50-65 Inchiesta 2° parte (5)_Nc 06/06/12 12.12 Pagina 59
inchiesta_speciale creatività cannes 2012_nc
Francesco Bozza, executive creative director Bcube
Fausto Nieddu, executive creative director Roncaglia & Wijkander
Mizio Ratti, direttore creativo e partner di Enfants Terribles ed ebolaindustries
nicazione con qualcosa di veramente innovativo, di dire no ai clienti per quanto riguarda le gare super affollate e i compensi al ribasso. Dire no alle multinazionali che guardano solo agli interessi dei network e aprire agenzie proprie”. Tina (Compass Italia): “Sento la mancanza di coraggio. Si tende a rimanere nella normalità per il timore di esporsi troppo. Saranno gli effetti della crisi…”.
mazione, eccellenza e capacità di adattamento. Ci sono ancora troppe resistenze a un cambiamento che è non solo fisiologico, ma anche non più procrastinabile. Inoltre, non abbiamo una cultura della condivisione che ci permetta di dialogare in modo costruttivo tra le diverse agenzie e i rispettivi creativi per fare sistema e riuscire ad affermare in ambito internazionale - come hanno invece saputo fare gli anglo-americani prima, i latini poi e gli asiatici ora - il punto di vista della nostra industry. Sul versante dei clienti la crisi ha causato uno spostamento del focus su azioni prevalentemente tattiche e manca ancora una cultura diffusa sui nuovi touchpoint, quelli digitali in testa”. Carcano e Bietti (Zero-Starting Ideas): “Abbiamo bisogno di apertura mentale. Sembra che nessuno si senta davvero attore della nuova normalità: c’è chi sta di qui e chi di là. I nativi digitali si sentono i profeti della comunicazione d’oggi e di domani ma hanno spesso un dialogo autoriferito; guardano solo il loro ombelico. Hanno creatività e conoscenza della tecnologia ma con lacune sul fronte della psicologia e del senso reale delle cose, come se indossassero degli occhiali che fanno vedere solo la vita virtuale. Gli altri considerano
il digital e il social materia da specialisti da innestare ‘all’occorrenza’ senza capire che occorre sempre, o quasi. Ciascuno si sente detentore del verbo senza capire che uno pronuncia le vocali e quell’altro le consonanti. Deve cambiare la cultura”. Fellegara (Tribe Communication): “Abbiamo l’esigenza di professionisti cross-funzionali, che abbiano in sé esperienze in ambiti di comunicazione differenti, non solo la pubblicità pura. Tribe è un consulente di comunicazione globale, e al suo interno operano senior che fanno della contaminazione culturale tra ambiti diversi (pubblicità, pubbliche relazioni, giornalismo, cultura, ndr) una chiave di volta competitiva e consulenziale. Non si può fare pubblicità efficace senza fare cultura, e la cultura è comunicazione”.
CULTURA Robiglio (Leo Burnett):“Nelle nostre aziende non si reputa la comunicazione l’asset fondamentale del business. È un fatto culturale, che nasce dall’essere un paese di poche grandi aziende a carattere ancora fortemente famigliare e da tantissime piccole realtà a matrice artigianale e dunque legate al prodotto più che al come comunicarlo per farne crescere il valore. Però, francamente, non so cosa augurarmi: perché questa peculiarità italiana rappresenta nel contempo un grande valore, e cioè quello di essere l’unica garanzia di sopravvivenza di un certo modo di intendere l’impresa, il lavoro, la vita”. Brunori (McCann Worldgroup Italia): “Sul fronte delle agenzie mancano cultura, for-
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DETERMINAZIONE Tarussio (White Red & Green): “Ciò che oggi manca più di tutto è, secondo me, la determinazione da parte dei clienti di voler essere ricordati per qualcosa di unico e non per qualcosa di omologante. Ricordo con nostalgia gli sforzi di qualche anno per trovare un plus esclusivo, un elemento differenziante che rendesse il tal prodotto inconfondibile rispetto alla concorrenza. Oggi,