Fondamentale gennaio 2024

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NUMERO 1 - GENNAIO 2024

Numero 1 - gennaio 2024 - Anno LII - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

La rivista di divulgazione scientifica più diffusa in Italia

STEFANIA VOLPE

CANCRO NEI GIOVANI

Una giovane medico-ricercatrice Aumentano i casi di tumore guidata dalla curiosità del colon-retto tra i ragazzi

GIORNI DELLA RICERCA I Giorni di AIRC trasformano la ricerca in cura


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Giulia e Marco per il loro matrimonio hanno scelto le bomboniere AIRC.


Sommario FONDAMENTALE gennaio 2024

06/ VITA DA RICERCATRICE Stefania Volpe

09/ FACCIAMO IL PUNTO

Tumore del polmone

12/

06

VITE PER LA RICERCA Pap-test

14/ NOTIZIE FLASH

... dal mondo

RICERCA E CURA

Una giovane medico-ricercatrice guidata dalla curiosità

16/ CANCRO NEI GIOVANI

Tumore del colon-retto

19/ GUIDA ALLE TERAPIE Chemioterapia

22/

16

IFOM

Medicina di precisione

24/ RUBRICHE

I traguardi dei nostri ricercatori

PREVENZIONE

Aumentano i casi di tumore del colon-retto tra i ragazzi

26/ ALIMENTAZIONE

Obesità infantile

27/ IN MEMORIA

Maria Ines Colnaghi

28/ RACCOLTA FONDI

28

Giorni della Ricerca

30/ TESTIMONIANZE

RACCOLTA FONDI

I Giorni di AIRC trasformano la ricerca in cura

Grandi Donatori

31/ COLLABORAZIONI Partner

FONDAMENTALE

Anno LII - Numero 1 Gennaio 2024 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS Viale Isonzo, 25 - 20135 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A.

DIRETTORE RESPONSABILE Daniele Finocchiaro COORDINAMENTO EDITORIALE Anna Franzetti, Simone Del Vecchio REDAZIONE Simone Del Vecchio, Jolanda Serena Pisano PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE kilowatt.bo.it TESTI Riccardo Di Deo, Fabio Di Todaro, Camilla Fiz, Antonino Michienzi, Michela Vuga FOTOGRAFIE Alberto Gottardo 2023, Getty Images, Giulio Lapone 2023.

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Andrea Sironi Presidente AIRC

STILE DI VITA SANO E SOSTEGNO ALLA RICERCA PER SCONFIGGERE IL CANCRO

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ra pochi giorni, l’ultimo sabato di gennaio – il 27 – i volontari e le volontarie di Fondazione AIRC saranno impegnati nelle principali piazze d’Italia per la campagna delle Arance della Salute. A tutti loro va il mio personale ringraziamento e quello di tutta AIRC. Come noto, la campagna delle arance è dedicata a promuovere la cultura della prevenzione e della diagnosi precoce. Così, abbiamo deciso di dedicare questo numero di Fondamentale a questi temi. Prevenzione vuol dire innanzitutto praticare uno stile di vita sano, attraverso un’alimentazione equilibrata, facendo regolarmente attività fisica ed evitando fumo e alcol. Il tumore del colon-retto, la seconda causa di morte oncologica in Italia, è anche uno di quelli che più spesso sono causati da abitudini e comportamenti non salutari. In diversi Paesi occidentali, i casi di questo tumore stanno aumentando, specialmente tra i più giovani. Alcune recenti ricerche mostrano come una delle cause sia rappresentata proprio dai cambiamenti nello stile di vita degli ultimi decenni. Ne parliamo in un articolo dedicato su questo numero. Il tumore del polmone è un altro dei tumori che possiamo più facilmente prevenire attraverso i nostri comportamenti. Le stime dicono infatti che una percentuale compresa tra l’85 e il 90 per cento dei casi di cancro al polmone sono dovuti al fumo di sigaretta. Smettere di fumare, a qualsiasi età, abbassa significativamente il rischio di ammalarsi, ma i ricercatori AIRC lavorano assiduamente per trovare una cura per chi si è già ammalato o si ammalerà in futuro. Alla ricerca sul tumore al polmone dedichiamo un lungo approfondimento in questo numero di Fondamentale, a partire dall’intervista a Stefania Volpe, una scienziata che si è da poco aggiudicata il nuovo finanziamento Next-Gen Clinician Scientist di AIRC dedicato ai giovani medici-ricercatori. Prevenzione vuol dire anche sottoporsi agli screening per diagnosticare il più presto possibile un tumore. Esistono esami di screening per il tumore al seno, per il tumore al colon-retto e anche per il tumore alla cervice uterina, attraverso l’HPV test e il Pap-test. Quest’ultimo esame fu messo a punto nel 1928 da uno scienziato greco, Georgios Papanicolaou, grazie a una scoperta casuale. Ve la raccontiamo nella rubrica Vite per la ricerca, per ricordarci di quanto è importante continuare a finanziare la ricerca di base, i cui frutti a volte possono essere davvero inaspettati.


Federico Caligaris Cappio Direttore scientifico AIRC

TUTTO SEMBRA IMPOSSIBILE FINCHÉ NON LO FAI

I

l “Microscopio” di gennaio è l’occasione tradizionale per riflettere sui risultati scientifici conseguiti e sugli impegni propositivi di AIRC. In occasioni come questa, assume un particolare significato la celebre frase di Nelson Mandela “Tutto sembra impossibile finché non lo fai”. I ricercatori sostenuti da AIRC hanno raggiunto negli ultimi anni traguardi scientifici significativi, che hanno reso appunto possibili nuove terapie di precisione e determinato importanti successi in un’ampia, purtroppo ancora troppo limitata, gamma di tumori. Esempi di risultati ottenuti nel 2023 sono gli studi di immunoterapia con le cellule CAR-T nei tumori solidi e nelle leucemie acute pediatriche refrattarie al trattamento; la miglior comprensione del ruolo del microbiota – l’insieme dei microorganismi che vivono in molti nostri organi – nell’evoluzione di alcune neoplasie; gli studi clinici innovativi sulla terapia chemo-free nella leucemia linfoblastica acuta dell’adulto; e il ruolo della biopsia liquida nei tumori del colon-retto, che, scoprendo lesioni altrimenti invisibili anche alla diagnostica radiologica più raffinata, permette di adattare la terapia alle caratteristiche biologiche del singolo paziente. La ricerca si traduce quindi in ricadute concrete e vantaggiose in termini di diagnosi precoce e nuovi trattamenti. Purtroppo non con la rapidità che i ricercatori, e soprattutto i pazienti e le loro famiglie, vorrebbero, ma certamente in maniera costante, continua e progressiva. I risultati ottenuti dai ricercatori AIRC nei diversi tumori si intrecciano e favoriscono quel processo di scambio e arricchimento reciproco (in inglese cross-fertilization) essenziale nel mondo scientifico. Per potenziare questo processo, AIRC ha organizzato nel 2023 un incontro scientifico tra gli studiosi che lavorano ai programmi sulle metastasi finanziati nell’ambito del bando 5 per mille: lo scopo era presentare e dibattere i risultati raggiunti ragionando sulle possibili evoluzioni delle diverse ricerche. I progressi conoscitivi, le collaborazioni interdisciplinari e le interazioni anche internazionali permettono ai ricercatori di avere nuove idee da sviluppare e di individuare nuovi percorsi di indagine che le tecnologie attuali rendono praticabili. AIRC ha accresciuto la competitività internazionale della ricerca oncologica italiana perché da sempre si impegna a premiare il merito e l’eccellenza, stimolare collaborazioni, garantire tempi certi e continuità dei finanziamenti, ma anche a innovare le modalità di finanziamento della ricerca per identificare gli schemi più adeguati ai tempi e alle esigenze che cambiano. Esistono purtroppo ancora numerosi tumori per cui l’attuale conoscenza dei meccanismi di sviluppo e diffusione è largamente incompleta. Questi sono per esempio i tumori cerebrali, pancreatici e ovarici, che rappresentano per medici e pazienti un onere particolarmente gravoso e su cui è necessario concentrare un ulteriore impegno. AIRC è fermamente convinta che la ricerca disegnerà un futuro migliore anche per questi tipi di cancro. È però imprescindibile offrire sempre maggiori risorse ai ricercatori meritevoli. Avere maggiori risorse significa avere maggiori probabilità di successo e quindi rendere possibile un impatto sempre migliore sui pazienti. Maggiori risorse sono indispensabili anche per investire sui giovani, sulla forza di nuovi talenti che AIRC si adopera per riconoscere, coltivare e incoraggiare, per il bene del paese. La missione di AIRC, trovare la cura del cancro attraverso la ricerca, diventa in questo modo sempre più possibile.


Vita da ricercatrice Stefania Volpe

UNA GIOVANE MEDICO-RICERCATRICE GUIDATA DALLA CURIOSITÀ In questo articolo: — RADIOTERAPIA — TUMORE DEL POLMONE — BANDI PER GIOVANI RICERCATORI

Stefania Volpe ha coltivato la sua passione per la scienza fin da bambina, e oggi guida il suo primo gruppo di ricerca AIRC occupandosi di radioterapia per il tumore al polmone

a cura di Michela Vuga

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“H

o sempre voluto diventare astrofisica e invece poi, quando è arrivato il momento di decidere davvero cosa fare da grande, ho scelto un altro tipo di radiazioni: non quelle delle stelle, ma quelle che curano il cancro.” Sorride Stefania Volpe, medico oncologo radioterapista dello IEO – Istituto europeo di oncologia IRCCS di Milano –, nel ripercorrere gli anni di studio e formazione, che l’hanno portata prima a laurearsi in medicina e chirurgia all’Università degli studi di Milano, città dov’è nata e cresciuta, poi a specializzarsi in radioterapia, ottenere un dottorato di ricerca in biologia computazionale presso la Scuola europea di medicina molecolare (SEMM) e infine vincere il primo bando Next Gen Clinician Scientist, che Fondazione AIRC dedica ai giovani medici-ricercatori con meno di 45 anni. Ascoltandola si percepisce che a spingerla e, se vogliamo, a guidarla è stata in particolare la curiosità.

