Focus Storia Wars Speciale n.1 - Dicembre 2018

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SOLDATI 27 OTTOBRE 2018 - NON VENDIBILE SEPARATAMENTE DAL NUMERO DI FOCUS STORIA IN EDICOLA, *PREZZO RIVISTA ESCLUSO

SPECIALE VOL.1

DICEMBRE 2018

€ 6,90*

UNIFORMI ED EQUIPAGGIAMENTI DALL’ANTICA GRECIA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE, LE DOTAZIONI, LE DIVISE, LE ARMI IN OLTRE 200 FIGURINI


INTRODUZIONE

Il mestiere di disegnare soldati I llustrare le battaglie, disegnare soldati, dipingere soggetti di carattere militare, rappresentare graficamente scene di guerra è uno dei temi più classici della storia dell’arte. Che sia frutto della necessità di glorificare i successi di un’armata, di condannare la violenza, le sofferenze o le condizioni precarie di vita o, ancora, di documentare i mutamenti tecnici o le varietà dei costumi, gli artisti di ogni tempo si sono cimentati nella pittura militare. Tanti i nomi: dai grandi pittori di epoca napoleonica (per non andare troppo indietro nel tempo) come Géricault, Delacroix e Vernet, passando per i decenni d’oro del XIX secolo con artisti del calibro di Meissonier, Detaille, De Neuville, Adam, Camphausen, Hünten, fino agli eccezionali artisti che nel corso del ’900 hanno dato corpo a pubblicazioni preziose e indispensabili per l’analisi e lo studio delle uniformi, degli equipaggiamenti e degli armamenti. Difficile di questi ultimi tracciare un elenco anche solo minimamente esaustivo, ma come non pensare agli acquarelli di Huen, al tratto elegante di McBarron, alla magistrale pittura a olio di Troiani o all’impeto epico di McBride, per giungere infine ai nostri non meno importanti connazionali dal Cenni a Caccia Dominioni? Una volontà di espressione, dunque, una necessità di dare corpo a un interesse specifico che è difficile definire esattamente come professione, ma che a tutti gli effetti lo è. Potremmo anche chiamarlo mestiere. Per quanto mi riguarda ho disegnato soldati da sempre; lo facevo da bambino, per puro divertimento, e ho continuato a farlo fino a oggi, come illustratore scientifico, continuando a divertirmi nello stesso modo. Che cos’è un illustratore scientifico? Vediamo di spiegarlo: in questo ramo del disegno, mi occupo di ricostruzione archeologica, architettonica e storica, cioè di un processo di sintesi grafica, all’interno di un più ampio lavoro storico o archeologico, che prevede disegni ricostruttivi di aree archeologiche, di monumenti e di costumi storici, soprattutto militari. Disegni che permettono di condensare all’interno di un’unica tavola una immensa quantità di informazioni, immediatamente fruibili a tutti, senza la più onerosa, in tempo e fatica, necessità di leggere centinaia e centinaia di pagine di testo. L’illustrazione scientifica,

il disegno di ricostruzione storica è proprio questo: sintesi. Oggi soprattutto è la sintesi tra professioni come quelle dello storico, dell’antropologo, del paleontologo, dell’archeologo e dell’illustratore. È l’osmosi interdisciplinare tra il disegno e le conoscenze acquisite durante gli anni universitari nella propria disciplina, almeno questa è stata la mia formazione. Non ci sono ovviamente regole su come disegnare, ogni illustratore e pittore di soldati ha applicato al disegno la propria sensibilità e ha adattato le tecniche artistiche alle proprie necessità. Personalmente, ho iniziato utilizzando tecniche tradizionali, soprattutto china, acquarello e acrilici, per poi passare al digitale, o meglio alla colorazione in digitale, mentre il disegno a china è ancora su carta. Ciò che invece definisce la ricostruzione stessa, e lo fa per ogni artista di soggetti militari, è il lavoro di ricerca sulle fonti, che a volte conduco da solo e altre insieme a colleghi storici. La ricerca viene fatta su fonti originali e, se nei soggetti contemporanei spesso il materiale è sovrabbondante, più si torna indietro nel tempo, più le fonti diventano scarse e preziose. Soprattutto per l’antichità e il Medioevo, dove codici uniformologici non esistevano, il lavoro di ricerca è un’opera da certosini. Si parte da una rappresentazione iconografica (un dipinto, una miniatura, una statua, un bassorilievo) spesso molto arida, priva di particolari o di vera e propria tangibilità e si cercano elementi descrittivi nella cultura, materiali che siano aderenti alla rappresentazione iconografica. Si cercano, in poche parole, la spada, l’elmo, l’armatura, la calzatura o l’indumento giusto, che combacino, più o meno, con la rappresentazione originale. A volte il lavoro è proprio di “traduzione” da un codice iconico antico, poco leggibile, a un disegno moderno, che il lettore possa fruire agevolmente e che gli parli nella lingua, quella grafica, alla quale è più abituato. Si ricompone così un puzzle che richiede un lavoro lungo e meticoloso; solo che i pezzi non sono immediatamente reperibili nella scatola, ma vanno cercati un po’ ovunque. d Giorgio Albertini S

