Solitaire, sfida a Laura Porcu - Walter Serra

Page 1

In uscita il 31/3/2023 (15, 0 euro)

Versione ebook in uscita tra fine marzo e inizio aprile 2023 ( ,99 euro)

Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita.

La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale.

La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.

AVVISO

WALTER SERRA SOLITAIRE

SFIDA A MAURA PORCU

ZeroUnoUndici Edizioni

ZeroUnoUndici Edizioni

WWW.0111edizioni.com

www.quellidized.it

www.facebook.com/groups/quellidized/

SOLITAIRE

Copyright © 2023 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-9370-599-8

Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Marzo 2023

PREFAZIONE DELL’AUTORE

Alcune brevi note su Maura Porcu, a beneficio di chi ancora non l’ha conosciuta.

Siamo al quinto episodio della serie che ha come protagonista l’imprevedibile ispettore di polizia di origini sarde. Alta, provocante e dura come acciaio, Maura Porcu proviene dalla polizia criminale di Bologna, presso la quale si è formata in gioventù.

Il suo carattere irriverente e impetuoso, più volte l’ha posta in urto con i suoi capi del momento. La ritroviamo nel primo episodio (Senza respiro) in vacanza forzata a San Marino, a seguito dell’ennesima sospensione. Si trova invischiata quasi subito in un caso di omicidio ma, come capirà ben presto, è il suo passato che la insegue. Gli assassini che stava braccando a Bologna, la insidiano a San Marino – e non solo – e si ripresenteranno anche nel secondo episodio (Il caso Vertigo).

Perderà il marito nel terzo episodio (Senza Pace), nel quale si renderà conto che c’è un disegno più ampio rispetto ai piccoli criminali che la sfidano con giochi mortali, un intreccio gestito da personaggi che stanno nell’ombra. Buoni e cattivi, sarà difficile e doloroso per lei scoprire da che parte stanno.

Nel quarto episodio (Blood), Maura non è più un poliziotto, si era ritirata dal servizio da alcuni anni, per tornare a essere una mamma premurosa, ma l’inattività non fa per lei.

Il rapimento di una ragazzina è il suo primo nuovo caso, ma quello che in apparenza sembra un lavoro normale, si trasforma subito in una scia di sangue sulle tracce di una setta satanica. Sangue sul suo cammino.

3

Questo romanzo parte dalla fine del precedente, nel quale si affaccia un nuovo antagonista. Si fa chiamare Solitaire, perché uccide le sue vittime mettendole in posa davanti a un solitario di carte.

4

La vita è un gioco, Maura. Ne conosci tu le regole?

CAPITOLO 1

Tutto sembrava perfetto. Il ragazzo era gentile, carino, attento alle mie esigenze, ai miei gusti.

Non è facile trovarne di così premurosi, non è facile fidarsi, specie se lo agganci in rete.

Bugiardi, profittatori, soprattutto ladri. Di affetti, serenità e salute, prima che di soldi.

Marco era addirittura timido, impacciato. Mi fissava negli occhi, invece di strusciarsi sul mio corpo, a spiare le ferite che nel tempo avevo coperto di cicatrici invisibili agli altri, ma ancora sanguinanti per me.

Con lui mi sono sentita subito a mio agio. A partire dal suo profilo sul social dove ci siamo conosciuti.

Sobrio, senza ostentazioni, mostrava le sue passioni e non se stesso. La musica che amava, le letture che lo rapivano. Qualche poesia. Due foto in tutto: una insieme al suo cane, l’altra un selfie sulla cima di una montagna. Solo.

“Bello, il tuo cane! E che bel panorama…” gli avevo scritto in un post. La sua risposta era arrivata subito, come se fosse lì, in attesa di me, solo di me.

Quando mi ha chiesto l’amicizia, la mano mi tremava mentre cliccavo su “accetta”. È stato come dire sì, quel sì che si dice quando ci si sposa, la prima volta che si fa l’amore, se si accetta Dio, rinnegando Satana, durante la cresima.

In quel sì avevo visto il mio futuro, il mio destino. E, adesso ne sono consapevole, così è stato.

Niente matrimonio.

Niente prima volta. Forse l’ultima.

Anche se avevo rinnegato Satana.

7

CAPITOLO 2

Maura fissa la foto che ha ricevuto sul cellulare. Poi ne riceve altre, in una spietata sequenza. Solo una cosa la consola di quelle crude immagini: il volto disteso della ragazza. Pare essersi addormentata, nel placido sonno che ti risveglia nell’aldilà. Perché la ragazza è morta, soffocata con un sacchetto di nailon legato in testa. Glielo dice la condensa del fiato che appanna il suo sudario, le gocce di vapore che iniziano a scivolare verso il basso e scavano solchi in quell’immagine che non si può dimenticare.

«Bastardo!» mormora fra i denti.

L’istantanea successiva mostra la donna di spalle. È nuda. Ha davanti un tavolino, su cui poggia gli avambracci. Di fronte ha un muro, con appesa di lato una stampa astratta. Sulla sinistra fa capolino un televisore da sedici pollici. Per lei è un indizio sufficiente.

«È una stanza d’albergo!»

Altro suono. Torna sul suo profilo WhatsApp e apre la foto. La vittima viene ora mostrata di tre quarti. Sul tavolo ci sono molte carte da gioco disposte in file. La maggior parte è scoperta. Nota il re di denari fra le dita della ragazza, e gli altri tre sul fondo delle rispettive file disposte per semi.

Il cellulare squilla all’improvviso, e quasi le cade di mano. Il numero non è mostrato, sa per certo che è lui.

«Allora, ti è piaciuto il gioco?»

La voce è metallica, anche questo pazzo usa un distorsore vocale, si dice chiedendosi il perché.

«Sei un animale! Potevi darle una chance…» replica, con la voce rotta dall’emozione.

8

«Il destino era nelle sue mani, ma non ha avuto fortuna. Sei pronta per il prossimo solitario?»

Nessuna emozione, nessuna tensione. Umano, pollo, zanzara. Tutti allo stesso livello.

Giovane, organizzato, sa usare i computer e la tecnologia quanto basta per non farsi intercettare. Profili falsi, schede del telefono clonate. Però usa un distorsore vocale, teme di essere riconosciuto. Da chi? Da lei? O da qualcuno che Maura frequenta e che potrebbe collegare quella voce a una faccia, nome e cognome?

