Il mostro a tre braccia, di Guido Pagliarino

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PREFAZIONE DELL’AUTORE

Avevo scritto questi due racconti lunghi, o romanzi brevi, di carattere poliziesco – fra loro connessi, perché entrambi basati sulle figure di Vittorio D’Aiazzo e Ranieri Velli – con attenzione a psicologie e ambienti, durante i primi anni ’90, anteriormente alla moda del giallo italiano; li avevo auto-stampati a computer e auto-rilegati, e avevo donato quelle poche copie inedite ad amici e ad alcuni cordiali critici, fra cui Giorgio Bárberi Squarotti al cui parere tenevo particolarmente. Avevo avuto approvazione. Non ero andato oltre nella “pubblicazione”. Ne erano e sono destinatari, in primo luogo, i lettori di narrativa in generale che non hanno gusti alla paprika e non disdegnano quei polizieschi che definirei umanistici, anche se posti sul piano del divertimento, un po’ come certi sceneggiati televisivi, “gialli” ma senza scene raccapriccianti, che sarebbero stati trasmessi alcuni anni dopo dalla RAI, ad esempio quelli sul maresciallo Rocca e su don Matteo. L’ambientazione è nella capitale subalpina, in un periodo ancora precibernetico, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60: una Torino dove, nell’area di Porta Palazzo e dintorni, che è centrale al primo romanzo, non abitavano ancora, come oggi, quasi soltanto extracomunitari, ma anziani piemontesi in pensione, originari della zona, e giovani famiglie dell’immigrazione meridionale; una città in cui arterie principali quali corso Vittorio Emanuele II e corso Regina Margherita vedevano, quasi, più mezzi di trasporto pubblici che privati. Fra i secondi, nelle vie e nei contro viali giravano molte biciclette, alcune a motore, mentre già si vedevano le prime auto 600 e 500, normalmente comperate a rate, con chili di cambiali, da qualche impiegato avanti nella carriera o occupato alla regina FIAT, signora più di oggi di Torino e cintura. Qua e là, poi, rombavano le automobili più costose, acquistate da esponenti dell’alta e media borghesia, come la FIAT 1400 e l’ALFA ROMEO 1900 – questa usata pure dalla Polizia: la cosiddetta pantera


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