 98 per cento dei pazienti ha raggiunto la remissione ematologica completa, ovvero non presentava più evidenza della malattia, e il 60 per cento ha mostrato quella che gli esperti chiamano risposta molecolare. Questa importante percentuale è salita all’81 per cento dopo ulteriori cicli di blinatumomab. Inoltre, dopo un anno e mezzo dall’inizio del trattamento, la sopravvivenza generale è risultata pari al 95 per cento e quella senza segni di malattia ha raggiunto l’88 per cento. Infine, ma non certo meno impor-
tante, la mortalità dopo il trapianto di cellule staminali, nei pazienti in cui è stato effettuato, è risultata molto bassa, probabilmente anche grazie al fatto che i pazienti non hanno dovuto fare i conti con gli effetti debilitanti della chemioterapia. “Questo studio arriva alla fine di un percorso lungo 15 anni nel quale abbiamo cercato di eliminare la chemioterapia dal trattamento di induzione della LAL Ph+ nell’adulto” spiega Robin Foà, ricordando che anche questo studio policentrico è stato condotto dal Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto (GIMEMA). E non finisce qui. Dallo studio sono emerse interessanti informazioni di tipo molecolare, che verranno approfondite grazie a nuove ricerche e a un nuovo protocollo clinico sempre promosso dal GIMEMA, che inizierà a breve.
Il 98 per cento non mostra più segni della malattia
“ U
Un trattamento a domicilio!
n punto di forza del nuovo trattamento per le LAL Ph+ è la possibilità di effettuarlo in gran parte a domicilio. Nella prima fase si assume il farmaco per via orale, mentre nella seconda il trattamento avviene per infusione attraverso una pompa, che si applica in ospedale e poi continua a funzionare quando
”
il paziente torna a casa. “Questo migliora notevolmente la qualità della vita dei pazienti e potrà nel tempo contribuire anche a contenere i costi per il sistema sanitario. Infine, in un’epoca di pandemia, questa strategia ha permesso ai pazienti di continuare senza interruzione il trattamento” spiega Foà.
OTTOBRE 2020 | FONDAMENTALE | 7
NOTIZIE FLASH
Dal Mondo Il cancro si trova con il respiro Un gruppo di ricerca australiano ha sviluppato un metodo per analizzare il respiro che potrebbe permettere di individuare precocemente un tumore testa-collo. Come descritto in uno studio pubblicato su British Journal of Cancer, i ricercatori hanno raccolto da persone con sospetto carcinoma a cellule squamose della testa e del collo un campione di fiato e l’hanno analizzato alla ricerca di particolari molecole volatili. La diagnosi di cancro è stata poi confermata con la biopsia. Grazie a un modello statistico, è stato creato un test in grado di distinguere i pazienti con il carcinoma a cellule squamose dagli individui sani. Saranno necessari ulteriori studi per capire come applicare alla pratica clinica il test del respiro, che ha comunque dimostrato di essere non invasivo e abbastanza accurato.
Il carboidrato nascosto nella carne È ormai risaputo che anche l’alimentazione influisce sulla salute: per esempio la carne rossa e la carne processata sono state spesso associate a un maggior rischio di sviluppare un cancro (soprattutto del colon-retto). È stato poi suggerito che ad aumentare tale rischio siano anche anticorpi sviluppati contro un particolare tipo di carboidrato (il Neu5Gc), abbondante nella carne rossa e nei latticini ma scarso nel pesce e assente nel pollame. Finora i due fattori non erano stati collegati, ma ora uno studio apparso su BMC Medicine, nel quale sono stati utilizzati i dati di un sondaggio condotto in Francia e analizzati i campioni di sangue di un gruppo di partecipanti, mostra un legame tra l’apporto del Neu5Gc proveniente dalla carne rossa e dai latticini e i livelli degli anticorpi anti-Neu5Gc. “Data l’associazione tra carne rossa e cancro, questi studi giustificano ulteriori indagini sul ruolo di Neu5Gc e degli anticorpi anti-Neu5Gc nel rischio di malattie umane, incluso il cancro” concludono gli autori.
Escludere il cancro restando a casa
I risultati di un ampio studio condotto in Inghilterra mostrano che un test immunochimico sulle feci per la ricerca del sangue occulto (faecal immunochemical tests o FIT) riesce a escludere la diagnosi di cancro al colon-retto in pazienti sintomatici con una precisione che, a seconda dei parametri applicati, può sfiorare il 100 per cento. Dallo studio, pubblicato su Gut, emerge inoltre che FIT può ridurre il numero di pazienti che si sottopone a colonscopia, finora considerato l’esame più attendibile per la diagnosi di questo cancro. FIT è un test semplice che si effettua in casa propria ed è già raccomandato dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) inglese per guidare le decisioni nel caso di pazienti con sintomi, ma a basso rischio. Ora, in base a questo studio, potrebbe essere utilizzato per selezionare i pazienti con sintomi a più alto rischio, cioè tali da fare sospettare un cancro del colon-retto e che quindi necessitano di una diagnosi urgente.
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Avere figli dopo un tumore ovarico Anche le donne operate per un cancro ovarico possono riuscire ad avere figli. In uno studio pubblicato su Fertility & Sterility, un gruppo svedese mostra che la fertilità naturale viene preservata nella maggior parte delle donne trattate con quella che viene definita fertility-sparing surgery, un tipo di chirurgia a volte scelta per le giovani e che permette di conservare l’utero e parte delle ovaie. Dall’analisi dei dati di donne tra i 18 e i 40 anni operate per tumori borderline dell’ovaio (ovvero per quelle forme che non sono ancora francamente maligne) è emerso che il 23 per cento di quelle sottoposte alla chirurgia conservativa ha avuto figli (sono nati 62 bambini da 50 donne). Solo una piccola parte delle donne ha fatto ricorso a tecniche di fecondazione assistita. La sopravvivenza media delle donne sottoposte a questa chirurgia meno invasiva è risultata simile a quella di un gruppo di donne a cui erano stati interamente rimossi utero e ovaie.
L’effetto dell’attivi- Radioterapia senza tà fisica sul sistema effetti collaterali immunitario Sebbene il motivo non sia ancora chiaro, è dimostrato che l’attività fisica riduce il rischio di sviluppare diverse tipologie di cancro e migliora gli esiti nei pazienti. Secondo un recente studio pubblicato su eLife, questo effetto benefico potrebbe dipendere dall’impatto positivo dell’attività fisica su alcune cellule del sistema immunitario, i linfociti T citotossici, che giocano un ruolo fondamentale nel controllo della crescita tumorale. Per comprendere l’associazione tra esercizio, crescita tumorale e funzione di queste cellule i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti su topi (un gruppo che poteva “esercitarsi” su una ruota e un gruppo che non poteva farlo) e poi su campioni di sangue di alcune persone prima e dopo l’attività fisica. In base ai risultati ottenuti, sembra che l’esercizio fisico possa modificare il metabolismo dei linfociti T citotossici, migliorandone la capacità di agire contro il tumore.
La radioterapia flash (FLASH-RT) è una tecnica che permette di erogare la stessa dose di radiazioni della radioterapia tradizionale in pochi decimi di secondo invece che in diversi minuti, e che potrebbe in futuro evitare ai pazienti gli effetti collaterali del trattamento. La comunità scientifica lavora attualmente sia per comprenderne meglio il meccanismo di azione sia per sviluppare nuovi macchinari che la rendano applicabile in ambito clinico. Un recente studio pubblicato su Clinical Cancer Research mostra che la FLASH-RT, eseguita dividendo la dose di radiazioni in più sessioni, ha ridotto nei topi la crescita del tumore al cervello al pari della radioterapia convenzionale, senza però causare il deficit cognitivo indotto dalle radiazioni. Bisognerà studiare meglio come funziona ma, secondo gli autori, “una cauta implementazione di questo nuovo promettente trattamento sembra sempre più plausibile man mano che la tecnologia necessaria diventerà disponibile”.
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OSPEDALI Dove mi curo?
Criteri di qualità per i centri oncologici Gli esperti europei hanno identificato i criteri standard che dovrebbero essere soddisfatti per garantire a tutti i pazienti oncologici le cure migliori e più efficaci
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a cura di CRISTINA FERRARIO econdo Avedis Donabedian, medico di origine libanese e padre degli studi sulla qualità nel campo della sanità, la qualità si migliora attraverso un sistema che si basa su tre elementi tra loro interconnessi: struttura (quello
che usi), processo (quello che fai) e risultato (quello che ottieni). E proprio sulla falsariga di quanto teorizzato nel secolo scorso da Donabedian, gli esperti dell’Organizzazione degli istituti oncologici europei (OECI, di cui 19 membri su 100 sono italiani) hanno lavorato per dare vita già nel 2008 al Programma di accreditamento e designazione, una sorta di “certificazione” che riconosce la qualità degli istituti per la cura del cancro. “L’idea è quella di sviluppare percorsi di certificazione basati su criteri scientifici che possono influenzare il risultato finale attraverso il miglior processo” spiega Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, oltre che vicepresidente e segretario esecutivo OECI.
(cancer center) o come centro oncologico onnicomprensivo (comprehensive cancer center)” afferma Apolone. “Sono quelli che in ultima analisi riteniamo possano portare a un miglioramento dei risultati nella cura del paziente” aggiunge. E questi 100 standard riguardano tutte le necessità che un paziente può avere nel corso del suo viaggio attraverso la malattia. Gli ambiti principali interessati dall’analisi sono la gestione del centro oncologico, l’organizzazione dei sistemi di qualità, il coinvolgimento del paziente, la multidisciplinarietà, la prevenzione e le diagnosi precoci, la qualità della diagnosi stessa, il trattamento e la cura, la ricerca e infine l’educazione e la formazione. “È da segnalare il fatto che nel programma OECI ricerca e clinica sono integrate, a differenza di altri programmi nei quali le due aree sono mantenute distinte” dice Apolone.
100 modi per classificare i migliori ospedali
Si punta al 100 Nella seconda revisione degli standard di qualità OECI, sono stati identificati 344 criteri che dovrebbero essere soddisfatti dalle strutture oncologiche, con particolare attenzione a 100 di questi, definiti “core standard”. “Sono i 100 criteri che un istituto deve assolutamente rispettare per poter essere accreditato da OECI come centro oncologico
Un’occasione per migliorare
Perché un centro possa essere accreditato, deve passare attraverso tre fasi. La prima prevede un’autovalutazione, nella quale l’istituto invia alla com-
In questo articolo:
missione OECI la propria opinione sul rispetto dei 344 standard di qualità. Segue poi una valutazione esterna da parte di esperti internazionali che esaminano la struttura con visite molto approfondite in presenza (e virtuali al tempo del Covid). Il terzo passo è un programma di miglioramento, nel quale si chiede al centro di migliorare alcuni aspetti per poter raggiungere le soglie richieste per l’accreditamento. “Sono stato coinvolto la prima volta in questo percorso quando ero direttore scientifico a Reggio Emilia, un istituto appena designato come IRCCS. Indipendentemente dal riconoscimento OECI, è stata un’occasione importante di miglioramento e uno stimolo per alzare gli standard di qualità e anche per scoprire nuove aree nelle quali intervenire” ricorda l’esperto, precisando che il processo per l’accreditamento deve essere ripetuto ogni cinque anni, per garantire il mantenimento della qualità.
Il paziente sempre al centro
L’obiettivo principale dell’attività di organizzazioni come questa è migliorare i risultati delle cure. Ed è quindi importante sottolineare che la possibilità per il paziente di essere curato al meglio non dipende solo dall’accesso alle
“
ospedali qualità accreditamenti
OBBLIGO DI QUALITÀ
S
”
econdo le normative vigenti, tutti gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) sono obbligati ad avere un accreditamento europeo e già nel 2013 il Ministero della salute ha stabilito che le strutture oncologiche italiane debbano ottenere l’accredi-
terapie ma anche da organizzazione, ricerca, prevenzione, accesso alle sperimentazioni e coinvolgimento diretto nei processi decisionali. “I criteri che gli istituti italiani fanno più fatica a soddisfare sono quelli legati al coinvolgimento – formale e sostanziale – dei pazienti nelle decisioni e nelle valutazioni” ricorda Apolone. “Attualmente in Italia i pazienti sono rappresentati dove previsto per legge, ovvero nel comitato etico delle strutture, ma non partecipano ai momenti di valutazione, discussione e decisione, anche nel campo della ricerca scientifica, contrariamente a quanto accade in altri Paesi” aggiunge. In questo senso, l’accreditamento diventa anche un modo per modificare il modo di ragionare e “portare a bordo” i pazienti.
tamento OECI. “Si possono richiedere anche altri accreditamenti, ma quello OECI è obbligatorio” precisa Apolone. A oggi, i 12 IRCCS italiani che fanno ricerca sul cancro hanno affrontato il processo di accreditamento: 10 lo hanno ottenuto, uno si sta ancora confrontando e uno è in realtà un network di IRCCS (e OECI non ha ancora dei criteri di valutazione per i network). A conferma della qualità dell’oncologia italiana.