/ Vita da ricercatrice / Stefania Volpe


DALL’ASTROFISICA ALLA MEDICINA “Quand’ero bambina, a metà degli anni Novanta, in edicola c’erano diverse raccolte a fascicoli dedicate alla scienza: io ero molto curiosa e me ne facevo comprare un po’ di tutti i tipi, ma quelle di astronomia mi avevano particolarmente affascinata. E quindi per buona parte della mia vita ho pensato che avrei fatto l’astrofisica.” Al liceo scientifico, però, l'impatto con la biologia molecolare, gli oncogeni e i geni oncosoppressori avvicina Stefania per la prima volta all’oncologia.

diation Oncology sotto la direzione di Clifton David Fuller. “Innanzitutto, il clima di collaborazione internazionale mi è piaciuto molto, ho incontrato colleghi provenienti da tutto il mondo. E poi lavorare con il professor Fuller è stata un’esperienza significativa: è un uomo molto eclettico che concepisce la ricerca come divertimento, come curiosità. Quindi, parlando con lui, tutto lo stress con cui in qualche modo hai a che fare lavorando in questo ambito si alleggeriva.” Due anni dopo, per sei mesi va a Nizza, in Francia, al Centre Antoine Lacassagne,

L’aspetto emotivo e quello scientifico della medicina sono stati i motori principali che mi hanno spinta a dedicarmi a questa disciplina “È il lato umano della medicina che alla fine mi ha fatto cambiare idea: la vicinanza del medico al paziente, alla sua sofferenza. Questi due aspetti della disciplina, quello emotivo e quello scientifico, sono stati i motori principali della decisione di studiare medicina.” A quel punto Stefania si immaginava oncologo medico, ma poi, quando è stato il momento di scegliere la specialità, il caso e la curiosità l’hanno portata a optare per radioterapia: “E mi è piaciuta da subito, perché alla componente clinica che mi interessava fin dall’inizio si affiancava quella tecnologica, che mi ha conquistata. Inoltre, in pochi sono consapevoli che è un trattamento cardine in oncologia e che circa il 60 per cento dei pazienti guariti da cancro è stato trattato con radioterapia, da sola o in combinazione con altri trattamenti, come la chirurgia e la chemioterapia”.

dove svolge sia attività clinica sia di ricerca, occupandosi in particolare di protonterapia, un tipo di cura che utilizza protoni invece dei fotoni tipici della radioterapia. Si tratta di un trattamento di estrema precisione, che si impiega nei tumori posizionati vicino a organi o a strutture nobili come il cuore o il cervello. “È un’esperienza che ricordo con piacere: mentre ero a

Nizza ho ampliato il mio background clinico e ho lavorato alla mia tesi di specialità sui tumori pediatrici.” CONCILIARE CLINICA E RICERCA Il ruolo di Stefania come medico radioterapista e ricercatrice rende la sua giornata piuttosto varia, ma sempre lunga e impegnativa. Ci sono giorni in cui Stefania si dedica più alla clinica, quindi ai pazienti, e giorni in cui riserva più tempo allo studio, al pensare, allo scrivere lavori scientifici. “È una grande opportunità poter fare sia il medico sia il ricercatore; allo IEO è possibile farlo ed è uno stimolo continuo. Per questo quando ho saputo della pubblicazione del primo bando Next Gen Clinician Scientist ho subito pensato che fosse un’occasione unica per presentare la mia idea.” Il progetto che Stefania porta avanti è focalizzato sul tumore del polmone non a piccole cellule, la forma più diffusa (85 per cento di tutte le diagnosi), e si concentra sui pazienti con tumore in stadio iniziale. È uno studio osservazionale, quindi non va a modificare i percorsi di cura ma si pone l’obiettivo di studiare i meccanismi di risposta alla radioterapia stereotassica, un trattamento che permette di erogare un’alta dose di radiazioni su tumori di piccole dimensioni. “Si tratta di pazienti fragili che non possono

Stefania Volpe con il suo gruppo di ricerca

L’ESPERIENZA ALL’ESTERO Durante la scuola di specialità, nel 2017, per sei mesi Stefania si trasferisce negli Stati Uniti, a Houston in Texas, all’MD Anderson Cancer Center, dove fa ricerca alla Division of Ra/ Vita da ricercatrice / Stefania Volpe

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UN PODCAST FONDAMENTALE Questo articolo sarà disponibile in versione podcast. Scopri dove ascoltarlo inquadrando il QR Code.

affrontare l’intervento chirurgico e ai quali, quindi, viene proposta la radioterapia. Il problema è che alcuni non rispondono bene quanto vorremmo e non sappiamo il perché.” Lo scopo

NEXT GEN CLINICIAN SCIENTIST GRANT Il Next Gen Clinician Scientist Grant è un nuovo bando di AIRC rivolto ai giovani medici-ricercatori con meno di 45 anni. Nasce per sostenere i progetti che riguardano le aree della ricerca clinica oncologica nelle quali ancora mancano sufficienti opzioni terapeutiche, e si pone l’obiettivo di creare un nuovo gruppo di giovani scienziati che si dedicano a quell'ambito. In questo modo, garantisce che i giovani medici interessati ad affiancare alla propria pratica clinica un’attività di ricerca ricevano il sostegno necessario a sviluppare le proprie idee al servizio dei malati oncologici.

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è dunque individuare quali fattori possono permettere di prevedere se i pazienti risponderanno o meno alla radioterapia. Come? Il gruppo di Stefania partirà dalle informazioni genomiche, relative alle alterazioni molecolari del tumore, e le integrerà con quelle ottenute grazie alla radiomica, che permette di estrarre dati quantitativi dalle immagini radiologiche, comprese informazioni su caratteristiche del tumore che non possono essere viste dall’occhio umano. “Il passo successivo è costruire dei modelli complessi che ci permettano di capire meglio quali malattie siano più aggressive e quali potrebbero eventualmente beneficiare di trattamenti aggiuntivi anche quando la malattia è in fase iniziale.” VIAGGI, FOTO, LIBRI E LINGUE La curiosità è uno stimolo anche al di fuori del lavoro. Stefania ama visitare Paesi stranieri, e quello che le è rimasto nel cuore è il Vietnam. Mentre viaggia riemerge inoltre la sua passione per la fotografia: quando aveva più tempo da dedicare a questo hobby aveva un approccio più ragionato e più tecnico, le piaceva andare alla ricerca di luoghi e volti da ritrarre. Ma ora gli scatti diciamo “ricercati” rimangono limitati all’esperienza di viaggio. Oltre all’italiano parla inglese e francese e da poco studia l’arabo: “Per curiosità, ma in questo caso anche per

sfida. Volevo imparare una lingua tra quelle che sembrano così inaccessibili, volevo provare a decifrarla. Ero attratta dal cinese, che però non ha un alfabeto e per questo mi sembrava troppo complicato. Alla fine ho scelto l’arabo che invece un alfabeto ce l’ha. Mi piace e mi rilassa studiare le lingue”. Infine, i libri: ora sta leggendo un romanzo di Jonathan Coe, Middle England, una saga familiare che ripercorre la storia britannica, e ha iniziato Tre ciotole di Michela Murgia. “Leggo di tutto, ma non amo particolarmente i gialli, perché non ho pazienza e salto direttamente all’ultima pagina!” L’AFORISMA DI MARCEL PROUST “Tutto ciò che i medici sanno è insegnato loro dai malati” è l’aforisma di Marcel Proust che per Stefania indica la rotta da tenere. “Nel mio lavoro ci insegnano a osservare e ad ascoltare, ed è vero che dal punto di vista clinico impariamo proprio tanto dai malati. Mi ricordo una frase che pronunciava spesso un mio professore quando studiavo medicina: diceva che quanto i pazienti non dicono è colpa nostra, perché avremmo dovuto chiedere. Voleva ricordarci l’importanza della curiosità e dell’attenzione. E mi rendo conto che anche gli spunti per nuove ricerche spesso vengono da domande cliniche che non hanno ancora una risposta ottimale. Ecco perché è una citazione che porto con me.”

/ Vita da ricercatrice / Stefania Volpe


Facciamo il punto Tumore del polmone

In questo articolo: — SCREENING — IMMUNOTERAPIA — FIBROBLASTI

LOTTA AL FUMO E DIAGNOSI PRECOCE PER AFFRONTARE IL CANCRO AL POLMONE Il carcinoma polmonare è una delle neoplasie più letali, perché molto spesso viene diagnosticato quando è ormai in stadio avanzato. La priorità dei ricercatori è quindi riuscire a mettere a punto un test di screening efficiente ed efficace per una diagnosi sempre più precoce a cura di Michela Vuga

/ Facciamo il punto / Tumore al polmone

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no dei sistemi più efficaci per risolvere i problemi è spesso cambiare il punto di vista con cui li si affronta. È quello che è successo per il tumore del polmone: negli ultimi anni, infatti, la ricerca è passata da una visione centrata solo sulla cellula tumorale a una più allargata, che include anche il microambiente che circonda le cellule tumorali e dunque quell’insieme di molecole, cellule, tessuti e strutture che il cancro “corrompe e arruola” per favorire la propria crescita. “Abbiamo assistito a una sorta di rivoluzione copernicana che ha investito la ricerca preclinica, traslazionale e clinica” afferma Gabriella Sozzi, che dirige la Struttura complessa epigenomica e biomarcatori dei tumori solidi all’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Il tumore polmonare è un sistema complesso; studiarlo nel suo insieme ha aperto la strada alla personalizzazione delle cure, e come conseguenza oggi

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disponiamo di farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapici, i due tipi di trattamenti che in anni recenti hanno cambiato le terapie oncologiche. La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi per questo tumore resta però ancora bassa, 16 per cento negli uomini e 23 per cento nelle donne, ed è legata al ritardo diagnostico: solo una percentuale limitata di neoplasie del polmone viene infatti individuata in una fase precoce in cui è possibile intervenire chirurgicamente; molto più spesso, in 8 casi su 10, il cancro si scopre in uno stadio avanzato o metastatico, quando è inoperabile ed è difficile che le altre terapie possano fare la differenza. “La nuova frontiera è la diagnosi precoce: gli studi fin qui condotti, compresi i nostri sostenuti da AIRC, mostrano chiaramente che anticipando la diagnosi si ottiene una riduzione nella mortalità del 40 per cento” precisa Sozzi. LE CARATTERISTICHE DEL TUMORE AL POLMONE Il tumore del polmone è la principale causa di morte per cancro nel mondo con quasi 1,8 milioni di decessi, che nella maggior parte dei casi sarebbero evitabili perché legati al fumo di tabacco. In Italia, nello specifico, su circa 43.000 nuove diagnosi annue di tumori polmonari circa l’85-90 per cento è dovuto al fumo, che, non di-

LA SVOLTA DI IMMUNOTERAPIA E TERAPIA A BERSAGLIO MOLECOLARE Una delle più importanti novità in ambito terapeutico è la dimostrazione dell’efficacia dell’immunoterapia non solo nella malattia avanzata, dove è già impiegata, ma anche in un contesto precoce. “Gli studi rivelano che, nella malattia in fase iniziale, l’immunoterapia somministrata prima della chirurgia (cosiddetta neoadiuvante), anche associata alla chemioterapia, consente di incrementare sensibilmente la sopravvivenza. Ma c’è di più: dalle analisi effettuate sui tessuti rimossi con l’intervento chirurgico non emerge la presenza di cellule tumorali, e questo significa che è stata raggiunta la risposta patologica completa. L’immunoterapia porta anche all’attivazione del sistema immunitario, che produce le cosiddette cellule-memoria in grado di riconoscere il tumore in caso di recidive o metastasi.” Nella cura del tumore polmonare ricoprono un ruolo decisivo anche i farmaci a bersaglio molecolare: esattamente com’è successo per l’immunoterapia, in un primo momento sono stati usati in caso di malattia avanzata e ora vengono utilizzati anche per trattare la malattia precoce, con l’obiettivo di ridurre il rischio di recidiva. In particolare è importante ricordare gli anticorpi diretti contro

Nella malattia in fase iniziale, l’immunoterapia somministrata prima della chirurgia consente di incrementare la sopravvivenza mentichiamo, è anche strettamente legato allo sviluppo di altri 17 tipi di cancro. Il tumore del polmone si distingue essenzialmente in due forme: quello non a piccole cellule (in sigla NSCLC – Non-Small Cell Lung Cancer) che rappresenta circa l’85 per cento dei casi, e quello a piccole cellule, o microcitoma (in sigla SCLC, Small Cell Lung Cancer), in circa il 10-15 per cento dei casi.

