A SCUOLA CON CARLO MAGNO Ecco come si studiava 1.200 ANNI FA nella prima scuola pubblica. Quella voluta dal re dei Franchi in una RIFORMA senza precedenti
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BUON MAESTRO
Carlo Magno guida la mano di uno scolaro in un’illustrazione ottocentesca (in realtà il re non sapeva scrivere). In alto a sinistra, il suo testamento (814) nella scrittura minuscola carolina, da lui introdotta. A destra, il suo monogramma: KaRoLuS.
agno” non è un epiteto da tutti. Se il re dei Franchi Pipino il Breve doveva il suo nomignolo alla bassa statura, il figlio Carlo divenne per tutti “il Grande” per le sue numerose qualità. E non solo perché fu un valoroso condottiero, che sconfisse Àvari, Longobardi e Sassoni fino a fondare il Sacro romano impero, e nemmeno soltanto perché fu magnanimo con i nemici e aperto verso le culture diverse dalla sua. Uno dei suoi meriti fu anche quello di aver risvegliato l’Europa dal letargo culturale in cui era piombata dopo la caduta dell’Impero romano. E di avere istituito, con una riforma senza precedenti, la prima scuola pubblica. Cominciare dalle basi. Carlo Magno si trovò ad affrontare il difficile compito di governare una realtà politica inedita, non più circoscritta al Regno dei Franchi, ma neppure somigliante al precedente Impero romano. Si trattava di un vasto territorio costituito da gruppi etnici e culturali molto diversi, anche nella lingua: francesi, germanici, italiani. Per mettere ordine nel suo regno disponeva di due strumenti formidabili: la lingua latina e la religione. La prima, però, non era più l’idioma di tutti i giorni ed era conosciuta male anche dagli ecclesiastici. Nemmeno la fede cristiana era la stessa per tutti: l’interpretazione delle Scritture cambiava da regione a regione e qua e là persistevano riti pagani, soprattutto nelle zone rurali. Per dare unità alle sue terre, insomma, bisognava iniziare dalle fondamenta. Cioè dalla scuola, che a quel tempo significava dai monasteri, roccaforti del sapere. Ma ai tempi di Carlo il livello culturale del clero, purtroppo, era molto vicino all’analfabetismo: nel 780 il sovrano fece divulgare una lettera agli eccle-
siastici del regno, alla quale seguirono diversi “capitolari” (cioè ordinanze) che fissarono, svilupparono e uniformarono la questione fondamentale dell’istruzione. Era il primo passo di quella che verrà poi definita renovatio o “rinascita carolingia”. La squadra. Per il suo progetto il sovrano chiamò a corte intellettuali di grande talento. Come l’inglese Alcuino di York, insegnante di grande fama e con una vocazione per la pedagogia, o come l’italiano Pietro da Pisa, il primo studioso a entrare nella corte come maestro di grammatica per i giovani nobili (e per lo stesso Carlo, semianalfabeta). C’erano poi Eginardo, esperto di grammatica latina e abile architetto (fu lui a progettare il palazzo di Aquisgrana), e Teodolfo d’Orléans, vescovo ma soprattutto poeta. Il re convocò anche lo storico, naturalista e studioso di greco Paolo Diacono, membro di una famiglia longobarda non assoggettata dai Franchi, a testimonianza della grande apertura mentale del sovrano. Se da un lato Carlo voleva centralizzare il governo del regno, infatti, dall’altro sapeva valorizzare le differenze. W la schola! L’idea di creare un sistema d’istruzione comune in tutto il territorio fu accolta con entusiasmo da vescovi, abati e prelati. Quanto fosse spontaneo non si sa, visto che era stato un decreto del 797 a imporre loro di fondare scuole di vario grado in cattedrali, abbazie e villaggi. Ma chi poteva frequentare quelle scuole? Tutti, considerati gli standard dell’epoca, ovvero anche giovani di media o bassa estrazione sociale. Il modello era la Schola palatina di Aquisgrana, capitale del regno. Inaugurata già dai sovrani merovingi e restaurata dal padre di Carlo, aveva inizialmente lo scopo di formare la classe di scrivani e contabili di palazzo sotto la guida di Alcuino. 31