Eccellenze in rete Accreditare come centri di eccellenza pochi grandi istituti non basta. Gli standard OECI sono stati pensati per essere applicati nell’intero continente europeo con lo scopo finale di garantire a tutti i cittadini le stesse possibilità di accedere a cure di qualità in ambito oncologico, nonostante le grandi differenze oggi ancora presenti tra le nazioni e all’interno dei singoli stati. “Il programma certifica gli istituti di riferimento, ma deve essere accompagnato da uno sforzo per far sì che questi istituti diventino lo scheletro di una struttura collegata anche a centri minori, ai quali possa essere trasferita la qualità” afferma Apolone. Si tratta quindi di creare un network, a livello sia europeo sia nazionale, in cui ci sia un trasferi- Un progetmento virtuoso non solo delle to europeo competenze ma anche della di certifiqualità. Un aiuto per raggiuncazione gere il traguardo dell’uguaper aiutare glianza potrebbe giungere da tre programmi europei (Ho- i malati rizon Europe, Europe Cancer Mission e Beating Cancer Plan) in fase di partenza, che metteranno a disposizione fondi per progetti che puntino a diminuire la mortalità dovuta al cancro e aumentare sopravvivenza e qualità di vita, anche attraverso un miglioramento della qualità delle cure e dei centri ospedalieri. GENNAIO 2021 | FONDAMENTALE | 11
STILI DI VITA Attività fisica
In questo articolo: attività fisica alimentazione fumo
Le nuove linee guida ACS, più sport e controllo del peso Mangiare in modo vario ed equilibrato, fare sport e seguire un corretto stile di vita, non fumando e non bevendo alcolici, si conferma la strategia vincente per prevenire il cancro
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a cura di Alessia Di Chiara alcol? Meglio evitarlo del tutto. Il movimento? Va bene iniziare con gradualità, ma si dovrebbe puntare a 300 minuti (5 ore) a settimana di attività fisica moderata, come per esempio una camminata veloce. È quanto spiegano gli esperti dell’American Cancer Society (ACS) che hanno recentemente aggiornato le loro linee guida su dieta e attività fisica nella prevenzione del cancro. Le indicazioni contenute nel nuovo testo sono state elaborate da un gruppo multidisciplinare di esperti in riPerdere cerca oncologica, prevenzioepidemiologia e salute peso è la ne, pubblica e si basano sui più prevendati della letteratura zione più recenti scientifica. Come già emerso efficace in precedenza, le raccomandazioni dell’ACS in molti casi sono sovrapponibili a quelle utili a prevenire altre malattie croniche e a mantenere uno stato di benessere generale, e sono infatti in linea con quelle della American Heart Association e della American Diabetes Association per la prevenzione delle patologie coronariche e del diabete. 12 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2021
Non si tratta certo di regole valide solo al di là dell’oceano: anche l’edizione più recente del report su dieta e attività fisica del World Cancer Research Fund e il Codice europeo contro il cancro ribadiscono questi concetti generali, seppur con qualche piccola differenza. Si stima che proprio adottando stili di vita sani ed equilibrati in Italia si eviterebbero circa 150.000 nuove diagnosi di cancro ogni anno. Un dato definito strabiliante da Jennifer Foglietta, della SC Oncologia medica e traslazionale Ospedale Santa Maria di Terni: “Nessun farmaco riesce a fare tanto. Quindi puntare alla prevenzione è fondamentale, soprattutto per le nuove generazioni” afferma l’oncologa, sottolineando come sia molto più facile seguire uno stile di vita sano se ci si è abituati a farlo fin da piccoli. Non è però mai troppo tardi per iniziare, “l’importante è poi mantenere le buone abitudini nel tempo” specifica Foglietta.
nel report sopracitato, è non fumare ed evitare qualsiasi forma di tabacco (il fumo è considerato un fattore di rischio per numerosi tipi di tumori, non solo per quelli del polmone, della gola e del colon). Ma non è l’unico. Anche evitare un’eccessiva esposizione al sole, usare protezioni solari, vaccinarsi contro alcuni virus (epatite B e Papillomavirus umano) e, per le donne, allattare al seno sono azioni che possono contribuire a prevenire malattie tumorali. Assieme ad attività fisica, astensione dal fumo e sana alimentazione, il quarto pilastro fondamentale della prevenzione del cancro secondo la ACS è il peso corporeo. Gli esperti raccomandano di mantenere un peso nella norma lungo tutto il corso della vita e ricordano che, per chi è in sovrappeso oppure obeso, anche una piccola riduzione dei chili di troppo può avere grandi effetti in termini di prevenzione e di miglioramento della salute. Calcolare il proprio indice di massa corporea (vedi riquadro in queste pagine) è un primo passo per capire se e quanto il proprio peso si discosti da quello ideale, ma le variabili in gioco sono davvero molte ed è quindi sempre una buona idea chiedere consiglio al proprio medico o a uno specialista.
150.000 diagnosi evitate in Italia
Non solo fumo Un modo per ridurre il rischio di cancro, come anche raccomandato
Attivi contro il cancro L’attività fisica svolge un ruolo di primo piano nella prevenzione e nel benessere generale. Le nuove linee guida ACS ribadiscono per gli adulti la necessità di svolgere esercizio fisico moderato per almeno 150 minuti a settimana (o 75 minuti di esercizio intenso), ma aggiungono che l’ideale sarebbe raddoppiare tali valori e raggiungere i 300 minuti a settimana di attività moderata o i 150 minuti di attività intensa. Per bambini e adolescenti l’asticella è fissata ad almeno 1
150’-> - 300’ 75’-> - 150’ Obiettivo minimo: attività fisica moderata per 150 minuti o intensa per 75 minuti ogni settimana Obiettivo ideale: attività fisica moderata per 300 minuti o intensa per 150 minuti ogni settimana
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La prevenzione nel piatto (e nel bicchiere)
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n’alimentazione equilibrata rappresenta senza dubbio uno strumento di prevenzione molto efficace. Ma cosa si intende per dieta sana? Nel documento ACS si sottolinea l’importanza di dare priorità agli alimenti di origine vegetale includendo cibi ricchi di vitamine, minerali e altri nutrienti, alimenti non troppo
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calorici per evitare pericolosi aumenti di peso, una grande varietà di frutta e verdura, cibi ricchi di fibre e cereali integrali. La versione aggiornata delle linee guida pone grande attenzione anche a cosa non includere nella dieta, o comunque includere in misura minima, con particolare riferimento alle carni rosse e lavorate,
alle bevande zuccherate e ai cibi lavorati. La salute alimentare passa però anche per il bicchiere, tanto che gli esperti nelle loro raccomandazioni dicono che sarebbe meglio eliminare del tutto l’alcol. E, se proprio non si vuole rinunciare, non si devono superare 1 drink al giorno per le donne e 2 per gli uomini, tenendo presente che un drink corrisponde a una lattina di birra da 33 cl, un bicchiere piccolo di vino o un bicchierino di superalcolico (40 ml circa).
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STILI DI VITA
ora di attività fisica moderata o intensa al giorno. “L’esercizio fisico ci sembrava un tema cui dedicare particolare attenzione, perché è emerso che spesso sono gli stessi medici che non ne parlano e non ne accentuano l’importanza” spiega Foglietta riferendosi alla giornata
che Fondazione AIOM, l’associazione che raggruppa gli oncologi medici italiani, ha promosso a fine ottobre. L’attività fisica non solo evita l’aumento di peso e ne favorisce la perdita, ma ha altri effetti benefici che possono abbassare il rischio di sviluppare un cancro, in particolare quello del colon e della mammella. Per esempio, riduce la produzione di alcuni ormoni, fra cui gli estrogeni, influendo sui tumori che sono ormono-dipendenti, come quello dell’endometrio nelle donne e della prostata negli uomini. Inoltre la prevenzione non funziona a compartimenti stagni. “L’attività fisica può stimolare il sistema immunitario, utile non solo a prevenire le neoplasie ma anche a difenderci da altre patologie, e riduce l’insulino-resistenza, un meccanismo chiave del diabete” continua Foglietta. Per l’esperta è difficile stabilire una soglia con la quale si ottiene la massima protezione contro i tumori. “Direi che quei 150 minuti di esercizio fisico moderato devono essere la base di partenza, perché al di sotto l’attività fisica praticata non è sufficiente per essere considerata protettiva. L’ideale sarebbe aumentare anche l’intensità per chi non ha controindicazioni, alternando l’attività aerobica con un po’ di attività anaerobica che serve a potenziare i muscoli.” Anche le persone oltre i 65 anni possono praticare attività fisica, adeguata ovviamente al proprio stato di salute. Un esercizio moderato e controllato può aiutare a sentirsi meglio, a superare la stanchezza e a ridurre gli effetti collaterali dei trattamenti oncologici. Inoltre, nei pazienti l’esercizio regolare unito al controllo del peso e a un’alimentazione corretta può ridurre il rischio di recidive. Date le molte variabili in gioco, i pazienti oncologici dovrebbero però sempre consultare il proprio medico prima di intraprendere un’attività motoria.
La salute non funziona a compartimenti stagni
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Il peso …pesa n modo semplice per sapere se il proprio peso è adeguato all’altezza consiste nel calcolare l’indice di massa corporea (il rapporto fra peso corporeo in chilogrammi e altezza in metri elevata al quadrato: Kg/m2), una misura standard attraverso la quale si riesce a stabilire se si è sotto-
peso, nella norma, in sovrappeso oppure obesi e in che grado. Un altro tipo di misura da tenere in considerazione è rappresentata dalla circonferenza addominale. È stato infatti dimostrato che il grasso corporeo in eccesso, soprattutto se distribuito sull’addome, contribuisce al rischio di cancro. Tra i tumori che possono essere causati da un eccesso di grasso vi sono quello della mammella, dell’endometrio, del rene, del pancreas, della tiroide e del colon.
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STORIA DELLA MEDICINA La mammografia
Storia del test diagnostico che ha cambiato la vita delle donne La mammografia è una tecnica risultato dell’ingegno e del lavoro di molti scienziati. Oltre un secolo di ricerca, dai primi esperimenti con i raggi X ai grandi studi di popolazione che ne hanno valutato l’utilità, ha portato ai successi di oggi e a un alto numero di vite salvate
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a cura di ELENA RIBOLDI econdo uno studio dell’Università del Colorado, negli ultimi trent’anni più di mezzo milione di donne americane sono state risparmiate dalla morte per tumore al seno grazie alla mammografia e ai miglioramenti nelle terapie. E, per quanto riguarda la prevenzione, il Ministero della salute italiano ha calcolato che, per ogni 1.000 donne di età tra i 50 e i 69 anni sottoposte regolarmente ai programmi di screening e seguite fino a 79 anni, lo screening permette di salvare tra 7 e 9 vite. L’introduzione della mammografia ha quindi rappresentato uno spartiacque nella gestione di questa malattia, basti pensare al fatto che la diagnosi precoce consente di effettuare interventi chirurgici meno drastici e invalidanti rispetto alla mastectomia totale. Pochi però conoscono la storia di questo esa-
me concettualmente semplice ma tecnicamente complesso da interpretare e che ha cambiato il destino di molte donne.
Il pioniere Subito dopo la scoperta dei raggi X, che nel 1901 fruttò al fisico tedesco Wilhelm Röntgen il premio Nobel per la fisica, la comunità medica si rese conto che il modo di esaminare il corpo umano non sarebbe più stato lo stesso. Uno degli esperimenti originali di Röntgen era consistito proprio in quella che rimane la prima radiografia della storia: aveva chiesto alla moglie di poggiare la mano su una lastra fotografica contro cui aveva indirizzato un fascio di raggi X. Una volta sviluppata, la lastra mostrava nitidamente le ossa della mano, ingentilite da un anello. Il primo a utilizzare i raggi X per
STORIA DELLA MEDICINA La mammografia
osservare la mammella fu Albert Salomon, un chirurgo tedesco. Nel 1913 pubblicò una monografia in cui dimostrava che utilizzando le immagini radiografiche si poteva sia distinguere lesioni benigne e lesioni maligne del tessuto mammario, sia capire se il tumore si era diffuso ai linfonodi ascellari. Salomon, che non impiegò i raggi X direttamente sulle pazienti ma analizzò oltre 3.000 campioni di tessuto ottenuti dalle mastectomie, è considerato il pioniere dell’esame mammografico.
Gli esordi Le prime mammografie su pazienti (il termine fu coniato dal chirurgo americano Nymphus F. Hicken in un articolo del 1937) furono realizzate negli anni ‘30 del secolo scorso. Anche se alcuni medici erano fortemente convinti delle potenzialità di questo test radiologico, i limiti tecnici erano ancora troppo evidenti perché venisse impiegato nella pratica clinica: non esisteva una strumentazioUna ela- ne dedicata e la qualità delle lasciava a desideraborazione immagini re, non permettendo di distingrafica i dettagli. di mammo- guere Un importante contribugrafia con to in questo senso va ricononodulo sciuto al radiologo uruguaiano Raul Leborgne che, nel 1949, sviluppò la tecnica di compressione del seno, che prevede appunto di comprimere la mammella in modo da ridurre lo spessore del tessuto che deve essere attraversato dai raggi X. Questa soluzione, che ad alcune donne provoca un certo fastidio, da una parte consente di ottenere immagini più nitide, dall’altra permette di utilizzare dosi di radiazioni più basse. Grazie alla compressione mammaria, Leborgne fu in grado di notare che la presenza di microcalcificazioni (piccoli accumuli di calcio) poteva suggerire la presenza di un tumore. 16 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2021
L’evoluzione della tecnica
Lo screening mammografico
Nel 1960, Robert L. Egan, un radiologo dell’M.D. Anderson Cancer Center di Houston, sviluppò un protocollo per la mammografia facilmente riproducibile, basato sull’uso di raggi X a bassa intensità, di pellicole fotografiche molto sensibili e di sagome di cartone per il posizionamento della paziente. Due anni dopo, Egan dimostrò che, su un campione di oltre 1.500 donne che si erano rivolte al suo centro per disturbi al seno, la mammografia aveva consentito di identificare una percentuale di casi (circa il 4 per cento) che sarebbero sfuggiti alla procedura diagnostica tradizionale. Negli stessi anni, Jacob Gershon-Cohen, un radiologo di Philadelphia, condusse degli studi sull’uso della mammografia in donne che non presentavano segni di malattia e concluse che in questo modo si poteva rilevare anche la presenza di tumori in stadio iniziale. Nel 1966, Charles Gross, capo della radiologia di un centro tumori affiliato all’Università di Strasburgo, creò la prima Breast Unit interamente dedicata alla diagnosi e, assieme alla Compagnie générale de radiologie, azienda produttrice di strumentazione a raggi X, ideò e sviluppò il primo strumento specifico per l’esecuzione della mammografia (Senographe). Tutto era ormai pronto per la diffusione del test su larga scala. Da allora sono stati fatti grandi progressi tecnologici. Oggi si utilizza infatti la mammografia digitale, sviluppata alla fine degli anni ‘90, in cui la pellicola è sostituita da un sistema di rilevazione digitale che permette di lavorare sul contrasto di immagine: vengono così prodotti mammogrammi più facili da interpretare. Più recentemente è stata introdotta anche la mammografia digitale con tomosintesi, che genera un’immagine 3D della mammella.