«Cosa ti spinge a uccidere? E io cosa c’entro, nel tuo gioco perverso?»

«Non mi piace giocare allo psicologo. Posso solo dirti che sfidare te aumenta la mia attenzione e mi dà più adrenalina. Avere te come cane da caccia, mi porta a commettere meno errori.»

È disgustata da tanta arroganza, ma vuole provocarlo: «Tanto lo sai come andrà a finire. Come per gli altri. Morto o in galera. Davvero vuoi passare il resto della tua vita come quella ragazza? In una piccola cella con un muro come panorama e un mazzo di carte su cui riflettere?»

«Sei molto sicura di te. Finora sei stata brava, ma la tua fortuna non può durare per sempre. È la legge della statistica. Carta vince, carta perde. Presto estrarrai il tuo ultimo re e ne riparleremo.»

«Sei un pezzo di merda» replica piena di rabbia. «Riflettici, se e quando penserai di cercare un’altra vittima. Cosa devo aspettarmi?»

«Se e quando mi verrà voglia di fare un altro solitario, ti chiamerò. Due o tre ore prima. Avrò già l’appuntamento con la ragazza. Una cena a lume di candela, buon ristorante, poi un Hotel modesto, non di lusso. Forse ci andrò a letto, o forse vorrò prima giocare. Che lei vinca oppure no, mi sarò divertito. Se ci trovi prima tu, lei è salva.»

«Se lei termina il solitario, devi lasciarla andare! Se l’è guadagnato» pretende Maura.

«Non so. Non è ancora successo! Ci penserò, ma non prometto niente.» Resta alcuni istanti a riflettere su quella situazione. Non può giocare con la vita di quelle ragazze, così azzarda: «E se giocassimo solo io e te? Chi vince, piglia tutto. Carte e avversario. Fine del gioco.»

9

«Quante volte ci hai provato, Maura? Forse sempre. Dove sta il divertimento? Tu leggeresti un giallo partendo dall’ultimo capitolo? Adesso mettiti comoda e scatena le indagini. C’è tempo. Settimane, forse mesi. Dipende da quanto facile sarà agganciare la prossima gallinella. Poi arriverà anche il tuo turno. Mi piacerebbe averti al tavolo. Mi piacerebbe vederti tremare di paura. L’invincibile Maura Porcu che rabbrividisce di fronte al suo carnefice.»

Maura scuote la testa, stanca di quella follia. «Fatti curare… e se non trovi lo psichiatra giusto, ti curerò io. Ho delle buone supposte.»

«Sei la solita sbruffona, ma so che sei sincera. Abbi cura di te. Io non ce l’ho con la tua famiglia. Mi basta mettere il sale sulla coda solo a te.»

«Cosa ti ho fatto?» forse è l’ultima occasione per sapere qualcosa di più.

«Ci devo pensare. Mi stai sulle palle, quello sì. Per il resto forse è solo invidia, voglia di rivalsa perché tu sei un eroe e io il cattivo. Noi cattivi rappresentiamo la parte oscura di voi, quella che tentate di soffocare con le buone azioni, nell’applicazione della legge. Noi siamo marci fuori, voi dentro. Pensaci, Maura. Ti chiamo fra qualche tempo. Non ti affannare a tracciare questo numero, è una SIM fasulla. Ma tanto, questo già lo sai…»

10

CAPITOLO 3

Maura rimane con il telefono all’orecchio ancora per diversi secondi. Nella sua testa passano istantanee dei casi precedenti, volti di ex colleghi, amici, parenti. Tossici, prostitute, omosessuali. Anarchici, vagabondi, ladri e ruffiani. Tanti profili, nessuno che sembra assomigliare a questo tipo.

Abbassa il telefono e lo appoggia sul tavolo di ferro. Il sole è abbastanza alto e illumina il gazebo, ma fa ancora molto freddo. Si guarda attorno. Dario è rimasto a letto, lei è scivolata fuori dalle lenzuola alle prime luci. Non riesce più a dormire, non da quando lo sconosciuto le ha lanciato la sfida ai primi dell’anno. È rimasto in silenzio per tre mesi, ma adesso si ricomincia. Stringe i pugni, ma si dice che è solo per il freddo, per riattivare la circolazione.

Chiama il Comando e le risponde il piantone.

«Sono Porcu, passami Petrucci.»

«Oggi non c’è, è malato.»

«Intanto passami Lin-Bo, poi lo chiamo a casa.»

«Ti sento un po’ agitata. È successo qualcosa?»

«Come al solito. A me capitano solo morti ammazzati e matti da catturare. Sbrigati.»

Lin-Bo risponde subito. Maura lo sa che nutre nei suoi confronti una passione mal repressa, ma sa anche che lui si è messo il cuore in pace, perché non è il suo tipo. Inoltre adesso è sposato, e con un figlio in arrivo.

«Maura, che succede?»

«Sono stata chiamata da quel pazzoide. Ha iniziato a uccidere e mi ha mandato delle foto. Passa tutto quanto alla scientifica, devono intervenire subito. Anche se sarà quasi impossibile risalire a quel

11

cellulare, che analizzino tutto. Gli IP che ha utilizzato, le persone a cui ha clonato la scheda telefonica, e da dove ha chiamato. Dobbiamo tracciarlo, individuare almeno la zona. Per quanto riguarda la ragazza e l’albergo dove l’ha ammazzata, prendete contatto con la polizia italiana. Tanto agirà sempre fuori dai nostri confini, ne sono quasi sicura. Quando avremo qualcosa, usciremo sulla stampa e sui social. Dobbiamo fare terra bruciata attorno a quello stronzo. Chiunque deve conoscere la sua faccia e il suo nome.»

«Ma hai già degli elementi?»

«Ne dovremo disporre, prima o poi. Qualcosa salterà fuori. Intanto avvisiamo le potenziali vittime. Dovrà cambiare metodo e quello lo esporrà al rischio di commettere un errore.»

Alcuni istanti di silenzio, poi Lin-Bo chiede: «Stai bene?»

Lei chiude gli occhi un momento, poi fa un profondo respiro prima di rispondere: «Non mi fare queste domande, Kenzo. Non le sopporto. Fammi sapere quando hai novità. Ci vediamo verso mezzogiorno.»

