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Il prossimo numero sarà recapitato a novembre 2025. La chiusura della redazione è il 20 ottobre 2025
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La vignetta di
Daria Lepori
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Da 60 anni al servizio dell’emigrazione italiana in Svizzera
Tagliare le radici o rafforzarle?
Cittadinanza e voto: due diritti da difendere per gli italiani nel mondo
Negli ultimi mesi il rapporto fra l’Italia e la sua diaspora ha subito scosse profonde. La riforma della cittadinanza, approvata con la legge 74/2025, ha introdotto limiti severi allo ius sanguinis: niente acquisizione automatica per i figli nati all’estero da cittadini italiani con doppia cittadinanza, criteri più rigidi per i discendenti di generazioni lontane, maggiore centralizzazione delle pratiche a Roma. La Corte costituzionale, con la sentenza 142/2025, ha riconosciuto l’esigenza di porre “ragionevoli” restrizioni per garantire un legame effettivo con l’Italia. Ma per le ACLI Svizzera si tratta di un taglio alle radici della nostra identità: la doppia cittadinanza è oggi una realtà diffusa, una risorsa strategica per il Paese e non una minaccia alla sua sovranità.
Le nostre comunità sanno che penalizzare chi è nato in contesti transnazionali significa disperdere capitale umano e culturale. La storia dimostra che il legame con i discendenti degli emigrati ha portato benefici concreti all’Italia: rimesse economiche, sostegno in momenti di crisi, promozione della lingua e della cultura. Tagliare questo filo vuol dire anche rinunciare a un potente ponte di diplomazia culturale, commerciale e sociale che ha rafforzato l’immagine dell’Italia nel mondo e la sua influenza internazionale. Accanto alla cittadinanza, anche il diritto di voto all’estero vive una fase critica. La legge Tremaglia del 2001 ha garantito la partecipazione politica di milioni di connazionali, ma in oltre vent’anni sono emerse gravi criticità: schede mai arrivate, plichi sottratti, voti compilati da terzi, casi accertati di brogli. Come ricorda il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), occorrono riforme strutturali: stampa delle schede in Italia con sistemi antifrode, codici di controllo e QR code per l’ammissione allo spoglio, elenchi AIRE aggiornati, tracciabilità delle schede, campagne di educazione civica. Questi strumenti non mirano a restringere la partecipazione, ma a garantirne la trasparenza e la sicurezza. Senza fiducia nelle procedure, il voto perde di valore; senza un legame effettivo e inclusivo, la cittadinanza si svuota di significato.
CGIE, Comites e parlamentari eletti all’estero devono essere protagonisti dei processi decisionali, non semplici spettatori. Le riforme che incidono su milioni di italiani nel mondo devono nascere dall’ascolto delle comunità e dal confronto con le loro rappresentanze.
Le ACLI Svizzera continueranno a battersi perché l’Italia non rinunci alla sua più grande comunità diffusa. Tagliare le radici significa indebolire un ponte costruito in secoli di migrazioni; rafforzarle vuol dire custodire diritti comuni e non negoziabili – la cittadinanza e il voto – come patrimonio di tutti.
Giuseppe Rauseo
Presidente ACLI Svizzera - giuseppe.rauseo@acli.ch
Il cuore e la mano 4
La legge Tajani come monito e opportunità
Politica Svizzera 5 - 6
• In piena guerra dei dazi tra gli USA e il resto del mondo, i rapporti bilaterali tra la Svizzera e l’Unione Europea acquistano ora ancora maggiore importanza.
• Anche la Svizzera ha bisogno di un congedo parentale: con l’Iniziativa per un congedo familiare rafforziamo le famiglie
ACLI FAI 7
La FAI al fianco del Patronato ACLI: una presenza da rafforzare per le nostre comunità all’estero
DOSSIER 8 - 15
• Cittadinanza, sicurezza del voto e incentivi al rientro: queste le priorità nell’agenda del CGIE
• Cittadinanza italiana, 20 maggio 2025, il giorno della vergogna
• Voto degli italiani all’estero: criticità e proposte di miglioramento
• Rientrare per ricostruire: la necessità di una strategia nazionale per il ritorno degli italiani all’estero
• Cittadinanza per discendenza: l’interesse superficiale, a senso unico dei giornali in Italia
Patronato ACLI 16 - 17
• Riscatto di Laurea
• Breve resoconto delle celebrazioni per gli ottant’anni del patronato ACLI, alle quali non poteva mancare e non è mancata la Delegazione Svizzera
La crisi della democrazia oggi è una crisi di partecipazione, e per questo sotto la lente d’osservazione finisce anche il peso politico nazionale che esercita la comunità italiana all’estero, specialmente quando i legami con il Paese madre hanno sempre meno rilevanza per l’identità degli italiani che da generazioni vivono lontano dall’Italia. Tuttavia, la loro cittadinanza costituisce un importante titolo di diritti, tra cui l’accesso allo spazio Schengen nonché alla realtà politico-economico-sociale dell’Italia e dell’Unione Europea. Diritti ed opportunità che, qualora viene meno la dimensione partecipativa alla realtà del popolo italiano, possono essere abusati o commercializzati, mentre qualora vengono troppo ristretti, esercitano una funzione d’esclusione di chi legittimamente vuole vivere la sua appartenenza al di fuori dei confini nazionali.
Stando ai numeri, non parliamo di un fenomeno esiguo, dato che gli italiani all’estero costituiscono il 10% della popolazione, mentre a causa della denatalità la penisola perde sempre più della sua popolazione. E con la possibilità di determinare otto seggi in Parlamento (più 4 senatori), esercitano un peso politico che molti altri Stati, come ad esempio la Svizzera o la Germania, non prevedono. Tuttavia, non risultano affatto sopravvalutati: un deputato in Italia rappresenta 117 mila elettori, mentre uno all’estero “vale” neanche un quinto, rappresentandone quasi 600 mila. Allo stesso momento, certamente la partecipazione effettiva diminuisce a causa della distanza (e di difficoltà burocratiche ed amministrative): solo il 25% degli italiani all’estero vota, che è una percentuale molto inferiore alla media nazionale, ma comunque superiore al tasso di tante altre nazioni europee. Per l’affievolirsi del legame d’appartenenza di tali italiani, si dibatte sul restringimento della cittadinanza, avvenuta con la legge Tajani, entrata in vigore il 28 maggio e non abrogata dal referendum dell’89 giugno. Con essa, il diritto alla cittadinanza italiana all’estero è stata ridotta a coloro che hanno almeno un genitore o nonno nato in Italia (o in alternativa era residente in Italia almeno da due anni prima della nascita), mentre un genitore con un doppio passaporto non trasmette più automaticamente la cittadinanza ai figli. Inoltre, come anche per l’analoga legge tedesca, diritti e doveri devono essere esercitati almeno una volta ogni 25 anni. Con ciò si è di fatti dichiarata terminata l’epoca in cui l’emigrazione faceva parte della storia ed identità italiana – che ha visto partire, sin dall’unità nazionale, 40 milioni di persone che dunque hanno portato la cultura e la voce italiana nel mondo. Ma non si considera il fatto che ancora oggi molti giovani volgono le spalle all’Italia, e tanto meno si pone la domanda perché si considerano i discendenti di loro apriori meno partecipi alle vicende politiche italiane rispetto a molti che
Prof. Markus Krienke
per altre vie acquisiscono la cittadinanza italiana. Non sorprende, dunque, se molte associazioni di italiani all’estero si sono opposte a tale legge.
L’intenzione della legge è senz’altro quella di bloccare l’automatismo dello ius sanguinis, che riconosce “italiani” di fatto anche chi con l’Italia non ha più nessun legame. Ma non si considera che il vero nodo sta nella questione come rendere la partecipazione democratica degli italiani all’estero effettiva, paritaria e legittimata, specialmente nei confronti di chi vive in Italia, partecipa alla vita di tutti i giorni e comunque non ha il diritto di voto. Servirebbe, dunque, una presa di consapevolezza nelle comunità degli italiani all’estero, per rendere i loro interessi parte dell’articolazione degli interessi degli italiani.
Anziché richiedere “prove” per l’italianità, perché non porsi la domanda come rendere la rete degli italiani nel mondo una risorsa politica, culturale ed economica? Se il problema, come è stato riconosciuto dalla legge Tajani, è la partecipazione e non semplicemente l’appartenenza, allora gli italiani all’estero sono chiamati ad esprimere una risorsa viva per la democrazia italiana.