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le mutazioni del gene EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor, recettore del fattore di crescita epidermico), presente in circa il 20 per cento dei tumori polmonari non a piccole cellule. Uno di questi anticorpi è osimertinib, un inibitore dell’attività tirosin-chinasi del gene EGFR. Il suo utilizzo in adiuvante, ovvero dopo la chirurgia, ha dimostrato di migliorare molto la sopravvivenza, con quasi il 90 per

cento dei pazienti ancora vivo a cinque anni dalla diagnosi. Per utilizzare questi trattamenti è però fondamentale la caratterizzazione molecolare, che permette di stilare una sorta di carta d’identità del tumore evidenziandone le alterazioni genetiche. LO SCREENING PER LA DIAGNOSI PRECOCE Per salvare più vite possibili si punta alla diagnosi precoce, e in tal senso il gruppo di Gabriella Sozzi ha dato un contributo decisivo con lo studio bioMild. I risultati di questa indagine hanno dimostrato che l’associazione della Tac spirale toracica a basso dosaggio di radiazioni (LDCT) e del test dei microRNA nel sangue (che identifica alcuni biomarcatori di tumore polmonare) consente di identificare i soggetti che hanno un rischio 30 volte superiore di ammalarsi. Il test è particolarmente utile in chi presenta piccoli noduli al polmone identificati con LDCT, ma dei quali solo una piccola quota è davvero maligna. Implementare gli screening per la diagnosi precoce dei tumori è uno degli obiettivi prioritari del Piano europeo contro il cancro del 2021, e in quest’ambito nel 2022 è partito il programma RISP – Rete italiana screening polmonare. Si tratta di un progetto pilota finanziato dal Ministero della salute che coinvolge 18 centri italiani, coordinati dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano. RISP prevede il reclutamento di circa diecimila forti fumatori o ex fumatori, che pertanto hanno un rischio elevato di ammalarsi di cancro del polmone, per monitorarli periodicamente con LDCT e poter così scoprire la malattia quando è in una fase iniziale. Su questa base si spera, in un prossimo futuro, di estendere lo screening per la diagnosi precoce del tumore polmonare a tutta la popolazione che risponde a determinati criteri, aggiungendolo a quelli già offerti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale. I FIBROBLASTI CHE PREPARANO IL TERRENO AL CANCRO Tornando alle ricerche più promettenti, “un filone molto interessante riguarda i fibroblasti, cellule stromali destinate a sostenere i tessuti, for-

/ Facciamo il punto / Tumore al polmone


In un prossimo futuro si spera di estendere lo screening per il tumore polmonare a tutta la popolazione che risponde a determinati criteri nendo l’impalcatura, e a preservarne l’integrità, ma che il tumore riesce a ‘corrompere’ in modo che assumano caratteristiche pro-tumorigeniche” spiega Sozzi. “Per interrompere l’interazione tumore-fibroblasti è strategico comprendere i meccanismi che la regolano. Uno studio pubblicato recentemente su Cancer Discovery ha individuato delle sottopopolazioni di fibroblasti che, essendo strutture di impalcatura, formano delle vere e proprie barriere fisiche, che impediscono il riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario, più precisamente da parte dei linfociti T deputati a distruggerle.” Questi specifici fibroblasti sono un nuovo

bersaglio a cui mirare nell’intento di fermare il cancro. “Noi abbiamo studiato anche i fibroblasti polmonari sani, ottenuti dal tessuto normale, e abbiamo individuato alcune alterazioni che di fatto precedono l’insorgenza del tumore: sono l’esito dell’esposizione ai cancerogeni del fumo che modificano il microambiente stromale, l’impalcatura del polmone. Queste alterazioni presenti nei fibroblasti sani inducono il microambiente stromale a prepararsi a creare una sorta di nicchia pre-metastatica, pronta ad accogliere le cellule tumorali e a farle crescere.” Un risultato che dovrebbe far riflettere i fumatori sulla catena di eventi a cui può dare il via anche una singola sigaretta.

29.300

14.600

UOMINI

DONNE

colpiti da tumore al polmone in Italia nel 2022

colpite da tumore al polmone in Italia nel 2022

16%

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sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi negli uomini in Italia

sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi nelle donne in Italia

/ Facciamo il punto / Tumore al polmone

UN PODCAST FONDAMENTALE Questo articolo sarà disponibile in versione podcast. Scopri dove ascoltarlo inquadrando il QR Code.

AIRC E TUMORE AL POLMONE PER IL 2023

6.800.000 euro destinati alla ricerca

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progetti e borse di studio sostenute

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Vite per la ricerca Pap-test

IL CASO AIUTA LE MENTI PREPARATE: LA STORIA DEL PAP-TEST In questo articolo: — TUMORE DELLA CERVICE UTERINA — SCREENING — SERENDIPITÀ

La scoperta dell’esame che permette di diagnosticare precocemente il tumore della cervice uterina è stata un evento casuale, frutto dell’intuizione dello scienziato greco Georgios Papanicolaou a cura di Massimo Temporelli

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el complesso e affascinante tessuto della ricerca scientifica moderna, ogni piccolo avanzamento è il frutto di un percorso lungo e tortuoso, un viaggio che si snoda attraverso anni di studi e indagini approfondite. Questo cammino è sostenuto da un impegno considerevole in termini di risorse finanziarie, intellettuali e di tempo, di cui la comunità scientifica e chi la sostiene si fa carico. È un processo molto strutturato e organizzato, fondamentale per far funzionare l’attività scientifica e portare avanti gli studi. A volte, però, può capitare che, per un evento fortuito, nel corso delle ricerche si raggiungano dei risultati inaspettati, ottenuti mentre si stava studiando tutt’altro. È in questi casi che si parla di serendipità, un fenome-

/ Vite per la ricerca / Pap-test


no che ha avuto un grande ruolo in una scoperta importante per la prevenzione e la diagnosi precoce del cancro. La parola “serendipità” deriva da “Serendip”, il nome con cui veniva chiamato in passato lo Sri Lanka. Fu lo scrittore inglese Horace Walpole a introdurre il termine nel linguaggio moderno, ispirato dalla storia dei “Tre principi di Serendippo”, nella quale appunto i protagonisti scoprivano accidentalmente cose che non stavano cercando. Questo concetto, quindi, è diventato emblematico di un processo creativo che può portare a risultati sorprendenti. Proprio questo affascinante processo è alla base della scoperta di Georgios Papanicolaou, il medico che ha trasformato l’approccio alla prevenzione e alla diagnosi del cancro alla cervice uterina. Nato alla fine dell’Ottocento in Grecia, Papanicolaou fin da giovane amava le lettere e le arti umanistiche, ma, sotto la guida del padre, si orientò presto verso la medicina, avviando una carriera che lo vide collaborare con alcuni dei nomi più prestigiosi nel campo della biologia del suo tempo. La sua vera passione era l’attività di laboratorio, e passava molto tempo a scrutare le strutture biologiche attraverso il microscopio. Questo amore per la ricerca lo portò a emigrare negli Stati Uniti nel 1913, all’età di trent’anni. Qui fece la grande scoperta che avrebbe definito la sua carriera. La svolta avvenne quasi per caso, nel contesto del Cornell Medical College di New York. Mentre conduceva ricerche sui porcellini d’India per studiare la differenziazione sessuale, Papanicolaou osservò che le cellule vaginali delle cavie subivano variazioni durante il ciclo sessuale. Decise allora di verificare se le variazioni si riscontrassero anche nei campioni umani. Ma, nel corso dei suoi studi, gli capitò di osservare del materiale prelevato da una donna con cancro cervicale, e si accorse di alcune anomalie nelle cellule. Confrontando il campione con quello di altre pazienti con lo stesso tumore, capì che quelle anomalie erano comuni a tut-

/ Vite per la ricerca / Pap-test

te le malate, e che queste cellule potevano fungere quindi da indicatori precoci della malattia. Sviluppò allora un metodo per la sua rilevazione precoce, noto oggi come il test di Papanicolaou, o Pap-test.

La scoperta di Georgios Papanicolaou è un esempio di come la ricerca di base, spesso sottovalutata per la sua mancanza di applicazioni immediate, possa portare a innovazioni rivoluzionarie con impatti a lungo termine sulla salute pubblica Papanicolaou pubblicò i risultati ottenuti nel 1928, ma inizialmente la sua ricerca non fu apprezzata dalla comunità scientifica. Solo in seguito, con il riconoscimento del suo valore pionieristico, il Pap-test è diventato uno dei metodi di screening più efficaci, contribuendo significativamente alla riduzione della mortalità per cancro alla cervice uterina a partire dagli anni Cinquanta. Come oggi sappiamo, la prevenzione è un pilastro fondamentale nella lotta contro il cancro, essenziale per ridurre l’incidenza dei tumori e migliorare le probabilità di successo del trattamento. Oltre ad averci regalato uno strumento fondamentale per la prevenzione grazie alla diagnosi precoce del tumore della cervice uterina, la storia di Papanicolaou è anche un chiaro esempio di come la ricerca di base, spesso sottovalutata per la sua mancanza di applicazioni immediate, possa portare a innovazioni rivoluzionarie con impatti a lungo termine sulla salute pubblica. Ecco perché servono fondi, lungimiranza, tempo e ricercatori appassionati e preparati, che sappiano cogliere

ogni opportunità dalle loro osservazioni. Come avrebbe detto Louis Pasteur, “il caso aiuta solo le menti preparate”. La ricerca di base crea i presupposti per queste scoperte, ma affinché produca risultati servono pazienza, curiosità e una visione a lungo termine, qualità fondamentali per il progresso scientifico. La ricerca sul cancro ha fatto passi da gigante da quando Papanicolaou ha introdotto il suo test, ma nei laboratori si continuano a cercare nuove strade per la diagnosi precoce e la cura. Oggi, la genomica e la biologia molecolare stanno aprendo nuove frontiere nella comprensione e nel trattamento del cancro. La terapia personalizzata, che utilizza informazioni genetiche per adattare i trattamenti ai singoli pazienti, è diventata una realtà in molti casi di tumore. Questi sviluppi sono il risultato diretto dell’investimento continuo in ricerca scientifica, che è essenziale per scoprire nuovi modi per combattere la malattia. Disciplina, passione e magari un’altra scoperta serendipica potrebbero fare emergere una nuova rivoluzione.

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Notizie flash

... DAL MONDO a cura di Fabio Di Todaro

TUMORE DELLA VESCICA: VERSO UN FUTURO CON MENO CISTECTOMIE?