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IV SECOLO A.C.-V SECOLO D.C. ROMA

LE LEGIONI ROMANE 509 A.C. OPLITA LEGIONARIO

Nel periodo della dominazione etrusca, i guerrieri della legione riformata da Servio Tullio risentivano dell’influenza greca nella tattica come nell’equipaggiamento. La legione era divisa in 5 o 6 classi, a seconda del censo. L’oplita classis prima poteva permettersi elmo (galea), schinieri (ocreae) per le gambe, corazza (lorica), scudo (clipeus), tutti in bronzo, oltre a lancia (hasta) e spada (gladius).

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uattro mesi di tirocinio facevano del tiro (recluta) un legionario pienamente addestrato, cui mancava solo l’esperienza per dominare i campi di battaglia. La giornata del soldato romano in campagna trascorreva per lo più in marcia, a un ritmo tra i 30 chilometri al giorno con passo normale e i 36 a passo svelto. Era ben preparato. Alla battaglia il legionario arrivava consapevole dei compiti che lo attendevano: inquadrato nell’unità tattica definita manipolo, poteva far parte della centuria anteriore o di quella posteriore che lo componeva; nel secondo caso, in prossimità del nemico avanzava affiancandosi all’altra unità per costituire una linea continua, ma poteva anche riposizionarsi alle spalle dei commilitoni, per creare dei corridoi attraverso i quali far passare i compagni che avevano esaurito il loro compito in prima linea. Una volta impegnato nello scontro, il legionario non si gettava a corpo morto contro il nemico, ma badava prima a disgregarne i ranghi lanciandogli contro il pilum (giavellotto), quando lo aveva a portata di tiro, per poi sguainare il gladio (la spada) e combattere nel corpo a corpo proteggendosi con lo scudo. Ciascun legionario si portava sulle spalle due pali di legno con cui costituire la palizzata del campo temporaneo. Con le riforme di Gaio Mario, che puntavano a rendere ogni soldato autosufficiente, il peso che un combattente pienamente equipaggiato si portava addosso variava dai 35 ai 44 chili: i “muli di Mario”, come venivano soprannominati i suoi soldati, disponevano di un kit di sopravvivenza (sarcina), appeso ad un palo (furca), contenente vari strumenti tra cui una borraccia (uter), un rastrello (rutrum), una vanga (ligo) e un’ascia da campo (dolabra). d Raffaele D’Amato e Andrea Frediani


IN MILLE ANNI L’URBE HA AVUTO MOLTI ESERCITI. ECCO LA MACCHINA BELLICA PIÙ EFFICIENTE DELL’ANTICHITÀ

IV SECOLO A.C. PRINCEPS

Forse fu Furio Camillo, conquistatore di Veio, a riformare l’esercito – dividendo la falange nelle tre schiere di hastati, principes e triarii, armati con equipaggiamento pesante – e a introdurre la legione manipolare. La seconda linea era composta di principes, protetti dai pettorali, armati con scudo (scutum), gladio e con uno speciale tipo di giavellotto (pilum).

ZAMA, 202 A.C. TRIARIUS - LEGIO VI

Per Livio, a Zama le legioni non erano schierate secondo la tattica manipolare: le coorti stavano ciascuna di fronte al proprio stendardo, con i manipoli distanti fra loro. I triarii erano i veterani di provato valore, l’ultima riserva. Portavano lunghe lance (hastae). Si noti la lorica di maglia (lorica o thorax alusidotos).

