Labirinti - Linea Terra Acqua

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2019

PARCO DI ARTE E NATURA LAB…YRINTH

VILLA BURI VERONA

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA


2019

un progetto di Accademia di Belle Arti di Verona in collaborazione con Villa Buri Onlus Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona entaconsulta

LAB…YRINTH

con il patrocinio di Comune di Verona Provincia di Verona Fondazione Accademia di Belle Arti Tadini Onlus SIA Società Italiana d’Arboricoltura a cura di Daniele Salvalai Andrea Fabbro artisti Davide Bontempi Francesco Lasala Gaia Serafini Ehsan Shayegh Linda Simioni Giorgia Sorrentino Jennifer Taufer 23 giugno — 28 settembre 2019 inaugurazione domenica 23 giugno 2019 ore 18.00 Aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 20.00 Parco Villa Buri Via Bernini Buri, n. 99 Verona

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA

PARCO DI ARTE E NATURA III EDIZIONE

VILLA BURI VERONA


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Mappa

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Opere Linea Terra Acqua 2018

5 — Linda Simioni Light and Shadow 7 — Francesco Lasala Tunnel

6 — Gaia Serafini Vertical Way

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Simone Toniolo Incubatrice di vibrazioni sonore ambientali e umane

4 — Ehsan Shayegh Miraggio

2 — Davide Bontempi Ad Arianna

1 — Giorgia Sorrentino Impronta

3 — Jennifer Taufer Equilibrio

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Linda Manara Masso Sonoro

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Ortensia Benussi Acherontia, il soffio




10 Con questa edizione di Linea Terra Acqua l’Accademia di Belle Arti di Verona presenta alla città per il terzo anno consecutivo una riflessione sul campo sulla relazione tra l’uomo e la natura e gli equilibri che questi due poli assumono nel dibattito contemporaneo. Con Labyrinth Linea Terra Acqua raggiunge la propria maturità, andando a completare una trilogia di esperienze didattico formative iniziate con ‘Uomo e Natura’ nel 2017 a Lazise e proseguite con ‘Materia e Suono’ l’anno successivo a Villa Buri con l’intento di costruire un Parco di Arte e Natura permanente per la città di Verona. Nel Parco si aggiungono quest’anno ulteriori 7 opere che completano un percorso d’arte dal carattere fortemente sperimentale costruito sulle basi dell’integrazione tra gli elementi naturali e i linguaggi dell’arte contemporanea. Linea Terra Acqua rappresenta per l’Accademia una possibilità di sperimentazione e di crescita professionale per i suoi studenti, e ci auguriamo che possa consolidarsi come un momento di scoperta e di crescita umana per tutti i cittadini di Verona, sensibilizzando il pubblico sui temi dell’ambiente e del suo rispetto.

Testi Da quando nel 2003 si è costituita, l’associazione Villa Buri ONLUS ha posto tra i suoi scopi prioritari “ …la salvaguardia dell’ambiente e del parco attraverso la conservazione ambientale e la promozione di interventi ed esperienze sulle tematiche dell’incontro, il confronto ed il dialogo interculturale ed interreligioso ….un equilibrato rapporto tra la persona umana e la natura …..” (dall’art. 4 dello statuto associativo). Da allora, molte e variegate sono state e continuano ad essere le presenze in questo luogo che desidera affermare, oggi più che mai, il valore dell’accoglienza e della condivisione tra essere umani, nell’ambiente in cui essi vivono. Il proseguimento anche per quest’anno della collaborazione con l’ Accademia di Belle Arti di Verona e con il progetto “ Linea Terra Acqua” costituisce quindi un “valore aggiunto” per questo luogo e per ciò esso intende rappresentare. Le intuizioni e lo sforzo creativo dei giovani artisti selezionati che installeranno nel parco le loro opere sul tema del Labirinto, incontreranno gli sguardi incuriositi e sorpresi dei visitatori che potranno così “fare esperienza” di nuovi percorsi e letture della realtà. Un dialogo uomo-natura attraverso l’arte che ci può davvero insegnare ad accogliere meglio noi stessi e gli altri.

