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Intervista a Ilaria Borletti Buitoni
Quali iniziative consiglierebbe per incrementare il marketing territoriale a favore di Milano che si sta qualificando in Europa come modello produttivo, culturale, sociale e di ricerca applicata?
Insisto sempre sul concetto di rete: in questo Milano è una città straordinaria perché pubblico, privato e terzo settore sono capaci di promuovere un progetto che coinvolga la città e il suo futuro. Questo è il vero patrimonio di Milano e questo è ciò che sempre deve essere promosso nella cultura come nella ricerca come nel modello sociale. Siamo gli eredi della grande tradizione cattolica di Sant’Ambrogio e di Carlo Borromeo ma anche di Beccaria e Biffi e del loro illuminato pensiero o della straordinaria borghesia d’impresa del dopoguerra che riscostruiva la Scala trovando i fondi necessari in mezz’ora! Tutto ciò fa di Milano una città nel cui DNA c’è il miglior argomento di promozione che esista.
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Tempo fa lei disse Non siamo un Paese laico. Questo è uno dei grandi problemi italiani. Cosa possiamo concretamente fare in questa direzione?
Il termine laico si presta ovviamente a molte interpretazioni: mi riferivo alla storia politica e non solo, del nostro Paese che è stata dominata da due chiese contrapposte ma per certi aspetti simili: trasversali, popolari, politicamente molto presenti nella vita pubblica italiana. Mi riferisco a quella cattolica e a quella comunista. Il risultato di questo duopolio è stato la fatica da parte di una cultura laica e liberale di affermarsi: basti pensare al partito repubblicano che a parte l’exploit milanese degli anni ottanta non riuscì mai, come del resto il Partito Liberale, ad ottenere numeri a due cifre alle elezioni politiche. Naturalmente una riflessione a parte la meriterebbe in questo contesto il Partito Socialista che ha svolto per un periodo un ruolo fondamentale nella rottura di quel duopolio quando con Craxi dalla fine degli anni settanta il Psi abbandonò completamente qualsiasi riferimento marxista. Ma anche questo non bastò, come neppure le battaglie nobili e meritevoli dei Radicali, a consolidare numeri importanti nell’elettorato italiano intorno ad un approccio laico. Se a tutto ciò uniamo un certo “barocchismo” nostrano - non scomoderei Machiavelli - che caratterizza da sempre il modo di pensare della nostra classe dirigente privilegiando l’arte del compromesso a qualsiasi costo, della sintesi anche forzata di posizioni ideologicamente opposte, ecco spiegata la ragione del fatto che siamo molto lontani dalla cultura dominante in molti Paesi d’Europa: laica, liberale, progressista.
Dal 2010 al 2013 lei è stata Presidente del FAI (Fondo Ambiente Italiano). Questa esperienza in cosa l’ha umanamente e professionalmente arricchita?
Quella del rapporto con i volontari, che sono parecchie migliaia. Il FAI è un grande movimento di opinione, oltre che essere tutore e custode di beni culturali meravigliosi, e attorno alla sua missione si sono radunate persone che la interpretano come la propria missione e che svolgono con passione, dedizione e fedeltà. Proprio il rapporto con questi volontari, sia durante le manifestazioni che il contatto con le oltre 100 delegazioni in tutta Italia, è stato il consuntivo più prezioso della mia presidenza al FAI.
Quali iniziative avvierebbe per far rientrare parte dei cervelli italiani dall’estero?
Solo una è possibile: sostenere la Ricerca scientifica, quella seria, fuori dalle camarille anche accademiche. Un esempio significativo: in Parlamento le commissioni al Senato e alla Camera che si occupano di Ricerca scientifica sono le Commissioni Cultura, Scuola e Ricerca Scientifica. Basta il nome per capire che il 90% del tempo è dedicato ai primi due ambiti e che il 95% dei suoi membri non ha a che fare con il mondo della Ricerca. Il risultato è la fuga dei cervelli.