Non lo saluta, non vuole tirarla per le lunghe.

Riguarda le fotografie, le ingrandisce, scorre le immagini con il dito. Sente che quella situazione sarà più torbida del previsto. Richiude l’app della galleria quasi con rabbia.

Si alza a fatica e torna in casa. Chiude il portone alle sue spalle e guarda su, verso la zona notte dove Dario e i suoi figli stanno dormendo.

È domenica, niente scuola, niente catechismo per Arianna e niente messa. Oggi no, se ne staranno a casa. Andrà al Comando subito dopo pranzo.

Si rintana nel piccolo studio al pianterreno. Accende il computer e scarica le fotografie. Grazie allo schermo da trentadue pollici i dettagli sono più nitidi.

Inizia a prendere appunti per fissare le cose principali sulla carta, ma più che altro le serve per scolpirli nella memoria.

Si sofferma sui raccoglitori posti sul ripiano alto della libreria, dove Arianna non dovrebbe arrivarci. Ci sono gli estratti di tutti i casi che ha

12

seguito da quando è entrata in polizia. E di quando ne è uscita. Parma, Bologna e poi San Marino.

Pensa a tutte le vittime e si sofferma su quelle che ha salvato. Non ha mai fatto i conti della proporzione, non le interessano le statistiche. Comunque non dipende da lei, non più di tanto. È la sua assoluzione, la scusa che si dà per tirare avanti.

Scribacchia le poche cose che sa di quel nuovo caso, poi si concentra sulle immagini. Anche ingrandite svelano poco di più. Il solitario mostra trentanove carte sul tavolo, e una in mano alla vittima. Ventisette sono scoperte. Nove spade, otto coppe, sei denari, quattro bastoni. Si chiede perché i bastoni siano così pochi rispetto al resto. Il gioco è semplice, lo s’intuisce dal finale. Si tolgono quattro carte dal mazzo, senza conoscerne il valore. Le altre sono disposte in file da nove, tutte coperte. Si alza la prima delle quattro nascoste e si posiziona al posto che idealmente occupa nella fila, dividendole per seme. Se esce il re, lo si colloca sul fondo della fila e si prende un’altra carta di quelle nascoste. Il gioco va avanti finché terminano le carte da collocare, o fino a che esce l’ultimo re. Tranne che si tratti dell’ultima carta da posizionare, allora si perde.

È alquanto difficile arrivare in fondo, pensa Maura.

Scorre le fotografie, cerca i dettagli, oggetti personali, riflessi. Non c’è niente. Scorge il gancio che sorreggeva lo specchio sopra il tavolo, Solitaire si è preso la briga di toglierlo prima di scattare le fotografie. Sobbalza, le pare di avere intravisto qualcosa spuntare dal margine basso dell’ultima immagine. C’è un lembo di specchio che sbuca da dietro il frigo bar. Una manciata di centimetri. Ingrandisce quella porzione, ma l’immagine sgrana. Serve un programma speciale e lei non ce l’ha.

Magari mostrerà solo la polvere sul pavimento, o addirittura la faccia dell’assassino.

A quel punto, si dice che qualsiasi cosa andrà bene.

13

CAPITOLO 4

«Non si vede un granché di utilizzabile.» Il tecnico della scientifica smorza le aspettative di Maura e di Petrucci.

L’inquadratura mostra la punta della scarpa da tennis dell’assassino, una Nike di colore nero. Il pavimento è rivestito di moquette color cenere, la parete opposta ha una porta, di cui si vede una porzione.

Maura punta il dito. «Là, fammi un ingrandimento. C’è la chiave nella toppa con un grosso batacchio per non perderla. Magari si riesce a leggere qualcosa. È un Hotel vecchio, non hanno ancora installato i badge elettronici» dichiara, analizzando i dettagli della stanza. «Il frigo bar non è inserito dentro al mobile. Lo specchio era appeso attraverso il classico gancio. Roba di trent’anni fa. Pulito ma economico. Diamoci da fare!»

Il tecnico è arrossito come un peperone. Non l’aveva visto. Agisce su filtri e registri, ma ne viene fuori un’immagine poco nitida. Una porzione di numero di stanza, 21 e qualcosa, e una parte del nome, “Tel Re” e qualcos’altro.

«Hotel Re-vattelapesca, stanza dal 210 al 219. Niente città. Abbiamo la tracciatura di dove chiamava?»

Petrucci sembra risvegliarsi da un pensiero cupo.

«Ci stanno lavorando i colleghi italiani. In base alla città dovremmo individuare abbastanza presto l’Hotel.»

Maura annuisce. Si sposta a un computer e inizia a cercare. Hotel Re, Regina, Reno, Renoir, Repubblica, Rebibbia, poi ha un pensiero. Torna sull’Hotel Reno, perché è di Bologna. Come Vortice. Ha un brivido. Compone il numero e attorno a lei si fa silenzio.

«Hotel Reno? Qui è la Questura di Bologna. Avete una stanza occupata da due ragazzi, al secondo piano? Lei è una bella bionda, formosa. Lui è sui trent’anni, capello nero corto, calza delle Nike nere. Sì? Sono in

14

stanza ora? Ah, lui è uscito stamattina presto. Naturalmente ha i documenti, giusto? Sì, lo so che c’è la registrazione online, ma ci occorre la fotocopia dei documenti. Facciamo così: noi fra una mezz’ora mandiamo degli agenti a controllare. Lei non faccia nulla, non ostacoli le indagini. Se l’uomo torna, ci chiami subito. Anche se vede la ragazza uscire. Le lascio il mio cellulare. Sta segnando? Io sono Maura Porcu…»

Gli detta il numero e lo ringrazia.

«Se non avessi visto con i miei occhi, stenterei a credere al racconto! Come hai trovato l’albergo?» Petrucci ha gli occhi spalancati per la sorpresa.

Maura si lascia sfuggire un accenno di sorriso compiaciuto. «Ogni tanto ci vuole un po’ di culo, non trovi? La borchia della chiave poteva riportare solo un nome corto. Re o Reno andava bene. C’erano tanti Hotel Re, ma pochi Reno. Ho optato per quello di Bologna. Penso che immaginiate perché proprio Bologna, non è vero?» Allunga la mano e afferra il giaccone. «Avvisiamo Di Matteo che stiamo arrivando. Ci penserà lui a organizzare il comitato di accoglienza.»

