

The Tyger (La Tigre) è una poesia di William Blake in cui il poeta inglese si interroga sull’origine e sulla natura del male umano. La tigre, che rappresenta la sofferenza e il lato oscuro dell’uomo, viene contrapposta all'agnello, The Lamb, emblema di libertà e di innocenza. Tigri, male umano e innocenza sono anche i soggetti centrali del lavoro pittorico di Weichao Chen, che presso LAMB, nella sua prima mostra personale, presenta una selezione di opere realizzate negli ultimi anni, in concomitanza con i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.


Tigre! Tigre! Nei primi lavori di Weichao non sembra mancare mai una tigre, o un altro grande felino dal caratteristico manto striato o chiazzato. Immersi in atmosfere surreali e dai colori vivaci, i felini di Weichao appaiono


“Tigre! Tigre! Divampante fulgore Nelle foreste della notte, Quale fu l'immortale mano o l'occhio Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?”







Il male dell’uomo che insiste sull’uomo stesso, invece, è un elemento centrale dei lavori successivi dell’artista, in cui figure di cavalieri o di soldati, sia occidentali che orientali, sono protagoniste di scene di guerra, sospese in situazioni spesso spiazzanti. A volte il campo di battaglia si trasforma in un biliardino, altre in una partita a scacchi, a volte è il soldato stesso a diventare un giocattolo. L’introduzione dell’aspetto ludico in questi contesti non si limita ad attenuarne la violenza, ma crea anzi un diversivo, una contrapposizione evidente. Nella maggior parte di questi lavori, infatti, mentre soldati e cavalieri vengono rappresentati in bianco e nero, il gioco si manifesta in colori vividi: i due elementi vengono così forzati a coesistere. In un momento in cui sentiamo il dramma della guerra così vicino, Weichao sottolinea il contrasto tra le frivolezze della nostra quotidianità e l’angoscia del conflitto, portandolo all’estremo e creando degli scenari stranianti in cui, proprio come in un flipper, il nostro sentire rimbalza velocemente avanti e indietro.


Le opere di Weichao Chen ci invitano a perderci all’interno di paesaggi immaginari e architetture metafisiche piene di tigri, leopardi, re, cavalieri, samurai, soldati, soldatini, biliardi, biliardini, partite a scacchi (reali, virtuali o metaforiche che siano). Per gioco o per magia le sue opere ci portano lontano e, come se ci imbattessimo in una tigre, ne rimaniamo ammaliati, ma sembrano anche costringerci a tenere la giusta distanza. Significativa in tal senso è la tela di grandi dimensioni che domina la mostra e che in qualche modo tocca tutti i temi affrontanti dall’artista. In Onore del cavaliere senza testa è in atto una cerimonia in cui a un cavaliere senza testa, per l’appunto, viene concessa un’onorificenza da parte di un re, che è avvolto in un mantello ricavato dal manto di una tigre. Il pavimento è in un marmo color rosso sangue. Un altro cavaliere osserva da vicino, il pubblico è attento ma in disparte. L’atmosfera è solenne e inscritta, in un gioco di pieni e di vuoti, in un colonnato costellato da soldatini di plastica. È una scena che ci stupisce e allo stesso tempo ci lascia in sospeso, ci tiene lontani. Non sappiamo quali siano i meriti del cavaliere, ne cosa sia successo sul campo di battaglia. Ma questo, forse, non è importante. Alla fine, in battaglia, il cavaliere ci ha rimesso la testa. Forse, per citare lo stesso Weichao, “è meglio giocare più giochi e godersi di più la vita”.





•Nelle selve non più belve.• Vulcano Agency.
Marghera (VE) 2022

•Nelle selve non più belve.• RAVE. Via Giulia Piccoli, Manzano (UD)