Il lavoro di Egan attirò l’attenzione delle agenzie governative americane che si occupavano di cancro e prevenzione. Dopo aver verificato che radiologi inviati a Houston per il training erano in grado di effettuare mammografie con una capacità diagnostica paragonabile a quella del gruppo che aveva sviluppato il protocollo, il National Cancer Institute (NCI) considerò fattibile l’utilizzo di questo esame per lo screening del tumore del seno. Fu avviato un imponente studio, gestito dall’assicurazione Health Insurance Plan of New York (HIP) e finanziato dal NCI, rivolto a donne tra i 40 e i 64 anni che non presentavano segni di malattia. Tra il 1963 e il 1968 parteciparono allo studio circa 20.000 donne, assegnate in modo casuale al gruppo controllo o a quello sottoposto a screening (visita medica e mammografia annuale per quattro anni). Nel 1971 furono presentati i primi risultati: nel gruppo sottoposto a screening si erano verificati meno decessi per tumore del seno. Sulla base di questo studio, il NCI e l’American Cancer Society lanciarono un programma di screening senologico cui in soli due anni parteciparono oltre 280.000 donne. Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 sono stati condotti altri otto studi clinici randomizzati sullo screening mammografico. In totale i nove studi hanno coinvolto oltre 600.000 donne tra Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Svezia. Le stime sulla riduzione della mortalità variano da studio a studio, probabilmente a causa di differenze metodologiche, ma tutti gli studi hanno validato l’utilità dello screening. Nel 2014, un secolo dopo l’inizio degli studi sulla mammografia, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha concluso che lo screening mammografico ha un impatto favorevole sulla mortalità delle donne dai 50 ai 74 anni.
Negli anni ‘70 la prima prova dell’utilità dello screening
In questo articolo: mammografia tumore al seno raggi X
una effettiva diminuzione della mortalità, tale da giustificare il rischio di sovradiagnosi, cioè di diagnosticare una malattia che pur se presente ha grande probabilità di non provocare in futuro né disturbi né il decesso, mentre il suo trattamento può temporaneamente peggiorare la qualità di vita del soggetto. Per queste ragioni la ricerca sulla mammografia non si ferma. Gli studi indicano che l’effetto sulla mortalità no screening comporta sempre dipende dall’età, e di conseguenza qualche rischio di errore, come l’esame è raccomandato e offerto gratuitamente in Italia a tutte le tutti i test diagnostici. In una piccola percentuale di casi il risultato donne tra i 50 e i 69 anni ogni due anni (se non sono nelle classi a è un “falso positivo”: l’esame dice rischio, nel qual caso l’esame viene che c’è un tumore ma in realtà non fortemente raccomandato anche in è così. Ciò richiede l’esecuzione di esami di verifica ed è causa di stress età giovanile). Prima e dopo questa per la paziente. In altri casi, anche se fascia d’età il rapporto tra vantaggi e svantaggi è meno favorevole, o il tumore c’è, si tratta di una forma perché l’efficacia è minore o perché non aggressiva, che avrebbe potuto l’aspettativa di vita è più limitanon rappresentare mai un pericolo per la vita. Inoltre, l’esposizione alle ta. Alcune Regioni, su indicazione radiazioni ionizzanti comporta un del Ministero della salute, stanno minimo rischio che siano le radiacomunque estendendo lo screening alle donne tra i 45 e 49 anni con inzioni stesse a causare un tumore. È tervallo annuale e alle donne tra i 70 compito degli esperti identificare le categorie di persone in cui si registra e 74 anni con intervallo biennale.
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A chi è rivolto lo screening
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Sotto i 50 anni lo screening mammografico non è correntemente raccomandato perché, a causa della maggiore densità del seno, l’esame è meno sensibile e l’incidenza del tumore è bassa (tranne che nei casi di predisposizione genetica o familiarità). Tuttavia, recentemente sono stati pubblicati i risultati di una ricerca a favore dell’anticipazione dello screening. Lo studio UK Age Trial ha arruolato più di 160.000 donne, un terzo delle quali è stato invitato a sottoporsi a screening già a partire dai 40 anni. I ricercatori hanno concluso che, nei primi dieci anni di osservazione, la mortalità per tumore del seno era significativamente più bassa nel gruppo di partecipanti che aveva anticipato l’inizio dello screening. Dallo studio non è emerso un problema di sovradiagnosi, perciò è possibile che le linee guida in futuro abbassino l’età a partire dalla quale iniziare a sottoporsi a mammografia.
RICERCA Borse per i giovani
Intitolate o anonime, garantiscono il futuro Tre storie di borsisti AIRC che hanno potuto proseguire le proprie ricerche grazie a donazioni in memoria
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a cura della REDAZIONE ono 186, di cui 17 all’estero, i giovani che nel 2020 hanno proseguito nella loro carriera di ricercatori grazie alle borse che AIRC e FIRC mettono a bando ogni anno. Distinte in borse per l’Italia e borse che permettono di trascorrere un periodo più o meno lungo all’estero, da qualche anno possono anche essere intitolate alla memoria di persone care. Come quelle assegnate ai tre ricercatori di cui Fondamentale racconta la storia in queste pagine.
Una passione molecolare
Ha amato la biologia molecolare fin dal primo esame che ha dato: Maria Valeria Giuli ha conseguito la laurea triennale, la specialistica in biologia e il dottorato all’Università Sapienza di Roma. Ora che è titolare della borsa biennale di post-dottorato “Matilde Cecchi” può esprimere tutta la soddisfazione per i traguardi raggiunti. “Sono cresciuta in questo laboratorio nel Dipartimento di medicina molecolare, sotto la guida di Isabella Screpanti. E ho avuto la fortuna di poter studiare quel che desideravo. Fin da quando mi sono iscritta a biologia, infatti, sapevo di voler fare ricerca in oncologia.” I dati che le hanno permesso di essere selezionata per la borsa AIRC li 18 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2021
Maria Valeria Giuli
Giorgio Amendola ha raccolti con una tecnica imparata a Copenhagen, dove ha trascorso quattro mesi grazie a un’altra borsa. “Studio il gene Notch3, importante in molti tumori perché li rende più aggressivi. Se riuscissimo a inibirlo, potremmo guarire molte più persone.” Esistono già farmaci sperimentali, gli inibitori della gamma secretasi, che hanno però il difetto di bloccare non solo Notch3 ma anche altri recettori della stessa famiglia, inducendo numerosi effetti collaterali. “C’è una proteina, Pin1, che regola Notch3. Abbiamo già dimostrato nella leucemia che Pin1 stabilizza Notch3. Ora sto provando a ottenere lo stesso risultato nel cancro dell’ovaio, dove Notch3 sembra avere un ruolo fondamentale. In questo contesto vorrei proporre l’uso di un nuovo inibitore di Pin1, l’acido retinoico, per regolare negativamente Notch3.” Maria Valeria Giuli ha incontrato chi ha donato i fondi per la sua borsa. “È stato un momento difficile e commovente, perché la mia borsa è intitolata in memoria di una ragazza che è mancata. Ero molto tesa quando ho incontrato i suoi genitori, che hanno voluto ricordarla così. Ma è stato bellissimo vedere nei loro occhi la gioia di conoscermi. Ho potuto dire loro che grande opportunità mi hanno offerto: restare dove già stavo lavorando e dove potevo ottenere i risultati migliori. Io credo profondamente nella ricerca e sapere che qualcuno ha voluto investire in me per ricordare una persona amata è uno sprone in più a fare sempre meglio.”
Farmaci con la chimica computazionale
Niente provette o reagenti, ma computer e algoritmi di intelligenza artificiale. Sono questi gli strumenti di cui si serve Giorgio Amendola, chimico farmaceutico computazionale di formazione, oggi in forza all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli di Caserta. “Grazie alla borsa di studio AIRC ‘Clementina Colombatti’ ho la possibilità di dedicarmi per due anni a un progetto di biologia svolgendo attività che di solito non associamo a quelle di un classico laboratorio di ricerca oncologica” spiega il giovane ricercatore, che lavora sul tumore del polmone non a piccole cellule resistente ai classici trattamenti. “Lo scopo del progetto è identificare composti che possano diventare farmaci per il trattamento di questi tumori, partendo da un approccio informatico” dice, spiegando che attraverso l’analisi di specifiche banche dati punta ad analizzare milioni di composti. “Ricerchiamo quelli che – in base alla loro struttura e alle loro caratteristiche chimiche – possano contemporaneamente interagire con due bersagli sulle cellule del tumore: MET e SMO. Sappiamo che, bloccandoli nello stesso momento, il tumore regredisce” precisa. Per far questo, il ricercatore sta anche sviluppando un algoritmo di intelligenza artificiale che poi dovrà essere “istruito” per riuscire a identificare le molecole candidate con maggiore precisione.
In questo articolo:
borse di ricerca formazione donazioni in memoria
Prendere le misure Cosa ci fa un ingegnere in un laboratorio di ricerca sul cancro? Nel caso di Fabrizio Andrea Pennacchio, destinatario della borsa triennale AIRC “Luca Hartmann”, la risposta è: cerca di misurare i volumi del nucleo e del citoplasma (la parte della cellula compresa tra la membrana della cellula e quella del nucleo). Presso l’IFOM di Milano, il ricercatore lavora per capire come varia il rapporto tra i volumi di nucleo e citoplasma, sia nel corso delle diverse fasi del ciclo cellulare, sia quando si passa dalle cellule normali a quelle tumorali. “Lo scopo del mio progetto è sviluppare una tecnica per effettuare questo tipo di misurazioni e provare a comprendere meglio i meccanismi di regolazione della crescita tumorale” spiega Pennacchio, ricordando che oggi c’è un filone di ricerca volto a comprendere se e come le cellule possano riconoscere e regolare le proprie dimensioni. Uno degli approcci più antichi per identificare le cellule tumorali si basa sul fatto che queste spesso hanno nuclei di forme o dimensioni strane. “Quindi nel cancro ci sono deregolazioni di questi rapporti volumetrici” dice Pennacchio “e trovare una tecnica per misurarli è un campo di ricerca del tutto nuovo. Nella prima parte del progetto siamo riusciti a mettere a punto una tecnica di microscopia, partendo da una concepita per misurare volumi di corpi microscopici, che consente di valutare simultaneamente il volume del nucleo e del citoplasma durante la vita della cellula. La forza di questo progetto è anche la sua multidisciplinarietà e grazie ad AIRC possiamo permetterci di lavorare con tranquillità e qualità” conclude.
Fabrizio Andrea Pennacchio
TESTIMONIANZA Grandi donatori
Donare dà molte più soddisfazioni che ricevere Livio, preside illuminato, scoprì la sua “vocazione femminista” al Collegio Ghislieri di Pavia, e ora si augura di aiutare le Levi-Montalcini del futuro
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a cura di FABIO TURONE hi conosce oggi Livio fatica a credere che sia stato un “preside di ferro”, anche se dietro la garbata gentilezza si percepisce un uomo dalle forti convinzioni, abituato a insegnare cercando di rifuggire il paternalismo: “I giovani si accorgono di tutto, e io in tanti anni di insegnamento ho incontrato ragazzi poco interessati ad ascoltare, ma non ne ho mai trovati di sordi in assoluto” racconta ricordando il periodo in cui
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è stato preside di vari licei, e ha condiviso con la moglie Elena, conosciuta nel 1959, la passione per l’insegnamento. “Anche lei era innamorata della scuola, e anche lei era considerata severa, ma era popolare tra gli studenti: ci chiamavano il Ghiro e la Ghira, per via del cognome.” Proprio in memoria della Ghira, compagna di una vita con cui ha condiviso anche 21 anni di lotta durissima contro un tumore al seno, nel 2018 ha deciso di istituire una borsa di studio AIRC, con cui aiutare una gio-
Una borsa di studio in memoria di sua moglie
Vuoi fare una grande donazione? Contattaci!