CHIRURGIA ONCOLOGICA: INTERVENTI PIÙ PRECISI CON L’IMAGING A FLUORESCENZA

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ei casi in cui è possibile, se i linfonodi non sono intaccati dalla malattia e non ci sono metastasi, la rimozione chirurgica della vescica (cistectomia radicale) rappresenta la prima linea di trattamento per il tumore della vescica infiltrante. Ma l’intervento non è privo di conseguenze: il tasso di mortalità a 90 giorni è del 6-8 per cento, e l’operazione prevede di rimuovere altri organi pelvici sia negli uomini (prostata, vescicole seminali e dotti deferenti) sia nelle donne (utero, annessi uterini e parete anteriore della vagina). Inoltre, è poi necessario creare una deviazione per la fuoriuscita delle urine. Per questo la comunità scientifica è al lavoro per trovare una soluzione altrettanto efficace che riduca l’invasività del trattamento. Secondo uno studio di fase 2 pubblicato su Nature Medicine, la resezione transuretrale della malattia (oggi destinata soltanto ai pazienti con malattia non muscolo-invasiva), seguita da quattro cicli di chemioterapia (gemcitabina e cisplatino) e immunoterapia (nivolumab), potrebbe consentire di preservare l’organo ed evitare una recidiva in quasi 1 paziente su 2 (43 per cento). Al di là dei dati, da consolidare oltre i 30 mesi di osservazione della ricerca, rimane da chiarire quale sia il profilo dei pazienti più adatti a ricevere questo trattamento, e se possa valere la pena curarli anche con la radioterapia, per ridurre il rischio di doverli comunque sottoporre a una cistectomia più avanti nel tempo.

Una possibile nuova strategia di trattamento per preservare l’organo 14 / Fondamentale / Gennaio 2024

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endere le metodiche di imaging sempre più accurate potrebbe permettere di asportare un tumore con precisione millimetrica, preservando i tessuti sani circostanti. Un supporto, in questo senso, può giungere dalla fluorescenza. In particolare, un gruppo di ricercatori dell’Harvard Medical School ha scoperto che, iniettando il colorante verde indocianina nel tessuto tumorale, questo emette radiazioni per una durata di tempo maggiore rispetto ai tessuti sani. Lo sfasamento permette di distinguere le cellule tumorali (sia al microscopio sia con metodiche di imaging, quali la Tac e la risonanza magnetica) con una precisione superiore al 97 per cento. E questo indipendentemente dalla forma di cancro da trattare in sala operatoria. La metodica è stata testata in pazienti affetti da tumori ossei e dei tessuti molli, della mammella, del rene e del colon-retto, e le conclusioni della ricerca sono state pubblicate sulla rivista Nature Biomedical Engineering.

/ Notizie flash


DAL DICLOROACETATO UNA SPERANZA PER TRATTARE LA FATIGUE DA CANCRO?

YB-1: UN NUOVO TARGET PER COLPIRE IL MESOTELIOMA PLEURICO?

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a frequenza varia con la diagnosi di cancro. Ma la quasi totalità dei malati oncologici ha conosciuto la fatigue, ovvero quel senso di stanchezza persistente correlata alle terapie che interferisce con le normali attività quotidiane. Un effetto collaterale che rischia di minare anche l’aderenza alle cure e per cui al momento non esiste un trattamento al di là di quelli sintomatici. Nell’ottica di migliorare la qualità di vita dei pazienti, qualcosa inizia a muoversi anche in questo ambito. Secondo le conclusioni di uno studio pubblicato sull’American Journal of Physiology, Endocrinology and Metabolism, la risposta terapeutica migliore potrebbe aversi con il dicloroacetato (attivatore dell’ossidazione del glucosio). I ricercatori dello Yale Cancer Center (New Haven) ne hanno testato l’efficacia su un pool di ratti affetti da melanoma. Senza alterare la risposta all’immunoterapia e alla chemioterapia, il composto (negli Stati Uniti utilizzato per il trattamento dell’acidosi lattica) ha preservato la funzione fisica e la motivazione anche negli animali con una malattia avanzata. “Si tratta del primo intervento focalizzato sul metabolismo per provare a prevenire l’affaticamento correlato alle cure oncologiche” hanno spiegato gli autori dell’articolo.

/ Notizie flash

l mesotelioma pleurico è un tumore del torace che mostra ancora un tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi inferiore al 15 per cento. I ricercatori dell’Università di Vienna hanno scoperto e descritto, in un articolo pubblicato sulla rivista Cancer Letters, un nuovo possibile target da colpire per migliorare la sensibilità alle cure (chemio e radioterapia) dei pazienti colpiti da questo tipo di cancro. Si tratta dell’oncogene YB-1, che, se silenziato per mezzo di una istone-deacetilasi, potrebbe rallentare in maniera significativa la crescita della malattia. La somministrazione dell’enzima, negli esperimenti condotti nei ratti, ha migliorato anche l’assorbimento del cisplatino e di conseguenza la sensibilità alla chemioterapia. Evidenze rese più confortanti da analoghi precedenti raccolti (sempre a livello preclinico) nel trattamento del tumore del polmone a piccole cellule (microcitoma).

Silenziare l’oncogene YB-1 potrebbe rallentare la crescita della malattia

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Cancro nei giovani Tumore del colon-retto

AUMENTANO I CASI DI TUMORE COLORETTALE TRA I RAGAZZI In questo articolo: — ALIMENTAZIONE SANA — RICERCA DEL SANGUE OCCULTO NELLE FECI — MICROBIOTA

Negli ultimi 30 anni sono cresciuti i casi di tumore al colon-retto tra i giovani. Le cause non sono ancora chiare, ma abitudini alimentari e comportamenti non salutari sono tra i principali indiziati

a cura di Camilla Fiz

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iamo abituati a pensare al tumore del colon-retto come a una malattia che riguarda prevalentemente gli adulti avanti con l'età, perché chi ne è colpito al momento della diagnosi ha in media tra i 50 e i 75 anni. Le evidenze raccolte più di recente, però, mostrano che sono sempre più numerosi i casi di tumore al colon-retto a esordio precoce, definiti così quando coinvolgono persone con meno di 50 anni. Secondo le stime, negli Stati Uniti nel 2030 l’11 per cento dei tumori al colon e il 23 per cento di quelli al retto riguarderà i giovani, soprattutto nella fascia d’età dai 20 ai 34 anni. Guardando al passato recente, dal 1990 al 2019, a livello globale i casi di carcinoma colorettale a esordio precoce sono più che raddoppiati, da 95.737 a 226.782 casi, con un aumento costante tra il 2 e il 4 per cento ogni anno. L’incremento maggiore ha riguardato i ragazzi al di sotto dei 30 anni. In parallelo sono aumentati anche i numeri dei decessi legati alla malattia in queste fasce d’età. Se nel 1990 per il tumore colorettale in età precoce morivano quasi 51.000 persone, nel 2019 sono state più di 87.000. Tutto questo

/ Cancro nei giovani / Tumore del colon-retto


accade mentre diminuiscono i casi di carcinoma colorettale nelle persone con più di 50 anni, grazie alla maggiore partecipazione agli esami di screening e di diagnosi precoce. Oggi i dubbi sul carcinoma colorettale a esordio precoce sono ancora molti, perché non conosciamo con certezza le cause di questa crescita e le caratteristiche biologiche della malattia giovanile. Dal confronto dei dati di diversi Paesi emerge che il fenomeno è globale, anche se non è distribuito in modo omogeneo. Per comprendere come prevenire questi casi e curarli al meglio, bisognerà svolgere approfonditi studi multidisciplinari su bambini e adolescenti, una fascia della popolazione in genere non coinvolta nelle indagini sul tumore colorettale. LE POSSIBILI CAUSE DELLA CRESCITA Sorge spontaneo pensare che tumori in età così precoce siano ricollegabili a qualche componente ereditaria. In realtà, secondo i pochi dati disponibili al momento, questi fattori non sembrano prevalere su quelli ambientali e comportamentali. Le evidenze raccolte finora suggeriscono che tra il 14 e il 25 per cento dei casi di tumore colorettale a esordio precoce siano associati a mutazioni genetiche presenti alla nascita che predispongono al rischio oncologico. Una parte di queste mutazioni sono quelle che portano alle sindromi di Lynch e alla poliposi adenomatosa familiare, fattori di rischio già noti per questo tipo di tumore. Le altre mutazioni, invece, non sono state collegate in modo specifico al tumore colorettale ed è ancora da comprendere il loro ruolo nello sviluppo della malattia. Peraltro, finora non è stato riscontrato un aumento di queste mutazioni nella popolazione, per cui la componente ereditaria da sola non può giustificare un incremento così significativo dei casi. Sembra quindi che tra i maggiori indiziati vi siano soprattutto altri fattori, come una maggiore esposizione a tossine, un elevato uso di antibiotici, che comprometterebbe la composizione del microbiota, e l'aumento della diffusione di obesità e sedentarietà tra i ragazzi. È stato dimostrato infatti che il tumore del colon-retto a esor-

dio precoce è associato alla presenza di sindrome metabolica, ipertensione e iperglicemia, condizioni già note per essere associate a un peso sopra la norma. All’origine di questi fattori di rischio ci potrebbe essere proprio l’adozione di una dieta cosiddetta “occidentale” fin dagli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra le caratteristiche di questo tipo di alimentazione c’è per esempio un consumo elevato di bevande molto dolci e zuccherate e di carne rossa e processata. Tali abitudini possono alterare gli equilibri del microbiota, l’insieme di microrganismi presenti nel nostro corpo e soprattutto nell’apparato digerente, favorendo uno stato di infiammazione cronica e aumentando il rischio oncologico. Lo prova anche il fatto che i Paesi dove si è osservata la maggiore crescita di tumori colorettali tra i giovani sono gli stessi che hanno acquisito nel tempo abitudini alimentari tipicamente occidentali, come Sud Corea, Giappone, Taiwan e Hong Kong. In controtendenza va invece l’Italia: dal 1990 al

comprendere meglio le caratteristiche di questa neoplasia e le cause dell’aumento in un’età così precoce sarà quindi necessario studiare la questione sotto diversi punti di vista. Obiettivo fondamentale è riuscire a profilare questo tipo di tumore dal punto di vista molecolare, per identificare le mutazioni genetiche e le alterazioni epigenetiche possibilmente responsabili del suo sviluppo. Per esempio si è osservato che determinate modificazioni epigenetiche, che non mutano direttamente la struttura del DNA, sono più comuni quando l’età di insorgenza del carcinoma colorettale è precoce. Altri scienziati sono interessati a studiare il microambiente tumorale, cioè l’ambiente circostante le cellule malate, e il microbiota, la cui composizione dipende anche dalla dieta. Così si potrebbe indagare l’effetto delle abitudini alimentari e comportamentali sullo

Probabili cause dell’incremento di casi di cancro del colon-retto precoce sono la maggiore esposizione a tossine, l’elevato uso di antibiotici e l’aumento della diffusione di obesità e sedentarietà tra i ragazzi 2016 sono diminuiti dell’1,8 per cento ogni anno i casi di carcinoma colorettale tra i 20 e i 39 anni. I motivi potrebbero essere abitudini alimentari più sane, una più controllata fornitura d’acqua potabile e una minore esposizione a tossine ambientali. LE DIREZIONI DELLA RICERCA I tumori del colon nei giovani tendono a manifestarsi nel lato sinistro e a crescere rapidamente, mentre negli adulti questo cancro si sviluppa in prevalenza nel lato destro e impiega anni prima di diventare evidente. Per