I nostri ringraziamenti vanno, oltre agli studenti e ai docenti coinvolti, a tutti professionisti che e a vario titolo e con grande generosità hanno preso parte al progetto e in particolare Villa Buri onlus, che ogni anno ospita l’Accademia di Belle Arti di Verona.

— Marco Giaracuni Presidente Accademia di Belle Arti di Verona

— Alberto Tonolli Vicepresidente Villa Buri onlus

PERDERSI

Aby Warbug inaugura la disciplina dell’iconologia riflettendo su come in alcuni periodi storici vi siano temi che emergono con prepotenza e che è possibile ritrovare in contesti e situazioni differenti e indipendenti. Una specie di immaginario epocale che viene a sedimentarsi in opere, immagini, narrazioni e cosí via. Tra i vari temi presenti nel mondo contemporaneo, il labirinto è certamente uno dei più significativi. Da un punto di vista storico, il labirinto ha radici lontane. Si può partire dal mito di Teseo e del Minotauro, passare per i labirinti spirituali inscritti nei pavimenti delle chiese medievali, avanzare per i labirinti neoplatonici dei giardini rinascimentali sino ad arrivare alla loro rilettura artistica da parte di Mirò, Escher e Picasso a livello visuale, o di Eco, Borges e Dürrenmatt a livello narrativo.

11 sociologo Zigmund Bauman non è altro che l’esito di questa nuova realtà labirintica. Il presente ci offre un mondo in cui le ideologie, le vie maestre, le tradizioni hanno perso cogenza lasciando spazio ad una varietà di opzioni equiprobabili. All’aumentare labirintico delle possibilità aumenta però anche l’instabilità del sistema e, quindi, l’effetto per cui “tutto ciò che è solido si scioglie nell’aria (come diceva Marx). È per queste ragioni che le opere presenti in questa terza edizione di Linea Terra Acqua possono essere lette, dunque, non solo come interventi di ricerca formale ma anche come una specie di indagine, riflessione e commentario estetico attorno ad un tema iconologico chiave dell’esperienza contemporanea.

Da un punto di vista psicologico, il labirinto sembra rimandare invece ad un esperienza a cavallo tra l’ipnosi e lo smarrimento. Nel primo caso, abbiamo la ripetizione allucinatoria. Per quanto ci si muova al loro interno la struttura d’insieme rimane costante riproponendosi in modo ossessivo. Nel secondo caso, si tratta piuttosto della incapacità di orientarsi in un universo in cui ogni bivio porta ad un altro bivio e cosí all’infinito. Una specie di esodo senza punto d’arrivo. Cambiando la prospettiva, il labirinto si presta però anche a focalizzare la nostra attenzione sulla natura e la questione ambientale. Erba, prati, boschi, foreste non sono ecosistemi ordinati e razionalizzabili. Sono intrecci di elementi che si sviluppano aggrovigliandosi tra loro a generare labirinti più o meno ampi (dalle aiuole alle foreste pluviali). Larga parte del mondo vegetale si sviluppa, inoltre, in base a vari tipi di simmetrie frattali. Ogni piccola parte del tutto assomiglia geometricamente al tutto che essa contribuisce a creare come in un gioco labirintico su scala dimensionale. In ultima battuta, il tema del labirinto parla infine, anche e sopratutto, del nostro presente culturale. A partire dagli anni ’70 del ‘900, il mondo contemporaneo è stato infatti sempre più spesso immaginato non in forma lineare ma come una rete, un ipertesto, una enciclopedia. Insomma, un labirinto a pieno titolo. Una pluralità di livelli intrecciati tra loro senza una chiara e limpida via o direzione principale. Ogni nodo del sistema può offrire accesso a vari altri sottonodi e cosí via. La “società liquida” di cui parla il