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e desideri legare il tuo nome, o il nome di una persona cara, alla lotta in prima linea contro il cancro, puoi scegliere anche tu, come Livio, di istituire una borsa di studio biennale o triennale intitolata. Con una donazione straordinaria di 25.000 euro annui, contribuirai con-
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cretamente al sostegno della ricerca oncologica tramite la formazione di un giovane e brillante ricercatore. Per ogni domanda specifica e per individuare la formula di donazione più giusta per te è a disposizione il personale dell’ufficio Grandi donatori, diretto da Chiara Blasi.
tel. 2002| FONDAMENTALE 779 72 87 -| chiara.blasi@airc.it GENNAIO 2021
vane ricercatrice a trovare la sua strada, in un mondo tradizionalmente fatto su misura per i maschi. “Mi piace pensare che magari ci sarà qualche Montalcini in più” dice. Un’inclinazione nata nel 1966, quando, insieme all’associazione degli alumni del Collegio Ghislieri di Pavia, si batteva “perché questo antico collegio, che dal 1567 era stato riservato ai maschi, aprisse anche alle donne. Grazie a quella battaglia il Collegio Ghislieri è stato il primo con una sezione femminile” racconta con orgoglio. “È probabile sia nata allora la mia ‘vocazione femminista’, per dir così, poi consolidatasi sul lavoro. Ho sempre lavorato bene con le colleghe, con cui veniva più facile trovare una soluzione concordata.” Oggi è in pensione da anni, ma continua a condividere le cose che ama: ha scritto una raccolta di poesie e il libretto di un’opera, e da tempo cura una rubrica settimanale per la radio missione francescana in cui presenta profili di filosofi. Con Varvara Petrova, la ricercatrice che ha ricevuto la borsa intitolata alla “Ghira”, a ottobre 2019 ha passato una giornata in laboratorio a Verona, e da allora sono rimasti in contatto: “È russa, ma comunichiamo facilmente perché ha imparato molto in fretta l’italiano” spiega. Decidere di fare una grande donazione è stato un gesto naturale, ma Livio preferisce chiamarla “restituzione”, citando don Gnocchi secondo cui “dare dà molte più soddisfazioni che ricevere”. Una soddisfazione che fa sì che stia ora pensando a nuovi modi per aiutare promettenti leve della ricerca. Livio con la ricercatrice Varvara Petrova
TERAPIE Farmaci agnostici
I farmaci agnostici, terapie in cui credere Sono arrivati sul mercato i primi farmaci approvati per l’uso quando è presente una specifica mutazione nel tumore, a prescindere dal tipo istologico di cancro. Un nuovo modo di guardare alla terapia oncologica, che non si basa più sull’organo interessato, ma sulle caratteristiche molecolari della malattia
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a cura della REDAZIONE a parola agnostico compare sempre più spesso nelle riviste scientifiche che si occupano di cancro. Se la cerchiamo sul vocabolario troviamo questa definizione: “che non prende posizione”. Tradizionalmente è usata per indicare l’atteggiamento di chi rifiuta di esprimere un giudizio di fronte a una determinata questione, specialmente di carattere religioso, politico e sociale. Suona decisamente strano che un termine filosofico venga associato a qualcosa di molto concreto come un farmaco. Eppure i farmaci agnostici sono la nuova frontiera nel campo della medicina di precisione.
Dove si trova o come è mutato? Un libro di oncologia è abitualmente diviso in capitoli: uno per il tumore del polmone, un altro per quello della mammella, un altro ancora per quello della prostata e così via. Un centro oncologico è organizzato in unità o strutture dedicate ai tumori che colpiscono una certa sede anatomica. Se ci dicono che un conoscente ha un tumore, chiediamo “dove”. La localizzazione è considerato l’elemento più caratterizzante di una neoplasia. Anche la classificazione dei tumori si è sempre basata sull’esame istologico, l’analisi al microscopio di un campione di tessuto. Le conoscenze accumulate in questi an-
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TERAPIE Farmaci agnostici
ni hanno però reso evidente quanto sia importante la caratterizzazione molecolare dei tumori. Neoplasie che al microscopio sembrano identiche possono avere una storia molto diversa perché le mutazioni nel DNA, che ne influenzano la crescita e la risposta alle terapie, sono diverse. Viceversa, tumori sviluppatisi in due organi distinti possono presentare delle affinità perché accomunati da una certa caratteristica molecolare, e i ricercatori hanno per questo iniziato a pensare che potessero essere curati usando lo stesso farmaco mirato contro “quella” caratteristica molecolare. È nato così il concetto di farmaco agnostico. “Il modello istologico, finora, ha governato la ricerca clinica in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica” spiega Giordano Beretta, responsabile dell’Oncologia medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo e presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) che, al congresso AIOM, ha recentemente dedicato un’intera sessione al tema. “Nel modello istologico, il punto di partenza è rappresentato dalla localizzazione del tumore, a cui seguono l’esame istologico, la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica. La recente approvazione di molecole con indicazione agnostica sta portando all’affermazione di un nuovo modello, quello mutazionale, cioè basato sulla mutazione genetica di cui il tumore è portato-
re. Si tratta di una vera e propria rivoluzione scientifica e culturale, destinata a condurci lontano da un’oncologia costruita intorno ai capisaldi degli organi colpiti o dell’istologia. Il punto chiave del nuovo processo è rappresentato dal profilo genomico, cioè dall’individuazione delle mutazioni che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie, per questa ragione definite ‘driver’, cioè guida. Da qui deriva la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica, indipendentemente dalla sede del tumore.”
Pochi pazienti ma prospettive di grande efficacia
I farmaci già approvati La prima approvazione di un farmaco con indicazione agnostica, cioè indipendente dalla sede del tumore e dall’istologia, è avvenuta nel 2017. L’agenzia regolatoria del farmaco degli Stati Uniti (Food and Drug Administration, FDA) ha approvato l’uso di pembrolizumab, un farmaco immunoterapico della famiglia degli inibitori dei checkpoint immunologici, nei pazienti con tumori avanzati caratterizzati da un’elevata instabilità microsatellitare. I microsatelliti sono brevissime sequenze del DNA ripetute svariate volte, normalmente presenti nel genoma umano. A seguito di mutazioni nei geni responsabili dei meccanismi di riparazione del DNA (MisMatch Repair, MMR), il numero di ripetizioni dei microsatelliti può variare rendendo il DNA instabile. Cinque diversi studi hanno dimostrato che pazienti con tu-
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mori di varia istologia (tra gli altri del colon-retto, dello stomaco, della vescica, dell’endometrio) con alta instabilità microsatellitare hanno una buona risposta a pembrolizumab. Il farmaco non agisce sull’instabilità genetica: piuttosto è l’instabilità genetica a rendere il tumore immunogenico, cioè più facilmente riconoscibile dal sistema immunitario la cui attività è potenziata dal pembrolizumab. Gli altri due farmaci che hanno già ricevuto un’approvazione con indicazione agnostica sono larotrectinib ed entrectinib, due farmaci a bersaglio molecolare che possono essere usati per il trattamento di tumori solidi avanzati che presentano una fusione del gene NTRK. “Una fusione genica consiste nella formazione di un gene ibrido fatto da porzioni di geni distinti. Quando il gene
NTRK si fonde con un altro gene, si genera una proteina alterata che promuove la crescita tumorale” spiega Beretta. Larotrectinib ed entrectinib bloccano l’attività di questa proteina anomala. Sono in corso numerose ricerche per identificare altri biomarcatori agnostici, come per esempio le fusioni del gene RET. I candidati alla terapia agnostica Il presupposto fondamentale per l’utilizzo di un farmaco agnostico è sapere che il tumore di un paziente presenta un determinato biomarcatore. A questo scopo si impiegano varie tecniche di biologia molecolare, tra cui una sofisticata tecnica di sequenziamento del DNA chiamata Next Generation Sequencing (NGS) che permette la profilazione genomica del tumore. Da un’indagine dell’AIOM è emerso che
TEST DIAGNOSTICI
Il Molecular Tumor Board
I
n questi anni si sono diffusi i tumor board, team di specialisti che, attraverso una visione d’insieme dei pazienti oncologici e dunque grazie all’interdisciplinarità dell’approccio clinico, stabilisce i percorsi di cura più appropriati. Uno strumento prezioso, ancora troppo poco presente in Italia. Ora stanno cominciando ad apparire sulla scena i molecular tumor board (MTB), gruppi interdisciplinari che integrano competenze in oncologia, anatomia patologica, genetica e bioinformatica. In un’epoca di medicina di precisione, il gioco di squadra è indispensabile. Infatti, per quanto complessa, la generazione di dati biomolecolari è solo il punto di partenza per la personalizzazione delle cure: bisogna poi interpretare correttamente tutte le informazioni disponibili. Sappiamo infatti che la stessa mutazione può avere una rilevanza diversa in tumori differenti: è possibile che siano presenti più mutazioni e non necessariamente la mutazione che funge da driver in una patologia lo è anche in un’altra. Per esempio,
In questo articolo:
farmaci agnostici cure innovative molecular tumor board
la maggior parte degli oncologi in Italia ha già a disposizione un laboratorio di biologia molecolare o un’anatomia patologica in grado di eseguire test molecolari e che più del 60 per cento degli oncologi italiani ha già usato questi test nella pratica clinica. I farmaci agnostici possono essere utilizzati per curare tumori sia dell’adulto sia infantili. Le neoplasie in cui è più frequente l’instabilità microsatellitare sono quelle dell’endometrio, del colonretto e dello stomaco dell’adulto. Le fusioni di NTRK interessano circa l’1 per cento di tutti i tumori, ma è interessante notare che sono piuttosto frequenti in alcune neoplasie molto rare, come il carcinoma secretorio della mammella o il fibrosarcoma infantile, mentre sono raramente presenti in quelle più comuni.
“Quando ragioniamo in termini di farmaci agnostici, cioè legati alla presenza di una particolare caratteristica molecolare, stiamo parlando di piccole popolazioni di pazienti” spiega Beretta. “Nell’ambito di tanti tumori a
le mutazioni BRAF(V600) sono presenti in circa l’8 per cento dei tumori umani, tra cui melanoma e cancro del colon-retto. L’inibitore di BRAF verumafenib si è rivelato efficace nel melanoma, ma non nel cancro del colon-retto. Uno studio in cui questo inibitore fosse stato testato come farmaco agnostico avrebbe quasi sicuramente dato risultato negativo se la maggior parte dei pazienti coinvolti avesse avuto un tumore intestinale. Ovviamente però la sede e l’istologia non possono essere ignorate, così come non va dimenticato il fatto che la crescita del tumore può essere sostenuta da più vie biologiche. Spetta al molecular tumor board valutare se in un certo paziente sia indicato l’impiego di un farmaco in modo agnostico e se è necessario usare combinazioni di farmaci. Per ora solo il 13 per cento delle oncologie possiede un MTB che supporti il clinico nell’interpretazione dei test molecolari e nella scelta della terapia migliore. Uno studio i cui risultati sono stati pubblicati recentemente sulla rivista Nature Communication ha mostrato che ricevere terapie su indicazione di un MTB migliora la corrispondenza tra trattamento e alterazioni genomiche e si associa a una sopravvivenza più lunga dei pazienti così trattati.
differente origine, a differente istologia, una quota a volte addirittura inferiore all’1 per cento può presentare quella specifica mutazione che è di fatto suscettibile al trattamento con il farmaco.” Detto così può sembrare un
numero irrisorio, ma una percentuale anche piccola di un tumore molto diffuso, come per esempio l’adenocarcinoma polmonare, significa qualche centinaio di pazienti all’anno che non avrebbero altre cure efficaci a disposizione.
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IFOM – ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Ecosistemi tumorali
Cartografi molecolari per mappare l’ecosistema tumorale La ricerca di nuove strade da percorrere contro il cancro parte dall’ambiente che circonda il tumore e passa da tecnologie sofisticate, sistemi di modellistica innovativi e un approccio multidisciplinare
iFom, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientifica d’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici, è sostenuto dalla FIRC.
mulTidisCiPlinarieTÀ
l’unione FA lA ForzA
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a ricerca sul cancro è cambiata negli anni e, dove un tempo bastava il biologo, oggi servono anche altre figure professionali che con lui dialoghino continuamente per comprendere più in profondità i risultati degli esperimenti e per sfruttare al meglio le enormi potenzialità delle nuove tecnologie. “Il mio gruppo è composto per il 50 per cento
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da bioinformatici e ingegneri e per l’altro 50 da ricercatori più ‘tradizionali’ – biologi, biotecnologi eccetera – che seguono la parte cosiddetta di ‘wet lab’, ovvero lavorano al bancone” spiega Pagani, convinto che la multidisciplinarietà sia uno dei requisiti fondamentali per aver successo nella ricerca moderna. “Nel mio laboratorio le scrivanie dei bioinformatici sono posizionate tra i banconi, in modo da essere in contatto continuo con tutti i colleghi. Si dialoga e ci si scambiano conoscenze ed esperienze” aggiunge.
In questo articolo: IFOM organoidi microambiente
a cura di Cristina Ferrario on si occupa di ecologia nel senso più comune del termine, eppure il gruppo coordinato da Massimiliano Pagani, responsabile del laboratorio di oncologia e immunologia molecolare dell’IFOM di Milano, concentra le proprie ricerche su un tipo di ecosistema. “Studiamo l’ecosistema del tumore, un insieme di diverse tipologie di cellule, incluse quelle del sistema immunitario, che pur non essendo tumorali hanno caratteristiche peculiari che sostengono la neoplasia nella sua crescita” spiega il ricercatore, che è anche professore di biologia molecolare presso l’Università degli Studi di Milano. Per arrivare a descrivere e comprendere a fondo le relazioni tra le diverse cellule del microambiente e quelle del tumore, si deve puntare sulle più sofisticate tecnologie, su tanta bioinformatica e su modelli sempre più vicini alla realtà.
