Aubagne

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Aubagne

Quando mi ci recai nella primavera del 1983 di Aubagne non ne sapevo molto.

Durante il viaggio da Marsiglia, poco distante, non ebbi, quella volta, il modo di apprezzare o notare molto del paesaggio, anche se era ancora giorno, giorno diprimavera, siaperché teso per la spericolata guida del nostro autista, sia perché preso dalconversare dei miei due accompagnatori, imperniato soprattutto su gustosi aneddoti riferiti a Gaston Deferre, sindaco di Marsiglia per più di trent'anni,ed all'epoca lo era ancora, anzi stava per diventare o ridiventareanche ministro.

Arrivati a destinazione, la prima cosa imprevista e simpatica fu che c'era un appuntamento per me con laGiunta Comunaleal completo. Mentre ci si attardava ad entrare nel Municipio, notai che quasi in fila indiana sindaco ed assessori salutavano con naturalezza e garbo scambiando baci (sulle guance!) con il vice sindaco, giovane signora elegante, oltrettutto carina: non mi era ancora capitato all'epoca di assistere a tale usanza in pubblico tra autorità, mentre in seguito, invece, ravvisai che almeno sulla Costa Azzurra tra colleghi (uso questo termine in senso largo, che ricomprende anche gli "ospiti" italiani) signore e signorine si attendono in genere il ripetersi di quella gentile consuetudine.

Scambiati i saluti di rito (che io dovetti per la mia parte improvvisare) in una bellasala, per lo più dedita alla celebrazione di matrimoni civili, venni gratificato con il dono di un pezzo pregiato di artigianato locale, una graziosa bambolina di porcellana, vestita in miniatura in modo tradizionale, vale a dire con gonna bianca afiori, grembiule rosa, camiciola bianca orlata di pizzo, scialle lilla a fiori bianchi, cuffietta anch'essa adorna di pizzo, cappellodi paglia a larga tesa, con un mazzolino di fioridi Provenza nella mano sinistra e con un cestino di altri fiori ed erbe dellaregione sotto l'altro braccio. Si tratta di una bambolina tuttora custodita con cura, tanto é vero che, al momento in cui stendo di getto questi appunti, non me la sento di trarla dalla vetrinetta per procedere ad una rituale fotografia cui sinoranon avevo pensato.

Dopo questo incontromi vennero mostrate in altre ali del palazzo civico diverse grandi fotografie che testimoniavano un consistente processo di industrializzazione, di cui i miei anfitrioni andavano molto fieri (in termini di occupazione indotta anche dalla politica di quell'Amministrazione, forse anche giustamente). In quel momento pensai che la convivenza tra l'artigianato artistico, di cui lapupeé era un fattivo esempio, e la modernizzazione in corso fosse un fatto compiuto, senonché non ho più avuto l'occasione di valutare l'evolversi della situazione.

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Si procedette, poi, allariunione con emigrati italiani colà residenti, scopo del mio viaggio, cui dedico (un po' mene vergogno, ma spero di riuscire a tornare altre volte sull'argomento) poche righe, perché l'onda (neanche molto tumultuosa, come cercherò poi di attestare) dei ricordi mi spinge su un'altra strada.

Perché,finito il mio vero e programmato impegno, mi ritrovai a bere una volta (come si suol dire) nel bar della "Mamma deiLegionari"!

Sì, la cosa non mi parve, e non mi pare tuttora, solo pittoresca, come me ladescrivevano i miei amici di quella sera. Cercherò di rendere al meglio il concatenarsi di fattori, ma non é facile: descrivere non é come trovarsi dal vivo in quelle scene una dietro l'altra.