di Markus Krienke, Prof. Cattedra Rosmini alla Facoltà di Teologia di Lugano
In piena guerra dei dazi tra gli USA e il resto del mondo, i rapporti bilaterali tra la Svizzera
e l’Unione Europea acquistano ora ancora maggiore importanza
di Luciano Alban, presidenza ACLI Svizzera
Dopo l’abbandono dell’accordo quadro nel 2021, le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea (UE) sono entrate in una fase di stallo. I negoziati sono stati ripresi nel marzo 2024 per evitare l’erosione degli accordi firmati diversi decenni fa e consolidare il partenariato strategico tra la Confederazione e il suo principale partner commerciale. Questo processo si è concluso con successo lo scorso dicembre. Con quasi 140 accordi bilaterali da convalidare, l’approccio “a pacchetto” dovrebbe definire le future relazioni tra le due parti in vari settori come l’elettricità, la libera circolazione delle persone, la salute pubblica e la sicurezza alimentare. La Svizzera ha ottenuto che le questioni istituzionali siano ora regolate nei singoli accordi. Esse non sono valide a livello globale, come sarebbe accaduto in un accordo quadro. La ripresa automatica del diritto non è più prevista. La Svizzera deve adeguare le proprie leggi secondo quelle europee solo in maniera “dinamica”. Può anche rifiutarle. In questo modo, la Confederazione preserva la sua indipendenza, come auspicato, e non si lega politicamente all’UE più di quanto sia necessario e richiesto da un punto di vista economico. Molti media, così come politiche e i politici, sostengono che la delegazione svizzera abbia ottenuto il massimo possibile a Bruxelles. Secondo la Neue Zürcher Zeitung si tratta di un accordo “su misura”. Il fatto che la Svizzera abbia la possibilità di limitare autonomamente l’immigrazione di manodopera dall’estero è un elemento centrale dell’accordo. La Svizzera può continuare con la sua tradizione della via bilaterale. Anche per questo, i media e il mondo politico parlano di “Bilaterali III”. La delegazione negoziale ha inoltre ottenuto diverse
eccezioni in merito alla libera circolazione delle persone. In futuro solo le persone in cerca di lavoro potranno stabilirsi in Svizzera, mentre tutte le altre dovranno dimostrare di possedere mezzi finanziari sufficienti per vivere nella Confederazione. Inoltre, il governo potrà attivare una clausola di salvaguardia in caso di gravi ripercussioni a “livello sociale ed economico” causate dalla libera circolazione. Inoltre, a partire dal primo gennaio 2025, le ricercatrici e i ricercatori elvetici possono partecipare nuovamente a quasi tutti i bandi di concorso di Horizon Europe, almeno a titolo di prova. Il nuovo pacchetto copre un maggior numero di settori e prevede un più adattamenti alle specificità svizzere. Queste eccezioni non derivano dal diritto europeo, ma sono state negoziate specificamente per la Svizzera. Ad esempio, nei settori della protezione dei salari e della politica migratoria. Una delle principali difficoltà agli accordi è la questione del diritto europeo. Ora, con i Bilaterali III, si prevede una cosiddetta adozione “dinamica” del diritto europeo. Tuttavia, questo meccanismo riguarda solo i testi che forniscono un quadro per la partecipazione della Svizzera al mercato interno europeo. Attualmente, gli accordi in vigore lo prevedono in due trattati non economici: l’Accordo di Dublino, che disciplina le competenze procedurali in materia di asilo, e l’Accordo di Schengen, che riguardano la cooperazione sui controlli alle frontiere. I Bilaterali III riguarderanno una serie di nuove aree: la libera circolazione delle persone, il trasporto aereo, il trasporto terrestre e le barriere tecniche al commercio. Ma non c’è alcun automatismo. Il risultato più importante con i bilaterali III sembra essere il fatto che quando una norma viene modificata nell’UE, un comitato misto deve valutare come trasporre la modifica nel diritto svizzero. La Svizzera può tuttavia partecipare ai lavori preparatori della legislazione europea, un processo noto come “decision shaping”. Ciò le consente di influenzare il contenuto dei testi in una fase iniziale, anche se non può partecipare alla votazione finale. Grazie alla sua partecipazione al processo decisionale, la Svizzera ha già ottenuto deroghe, come quella relativa al porto d’armi nell’accordo Schengen, affermando il diritto delle persone soggette al servizio militare di tenere l’arma a casa.
L’accordo sull’elettricità aprirà il mercato alla concorrenza, consentendo a molte PMI di scegliere il fornitore più adatto alle loro esigenze. Inoltre, aumenterà la sicurezza dell’approvvigionamento. L’accordo sulla sicurezza alimentare porterà la Svizzera in uno spazio comune di sicurezza alimentare. I produttori e le aziende svizzere beneficeranno di standard comuni più chiari nei settori della sicurezza alimentare, della salute delle piante e dei prodotti fitosanitari, tra gli altri. Ciò contribuirà a facilitare gli scambi tra i due mercati. L’economia sostiene il pacchetto di accordi e chiede un’attuazione favorevole. Attualmente il dibattito sui bilaterali III è ancora in corso.
Luciano Alban
Anche la Svizzera ha bisogno di un congedo parentale: con l’Iniziativa per un congedo familiare rafforziamo le famiglie
di Adrian Wüthrich, presidente di Travail.Suisse ed ex consigliere nazionale
Adrian Wüthrich
Italia e Svizzera sono paesi profondamente legati – sul piano economico, culturale e umano, grazie anche alle tante persone che quotidianamente costruiscono ponti tra le due società. Guardare oltre confine, soprattutto in materia di politiche familiari, è dunque un arricchimento. Perché la politica familiare non è un tema marginale: riguarda tutte le generazioni e determina quanto giuste e solidali siano le nostre comunità.
In Italia, negli ultimi anni, si è molto discusso di conciliazione tra lavoro e famiglia. L’introduzione dell’Assegno Unico Universale ha segnato un passo importante: un sostegno concreto che riconosce come la famiglia non sia solo una questione privata, ma il fondamento stesso della società. Eppure le difficoltà restano: giovani genitori con contratti precari, madri costrette a scegliere tra impiego e cura dei figli, nonni chiamati a sostituire servizi educativi carenti. La crisi demografica, con tassi di natalità in calo, conferma che la politica familiare non può ridursi al solo aiuto economico, ma deve creare condizioni che rendano il diventare genitori un’opportunità e non un rischio. Anche in Svizzera emergono sfide simili. Sebbene la partecipazione femminile al lavoro sia elevata, molte madri lavorano a tempo parziale, mentre i padri restano in gran parte occupati a tempo pieno. La conseguenza è una divisione diseguale dei compiti familiari e professionali, che spesso genera disuguaglianze salariali e pensionistiche. È evidente: il sostegno economico non basta. Servono tempo e riconoscimento sociale. Tempo per i figli, per la coppia, per le responsabilità di cura. Per questo Travail.Suisse, insieme a un’ampia alleanza di sindacati e associazioni, ha lanciato l’Iniziativa per un congedo familiare Essa chiede un congedo parentale di 18 settimane supplementari
rispetto alle attuali disposizioni, valido per entrambi i genitori. Obiettivo: permettere ai padri di assumersi fin dall’inizio un ruolo attivo e alleggerire le madri. Numerosi studi mostrano che, quando i padri trascorrono tempo con il neonato subito dopo la nascita, cambia non solo la relazione con il bambino ma anche l’equilibrio dei ruoli all’interno della famiglia. I padri coinvolti sin dall’inizio restano partecipi anche in seguito, con un beneficio per tutti: figli, genitori e mondo del lavoro.
L’iniziativa è chiara e concreta: 18 settimane retribuite all’80% del salario (100% per i redditi più bassi), utilizzabili nel primo anno di vita del bambino. Non un lusso, ma un investimento necessario per modelli familiari più equi. Per le aziende significa pianificazione e stabilità; per le famiglie, riconoscimento e sostegno; per la società, un investimento nel futuro. Bambini che crescono in contesti dove entrambi i genitori condividono le responsabilità hanno infatti uno sviluppo più sano ed equilibrato.
Travail.Suisse e i suoi sindacati membri – come Syna, Hotel & Gastro Union e Transfair – ribadiscono che una società che sostiene le famiglie investe nel proprio avvenire. Laddove i genitori possono condividere i compiti, ne traggono beneficio i bambini, le imprese e l’intera collettività.
Italia e Svizzera vivono sfide simili. Il dialogo sulle buone politiche familiari non conosce confini: è un motore per imparare gli uni dagli altri e per intraprendere passi coraggiosi verso una società più solidale. Con l’Iniziativa per un congedo familiare, Travail. Suisse vuole dimostrare che la politica può migliorare concretamente la vita delle persone.
Tutti i cittadini e le cittadine svizzeri con diritto di voto sono chiamati a firmare l’iniziativa. Alla fine, tutti i lavoratori e le lavoratrici – con o senza passaporto svizzero – potranno beneficiare di un autentico tempo per la famiglia.
Per maggiori informazioni: https://congedo-familiare. travailsuisse.ch/
La FAI al fianco del Patronato ACLI: una presenza da rafforzare per le nostre comunità all’estero
di Matteo Bracciali, Vicepresidente FAI e Segretario Generale
Nel 2025 il Patronato ACLI compie 80 anni. La Federazione delle ACLI
Internazionali ha accompagnato questa storia di servizio con orgoglio, sostenendo una comunità che in otto decenni ha assistito milioni di cittadini in Italia e all’estero.
Oggi il Patronato ACLI opera in 21 Paesi attraverso una rete capillare di sedi operative, spesso lontane dai grandi centri. I nostri operatori sono professionisti formati, radicati nei territori, che forniscono consulenza competente. In molti casi, il nostro intervento è complementare a quello di consolati e ambasciate: senza clamore, senza retorica, rappresentiamo un ponte reale tra i cittadini italiani nel mondo e lo Stato.
