Un tuffo al cuore

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In uscita il 30/6/2017 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine giugno e inizio luglio 2017 ( ,99 euro)

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PIETRO MILELLA

UN TUFFO AL CUORE

www.0111edizioni.com


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UN TUFFO AL CUORE Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-113-6 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Giugno 2017 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


“I jumped off a train running off the tracks Love is gone face the facts A bad movie ends and the screen fades to black What you did to me boy I can’t forget..” Nicole Scherzinger – Don’t Hold your Breath



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PROLOGO

Mi chiamo Marco, ho venticinque anni e sto per laurearmi in Lettere. Vivo a Milano da due anni insieme al mio compagno Jacopo, l’uomo che mi ha cambiato la vita. Ma forse è meglio fare un passo indietro, prima di raccontarvi questa storia. Erano gli ultimi giorni di marzo - esattamente il 20 marzo quando dopo dieci ore di viaggio da Milano arrivai a Bari per gli ultimi preparativi del matrimonio di mia sorella. Mi fece uno strano effetto scendere da quel treno, soprattutto perché ci ero salito con il cappotto, mentre all’arrivo bastava una semplice maglietta a maniche corte. Mia sorella Valentina stava per sposarsi e io ero il testimone di nozze. Mancava una settimana al grande evento, per cui dovevo aiutarla con i preparativi, nonostante dovessi affrontare l’ultima sessione di esami prima della mia laurea specialistica. Nel giro dei tre anni dalla mia partenza, le nostre vite sono totalmente cambiate. Valentina è cambiata, e anche io. Ho cominciato una nuova vita a soli ventidue anni, lontano da tutto e da tutti, a causa di quel bastardo di Alessandro, il mio ex ragazzo.


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*** Tutto ebbe inizio tre anni fa durante un’afosa serata in spiaggia tra amici, con la solita chitarra, le nostre fidate tende da campeggio e il fuoco che illuminava i nostri volti. Dopo aver bevuto la classica Corona con limone ed esserci scambiati qualche pettegolezzo, ci ritirammo nelle nostre tende. Io e Alessandro, come nostro solito, fummo gli ultimi a rientrare. Avevamo una tenda tutta per noi, e già da due anni la consideravamo il nostro nido; è il luogo dove abbiamo fatto l’amore per la prima volta. Quella sera, avendo guidato per tutto il tragitto, ero stanchissimo; lui invece era abbastanza brillo. Forse fu la birra, o forse la sua mancanza di tatto, ma quella notte Ale mi costrinse a fare sesso con lui contro la mia volontà, lasciandomi parecchi segni su tutto il corpo. Si buttò su di me con tutto il suo peso. Cercai di divincolarmi, ma lui prontamente mi mollò un ceffone. Per un attimo mi sembrò di svenire, tanto era forte il dolore. Fu molto veloce: prese la sua maglietta e me la infilò in bocca per impedirmi di gridare. Mi sfilò i boxer mentre con l’altra mano mi faceva pressione sul petto in modo da bloccarmi. Tentai di mollargli un calcio tra le gambe. Fallii. Mi tirò un pugno in faccia per farmela pagare. Mi colpì il naso e il labbro. Iniziai a sanguinare. Si abbassò le mutande e senza darmi un secondo di tregua mi penetrò. Mi sentii lacerare. Il dolore era fortissimo, non potevo parlare. Nessuno avrebbe potuto sentirmi. Eravamo solo io, lui e le mie lacrime. Raggiunse il piacere in fretta, in modo quasi animalesco, poi mi guardò e con un sorriso beffardo disse:


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«Lo sapevo che in fondo eri una grandissima puttana.» Quelle parole mi procurarono un dolore ancora più intenso. Era un dolore psicologico, emotivo e struggente. Non mi sentivo più una persona. Ero perso. Dopo qualche minuto si addormentò, e per evitare di pensare mi addormentai anch’io. Mi risvegliai all’alba trovandolo nudo e sdraiato; russava pesantemente. Decisi che non sarei rimasto un minuto di più accanto a un uomo del genere. Presi le chiavi della macchina e corsi via verso il parcheggio. Entrai nell’auto, misi in moto e iniziai a guidare apparentemente senza meta. *** «Marco! Marco!» In un attimo la voce di Valentina, nel caos della stazione, mi riportò alla realtà. Mia sorella mi stampò un bacio sulla guancia, prese il trolley e insieme ci dirigemmo verso il parcheggio. Salimmo in macchina, accesi la radio e la prima domanda che lei mi fece, in tono inquisitorio e scherzoso, fu: «Be’, il tuo Twitter mi segnala un certo Jacopo tra i contatti recenti. Devo forse sapere qualcosa?» In realtà Jacopo era entrato in modo ufficiale nella mia vita solo di recente. Avevo deciso di condividere questa notizia solo con le persone di cui mi fidavo di più. Sì, avrebbe dovuto saperlo anche mia sorella, ma sarebbe stata una cosa troppo complicata da spiegare, visto tutto ciò che mi era capitato negli ultimi anni. «Forse…» risposi ridendo e facendo spallucce. Valentina mi chiedeva di più su quello che era il mio nuovo ragazzo. Non aveva intuito ancora nulla fino a quel momento,


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sebbene avessi una relazione con Jacopo già da due anni. La cosa mi aveva stupito, proprio perché è stata lei la prima a capire che sono gay e ad aiutarmi a dirlo ai nostri genitori. Molte cose erano cambiate nel corso di quei due, anzi quasi tre anni, dalla mia storia fino alla mia nuova vita in una nuova città. Quello che era accaduto quella notte mi aveva cambiato profondamente e niente, ne ero certo, sarebbe mai più tornato come prima.


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CAPITOLO 1

«Marco, manca solo una settimana al matrimonio. Ho bisogno di te per gli ultimi preparativi. Hai due giorni di tempo per organizzarti, lasciare tutto a Milano e scendere a Bari. P.S.: non mi hai ancora confermato se verrai solo o accompagnato. Ricorda che ho occhi, orecchie e parabole ovunque…» Ero a cena con Jacopo quando sentii il telefono vibrare e lessi il messaggio di Valentina. Più che un messaggio, mi sembrò un ordine militare. «Tutto bene?» disse Jacopo. «Sì sì, tranquillo. È solo l’ennesimo messaggio di mia sorella che mi prega di scendere a Bari e aiutarla con gli ultimi preparativi» tagliai corto. Jacopo aggrottò un po’ le sopracciglia e poi, con molta naturalezza, mi accarezzò la mano davanti a tutti i presenti. «Jacopo, sai benissimo che, sebbene si tratti di mia sorella, vorrei evitare Bari il più possibile; anzi, avrei preferito arrivare e ripartire nello stesso giorno» dissi sconfortato. «Marco» disse lui fissandomi negli occhi come solo lui sapeva fare «stai tranquillo. Non aver paura. Ci sarò sempre io con te.»


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«Lo so. Non è per lui. È che a volte il ricordo che ho di quei posti mi porta a star male e a sentirmi soffocato. Qui a Milano sono libero, respiro.» «Vedrai, andrà tutto bene» disse facendomi l’occhiolino «e poi ci sarà Valentina.» Eh già, Valentina, la mia fantastica sorella… a cui però avevo taciuto gran parte della mia vita negli ultimi due anni. Dopo qualche piccola discussione con Jacopo, decisi di partire una settimana prima del matrimonio, così da poter aiutare mia sorella con gli ultimi preparativi. Speravo che nulla andasse storto. Valentina ne ha combinate veramente tante nel corso della sua adolescenza. A soli sedici anni, dopo essere stata eletta rappresentante d’istituto, prese l’abitudine di marinare la scuola; per la gioia di tutto il liceo, riuscì anche a ottenerne l’occupazione. Non per la gioia dei miei però, che quattro giorni dopo dovettero recarsi in caserma per firmare il verbale. Dopo un’esperienza simile, chiunque si sarebbe spaventato, ma lei no. Quasi un anno dopo volò a Roma per partecipare alla manifestazione contro la riforma della scuola e i tagli del governo all’istruzione. Il risultato finale fu lo stesso di quando aveva marinato la scuola l’anno precedente. Tra Valentina e mia madre vigeva uno stato di lotta continua, soprattutto perché mamma era una donna vecchio stampo che non accettava niente che esulasse dalla normalità. Dai vestiti indossati da mia sorella fino alle feste che organizzava o a cui partecipava. Le loro giornate di shopping finivano sempre con un catfight, stile shopping nella Grande Mela durante il periodo dei saldi. Qualche graffio e qualche capello fuori posto erano all’ordine del giorno.