Intanto, non sapevo che a Aubagne ci fosse la Legione Straniera. Mi sembra che anche oggi ci sia la sede del comando generale, dove avvengono gli arruolamenti; e non farò deviazioni dal racconto principale riferendo nei dettagli come, ironia del caso, poco tempo dopo qualche giovane di mia conoscenza (non metto aggettivi di sorta!) si arruolasse tra quei mercenari. Il vero fatto perturbante per me era trovarmi vicino ad uno dei simboli più spietati delle repressioni coloniali: sì, il film "Beau Geste" con Gary Cooper da ragazzino mi era anche piaciuto, ma la storia documenta una realtà diversa di soprusi e di crudeltà.

A seguire mi si accennò quella sera ad una matrona, che mi limiterò a definire diforme e fattezze esuberantie di non tenera età. Si trattava della padrona dell'esercizio, che si era meritata l'appellativo di mamma dei legionari, perché il suo locale era il ritrovo preferito da quei presunti militari, che in lei trovavano attenzione, calore umano e parole di conforto.

Non c'era molta gente, a parte noi tre,forse perché, essendo già un po' tardi, la ritirata in caserma era già suonata; forse per questo motivo i miei accompagnatori non trovarono di meglio che invitare tanto personaggio al nostro tavolo, come se fosse un rituale folcloristico cui io dovessi assistere per forza. E la signora venne emi pare dicesse le solite parole di circostanza sull'Italia e quanti italiani erano stati ed erano nella Legione e così via.

Poi ebbe come un lampo, si allontanò un attimo, sempre accompagnata dai sorrisi sardonici (che non l'avevano mai abbandonata!) dei miei anfitrioni, per tornarsene trionfante per esibiresoprattutto a me (i miei amici lì, é chiaro, se non erano di casa, poco ci mancava: se per "spiare" o perdivertirsi invero amaramente guardando le miserie del mondo, non lo so!) una copiadi una rivista popolare italiana che l'aveva "immortalata" con almeno tre pagine, corredate di varie fotografie, in quanto consolatrice di quei poveri giovani abbandonati che sono i legionari: la "Mamma dei Legionari", insomma!

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Si da il caso che tra la guida spericolata di cui ho già detto, un mangiare affrettato fatto non so piùdove e qualche sorso di grappa (sì a me sembra ancora adesso grappa, mentre in Francia c'é dell'ottimo cognac che é un vero medicinale), servita in precedenza da una cameriera, io da un po' ormai, ad usare un eufemismo, avevo del mal di testa. Per cui non riuscendo a sottrarmi in modo elegante ad una situazione per me un po' equivoca, mi andai ad inibire la tranquilla visione di una serie di vere chicche che quel locale riservava, che io vedevo solo da lontano, perché non potevo allontanarmidalla "celebrità locale": vale a dire ritagli di giornale dedicati e fotografie autografate di vari protagonisti dello sport francese, che a quanto pare non avevano manifestato scrupolidi coscienza nel lasciare là delle tracce.

E fu così che non ricordo quasi niente del viaggio di ritorno. E l'alberghetto davanti al quale mi lasciarono, ormai nel cuore della notte, fu un po' come un tocco finale. A me sembra ancora adesso, perfarla breve, tratto di peso da un qualche romanzo dove compare Maigret, con la differenza che io mi trovavo a Marsiglia e non a Parigi. Solita tappezzeria un po' ... trasandata, solito rubinetto che sgocciolava, solita persiana che cigolava al vento, solite voci di donne e uomini: queste cose, nonostante il ... mal di testa me le ricordo, così come mi ricordo di avere dormito ben poco.

Fu veramente comodo il viaggio di ritorno in treno, un bel treno ancora di quelli di una volta, posizionato in una vera poltrona (non cisi crederà!) tutta per me: l'unica dello scompartimento, credo, ma non me la ero certo lasciata sfuggire!

E così capita che, stando al computer posto vicino ad una vetrinetta dove é custodita una così bella bambolina, mi siano affiorati allamemoria ricordi un po' sfumati che mi hanno indotto a scrivere queste righe. Anzi, mi sembra quasi che anche lagraziosa contadinella al termine di questo post intenda mandare i suoi garbati saluti a tutti!

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