Eppure oggi ci troviamo a segnalare con forza un problema grave che rischia di compromettere questo ruolo fondamentale. L’ho fatto durante l’audizione alla Camera dei deputati sul disegno di legge sulle nuove procedure per la gestione delle pratiche di cittadinanza italiana. Il problema SPID: un blocco ingiustificato A causa delle attuali modalità di rilascio dello SPID, molti operatori dei patronati all’estero non possono ottenerlo: serve un documento di identità italiano in corso di validità, impossibile da ottenere per i cittadini stranieri. Questi lavoratori sono regolarmente formati e accreditati, ma l’impossibilità di accedere allo SPID li esclude dai portali della Pubblica Amministrazione italiana, precludendo la gestione di moltissime pratiche essenziali. È un blocco burocratico senza alcuna giustificazione logica o funzionale che genera un doppio danno: agli operatori ingiustamente limitati e ai cittadini italiani all’estero che si vedono negata un’assistenza più rapida, efficiente e digitale. Abbiamo chiesto al Ministero del Lavoro, di concerto con AgID, un intervento urgente per modalità alternative e sicure di riconoscimento digitale. Non chiediamo scorciatoie né trattamenti di favore, ma soluzioni realistiche calibrate sulla realtà dei territori in cui operiamo. Soluzioni che esistono già in altri ambiti della pubblica amministrazione e che potrebbero essere replicate. L’esclusione dai nuovi processi: un rischio con-
Matteo Bracciali
creto Il disegno di legge che riforma l’articolo 10 del decreto legislativo 71/2011 prevede di affidare a “operatori specializzati” compiti sensibili come ricezione, digitalizzazione e gestione delle domande di cittadinanza. Ma in tutto il testo non si fa alcun riferimento ai patronati. Questa omissione ci sembra grave e pericolosa. Abbiamo affrontato e contrastato nel tempo forme di abuso, irregolarità e opacità che hanno minato la fiducia nel sistema. I patronati sono stati il primo filtro contro derive “faccendieristiche” che hanno alimentato un vero mercato nero della cittadinanza. Escluderci da questo nuovo assetto rischia di aprire spazi a soggetti meno preparati, meno controllati e privi di legame con le comunità italiane. La nostra proposta: un modello concreto Coinvolgere formalmente i patronati riconosciuti dallo Stato, costruendo un portale digitale unico, sicuro e tracciabile attraverso cui operare direttamente in convenzione con il Ministero degli Esteri. Un modello che non solo esiste sulla carta, ma che in esperienze pilota come l’emissione di passaporti nel Regno Unito ha già dato risultati positivi. Il Patronato ACLI è una realtà trasparente, vigilata, con personale qualificato e missione pubblica chiara: aiutare i cittadini, in particolare quelli più vulnerabili, ad accedere ai propri diritti. Questo vale ancora di più all’estero, dove la distanza fisica si somma spesso a quella burocratica.
Riconoscere formalmente il nostro ruolo è semplicemente buon senso: valorizzare ciò che già funziona, rafforzare il presidio pubblico, evitare sprechi e garantire assistenza gratuita e competente. Da ottant’anni assolviamo questo compito, ma per continuare servono strumenti adeguati. Ogni cittadino italiano, ovunque si trovi, ha il diritto di sentirsi parte piena della comunità nazionale. Il nostro dovere è fare in modo che questo diritto sia reale, concreto, accessibile.
Cittadinanza, sicurezza del voto e incentivi al rientro: queste le priorità nell’agenda del CGIE
di Maria Chiara Prodi, Segretaria Generale del CGIE
Legge di cittadinanza, messa in sicurezza del voto all’estero, incentivi di rientro: questi i tre obiettivi che il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero si era fissato per il primo semestre del 2025, e attorno ai quali ha condiviso, dopo una sollecitazione dei territori e un lavoro delle commissioni tematiche, tre documenti durante la plenaria del giugno scorso, disponibili integralmente sul sito internet del CGIE. Lavorare per obiettivi non è una rivoluzione in sé, e nemmeno un modo per mettere in secondo piano il generoso servizio ordinario e quotidiano alla comunità, che non ha date di scadenza, né ha bisogno di comunicati stampa. Ma ci serve essenzialmente per tre finalità, tutte importanti. Prima di tutto condividere agenda e obiettivi è un modo trasparente per alimentare il dibattito all’interno delle nostre comunità e spiegare coi fatti non solo a cosa serve il CGIE, ma in che modo Com.It.Es. e CGIE, sollecitandosi a vicenda, possono aumentare il protagonismo dei connazionali all’estero e rafforzare la coesione e l’autorevolezza delle nostre realtà.
Poi serve a mettere dei punti fermi nel dibattito pubblico nazionale, che ha tendenza a confondere la nostra lontananza geografica con una pretesa assenza. Infine, ricorda alle tante realtà istituzionali che si occupano di politiche per gli italiani all’estero che siamo in grado di esercitare tutte e quattro le funzioni che la legge ci riconosce (consultiva, conoscitiva, propositiva, programmatoria). E che se la stessa legge prevede che ci vengano chiesti pareri obbligatori, è per rendere esplicito che debbano essere le autorità a cercare noi, e non noi a inseguire i nostri interlocutori.
La seconda e la terza finalità si sono intrecciate nella questione più importante dell’anno: la legge di cittadinanza. Che la legge andasse modificata, per armonizzarsi con gli altri paesi europei e per evitare una platea indefinita di aventi diritto alla cittadinanza italiana, era a tutti noto. Che la generosità della legge del 1992 permettesse un utilizzo funzionale del passaporto, in assenza di adesione alla comunità civile, era una ferita aperta. Ed era per queste ragioni che il CGIE stava ragionando attorno al concetto di cittadinanza consapevole, volta non tanto a porre limiti con criteri di natura generale, ma a valutare in maniera diretta, tramite la conoscenza della lingua e degli elementi base del nostro vivere civile, l’adesione alla comunità nazionale. Sangue e scelta avrebbero trovato così un dialogo che avrebbe garantito una continuità con lo spirito della legge precedente (perché la generosità era un asset geopolitico e un legittimo riconoscimento al contributo dell’emigrazione), ma anche un reale legame effettivo con il nostro
paese. A fine marzo il decreto-legge 36/2025 ha interrotto questo percorso e, in assenza di richiesta di parere formale ex ante, ci ha costretto a puntellare ex post ciò che ci sembrava invece ovvio: chi ha la cittadinanza la trasmette, avere due cittadinanze non deve essere discriminatorio. Rimettere in campo un dibattito pubblico ampio, che guardi al futuro e non solo alle contingenze, è compito di tutti i cittadini. Il 17 giugno scorso, ricevendoci al Quirinale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non solo ha riconosciuto il nostro impegno, ma ha aperto in maniera significativa alle nostre richieste di modifica sulla legge di cittadinanza, richieste che il giorno dopo abbiamo votato a larghissima maggioranza. Questo segnale forte, dato dalla più alta carica dello Stato, e questa rispondenza del nostro Consiglio, coeso e determinato, devono essere un segno di svolta per tutti noi. Con questi tre obiettivi abbiamo dimostrato anche che l’emorragia emigratoria costa al nostro paese varie manovre di bilancio e che per una circolarità delle persone e dei talenti serve una politica integrata; che i casi di brogli elettorali esistono, ma sono circoscritti, riconoscibili e con una migliore organizzazione delle elezioni possono essere drasticamente limitati. Sono forse ovvietà per noi, ma con ogni evidenza non lo sono per molti. Da cui la necessità di far sentire la nostra voce e continuare a inanellare obiettivi e battaglie.
Maria Chiara Prodi
Cittadinanza italiana, 20 maggio 2025, il giorno della vergogna
Il 20 maggio 2025 entrerà nei libri di storia come il giorno della vergogna. L’approvazione, in via definitiva, della nuova legge sulla cittadinanza italiana ha inflitto un colpo mortale a quasi due secoli di emigrazione italiana nel mondo. «Se non la blocchiamo, tra qualche anno rischiamo di avere più italiani all’estero che in Italia». Questa è una delle motivazioni utilizzate dal governo di Giorgia Meloni per giustificare l’ingiustificabile. Tuttavia, ammesso e non concesso sia così, qualcuno si è mai chiesto il perché di questi numeri? Per assurdo, ammettiamo sia possibile una cosa del genere, perché può essere possibile? Facile, dal 1876 – anno di prima rilevazione statistica dei flussi emigratori italiani –, ad oggi, le partenze dalla penisola sfiorano i 40 milioni. Se la demografia è una scienza, inesatta come la medicina, l’ipotesi numerica è possibile, quella pratica no.
Ancora, stando ai fatti, quando si parla di nuova cittadinanza italiana, occorre soffermarsi un secondo su come questa sia stata modificata, o meglio, con quali presupposti: «gli italiani all’estero sono una questione di sicurezza nazionale». Non è uno scherzo, questa è la motivazione con cui il governo ha giustificato la necessità e l’urgenza del provvedimento stesso. Insomma, dovevano arrivare i patrioti più patrioti degli altri per denigrare in via definitiva due secoli di storia italiana e non solo. Arrivati a questo punto, poniamoci delle domande.
Essere cittadini cosa significa? Cos’è la cittadinanza? Semplificando, quest’ultima non è altro che un concetto giuridico che definisce il rapporto tra un individuo e uno Stato, attribuendogli una serie di diritti e doveri. In sostanza, è l’appartenenza a una comunità politica, con tutte le implicazioni giuridiche, sociali e politiche che ne derivano. Detto in altri termini, la cittadinanza si compone di diverse caratteristiche che, storicamente nei secoli, ne hanno definito l’essenza.