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Per organizzare il diciottesimo compleanno di mia sorella c’erano volute quasi quattro settimane di shopping. Mia madre si era ostinata nel voler organizzare la festa in una sala ricevimenti non troppo sfarzosa, ma comunque elegante e raffinata, e voleva costringere mia sorella a indossare un abito verde con un fiocco in vita, mentre le prospettive di Valentina erano orientate verso tutt’altra direzione. Avrebbe preferito un jazz bar, cocktail, antipasti surgelati, salatini e un po’ di musica di sottofondo, o un piccolo concerto messo su dal suo ex ragazzo. Avrebbe indossato un semplice tubino rosso e un paio di zeppe anni Novanta stile Baby Spice. Persino io, nella mia allora latente omosessualità, cercai in tutti i modi di convincerla a vestirsi in modo più consono, ma non ci fu verso. Il risultato finale fu ovviamente a favore di mia madre, sia sul fronte degli abiti sia su quello della sala. Ma come sempre Valentina ci riservò una sorpresa per quella sera; nel bel mezzo della festa prese un paio di forbici e davanti a tutti gli invitati accorciò l’orlo del vestito fin sopra al ginocchio, si tolse la cinta dalla vita, la annodò in testa in stile Rambo e fece partire un trenino che invase persino le cucine del ristorante. Morale della favola: mia madre, alla vista di tutto ciò, svenne e si ritrovò in ospedale con una gamba lussata a causa della caduta, mentre mia sorella ottenne la sua stupenda festa dei diciotto anni. Valentina ama fare le cose in grande e fuori dagli schemi, soprattutto quando è lei l’organizzatrice principale. Per la mia cena di coming out addobbò tutta la casa e il tavolo in stile rainbow, a detta sua per rendere l’ambiente e la situazione meno ostili. Durante la cena proiettò un estratto dal film Le fate ignoranti, seguito da un breve documentario


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scritto, recitato e prodotto da lei, su come si sarebbe svolta la mia vita - sessuale e non - con un uomo. Mia madre non dormì per le quattro notti consecutive e, dietro consiglio di mia sorella, aumentò la mia paga settimanale in modo che potessi permettermi l’acquisto di preservativi e lubrificanti in caso di necessità. Adoro mia sorella, ma più che altro amo il suo modo di fare. Se non ci fosse stata lei in molti momenti della mia vita, non mi troverei certamente qui. *** «Allora, come va fratellino?» disse Valentina mentre calcava l’acceleratore della sua BMW. «Tutto bene. Sì dai, insomma…» risposi rimanendo sul vago. «C’è qualcosa che non va?» mi domandò con noncuranza. «No no! Solo la stanchezza e il cambio di temperatura. Tutto qui» tagliai corto. Valentina iniziò a raccontarmi che cosa avremmo fatto in quei giorni, e di come lei e Luigi avevano deciso di sposarsi. L’idea era stata di Luigi; le aveva proposto di sposarla facendole trovare l’anello di fidanzamento dentro a un boccale di birra. Certo, non era il massimo del romanticismo, ma per come erano fatti loro era più che perfetto. Non avevo ancora comprato l’abito, o forse non avevo proprio idea di cosa mettermi, considerando che mia sorella è una tipa sopra le righe e che lui le aveva fatto la proposta in birreria. Jacopo mi aveva suggerito di procurarmi un kilt e una zampogna, mentre io pensavo che avremmo fatto una