— Francesco Ronzon Direttore Accademia di Belle Arti di Verona


12 LAB…YRINTH: UN LABORATORIO TRA MITO, ARCHETIPO E CONTEMPORANEITÀ

Con la terza edizione del progetto “Linea Terra Acqua”, l’Accademia di Belle Arti di Verona prosegue l’attività di ricerca, attraverso l’indagine tematica e lo sviluppo progettuale / visivo, nell’ambito del rapporto Uomo-Arte-Natura. Il banco di prova che la Scuola di Scultura mette in atto con “Linea Terra Acqua” rappresenta il punto d’incontro tra due vocazioni dell‘Accademia: da un lato la mission didattica e dall’altro la volontà di offrire ai suoi studenti la possibilità di vivere un’esperienza espositiva autentica e professionalizzante, in un contesto di grande visibilità come il parco di Villa Buri a Verona. Il tema approfondito per il nuovo percorso di ricerca, trova le sue radici nell’antichità. Nato con la mitologia greca e ripreso in diverse epoche, culture e luoghi, l’emblema del labirinto diviene fonte di numerose citazioni poetiche e letterarie, oltre che riferimento iconografico per l’arte dal Neolitico alla contemporaneità. La figura del labirinto, attraverso diverse forme espressive, ha accompagnato l’uomo nella storia e nel suo intricato percorso di conoscenza, passando da un’interpretazione penitenziale e spirituale, ovvero la ricerca del Centro come rimando religioso e magico, fino a volgere a significati profani e laici, laddove l’esperienza al suo interno diviene teatro di smarrimento, di erranza senza via d’uscita. Oggi assistiamo ad un rinnovato interesse per il concetto di labirinto: si riscoprono, nell’arte contemporanea, nuove declinazioni del suo importante valore simbolico. Non a caso, il progetto espositivo del padiglione Italia per l’attuale edizione della Biennale di Venezia è intitolato “Né altra, né questa: La sfida del labirinto “; il percorso dell’esposizione si concretizza infatti in un grande labirinto senza direzioni. Nell’analisi preliminare del progetto di approfondimento didattico, il tema della ricerca è stato introdotto agli studenti dell’Accademia attraverso una lezione dedicata all’iconografia contemporanea del labirinto e un ciclo di conferenze di carattere storico-artistico e antropologico-estetico. I preziosi interventi dello storico dell’arte Marco Albertario, con “Figure del Labirinto”, e del filosofo Nicola Turrini, con il ciclo “Scolpire il tempo”, hanno fornito, attraverso un ampio panorama di

Testi riferimenti, stimoli utili al processo creativo. Lo sviluppo dei progetti è stato successivamente condotto ed accompagnato, con approfondimenti in itinere, durante la didattica laboratoriale dei corsi di Scultura. All’iniziativa hanno partecipato quarantacinque studenti delle Scuole di Scultura, Pittura e Decorazione. Esaminando la coerenza tematica, l’originalità della proposta, la cura e la chiarezza del progetto ed infine la sua fattibilità (sia in termini tecnici che di sicurezza), una giuria composta da figure con specifiche competenze del settore, ha selezionato le sette proposte per il percorso/mostra a Villa Buri. I giovani autori si sono dovuti confrontare con la realtà professionale del mestiere dell’artista, uscendo dalla confort zone del laboratorio e rapportandosi con le diverse problematiche, sia di natura espressiva che pratica, specifiche della scultura. In fase progettuale, infatti, è stato richiesto loro di definire la dimensione dell’opera in relazione ad uno spazio aperto; di individuare uno spazio idoneo per la sua lettura in un luogo già valorizzato, ma allo stesso tempo condizionato, da elementi naturali; di prestare attenzione alla scelta dei materiali, tenendo conto del pubblico e soprattutto degli agenti atmosferici. Parallelamente, hanno dovuto pianificare l’aspetto organizzativo del lavoro: il recupero dei materiali, la costruzione di parti prefabbricate, il trasporto e la posa in opera secondo le norme di sicurezza.

13 UN DEDALO D’AVVENTURE

Ciascuno a sfidare il proprio Minotauro. Un tema poliedrico, una pratica artistica tecnicamente complessa quale è la scultura ambientale, la relazione con uno spazio fisico naturale e antropizzato insieme, questo il cimento degli studenti. Da un approccio labirintico, aggettivale, appena fuori sesto, il disorientamento semantico è gradualmente maturato, in un lungo e intenso lavorio di sfrondamento del superfluo, nell’individuazione di un chiaro concetto spaziale, un’architettura logica ed emotiva insieme, dalle pregevoli e significanti qualità estetiche. In un continuo e intimo dialogo tra mito, attualità e pratica artistica ecco apparire oggi una varietà di forme, staminali e aperte, che misurano il presente sul metro della storia, offrendo all’ammirazione e all’immersione veri e propri labirinti della nostra contemporaneità, con sottili e arguti rimandi alla nostra ancestrale condizione di viventi, pensanti, sul pianeta. Il passo è stato ardito, e il Minotauro vinto.