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VI-XV SECOLO IMPERO BIZANTINO

QUASI UN MILLENNIO DI LOTTE: PER SOPRAVVIVERE, LA ROMA D’ORIENTE SI È BATTUTA IN EUROPA E IN ASIA. ECCO CHI ERANO I SUOI NEMICI E PERCHÉ SONO STATI SCONFITTI

BISANZIO CONTRO TUTTI

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ille anni per un impero sono tanti. Altri domini sono durati molto meno, di fronte all’inevitabile declino provocato sul fronte interno dalle guerre civili e su quello esterno dalle invasioni. Al millenario Impero bizantino non sono mancate né le une né le altre, eppure ha saputo resistere a ogni tipo di pressione e a un’amputazione progressiva dei propri territori che lo hanno reso negli ultimi secoli della sua esistenza una specie di cittàStato: Costantinopoli si ergeva in mezzo a una selva di nemici ed è caduta solo grazie alla tenacia di un sultano che aveva avuto il pallino della sua conquista fin da bambino. La forza è a est. Il quinto secolo è la chiave di volta che ha determinato la sua longevità. È il secolo della crisi provocata dalle invasioni barbariche, dalle rivolte dei mercenari barbari e dalle guerre civili: a Occidente, l’impero semplicemente scompare, sostituito da una serie di regni romano-barbarici, mentre a Oriente lo Stato si dimostra più forte, più spietato, più solido, meglio condotto da imperatori di polso. E sopravvive. Il secolo seguente l’imperatore Giustiniano può contemplare la prospettiva di ricondurre l’intero bacino del Mediterraneo sotto il tallone imperiale. Recupera l’Africa dai Vandali, l’Italia e la Dalma24

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Bisanzio zia dagli Ostrogoti – ma anche dai Franchi – e argina la spinta persiana ai confini orientali. Ma è un fuoco di paglia: la penisola italica è troppo lontana dal baricentro di Bisanzio, e i suoi rappresentanti non riescono a opporsi all’invasione longobarda. Sul Danubio, i Bizantini non possono resistere all’arrembante marea slava, che cambia la composizione etnica della Grecia, e agli ancor più minacciosi Àvari, che arrivano ad attaccare la stessa Costantinopoli (questo è ora il nome della città) insieme con i Persiani. Siamo all’inizio del VII secolo, e proprio quando le gesta del grande imperatore Eraclio sembrano aver riportato l’impero ai primitivi fasti, conducendolo al trionfo sulla Persia, nello spazio di pochi anni Bisanzio subisce le sue più drastiche amputazioni:

la marea araba, infatti, spazzerà via il logoro Impero sassanide e sottrarrà a quello bizantino l’Africa e i territori mediorientali, dall’Egitto alla Siria, arrivando a minacciare, sotto il Califfato omayyade, la stessa capitale. Pericolo russo. Nel IX secolo gli Omayyadi vengono rilevati dagli Abbasidi, e il baricentro arabo si sposta da Damasco a Baghdad. Gli scontri tra i due blocchi si limitano così a scaramucce di frontiera, ma più a Occidente, dopo il riflusso della potenza dei Cazari, in grado di determinare la caduta di almeno un imperatore nell’VIII secolo, si è fatta tangibile l’invadenza dei principati russi di Kiev e Novgorod, i cosiddetti Vareghi, dapprima nemici, poi infidi alleati: mezzo millennio prima di Maometto II, il loro principe Oleg arriva a minacciare Co-


L’ULTIMO ASSEDIO

La caduta di Bisanzio per mano dei turchi ottomani il 29 maggio 1453. L’immagine è tratta da un diorama del museo Panorama 1453 di Istanbul. Sotto, un guerriero normanno e uno turco (ds.).