Dopo aver volato a centottanta in autostrada, scortati da una Subaru della Questura di Rimini, impiegando mezz’ora da casello a casello, vengono presi in custodia da due pattuglie locali.

Maura sale con Di Matteo e il Questore competente. Nell’altra auto pare ci sia anche un sostituto procuratore, ma solo per salvare le apparenze.

«Saverio Panucci. Piacere di conoscerla, Maura. Mi dicono che sia tanto brava quanto sfrontata e irriverente» dice l’uomo, porgendo la mano a Maura che la stringe con decisione.

«Probabilmente se aveste smesso di provocarmi, sarei rimasta in forza a Bologna. Vortice l’avremmo preso lo stesso ma ci saremmo risparmiati decine di vittime» fa una pausa in mezzo a un sorriso. «Torniamo al caso. Com’è la situazione all’Hotel?» sfodera la sua migliore faccia di

15

bronzo e resta in attesa. Il Questore incassa e sta zitto. Di Matteo tossicchia, fatica a reprimere una risata.

«La stanza risulta affittata due giorni fa, a nome di un certo Nicola Casati, di Napoli. La ragazza pare sia arrivata solo ieri sera, il gestore non ha preso il suo documento. Si prenderà un mese di sospensione della licenza e una denuncia per mancata registrazione di ospiti. La stanza è stata affittata per tutta la settimana, quindi fino a sabato mattina. Ci sono nostri uomini appostati, dentro e fuori. Sono in borghese, tranquilla. Nel caso tornasse sul posto.»

«Non tornerà, ne stia certo. Ha pagato con carta di credito?»

«Carta ricaricabile. Ha consegnato una carta d’identità vecchio modello. Il gestore dice che sembrava nuova. Che coglione!» il Questore abbozza una risata ma non gli va dietro nessuno.

«Stiamo arrivando. Noi tre scendiamo un po’ prima e proseguiamo a piedi. Gli altri aspetteranno. Niente divise, ancora per un po’, fintanto che non accediamo alla stanza. Poi accadrà quel che deve accadere.»

«Giornalisti, TV, il solito casino» commenta Maura.

«È ciò che vuole quel pazzo, pubblicità, spettacolarizzazione del suo ego. Ecco, basta qui.»

L’autista ferma la macchina appena prima di un incrocio, nel centro di Bologna. Sono a pochi passi da via Zamboni. Le altre auto sono sparite un minuto prima.

Maura sogghigna, Petrucci è rimasto tagliato fuori.

Riceve infatti un suo messaggio: “Che stronzata è questa?”

Lei sorride e digita in fretta una risposta: “Non avete l’abito adatto per il ballo. A più tardi”. Scende e prende a braccetto Di Matteo. «Come sta Laura?» Lo chiede ogni volta.

«Se smette di fumare e di vomitare, fra sei mesi mi farà diventare nonno!» sorride.

«Non mi avevi detto niente, l’ultima volta che ci siamo sentiti!» lo richiama bonariamente la donna.

«Voleva essere sicura» si scusa. Sono ormai in vista dell’albergo, poco più di una facciata anonima. Un palazzo di mattoni rossi a piani sfalsati.

16

Al piano terra svettano saracinesche di garage e laboratori. Non sembra un granché.

«Entriamo» annuncia il Questore. Un agente in borghese li saluta mentre passano, e il Questore lo fulmina con lo sguardo. Maura sorride, niente di nuovo sotto il sole. Entrano e l’atmosfera, da fredda e umida, diventa bollente.

La reception sfoggia un mobile anni ‘40, tutto graffiato. Alle spalle del signore attempato che li guarda sorpreso c’è la scansia delle chiavi. Le borchie sono di cento fogge diverse, ma una manciata è del tipo visto nella foto.

«Si è visto qualcuno salire o scendere?» chiede il Questore all’uomo. «Nessuno, il suo agente lo può confermare.»

«Mi dia la chiave di scorta della camera.» Ma non c’è bisogno di attendere, l’ometto la porge subito. Era pronta da tempo. «Allora andiamo su a controllare. Fate salire la scientifica. Diamo un’occhiata poi passiamo la mano a loro.»

Maura si accoda al gruppo di fronte all’ascensore. Getta uno sguardo alla rampa di scale interna. Ha come un flash e s’incammina seguendo il filo del ricordo.

«Porcu, venga. C’è posto anche per lei» la richiama il Questore. «Sono solo due piani…» Maura ha la testa altrove. Sale scalino dopo scalino come in trance. Quella scala le ricorda tanto quella salita assieme a France’, secoli e secoli prima, pure l’assale un languore allo stomaco. Pietà e rabbia assieme.

Stringe i pugni, respira in modo affannato, facendo dilatare le narici, e infine scatta di corsa su per le scale, come un animale ferito che carica il suo aggressore. Approda ansante al pianerottolo, nell’attimo in cui le porte dell’ascensore si spalancano.

Il Questore la guarda poi passa oltre. Di Matteo si sofferma. «Tutto bene?» si sincera.

«Sì» annuisce, riprendendo il controllo. «Ho avuto per un attimo la sensazione di ritrovarmi nel palazzo dove Vortice mi ha sparato e ha ucciso France’. La scala…»

17

«Tranquilla. Siamo da tutt’altra parte.» Di Matteo la prende per una spalla e la sospinge dolcemente verso il fondo del corridoio. I poliziotti indicano una porta, e un agente ha già la chiave pronta per essere infilata nella toppa. Il classico cartello “Do not disturb” penzola immobile come un impiccato.

«Aspettate!» grida Maura all’improvviso.

Il Questore ha come un gesto di stizza. «Che c’è, ancora?»

«Non mi piace. È un albergo anonimo, nessuno che conosce nessuno. Chi stiamo cercando è un professionista dell’elettronica, non può aver fatto un errore da principiante mandandoci una foto con un dettaglio così importante. Chiamate i cani antiterrorismo.»

Il poliziotto con la chiave in mano fa un passo indietro. Ha sì e no l’età di France’.

“No, questa volta no, non deve accadere. Non ci sarà un altro France’!” pensa la donna.