L’insieme delle opere che vanno a delineare il percorso espositivo presso l’area naturale di Villa Buri, costituisce una varietà di visioni espressive attorno al tema. Si spazia da un labirinto costruito attraverso nodi di parole sparse nel bosco, al gioco metaforico del termine stesso fino ad arrivare a di-segni impressi nella terra e a corridoi claustrofobici. Strutture d’illusione divengono miraggi spaziali e le costellazioni suggeriscono una mappa orientativa per l’uscita dall’immensità. Il comune denominatore delle sette installazioni è dato dall’urgenza di condurre lo spettatore in una condizione obbligata di attraversamento, fisico ma soprattutto mentale ed emozionale, dello spazio naturale. I passaggi, attraverso il paesaggio, c’inducono alla riflessione e ad un incontro-scontro con la natura e le energie che la regolano. Sarà la natura ad indicarci la via d’uscita…?

— Daniele Salvalai curatore del progetto e docente di Scultura

— Andrea Fabbro curatore del progetto e tutor di Scultura


Artisti

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P.

Opere

— Davide Bontempi Ad Arianna — Francesco Lasala Tunnel — Gaia Serafini Vertical Way — Ehsan Shayegh Miraggio — Linda Simioni Light and Shadow — Giorgia Sorrentino Impronta — Jennifer Taufer Equilibrio

LAB…YRINTH

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La natura agisce su di noi e noi agiamo su di essa, non ricordandoci a volte che ogni scelta che facciamo ha un peso sull’ambiente. Tramite la nostra impronta, simbolo unico del nostro essere, andiamo a toccare e ricreare quel contatto ormai andato perso con la natura.

— Giorgia Sorrentino Siena, 1997

Impronta

Info

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Installazione interattiva (scavo a terra, espositore, stampa, inchiostro tampone, sassi), circa 8 x 5 m 2019


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Impronta

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Ad Arianna nasce da una poesia scritta dall’artista, ispirata al mito del Minotauro e alle sue figure principali, Arianna e Teseo. I due personaggi vengono assunti a simbolo di collaborazione e aiuto reciproco, capaci di sostenersi nei momenti di difficoltà per districarsi nel labirinto della vita. L’opera si sviluppa nel bosco di Villa Buri dove una

— Davide Bontempi Gavardo (Bs), 1998

serie di tavolette di terracotta sono ancorate ai fusti degli alberi recanti ognuna una parola o un verso della poesia stessa. L’intento è di incuriosire il visitatore invitato ad esplorare il bosco per ricostruire la poesia e per riflettere sulla propria esperienza personale di aiuto tra esseri umani.

Ad Arianna

Info

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Installazione (terracotta, corda) dimensioni variabili 2019


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Ad Arianna

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Il labirinto come forma anatomica, cavità ossee tra loro comunicanti che costituiscono l’orecchio interno, sede dell’organo dell’udito e dell’equilibrio. Una celebrazione dell’eleganza della natura, l’armonia tra bellezza e perfezione che esiste in ogni elemento naturale e in ciò che lo compone.

— Jennifer Taufer Mezzano (TN) 1995

Equilibrio

Info

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legno e ferro, 3,30 x 2,70 x 1,1 m 2019


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Equilibrio

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Il deserto è più vicino di quanto possa apparire. Sono arrivato a una città ma quando sono arrivato era andato via anche l’ultimo abitante. Ero confuso e stanco. Vedevo l’acqua, ma non ci arrivavo, era solo un miraggio. Per ritrovare i miei passi mi sono affidato al cielo.