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cerimonia al Chiringuito, semi-locale barese decisamente poco elegante e famoso per i litri di Peroni a basso costo. Alzai lo sguardo, assorto com’ero nei miei pensieri, e notai il segnale di indicazione per Foggia. «Vale, scusa, ma per andare ad Adelfia devi prendere la Statale 100.» «Lo so, ma io devo andare a Molfetta a provare l’abito nuziale.» «Saldi all’outlet» dissi ridendo. «No, scemino. L’ho fatto realizzare a mano dalla zia di Luigi che ha un atelier.» Sì, mia sorella era proprio cambiata. Da tipa stravagante, alternativa e ribelle, era diventata una donna con una carriera seria, a un passo dal matrimonio. Io invece vivevo ancora di ansie e paure. Arrivammo a Molfetta verso le quattro e ci recammo in un bar per prendere qualcosa da bere, prima di iniziare l’ultima prova dell’abito. Stranamente la prova non durò più di un’oretta, e alle sei eravamo già liberi. «Va’, senti… a dire il vero non ho ancora un abito per il tuo matrimonio. Ti va se facciamo davvero un salto all’outlet?» chiesi un po’ stanco e seccato. «Davvero?» disse Valentina, come se mi avesse appena sentito pronunciare parole dall’incredibile significato. «Sì sì» risposi io convinto. Mi mise la mano sulla fronte come per misurarmi la temperatura. «Ehi, ma che fai?» dissi io allontanandole la mano.


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«Niente. Ti misuravo la temperatura! Sei strano, sfuggente e sulle spine.» «No, lo sai come sono fatto; quando sono stanco…» «Appunto perché so come sei fatto, so che non rinunceresti mai a un Dolce & Gabbana, soprattutto per il mio matrimonio.» «Okay, senti… fa caldo, sono stanco e non ho voglia di discutere. Andiamo a casa.» Le tolsi le chiavi di mano, entrai in macchina e partii. Arrivammo a casa per le nove. Non c’era nessuno. «Mamma è andata dalla parrucchiera, quindi penso farà tardi… papà ha disdetto la prenotazione per la cena a causa del ritardo di mamma. Mi ha scritto che ceneremo insieme domani» dissi io, riportando le parole del messaggio. Andai in bagno e mi feci una doccia bollente. Rimasi per quasi mezz’ora sotto l’acqua a pensare e a riflettere su tutto quello che mi era successo negli ultimi anni. Mentre mi asciugavo i capelli, Vale entrò nella mia stanza e mi disse: «Sto per chiamare Anita. Ordiniamo qualcosa da lei?» «Sì! Passami il telefono… la chiamo io, così la saluto.» «Okay» ripose in lontananza. Anita era la mia ex titolare. Avevo lavorato per quattro anni nel suo bar, abbandonandola dal giorno alla notte a causa della mia fuga. Non avevo avuto la prontezza di avvisarla subito, ma quando mi fui rimesso in sesto le spiegai in parte cos’era successo. Mi disse di non preoccuparmi e di pensare a me e alla mia salute. Dopo aver ordinato la cena chiamai Jacopo. Gli raccontai della giornata e dell’abito che aveva scelto mia sorella. Tentai di mantenere un tono neutro, sperando di non far trapelare nulla,


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ma purtroppo anche lui capì che quella cosa mi turbava, e non poco. Dopo cena, mentre ero steso sul letto a controllare la posta elettronica dal mio tablet, Valentina piombò sul mio letto facendomi sobbalzare, e iniziando a solleticarmi mi chiese: «Allora, chi è Jacopo?» Diventai rosso. E non riuscii a nasconderlo. «Su, raccontami tutto» incalzò lei. «La mamma è tornata?» dissi io in tono circospetto. «No no, è a cena fuori, con le pettegole del parrucchiere» rispose Valentina. «Comunque… niente… Jacopo è un ragazzo di Milano, che studia Legge e che conosco da quasi due anni. Tutto qui.» «Due anni? Tutto qui?» esplose urlando. Le lanciai il cuscino in faccia. «Ora voglio sapere tutto dall’inizio alla fine. Raccontami di Jacopo.» «Sai, non so se potrò dirti tutto» dissi in tono malizioso. «Tranquillo… solo quello che ti senti di raccontarmi» disse lei in tono quasi materno. Iniziai dalla prima volta che vidi Jacopo in piscina.