/ Cancro nei giovani / Tumore del colon-retto

sviluppo precoce del tumore. I risultati di uno studio svolto da ricercatori dell’Università di Harvard, negli Stati Uniti, hanno dimostrato, per esempio, che l’abitudine al fumo può essere associata a una minore attività antitumorale dei linfociti T, cellule del sistema immunitario, nel microambiente tumorale. Sembra inoltre che la composizione del microbiota tra pazienti con cancro colorettale di diversa età sia differente. La presenza o assenza di specifiche popolazioni batteriche potrebbe essere associata a diversi progressi della malattia o a

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differenti risposte alle terapie, ma le implicazioni sono ancora tutte da dimostrare in questo tipo di tumore a esordio precoce. Sarà poi fondamentale ampliare la prospettiva e condurre

sta direzione è imparare a riconoscere i campanelli di allarme. Sintomi come sanguinamento rettale e vaginale, dolore addominale, cambiamenti delle abitudini intestinali persistenti nel

È importante aumentare la consapevolezza, nella popolazione e tra i medici, che anche i ragazzi e i giovani adulti possono ammalarsi di tumore al colon-retto studi epidemiologici che permettano di comprendere quali caratteristiche biologiche, fattori comportamentali e ambientali siano effettivamente o maggiormente significativi nello sviluppo di questo tipo di tumore nei bambini e negli adolescenti. LA PREVENZIONE Oltre alle indagini scientifiche, è importante aumentare la consapevolezza che anche i ragazzi e i giovani adulti possano ammalarsi di tumore al colon-retto. Un primo passo in que-

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tempo vengono spesso sottovalutati sia dai ragazzi sia dai medici, che tendono a collegarli ad altre cause. È così che prolungati sanguinamenti rettali possono essere confusi per emorroidi, motivo per cui il tumore viene diagnosticato con 6 mesi di ritardo in media. Inoltre si potrebbe valutare di estendere anche ai ragazzi la possibilità di partecipare a campagne di screening per il tumore al colon-retto. In Italia, per esempio, la ricerca del sangue occulto nelle feci e la rettosigmoidoscopia sono rivolte soltanto alle persone tra i

50 e i 69 anni e lo stesso avviene nella maggior parte dei Paesi europei e asiatici. Di recente, invece, negli Stati Uniti la maggior parte delle linee guida raccomandano di effettuare questi esami di screening a partire dai 45 anni. Un altro fattore da tenere in considerazione è la salute mentale dei giovani pazienti. I 30 anni sono il periodo della vita in cui si cerca la propria indipendenza e si è focalizzati sui propri obiettivi. Sapere di soffrire di un tumore potrebbe significare dovere rinunciare, almeno per un periodo, alle proprie priorità oppure mettere a rischio la possibilità di avere dei figli. Le conseguenze sullo stato di salute fisico e mentale potrebbero essere importanti e avere un effetto anche dopo la guarigione. Bisognerà capire quindi come garantire a questi ragazzi la possibilità di avere figli e facilitare il loro reinserimento nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda il nostro Paese, anche se le evidenze raccolte finora non dimostrano una crescita preoccupante dei casi, non si può ignorare il problema. Soprattutto dopo la pandemia, anche in Italia sono sempre di più le persone obese o in sovrappeso, con abitudini sedentarie e una dieta non equilibrata e troppo poco varia.

/ Cancro nei giovani / Tumore del colon-retto


Guida alle terapie Chemioterapia

CHEMIOTERAPIA: L’UNIONE FA LA FORZA In questo articolo: — ANTICORPI CONIUGATI — EFFETTI COLLATERALI — TERAPIE DI COMBINAZIONE

Temuta spesso per i suoi effetti collaterali, oggi la chemioterapia è diventata in molti casi meno tossica e più efficace, anche grazie alla combinazione con altri trattamenti

a cura di Roberta Villa

/ Guida alle terapie / Chemioterapia

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n settant’anni di vita, la chemioterapia ha permesso di cambiare la storia naturale di molte malattie, offrendo ai medici un’opzione efficace per trattare per esempio tutti i tumori del testicolo e la maggior parte delle leucemie linfatiche acute dell’infanzia, che un tempo non lasciavano troppi margini di speranza ai pazienti. Ora però sono arrivati i rinforzi. Con l’introduzione – ormai da molti anni – delle terapie a bersaglio molecolare e, più recentemente, di quelle che potenziano il sistema immunitario dell’organismo, sono migliorate le prospettive anche dei pazienti in cui la chemioterapia da sola, o in associazione a chirurgia e radioterapia, otteneva risultati meno soddisfacenti. A questi si aggiungono poi altri strumenti, come i trattamenti più avanzati basati su cellule CAR-T, di cui si parla molto. Tutte queste innovazioni rischiano di mettere in ombra la “vecchia” chemioterapia. Secondo una recente indagi-

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ne condotta dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), quasi il 40 per cento degli italiani la ritiene infatti un approccio terapeutico ormai superato. Ebbene, non è così. Le terapie messe a punto più di recente, infatti, hanno sì migliorato la sopravvivenza e la qualità di vita di molti pazienti, ma quasi sempre lo hanno fatto sommandosi, non sostituendosi ai farmaci “citotossici” chemioterapici, cioè quelli capaci di uccidere le cellule tumorali. “Mentre un tempo non avevamo alternative, oggi possiamo scegliere tra i diversi approcci terapeutici disponibili per ogni paziente, decidendo quale utilizzare per primo e quale tenere come opzione di seconda o terza scelta in caso di recidive” spiega Franco

Perrone, direttore della Struttura complessa sperimentazioni cliniche dell’Istituto nazionale tumori G. Pascale di Napoli e presidente neoeletto di AIOM. “Sempre più spesso, poi, le diverse strategie sono usate insieme per potenziarne l’effetto, talvolta fin dall’inizio delle cure.” UN ARMAMENTARIO CHE CRESCE NELLE MANI DEGLI ONCOLOGI Che contro il cancro valga il famoso detto “l’unione fa la forza” si è capito fin dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Allora, nei migliori centri oncologici del mondo – tra cui l’Istituto nazionale dei tumori di Milano – furono messi a punto i primi

In molti casi, le terapie più recenti si sono andate a sommare ai farmaci chemioterapici, senza sostituirli del tutto

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protocolli di cura che prevedevano di somministrare insieme due o più farmaci citotossici per colpire la cellula tumorale attraverso vie diverse e ostacolare la capacità della malattia di sviluppare resistenze. Il principale limite di questi medicinali è però la loro mancanza di selettività. Infatti, come attaccano le cellule tumorali nel loro processo di replicazione, così fanno anche con le altre cellule normali dell’organismo che si rinnovano spesso, come quelle delle mucose o del sangue, provocando effetti collaterali indesiderati e talvolta gravi. Per questo i cicli di chemioterapia sono somministrati a intervalli che consentono all’organismo di riprendersi tra l’una e l’altra infusione. Anche questo accorgimento, però, spesso non basta. Non è raro quindi che la tossicità di questi farmaci impedisca di continuare le cure al ritmo previ-

/ Guida alle terapie / Chemioterapia


sto per garantirne la massima efficacia, o addirittura imponga di interromperle. Per affrontare queste difficoltà esistono oggi altri medicinali capaci di controllare molto meglio di un tempo non solo disturbi come nausea e vomito, ma anche gli effetti tossici che compromettono l’aderenza ai protocolli. Spesso per esempio, durante la chemioterapia, il numero dei globuli bianchi scende sotto la soglia di sicurezza, costringendo i medici a rimandare la seduta successiva in attesa che l’organismo del paziente ristabilisca le proprie difese immunitarie. Grazie a medicinali che stimolano la produzione di globuli bianchi da parte del midollo osseo, si può ridurre il rischio di infezioni, permettendo alla chemioterapia di esercitare tutta la sua efficacia. UNA COMBINAZIONE VINCENTE Come si è detto, i nuovi approcci non si sostituiscono quasi mai alle cure più tradizionali, ma spesso si potenziano a vicenda. Aggiungere alla chemio l’immunoterapia, per esempio, consente in alcuni casi di migliorare molto l’esito delle cure. I farmaci che stimolano il sistema immunitario contro il tumore, infatti, per funzionare hanno bisogno prima di tutto di individuare le molecole che caratterizzano le cellule da eliminare. Quelle di melanoma, per esempio, le espongono liberamente, e quindi è facile intercettarle. In altri tumori, le “targhette di riconoscimento” del cancro sono contenute all’interno delle cellule, dove sfuggono al sistema immunitario. Una volta uccise dalla chemioterapia, però, le cellule tumorali rilasciano tutte le loro componenti, permettendo al sistema immunitario, potenziato dall’immunoterapia, di scatenare la sua risposta contro eventuali cellule cancerose residue o altre che dovessero tornare a manifestarsi dopo la fine dei cicli di trattamento. Ma le diverse terapie contro il cancro non fanno squadra solo quando sono somministrate insieme, o a breve distanza di tempo. Un ulteriore importante passo in avanti è stato ottenuto dalla realizzazione di prodotti

/ Guida alle terapie / Chemioterapia

“coniugati”, medicinali cioè capaci di agire in diversi modi. Per esempio, legando il farmaco citotossico a un’altra molecola capace di trasportarla in maniera specifica e mirata sul tumore. In questo modo, se ne aumenta l’efficacia e allo stesso tempo se ne riduce la tossicità. Occorre però sviluppare un legame da un lato abbastanza forte da permettere alla sostanza attiva di arrivare al tumore senza disperdersi troppo nei tessuti sani, dall’altro abbastanza reversibile da liberare la sostanza stessa una volta arrivati a destinazione. L’obiettivo è stato raggiunto dalla chimica farmaceutica, con prodotti che uniscono anticorpi monoclonali o piccole molecole a bersaglio molecolare con sostanze citotossiche o radioattive. LA CHEMIO IN SPALLA ALL’ANTICORPO “Legando una sostanza citotossica ad anticorpi monoclonali rivolti contro molecole specifiche del tumore, sono stati realizzati anticorpi coniugati (ADC, Antibody-drug conjugates, letteralmente ‘farmaci coniugati a un anticorpo’)” prosegue Perrone. “Si possono così anche recuperare vec-

agisce direttamente su una molecola che spinge la cellula a moltiplicarsi (HER2), ostacolandone la funzione, dall’altro richiama e attiva le cellule del sistema immunitario che attaccano il tumore.” Quando l’anticorpo viene coniugato a sostanze citotossiche, la sua efficacia aumenta ulteriormente, come è stato già dimostrato con diverse molecole autorizzate per numerosi tumori. Uno degli ultimi a essere stato approvato da AIFA è per esempio trastuzumab-deruxtecan, per le donne con tumore al seno HER2-positivo non resecabile o metastatico che hanno ricevuto uno o più regimi a base di anti-HER2. Il medicinale, che per l’utilizzo in questi casi è già rimborsabile, si è dimostrato molto più efficace del precedente anticorpo che portava emtansine come sostanza citotossica, a riprova di quanto la ricerca in questo campo sia vivace. “L’idea degli anticorpi coniugati non è nuova, ma oggi le aziende sono riuscite a mettere a punto piattaforme sempre più avanzate, che permet-

La chimica farmaceutica ha permesso di sviluppare prodotti che uniscono anticorpi monoclonali con sostanze citotossiche chi farmaci caduti in disuso perché troppo tossici quando somministrati come tali, ma che concentrati solo sul tumore grazie a questo espediente si rivelano efficaci e sicuri.” Gli anticorpi, poi, una volta legati alla superficie della cellula tumorale, fanno anche da ponte per attivare il sistema immunitario dell’organismo. “Questo fenomeno è stato osservato per la prima volta con trastuzumab, uno dei primi anticorpi monoclonali a bersaglio molecolare” continua l’oncologo napoletano. “Il medicinale ha una doppia azione: da un lato,

tono una capacità di produzione molto maggiore rispetto al passato” aggiunge l’esperto, che si aspetta in questo campo un’ondata di innovazione farmaceutica per i prossimi anni. “Come sempre, in questi casi, si porrà il problema del prezzo di questi medicinali, ma, dal momento che la stessa tecnologia può essere usata per molti prodotti diversi, si spera che l’avanzamento tecnologico potrà contribuire al contenimento dei costi, per garantire a tutti i pazienti le migliori cure di cui possono usufruire.”