Maura s’impunta e il Questore deve cedere. Se accadesse qualcosa, sa che perderebbe il posto.

Di Matteo le si avvicina e le sussurra: «Brava, segui il tuo istinto. Fregatene della gerarchia. Quel che deve essere fatto va fatto.»

Panucci sembra aver sentito tutto. Freme, spera che non ci sia niente di strano nella stanza, così potrà lamentarsi con Maura di avergli fatto perdere un’ora.

Si radunano in cima alle scale. Nessuno si può avvicinare al corridoio. Le altre stanze dell’Hotel occupate sono state evacuate. Panucci ridacchia. Cazziatone doppio, sembra auspicare.

Mezz’ora dopo si sente guaire al piano di sotto. Passi di anfibi e unghie sulle scale. Sbuca un bellissimo esemplare di pastore tedesco tenuto al guinzaglio da un poliziotto con casco e giubbotto anti esplosione. Il cane ha solo la sua pelliccia.

«Il cane non ha nessuna protezione?» chiede Maura, stupita. «Non occorre, sa che non può fallire» obietta il poliziotto. Si avvia con l’animale che inizia ad agitarsi. Oltrepassa appena la prima porta poi annusa e si siede.

«È quella sul fondo, la 217!» indica il Questore.

18

«Il cane ha sentito esplosivo qui. Ora vado in fondo.»

Il pastore si ferma ancora una volta, dalla parte opposta. «Quell’animale è uno scemo!» sbotta il Questore.

«Siamo noi degli scemi! Tutti fuori!» Maura afferra Di Matteo e quasi lo getta per le scale, poi corre verso il poliziotto e lo tira indietro, cane compreso. C’è un fuggi fuggi generale. I passi scalpitano per le scale e si ritrovano fuori fra le auto che strombazzano sulla strada. Anche il portiere è uscito con loro. Si tiene il registro delle prenotazioni stretto al petto.

«Quante stanze occupate ci sono al secondo piano?» chiede Maura mentre si passa le dita fra le ciocche scarmigliate.

«Solo la 217. Non c’è tanto movimento in questo periodo. Altre quattro stanze in tutto l’albergo, ma sono al piano inferiore.»

«Chi sono gli occupanti?»

Il portiere controlla il registro. «Come le ho detto al telefono, abbiamo quel Nicola Casati di Napoli. La ragazza, invece, Dalila Canuti di Brescia. Mi ha dato il nome a voce» conclude quasi in un sussurro, come a voler mitigare l’errore di non avere preso anche il suo documento.

«Questo Casati veniva solo per dormire oppure faceva spesso avanti e indietro? Aveva bagagli?» chiede ancora Maura.

«Il primo giorno, no. Ma ieri pomeriggio l’ho visto entrare e uscire parecchie volte. Aveva un borsone e pareva sempre pieno.»

«Ha chiesto delle altre stanze, oppure è parso interessato alle chiavi?»

L’uomo scuote la testa. «No, niente di tutto questo. Però dopo la mezzanotte io chiudo il portone e vado in uno stanzino dietro la reception. Non escludo che qualcuno possa scendere e prendere le chiavi di altre stanze, se non fa rumore. Ma deve stare molto attento, io dormo con la porta aperta!»

Panucci tira Maura per un braccio. «Senta, sta arrivando un camion dei pompieri per guardare attraverso le finestre. Spero per lei e per il cane che ci sia davvero qualcosa di esplosivo da scoprire!»

«Io ho avuto un dubbio e il cane l’ha confermato» replica con durezza, fulminandolo con lo sguardo. «Se non crede a me, deve credere a lui,

19

che non ha interessi in questa faccenda! Su c’è una ragazza morta e un intero piano minato.»

Il lamento della sirena in avvicinamento li interrompe.

«Fate sgombrare la strada e il vicolo dietro l’albergo. Potrebbe esserci un bel botto!» suggerisce la donna.

Maura fa spostare Di Matteo dietro a un furgone. Hanno giusto la visuale del piano e sono protetti da eventuali detriti.

«Contro chi stiamo combattendo, Maura?» chiede l’anziano poliziotto.

Maura fa un profondo sospiro. «Non vorrei dirlo, ma temo che si tratti dei fantasmi del passato.»

«Ancora Vortice?»

«Non fisicamente lui, ovvio, ma qualcuno della sua banda. Ogni tanto ne salta fuori uno. Sono come i topi, si riproducono molto in fretta. Oppure qualcuno che vuole emularlo.»

Osservano in silenzio la lunga scala che viene allungata. Sulla cima si è appollaiato un uomo del nucleo artificieri, sembra un babbo natale vestito di nero, un Darth Fener pronto a usare la forza contro il C4 o la dinamite.

Il poliziotto in cima alla scala fa un gesto con la mano, e il movimento si ferma. Si appoggia al vetro e osserva. Fa cenno di ritirare la scala. Si forma un capannello attorno al camion dei pompieri.

L’uomo scende e si toglie il casco. «C’è un panetto di C4 attaccato alla serratura. Mi pare di vedere anche un’antenna. O serve per farla esplodere a comando, oppure per sincronizzare le esplosioni in caso di forzatura di una singola porta. Nessuno scampo per chi sta nel corridoio.»

«Come si può procedere col disinnesco?» Il Questore è impaziente. Non ha voglia di vedere mezza Bologna saltare per aria.

«Occorre forzare la finestra e togliere il meccanismo di armo del congegno. Non è facile, poco ortodosso ma è il mio mestiere. Mandate via tutti. Dobbiamo controllare ogni stanza. Ci vorranno ore.»

La scala si porta via l’artificiere e Di Matteo strattona Maura per un braccio. Il Questore li segue a poca distanza. Puntano un bar abbastanza

20

lontano. Quanto basta per essere al riparo in caso di disastri. Quanto basta al Questore per capire qualcosa di più di quella donna e del loro avversario.

21

CAPITOLO 5

«Ho sempre avuto paura delle esplosioni, da quando mio padre perse la vista per i fuochi d’artificio di fine anno. Avevo cinque anni, e l’ho visto volare via in una nuvola di fuoco e fiamme.» Il Questore si abbandona, in modo del tutto inaspettato, a una confidenza molto personale. «Per questo evito di stare nei pressi di un disinnesco. Ho paura per loro, anche se finora è sempre andato tutto bene. Ma un giorno o l’altro accadrà, e io non avrò occhi per stare a guardare un’altra vittima della stupidità umana…»

Maura resta colpita dal racconto. Tende l’orecchio, finora niente esplosioni. Sorride, forse non sarà oggi.