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CAPITOLO 2

Il nostro primo incontro fu del tutto casuale. Era un tiepido mercoledì primaverile, nuotavo tranquillamente nella mia corsia. Avevo appena finito l’ultima batteria dei cento metri misti, quando notai un ragazzo che mi fissava nella corsia accanto. Appena si accorse che l’avevo notato girò subito la testa, indossò gli occhialini, si diede uno slancio dal bordo vasca e iniziò a nuotare. Feci lo stesso. Non ricordo esattamente cosa pensai in quel momento, fatto sta che iniziai una gara contro di lui. Dopo una decina di vasche di seguito, mi fermai per riprendere fiato e dopo qualche secondo arrivò anche lui. Eravamo entrambi con il fiato corto; come mio solito mi aggrappai al maniglione del trampolino iniziando a fare le bollicine nell’acqua per recuperare. «Complimenti, devo dire che hai un’ottima tecnica!» disse il ragazzo rivolgendosi a me con un po’ d’affanno. «Grazie!» risposi leggermente intimidito. In quel momento sperai che il rossore delle mie guance, dovuto all’eccessivo affaticamento post gara, nascondesse il mio imbarazzo.


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«Ah, comunque io sono Jacopo» disse porgendomi la mano al di sopra dei galleggianti che separano le corsie. «Piacere mio, io sono Marco.» Ci stringemmo la mano. Era la prima volta dopo due anni che il sorriso di un ragazzo riusciva a catturarmi. Riprendemmo a nuotare e ogni tanto notavo che, tra una bracciata e l’altra a rana, mi scrutava sott’acqua, curioso. Continuai il mio allenamento perdendomi tra i miei pensieri, senza accorgermi che lui se n’era andato. Non so perché, ma ero rimasto affascinato da quel ragazzo, da quell’alone di mistero che circondava il suo volto. Chissà, magari avremmo avuto la possibilità di rivederci di lì a poco. Ritornai in piscina il venerdì successivo. Appena entrai nello spogliatoio, lo vidi. Era lì. Ebbi un tuffo al cuore, quasi sicuramente arrossii. Era di spalle, quindi sperai che non mi avesse visto, ma non appena poggiai il borsone sulla panca mi salutò con la mano, accennando un sorriso. Finì di vestirsi e si avviò verso la vasca, mentre io mi cambiai in fretta e furia per poterlo raggiungere. Arrivai a bordo vasca e vidi un tavolino con sopra dei fogli sparsi. Ecco la scusa perfetta per attaccare bottone! E magari per capire se avessi qualche possibilità, sebbene convinto che lui fosse etero. «Sai per caso cosa c’è sul tavolino?» esordii con un tono interrogativo, per cercare di suscitare in qualche modo la sua curiosità e continuare a chiacchierare il più possibile. «Sì! Oggi si raccolgono le iscrizioni per le gare annuali di nuoto e di tuffi.» «Peccato che non possa partecipare a questa gara, visto che non sono un corsista. Mi sarebbe piaciuto tantissimo. Soprattutto