La cittadinanza non è solo una questione giuridica, ma ha a che fare anche con un senso emotivo di partecipazione alla collettività (Nazione) alla quale si sente di appartenere. Senso di appartenenza,
appunto, significa sentirsi di appartenere ad un gruppo di persone che avverte un comun sentire, una identità comune. Fin qui abbiamo provato a dare una definizione giuridicamente un minimo articolata del significato di cittadinanza. Come si può notare, anche se solo nell’ultima caratteristica, ovvero quella legata al senso di appartenenza, abbiamo utilizzato il termine identità. Paradossalmente, è proprio questo il concetto nascosto (identità), il non detto, che apre a una serie di interminabili discussioni tra aperturisti, progressisti e conservatori. Chi ha diritto di diventare cittadino e di trasmettere la cittadinanza? Quali requisiti, quali caratteristiche deve possedere l’individuo per esser ritenuto degno di entrare in una comunità (Nazione) già definita? La risposta a queste domande, da secoli, da quando il concetto giuridico è stato definito, da quando si è consolidato il concetto di Nazione provoca discussioni interminabili. Dopo quanto tempo, una persona ha diritto a definirsi cittadino, e così via. Come sappiamo, esistono due modelli di riferimento di trasmissione di cittadinanza: ius soli e ius sanguinis
Dato per assunto quanto detto, cosa significa identità? Detto altrimenti, cosa significa essere italiani? Riconoscersi in una lingua? Essere di religione cattolica? Già qui le distinzioni si amplierebbero, diciamo allora definirsi cristiani? Eppure, la Repubblica è di per sé laica, quindi non prevede un diritto in più (positivo) da assegnare ad un credo religioso rispetto ad un altro. E allora cosa significa essere italiani, cosa si intende per identità italiana? Avere il gusto per un certo tipo di cucina, per un certo tipo di abbigliamento? Probabilmente, nell’eterogeneità enogastronomica e linguistica della penisola, l’identità italiana univoca, ammesso che ne avessimo realmente bisogno, possiamo ritrovarla nell’emigrazione, fenomeno sociale totalizzante che ha coinvolto tutto il paese dal profondo Nord allo sperduto Sud, che è stato definitivamente mortificato con questa nuova legge.
di Toni Ricciardi, deputato al Parlamento italiano
Toni Ricciardi
Voto degli italiani all’estero: criticità e proposte di miglioramento
di Prof. Saverio D’Auria, Dipartimento di Fisica “A. Pontremoli” Università di Milano
Il voto degli italiani all’estero è stato introdotto con la legge 459/2001 detta anche “legge Tremaglia” ed è stato applicato per la prima volta alle elezioni politiche nel 2006. Era stata applicata anche ai referendum abrogativi del 15 giugno 2003. Abbiamo quindi oltre 20 anni di esperienza, nei quali abbiamo avuto cinque elezioni politiche, sei referendum abrogativi e tre referendum costituzionali. Possiamo fare il punto sui meccanismi di votazione, cosa è andato bene e cosa si può migliorare. Nel parlare di questo non si può prescindere da considerare la maturità democratica, o anche il senso civico della popolazione: le prime elezioni in Italia si tennero nel 1861, cioè cinque generazioni fa, ma si era ben lontani dal suffragio universale, poteva votare solo il 2% della popolazione maggiorenne. Bisogna poi considerare anche la maturità democratica o senso civico repubblicano dei paesi ospiti delle comunità italiane. In generale, possiamo dire che il voto degli italiani all’estero è stato un grande successo, per tutti. Coloro che sono espatriati da poco hanno potuto mantenere un legame con l’Italia, gli italiani emigrati di seconda generazione hanno ritrovato questo legame. I parlamentari eletti si sono mostrati molto validi, certamente all’altezza di quelli eletti in Italia, seppure con qualche nota folcloristica, ad anni di distanza c’è ancora chi dà spunto alle satire televisive di Crozza. Possiamo chiederci da un punto di vista legale come si sia svolto il voto: è stato personale libero e segreto per tutti? Soprattutto: tutti i parlamentari sono stati eletti legalmente? Per la stragrande maggioranza dei voti, con le dovute approssimazioni, possiamo affermare che il voto sia stato personale libero e segreto. Per i referendum possiamo parlare della quasi totalità, mentre questo è leggermente meno vero per le elezioni politiche. Certo, la ristretta cabina elettorale si è allargata a includere le pareti di casa. Ci sono famiglie in cui ognuno ha votato per conto suo, come dovrebbe essere, altre famiglie in cui si è votato palesemente, davanti ai
familiari. In alcuni casi degli elettori, soprattutto persone anziane, hanno fatto ricorso all’aiuto di altri per capire come votare da un punto di vista pratico. Sì, le istruzioni non sono semplici e sono scritte in italiano “burocratese”, potrebbero essere semplificate, sul modello delle istruzioni dei mobili Ikea. In alcuni casi ci si rivolge ad altri familiari, o ad amici, o a varie associazioni di italiani, ma poi è l’elettore che invia il plico per posta. Questa è certo un’irregolarità, ma è l’elettore stesso che sceglie a chi rivolgersi, da chi farsi aiutare, possibilmente qualcuno che condivida le sue idee politiche, o qualcuno che reputa una persona corretta. Man mano che l’alfabetizzazione democratica cresce nella comunità italiana questo tipo di irregolarità dovrebbe diminuire. In questo, il ruolo le associazioni degli italiani all’estero è fondamentale, perché può istruire i connazionali sui valori del voto e della democrazia. Le associazioni possono anche produrre istruzioni semplici e chiare, magari anche nella lingua del posto, su come votare: usare penna nera o blu, ripiegare le schede, inserirle nella busta bianca e inserire busta bianca e tagliando elettorale nella busta per il consolato.
Ci sono stati poi dei veri e propri brogli: non tutti i parlamentari risultati eletti all’estero sono stati eletti dai cittadini italiani. Abbiamo avuto due tipi di brogli: nel tipo “A” qualcuno ha rubato dalle cassette delle lettere, o ha acquistato dagli elettori non interessati, i plichi elettorali, ha votato le schede e ha spedito i` plichi. Di questo c’è stata una testimonianza diretta, raccolta dai giornalisti del programma “Le Iene”, disponibile su you tube: qualcuno ha ammesso di essere stato pagato per rubare e acquistare plichi elettorali. Ma c’è stato anche il riscontro oggettivo dei risultati dello scrutinio: i plichi raccolti, e poi votati, sono confluiti nello stesso seggio di spoglio, arrivando al risultato paradossale che in un seggio di un consolato tal candidato aveva il 30% dei voti e delle preferenze, quando negli altri seggi di spoglio ne aveva il 6% . Ora, mentre sarebbe del tutto normale in seggi “territoriali” come in Italia, nei seggi all’estero, che sono suddivisi per
consolato, ma all’interno dello stesso consolato sono equivalenti, questa distribuzione anomala ha una probabilità di verificarsi per puro caso di meno di uno su un milione. Unito al riscontro della testimonianza raccolta da Le Iene questo ci fa dire che il deputato in questione ha molto, molto, molto probabilmente usurpato, con questo metodo, il posto a un altro candidato della stessa lista. Il numero stimato di voti truffaldini non sarebbe stato in grado di cambiare i risultati della lista, ma il candidato eletto, sì. Questi voti si sarebbero potuti contestare a livello di spoglio, perché evidentemente sono stati votati da poche mani, che hanno scritto il nome del candidato: una perizia calligrafica avrebbe supportato ampiamente la contestazione.
Ci sono poi stati brogli di tipo “B”, che sono su più larga scala: sono state stampate schede elettorali, insieme a certificati elettorali, votate e spedite ai consolati. Questo è successo di sicuro nel 2008, quando la maggior parte delle schede false sono state annullate dai presidenti di seggio, o contestate dai rappresentanti di lista. È successo di nuovo nel 2018, e questo ha portato alla nomina fraudolenta di un senatore, poi dichiarato decaduto dal voto in aula dopo l’esame della giunta delle elezioni. Ancora una volta c’è il riscontro scientifico: sia nelle perizie calligrafiche, sia nelle perizie tecniche sulle schede elettorali stampate, sia nei dati di scrutinio: in uno dei seggi di spoglio di quel consolato quel partito politico ha registrato più del 95% dei voti, cosa assolutamente impossibile, quando negli altri seggi postali dello stesso consolato si attestava intorno al 20-25%
Cosa fare allora per contrastare i brogli? Il voto elettronico è ancora di là da venire: non si può certificare il controllo, non si può ancora essere certi di poter evitare il furto di identità, lo SPID non è ancora diffuso tra i residenti all’estero, e non c’è abbastanza alfabetizzazione digitale nelle nostre comunità all’estero. Rimane inoltre un problema di fondo: la gestione di un voto elettronico sarebbe, di fatto, nelle mani del governo, e dunque non di un ente terzo: c’è un evidente conflitto di interessi.
Torniamo al voto “normale” su carta. Certamente, avere dei seggi in cui l’elettore si reca a votare di persona sarebbe la migliore opzione. Nell’Unione Europea non dovrebbero esserci ostacoli di natura politica. In mancanza di giurisdizione della magistratura italiana, lo spoglio dovrebbe ancora
avvenire in Italia, ma almeno si avrebbe certezza dell’identità di chi vota. Va ricordato però che anche in questo caso, il metodo della “scheda ballerina” in Italia ha fatto registrare visibili brogli: una scheda timbrata e non ancora votata viene sottratta al seggio, votata e consegnata all’elettore, che riceve un compenso solo se fa uscire la sua scheda bianca timbrata, che potrà essere riusata .. e così via. È chiaro che se questo succedesse in un seggio estero, presidente e scrutatori non sarebbero facilmente perseguibili. Sarebbero dunque da scegliere con estrema cura tra le persone di alto senso civico. Il voto personale presso i seggi non sarebbe possibile per tutti gli italiani all’estero, vuoi per lontananza dai consolati, vuoi per mancanza di accordi bilaterali con il paese ospitante. Una parte del voto dovrebbe ancora avvenire per corrispondenza. In questo caso ci sono alcune accortezze che si potrebbero utilizzare, con costi aggiuntivi minimi, se non addirittura un risparmio:
1. Stampare le schede in Italia, e con metodi antifrode. Le schede dei referendum costituzionali sono difficilissime da falsificare, si potrebbe usare lo stesso metodo. La spesa sarebbe tutta in Italia, ma si aggiungerebbe la spesa di trasporto.
2. Aggiungere un codice di controllo al numero di elettore del certificato elettorale, codice che dovrebbe cambiare da elezione a elezione e che non possa essere pubblicato. Questo cambiamento a costo zero renderebbe difficile la contraffazione dei certificati elettorali.
3. Codificare questo codice e il numero di elettore anche con un QR code; dotare i seggi di spoglio di un telefonino dedicato alla lettura dei QR codes per ammettere le schede; i telefonini sarebbero collegati solo a una rete locale al database degli elettori. Questo farebbe in modo che i seggi di spoglio facciano i controlli, che spesso ora sono saltati a pié pari. Questo metodo permetterebbe di evitare di stampare su carta migliaia di elenchi di elettori, compensando abbondantemente del costo dei telefonini che leggano i QR code.