Una lunga lista

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pressoché infinito il numero di popoli con i quali Bisanzio è venuta in contatto nella sua storia millenaria. Nelle schede delle pagine che seguono non si tiene conto di quelli che hanno supportato un avversario principale facendo parte di coalizioni, o che hanno colpito l’impero solo marginalmente, o che sono stati più spesso alleati che nemici. Tra loro ci sono Alani, Uzi, Anti, Unni (schierati contro Bisanzio in epoca tardoantica), Kutriguri, Uniguri, Onoguri (protobulgari),Oghuz, Ugri, Mongoli, Magiari, Iberi, georgiani e armeni. Gli slavi sono trattati nell’insieme, sebbene le fonti distinguano tra singole tribù, di cui serbi e croati sono state le più rilevanti. S

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XV-XVI SECOLO EUROPA

NEL RINASCIMENTO LA BATTAGLIA FA SFOGGIO DI COLORI,

1494-1530

GLI ESERCITI DELLE GUERRE D’ITALIA

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i chiude il Medioevo e comincia l’età moderna. Le novità nell’epoca che si apre sono tante, nell’arte soprattutto, ma dal punto di vista militare la rivoluzione è massima e si compie quasi interamente in Italia, nelle lunghe guerre che in più di trent’anni romperanno assetti politici ed equilibri vecchi di secoli. L’era della fanteria. Si passa dalla centralità della cavalleria pesante – con i suoi costumi, con la sua elitaria alterigia, i codici e l’etica mutuati dal passato – al predominio della massa, della fanteria popolare, degli eserciti mercenari armati di picca e di scoppietto . Se le grandi armature non cessano di essere protagoniste dei campi di battaglia, cambia però la loro funzione: prima erano ineguagliabili dominatrici, ora diventano bersaglio e parabola di sconfitta, incapaci di tenere il terreno di fron-

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te agli immensi quadrati di picche che, come una falange antica, spazzano i campi di battaglia dell’Italia rinascimentale. Fantasia nelle divise. I mercenari svizzeri e quelli tedeschi impongono nello slancio della mischia la foggia dei vestiti, che diventano in questo periodo quanto mai bizzarri e colorati. L’uso esasperato delle fenditure, dei tagli praticati nei tessuti è l’elemento principale dell’abito militare, le tinte non sono mai omogenee, piumaggi e stendardi spiccano nel fango. Ma qualcuno cambia il modo di vedere gli eserciti: alcuni corpi di guardia cominciano a vestire in modo simile, in modo “uniforme”, a spese dello Stato, portando i colori di chi paga. Dalla differenza del singolo medioevale alle uniformi degli eserciti dell’età moderna, il mondo è cambiato. d Giorgio Albertini

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DI ARMI

INSOLITE E ARALDICA FANTASIOSA 1 FINE DEL XV SECOLO PICCHIERE SVIZZERO

Vera macchina da guerra del Rinascimento, chiuso all’interno di “spinosi” quadrati, poteva scendere in battaglia senza nessuna armatura. Vestiva con i colori del proprio cantone, quello di Unterwald.

dalla seconda metà del ’400. Carlo VIII insediò nella sua guardia una compagnia che comprendeva sia alabardieri che arcieri, vestiti – tra i primi – in modo uniforme. La CentSuisses fu la prima unità svizzera permanente al servizio di un sovrano straniero.

2 PRIMI DEL XVI SECOLO ARCIERE CENT-SUISSES

3 PRIMI DEL XVI SECOLO REITER TEDESCO

Per sopperire alla tradizionale mancanza di fanterie, l’esercito francese fece ricorso a truppe mercenarie, per lo più svizzere,

Gli eserciti tedeschi schieravano giovani cavalieri, armati da corsaletti leggeri, per servizi di copertura, disturbo ed esplorazione, capaci di sfruttare la velocità del cavallo che era impedita alla cavalleria pesante. Con il passare degli anni i Reiter si specializzarono nell’uso della pistola monocolpo.

4 PRIMI DEL XVI SECOLO CAVALIERE IMPERIALE PORTA STENDARDO

Alle armature milanesi gli armorai tedeschi contrapposero quelle dette “alla massimiliana”, dal nome dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo: erano armature metalliche a piastre lavorate con scanalature su tutta la loro superficie. Sotto la cintura il cavaliere indossa un girello metallico ricoperto da un pesante velluto. Alla lancia di legno è legato lo stendardo di un principe elettore imperiale bavarese.

5 PRIMI DEL XVI SECOLO MASTRO CANNONIERE ITALIANO

Artiglieri e ingegneri indossavano abiti civili, solo gli attrezzi del mestiere li distinguevano nel loro ruolo. Nella mano sinistra vediamo un quadrante e una squadra, usati per misurare l’angolo di elevazione della canna. Nella destra una spugna-calcatoio usata per caricare l’arma: cioè, si passava prima la spugna nella canna, poi vi si infilava la polvere pressandola con il calcatoio.