— Ehsan Shayegh Khash (Iran), 1975

Miraggio

Info

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Installazione (terra cotta, terra cotta smaltata, legno), 70 x 430 cm diametro 2019


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Miraggio

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Light and Shadow è un insieme di luci e ombre che attraversano la natura e in particolari momenti della giornata creano una sinergia atemporale tra terra e cielo. Solo quando il sole si allinea con il centro dell’opera crea nel prato del parco la proiezione perfetta di un labirinto che nemmeno la presenza umana può alterare. L’opera vuole rendere omaggio alle architetture del territorio ispirandosi a uno dei

— Linda Simioni Cittadella (PD), 1996

labirinti presenti a Villa Giusti e al Tempietto del Lazzaretto. A queste forme si sommano elementi naturali dell’Adige che sono posizionati a terra in corrispondenza della prima fascia di colonne del Tempietto del Lazzaretto. Queste pietre ricordano i cerchi dei neolitici, luoghi di culto, atemporali che creano un’atmosfera magica.

Light and Shadow

Info

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Installazione (ferro, lycra colorata, pietre dell’Adige), 3 x 4,5 m diametro 2019


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Il labirinto è un viaggio che conduce al centro, al luogo sacro che esprime la speranza di una rinascita. Una rinascita data da un percorso, un rito, un passaggio che ognuno deve affrontare per cercare di arrivare al proprio centro. Vertical Way è un labirinto dalla forma classica ma verticale: la sua forma si può percepire solo guardando frontalmente l’opera e attraversandola in maniera visivamente verticale e non orizzontale. Rappresenta le sette fasi che bisogna attraversare per arrivare al centro essenziale, dove lo spirito si eleva e si conclude un percorso interiore.

— Gaia Serafini Arzignano (VI), 1997

Vertical Way

Info

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Installazione (tondini di ferro, pellicola rossa per imballaggi), 2,5 x 1,3 x 14 m 2019


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Vertical Way

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Nel tentativo di sciogliere le ambiguità che il concetto di labirinto ha sviluppato nel corso dei secoli, Tunnel trasforma l’architettura labirintica nella sua essenza: un unico corridoio privo di ostacoli, il cui centro è dislocato alla parte terminale dello stesso. Qui, due corna, come una sorta di sigillo, rimandano alla prima utopia del labirinto e a un preciso e dettagliato disegno dal peso tutto umano. L’opera è un atto di destrutturazione dell’idea tanto enigmatica, quanto complessa del labirinto.

— Francesco Lasala Foggia, 1997

Tunnel

Info

7

Installazione (pellicola da imballaggio, corda, legno), 8 x 4,40 x 35 m 2019


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44 PERDERSI E RITROVARSI, NEL LABIRINTO DEL SOGNO

Noi siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra vita breve è circondata dal sonno. W. Shakespeare, La tempesta, 4.1, vv. 156-58

Nel labirinto si entra e, nel migliore dei casi, si esce. Si esce ritrovando la strada in un dedalo progettato per generare incertezza, ingannare e confondere la memoria. Percorrere un labirinto non consiste tuttavia nella sola risoluzione di un enigma, in un’esperienza dell’astuzia e dell’intelligenza, perché attraversarlo è allo stesso tempo un’esperienza psichica in cui l’angoscia e la memoria giocano un ruolo essenziale: in esso non si perde soltanto l’orientamento ma la nostra stessa coscienza che, preda di stordimento e vertigine, si aggira confusa tra le forme ingannevoli che si presentano davanti ai nostri occhi. Questo non può non ricordarci un’altra forma di esperienza comune in cui delle immagini ci scorrono davanti agli occhi presentandosi come un enigma: stiamo parlando dell’esperienza onirica, quel rebus fatto di forme talvolta impossibili in cui dobbiamo districarci e in cui la nostra soggettività sprofonda, presa dal piacere più delizioso quanto dall’angoscia più profonda. Sigmund Freud, in un’intervista rilasciata nel giugno del 1926 a George Sylvester Viereck, utilizzava proprio la metafora del labirinto per esemplificare le peculiarità specifiche della psicoanalisi: “La psicoanalisi scioglie e ricompone l’intreccio delle pulsioni aggrovigliate, e cerca di riavvolgerle attorno alla spoletta a cui appartengono. O, trasformando la metafora, essa rifornisce il filo che conduce l’uomo al di fuori del labirinto del proprio inconscio”. Il sogno è quell’architettura paradossale, popolata da desideri rimossi, fantasmi e residui della vita vigile in cui siamo totalmente immersi durante il sonno ma, allo stesso tempo, esso si configura come una dimensione spaziotemporale totalmente altra rispetto alla vita vigile e rappresentativa che restituisce qualcosa di essenziale della nostra soggettivazione.Per Freud si tratterà allora di trovare, tanto nell’esperienza clinica quanto nella

[1] — J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964, trad. it., Einaudi, Torino 2003.