4. Dall’esperienza avuta in questi anni sarebbe molto semplice utilizzare tecniche statistiche, sia gestite da un programma scritto da un tecnico umano, che gestite da auto-apprendimento (questo metodo è anche noto come intelligenza artificiale) per isolare quei casi in cui i brogli sono statisticamente evidenti, e avviare controlli capillari sulle schede di questi seggi, per esempio con perizie grafiche.
5. Iniziare e continuare una campagna di “scolarizzazione democratica” presso le nostre comunità all’estero, veri corsi di cittadinanza, o educazione civica, per sottolineare il concetto che il voto è molto importante, e deve essere personale, libero e segreto, come previsto dell’articolo 48 della nostra bellissima costituzione.
Per quest’ultimo punto è estremamente importante. Le associazioni degli italiani all’estero hanno un compito fondamentale per realizzarlo: possono essere uno strumento indispensabile per la crescita democratica della nostra comunità.
Rientrare per ricostruire: la necessità di una strategia nazionale per il ritorno degli italiani all’estero
di Matteo Bracciali – Presidente Commissione 7 “Nuove migrazioni, generazioni nuove” CGIE – Consiglio Generale degli Italiani all’Estero
In un contesto segnato da dinamiche demografiche recessive, impoverimento del capitale umano e squilibri territoriali interni, il rientro degli italiani emigrati rappresenta oggi una priorità strategica per l’Italia. Questa sfida non si limita al recupero di talenti altamente specializzati, ma riguarda più profondamente la possibilità di avviare un processo rigenerativo, culturale ed economico, capace di rafforzare la coesione sociale e la competitività del Paese. Gli italiani all’estero – oltre sei milioni iscritti all’AIRE – costituiscono una risorsa plurale, portatrice di competenze, relazioni e prospettive maturate in contesti internazionali, spesso più dinamici dell’Italia odierna. Le politiche di incentivo al rientro, tuttavia, necessitano oggi di un salto di qualità, sia in termini di equità che di visione sistemica.
Oltre i “cervelli in fuga”: estendere gli incentivi ai lavoratori ordinari.
Finora, le misure fiscali di incentivo al rientro si sono concentrate soprattutto su profili professionali altamente qualificati: ricercatori, docenti universitari, dirigenti, specialisti in discipline STEM. L’impianto normativo – introdotto inizialmente con il cosiddetto “Decreto Controesodo” e poi ampliato con successive modifiche –prevede significative detrazioni fiscali per coloro che trasferiscono la residenza in Italia per svolgere attività lavorative, a condizione
che abbiano vissuto all’estero per un certo periodo e possiedano requisiti professionali elevati. Questo approccio, pur comprensibile in un’ottica di attrazione dei talenti, risulta tuttavia miope se si considera la composizione reale delle comunità italiane nel mondo. Una quota consistente di italiani opera nei settori artigianali, nel commercio, nell’agricoltura, nei servizi. Si tratta di cittadini con forte senso di appartenenza, esperienza concreta, spirito imprenditoriale e competenze pratiche, spesso acquisite fuori dai circuiti accademici, ma non per questo meno rilevanti per la vitalità economica e sociale delle aree marginali italiane. Una strategia più inclusiva dovrebbe prevedere criteri di accesso più flessibili, calibrati non solo sul livello di istruzione ma anche sull’esperienza professionale e sull’impatto potenziale del rientro nei contesti locali.
Potrebbero essere introdotti meccanismi proporzionali di incentivo, che tengano conto della categoria lavorativa, dell’area geografica di insediamento e della finalità del rientro (es. avvio di impresa, lavoro autonomo, occupazione in settori strategici).
Costruire un ecosistema del rientro: abitare, lavorare, formarsi
Il rientro non è un evento, ma un processo. Non basta attrarre persone con sgravi fiscali temporanei: serve un’infrastruttura istituzionale che accompagni e sostenga le famiglie in tutte le fasi della reintegrazione. È qui che emerge la necessità di un ecosistema del rientro, fondato su tre pilastri interdipendenti: casa, lavoro e formazione. Sul piano abitativo, oltre ai contributi spot o alle iniziative simboliche (come le case a un euro), occorre un’offerta stabile e accessibile di alloggi per chi rientra, inclusi strumenti come mutui agevolati, garanzie pubbliche e incentivi per la rigenerazione edilizia.
Questo può avere effetti positivi anche sulle poli-
Matteo Bracciali
tiche abitative locali e sulla riqualificazione dei centri storici.
Il secondo pilastro è il lavoro. Le competenze acquisite all’estero spesso non trovano immediata valorizzazione in Italia a causa di barriere burocratiche, mancato riconoscimento dei titoli, rigidità contrattuali. Programmi regionali o nazionali di orientamento, riqualificazione, riconoscimento delle competenze e matching occupazionale sono fondamentali per assicurare una transizione lavorativa efficace.
Infine, la formazione – sia per adulti che per i figli – è un fattore chiave per un rientro stabile. Corsi di lingua e aggiornamento professionale, percorsi di reinserimento scolastico, orientamento educativo e accesso ai servizi sono elementi imprescindibili per una vera inclusione sociale. L’assenza di un coordinamento tra questi aspetti rende il rientro insostenibile per molte famiglie.
Rientro come strumento di rigenerazione delle aree interne
Uno degli ambiti dove il rientro può avere un impatto trasformativo è quello delle aree interne italiane, oggi minacciate da un lento ma continuo spopolamento. Secondo dati ISTAT, oltre 2.000 comuni italiani hanno subito negli ultimi dieci anni un calo demografico superiore al 10%. In molte aree dell’Appennino e del Mezzogiorno, interi borghi rischiano l’estinzione per mancanza di residenti, servizi, investimenti. Eppure, proprio queste aree offrono un ambiente
favorevole a nuovi modelli di vita e lavoro: costi bassi, qualità ambientale, spazi disponibili, reti sociali resilienti. Se adeguatamente valorizzate, possono attrarre rientranti in cerca di una vita più equilibrata e sostenibile. Le esperienze di successo (da Gangi in Sicilia a Biccari in Puglia, da Ollolai in Sardegna a Santo Stefano di Sessanio in Abruzzo) dimostrano che è possibile innescare dinamiche virtuose, ma solo se si garantiscono infrastrutture digitali, servizi minimi essenziali (sanità, istruzione, mobilità) e opportunità economiche concrete.
Un rientro “territorialmente orientato” dovrebbe quindi essere sostenuto da accordi tra Comuni, Regioni e Stato centrale, con pacchetti integrati di servizi, incentivi personalizzati e misure di accompagnamento. Le comunità locali, d’altro canto, devono essere coinvolte attivamente in questi processi, per evitare forme di rigetto o conflitto e per valorizzare le relazioni di prossimità.
Un nuovo patto tra Stato, cittadini e territori
Non basta “far tornare i cervelli”: occorre “riaccogliere le persone”. L’Italia ha bisogno di un patto nuovo con i suoi cittadini all’estero, fondato sulla fiducia, sull’inclusività e sulla progettualità. Un patto che riconosca il valore plurale delle migrazioni di ritorno: non solo come risorsa economica, ma come occasione di rinnovamento culturale, sociale e civile. Perché il rientro non riguarda solo chi torna: riguarda anche chi resta, chi accoglie, chi costruisce comunità.
L’auspicio è che il tema entri stabilmente nell’agenda politica nazionale e regionale, con strumenti stabili, finanziamenti adeguati e un monitoraggio continuo degli esiti. L’Italia non può più permettersi di considerare il rientro un fatto eccezionale: deve diventare una politica strutturale, una delle chiavi per ricostruire il futuro.
Cittadinanza per discendenza: l’interesse superficiale, a senso unico dei giornali in Italia
Fabio Lo Verso, direttore Corriere dell’italianità
Nell’Italia di oggi, dove l’informazione è sempre più autoreferenziale e circoscritta ai confini del Paese, come poteva andare? Stampa, radio e televisioni hanno mostrato un interesse superficiale per il destino delle comunità italiane nel mondo, colpite dalla legge Tajani sulla cittadinanza per discendenza.
I grandi quotidiani, Sole 24 Ore, Repubblica, Corriere della Sera e Avvenire, hanno sì dato la notizia, e presentato il testo anche con buona dovizia giuridica, ma con pochi cenni analitici, cronache anodine e una prevalenza di resoconti orizzontali, in superficie.
Nel panorama dell’informazione nazionale è stato soprattutto dato risalto alle dichiarazioni del ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani, padrino politico del testo scagliato come un anatema contro milioni di concittadini nati all’estero e in possesso di doppia cittadinanza.
«È un provvedimento voluto per restituire dignità e significato a un diritto che deve fondarsi su un legame autentico con l’Italia, non solo burocratico, ma culturale, civico e identitario», dichiara il ministro dopo il voto favorevole al Senato. E aggiunge: «Questa riforma non esclude, ma responsabilizza» (Repubblica, 15 maggio 2025). Le parole di Tajani appaiono fuori luogo al quotidiano Avvenire (3 giugno 2025): «Di fatto, milioni di persone, in tutto il mondo, da un giorno all’altro, sono private della cittadinanza italiana», osserva un’editorialista. Insomma, la legge esclude.
Al giornale cattolico, sempre attento alle ingiustizie, c‘è voluto qualche giorno per rendersi conto delle criticità della legge votata il 20 maggio in via definitiva alla Camera. Ma è stato l’unico grande quotidiano ad aver mostrato una certa considerazione per gli italiani nel mondo, vittime di «una drastica riduzione dei diritti».
Nel resto dell’informazione nazionale, l’interesse si concentra invece esclusivamente sui discendenti degli immigrati che richiedono il passaporto italiano, «ma non parlano italiano e non hanno legami con l’Italia».