N
dividuare un possibile punto vulnerabile. “Una cellula stromale del microambiente tumorale è diversa da quella che si trova in un tessuto sano, perché è modificata dalle relazioni con le cellule tumorali” dice il ricercatore. “Se riusciamo a capire cosa è cruciale per il mantenimento dell’ecosistema, potremmo creare terapie più mirate ed efficaci” prosegue. Viene da chiedersi quali siano gli strumenti più utili a questi moderni cartografi molecolari. “Da anni lavoriamo a questi progetti utilizzando di volta in volta le migliori tecnologie a nostra disposizione” afferma Pagani, citando tecniche come la trascrittomica e il single-cell RNA sequencing, che permettono di studiare l’ecosistema nel suo insieme riuscendo ad arrivare a livello della singola cellula. C’è però un problema: con queste analisi si perde l’informazione sulle relazioni spaziali tra le cellule, sulle loro comunicazioni e sull’influenza reciproca. Ecco allora che entrano in gioco tecniche come la spatial transcriptomic (trascrittomica che considera le relazioni intercellulari nello spazio), con la quale si cerca di conoscere il contenuto di ogni singola cellula senza rinunciare ai dati sulla sua organizzazione e sul tessuto di cui fa parte.
Tanta tecnologia per muoversi nei tessuti tumorali
Ambiente e tecnologia Proprio nell’ecosistema tumorale potrebbe infatti nascondersi il tallone d’Achille del cancro. “Le relazioni tra le diverse cellule dell’ecosistema determinano il vantaggio competitivo del tumore e fanno in modo che la malattia possa continuare a crescere grazie a un ambiente favorevole” spiega Pagani, che con il suo gruppo sta cercando di disegnare una mappa precisa di queste cellule e soprattutto delle loro interazioni, per in-
Immunologia 3.0 Il sistema immunitario è al centro delle ricerche di Pagani e del suo team. “Sappiamo che gioca un ruolo crucia-
le e che se riusciamo a riprogrammarlo in modo opportuno possiamo ottenere ottimi risultati, come dimostra l’immunoterapia” afferma l’esperto, il cui obiettivo è proprio un nuovo tipo di immunoterapia. Si parte dallo studio dell’ecosistema per modificare “in loco” il sistema immunitario, già presente nel microambiente tumorale. “L’immunoterapia agisce su bersagli generali e spesso non può essere utilizzata per le sue reazioni avverse molto forti. Noi vogliamo arrivare a una immunoterapia più funzionale, perché capace di agire unicamente a livello del tumore e quindi non solo efficace, ma anche molto più sicura” aggiunge Pagani. “Per far questo dobbiamo capire quali sono i meccanismi che impediscono al sistema immunitario di colpire il tumore e la conoscenza dell’ecosistema è essenziale” precisa. Tumoroidi, assembloidi & Co Tutta questa ricerca descrittiva, di mappatura fine, permette ai ricercatori di ge-
nerare nuove ipotesi, ma servono poi modelli che permettano di verificarle. “Al momento la nostra attenzione è rivolta ai tumoroidi” afferma Pagani. “Si tratta di organoidi, ovvero di strutture tridimensionali che riproducono e mantengono l’architettura di un tessuto vero e proprio, ma che derivano da tumori” precisa. Si ricrea, insomma, una copia – una sorta di avatar cellulare – del tumore primario. E per arrivare a modelli sempre più vicini alla realtà, i ricercatori stanno ora cercando di ricreare il microambiente attraverso “assembloidi”, unendo cioè le diverse componenti dell’ecosistema tumorale ai tumoroidi. “Questi modelli hanno tre grandi potenzialità: aumentare la conoscenza di meccanismi di base difficili da studiare con i modelli più tradizionali, permettere lo screening in vitro degli effetti di potenziali farmaci e trattamenti e aiutare a definire la terapia migliore per il singolo paziente con modelli ricreati ad hoc partendo dal tessuto del paziente stesso.”
FORMAZIONE
A scuola di ricerca e innovazione
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uale percorso di studi seguire per diventare un ricercatore “al passo con i tempi” e capace di tenere testa ai continui cambiamenti anche tecnologici della ricerca? “Una tappa importante è stata la creazione del master di secondo livello in ‘Functional Genomics and Bioinformatics’ all’Università Statale di Milano” dice Pagani. Sette mesi di didattica e poi tre “sul campo” in un laboratorio. “Ogni anno reclutiamo 12 persone e il programma ha un grande successo: a pochi giorni dal loro diploma, gli studenti trovano un impiego e le richieste aumentano a dimostrazione che il futuro della ricerca va in questa direzione” aggiunge il ricercatore. OTTOBRE 2019 | FONDAMENTALE | 27
CURIOSITÀ Cancro nell’arte
Il cancro al seno nella statua di Michelangelo Una delle raffigurazioni allegoriche nelle Tombe Medicee di Firenze presenta chiari segni di un cancro al seno. Un particolare descritto 20 anni fa su una rivista medica che è diventato anche punto di partenza per un romanzo con un grande oncologo come protagonista
In questo articolo:
Michelangelo storia dell’arte storia della medicina
U
a cura della REDAZIONE n medico di fama internazionale, alla vigilia di un convegno di studi che chiude la sua brillante carriera, decide di affrontare la sfida che lo appassiona da quando ha visto la statua della Notte di Michelangelo nelle Tombe Medicee a Firenze: la donna raffigurata nel marmo presenta un’anomalia, un seno asimmetrico, inconsueto per la perfezione del maestro del Rinascimento. In una lunga notte tra sogni e ricordi, il medico tira le fila della sua ossessione: con il rigore dello scienziato e l’intuito dell’investigatore, passa in rassegna le testimonianze raccolte in un’intera vita da psicologi, critici d’arte, chirurghi, filosofi, per arrivare a scoprire la natura di quella traccia lasciata da Michelangelo sul corpo, altrimenti perfetto, della sua modella. Ispirato dalla figura del grande oncologo Gianni Bonadonna, pioniere delle cure antitumorali in Italia e nel mondo, il giornalista del Corriere della Sera Giangiacomo Schiavi ha appena pubblicato un romanzo sull’enigma della statua.
L’origine della segnalazione
Titolo: Il mistero della Notte Autore: Giangiacomo Schiavi Editore: La nave di Teseo 304 pagine, 16 euro
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La descrizione della forma particolare di quel seno è stata oggetto, già nel 2000, di una lettera scritta da un oncologo e uno storico dell’arte statunitensi, James J. Stark e Jonathan Katz Nelson, alla rivista medica New England Journal of Medicine. “L’aspetto insolito del seno sinistro della Notte di Michelangelo, una statua marmorea di figura femminile, è stato spesso menzionato nella letteratura sulle Cappelle Medicee scolpite da Michelangelo nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze” scrivono i due esperti. “Uno di noi, un oncologo, ha riscontrato tre anomalie associate a cancro localmente avanzato nel seno sinistro. C’è un evidente, grande rigonfiamento a fianco del capezzolo, che coinvolge i linfonodi sottostanti e il capezzolo stesso e che
causa una retrazione della pelle appena a lato di quest’ultimo. Sono caratteristiche che non compaiono nel seno destro della Notte, in quelli di Alba, l’altra figura femminile nella Cappella Medicea, né in molte altre raffigurazioni di donne nelle opere di Michelangelo.”
Scelta intenzionale Potrebbe sembrare un caso, o un’interpretazione dovuta alla specifica formazione dell’autore della lettera (o, nel romanzo di Schiavi, di Bonadonna) ma non è così. Come racconta il New England, gli studiosi moderni di storia dell’arte concordano sul fatto che l’aspetto insolito del seno sia intenzionale e non dovuto a errori o incompiutezza (la statua è stata terminata e issata sopra la porta della cappella). Michelangelo era un attento osservatore dei propri modelli e riproduceva in modo accurato i segni fisici nella pietra, in questo caso quelli di un carcinoma del seno. È possibile che la malattia avesse colpito la sua modella, oppure l’artista poteva averne visto i segni nel corso di autopsie che, secondo gli autori, erano legali all’epoca in cui il grande maestro della scultura tentava di carpire i segreti dell’anatomia umana. “Dato che Michelangelo ha raffigurato il nodulo in un solo seno” spiegano gli esperti “presumibilmente lo ha riconosciuto come un’anomalia. Molti medici ai suoi tempi erano in grado di diagnosticare questa malattia in una donna. Sia il cancro al seno sia il suo trattamento sono stati discussi, spesso a lungo, e descritti dalle più famose autorità mediche dell’antichità – Ippocrate, Celso e Galeno – e da diversi importanti autori medievali, tra cui Avicenna e Rolando da Parma.” La ricerca di segni di malattia in raffigurazioni artistiche è un esercizio curioso e importante anche per la storia della medicina: permette infatti di capire come si è evoluta la conoscenza medica e, in questo caso specifico, di comprendere qualcosa di più di un grande artista e del suo studio meticoloso dei corpi.
I TRAGUARDI DEI NOSTRI
... continua su: airc.it/traguardi-dei-ricercatori
Consegnare il farmaco al tumore Un tipo di nanoparticella sviluppata dai ricercatori dell’Università di Milano Bicocca è in grado di “consegnare” un farmaco là dove deve agire: alle cellule del tumore. Queste nanoparticelle sono derivate da una proteina naturalmente presente nel nostro organismo, la ferritina, e, come già noto, possono legarsi alle cellule tumorali. La novità è che, nello studio pubblicato su Small, sulla superfice della ferritina è stata legata una particolare molecola, la luciferina, che, se inte-
ragisce con l’enzima luciferasi, emette luce. Grazie a esperimenti condotti in laboratorio su cellule e topi, si è visto che all’interno delle cellule tumorali, modificate per contenere la luciferasi, il legame tra nanoparticella e luciferina si spezza, rendendo quest’ultima libera di reagire con l’enzima e diventare bioluminescente. È stato così verificato che le sostanze trasportate dalle nanoparticelle (per esempio in futuro un farmaco anticancro) arrivano dove previsto e necessario.
Dialogo tra cellule tumorali e microambiente Nuovi passi avanti nella comprensione del dialogo tra le cellule tumorali e l’ambiente che circonda il tumore (microambiente) vengono da uno studio apparso su Nature Communications e diretto da Giannino Del Sal dell’Università di Trieste. Il lavoro dimostra un nuovo ruolo nello sviluppo tumorale del gene p53, uno dei più studiati poiché frequentemente mutato nelle neoplasie. Si è scoperto che mutazioni di p53, attraverso un meccanismo che coinvolge il fattore HIF1∝, causano modificazioni a carico dell’apparato del Golgi, un organello cellula-
re, portando all’aumento della sua efficienza e del rilascio di proteine all’esterno della cellula. Le proteine secrete influenzano il microambiente facilitando la crescita del tumore e lo sviluppo di metastasi. Inoltre, il coinvolgimento del fattore HIF1∝, un sensore dei livelli di ossigeno, porta a pensare che gli stessi meccanismi possano essere attivati anche se, in assenza di mutazioni di p53, il tumore, come spesso accade, venga a trovarsi in carenza di ossigeno.
Le metastasi e un “paradosso”
meccanico poiché avverte le vibrazioni meccaniche e influenza forma e rigidità del nucleo. Con una serie di tecniche avanzate, la nuova ricerca pubblicata su Nature Communications suggerisce che questa modifica possa far sì che le cellule tumorali riescano a diffondersi nell’organismo, un evento che richiede il passaggio attraverso spazi molto stretti. Lo studio potrebbe portare a comprendere meglio le metastasi e a individuare nuove terapie.
Si chiama ATR ed è una proteina che, se da un lato è nota da tempo per il suo ruolo nel contribuire a prevenire l’insorgenza dei tumori, dall’altro, come emerge da una recente ricerca internazionale coordinata da Marco Foiani dell’IFOM e dell’Università di Milano, sembra favorire la formazione di metastasi. Qualche anno fa era stato scoperto che ATR, già conosciuta per proteggere l’integrità del genoma, salvaguarda le cellule sottoposte a stress
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PANDEMIA Covid e cancro
In questo articolo: Covid-19 fattori di rischio cancro del polmone
Covid-19 e cancro, ogni tumore un rischio diverso Secondo i risultati di uno studio condotto nel Regno Unito, non tutti i pazienti oncologici hanno maggiori probabilità di ammalarsi di Covid-19 o di sviluppare i sintomi più gravi legati a questa malattia. Il fattore di rischio più importante, indipendentemente dal tipo di tumore da cui si è affetti, resta l’età
“D
a cura della REDAZIONE ire che tutti i pazienti con un tumore sono più suscettibili dei soggetti normali al Covid-19 è probabilmente poco ragionevole e poco utile.” Ne sono convinti gli autori di un articolo pubblicato sulla rivista The Lancet che hanno cercato di fare il punto sul le-
game tra cancro e pandemia. Come ricordano i ricercatori, è già stato dimostrato che gli anziani, gli uomini e i portatori di malattie pregresse, incluso il cancro, sono più a rischio di contrarre Covid-19 e sviluppare le forme gravi della malattia. Questo ha spinto molti centri a sospendere o ritardare i trattamenti per i pazienti oncologici, senza nessu-
na distinzione in base alle caratteristiche del paziente o del tumore. “Il cancro però è una malattia molto eterogenea e i diversi tipi possono avere stadio e grado differente” precisano i ricercatori, che sono partiti proprio da questo presupposto per le loro analisi. Come cambia il rischio Confrontando gruppi di pazienti oncologici affetti o meno da Covid-19, i ricercatori hanno cercato di comprendere se ci fossero differenze nel rischio di infezione e di decesso a causa della malattia in base a età, sesso e tipo di tumore. La risposta è stata affermativa. “Come osserviamo nella popolazione generale, anche nei pazienti con tumore essere anziani e uomini aumenta il rischio di infezione e di sviluppare i sintomi più gravi della malattia da coronavirus” scrivono gli esperti. Il rischio cambia anche a seconda del tipo di cancro, tanto che nei pazienti con tumori ematologici (in particolare leucemie) il Covid-19
ha avuto effetti più pesanti e il tasso di letalità è risultato più alto. Per questa tipologia di pazienti, il rischio di decesso mentre sono ricoverati in ospedale per Covid è risultato più alto, in particolare se il paziente aveva da poco effettuato la chemioterapia, forse perché questi tumori mettono alla prova il sistema immunitario e i trattamenti hanno un’azione molto pesante sul midollo osseo (dove si formano anche i globuli bianchi). Dall’analisi è emerso inoltre che il tumore del polmone e quello della prostata non sono associati a un rischio maggiore di contrarre l’infezione da Sars-CoV-2 e di morirne rispetto ad altre neoplasie, e che la categoria di pazienti con il rischio in assoluto più basso sono le donne affette da tumori al seno e ginecologici. “Questi risultati possono essere molto utili per i medici che devono valutare i trattamenti per i pazienti oncologici anche in questo difficile periodo” concludono i ricercatori.