Testi teoria metapsicologica, “il filo che indica la strada per uscire dal labirinto in cui i suoi desideri rimossi, quali mostri fantastici, sono in agguato per balzargli addosso nei momenti di minor vigilanza”. In gioco, tuttavia, non è soltanto un vertiginoso rebus da risolvere, quel “il filo che indica la strada per uscire” dal labirinto. Si tratta piuttosto di provare a pensare il labirinto del sogno secondo la prospettiva del risveglio. Se il soggetto infatti, a seguito dell’esperienza onirica, si risveglia a se stesso e nello stesso mondo, pensare la sogliatra veglia e sonno attraverso il dualismo tra una realtàoggettiva e una dimensione privata, fantastica e allucinatoria manca inevitabilmente l’esperienza centrale del sogno stesso e lo rende un semplice prodotto dell’immaginario. È tra sogno e risveglio, invece, che si può dare il loro incontro sempre mancato, il loro scarto e la loro metamorfosi topologica. Il mondo del sognova di pari passo ad un onirismo del mondoe nel loro interstizioè in gioco la vita e l’esperienza del soggetto stesso. Se “il sogno non è solo un fantasma che adempia un voto” – come sottolineava Jacques Lacan – è perché la vita è sogno almeno quanto il sogno è vita: per questo nel sogno, “Io” può essere un altro o una cosa quanto, nel mondo, gli altri e le cose possono essere dei sogni. La vita non esaurisce il sogno, né il sogno la vita: essi non si sovrappongono né si confondono ma si sopravanzano incessantemente. Non è qui in gioco una presunta illusorietà della vita, ma piuttosto un’identità che ci assegna in modo ineluttabile al mondo e all’esistenza: la presa su di noi di una materia di cui siamo fatti e che mai si interrompe, nénel sogno nénella vita. Sogno e vita fanno a pezzi la dimensione immaginaria di un Io che si pensa coincidente con se stesso e autore incontestato delle proprie azioni nel mondo. JacquesLacan ha sottolineato lo statuto incerto che avvolge i sogni e insieme la vitanel seminario del 1964, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi,[1] riprendendo un apologo di Zhuang-Zi discusso in precedenza da Roger Caillois in L’incertezza dei sogni :«Una notte, tempo fa, io fui una farfalla che volava contenta della sua sorte. Poi mi svegliai, ed ero Zhuang-Zi. Ma io sono davvero il filosofo Zhuang-Zi che si ricorda di aver sognato di essere stato una farfalla, o sono una farfalla che in questo momento sta sognando di essere Zhuang-Zi?».[2]

Per Lacan essere una farfalla in sogno vuol dire vedere la farfalla nella sua realtà di sguardo, quel «dareda-vederegratuito in cui troviamo il marchio della primitività dell’essenza dello sguardo».[3]Proprio perché Zhuang-Zi, nel sogno, è una farfalla, può, una volta svegliatosi, chiedersi se non è la farfalla che sogna di essere Zhuang-Zi. Il cuore della questione è proprio la differenza tra Zhuang-Zi e la farfalla. Questa differenza che sussiste nella veglia, dove il soggetto manca a se stesso essendo il proprio io, permette il dubbio ma prova anche come egli non sia pazzo, poiché non si crede assolutamente identico a se stesso. Nel sogno invece, dove il soggetto si tiene in rapporto a sé in una modalità differente, avverandosi, il dubbio non è possibile. Zhuang-Zi, scrive Lacan,«eraed è nella sua essenza questa farfalla dipinta dei suoi colori – ed è per questo, nella radice ultima, che egli è Zhuang-Zi. La prova ne è che, mentre è farfalla, non gli viene in mente di chiedersi se, quando è Zhuang-Zi da sveglio, egli non sia forse quella farfalla che sta sognando d’essere».[4]

45 pone come Io di un mondo, e il sogno, dove coincide con il proprio desiderio; si muove tra le rappresentazioni delle cose e il suo essere cosa egli stesso, tra il suo essere per altri e il suo essere per niente e per nessuno. Il sogno ci riguarda perché traccia i bordi estremi del nostro essere e del nostro destino, conducendo il soggetto verso quel regno di immagini e di fantasmiche ci appartiene quanto la veglia e la coscienza. In questa direzione è possibile dunque rileggere il celebre aforisma shakespeariano: “siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni” non dice nient’altro che questo, la coappartenenza di vita e sogno.