I media ne hanno messo in scena la caricatura accentuando i casi di frode (Tajani ostenta l’esempio di cinque Hezbollah che si
erano comprati la cittadinanza con finti certificati di nascita di nonni e bisnonni) e le migliaia di pratiche di cittadini sudamericani, brasiliani in primo luogo, che non hanno mai messo piede nel Paese di origine dei loro antenati, emigrati anche 150 anni fa.
«Un vero e proprio business da milioni di euro», denuncia un’inchiesta di Presa diretta, diffusa il 9 marzo in prima serata su Rai 3, tre settimane prima del decreto-legge del 28 marzo, poi convertito in legge. Una strana coincidenza. «Fino a ieri, specie in America Latina, si reclamizzavano perfino sconti nel Black Friday per avere la cittadinanza italiana», si lamenta il Corriere della Sera (28 marzo 2025). L’affare milionario ruota attorno al riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. Ed ecco la questione rovesciata.
«Era lo ius sanguinis ad essere irragionevole?», si chiede allora lo stesso editorialista di Avvenire. «La cittadinanza va meritata» (Corriere della Sera 28 marzo 2025), non acquistata con l’inganno, non regalata a chi non ha mai vissuto in Italia. è il tam-tam governativo che la stampa nazionale amplifica sposando le tesi di Tajani e della coalizione al governo, ossessionata dalle richieste di riconoscimento della cittadinanza nei Paesi sudamericani. Lo spauracchio da agitare è il dato dei 30 a 60 milioni di italo-discendenti che avrebbero diritto alla cittadinanza italiana, «senza aver mai vissuto in Italia».
Fra questi spicca un certo Javier Milei. Al presidente argentino però il governo ha nel dicembre 2024 concesso il passaporto con una procedura accelerata. Nel silenzio assenso della stampa.
Oggi, oltre tre mesi dopo il «giorno della vergogna», come è stato definito quel cupo 20 maggio, data del voto finale alla Camera, se cerchi un articolo di giornale che faccia luce sugli effet -
di
ti perversi del testo per gli italiani nel mondo, non lo trovi.
Con una notevole eccezione: la lucida, acuta e profonda analisi pubblicata il 19 maggio dall’Espresso, a firma di Maria Chiara Prodi, segretaria generale del Cgie. ll settimanale è stato molto abile nel fare appello all’alta rappresentante degli italiani nel mondo. Prodi ha espresso «l’onda emotiva che ha accolto il provvedimento fuori dall’Italia» e illustrato con arguzia l’autentico vulnus della legge: l’attacco punitivo, vessatorio, alla doppia cittadinanza.
Riepiloghiamo: sei italiano, italiana, di genitori e nonni italiani ma vivi e lavori all’estero, e hai acquisito la cittadinanza del Paese in cui paghi le tasse? Ebbene il tuo «essere italiano» non è più trasmissibile senza limitazioni ai tuoi discendenti.
Si spegnerà nel tempo, nell’arco di due generazioni, quando diventerai nonno o nonna. E questo accade proprio perché hai acquistato un’altra cittadinanza, anche se sei nato e hai vissuto in Italia fino alla maggiore età.
Scrive allora Prodi: «è come se la cittadinanza italiana diventasse un ‘gene recessivo’, che viene smarrito se i genitori non hanno la cittadinanza italiana esclusiva».
La metafora del «gene recessivo», brillantemente
scovata dalla segretaria generale del Cgie, schiude uno scenario esiziale per l’italianità nel mondo. Un esagerazione? Alcuni giuristi e avvocati italiani si sono tremendamente spinti oltre i confini dell’immaginazione. Nei blog professionali e nei siti web specializzati, come judicium.it, affermano che il provvedimento crea un fenomeno di «denaturalizzazione di massa». Nel tempo, avvertono, ed è il dato più grave, si realizzerà un’«estinzione collettiva» della cittadinanza fuori dal Paese. Quasi una cancellazione programmatica della presenza italiana nel mondo.
Ora la prospettiva catastrofista di giuristi e avvocati non è stata nemmeno lontanamente menzionata nei media nazionali. Di questo scenario dalle tinte fosche se n’è fatto brevemente interprete il Corriere dell’italianità nell’edizione estiva di luglio e agosto. A pensarci bene, la premonizione di un’estinzione collettiva della cittadinanza italiana nel mondo non sembra priva di fondamento.
Se spezzi il filo dell’italodiscendenza, prima o poi infatti la trasmissione si esaurirà. A meno che i giovani italiani all’estero cancellino dalla loro mente l’idea della doppia cittadinanza (costringendosi a vivere da cittadini di serie B nel Paese in cui pagano le tasse) e rientrino speditamente in Italia per far nascere i figli, con buona pace per i parti in emergenza e i neonati prematuri.
Le pagine di Maria Chiara Prodi nell’Espresso e i blog di giuristi e avvocati rimangono ad oggi gli unici spazi di riflessione in cui le assurde criticità della legge sono state indagate, guardando al destino delle comunità italiane nel mondo. Un tema poco spendibile sul mercato dell’informazione nazionale.
Riscatto di Laurea
Buongiorno, mi chiamo Linda, ho 30 anni e mi sono trasferita in Svizzera da poco. Ho fatto l’università in Italia e mi interrogo sull’opportunità di riscattare questo periodo di studio, in modo da aumentare i miei contributi italiani. Potete dirmi se mi conviene? Ringrazio dell’attenzione e saluto cordialmente.
Buongiorno Linda, La Sua è una domanda che viene posta ai nostri sportelli abbastanza di frequente. La ringraziamo della possibilità, che ci offre, di dare qualche informazione di carattere generale. Innanzitutto, bisogna ricordare che il riscatto di laurea è una procedura onerosa. A differenza dell’accredito (per esempio
del servizio militare o dei periodi di maternità) che è gratuito, il riscatto comporta sempre un pagamento, all’INPS, calcolato sull’importo degli ultimi contributi versati.
È bene ricordare che il Riscatto della Laurea è possibile unicamente se si è conseguito il titolo di studio. Non basta aver frequentato un corso universitario. Il periodo di studio massimo che si può riscattare non può superare la durata legale prevista per il corso stesso. Tuttavia, non si è obbligati a riscattarlo per intero, si può scegliere un riscatto parziale (per esempio un singolo anno).
Per poter riscattare questi periodi è necessario aver versato almeno un contributo in Italia.
Essendo una procedura onerosa, è necessario valutarne la convenienza (tanto più che, se chi paga le tasse in Italia può dedurre l’importo del riscatto in dichiarazione fiscale, chi vive all’estero – e non è tenuto a pagare le tasse in Italia – generalmente non può farlo)
Il riscatto aumenta gli anni di contribuzione e la misura, ovvero il valore, della futura pensione. Ma tale incremento
Coordinamento Nazionale svizzera@patronato.acli.it
deve essere valutato in funzione del costo del riscatto, che varia in base al fatto che sussistano o meno i requisiti per il riscatto ordinario o quello agevolato. In linea generale, oltre che per l’aumento della misura della pensione, il Riscatto è tanto più utile se permette di anticipare la decorrenza della pensione (raggiungimento del requisito utile per la Pensione Anticipata). Cosa non semplice da valutare in casi di chi, giovane come Lei, ha da poco iniziato il suo
percorso lavorativo. Ad ogni modo, da questo punto di vista, vale la pena considerare altri strumenti che possano rivelarsi utili ad aumentare gli anni di contribuzione (es. Benefici lavoratrici madri, Pace contributiva, ecc.).
Sperando di averLa aiutata ad inquadrare questo dispositivo, La invitiamo a rivolgersi alla sede più vicina del Patronato ACLI Svizzera per una consulenza più approfondita.
INFORMAZIONE IMPORTANTE: LA NOSTRA SEDE DI BIASCA CAMBIA INDIRIZZO!
Informiamo la gentile utenza, ed in particolare le/i residenti nel Sopraceneri, che, dal 4 di Settembre, la nostra Sede di Biasca si trasferisce in Via Bellinzona 26 (6710 Biasca) all’interno dello stabile del sindacato OCST, di fronte alla stazione dei treni.
La sede sarà aperta al pubblico tutti i giovedì (e, all’occorrenza, anche di venerdì).
Per informazioni e per appuntamenti, potete raggiungerci agli stessi contatti telefonici (091 862 23 32) e email (biasca@ patronato.acli.it) del precedente indirizzo.
Vi aspettiamo numerose e numerosi!
Breve
resoconto delle celebrazioni per gli ottant’anni del patronato ACLI , alle quali non poteva mancare e non
è mancata
la delegazione svizzera.
L’11 ed il 12 luglio scorso, le operatrici e gli operatori del Patronato ACLI Italia e Mondo si sono ritrovati a Sacrofano, poco fuori Roma, per celebrare i primi Ottant’anni del Patronato ACLI. Le celebrazioni hanno coinvolto quasi 700 persone, convenute da tutta Italia e da tutto il mondo per ricordare insieme le tappe più significative della propria storia, lo spirito che l’ha animata e che l’anima ancora e, soprattutto, per definire la strategia per proiettarsi nel futuro. Tra i convitati non poteva assolutamente mancare la delegazione Svizzera, che ha partecipato numerosa ed entusiasta. Sito in un luogo di grande valenza storica e simbolica (là dove, nel 312 DC, l’imperatore Costantino, nel proprio accampamento, ebbe l’apparizione della Croce la notte prima della battaglia di Ponte Milvio) l’evento ha saputo alternare momenti conviviali e festivi a momenti di studio e di riflessione storica, motivazionale e di proiezione dei propri servizi nel futuro. Nella Prima giornata, ai numerosi interventi della dirigenza del Patronato ACLI, tra i quali ci piace ricordare il toccante ricordo di Mimmo Lucà e delle sue lettere al Patronato ACLI, da parte del D.G. Nicola Preti, si sono succeduti quelli di personaggi sportivi (il mitico pallavolista Andrea Zorzi, in veste di motivatore) e della TV (Marino Bartoletti, col suo spettacolo sulla storia d’Italia in bicicletta).