Per il Covid conta più l’età della diagnosi di cancro
LO STUDIO
Leggiamo con attenzione
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i fronte a questi dati è fondamentale tenere conto di una serie di fattori che potrebbero aver influenzato i risultati finali. Uno dei più importanti, per esempio, è che la popolazione dello studio comprendeva persone con tumori sintomatici e una buona parte dei pazienti aveva una malattia metastatica o in fase avanzata. “Questa popolazione non è rappresentativa di tutti i pazienti oncologici” sottolineano gli autori. Solo ulteriori studi aiuteranno a trovare risposte più precise per eventualmente aprire le porte degli ospedali ai pazienti meno a rischio, trovando il modo di curare gli altri il più possibile a domicilio.
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I GIORNI DELLA RICERCA Quirinale
Mai smettere di pensare al futuro Pubblichiamo integralmente il discorso che il Presidente della Repubblica ha pronunciato al Quirinale in occasione della cerimonia d’apertura dei Giorni della Ricerca di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica ivolgo un cordiale saluto al presidente della Corte Costituzionale, ai rappresentanti del Senato e della Camera, al ministro della salute e al presidente di AIRC, che ringrazio per i loro interventi. I Giorni della Ricerca quest’anno si celebrano mentre in tutto il mondo le società sono impegnate in una battaglia difficile contro un virus temibile, e in parte ancora scarsamente conosciuto, che continua a provocare sofferenza e tanti morti, che frena le nostre attività sociali ed economiche, che ci impone di limitare le stesse relazioni interpersonali per sfuggire alla sua minaccia. Abbiamo voluto ugualmente confermare questo appuntamento, pur in for-
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ma ridotta, più essenziale, perché la condizione di oggi ci mostra ancor meglio quanto grande sia il valore della ricerca, quanto sia importante per la nostra vita, per il futuro del nostro e degli altri Paesi, per la nostra civiltà. E, accanto a esso, questa giornata ci ricorda quanto importante sia la consapevolezza che nessuno di noi è estraneo al dovere di sostenere e di incoraggiare la ricerca, per poterne poi condividere i risultati. Questo appuntamento annuale è nato anzitutto per dare impulso alla ricerca in campo oncologico, sviluppata per sfidare quella che a lungo è stata definita la “malattia del secolo” e che, anni addietro, sembrava un male invincibile. Proprio la scienza medica e la ricerca – diagnostica, terapeutica, farmacologica, genetica –, unita alla crescita della cultura della prevenzione, ha capovolto i rapporti di forza e oggi sappiamo che il cancro è sempre più curabile, e che la maggior parte dei malati può guarire. I pionieri di AIRC hanno avuto una preziosa lungimiranza. Si tratta di scienziati e di personalità che, poco più di cinquant’anni addietro, sono stati capaci di iniziative comuni e di chiamare a raccolta tutte le forze disponibili per combattere il cancro. Sapevano che l’umanità, alleata con la scienza, avrebbe vinto, come certamente avverrà definitivamente – speriamo – in un futuro non lontano. Hanno lanciato la sfida consapevoli che il cammino non sarebbe stato facile, né breve. Ma puntando sulla ricerca, raccogliendo fondi per investirveli, nutrivano fiducia nei risultati.
La ricerca è un gioco di squadra
Questa lezione vale anche per l’oggi. Il Covid, comparso da non molti mesi,
In questo articolo:
Quirinale e Sergio Mattarella premio Guido Venosta premio Credere nella Ricerca
sarà sconfitto dalla ricerca. Ricerca di terapie sempre più efficaci, ricerca del vaccino. Ovviamente dovremo aiutarla e aiutarci con l’efficienza dell’organizzazione sanitaria, con la precauzione e la prevenzione, con comportamenti sociali responsabili, con la solidarietà verso chi ha bisogno di maggiori cure e attenzioni. Per la ricerca sono al lavoro équipe e laboratori in tutto il mondo. La ricerca è un gioco di squadra. Anche questo va tenuto a mente. E, in questa emergenza mondiale, è bene che le squadre non competano tra loro, ma si propongano di dialogare, scambiandosi intuizioni, informazioni, studi, come la scienza tende sempre a fare. È tempo di collaborazione e di alleanze globali, non di barriere e di egoismi. Si devono condividere impegni e conoscenze come si condivide la sofferenza e la responsabilità. I ricercatori italiani stanno facendo valere le loro qualità, e questo è motivo di orgoglio per il nostro Paese. Per la ricerca scontiamo ritardi, e le carenze favoriscono il trasferimento all’estero di tanti giovani di talento.
Un’eccellenza mondiale
Ma disponiamo di forze, di intelligenze, di risorse umane. Nel campo della ricerca oncologica, in particolare, l’Italia rappresenta un’eccellenza mondiale ed è avanguardia in Europa. Dobbiamo investire ancor di più in ricerca per rafforzare e ampliare le strutture di alto valore, che hanno già mostrato le capacità dei nostri scienziati e l’eccellente levatura di tanti giovani. AIRC può sentirsi orgogliosa per quanto si è raggiunto come risultati. Per aver contribuito, con creatività e capacità organizzative, a far crescere la ricerca GENNAIO 2021 | FONDAMENTALE | 29
I GIORNI DELLA RICERCA Quirinale
italiana, fornendo un importante supporto di risorse private a un obiettivo sociale di primaria grandezza. La ricerca italiana nel suo insieme ha raggiunto i traguardi che ben conosciamo, anche grazie al sostegno che voi siete stati capaci di fornire. Ed è di grande valore – anche sul piano culturale – l’idea che il pubblico sia integrato dalla partecipazione attiva dei cittadini, insieme alla professionalità delle donne e degli uomini della comunità scientifica. La ricerca vincerà sulla pandemia da Covid. Quella che oggi si è imposta come una priorità, non soltanto nel nostro Paese ma nel mondo intero, non deve però farci arretrare né rallentare sul fronte della lotta contro i tumori. Ecco, celebrare al Quirinale questa volta i Giorni della Ricerca serve anche a questo: a ricordarci che le altre impegnative patologie non sono finite in lockdown, che il cancro continua a manifestarsi con i ritmi di prima (come ci ha ricordato l’avvocato Torrani poc’anzi) e che troppi screening e troppe cure vengono rinviate a causa della pandemia, rischiando ritardi irrecuperabili nelle diagnosi di tumore e pe-
ricolose interruzioni nelle terapie che non consentono pause o sospensioni. Peraltro – è stato ricordato anche questo – i medici e i ricercatori impegnati quotidianamente nella lotta contro i tumori hanno recato e recano il loro contributo di conoscenza e di studio a chi si trova in prima linea per contrastare l’epidemia da Covid.
Un impegno inderogabile
Sono le generazioni più anziane a pagare il prezzo più alto alla diffusione del nuovo virus. E rischiano quegli stessi anziani di essere penalizzati dal rallentamento delle cure per altre patologie. È un vanto per il nostro Paese essere in cima alle classifiche mondiali per la durata media della vita, ma è un impegno inderogabile fare in modo che la vita sia sempre onorata e che a essa venga riconosciuta la dignità che merita, evitando lacune e ritardi nell’assistenza. Sempre, in qualunque condizione. Dobbiamo proseguire nella ricerca oncologica. Anche perché gli ultimi anni ci hanno permesso di compie-
Il Covid-19 sarà sconfitto dalla ricerca
(segue da pagina 3)
Pier Giuseppe Torrani Presidente AIRC
Tre riflessioni per reagire alla pandemia Devono essere introdotte forme contrattuali nuove per assicurare la carriera dei giovani scienziati e operatori tecnici, non possiamo sempre formare giovani capaci per poi non strutturare soluzioni per creare un forte mercato del lavoro interno. La disciplina del percorso di carriera dei giovani ricercatori deve essere ripensata con serietà e determinazione. Di questo abbiamo parlato nell’incontro annuale con il Presidente della Repubblica, il cui discor-
so è pubblicato in questo numero. Il nostro impegno per il futuro non potrà limitarsi a finanziare progetti di ricerca oncologica. Dobbiamo anche lavorare per creare un ambiente favorevole alla carriera scientifica e tecnologica dei nostri giovani, superando le pastoie burocratiche che limitano la loro crescita attraverso strutture di carriera moderne. La nostra società europea è in grande evoluzione. Sta vivendo una stagione di forte discontinuità. Le conoscenze acquisite attraverso la ricerca scientifica ci descrivono realtà fin qui inimmaginabili, e ciò sia nella dimensione micro della nostra biologia e della natura che ci circonda, sia nella dimensione macro dei misteri dell’universo. La nostra natura biologica si sta rive-
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re formidabili passi in avanti, grazie agli avanzamenti negli studi del sistema immunitario, della medicina cellulare e della genetica. Nonostante il rallentamento imposto dalla pandemia, altri importanti traguardi sono stati conseguiti di recente da studi finanziati da AIRC. Tra questi si possono menzionare la terapia innovativa per la leucemia linfoblastica acuta, elaborata dalla Sapienza di Roma, lo sviluppo di nanoparticelle di origine biologica, messe a punto alla Bicocca di Milano, e ancora le nuove ricerche che possono generare più efficaci cure del tumore dell’ovaio e del tumore del fegato, di cui sono state artefici équipe dell’Istituto Mario Negri e dello IEO di Milano. Insieme al riconoscimento che oggi è stato consegnato ai professori Alberto Bardelli e Salvatore Siena – cui rinnovo le mie congratulazioni –, i cui lavori consentiranno ulteriori progressi nel trattamento del tumore al colon, prevenendo possibili recidive. Questi straordinari successi scientifici valgono anche come sprone e come impegno a non rallentare questa staffetta per la vita, che è del resto la ragione costitutiva di AIRC. Non dobbiamo mai smettere di pensare al futuro, anche in un momento difficile come questo, in cui lando complessa e dominata da ricambio continuo delle sue cellule. L’uomo sapiens è il primo soggetto vitale che nelle sue innovazioni ha operato grandi trasformazioni naturali. Ora dobbiamo impegnarci perché queste trasformazioni non pregiudichino la nostra stessa sussistenza. È tempo di profonde riflessioni e di progettazione di sistemi istituzionali che possano governare il processo in atto e superare gli ostacoli burocratici che frenano il processo evolutivo. Assieme alle scienze della vita dobbiamo anche reinventarci regole efficienti per vivere nella società della discontinuità.
l’attualità dei problemi è così impegnativa e coinvolgente. “Privi di memoria e di speranza, tutto per loro diventava presente” scriveva Albert Camus per descrivere proprio quell’abisso che la società deve scongiurare. Mentre si combatte il virus con rigore e unità, occorre essere capaci di procedere e di progredire, di compiere anche le scelte per un servizio sanitario sempre migliore, ancor più vicino alle esigenze dei malati, ancor più attento alla persona, alla prevenzione, ancora più accessibile e capace di cura anche per chi è affetto da forme di cronicità e non può completamente debellare la propria malattia.