Quando poi dovrà rendere conto del proprio sogno, testimoniare che si rappresentava come farfalla, ciò non significherà essere sedotti dalla farfalla ma piuttosto essere “farfalla catturata”: una cattura da niente tuttavia, perché durante il sogno egli non era “farfalla per nessuno”, nemmeno per sé: «È quando è sveglio che, per gli altri, è Zhuang-Zi e che è preso nel loro retino da farfalle».[5] Se nel sogno posso essere farfalla, luce, paesaggio, acqua, pietra, è perché nel sogno c’è solo affermazione e certezza e dunque assenza della negazione, della contraddizione, del dubbio). Il sogno si dispiega come il battito delle ali di una farfalla, come una “rigatura primitiva” che si imprime sull’essere del soggetto quando è raggiunto per la prima volta dal movimento del desiderio.Il soggettosi ritrova– ritrova se stesso – là dove non ci sono un mondo e degli oggetti per lui proprio perché non raggiunge mai la posizione del soggetto cartesiano; ritrova se stesso proprio in quel labirinto del sogno da cui egli supponeva di dover uscire. Non si tratta allora di ritrovare nel sogno il posto autentico del soggetto al di là di un cogitoche relega l’esperienza non coincidente con la veglia nel soggettivo fantastico. Il processo di soggettivazione si inscrive piuttosto in quella tessitura, in quel trache unisce le due dimensioni differenziandole allo stesso tempo. Il soggetto abita la soglia tra la veglia, dove si

[2] — R. Caillois, L’incertezza dei sogni, trad. it., Feltrinelli, Milano 1983, pp. 43-44. [3] — J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964, cit., pp. 75-6

[4] — Ivi, p. 78 (traduzione modificata). [5] — Ivi, p. 76.

— Nicola Turrini


46 RIFLESSIONI SULLA SOGLIA DEL LABIRINTO

Il tempio greco è un modello; il labirinto è un’idea. All’origine delle molteplici realizzazioni non c’è un edificio, non ci sono le rovine (gli scavi sistematici di Cnosso sono del 1900, il labirinto di Meride è scoperto nel 1888), ma un racconto. Dei quattro labirinti dei quali Plinio nella Naturalis Historia fa memoria, quello che sopravviverà per due millenni nella cultura occidentale è quello di Cnosso. Il modello è trasmesso anche dai labirinti di pietra diffusi in tutto il mondo nordico, tra Svezia, Norvegia, Finlandia, Islanda, Unione Sovietica che nel nome Trojaborg, Trojaburg, Trojborg, Tröborg and Trojienborg sembrano riprendere il ricordo di una remota origine classica e precedono in ogni modo la cristianizzazione. Il nome ricorre nei modelli inglesi, il “Game of Troy” tracciato su prato, che riprende però il tipo detto di “di Chartres” (dal disegno rappresentato sul pavimento della cattedrale francese), che si distingue per il numero delle spire e per l’allineamento dei setti a forma di croce. Caratteristica comune è il fatto di essere labirinti unicursali, costituiti da un solo corridoio che si avvolge lungo un numero precisato e regolare di spire. Chi lo percorre non deve fare scelte perché non ci sono incroci, ma solo un cammino - più o meno lungo che conduce al centro. Questo lettura del labirinto come metafora del percorso della vita cristiana (tra immagine ed emblema) avrà lunga vita, e senza conoscere esiti precisi, si trova ancora nella letteratura devota e nella precettistica del XVII secolo. Tuttavia, se il labirinto è rappresentazione del mondo, il modello unicursale appare troppo semplice per poterne riflettere la complessità. Si afferma allora il modello del labirinto multicursale o maze o irrgarten, ossia un percorso che prevede molteplici vie alternative, una sola delle quali, forse, conduce al centro. Con l’Irrgarten il giardino entra a pieno titolo nella cultura del Rinascimento e nel Barocco. Il tema, insomma, non è più quello del combattimento, di Teseo che affronta il Minotauro, ma quello dell’Ercole al bivio, della scelta tra vizio e virtù. Resta in chi lo percorre il senso di straniamento, ma a questo si aggiunge l’angoscia della scelta. Ed è ben singolare che se escludiamo gli esperimenti di ars topiaria, vere e proprie costruzioni che declinano il tema del labirinto (alcune assimilabili a sculture, ma sempre con la caratteristica di essere percorribili) si siano moltiplicate a partire dal secolo scorso, con esiti differenti ma di grande qualità nella scelta dei materiali. Obiettivo comune, quello di

