Giovanni Antonio Porcheddu, nato a Ittiri, in Sardegna, il 26 giugno 1860 e morto a Torino il 17 ottobre 1937. Di umili origini, in tenera età perse entrambi i genitori e per sopravvivere si trasferì a Sassari dove lavorò come operaio alla costruzione del palazzo della Provincia, in piazza d’Italia. In quel periodo conseguì la licenza tecnica inferiore e, viste le non comuni potenzialità, i parenti, congiuntamente a un piccolo contributo dell’amministrazione provinciale, lo mantennero agli studi nella scuola tecnica superiore, sezione di fisica e matematica, dove conseguì il diploma. In virtù delle sue indubbie capacità ottenne, ancora dalla Provincia, una borsa di studio per la frequenza del primo biennio di ingegneria all’università di Pisa. Laureatosi in Ingegneria Civile presso la Regia Scuola di Applicazione di Torino, nel 1892 ottenne il Diploma di Ingegnere Industriale presso il Regio Museo Industriale. L’attività del suo studio spaziò fra il 1895 e il 1933; le sue opere sono localizzate prevalentemente nel Nord Italia (ma anche a Messina, Reggio C., Palermo, Roma e Tripoli). Ha realizzato la ricostruzione del Campanile di San Marco a Venezia, crollato improvvisamente nel 1902. Il suo maggior merito fu quello di aver intuito e apprezzato per primo in Italia l’importanza della nuova tecnica costruttiva del cemento armato, ideata dal belga Francois Hennebique. Detto sistema, inizialmente avversato dalle grandi industrie di costruzioni, prevedeva per la costruzione di strutture verticali portanti l’utilizzo di un conglomerato cementizio interamente armato con profilati di ferro. Con questo metodo Porcheddu costruì innumerevoli opere di grande pregio tecnico-scientifico. Tra queste si ricordano lo stabilimento Fiat «Lingotto» di Torino, il palazzo Nuova Borsa di Genova e il ponte Risorgimento, sul fiume Tevere a Roma. Molti furono i rapporti professionali con progettisti di evidenza internazionale. I suoi biografi riportano, a mo’ di aneddoto, un episodio curioso: durante l’inaugurazione del ponte Risorgimento il sovrano Vittorio Emanuele convenne che la circostanza comportava l’incontro di due Re: egli, Re d’Italia e Porcheddu “Re del cemento armato”. Giovanni Antonio Porcheddu aveva sposato Amalia Dainesi, nata nel 1863 e deceduta a Torino il 21 agosto 1902. Ebbe come figli Giuseppe Beppe Porcheddu 1898-?1947 e Ambrogia Porcheddu 1899-1974. Federico Bardanzellu su Geneanet Pittore, incisore, scultore, realizzatore di ceramiche, illustratore e fumettista, Beppe Porcheddu fu eclettico e originalissimo artista. Scoperto sin da giovanissimo da Giovanni Bistolfi rimane sicuramente uno dei più significativi artisti del '900 e la sua arte si può avvicinare, per vocazione narrativa e perizia tecnica, a quella del Cambellotti e del Grassi. Compiuti gli studi classici, ha completato la sua formazione frequentando i corsi di architettura al Politecnico di Torino. Federico Bardanzellu su Geneanet Beppe non seguì la carriera paterna, a lui piaceva disegnare. Se ne accorse uno degli artisti che frequentavano la famiglia Porcheddu, Leonardo Bistolfi, quasi incredulo a vedere la maturità nel disegno del ragazzino. Elementari, medie e liceo a Torino, poi il Politecnico, senza dimenticare lo sport e lo studio del violino. Nel 1916, volontario, parte per la guerra, ma sul monte Tomba è gravemente ferito dallo scoppio di una granata. Trasferito all' ospedale militare di Carrara, salva per miracolo la gamba sinistra, ma è costretto da allora a camminare con il bastone. Le prime illustrazioni appaiono nel 1919 sul Pasquino, poi su un'infinità di altre testate, tra le quali il Corriere dei Piccoli e Topolino. Leonardo Bizzaro, la Repubblica, 20 ottobre 2007 Nel 1919 ha esordito come illustratore sulle pagine della rivista "Pasquino" e l'anno successivo ha collaborato con le riviste "Numero", "La Lettura", "L'Illustrazione del Popolo" e "Il Secolo XX°". Nel 1922 ha iniziato la sua collaborazione con la fabbrica "Lenci" disegnando bambole, arredi e, alcuni anni dopo, modelli per ceramiche che furono esposti alla mostra della produzione "Lenci" alla Galleria Pesaro di Milano nel 1929. Nel 1939 lasciò Torino per trasferirsi a Bordighera dove