«Quei ragazzi sono dei professionisti. Non la deluderanno» prova a dire.

«Non è di loro che non mi fido, ma di quei pazzi che seminano congegni a cascata. Ne becchi cento e l’ultimo ti fotte.» Tracanna il cognac che si è fatto portare, mentre Di Matteo sorseggia un innocuo caffè e Maura una Coca light.

Passa mezz’ora, poi un’ora.

«Io non credo alla legge di Murphy. Vado a vedere.» Maura si alza dal tavolo e lascia il bar. Giunta nei pressi, il cordone di poliziotti la blocca.

«Ancora non si può passare» le dice un agente. «Su dicono che mancano ancora due congegni, poi dovranno bonificare. Altre due ore almeno.»

Maura annuisce, inutile insistere. Non ci tiene a farsi saltare le chiappe, ma non c’è tempo per poltrire.

«Ho bisogno del furgone di supporto e di un accesso a internet» chiede al poliziotto.

L’uomo le indica un punto imprecisato sul fondo del vicolo. Lei si avvia e lo scorge quasi incastrato fra le auto parcheggiate.

22

«Sono Maura Porcu, mi serve un accesso a internet» dice, senza specificare il grado, il suo incarico nell’indagine o se lavora per la Procura o per un altro Stato. Le basta fare il suo nome e un poliziotto le cede il posto a una consolle. La donna lo ringrazia e si mette alla ricerca di fotografie e profili sui social del ragazzo che ha preso la stanza all’Hotel Reno. Non serve controllare gli schedari della polizia, se avesse avuto dei precedenti sarebbe stato segnalato, mentre il Questore nemmeno ha idea chi sia. Si chiede che fine abbia fatto il sostituto procuratore, ma con il suo capo in giro, se ne starà buono ad attendere il proprio turno.

“Nicola Casati, di Napoli. Vediamo cosa salta fuori…”. Trova vari profili Facebook, Instagram, LinkedIn, ma è quello di Facebook a incuriosirla. È scarno, quasi un abbozzo. Due fotografie in tutto, una manciata di amici che fra di loro non si conoscono, due mi piace e alcuni post sui cani. Gli altri profili a nome del ragazzo sembrano più vissuti e completi. Il curriculum su LinkedIn lo indica di ventotto anni, agronomo, con la passione per le passeggiate in montagna e il windsurf. Niente di questo appare sul profilo Facebook.

“È un profilo falso! Ha preso foto e dati di altri per creare un account e adescare le ragazze. Però ha anche una carta d’identità e una carta di credito a suo nome. Un pirata informatico a tutto tondo” riflette. Continua le ricerche. Il profilo Facebook è stato creato una quindicina di giorni prima. La ragazza che era con lui in albergo è fra le sue amicizie virtuali. Sposta allora le ricerche su di lei. Ha solo il profilo Facebook, da quattro anni. Decine di fotografie, sue e del suo cane. Se lo porta anche in vacanza. Niente fidanzati o genitori. Vive sola, e sola è andata incontro al suo destino. Non ha messo dei mi piace a post strani o ai rari interventi di Nicola Casati, tranne una sola volta. Prende nota anche delle altre amicizie femminili. Stampa quel che serve per fissare l’esito dei suoi controlli. Pilucca ancora un po’ sul web, poi una voce la richiama dalla porta scorrevole.

«Ci siamo, gli artificieri hanno dato il via libera!»

Maura si scuote, è passato tanto tempo e lei ne sa poco di più di prima. Sa che il vero Nicola Casati non ha un profilo Facebook perché non gli

23

serve. Sa che il suo alter ego con la passione per gli esplosivi e i giochi di carte ha una faccia che gli somiglia. Sa che su troveranno una ragazza morta asfissiata, e non per un gioco erotico finito male.

Si avvia a passo svelto e raggiunge la strada nel momento in cui sbucano anche Di Matteo e il Questore. Al di là delle transenne iniziano ad aumentare le telecamere delle testate locali e nazionali.

“Un bel bordello, e adesso caro Nicola Casati dei miei stivali, anche tu sai che qualcosa è andato storto. Se solo hai sputato sul pavimento o toccato la maniglia dello sciacquone, avremo il tuo DNA per un confronto con le banche dati della polizia o per incastrarti a tempo debito. Sei pronto? Sto arrivando!”.

Maura sorride a quei pensieri. Sale di nuovo le scale interne e arriva al piano prima dell’ascensore. Attende il Questore e gli cede il passo. Di Matteo approva con lo sguardo. Ogni tanto occorre salvare le apparenze.

Si affacciano dalla porta. Dentro ci sono gli esperti della scientifica, e non è il caso di pestarsi i piedi.

A Maura basta un’occhiata. «Non è la stanza delle fotografie!» dichiara.

Il Questore le piazza addosso il suo sguardo gelido. «Ne è sicura?»

«Lo specchio è diverso ed è ancora al suo posto» indica lo specchio alla parete. «La porta della stanza è bianca, mentre nella fotografia era color noce chiaro. Quella ragazza è senz’altro Dalila Canuti, come ha detto il portiere, ma quella della foto dovrebbe essere Francesca Lo Giudice, ventidue anni, di Napoli. Questa è morta da circa quarantotto ore. Non c’è più condensa sul sacchetto che ha sulla faccia. L’altra è morta stanotte, chissà dove. Ci ha presi in giro con la foto taroccata con il portachiavi, buttandoci dietro a una lepre esplosiva, mentre lui si sta defilando dall’altro delitto senza alcun problema.» Punta il dito su una delle fotografie delle amicizie di Casati su Facebook, le sembra di avere riconosciuto la ragazza per l’altra vittima. Si allontana, diretta nuovamente al furgone della polizia. Adesso sì che ha bisogno dei database degli inquirenti.

Francesca Lo Giudice, dove hai preso alloggio, ieri?

Dita frenetiche interrogano le segnalazioni degli albergatori.