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per te… per tentare di sfidarti» dissi, correggendomi subito, dopo essermi lasciato tradire dai miei sentimenti per un breve istante. Jacopo mi guardò e sorrise divertito, per tentare di togliermi dall’imbarazzo. Guardando la mia faccia rosso fuoco, disse: «No, tranquillo. È aperto a tutti, corsisti e non. Più che una gara è un modo per divertirsi e socializzare con altra gente.» «Perfetto… allora vorrà dire che mi iscriverò. Anche se, sai… non credo che le gare facciano per me» risposi, tentando di dissuaderlo dal volermi convincere a partecipare alla gara. «Tu non ami le gare?» replicò con un tono sbalordito e quasi divertito «Marco, l’altro giorno hai innescato una gara contro di me per farti notare, non negarlo!» «Io?» esclamai. «Sì sì. Proprio tu. Inizialmente nuotavi con un ritmo abbastanza lento e moderato, per mantenere il fiato. Poi, dopo avermi visto, hai iniziato a gareggiare contro di me, pensando che non me ne fossi accorto.» «Okay. Mi hai scoperto» dissi ridendo. «Dai, iscriviamoci! Sarà divertente» rispose Jacopo. «Okay, ma a una condizione: chi perde offre una pizza» dissi io al limite del mio imbarazzo. «Va bene!» rispose tra il rassegnato e il divertito. Mi ero cacciato in quella situazione per provarci con lui, e invece avevo solo collezionato una serie di gaffes pazzesche. Come minimo, il mio essere così impacciato e non molto sicuro di me aveva distrutto l’ultima possibilità di poterci provare con quel ragazzo. Dopo aver apposto le firme sui fogli, ci tuffammo in acqua. Prendemmo due corsie separate, o


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meglio lui prese la corsia accanto alla mia sebbene ce ne fossero altre tre libere. Iniziammo a nuotare e poco dopo Jacopo mi propose una gara per testare i nostri tempi. Chiamò un istruttore che si trovava a bordo vasca e gli chiese di cronometrarci nei cento metri misti. I nostri allenamenti continuarono per tutta la settimana seguente fino al sabato sera, il giorno prima della gara. Avevamo forse preso la cosa un po’ troppo sul personale, quasi fosse una vera sfida tra di noi, per poter dimostrare qualcosa. Sembrava che Jacopo si fosse prefissato un obiettivo, e che quella gara sarebbe stata per lui una sorta di battesimo di fuoco. Doveva dimostrare qualcosa a se stesso, ma non capivo cosa. Io invece ero determinato a conquistarlo. Volevo apparire ai suoi occhi, fare colpo su di lui. Era davvero molto tempo che non provavo qualcosa del genere per un ragazzo. L’ultima volta era stata quando avevo conosciuto Alessandro durante un’assemblea d’istituto al primo anno di liceo; ma dopo quello che era successo con lui quell’estate, avevo molta paura di espormi con un altro. Ale mi aveva ferito in maniera indelebile. Avevo riposto tutta la mia fiducia in lui, e lui ne aveva abusato senza alcun rispetto per me e per il nostro amore. Finalmente grazie a Jacopo qualcosa in me stava cambiando. Qualcosa si stava muovendo, come se pian piano iniziassi di nuovo a dischiudere i miei sentimenti e - perché no? - il mio cuore. Quel nuovo incontro aveva riacceso qualcosa in me, mi aveva regalato una speranza che pensavo di aver perso. Però avevo ancora tantissima paura. Non di essere ferito da lui, ma che lui potesse deludermi come aveva fatto il mio ex. Forse vivevo troppo all’ombra del mio