Testi produrre in chi lo percorre un effetto di straniamento. Come commenta Borges nel suo Bestiario «L’idea d’una cosa fatta perché la gente si perda è forse ben più singolare di quella d’un uomo con testa di toro, ma le due reciprocamente s’aiutano e l’immagine del labirinto conviene all’immagine del minotauro. Ci sta bene, nel centro di una casa mostruosa, un abitante pure mostruoso.» Torniamo, con Borges, alle origini del racconto: le fonti classiche contengono tutti gli elementi essenziali e se c’è certezza riguardo alla figura dell’architetto, Dedalo, destinato a diventare paradigma del costruttore, dell’eroe, Teseo, della sua vittima, il Minotauro, e di un luogo, anche se di questo non c’è certezza. Prima di essere prigione, il labirinto potrebbe essere il luogo magnifico costruito da Dedalo per la danza; danzando Arianna comunica il percorso a Teseo; replicando i passi, Teseo celebra la vittoria e ne trasmette il racconto. Se accettiamo per un momento l’ipotesi che la danza preceda la struttura architettonica, che appartenga ad una tradizione più antica, il labirinto si conferma come figura di movimento. A dare un senso ad una costruzione è il percorso di chi ne segue i meandri, e dunque non può darsi un percorso univoco, perché diverse sono le motivazioni che per ciascuno di noi sovrintendono alle scelte.

Per un approfondimento K. Kerényi, Nel labirinto, Torino 2016 (raccolta di saggi pubblicati tra il 1941 e il 1957) P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Firenze 1967

— Marco Albertario

H. Kern, Labirinti. Forme e interpretazioni. 5000 anni di presenza di un archetipo, Milano 1981 A. Olive, Le danze del labirinto. Mito e archetipo in Martha Graham, Macerata 2010

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Colophon

Accademia di Belle Arti di Verona

progetto grafico AUT Design collective

Un progetto di:

Presidente Marco Giaracuni

Comunicazione e ufficio stampa Camilla Bertoni

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA

Direttore Francesco Ronzon

Catalogo

Progetto Organizzazione e produzione Accademia di Belle Arti di Verona in collaborazione Villa Buri Onlus Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona entaconsulta

Cura e coordinamento catalogo Daniele Salvalai Marta Ferretti Andrea Fabbro

Con il patrocinio di:

Testi Marco Albertario Andrea Fabbro Marco Giaracuni Francesco Ronzon Daniele Salvalai Nicola Turrini

a cura di Daniele Salvalai Andrea Fabbro

Fotografie Andrea Fabbro Alberto Scorsin Gli artisti

coordinamento Marta Ferretti

Progettazione catalogo AUT Design collective

consulenza arborea Nicola Bussola

Stampa Grafiche Marchesini

allestimento Nicola Bussola Andrea Fabbro Daniele Salvalai

Si ringraziano Silvano Brait Clelia Cecchinato Davide Lasala Camilla Mazzocchi Davide Nitti Paolo Protasoni Carmen Ragusa Sara Rocco Alberto Scodro Giovanni Stizzoli Alberto Tonolli Matteo Vesentini

con il patrocinio di Comune di Verona Provincia di Verona Fondazione Accademia di Belle Arti Tadini Onlus SIA Società Italiana d’Arboricoltura

In colalborazione con:

aba.verona

www.accademiabelleartiverona.it

abaverona


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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VERONA


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