La ricerca è uno snodo decisivo
Il ministro Speranza poc’anzi ha parlato di un grande impegno riformatore, che riesca ad avvicinare la medicina al territorio e a predisporre l’assistenza in prossimità dei luoghi di vita di chi ha bisogno e delle loro famiglie: non posso che augurarmi che questa progettualità coinvolga tutte le forze, le professionalità sul campo e, ovviamente, tutti i livelli istituzionali in un impegno concorde. La ricerca è uno snodo decisivo, un bene comune che sollecita responsabilità comuni. Le donazioni, e l’attività di raccolta a opera di associazioni di volontariato, hanno grande significato. Sono una testimonianza etica e civile, in un tempo in cui le reti di connessione tra le persone rischiano di allentarsi a causa del necessario distanziamento. La paura, comprensibile, può spingere a chiudersi in se stessi. Ma sappiamo che, al contrario, soltanto rafforzando il comune impegno la sicurezza di ciascuno sarà più garantita. La ricerca si associa anche a un altro termine: “responsabilità”, di cui oggi apprezziamo molto il valore. La società della comunicazione immediata e globale ci mette a disposizione conoscenze fino a ieri inaccessibili. Ma talvolta ciò può anche disorientare, e qualcuno fini-
sce nel tunnel delle false notizie, delle dicerie, della perversa volontà di ingannare con la disinformazione. Accade persino nel pieno di questa tragica pandemia. Si sentono voci che spingono a comportamenti irresponsabili e sospingono quanti vogliono sottrarsi alle responsabilità collettive. La voce della ricerca, i dati che ci fornisce, le verifiche che conduce, il rigore e la trasparenza delle sue procedure costituiscono un antidoto a queste derive, e ci riportano a una visione razionale dei problemi, senza la quale saremmo più deboli e insicuri. Ci rammentano anche che ciascuno – quale che sia il suo ruolo – deve avvertire il dovere non soltanto di non disperdere lo sforzo collettivo ma di contribuirvi; di non sottrarsi al proprio compito. Senza dimenticare che il vero nemico, di tutti e di ciascuno, è il virus; che il responsabile di lutti, di sofferenze, di sacrifici, di rinunce, di restrizioni alla vita normale è il virus. La ricerca è anche un metodo. Un modello di corresponsabilità. Ha come beneficiaria la comunità nel suo insieme, e tutti i cittadini senza eccezioni. La solidarietà è punto di partenza e punto di arrivo. Il vaccino e le terapie contro il Covid – che saranno i frutti delle ricerche – dovranno essere posti, da subito, a disposizione di tutti. Senza discriminazione alcuna. Questa è la nostra convinzione, che proviene dalla cultura espressa dalla nostra civiltà. È importante che la Commissione europea abbia deciso di sostenere l’Alleanza per il vaccino, promossa dall’Italia e da altri Paesi dell’Unione, assumendo l’impegno a non abbandonare nessuno e mettendo da subito in atto le politiche necessarie per raggiungere l’obiettivo di un vaccino globalmente accessibile. Abbiamo davanti passaggi difficili. Ma abbiamo fiducia, perché pensiamo di dovere e potere contare sulla condivisione di obiettivi e sull’impegno comune. I Giorni della Ricerca rilanciano questo messaggio e ispirano fiducia. Fonte: Quirinale
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Premio credere nella ricerca
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a cerimonia al Quirinale è stata anche l’occasione per riconoscere l’impegno di chi si è distinto nel sostenere la causa di Fondazione AIRC. Quest’anno, il Presidente Mattarella ha consegnato il premio speciale AIRC Credere nella Ricerca all’Organizzazione produttori Francescon s.c.a.r.l., per aver creduto con costanza nella ricerca scientifica oncologica, finanziando il percorso di giovani ricercatori, e aver dimostrato uno spirito resiliente nel rinnovare il proprio sostegno a Fondazione AIRC anche in situazioni di difficoltà, come quelle presentate dalla pandemia; e a Mediaset, da oltre 20 anni al fianco di AIRC con un supporto costante alle campagne nazionali e con iniziative speciali attraverso Fabbrica del Sorriso, che hanno consentito di destinare importanti risorse al lavoro degli scienziati della Fondazione impegnati in progetti di ricerca sui tumori pediatrici e su quelli che colpiscono le donne. Nelle foto, in alto: Bruno Francescon, amministratore delegato O.P. Francescon. In basso: Massimo Ciampa, segretario generale Mediafriends
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In questo articolo:
PREMIO VENOSTA Alberto Bardelli e Salvatore Siena
Da Milano e Torino uniti contro il cancro del colon Un sodalizio nato quasi per caso si è trasformato in una collaborazione che ha portato grandi risultati nella diagnosi e nella cura di uno dei tumori più comuni Salvatore Siena e Alberto Bardelli vengono premiati dal Presidente Sergio Mattarella
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premio Guido Venosta I Giorni della Ricerca tumore colon-retto
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a cura della REDAZIONE unedì 26 ottobre, durante la cerimonia al Quirinale per inaugurare i Giorni della Ricerca 2020, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha consegnato il Premio Guido Venosta, assegnato congiuntamente agli scienziati Alberto Bardelli, direttore del laboratorio di oncologia molecolare all’IRCCS Candiolo e docente del Dipartimento di oncologia dell’Università di Torino, e Salvatore Siena, direttore SC Oncologia Falck, Dipartimento di ematologia e oncologia, Niguarda Cancer Center, e professore ordinario di oncologia medica all’Università Statale di Milano, per lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche e nuovi approcci al trattamento del tumore al colon attraverso un’esemplare sinergia tra ricerca preclinica e terapia. “Esattamente 16 anni fa, al rientro di Alberto Bardelli dagli Stati Uniti, iniziammo la nostra ricerca con in mente un obiettivo preciso: lo sviluppo di nuove terapie per il carcinoma del colon-retto, un tumore fra i primi tre per rilevanza clinica nella popolazione occidentale. Era l’inizio degli anni 2000 ed erano stati approvati i primi farmaci mirati, i cosiddetti anticorpi monoclonali. Mentre con la chemioterapia si vedevano risultati in tutti i pazienti, con questi nuovi farmaci alcuni rispondevano in modo fantastico, altri per niente” spiega Salvatore Siena. “Per questo chiamai un grande esperto di cancro del colon negli Stati Uniti, che mi raccomandò di prendere contatto con Alberto Bardelli, un giovane appena tornato in Italia. Scoprii che lavorava a Candiolo e gli proposi di collaborare per cercare la ragione di questa diversa risposta alle cure, che doveva per forza risiedere nelle caratteristiche molecolari e genetiche dell’individuo e del tumore stesso.”
Gruppi variegati Bardelli conferma quanto l’incontro sia stato fruttuoso: “Grazie ai tessuti dei pazienti forniti dal gruppo di Siena, siamo riusciti a identificare le caratteristiche molecolari che determinano la risposta di un tumore al colon a un determinato farmaco. La nostra collaborazione non è mai terminata: con Salvatore ci sentiamo ancora oggi, anche più volte al giorno, perché i nostri laboratori continuano a lavorare insieme”. I gruppi di ricerca di Siena e Bardelli sono estremamente variegati nella composizione: ci sono medici, ovviamente, ma anche biologi, ingegneri, informatici, e il personale amministrativo che supporta l’organizzazione della ricerca. “Gli amministrativi sono parte integrante del nostro gruppo perché senza una perfetta organizzazione non si può fare ricerca efficace” continua Siena. “Con Alberto ci piace dire che i nostri gruppi lavorano come un sommergibile, in silenzio e senza apparire: avendo collaboratori e colleghi ben determinati, superiamo pragmaticamente ogni ostacolo per arrivare all’obiettivo, il progresso nelle cure. E alcune delle terapie che abbiamo testato hanno effettivamente raggiunto il risultato cercato”.
Dal laboratorio al reparto sempre a fianco dei pazienti
Il ruolo di AIRC Nei gruppi di ricerca di Siena e Bardelli ci sono molti giovani sostenuti da AIRC, con borse di studio e grant. “Senza AIRC non saremmo arrivati fino a qui” dicono ambedue. E Siena aggiunge: “Il lavoro svolto con i fondi AIRC ha cambiato il modo di curare le persone. Nel mio ospedale, per esempio, oggi c’è una diagnostica molecolare, ovvero un centro in grado di fare i test per aiutare a scegliere meglio le terapie sulla base delle caratteristiche genetiche del tumore: una struttura che prima non esisteva, semplicemente perché non sapevamo che potesse essere utile”.
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I GIORNI DELLA RICERCA Scuole e divulgazione online
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Gli Incontri con la ricerca si spostano online 50 scuole raggiunte in tutta Italia per avvicinare i ragazzi alla scienza
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a cura della REDAZIONE ome ogni anno, in occasione dei Giorni della Ricerca, Fondazione AIRC ha organizzato gli Incontri con la Ricerca, un’occasione per oltre 4.600 studenti di incontrare scienziati e scienziate specializzati in ricerca oncologica e scoprire i progressi e le nuove frontiere della battaglia contro il cancro. La novità del 2020 è stata però che tutti gli incontri si sono svolti in modalità digitale. La pandemia Covid-19 non ci ha colto impreparati. Fin da marzo, nell’ambito del progetto AIRC nelle scuole, abbiamo organizzato webinar ed eventi online per continuare a rimanere vicini agli studenti e agli insegnanti degli istituti primari e secondari, di primo e secondo grado, e aiutarli ad approfondire i temi della ricerca, della biologia e della prevenzione, anche attraverso iniziative loro dedicate, contest, videogiochi educational, e materiali didattici scaricabili gratuitamente. Il culmine di questa attività è stato raggiunto durante i Giorni, quando 50 scuole in tutta Italia hanno ricevuto la visita virtuale dei ricercatori AIRC, un’opportunità unica per confrontarsi e discutere non solo di scienza, ma anche di argomenti quali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie e abitudini salutari, affron-
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L Scopri il progetto sul sito scuola.airc.it tando in maniera critica il tema della prevenzione. Sempre in occasione dei Giorni si è svolto un webinar per docenti in collaborazione con ANISN (Associazione nazionale insegnanti di scienze naturali) che opera a tutti i livelli scolastici per migliorare le conoscenze scientifiche, fondamentali per l’assunzione consapevole di abitudini salutari.
UNA MARATONA SOCIAL DI APPROFONDIMENTO PER I GIORNI 2020
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n occasione dei Giorni della Ricerca, AIRC ha offerto cinque giorni di appuntamenti in diretta sui social in compagnia di divulgatori, ricercatori e testimoni dell’importanza della ricerca. Ogni giorno dal 2 al
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6 novembre Roberta Villa, Michela Vuga e Daniela Ovadia, accompagnata dai disegni di Jacopo Sacquegno, hanno condotto tre appuntamenti diversi per raccontare i progressi della ricerca e intervistarne i prota-
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gonisti sui profili Facebook e YouTube della Fondazione, mentre, sul profilo Instagram airc.it, Riccardo Di Deo, nutrizionista e divulgatore di AIRC, ha intervistato in diretta ospiti quali Beatrice Mautino, Renato Bruni, Ruggero Rollini e Massimo Temporelli, per parlare di ricerca, innovazione, salute e ambiente. I video delle dirette restano tutti disponibili sui profili social di AIRC.
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I GIORNI DELLA RICERCA I protagonisti
RAI con AIRC per i Giorni della Ricerca
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alle “Storie al Microscopio”, nate da un’idea di Pippo Baudo, sono trascorsi venticinque anni. Un lungo periodo durante il quale RAI e AIRC hanno moltiplicato il loro comune impegno, portando nelle case degli italiani, con i Giorni della Ricerca, una corretta informazione sul tema “cancro” e raccogliendo fondi per sostenere una nuova generazione di ricercatori e progetti innovativi per la cura di tutti i tipi di tumore. L’edizione del 2020 ha sottolineato il ruolo centrale della ricerca sul cancro, soprattutto in un contesto segnato dagli effetti negativi della pandemia Covid-19. RAI e AIRC hanno potenziato l’informazione sul tema da domenica 1 a domenica 8 novembre. Per otto giorni tutta la RAI – tv, radio, testate giornalistiche, digital – ha raccontato le storie dei protagonisti della ricerca: persone che hanno affron-
Antonella Clerici e Carlo Conti, ambasciatori AIRC
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tato la malattia, scienziati, medici e volontari. Una puntata speciale dei Soliti Ignoti con Amadeus e Loretta Goggi su Rai1 ha dato il via alla maratona. Da lunedì 2 il testimone è passato senza sosta dalle trasmissioni televisive a quelle radiofoniche, dalle testate giornalistiche ai canali digital, con una programmazione quotidiana di spazi di divulgazione medico-scientifica in Elisir e Uno Mattina, e coinvolgendo il pubblico dagli studi di È sempre mezzogiorno con Antonella Clerici e L’Eredità con Flavio Insinna. Venerdì 6 Tale e Quale Show ha dedicato alla raccolta fondi per AIRC l’intera puntata, alla quale non ha voluto mancare il nostro ambasciatore Carlo Conti, positivo al Covid, che ha testimoniato il suo impegno personale collegandosi telefonicamente dall’ospedale per esortare il pubblico a donare. Domenica 8 dalle 6:30 la maratona finale è partita da Uno Mattina In Famiglia con Tiberio Timperi e Monica Setta per chiudersi con lo Speciale Eredità, con 7 concorrenti AIRC, e con un approfondimento sulle ripercussioni del Covid-19 sulla ricerca e la cura del cancro a Che tempo che fa su Rai3, con Fabio Fazio e il ricercatore Alberto Mantovani.
I Cioccolatini AIRC per sostenere i ricercatori
Geppi Cucciari, testimonial AIRC
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nche quest’anno è stato possibile sostenere il lavoro dei ricercatori attraverso i Cioccolatini della Ricerca, prodotti con ingredienti di altissima qualità, che dall’1 novembre sono stati disponibili a fronte di una donazione su Amazon.it e, su appuntamento, in oltre 1.700 filiali Banco BPM. Nell’incertezza dovuta alla pandemia di coronavirus, Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ha scelto di tutelare la salute dei volontari e dei sostenitori evitando di distribuire i cioccolatini in piazza.