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passato, all’ombra di Ale, ma molto spesso il primo amore è qualcosa che rimane in te, segnandoti nel profondo. Ero sicuro di non amarlo più e di aver cancellato tutto ciò che provavo per lui, ma purtroppo era riuscito a lasciare un segno indelebile. Finito l’allenamento ci recammo negli spogliatoi per fare la doccia. Per mia fortuna qualche vandalo aveva rotto un paio di separé, quindi approfittai dell’occasione per ammirare il corpo di Jacopo sotto la doccia: ben definito, con addominali e pettorali ben sviluppati ma non eccessivi; era quasi totalmente depilato, a parte nella zona pubica, dove si intravedevano una leggera peluria che risaliva fino all’ombelico e il solco di una cicatrice, non molto datata, sicuramente dovuta all’asportazione dell’appendice. Era perfetto, troppo perfetto per me. Lo stavo ammirando e fissando intensamente, quasi a voler scrutare ogni minimo dettaglio del suo corpo. Alzai lo sguardo e vidi che mi accennava un sorriso, mentre sulla sua faccia colava tutta la schiuma dello shampoo. Aveva gli occhi socchiusi e i capelli spettinati. “Oh mamma” pensai “mi ha scoperto a fissarlo.” Diventai rosso al solo pensiero. Oltre a quello splendido spettacolo sotto la doccia, ebbi anche l’opportunità di ammirare la bellezza dei suoi occhi azzurri mentre si asciugava i capelli. Constatai con gioia che il cloro faceva risaltare ancora di più la loro tonalità. Uscimmo insieme dallo spogliatoio e andammo verso il parcheggio a prendere la macchina. «Allora ci vediamo domani, Marco?» disse con tono di sfida. «Ovviamente.» Ci salutammo e partimmo, ciascuno nella sua auto.


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*** «E poi?» disse Valentina, incuriosita ed eccitata per la storia che le stavo raccontando. «Be’, poi ci sono tante altre cose» risposi io, mantenendo le distanze e sperando che mi chiedesse di raccontarle qualcos’altro piuttosto che rischiare qualche domanda scomoda sul perché fossi partito di punto in bianco. Dopo diverse discussioni, qualche pizzicotto fraterno e qualche cuscino in faccia, dissi a Valentina che l’indomani le avrei raccontato il seguito della storia. Spensi le luci e mi distesi sul mio letto. “Quanto tempo è passato, eppure la mia camera, il mio letto e i miei peluche sembrano sempre gli stessi” pensai guardando il mio ambiente, il mio guscio, la mia fortezza. Per anni la mia camera era stata il rifugio dal mondo esterno e dai suoi problemi. Dopo quello che era successo quell’estate, però, quel posto non mi sembrava più tanto sicuro; non per il luogo in sé, ma per alcuni ricordi e momenti felici che vi avevo vissuto. La scelta di fuggire, di evadere da tutto e da tutti è stata dettata da molte cose accavallatesi nella mia mente. Prima fra tutte, il bisogno di una cesura netta tra il Marco del passato, il ragazzo di Alessandro, e quello che sarei stato dal giorno dopo: Marco e basta. Guardai la libreria e notai che era in ordine, come l’avevo lasciata qualche anno prima. C’era sicuramente lo zampino di mia sorella, che sapeva quanto tenessi ai miei libri e all’ordine in cui erano disposti. Appoggiai la testa sul cuscino, iniziai a fissare il soffitto e ripensai al mio primo appuntamento con Jacopo.


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*** Era una domenica mattina soleggiata, con poche nuvole in cielo, e l’aria era tiepida e primaverile. Jacopo era il mio unico pensiero, la mia ossessione; non facevo altro che pensare a lui. Forse mi sbagliavo, magari non era gay, ma una cosa era certa: mi aveva rapito come mai nessun altro aveva fatto. Prima di iniziare la gara, ci incontrammo come di consueto negli spogliatoi. Mi porse la mano e con il suo tono intrigante disse: «Che vinca il migliore! Ah, e non dimenticarti del nostro appuntamento di stasera.» “Appuntamento” ripensai nella mia mente. Eh già, Jacopo aveva usato proprio quel termine. Chissà che non si riferisse a un appuntamento in piena regola, un’uscita romantica tra due persone che vogliono conoscersi e che magari hanno in comune qualcosa. Mi suonava strana come parola, poiché era da più di un anno che non avevo un appuntamento con un ragazzo. «Che vinca il migliore, allora» conclusi io con tono di sfida, stringendogli la mano. Dopo diverse staffette e tuffi, arrivò il momento che aspettavamo: le gare a cronometro sui cento metri misti. Non so se i posti erano stati affidati casualmente o secondo l’ordine di prenotazione, ma io e Jacopo ci trovavamo a un trampolino di distanza ed eravamo pronti alla nostra sfida. Il vincitore della gara fu lui, mentre io per qualche centesimo mi classificai terzo. «Non male il terzo posto» disse Jacopo appena rientrati negli spogliatoi.