24

CAPITOLO 6

Mentre è concentrata a fare ricerche, il cellulare squilla e un brivido le percorre la schiena: sa che è lui. Maura guarda lo schermo dello smartphone a lungo, poi accetta la chiamata. «Pronto?»

«E così adesso brancoli nel buio, non è vero?»

Non risponde subito alla provocazione di Solitaire.

«Avresti preferito vedermi saltare in aria? Che bastardo!»

«Mi avresti molto deluso, Maura. Ma come vedi, ho avuto ragione.»

«E se quel poveretto del portiere avesse affittato una camera a quel piano?»

«Sai quante volte è capitato in questo periodo? Zero. Ho verificato i dati statistici degli ultimi cinque anni. È un periodo morto. Comunque, hai ragione: sarebbe stato un bel botto.»

«Quante ne hai già uccise?»

Solitaire ride. La sua voce metallica gracchia nel microfono.

«Sempre meno di te. Vedi di darti da fare. Ti ho lasciato degli indizi e tu perdi tempo a intervistarmi. Sbrigati, sto già mescolando le carte!»

«Chi è Nicola Casati, per te?» butta là, tanto per vedere la reazione.

«Un bel ragazzo. Ha la faccia pulita, si presenta bene. Dio, quant’è facile far girare la testa a una ragazza, ci crederesti? Bastano due moine, una cena speciale e te le ritrovi a giocare al dottore in camera da letto. Siete deboli, romantiche, sciocche.»

«Forse sei tu a essere malato?»

«La malattia è una diagnosi che sputano gli altri. Nel mio mondo la malattia non esiste, come non esistono leggi né regole. Si è leoni o gazzelle. A me piace cacciare, ma anche giocare. Ti devo lasciare, adesso. Ho una nuova ragazza che muore dalla voglia di incontrarmi e

25

di accettare la mia punizione! Ricordati di Sodoma e Gomorra, quella del 1700.»

«Smettila, lasciala stare!» gli urla, ma Solitaire ha già chiuso la telefonata.

Maura guarda con frustrazione lo schermo nero del cellulare. Detesta sentirsi così messa all’angolo. Osserva i poliziotti che riempiono il camion del comando mobile. Uno alza la mano.

«È qui a Bologna» dice. «Abbiamo triangolato le celle in base all’origine della telefonata. È in una zona fra la stazione ferroviaria, San Donato e il quartiere Bolognina.»

Maura lo gela con lo sguardo. «Fantastico. Direi di chiamare dei B52 e martellare la zona fino a ridurla in cenere! Dobbiamo fare meglio. Ci occorre un grado di dettaglio maggiore. Tracciate quel cellulare. Se si sposta, occorre seguirlo. Ha detto che porterà una nuova ragazza a cena, poi cercherà un albergo. Forza! Diamoci da fare.»

Il poliziotto scuote la testa. «Ha spento il cellulare. L’avrà buttato.»

«Tracciate tutti i cellulari con schede attivate in questi giorni. Ha bisogno senz’altro di uno nuovo.»

Maura lascia il furgone e corre verso l’albergo. Spera che la scientifica abbia finito. Se davvero c’è un indizio per proseguire le indagini, meglio trovarlo subito.

26

CAPITOLO 7

Maura resta sola nella squallida stanza. Sola con il cadavere. La polizia scientifica ha finito i rilievi e si è lasciata dietro striature di polvere per la rilevazione delle impronte. Su alcune c’è del nastro a proteggerle in attesa di rimuovere una maniglia, una modanatura, un mobile.

La vittima è nuda. Siede a gambe incrociate sulla poltroncina, la testa reclinata in avanti. Ha una mano ancora sul tavolino, un re di denari fra le dita. L’altra mano la tiene posata fra le cosce, quasi a proteggersi il pube glabro. Ha gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta. Le cola un filo di bava spumosa. I muscoli sono distesi, i capelli curati.

“Nessuna costrizione”.

Maura pensa a una droga, ma poco si concilia alla velocità d’azione. Esce l’ultimo re e la donna si lascia mettere il cappuccio sulla testa e muore.

“Era già morta”.

Si piega un attimo a osservare gli occhi e scorge una lacrima rappresa che si nota appena attraverso la velatura del sacchetto.

“Un sonnifero”.

Si solleva e guarda il letto. Tracce di un corpo posato di lato, abiti sparsi, di certo spostati dai poliziotti.

“Sonnifero… Sonnifero… Sonnifero…”.

Maura continua a rimuginare fra sé. Indossa dei guanti di lattice e apre il piccolo frigobar. Le solite cose. Un quartino di prosecco, mignon di liquori di vario genere, merendine, biscotti e semi tostati di varia natura.

“Niente acqua”. Controlla nel contenitore dell’immondizia ma non c’è nulla, solo la velina di plastica che conteneva dei bicchieri.

27

“Prepara l’acqua drogata, la serve e lei si addormenta. Lui inscena il solitario, poi la prepara con il sacchetto già in testa. La mette in posa post mortem”.

Solleva le braccia alla ragazza e nota delle leggere ecchimosi sotto le ascelle.

“L’ha trascinata prendendola dalle braccia, dal letto alla poltrona”. Ha intuito il modus operandi in cinque minuti.

“Dove sta la sfida, maledetto?”.

Ci deve essere dell’altro, e allora si mette a cercarlo. Mette a soqquadro la stanza, sposta i mobili, ispeziona lo sciacquone del water, toglie gli specchi. Annota anche la sequenza dei semi delle carte disposte in file sul tavolino.

“Bastoni, coppe, spade e denari”.

Il re di denari è fra le dita della ragazza. Restano ancora tredici carte da scoprire. Tre spade, tre coppe, cinque denari e due bastoni quelle scoperte.

“Ancora i bastoni sono in minoranza. Vuole dire qualcosa?”. Annota tutto quanto, poi scatta decine di fotografie con il cellulare. Ogni particolare della camera, del bagno, dell’ingresso e della disposizione delle carte.

“Le ragazze non partecipano al gioco. È tutta una messinscena”. Sospira e lascia la stanza. Fuori c’è tutto un codazzo di poliziotti e portantini della camera mortuaria, giunti a portarsi via il corpo.

«Che ne pensi?» Di Matteo brucia sul tempo il Questore che, dal canto suo, sembra non fare una piega. Prima si risolve questo macello e meglio sarà per lui.