Dal 2013 al 2016 lei è stata Sottosegretario ai Beni Culturali. Cosa le ha insegnato questa esperienza politica? Perché l’Imprenditoria italiana e la Politica italiana non riescono a collaborare?
Entrare in politica per spirito civico come ho fatto io è la più grossa ingenuità che si possa commettere. Le logiche politiche sono completamente diverse e ulteriormente peggiorate dalla pressione dei social network. Obiettivo della stragrande maggioranza dei politici è la conservazione del proprio posto e anche quelli più impegnati e lungimiranti, e ne ho conosciuti molti, vengono stritolati dal sistema. Se poi si aggiunge la burocrazia la frittata è fatta! No, un’esperienza assolutamente frustrante!
Che consigli darebbe ad Alberto Bonisoli, attuale Ministro ai Beni Culturali?
Quello che ho tentato di fare con la delega al paesaggio che mi era stata affidata. Ciò non solo per avvicinare i cittadini al lavoro fatto dal MIBAC, spesso guardato con grande sospetto e antipatia, ma di rendere sempre più “rete” il lavoro di protezione dei nostri beni paesaggistici: da qui l’istituzione dell’Osservatorio nazionale del Paesaggio al quale partecipavano anche le associazioni nazionali, la promozione dei Piani Paesaggistici di concerto con le Regioni, l’istituzione della Giornata Nazionale del Paesaggio e infine la Carta Nazionale del Paesaggio, documento strategico per un utile azione futura di tutela. Tutti percorsi affievoliti e o abbandonati. Peccato. Se la tutela del paesaggio non verrà percepita dai cittadini come una priorità e come un modo per migliorare l’ambiente in cui viviamo ma solo per gestire le trasformazioni del territorio, avremo fatto del Ministero un ente per la promozione culturale e non per la tutela del patrimonio culturale. Il Ministro Bonisoli è una persona per bene e non un politico di professione ma su questa materia non ha specifiche competenze e si è forse affidato troppo ai consiglieri sbagliati.
È importante sostenere il FAI che, a sua volta, sostiene il nostro unico, ineguagliabile patrimonio ambientale. Ma, secondo lei, cosa potrebbe fare il FAI per aiutare il nostro sistema economico ed imprenditoriale?
Il FAI lo aiuta già: le centinaia di migliaia di visitatori sono una spinta all’economia, anche di paesi, borghi o luoghi remoti. Anche se ci sarebbe ancora tantissimo da fare: io vivo in Umbria, una regione che ha un PIL in drammatica decrescita. Solo col turismo dei cammini, del trekking, della scoperta della natura e quello religioso la regione si risolleverebbe. Pensiamo alla Galizia ricca grazie a Santiago di Compostela. In Umbria, San Benedetto, San Francesco, Santa Chiara ma anche Giotto, Piero della Francesca e il FAI come il Touring potrebbero giocare un gran ruolo!
Abbiamo preso in prestito il Pianeta dai nostri figli. Cosa lasciamo loro?
Un mondo difficile che ha rinnegato la cultura del ‘900 in nome di una strepitosa rivoluzione, quella digitale della quale però non si sono ancora ben valutati gli effetti. Dal punto di vista ambientale un mondo malato perché incapace di rinunciare a modelli di crescita devastanti e incapace di investire in altri modelli più compatibili con la salvaguardia del pianeta. Un mondo diviso tra chi ha e chi non potrà mai avere nel quale il problema migratorio, che adesso è solo oggetto di baruffe nostrane, sarà ciclopico. Non sono molto ottimista…ma forse è la mia età e la recente rilettura di Port Royal!
Crede nell’impegno civile?
Sempre. E sempre a questo dedicherò risorse e tempo non solo perché è giusto ma perché oggi più che mai è doveroso. Oggi, grazie ai media, sappiamo, vediamo, siamo consapevoli di quello che succede e quindi siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo…anche fuori dalla politica!
Intervista a cura di Fabrizio Favini. Si ringrazia Pietro Ichino per la gentile collaborazione.