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«Be’ sì, anche se ho sbagliato il tuffo.» «Spero pubblichino le foto, almeno mi farò due risate nel vedere il tuo tuffo a candela» continuò concludendo la frase con un sorriso a trentadue denti. «Non era a candela, sono solo scivolato!» risposi tirandogli un pizzico scherzoso sul braccio. Con un rapido gesto della mano mi bloccò il braccio e subito mi tirò a sé. “Wow” pensai mentre mi stampava un bacio sulle labbra. Rimasi paralizzato per qualche secondo e poi mi lasciai andare. Sentii la sua lingua scorrere velocemente sulle mie labbra e il suo bacino premere contro il mio. Gli afferrai i capelli bagnati e lo fissai negli occhi. Erano di un azzurro vivo, intenso. «Allora…» disse in un tono tra l’affannato e il soddisfatto «immagino che questo bacio sia stato perfetto per consolare il tuo terzo posto. E magari per incentivarti alla cena di stasera» concluse facendomi l’occhiolino, per poi allontanarsi. Per qualche minuto rimasi come sotto shock, fermo, in piedi vicino al mio borsone, mentre dall’altro lato dello spogliatoio sentivo le voci degli altri ragazzi che si stavano lavando. Dopo essermi ripreso ci andai anch’io, ma di lui non c’era più traccia. Ritornai nello spogliatoio e trovai sul mio borsone un biglietto ripiegato con su scritto: “Questo è il mio numero, a stasera”. Non ebbi il coraggio di chiamarlo, così gli mandai un messaggio scrivendogli il luogo e l’ora dell’appuntamento. Feci qualche ricerca su internet e scelsi un ristorante molto quotato. Non conoscevo molto i luoghi caratteristici di Milano, quindi mi affidai alle recensioni. La sua risposta fu: “Ottima scelta!”.


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*** Quella sera ero davvero imbarazzato e non sapevo come comportarmi, essendo ancora scosso dagli ultimi avvenimenti. Jacopo mi aveva baciato. Aveva capito che mi piaceva, e forse gli piacevo anch’io. Ma potevo iniziare una storia con un uomo che non conoscevo per niente? Portavo ancora su di me le cicatrici del passato. Avevo troppa paura. Jacopo però sembrava un ragazzo a posto, tranquillo, gentile e soprattutto con la testa sulle spalle. Da qualche tempo pensavo troppo e agivo poco, il passato continuava a perseguitarmi. Ancora una volta il ricordo di Ale e di ciò che mi aveva fatto riaffiorava nella mia mente e mi faceva star male. Inspirai. Trattenni il fiato per pochi secondi e poi cacciai tutto fuori. “È il momento di andare avanti” dissi a me stesso, e proprio in quel momento una mano mi sfiorò la spalla e una voce chiara e decisa mi sussurrò all’orecchio: «Buonasera…» Mi girai, lo guardai dritto negli occhi e come uno stupido gli dissi: «Buongiorno!» L’imbarazzo divampò sul mio viso, non sapevo dove nascondere la faccia. Lui mi sollevò il mento e scoppiò a ridere come se avessi raccontato la barzelletta più divertente del mondo. La cena fu molto tranquilla e piacevole; parlammo di molte cose, quasi sempre sciocchezze, senza però soffermarci sulle nostre vite personali e sulle nostre esperienze. Gli raccontai della mia vita a Milano e dei miei amici. A fine serata Jacopo insistette per accompagnarmi a casa, visto che la metro a mezzanotte era sconsigliabile.


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Ero un po’ titubante, pensando che volesse già arrivare al cosiddetto “terzo appuntamento”, meglio conosciuto come “la serata del sesso sfrenato”. Si limitò invece a un semplice bacio, eppure non ricordo molto altro di altrettanto passionale. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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