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IFOM Medicina di precisione

TUMORE AL COLON, VERSO CURE SEMPRE PIÙ A MISURA DI PAZIENTE In questo articolo: — TUMORE DEL COLON — BIOPSIA LIQUIDA — RIDUZIONE TOSSICITÀ DELLE CURE

Pubblicati i primi risultati dello studio Pegasus, che confermano la capacità della biopsia liquida di distinguere i pazienti a rischio recidiva da quelli probabilmente già guariti

a cura di Antonino Michienzi

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ffrire a ogni paziente la cura che dia maggiori chance di guarigione e lo esponga alla quantità minore possibile di rischi ed effetti collaterali. È uno dei principi che fin dall’antichità guidano la medicina e che, però, non sempre è facile da applicare, anche nel campo dei tumori. Nel cancro del colon operabile, per esempio, circa la metà dei pazienti va incontro a una recidiva nei due anni successivi all’intervento di rimozione della neoplasia. Per ridurre il rischio che il tumore si ripresenti, i malati vengono sottoposti a chemioterapia adiuvante o precauzionale, somministrata cioè dopo l’operazione. Un trattamento che implica diversi effetti collaterali. “Oggi non sappiamo a priori chi andrà incontro a una recidiva e chi, invece, dopo l’intervento sarà guarito” dice Silvia Marsoni, principal investigator presso l’Unità di oncologia di precisione di IFOM ETS. “Quindi, per curarne alcuni, siamo costretti a esporre a potenziali effetti collaterali tutti i pazienti.”

/ IFOM / Medicina di precisione


A CIASCUNO LA SUA CURA Almeno per il tumore del colon, però, questo dilemma potrebbe essere vicino a una soluzione. È infatti giunto a conclusione Pegasus, uno studio clinico promosso da IFOM e sostenuto da AIRC, che ha voluto verificare se la biopsia liquida, un test che ricerca tracce di DNA tumorale nel sangue, potesse essere utilizzata per identificare, prima della somministrazione della chemio, i pazienti che andranno incontro a recidiva. Una volta individuati i malati a rischio, si sarebbe quindi potuto decidere di limitare il trattamento soltanto a questi ultimi. I risultati dello studio sono stati presentati da Sara Lonardi, direttore f.f. dell’Uoc oncologia 3 dell’Istituto oncologico veneto all’ultimo congresso della European Society for Medical Oncology. La sperimentazione ha coinvolto 135 pazienti con cancro del colon in stadio III oppure II ad alto rischio in cura in 11 centri in Italia e in Spagna, inclusi l’Istituto nazionale dei tumori e l’Ospedale Niguarda di Milano. Dopo circa tre settimane dall’intervento di asportazione del nodulo, i pazienti sono stati sottoposti a biopsia liquida: “Il DNA tumorale si degrada in 2-3 ore. Se dopo tre settimane dall’intervento ne rileviamo ancora nel sangue, significa che sono presenti micro-metastasi che lo liberano anche se le tecniche radiologiche non riescono a rilevarle, e queste potranno dare vita a recidive” aggiunge Marsoni, che ha coordinato lo studio. La biopsia liquida ha effettivamente consentito di discriminare 100 pazienti senza tracce di DNA tumorale e in cui, quindi, con buone probabilità non c'era malattia residua. Questi hanno ricevuto una chemioterapia più leggera e con minori effetti collaterali. I 35 pazienti risultati positivi alla biopsia liquida, invece, sono stati trattati con la chemioterapia precauzionale standard. I malati sono stati quindi nuovamente sottoposti a biopsia liquida e, in caso di risultato positivo (un indizio, questo, di mancata risposta al trattamento), la terapia è stata sostituita con un trattamento più aggressivo. La biopsia liquida ha consentito quindi di personalizzare il protocollo di cura. / IFOM / Medicina di precisione

AVANTI CON CAUTELA “Sono entusiasta di questi risultati, ma bisogna muoversi con cautela” avverte Salvatore Siena, tra gli ideatori dello studio Pegasus e direttore del Dipartimento di ematologia, oncologia e medicina molecolare del Grande ospedale metropolitano Niguarda, uno dei centri coinvolti nella sperimentazione. “Lo studio Pegasus non è concluso; prima di proporre un'applicazione generale di questi risultati, sono necessarie ulteriori ricerche che li confermino.” Inoltre, avverte l’oncologo, “è necessario che la biopsia liquida sia messa a disposizione di tutti i pazienti. Oggi è una tecnologia sì disponibile, ma il cui costo non è sostenuto dal Servizio sanitario nazionale”. Restano inoltre dei dubbi scientifici che necessitano chiarimenti: per esem-

ranno almeno tre anni prima che Sagittarius fornisca risultati preliminari. OLTRE LA CLINICA Nel prossimo futuro, gli studi Pegasus e Sagittarius, insieme ad altri progetti simili internazionali, potrebbero cambiare in maniera permanente la pratica clinica del tumore del colon, ma già oggi stanno avendo ricadute. “Storicamente pensiamo al tumore come a qualcosa di aggressivo e letale, e questa idea ci porta a pensare che sia necessario fare il massimo possibile per eradicarlo. Oggi la biopsia liquida ci dice che non è sempre così: solo alcuni tumori sono ‘nati per essere cattivi’” spiega Marsoni. “Pegasus ci ha detto che possiamo identificarli precocemente e,

In futuro gli studi Pegasus e Sagittarius potrebbero cambiare la pratica clinica del tumore del colon pio, tra i pazienti che sono risultati negativi alla prima biopsia liquida, il 10 per cento nel tempo è diventato positivo. Dipende dalla sensibilità del test, che non riesce a cogliere quantità minime di DNA tumorale nel sangue? O forse le metastasi che si formano in alcune sedi specifiche non rilasciano DNA nel sangue? Oggi non lo sappiamo ancora. A tentare un ulteriore passo avanti verso l’applicazione dei risultati nella pratica clinica sarà un nuovo studio, denominato Sagittarius, che partirà nella primavera del 2024. Innanzitutto verificherà se nei pazienti negativi alla biopsia liquida dopo la chirurgia si possa evitare del tutto la chemioterapia. In quelli positivi, invece, i ricercatori si propongono di usare la biopsia liquida sia per confermare la presenza di malattia residua, sia per identificare le caratteristiche molecolari del tumore e indirizzare precocemente i pazienti verso la chemioterapia o le terapie a bersaglio molecolare più appropriate, con un ulteriore rafforzamento della personalizzazione delle cure. Occorre-

grazie al lavoro fatto dai centri coinvolti che hanno raccolto i campioni di tessuto tumorale, ora potremo andare a studiarli per capire cosa li rende così aggressivi.”

COS’È IFOM IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.

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Rubriche

I TRAGUARDI DEI NOSTRI

RICERCATORI In questo articolo: — MICROBIOTA — EPIGENETICA — TUMORE AL PANCREAS

a cura di Jolanda Serena Pisano

MIGLIORARE L’IMMUNOTERAPIA GRAZIE AL MICROBIOTA I risultati di una ricerca supportata anche da AIRC suggeriscono che alcune sostanze prodotte da un ceppo di batteri intestinali potrebbero potenziare l’effetto dell’immunoterapia

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immunoterapia è un trattamento che consente di potenziare la risposta del sistema immunitario alle cellule tumorali, e ha rappresentato una svolta nella cura di alcuni tumori solidi. Ma potrebbe essere resa ancora più efficace agendo sul microbiota, l’insieme di microorganismi che vivono in molti dei nostri organi e sulla nostra pelle. È quello che hanno evidenziato i risultati di una ricerca supportata da Fondazione AIRC e dall’associazione Alan Ghitis, pubblicati sulla rivista Cancer Cell. È ormai noto che il microbiota è legato a stretto filo con la nostra salute: per esempio, contribuisce alla digestione, ci protegge da alcune malattie e potenzia il nostro sistema immunitario. Negli ultimi anni è emerso che a determinate condizioni può anche incrementare l’efficacia di alcuni trattamenti antitumorali, tra cui l’immunoterapia. In particolare, sembra favorire l’azione degli inibitori dei checkpoint immunologici (ICI), farmaci che aiutano l’organismo a combattere la

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neoplasia perché inibiscono l’azione di molecole che riducono la risposta immunitaria ai tumori. Ma capire il meccanismo con cui ciò avviene è importante per implementare sia il trattamento sia, magari, potenziali strategie di prevenzione. È su questa problematica che si è concentrato il gruppo di ricerca guidato da Maria Rescigno, prorettrice alla ricerca di Humanitas University e responsabile del laboratorio di immunologia delle mucose e microbiota di IRCCS Istituto clinico Humanitas. Su modelli cellulari di melanoma e tumore alla mammella e su modelli preclinici di cancro del seno e del colon, gli scienziati hanno verificato che a favorire l’azione dell’immunoterapia potrebbero essere alcuni postbiotici, ovvero sostanze prodotte dai microrganismi. Un risultato importante, poiché alcuni postbiotici sono già presenti in integratori alimentari e quindi più semplici da portare in studi clinici. “La strategia prevede di agire a valle, somministrando direttamente e solo i prodotti metabolici benefici” spie-

/ Rubriche / I traguardi dei nostri ricercatori


ga Rescigno, ricordando come si tratti comunque, per ora, di esperimenti in laboratorio, senza coinvolgimento di pazienti. Ma ancora più rilevanti sono altri risultati della ricerca, che mostrano un potenziale meccanismo con cui i postbiotici supportano questo trattamento. Affinché l’immunoterapia funzioni, occorre che il sistema immunitario della persona riconosca le cellule della neoplasia, in modo da poterle attaccare e uccidere. Ma talvolta queste diventano invisibili per l’organismo, poiché eliminano dalla propria superficie le molecole che le rendono riconoscibili alle cellule immunitarie, chiamate HLA (antigeni leucocitari umani). Come conseguenza il paziente non risponde all’immunoterapia. Al contrario, i postbiotici studiati dal gruppo di ricerca, tra cui la fitosfingosina, stimolano l’espressione degli antigeni HLA per circa una settimana dalla somministrazione,

facendo sì che le cellule immunitarie possano riconoscere la neoplasia. Quindi, alcuni postbiotici potrebbero essere assunti nel corso dell’immunoterapia per favorirne l’efficacia. “Nonostante conosciamo da decenni il meccanismo tumorale di elusione della risposta immunitaria tramite la soppressione dei recettori HLA, prima d’ora non si era mai riusciti a trovare un rimedio sicuro ed efficace per superare questo ostacolo” sottolinea Rescigno. Risultati promettenti, anche se, come ricordato sopra, per ora limitati a esperimenti di laboratorio. Il prossimo passo sarà quindi confermarli in studi clinici, per valutare la sicurezza e l’efficacia di questa strategia terapeutica. Se la ricerca dovesse dare altri riscontri positivi, i postbiotici potrebbero rivelarsi un importante progresso per il trattamento dei pazienti che non rispondono all’immunoterapia.