La seconda giornata è stata invece dedicata allo studio ed al confronto sulla tematica previdenziale, da sempre al centro del lavoro del Patronato ACLI, che hanno visto gli interventi di docenti universitari di ambito previdenziale, quali Lisa Taschini e Stefano Giubboni, dell’UniPG, e di Giuseppe Ludovico dell’UniMi. Alla seconda giornata, tra gli altri, è intervenuto anche il Presidente nazionale delle ACLI, Emiliano Manfredonia, che ha voluto sottolineare il valore profondo dei servizi offerti dal Patronato ACLI: “Dovranno riconoscervi non tanto e non solo per la competenza, ma per la dedizione che offrite nel servizio al prossimo”. Il Patronato ACLI – ha ricordato – è nato prima ancora della Costituzione italiana, nel 1945: “Il Patronato anticipa i bisogni e i diritti delle persone”. Una visione profetica che continua ancora oggi, con lo sguardo rivolto al futuro.
Queste giornate, che hanno visto anche dei giochi a squadre molto divertenti, si sono rivelate una tappa fondamentale nella storia del Patronato ACLI: un evento che ha acceso entusiasmo e rinnovato l’energia delle operatrici e degli operatori: quella che ogni giorno hanno messo con passione al servizio delle persone, per i primi 80 anni della loro storia, e che non mancheranno di mettere anche nei prossimi 80!
Sabato 20 settembre alle ore 14.00, presso il salone dell’OCST in via Balestra a Lugano, si terrà un incontro pubblico sul tema “L’iniziativa Multinazionali Responsabili”, promosso da ACLI Svizzera, assieme alla Rete Laudato Sì nella Svizzera Italiana.
Durante l’evento verrà proiettato il documentario co-diretto da Erika González Ramirez e Matthieu Lietaert “The Illusion of Abundance”?” che racconta l’impressionante lotta di tre attiviste per i diritti umani e ambientali in Perù, Honduras e Brasile contro lo strapotere delle multinazionali – mostrando
così perché è finalmente necessaria una legge stringente per multinazionali responsabili anche in Svizzera.
Dopo la visione del documentario, interverrà Daria Lepori, vice presidente del Gran Consiglio del Canton Ticino, a cui seguirà un dibattito con protagonisti il prof. Markus Krienke, docente di filosofia moderna e di etica sociale, e un esponente del mondo economico, che offriranno prospettive a confronto sul ruolo delle imprese nella crisi climatica e sulla necessità di un’economia più equa e sostenibile.
L’entrata è libera.
IN POCHE BATTUTE a cura di Luca Rappazzo
Francia contro il modello usa e getta: una legge per una moda più sostenibile
La Francia ha approvato una legge pioniera contro il fast fashion che prevede le seguenti misure: ogni capo dovrà indicare il proprio impatto ambientale, è prevista una tassa ambientale progressiva sui capi a basso punteggio e verranno posti dei limiti alla pubblicità per i brand ultra-fast fashion. L’obiettivo è frenare il modello usa-e-getta, tutelare l’ambiente e promuovere scelte più sostenibili. La legge manda un forte segnale a tutta l’Europa, un modello replicabile che potrebbe ispirare una normativa europea vincolante entro il 2030, come auspicato dalla Commissione, anche per l’Italia – eccellenza nella moda – che non ha ancora una normativa nazionale specifica.
Lettere al Cielo: arte e speranza per i bambini di Gaza
A Gaza, tra macerie e paura, Maysa Yousef – madre, infermiera e artista – ha creato un laboratorio d’arte per accogliere i bambini e aiutarli a esprimere emozioni con colori e disegni. Ogni giorno tra 20 e 40 piccoli trovano in casa sua un rifugio di umanità. Da questa esperienza è nato “Letters to Heaven”, progetto ideato con l’artista Pietro Battistella: una mostra itinerante che raccoglie lettere e disegni dei bambini di Gaza, affiancati da opere di artisti italiani. Un ponte di memoria e speranza che parla di infanzia, resilienza e pace.
Il 12 e 13 settembre la comunità di Frick festeggia i 60 anni del circolo ACLI
di Maurizio Ferraina, Presidente Circolo Acli Frick
Aonore del vero bisogna dire che gli anni di vita del Circolo sono in effetti 61 e oltre poiché le attività cominciano già all’inizio del 1964, mentre la fondazione effettiva risale alla fine del 1963. La sede iniziale fu la saletta della locale parrocchia mentre a settembre del 1965 veniva inaugurata la storica sede, un prefabbricato in legno, nei pressi dell’ufficio postale, grazie al sostegno del Comune e le industrie locali. È il primo Circolo Acli che nasce nel cantone Argovia e uno dei primi in Svizzera. Ricordare l’avvenimento è pertanto importante e l’attuale Consiglio ha così organizzato un evento che unirà memoria, gastronomia, musica e convivialità. Il primo presidente del Circolo Acli di Frick è stato Valerio Orsucci, storica figura delle Acli argoviesi e svizzere, operatore e direttore del Patronato di Aarau. Suoi successori furono Luigi De Gregorio (altra figura aclista di spicco in Argovia), Mario Burrino, Franco Tomarchio, nuovamente De Gregorio e dal 1980 al 2012, Antonio Nocito che ha guidato il gruppo preposto alla costruzione dell’attuale nuova sede. Successori di Nocito sono stati Pina Segato, Pino Musumeci, Antonino Vegliante (venuto a mancare in giovanissima età), Enzo Tundis (2015-2024) e l’attuale presidente Maurizio Ferraina. Nel corso degli anni il Circolo di Frick si è contraddistinto per essere un fondamentale luogo di incontro e di crescita della comunità italiana della regione. Importanti negli anni ‘70 i diversi corsi di formazione, di lingua, di licenza media, organizzati nei locali del Circolo.
Attraverso il Gruppo Donne, il Gruppo Giovani e il Gruppo Folcloristico sono state moltissime le manifestazioni culturali e ricreative che hanno coinvolto l’intera comunità. Non è mai venuto meno il rapporto di amicizia e collaborazione con la chiesa locale e le autorità comunali. Un rapporto che ha consentito la realizzazione di un sogno cullato per tanti anni: una nuova sede che desse più senso di accoglienza, disponibilità e operatività. Dopo anni di discussioni, incertezze e dubbi, finalmente, il Consiglio presieduto da Antonio Nocito si lancia in questa difficile, incerta ma affascinante “avventura”.
Il terreno, su cui vi era già la vecchia sede, viene donato dal Comune, mentre la Chiesa locale concede un sostanzioso prestito finanziario senza interessi. Un contributo
finanziario perviene anche dalla KAP (la Commissione della Chiesa cantonale che si occupa della pastorale degli stranieri) nonché da istituzioni locali, da semplici cittadini e da realtà acliste.
Ma chiaramente, il contributo più alto è stato dato da tutti coloro che con assiduità hanno speso moltissimo del loro tempo libero dedicandosi alla costruzione vera e propria del nuovo Circolo. Dopo alcuni mesi di sudato lavoro e duri sacrifici, finalmente la sognata opera viene realizzata e inaugurata il 10 marzo 2000. Sono dunque tanti i motivi per festeggiare la vita del Circolo Acli di Frick, che avverrà attraverso una manifestazione di due giornate, venerdì 12 e sabato 13 settembre, con un programma ricco e variegato. Il momento ufficiale si terrà venerdì dalle ore 17.00 alle ore 20.00 alla presenza dei massimi dirigenti delle Acli argoviesi e svizzere, le autorità consolari, le autorità comunali e religiose. Verrà scoperta una targa commemorativa e onorati alcuni soci che daranno sicuramente testimonianza della loro operatività. Conclusione con l’inaugurazione di una mostra fotografica a cui seguirà un rinfresco. Non mancheranno le specialità gastronomiche, mentre la serata proseguirà con balli e danze e un disco-party all’aperto. Sabato sarà dedicato alla comunità in tutte le sue sfaccettature. Si inizia a mezzogiorno con lo “streetfood”. Nel pomeriggio (ore 14-18) programma dedicato a bambini e famiglie. In contemporanea la mostra fotografica e proiezione di un documentario sulla migrazione italiana che rende omaggio alla storia e al contributo degli italiani in Svizzera. La giornata si concluderà con una serata di musica dal vivo e con il disco-party. Vi aspettiamo numerosi.
“Summer
School 2025” Rete Laudato si’
La Speranza, forza che apre nuove possibilità
ACamperio in Val di Blenio, presso la Casa La Montanina, sabato 23 agosto era in programma una giornata di studio e riflessione sulla Speranza. Sono diversi anni che diverse organizzazioni, tra cui le ACLI Ticino, promuovono questi appuntamenti che in fine estate permettono approfondimenti comunitari sotto gli aspetti spirituali, culturali e di impegno sociale. La speranza è indispensabile per poter immaginare un futuro migliore. Essa non è soltanto un sentimento individuale: alla luce delle sfide economiche, sociali e ambientali che abbiamo davanti può ispirare azioni collettive di rilevanza sociale e politica che rafforzano la coesione, la partecipazione civica e le dinamiche che aprono con approccio ottimistico al lavoro collettivo per realizzare un futuro migliore.
Le riflessioni dei professori Ernesto Borghi, Markus Krienke, Francesco Iemmolo, Alberto Bondolfi, coordinati da
Corinne Zaugg, sotto inquadrature spirituali, psicologiche, filosofiche, sociologiche, etiche sono poi state dibattute in sessioni di lavoro in cui si sono innestate esperienze personali e di gruppo.