I campioni del calcio si schierano con AIRC
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enerdì 6, sabato 7 e domenica 8 novembre una grande squadra è entrata in campo per Un Gol per la Ricerca, storica campagna di Fondazione AIRC promossa in collaborazione con FIGC, Lega Serie A, TIM e AIA, per informare e sensibilizzare il pubblico dei tifosi e tutto il mondo del calcio sul tema cancro. Una
formazione che di anno in anno cresce e si rafforza grazie al contributo di tanti campioni del rettangolo verde. Ai quattro capitani Leonardo Bonucci, Claudio Marchisio, Matteo Politano e Alessio Romagnoli si sono aggiunti nel 2020 Francesco Acerbi, Lorenzo De Silvestri e Mattia Perin. Inoltre, grazie alla collaborazione con FIGC, anche gli Azzurri hanno dato il loro importante contributo a questa fondamentale partita contro il cancro, schierandosi al fianco di AIRC e dei suoi ricercatori domenica 15 novembre a Reggio Emilia in occasione dell’incontro di Uefa Nations League Italia – Polonia.
I volti dei Giorni della Ricerca 2020 “La ricerca è l’unica soluzione per curarsi dal cancro e serve l’aiuto di tutti i cittadini.”
Valerio
Francesca “Grazie al sostegno di AIRC, ho potuto fondare il mio gruppo di ricerca per sviluppare nanostrutture che potranno essere impiegate per una terapia non invasiva dei tumori testa-collo.”
Jury
“Ogni volta che qualcuno dona ad AIRC, è come se facesse ancora un regalo anche a Matteo, perché ha fatto una vita piena, vissuta, amata, grazie alla ricerca e a chi la sostiene.”
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RACCOLTA FONDI Partner
L’impegno di Palazzoli per “dare luce alla ricerca”
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eader nella realizzazione di prodotti elettrotecnici che possano salvaguardare la vita dei lavoratori, la società Palazzoli S.p.A. ha scelto di schierarsi al fianco di Fondazione AIRC, a sostegno della migliore ricerca oncologica in Italia. L’azienda ha deciso infatti di mettersi in gioco realizzando il progetto “Diamo Luce alla Ricerca”, grazie al quale la linea di illuminazione prodotta dalla Palazzoli S.p.A. viene dedicata al finanziamento di un Investigator Grant. Beneficiario del progetto è Giampaolo Bianchini, ricercatore impegnato a studiare nuove applicazioni dell’immunoterapia per combattere il cancro utilizzando le nostre difese immunitarie. Ma il supporto della Palazzoli non si esaurisce in questo importante contributo, perché la società ha anche scelto di diventare ambasciatrice presso i propri clienti del progetto “Impresa Contro il Cancro”, dedicato all’imprenditoria italiana. Attraverso questo progetto AIRC mira a coinvolgere sempre più le aziende, perché diventino parte integrante di quella schiera di imprese che già hanno deciso di sostenere i ricercatori nello studio di nuove terapie contro le malattie oncologiche.
Ricerca oncologica e corretti stili di vita: Hero per AIRC
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el novembre 2020, si è conclusa l’iniziativa semestrale portata avanti da Hero Italia e Fondazione AIRC per sostenere la ricerca oncologica d’eccellenza nel nostro Paese. L’azienda, leader in Italia nel settore delle marmellate e confetture a ridotto contenuto calorico, ha vestito con il logo AIRC i vasetti della propria linea light, per devolvere alla Fondazione una percentuale del prezzo di ogni confettura venduta nei supermercati italiani. Una collaborazione, quella tra Hero Italia e Fondazione AIRC, rilevante anche per l’impegno condiviso a diffondere sempre più la cultura della prevenzione. A tal fine, è stato realizzato il sito dedicato heroperairc. it, ricco di contenuti come ricette e consigli, ed è stata lanciata una challenge sui social network che ha portato al coinvolgimento di influencer e della community Hero. Tali iniziative avevano l’obiettivo di far comprendere gli aspetti sostanziali di uno stile di vita corretto. Oggi sappiamo che mangiare in modo equilibrato, eliminare il fumo e ridurre fattori di rischio come la sedentarietà e l’obesità possono influire fortemente per minimizzare il rischio di sviluppare tumori. Di conseguenza, le iniziative volte alla promozione di sane abitudini si rivelano di grande valore nella lotta contro il cancro e, proprio per questo, AIRC e HERO hanno deciso di rinnovare la collaborazione, per tornare a proporre tra marzo e agosto del 2021 attività di sensibilizzazione e sostegno alla ricerca. 36 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2021
Mattarella premia l’Organizzazione produttori Francescon
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n occasione della cerimonia al Quirinale che ha avuto luogo lo scorso ottobre per celebrare i Giorni della Ricerca, l’Organizzazione produttori Francescon si è vista riconoscere il premio Credere nella Ricerca dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il premio, consegnato all’amministratore delegato Bruno Francescon, è stato attribuito all’azienda, leader in Italia nella produzione dei meloni, per l’impegno dimostrato nel sostenere i giovani ricercatori AIRC, nonostante le difficoltà legate al diffondersi della pandemia. L’Azienda Francescon, pur colpita direttamente dagli effetti del virus Covid-19, ha deciso infatti di portare avanti, nel mese di agosto, la campagna di raccolta fondi legata ai propri meloni mantovani IGP e all’Anguria Perla Nera, rispettivamente distribuiti nei punti vendita Eurospin e MD di tutta Italia. “A inizio agosto” spiega Bruno Francescon “quando eravamo in promozione con il melone solidale, abbiamo avuto problemi di contagi in azienda. Ma nonostante le difficoltà non ci siamo tirati indietro e, in piena sicurezza, abbiamo portato a termine la campagna, raccogliendo oltre 100.000 euro, subito devoluti ad AIRC.” Il costante e concreto impegno dell’Organizzazione produttori Francescon rappresenta un esempio di quella resilienza necessaria, oggi più che mai, per il progredire della ricerca oncologica: è proprio in questo momento, infatti, che bisogna continuare ad avere fiducia nei ricercatori e sostenerli finanziando i loro progetti.
NUTRIZIONE Arance della Salute
Arance, il frutto simbolo della ricerca Da oltre 30 anni le arance rosse di AIRC sono il simbolo del sostegno alla ricerca oncologica e della promozione della salute attraverso la prevenzione
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a cura della REDAZIONE n simbolo per definizione si porta dietro tanti significati. Pensando alle Arance della Salute di AIRC, vengono subito in mente gli ideali di solidarietà, volontariato e cittadinanza attiva cui la Fondazione si ispira e, al di là delle sue caratteristiche nutrizionali,
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LE ARANCE DELLA SALUTE 2021
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ell’incertezza attuale, quest’anno AIRC ha scelto di tutelare la salute dei volontari e dei sostenitori non distribuendo in piazza le Arance della Salute. Puoi però lo stesso contribuire alla difesa della salute a partire dal 4 febbraio grazie alla tua spesa quotidiana. Per ogni reticella di arance dedicata ad AIRC acquistata nei supermercati aderenti all’i-
il valore di questo frutto sta soprattutto nel messaggio di sensibilizzazione che contribuisce a diffondere. Le arance rosse contengono antociani, pigmenti naturali dagli eccezionali poteri antiossidanti, e circa il 40 per cento in più di vitamina C rispetto agli altri agrumi, un quantitativo che rappresenta più di due terzi del fabbisogno giornaliero di questa importante vitamina. Oltre al noto contenuto di diverse vitamine e minerali, le arance contribuiscono all’apporto giornaliero di fibra alimentare, componente che svolge un ruolo protettivo per l’intestino. Queste caratteristiche nutrizionali si ritrovano, con differenze più o meno rilevanti, in tutta la frutta, per cui è consigliabile consumarne circa due porzioni al giorno, considerando che insieme a tre porzioni di verdura si raggiungono le ben note cinque porzioni giornaliere che sono alla base di una dieta sana. La parola d’ordine in alimentazione è “variare”. Nel caso di frutta e verdura, è sufficiente variare i colori. Dal rosso al giallo-arancio, dal blu-viola al verde fino al bianco, l’importante è portare in tavola tanti alimenti che contengano sostanze che contribuiscono al corretto funzionamento del nostro organismo. niziativa Arance Rosse della Ricerca, 0,50€ saranno devoluti alla ricerca. Contattando il Comitato regionale AIRC della tua Regione, potrai invece chiedere informazioni su come poter ricevere direttamente un vasetto di miele di fiori di arancia o di marmellata di arance rosse di Sicilia, con un contributo minimo rispettivamente di 7 € e 6 €. Per informazioni sui supermercati che aderiscono all’iniziativa e per verificare i recapiti dei Comitati AIRC, a partire da fine gennaio visita il sito arancedellasalute.it
Insalata di finocchi e arance con sardine cotte al forno Ingredienti per 2 persone • 2 Finocchi • 2 Arance • Filetti di sardine 200 g • Pinoli 20 g • Uno spicchio d’aglio • Timo • Olio EVO • Pepe
Preparazione
Disporre i filetti di sardine in una terrina cosparsa sul fondo con un filo d’olio per evitare che si attacchino. Aggiungere qualche fetta sottile di arancia, uno spicchio d’aglio tagliato a pezzetti, due rametti di timo e condire con un filo d’olio EVO e del pepe a piacere. Coprire con un foglio di alluminio e cuocere per 15 minuti a 180 gradi in forno preriscaldato. Ultimata la cottura rimuovere l’arancia, l’aglio e i rametti di timo. Nel frattempo, pulire il finocchio e pelare le arance con un coltello rimuovendo anche la parte bianca. Tagliare a strisce di circa mezzo centimetro il finocchio e l’arancia a fette. Creare un’emulsione mescolando l’olio EVO con il succo di uno spicchio d’arancia. Infine, tostare leggermente i pinoli in una padella. Unire tutti gli ingredienti nella ciotola e mescolarli con l’emulsione, aggiungendo pepe a piacere e qualche foglia di timo. Impiattare e consumare accompagnando il piatto con del pane, meglio se integrale.
IL MICROSCOPIO
Riflessioni sul 2020 e proiezioni per il 2021 la Ricerca AIRC, “durante l’emergenza Covid le altre patologie, in primo luogo il cancro, non sono entrate in lockdown” e “la ricerca è l’arma vincente”. Ogni giorno in Italia vengono rilevati circa 1.000 nuovi casi di cancro: i casi di screening rinviati o non eseguiti e i rallentamenti nelle procedure diagnostiche per problemi organizzativi legati alla pandemia si traducono in una riduzione delle diagnosi precoci, con il rischio di trovarsi di fronte negli anni a venire all’onda lunga di diagnosi tardive e di necessità terapeutiche più impegnative, con possibili riduzioni delle guarigioni. La ricerca di laboratorio si è per diversi mesi praticamente fermata; molti laboratori sono stati chiusi, i tecnici spesso dirottati verso la diagnostica Covid e le collaborazioni internazionali drasticamente ridotte. Parte della comunità biologica e medica italiana, inclusi molti ricercatori sostenuti da AIRC, si è reindirizzata verso l’infezione da Sars-CoV-2. Se questo dimostra che la ricerca oncologica, provvedendo personale, tecnologie e idee, può essere utile anche per contrastare altre patologie, quale appunto l’infezione da Sars-CoV-2, è altrettanto vero che i suoi rallentamenti ostacolano la comprensione della malattia cancro. Inoltre, le difficoltà organizzative nell’esecuzione e programmazione degli studi clinici sui nuovi farmaci ritardano lo
sviluppo di nuove (e molto necessarie) terapie. In questo difficile contesto generale è però doveroso ricordare che, mentre importanti charity europee quale Cancer Research UK sono state costrette a ridurre sensibilmente il proprio sostegno ai programmi di ricerca, AIRC non ha interrotto le sue attività di sensibilizzazione sul problema cancro e sulla necessità di sostenere i ricercatori e, grazie alla fiducia e alla generosità dei donatori, sta mantenendo i propri impegni nei confronti della comunità scientifica oncologica italiana. Il 2020 è stato comunque un anno molto importante per la ricerca oncologica, come testimoniato dall’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Harvey J. Alter, Michael Houghton e Charles M. Rice per la scoperta del virus dell’epatite C, una conquista fondamentale per la lotta a questa infezione che predispone a malattie croniche gravi come la cirrosi e il cancro del fegato, e del premio Nobel per la chimica a Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier per aver scoperto e sviluppato una tecnica (CRISPR/Cas9) che permette di modificare il genoma in laboratorio, con potenziali importanti applicazioni in oncologia. Nel 2021, a pandemia, ci si augura, superata, occorrerà fare tesoro delle difficoltà incontrate per meglio affrontare il fatto che i successi ottenuti, per quanto importanti, sono ancora largamente insufficienti, soprattutto in alcuni tipi di tumore, nei quali meccanismi essenziali per la crescita e la diffusione tumorale restano ignoti, impedendo di fatto lo sviluppo di approcci terapeutici mirati. AIRC, con il vostro aiuto, continuerà a operare con tenacia e concretezza incoraggiando innovazione, collaborazioni interdisciplinari e pronto trasferimento dei risultati della ricerca alla clinica.
Durante la pandemia le altre malattie non sono affatto scomparse
Federico Caligaris Cappio Direttore scientifico AIRC
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l “Microscopio” di gennaio, tradizionalmente dedicato al bilancio dei risultati scientifici conseguiti e agli impegni propositivi di AIRC, non può prescindere dall’evento cruciale del 2020, la pandemia causata da Sars-CoV-2 e dal suo impatto sui pazienti oncologici e sulle attività di AIRC. Come ha ammonito il Presidente Mattarella nell’annuale cerimonia per la Giornata nazionale della ricerca sul cancro, che si è tenuta il 26 ottobre al Quirinale e ha dato avvio ai Giorni del38 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2021
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