UN PASSO AVANTI NELLA PREVENZIONE GRAZIE ALL’EPIGENETICA? Il virus di Epstein-Barr (EBV) è correlato all’insorgenza di diversi tipi di cancro, come alcuni linfomi e tumori nasofaringei, e di malattie infiammatorie come la colite ulcerosa, che favorisce il rischio di cancro colorettale. Grazie al supporto di AIRC, un gruppo di ricerca dell’Università La Sapienza di Roma, guidato da Mara Cirone, ha svelato una potenziale strategia per prevenire l’insorgere di queste malattie. Studiando cellule umane del colon in coltura e modelli murini, i ricercatori hanno osservato che l’EBV può infettare direttamente le cellule del colon, favorire la

produzione di alcune proteine proinfiammatorie e limitare alcuni meccanismi che eliminano cellule con danni al DNA. I risultati mostrano anche che è possibile contrastare questi effetti negativi agendo sull’epigenetica, cioè regolando l’espressione dei geni della cellula infetta rimuovendo o aggiungendo specifiche molecole presenti sul DNA. Il gruppo di ricerca sta effettuando ulteriori studi per approfondire l’importanza dell’epigenetica nell’insorgenza del tumore al colon-retto e capire così come pianificare possibili strategie di prevenzione per questo tipo di cancro.

UN NUOVO POTENZIALE BERSAGLIO PER COMBATTERE IL TUMORE AL PANCREAS Il cancro del pancreas è il tumore con la minor sopravvivenza sia a un anno sia a cinque anni dalla diagnosi. Ma una ricerca pubblicata su Nature e supportata da AIRC, dal Consiglio europeo delle ricerche e dal Ministero della salute potrebbe aver aperto la strada a nuove possibilità terapeutiche. Lo studio, guidato da Renato Ostuni, responsabile del laboratorio di Genomica del sistema immunitario innato all’Istituto SR-Tiget e professore associato all’Università Vita-Salute San Raffaele, fa luce su un meccanismo che promuove la crescita dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), tra i tipi di tumore del pan-

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creas più comuni e resistenti ai trattamenti. In particolare, la ricerca svela un meccanismo su cui si potrebbe agire per limitare l’azione di specifici macrofagi associati alla malattia (TAM), cellule immunitarie che in alcuni casi promuovono l’azione delle cellule tumorali. La chiave potrebbe essere bloccare l’attività dell’ormone PGE2 (prostaglandina E2) o dell’interleuchina-1beta. Se ulteriori ricerche confermassero questi risultati, si potrebbero sviluppare strategie per potenziare la risposta dei pazienti all’immunoterapia o contrastare l’insorgenza del tumore al pancreas nelle persone a rischio.

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Alimentazione Obesità infantile

FUSILLI INTEGRALI CON CREMA DI RICOTTA ALL’ARANCIA E GRANELLA DI PISTACCHI Ingredienti per 2 persone • Pasta integrale (fusilli) 160 g • Ricotta di pecora 200 g • Succo di 1 o 2 arance • Pepe • Sale • Olio EVO • Pistacchi non salati 20 g

Preparazione 1 Fate bollire abbondante acqua leggermente salata in una pentola dove cuocerete la pasta. 2 Nel frattempo, versate

in una ciotola la ricotta di pecora, il succo delle arance, il pepe e mescolate fino a ottenere un composto omogeneo. Tostate i pistacchi non salati e tritateli grossolanamente. 3 Ultimata la cottura della pasta, scolate, unite la crema di ricotta all’arancia e mantecate aggiungendo, se necessario, un po’ di acqua di cottura. 4 Impiattate e completate il piatto con i pistacchi tritati e, se edibile, la scorza di un’arancia grattugiata.

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OBESITÀ INFANTILE, AGIRE OGGI PER NON INTERVENIRE DOMANI a cura di Riccardo Di Deo

L’obesità durante l’infanzia e l’adolescenza aumenta significativamente la probabilità di diventare adulti obesi, esponendosi a un rischio più elevato di sviluppare diverse patologie, tra cui numerose forme di cancro

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ipro, Italia, Grecia e Spagna sono le nazioni europee con i tassi più elevati di obesità infantile. È difficile immaginare che i Paesi considerati la culla della dieta mediterranea abbiano questo triste primato. Tuttavia, questo è quanto emerge dal rapporto European Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) dell’OMS pubblicato nel 2022, che analizza le tendenze al sovrappeso e all’obesità tra i bambini in età scolare. In particolare, l’Italia risulta una delle nazioni con i più alti dati di prevalenza. Nel nostro Paese il 39 per cento dei bambini è in sovrappeso, e di questi il 17 per cento è obeso. Saltare la prima colazione, fare merende troppo abbondanti, mangiare pochi legumi, frutta e verdura e bere spesso bevande zuccherate: sono queste le principali abitudini alimentari scorrette che possono promuovere lo sviluppo di obesità nei bambini e negli adolescenti. Anche l’inattività fisica svolge un ruolo cruciale nel favorire l’eccesso di peso. I bambini e gli adolescenti dovrebbero dedicare almeno 60 minuti al giorno all’esercizio fisico aerobico e limitare il tempo trascorso in attività sedentarie, specialmente quelle passate davanti a schermi di TV, computer e smartphone. L’eccesso di peso corporeo accumulato fin da bambini rischia di perdurare

per tutta la vita e, di conseguenza, di esporre le persone a un rischio più alto di ammalarsi di cancro e numerose altre malattie. È importante notare che non esiste, invece, una correlazione tra l’obesità infantile e la probabilità di sviluppare tumori pediatrici, dovuti perlopiù a fattori genetici o al caso e non agli stili di vita. Ciò non toglie quanto sia fondamentale controllare il peso dei più piccoli per prevenire l’insorgere di tumori negli adulti di domani.

LE ARANCE DELLA SALUTE I volontari AIRC saranno presenti sabato 27 gennaio in migliaia di piazze in tutta Italia per le Arance della Salute, con le reticelle di arance rosse e i vasetti di miele ai fiori d’arancio o di marmellata d’arance. Anche bambini e ragazzi di centinaia di istituti scolastici diventano volontari con l'iniziativa “Cancro io ti boccio”, contribuendo alla distribuzione. Credi nell’efficacia di uno stile di vita sano e sostieni la ricerca! Scopri la piazza più vicina visitando il sito arancedellasalute. it o inquadrando il QR code.

/ Alimentazione / Obesità infantile


In memoria Maria Ines Colnaghi

a cura della redazione

GENTILEZZA, GARBO E FERMEZZA AL SERVIZIO DELLA RICERCA

Dedichiamo questo articolo alla memoria di Maria Ines Colnaghi, ricercatrice di fama internazionale e direttore scientifico di Fondazione AIRC dal 2000 al 2015

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mancata venerdì 20 ottobre 2023 Maria Ines Colnaghi, una figura fondamentale per la ricerca oncologica italiana e in particolare per Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro: “Maria Ines era stata una nota e stimata ricercatrice nel difficile mondo dell’immunologia dei tumori, diventata poi un innovativo direttore scientifico AIRC” ricorda l’attuale direttore scientifico della nostra Fondazione Federico Caligaris Cappio. “Ha portato AIRC a essere la charity più rispettata nel nostro Paese per il rigore e la trasparenza delle decisioni, grazie al peer review system di stampo anglosassone da lei promosso. Caratteristica questa che ha permesso alla nostra Fondazione di essere apprezzata e riconosciuta anche a livello internazionale. Era una persona molto amata dai ricercatori, che ammiravano la sua capacità di ascoltare le ragioni di tutti, approfondire e poi decidere con gentilezza, garbo e fermezza. Molto ha fatto per la ricerca scientifica oncologica in Italia, che di questo le è grata e debitrice. Le sue doti sono state e saranno di esempio a tutti coloro che hanno lavorato, lavorano e lavoreranno in AIRC.”

/ In memoria / Maria Ines Colnaghi

Laureata in biologia in un mondo all’epoca dominato dai medici, Maria Ines Colnaghi ha diretto per oltre vent’anni la Divisione di oncologia sperimentale dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, nel quale è entrata, come ricercatrice, a metà degli anni Sessanta, percorrendo tutta la sua carriera nell’unico centro italiano dove era possibile studiare il cancro con un approccio moderno. In questi anni si è dedicata all’immunologia dei tumori, ambito nel quale ha pubblicato più di 350 lavori scientifici. In particolare ha lavorato sugli anticorpi monoclonali nel cancro dell’ovaio, aprendo nuove prospettive di diagnosi e cura di uno dei tumori ancora oggi più subdoli. Nel 2000 è diventata direttore scientifico di AIRC, posizione che ha occupato per 15 anni. È stata membro del Comitato nazionale per la ricerca biomedica del Ministero della salute e, nel 2013, è stata insignita dell’Ambrogino d’oro, il riconoscimento che il Comune di Milano riserva ai cittadini che si sono distinti nel campo sociale, della scienza o delle arti.