“La speranza rappresenta un tema di grande rilevanza nelle dimensioni sociali e politiche, poiché influisce sulle dinamiche di comunità e sulla formulazione delle politiche pubbliche. Essa può essere vista come un motore di cambiamento positivo, capace di ispirare azioni collettive volte al miglioramento delle condizioni sociali e alla promozione di valori condivisi. La speranza, in questo contesto, non è solo un sentimento individuale, ma un elemento fondamentale per la coesione sociale e la partecipazione civica.”
La rete “Laudato si’” della Svizzera italiana, partendo dall’enciclica di Papa Francesco del 2015, vuole approfondire e coordinare gli sforzi per realizzare i valori messi in evidenza da questo importante documento a favore di uno sviluppo sostenibile e complessivo, di un’ecologia integrale, attenta alla salvaguardia dell’ambiente e della dignità della persona umana, contro la cultura dello scarto le cui prime vittime sono i più fragili e i più poveri.
Con l’organizzazione del Festival della dottrina sociale della Svizzera italiana in novembre e con la Summer School di Camperio in agosto, la Rete Laudato si’ vuole dare il suo contributo fattivo alla diffusione teorica e applicata dell’insegnamento sociale cristiano creando momenti di dialogo e cooperazione che vadano oltre facili e scontanti steccati.
CIRCOLO ACLI DI LUGANO - UN GIORNO A BERNA
VENERDÌ 17 OTTOBRE 2025
Visita a Palazzo Federale guidata dal consigliere nazionale Giorgio Fonio
Pranzo tipico e visita luoghi d’interesse della capitale
Viaggio in pullman, TUTTO COMPRESO Fr. 100.-
Programma:
6.30 Partenza in pullman da Lugano Cornaredo
9.00 Sosta a Sempach –Cappella della Vittoria (traffico al Gottardo permettendo)
9.45 Ripartenza per Berna
11.30 Arrivo a Berna
12.00 Pranzo
13.30 Visita guidata al Palazzo Federale
15.30 Visita del centro storico della città
18.00 Partenza
21.30 Arrivo a Lugano Cornaredo
Informazioni e iscrizioni: Daniela 076 – 561 17 77 Entro venerdì 10 ottobre 2025
Tour della Calabria: tra storia, miti, curiosità e emozioni
Per alcuni è stata una scoperta, per altri una riscoperta, per altri ancora un ritorno alle proprie radici. La Calabria “una terra dove i monti e i borghi abbracciano il cielo e il mare” (come recitava la presentazione del viaggio) è stata la meta del tour organizzato quest’anno dal Circolo ACLI di Lugano. Dal 19 al 26 maggio scorsi, oltre una trentina di persone (tra cui molti soci) hanno visitato davvero “in lungo e in largo” questa regione, apprezzandone il variegato paesaggio, la natura rigogliosa, la squisita gastronomia, ma anche approfondendone la storia, i miti, le curiosità.
Già, perché insieme a celebrità come i Bronzi di Riace e il Codex Purpureus di Rossano, a località di fama internazionale come Tropea e Scilla, l’itinerario offriva l’occasione per conoscere da vicino tante altre realtà di cui è fatta la Calabria: il Parco della Sila, Serra San Bruno col Museo della Certosa e gli ultimi carbonai d’Europa, l’arte contemporanea del MUSABA e quella medioevale di Gerace, solo per citarne alcune. Ma a caratterizzare questo viaggio è stato anche l’incontro con gruppi e comunità rappresentative della regione. I giovani di Bova, villaggio dell’Aspromonte all’estremo Sud dello “stivale” italiano, ci hanno accompagnato alla scoperta del borgo abbandonato di Roghudi, mostrandoci non solo la Calabria grecanica ma anche la passione con cui operano per poter rimanere, grazie al turismo, nella propria terra. Lì originale è stata anche l’animazione
etno-musicale, così come a Civita, dove si mantengono vive lingua, usi e costumi dell’antica origine albanese. Sono stati insomma otto giorni di intense emozioni che sicuramente hanno lasciato un ottimo ricordo in tutti i partecipanti, grazie anche all’allegro spirito di gruppo che si è subito creato fra loro. L’unanime soddisfazione è stata espressa nei sinceri ringraziamenti a tutti coloro che hanno organizzato e accompagnato il tour. Una menzione particolare a Antonio Cartolano per la dedizione e squisita gentilezza, a Mariagrazia di Tourismando Tour Operator per l’amabilità e la professionalità anche di fronte agli imprevisti, a William originale e simpatica guida sul posto. Complimenti e grazie ancora, in attesa… del prossimo tour!
Successo per la grigliata del Circolo ACLI di Locarno
Domenica 1° giugno si è svolta con grande soddisfazione la grigliata organizzata presso il Ristorante Paiolo, che ha visto la partecipazione di oltre 70 persone. Un evento all’insegna del buon cibo e della convivialità, perfetto per inaugurare la stagione estiva.
Gli ospiti hanno potuto gustare una ricca grigliata mista a volontà, accompagnata da pizza, patatine, insalata, acqua, vino e fragole con gelato il tutto in un’atmosfera rilassata e festosa. A rendere ancora più piacevole il pranzo, musica dal vivo e una lotteria finale che ha coinvolto tutti i partecipanti con premi e sorrisi.
di Fiorenzo Dell’Era
Sulla scia di San Francesco
Nell’anno in cui ricorrono gli 800 anni della composizione del Cantico delle Creature, o di Frate
Sole e Sorella Luna, le Acli di Losanna hanno ripercorso il viaggio di San Francesco, alla scoperta del Santo di Assisi, patrono d’Italia.
Considerato il primo testo poetico in volgare e la più famosa poesia religiosa della letteratura italiana, il Cantico delle Creature è una preghiera a Dio, un ringraziamento per tutte le cose create, non come oggetti da usare, ma come doni da dover accogliere. Un inno alla vita, alla fraternità, che si contrappone all’idolatria contemporanea. Questo lupo che non riusciamo a domare, espresso dalla voglia di potere, dominio e denaro, anche a scapito di un intero gregge di pecore, che abita una piccola striscia di terra.
Giovanni Bernardone, chiamato Francesco per volontà del padre, grande amante della Francia, con un futuro assicurato da ricco mercante di stoffe, si spoglia di tutto e diventa il “Poverello d’Assisi”, per la cui “natura pura e nobile” diviene per tutti “benevola guida al peregrinare degli uomini nelle tenebre”.
Cresciuto in un ambiente di commercianti, impara la dialettica mercantile, il valore delle cose, il linguaggio del guadagno e, per questo, la sua scelta di povertà non è solo un gesto spirituale, ma un atto di rottura: il rifiuto del potere e soprattutto del possesso.
L’altro Cristo, di cui è imitazione concreta, mette in luce, anche nella sua preghiera, la distinzione tra abitare e possedere. Più semplicemente la differenza tra rispetto, cura,
di Patrizia Palmieri
fratellanza e competizione, distacco, sopraffazione. In un mondo che si e ci divora, in cui tutto è ridotto a risorsa da consumare, fino ad esaurire, e merce da scambiare, compreso l’essere umano, non vi è più il senso del limite.
Il Cantico appare oggi, più che mai, una contrapposizione a quest’idolatria perversa, dove i mezzi vengono trasformati in fini ed il possesso confuso con l’essere; una bussola che dovrebbe ricordarci che “siamo ospiti, non padroni del mondo”.
Il Liceo Vermigli festeggia la chiusura del 47esimo anno di scuola
Lunedì 30 giugno presso la Kirchgemeindehaus Oberstrass, alla Winterthurerstrasse di Zurigo, ha avuto luogo la Cerimonia della consegna dei diplomi ai diciotto neodiplomati del Liceo Vermigli. In questa importante occasione – certamente indimenticabile per i diplomati e le loro famiglie, Il Min. plen. Dott. Mario Baldi, Console generale a Zurigo ha consegnato i diplomi: 12 al Liceo Linguistico e 6 allo Scientifico.
Come sempre, questo evento è pieno di emozione perché costituisce il punto d’arrivo di un importante ciclo di studio, sia per gli allievi e le famiglie, sia per i docenti e per l’intera organizzazione che nel corso di un intero quadriennio opera, giorno per giorno, per portare ‘a maturazione’ i candidati(e) all’esame, dieci ragazzi e otto ragazze. La Commissione d’esame di Sato – presieduta dalla dirigente scolastica dott.ssa R. Genovese, di recente distaccata presso il nostro Consolato di Zurigo – ha avuto modo di apprezzare la buona preparazione dei candidati, premiando il loro impegno con voti di maturità che fanno ben sperare per le future carriere di studio e professionali dei nostri alumni (non più alunni)!
Per l’occasione, l’Associazione Liceo Vermigli – Ente che
gestisce l’Istituto – intende ringraziare innanzitutto le famiglie e gli alumni per la pluriennale fiducia, le autorità consolari, in primis il citato Console generale, ma in particolare la dott.ssa C. Curci, dirigente scolastico che ha seguito le vicende del nostro Istituto in anni particolarmente difficili e che, purtroppo, sta per chiudere il proprio Mandato a Zurigo; ovviamente un grande ringraziamento alla preside, prof.ssa C. Caffarel che, unitamente al coeso team di docenti, ha saputo portare a compimento il proprio lavoro con successo. And last but not least, ringraziamo tutta la squadra di collaboratori e collaboratrici che silenziosamente, senza mai troppo apparire, supportano l’impegnativo lavoro dell’istituto.
A tutti loro, auguriamo buone vacanze e un tempestivo rientro per l’inizio del nuovo anno scolastico, quest’anno in compagnia della scuola secondaria E. Fermi che, dal 1. settembre, sarà gestita dal nostro sodalizio, alla Herostrasse. Infine, prendiamo commiato dal prof. P. Rech, incaricato MAECI che termina il mandato e al prof. G. Machì che lascia il Liceo, ma continua la collaborazione con la scuola E. Fermi – a entrambi, grazie per la bella e lunga collaborazione!