Scoppietto Primo tipo di arma da fuoco individuale portatile (fine XIII secolo), costituito da un tubo di ferro o di rame dentro il quale c’è una molla che, compressa, scaglia al suo rilascio dardi o palle di piombo.

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XIX SECOLO BELGIO

LE DIVISE DEL PERIODO NAPOLEONICO ERANO

NAPOLEONICI

1815 TUTTI

BRIGADIERE DELLA COMPAGNIA D’ÉLITE DEL 1° SQUADRONE DEL 5° REGGIMENTO USSARI FRANCESI

Impegnati soprattutto in azioni di ricognizione e inseguimento, il loro aspetto era l’apoteosi della leggerezza. Appoggiata alla spalla sinistra sventolava una giacca bordata di pelliccia, la pelisse, che arricchita di alamari e bottoni in ottone poteva costare più di 200 franchi. Completava la divisa una giacca simile ma di colore diverso e più leggera, il dolman.

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BRIGADIERE DELLA 4A COMPAGNIA DEL 1° SQUADRONE DEL 1° RGT. DI CORAZZIERI(CORAZZIERI DEL RE)

Con i carabinieri, i corazzieri facevano parte della cavalleria pesante dell’esercito di Napoleone: scendevano in campo con armatura d’acciaio e cimiero. Questo era in stile neoclassico, detto “alla Minerva”, parzialmente ricoperto da pelliccia, con cresta ramata e coda di crini di cavallo. A sinistra, il ponpon che caratterizzava la compagnia. Gli stivali erano in cuoio semirigido fino al ginocchio.


A WATERLOO L

UNTEROFFIZIER (SOTTUFFICIALE) DELLA COMPAGNIA MOSCHETTIERI DEL 1° BTG. DEL 6° RGT. DI FANTERIA DI LINEA PRUSSIANA

Rispetto al tradizionale blu scuro dell’habit-veste a doppio petto, ogni reggimento si differenziava per il colore di colletto e paramani; il modello di questa giacca era stato ammodernato per la Campagna dei 100 giorni. Lo shako di feltro era ricoperto di tela cerata e il cappottone grigio veniva chiuso intorno al torace da una custodia in pelle.

FANTE DELLA COMPAGNIA DI CENTRO DEL 3° BATTAGLIONE DI FANTERIA BELGA

Faceva parte della 3a Divisione di fanteria olandese. L’esercito dei Paesi Bassi comprendeva nel 1815 elementi olandesi, belgi e lussemburghesi e vestiva per lo più con divise di ispirazione inglese: dallo shako, all’habit-veste, compresi pantaloni e ghette, fino alla buffetteria. Nella Campagna dei 100 giorni i belgi divennero, a detta degli inglesi, tristemente famosi per la loro codardia.

e Guerre napoleoniche rappresentano il picco ornamentale della divisa militare, tra colori chiassosi, cordelle, ponpon, piumetti, alamari e cimieri. Se oggi è determinante il mimetismo delle uniformi, allora lo era la visibilità assoluta. Un inno all’estetica e alla stravaganza con effetti sull’economia dei Paesi che rivaleggiavano in questa corsa al colpo d’occhio. Una divisa completa per un fante della Grande Armée costava tra i 200 e i 250 franchi francesi mentre un cacciatore a cavallo della Guardia sfiorava i mille. Un corazziere con il suo carico di acciaio e ottone comportava una spesa di 2.000 franchi, quando un chilo di carne costava 70 centesimi e un chilo di pane tra i 20 e i 30; 10 tonnellate di pane per un singolo corazziere. Très chic! Le uniformi più lussuose erano quelle francesi: quelle della Guardia imperiale travolgevano per magnificenza, tanto da indurre Napoleone a sostituire al comando della Guardia stessa il suo miglior amico, Jean Lannes, con Jean Baptiste Bessières perché il primo spendeva selvaggiamente. I rivali di Napoleone rimasero più sobri, soprattutto i prussiani, con le loro divise blu scuro e nere e al massimo un paio di cambi. Un soldato di cavalleria della Guardia francese invece poteva arrivare ad avere fino a 10 differenti varianti della divisa: oltre alla tenuta da campagna c’erano quella da viaggio, da campo, di servizio, di guarnigione, da società, da città, da parata e da grande parata. d Giorgio Albertini