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Raccolta fondi Giorni della Ricerca

I GIORNI DI AIRC TRASFORMANO LA RICERCA IN CURA a cura della redazione

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o scorso novembre I Giorni della Ricerca di Fondazione AIRC hanno dato vita a una vera mobilitazione per raccontare un anno di risultati, presentare le prossime sfide per la cura del cancro e raccogliere fondi a sostegno di 6.000 ricercatori. Dopo l’apertura del Presidente della Repubblica al Quirinale, che ci ha ricordato che "la ricerca di ieri è già diventata la cura di oggi, la ricerca di oggi sarà la cura di domani", è seguita una maratona di informazione sulle reti RAI. Quindi il testimone è passato via via negli stadi con Un Gol per la Ricerca, nelle scuole superiori e nelle università, per arrivare

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in oltre 2.000 piazze, dove i volontari AIRC, insieme ai Comitati regionali, hanno distribuito I Cioccolatini della Ricerca, disponibili anche nelle filiali Banco BPM e su Amazon.it. Per 8 giorni, RAI e Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro hanno offerto al pubblico un palinsesto ricco di approfondimenti, veicolando una corretta informazione per contrastare le fake news e i facili sensazionalismi. Il tema “cancro” è stato affrontato attraverso contenuti originali e coerenti con l’approfondimento, la cultura, l’intrattenimento e lo sport. Mara Venier ha acceso il numeratore delle donazioni a Domenica In dedicando un ampio spazio a prevenzione e cura del tumore al seno. Quindi Marco Liorni ha innescato una virtuosa "reazione a catena" di donazioni per l’intera settimana nel gioco del preserale e con ItaliaSì, cui si sono unite via via tantissime altre trasmissioni radio e tv. Per citarne solo alcune: Uno Mattina, con Massimiliano Ossini e Daniela Ferolla; È sempre mezzogiorno con l’ambasciatrice AIRC Antonella Clerici; La volta buona; La Vita in Diretta, dove Alberto Matano ha ospitato i testimonial Loretta Goggi e Carlo Conti; Geo, con un ampio approfondimento su immunologia e cancro con Alberto Mantovani; Splendida Cornice, con il monologo di Emanuela Fanelli e Geppi Cucciari; Ballando con le stelle; e Da Noi… A Ruota Libera, con Francesca Fialdini. Tre gli appuntamenti

/ Raccolta fondi / Giorni della Ricerca


speciali dedicati a Fondazione AIRC: Michele Mirabella, Benedetta Rinaldi e Francesca Parisella hanno condotto lo speciale Elisir: 80 minuti per fare il punto sulle novità e le prossime sfide della ricerca insieme ad alcuni dei più autorevoli scienziati AIRC; Carlo Conti ha invece portato il tema cancro nella prima serata di Rai1 con lo Speciale Tale e Quale Show, coniugando ascolti, intrattenimento, sensibilizzazione e raccolta fondi. Luca Gaudiano, vincitore della gara, ha devoluto il montepremi a Fondazione AIRC. Infine, Uno Mattina in Famiglia ha dedicato uno speciale di due ore a storie di ricerca e di rinascita: Francesca, curata per un linfoma di Hodgkin, Silvio, curato per un tumore al testicolo, e Giovanna, curata

PREMIO CREDERE NELLA RICERCA

Il premio AIRC Credere nella Ricerca viene conferito a una persona o a un’istituzione che si è distinta nel suo supporto alla causa AIRC. Quest’anno è stato consegnato dal Presidente Mattarella a: Mara Venier, per il suo impegno continuativo a fianco di Fondazione AIRC. Da oltre venticinque anni, con le sue trasmissioni televisive, comunica al pubblico il valore della ricerca, raccontando, con autentica partecipazione, le storie di chi ha affrontato la malattia e l’impegno dei ricercatori, e coinvolgendo il pubblico alla donazione;

/ Raccolta fondi / Giorni della Ricerca

per leucemia linfoblastica acuta. Importanti spazi su Radio Rai sono stati dedicati alle testimonianze di numerosi ricercatori AIRC. Anche le testate giornalistiche e i TG regionali hanno raccontato l’eccellenza della ricerca nazionale e territoriale. Dalla tv ai campi da calcio: i campioni del rettangolo verde, le squadre della Serie A TIM e gli Azzurri – guidati da Luciano Spalletti, insieme a Francesco Acerbi, Gianluigi Buffon, Lorenzo De Silvestri, Valentina Giacinti e Claudio Marchisio – sono scesi in campo per coinvolgere appassionati e tifosi con il modulo 4-55-2-1 di Un Gol per la Ricerca, storica iniziativa realizzata in collaborazione con FIGC, Lega Serie A, TIM e AIA.

Federfarma, Federazione nazionale che rappresenta oltre 18.000 farmacie italiane, a fianco di Fondazione AIRC da sei anni, per l’impegno profuso nel coinvolgere il proprio network in attività di sensibilizzazione rivolte ai cittadini e in iniziative di raccolta fondi per il sostegno alla ricerca sul cancro; Antonio Pescapè, professore ordinario di Sistemi di elaborazione dell’informazione e delegato del rettore all’innovazione e alla Terza missione dell’Università Federico II di Napoli, per aver contribuito a diffondere la conoscenza della missione di Fondazione AIRC tra le nuove generazioni sostenendo lo sviluppo di AIRCampus.

PREMIO BEPPE DELLA PORTA

Ogni due anni Fondazione AIRC bandisce il premio Beppe Della Porta, per favorire il consolidamento della carriera scientifica di una giovane ricercatrice o di un giovane ricercatore che, operando presso una struttura scientifica del nostro Paese, abbia ottenuto risultati originali e di risonanza internazionale nel settore della ricerca sul cancro. Quest’anno il riconoscimento è stato assegnato allo scienziato Andrea Necchi dell’Ospedale San Raffaele di Milano, per gli studi pionieristici sull’utilizzo dell’immunoterapia neoadiuvante nel carcinoma della vescica.

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Testimonianze Grandi Donatori

CONTINUARE A COMBATTERE IL CANCRO SOSTENENDO LA RICERCA Fabio, insieme a sua figlia, ha scelto di affrontare la morte della moglie Laura sostenendo una borsa di studio AIRC in favore di una giovane ricercatrice

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on è vero che il tempo cancella il dolore per la perdita di una persona cara. Il dolore non ha una data di scadenza. Può trasformarsi, evolvere in nuove forme. In alcuni casi può anche alimentare nuove speranze. Fabio ha perso sua moglie Laura sette anni fa. Troppo giovane per andarsene; una vita ancora davanti, una figlia all’ultimo anno di liceo. “Ti chiedi come fare qualcosa di concreto quando la persona che hai amato per buona parte della tua vita non c’è più” racconta Fabio. Confida che la fede lo ha aiutato molto, ma nel tempo ha maturato una consapevolezza: “Si può continuare a lottare e combattere finanziando la ricerca contro il cancro”. È così che Fabio si avvicina ad AIRC. Era già stato donatore con continuità. “Quando però il dolore ha colpito direttamente me e la mia famiglia, mi ha spinto a contribuire ancor di più.” Fabio decide di sostenere una borsa di studio in favore di una giovane ricercatrice. “La storia di mia moglie è simile a tante altre. Non è stata a lieto fine. Laura ha combattuto molto, non si è sottratta a nessuna possibilità di cura, ma non ce l’ha fatta. Con mia figlia, che all’epoca aveva 17 anni, abbiamo scelto di avviare questo percorso con AIRC.” Con l’aiuto della Fondazione, di recente ha organizzato un concerto. “Non

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a cura di Antonino Michienzi solo per raccogliere ulteriori fondi” spiega “ma anche per dare un’eco maggiore al nostro messaggio sull’importanza di sostenere la ricerca.” Fabio pianta così un seme nella sua comunità, decidendo di concimarlo anche impegnandosi come volontario e diventando responsabile di piazza. “Ho cominciato con le azalee a maggio e ora replichiamo con i cioccolatini” dice. La sua idea è chiara: sostenere la ricerca significa continuare a combattere la battaglia di Laura e fare in modo che in futuro altri non debbano perdere la lotta contro il cancro. “Solo la ricerca potrà portarci a un mondo in cui il cancro è curabile” dice Fabio, che punta in alto: “Non mi accontento di qualche miglioramento nell’aspettativa di vita. Certo, è importante; però per me il metro del successo è la cura”. Cura, chiarisce Fabio, che “non significa la guarigione tout-court, ma magari la convivenza con la malattia che, però, garantisca un’aspettativa di vita comparabile a quella degli altri”. Nei mesi scorsi, Fabio ha incontrato la ricercatrice beneficiaria della borsa di studio da lui sostenuta. “Per me è stato importante e emozionante” conclude. “Capire la passione che c’è dietro il suo lavoro, vedere che, nonostante la giovane età, si occupa di temi così grandi, che riguardano la vita delle persone, è stata una cosa

che mi ha fatto molto riflettere, mi ha gratificato, mi ha riempito di speranza.”

VUOI ISTITUIRE UNA BORSA DI STUDIO? CONTATTACI Se desideri legare il tuo nome, o il nome di una persona cara, alla ricerca sul cancro, puoi scegliere anche tu, come Fabio, di intitolare una borsa di studio biennale o triennale. Con una donazione straordinaria di 35.000 euro annui contribuirai concretamente alla carriera di un giovane e brillante ricercatore. Per ogni domanda specifica e per individuare la formula di donazione più giusta per te è a disposizione Chiara Cecere dell’Ufficio Grandi Donatori. Tel. 02 779 73 53 chiara.cecere@airc.it

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Collaborazioni Partner

AERONAUTICA MILITARE PER FONDAZIONE AIRC Nel 2023 l’Aeronautica militare (AM) ha celebrato 100 anni. Per questa importante ricorrenza ha realizzato un ricco programma di eventi e iniziative sviluppate lungo tutto il corso dell’anno, con l’obiettivo di raccontare la storia e gli ideali dell’Arma azzurra. Da sempre l’impegno sociale fa parte del DNA di AM, che ha scelto di sostenere Fondazione AIRC per "far volare la ricerca" attraverso il suo progetto solidale Un dono dal cielo, promosso in collaborazione con l’Associazione arma aeronautica. Per tutto l’arco del 2023 sono state raccolte donazioni su base volontaria da parte del personale, donazioni di privati, associazioni e aziende, con l’obiettivo di finanziare nuove strumentazioni tecnologiche e di ultima generazione da destinare a IFOM, Istituto di oncologia molecolare di AIRC. Questi nuovi strumenti verranno utilizzati per accelerare il lavoro dei ricercatori, con dotazioni all’avanguardia per la comprensione del profilo di aggressività del tumore e per studiarne le caratteristiche molecolari.

/ Collaborazioni / Partner

LE CLEMENTINE DI EUROSPIN A SOSTEGNO DI AIRC Tra il 20 e il 29 novembre 2023, Eurospin ha scelto di supportare la ricerca sui tumori pediatrici di Fondazione AIRC, donando parte del ricavato delle vendite delle Clementine per la Ricerca distribuite presso gli oltre 1.200 punti vendita Eurospin presenti in Italia. Le nuove reticelle utilizzate in questa collaborazione sono composte da carta e plastica completamente riciclabili e riutilizzabili, e hanno ospitato un’attività educativa per bambini realizzata in collaborazione con AIRC: disegni da colorare per imparare e ricordare quanto è variopinta e importante un’alimentazione sana ed equilibrata.

BANCO BPM E AIRC INSIEME PER LA RICERCA E LA DIVULGAZIONE Paola Signoretti ha 14 anni quando, a causa di un cancro al seno, viene a mancare sua madre. Ma la speranza mitiga il dolore grazie ai compagni di scuola, che le dedicano una raccolta fondi per AIRC: un sostegno perché il cancro sia sempre più curabile. Ed è anche grazie alla ricerca che, qualche anno fa, una sua amica guarisce dal tumore alla mammella. Oggi, Signoretti sostiene la Fondazione come volontaria anche attraverso il suo lavoro nella Direzione Terzo settore di Banco BPM, che da 5 anni è un nostro partner istituzionale a sostegno sia della ricerca e dell’informazione sui tumori femminili e pediatrici, sia della divulgazione di AIRC. Contribuendo alle campagne di AIRC e con iniziative interne di sensibilizzazione, la banca chiama in campo partner, clienti e dipendenti nella raccolta fondi per la nostra Fondazione. Come racconta Signoretti, è un modo concreto e coinvolgente per contribuire alla missione di AIRC, facendo una reale differenza.

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