ANGLO-PRUSSIANI

UN INNO ALLA STRAVAGANZA PER TINTE E ACCESSORI


1915-1918 ITALIA

IL FANTE ITALIANO L

a Grande guerra rappresentò una transizione tra l’antico e il moderno, tra i conflitti dei secoli passati combattuti da limitati eserciti in uniformi colorate e una nuova guerra di massa che vedeva sul campo uomini dotati di armi sempre più distruttive. Nelle guerre ottocentesche, le armi erano caricate con polvere nera e sprigionavano grandi quantità di fumo, tanto da invadere fittamente il teatro degli scontri; quindi i reparti dovevano essere distinguibili in fretta dai comandanti per poter essere mossi come pedine degli scacchi. Le belle uniformi colorate servivano poi ai soldati per riconoscere, nella mischia, i compagni dai nemici. Dai colori al mimetismo. A fine secolo, l’avvento di armi come fucili a ripetizione, mitragliatrici, cannoni a tiro rapido rivoluzionò le tecniche di impiego della fanteria: questa abbandonò le schiere compatte per formazioni più rade, che usavano il terreno circostante per ripararsi alla vista e al tiro. Da quel momento, tinte a bassa visibilità (kaki, marrone, grigio, grigio-verde) sarebbero diventate i colori dei soldati sul campo di battaglia per quasi tutti gli eserciti europei (fatta eccezione per i francesi, che la pagarono cara, entrando nella Grande guerra vestiti di rosso e blu). In Italia il punto di svolta ci fu nel 1905, con una sperimentazione voluta e pagata da un civile, l’ingegner Luigi Brioschi di Milano, uno studioso di cose militari che equipaggiò a sue spese alcuni reparti del 5° Reggimento Alpini con uniformi grigio-terra, da testare sul campo. Le prove di tiro fatte su sagome dipinte risultarono sorprendenti: a 600 metri quelle con i colori scuri delle vecchie divise del Regio Esercito vennero colpite 24 volte, quelle grigie solo tre. d Stefano Rossi

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1915 CAPORALE DEL 41° REGGIMENTO FANTERIA BRIGATA “MODENA”

Le uniformi grigio-verdi mod. 1909 furono adottate con circolare n. 458 del 4 dicembre 1908. Il caporale indossa la giacca da truppa per armi a piedi, i pantaloni per fanteria e il berretto mod. 1909. Ha un fucile mod. 1901 sistema MannlicherCarcano cal. 6,5 mm con baionetta. Sulle spalle porta due borracce e lo zaino per fanteria mod. 1907, con un telo tenda chiaro. Nel 1929, proprio in Italia, nasce però il primo capo di abbigliamento militare concepito con schemi mimetici a chiazze: il telo tenda mod. ’29.


NELLE TRINCEE DELLA GRANDE GUERRA FECE LA SUA COMPARSA LA NUOVA TENUTA GRIGIO-VERDE DEI NOSTRI SOLDATI

1917 SERGENTE DEL 69° FANTERIA BRIGATA “ANCONA”

Il numero dell’unità è leggibile sugli spallini della giacca. Il fregio del reggimento si trova sul cappello o sull’elmetto metallico: questo è il mod. 1916. Il sergente indossa fasce mollettiere sui polpacci e scarponcini per truppe da montagna mod. 1912. La buffetteria è il mod. 1907. La sacca chiara è la custodia della maschera antigas inglese S.B.R (Small Box Respirator), che fu assegnata anche alle nostre truppe. Vicino ci sono la custodia per la rudimentale maschera antigas polivalente a protezione unica e la borraccia metallica mod. 1917. Il fucile è lo stesso del figurino di sinistra.

FANTE DEL 41° REGGIMENTO IN UNIFORME DA FATICA MOD. 1912 IN TELA “BIGIA”

Il fante indossa la tenuta da fatica mod. 1912 in tela di cotone “bigio” (all’epoca detta anche “sale e pepe“), prevista per le attività di caserma, come la pulizia o l’addestramento. Per alcune specialità, come Genio e Sanità, divenne uniforme primaria; in certi casi costituì anche una divisa estiva.

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