«I comportamenti sembrano uguali a quelli dell’altro delitto. Abborda una ragazza, se la porta in albergo, forse ci scopa e poi le offre da bere. Lui ha già preparato una bevanda drogata. Lei si addormenta e lui la soffoca con il sacchetto. La posiziona sulla sedia e inscena il gioco del solitario. Dispone le carte in modo che la successione s’interrompa.»

«Lo fa apposta!» interviene Panucci.

«Lo fa per dare la colpa alla ragazza e al destino. Per pulirsi la coscienza, almeno in apparenza. Poi fa sparire le prove. Bottiglie,

28

bicchieri, preservativo, impronte. Se siamo fortunati, troveremo dei peli. Che controllino con cura.»

«E se le cose non stessero così?» azzarda il Questore. Attorno, il brusìo cade di colpo. Nessuno se la sentirebbe di mettere in dubbio il pensiero di Maura, nessuno che la conosca.

La donna non fa una piega. «Questa è solo la mia valutazione. Le analisi daranno invece riscontri oggettivi. Suggerisco di aumentare gli analisti della polizia postale. Occorre cercare profili sui social con la faccia di quel Casati. Il nostro uomo non si fermerà di certo. Bisogna anche assegnare altri uomini alle intercettazioni telefoniche per tracciare i cellulari con caratteristiche anomale. Poco traffico e limitato a pochi giorni. Così come i profili social. Scarse informazioni personali e poca partecipazione generale alle chat delle varie comunità.»

«Non abbiamo mille uomini!» sbotta il Questore.

«Ne bastano dieci, tutte donne!» risponde piccata Maura.

Lascia l’albergo, pregando che la ragazza del primo omicidio venga trovata presto. Servono altri elementi, altri indizi. Giochicchia con il cellulare, che dopo qualche minuto inizia a vibrare.

S’irrigidisce e lancia un’occhiata significativa a Di Matteo.

L’uomo capisce al volo e la lascia allontanare. La caccia continua.

29

CAPITOLO 8

Il tempo minaccia al peggio. Il vento spira obliquo e costringe il drappello di poliziotti a procedere piegati di lato per contrastare le raffiche. Il sentiero impervio ogni tanto miete una vittima, e già si conta una manciata di agenti con qualche slogatura alla caviglia.

Petrucci è in prima fila, ma solo perché quattro prima di lui si sono fermati lungo il sentiero. Seguono Panucci e una ventina di altri poliziotti, fra cui quattro del comando di Novafeltria, competente sul territorio. Pare che debba arrivare a breve anche il Questore di Rimini. Più distaccati, Maura, Lin-Bo e Di Matteo. L’anziano poliziotto ha insistito per andare, nonostante l’età. Se la cava abbastanza bene. L’importante è partecipare, dice, che i giovani ci precedano a preparare la strada.

«Che dobbiamo aspettarci?» chiede dopo l’ennesima pausa.

«Stessa scena. Su, fra i ruderi del castello di Maiolo, ci sarà una stanza, basta una tettoria. Avrà predisposto un tavolo, una sedia e un mazzo di carte. Magari c’è pure un sacco a pelo dove ha passato la notte. Ci porta la ragazza, la droga e la soffoca. Dispone le carte e va via. Nulla di diverso» spiega Maura, scrollando le spalle.

«Lui però non ti ha detto queste cose durante la telefonata di ieri sera» precisa Di Matteo.

«Ovviamente no. Sono bastati pochi indizi per metterci sull’avviso.

Anna è stata molto utile, come al solito.»

«Già. Ricordati di Sodoma e Gomorra del 1700. E chi poteva risolverla, se non Anna?» interviene Lin-Bo.

«Cos’è questa storia? Non me l’hanno spiegata bene, in Questura» fa Di Matteo, approfittando della pausa.

30

«Pare che in questo luogo, una notte del maggio 1700, avvenne una rovinosa frana, causata da giorni di pioggia intensa, che travolse l’intero abitato, uccidendo quasi tutta la popolazione.»

Di Matteo guarda Lin-Bo, senza capire.

«E allora? Cosa c’entra il richiamo a Sodoma e Gomorra?»

Il poliziotto non fa una piega. Maura se la ride.

«La tradizione popolare indica che si trattò di una punizione divina, per certe pratiche libertine in uso al paese. Insomma… erano dediti a praticare orge…»

«Quindi, il nostro uomo conosce questa leggenda» commenta Di Matteo, rimettendosi in cammino.

«Il nostro uomo conosce tante cose» replica Maura, rapita nei suoi pensieri.

Intanto la rocca si avvicina, o perlomeno quel che ne rimane. Tutti fissano quella lama di roccia battuta dal vento, ornata di una stretta cerchia di mura poderose, abbandonate da secoli. La bianca pietra riluce come una corona, svettante sul declivio ricoperto da erbe e arbusti che crescono stentati.

Arrivano a un’abitazione disabitata e notano che già dei poliziotti hanno aperto il portone d’ingresso, tramite le chiavi messe a disposizione dai proprietari. Uno di loro scuote la testa: non è là dentro che troveranno la ragazza.

Maura alza la testa verso la piccola montagna. Sarà una faticaccia. Guarda Di Matteo, che è crollato sul gradino d’ingresso.

«Non contate su di me» esordisce l’uomo. «Io mi fermo qui. E se per il ritorno è possibile fare arrivare un fuoristrada, un elicottero o anche un’astronave aliena, ancora meglio.»

Maura stringe le labbra. Nessuno aveva detto che sarebbe stata così dura. Lin-Bo la incalza: «Saliamo?»

La donna sbuffa. Suona come una sfida.

«Tanta fretta di andare incontro alla morte?»

«Prima andiamo a vedere, prima si torna a casa. Arrivare fin qui, al confronto, è stata una passeggiata.»

31

Maura conviene. C’è appena un sentiero per capre abbozzato fra i falaschi e la boscaglia. Il vento prova a buttarli a terra non appena iniziano la salita. Sbatte in faccia polvere ed erba secca.

I poliziotti li seguono in fila indiana. Armi alla mano. Occhi vigili. Non si sa mai.

«Anna è sicura del fatto suo, vero?» Lin-Bo si ferma per un attimo, colto da dubbio.

«Lo sapremo presto. Spicciamoci.»

Il sentiero procede a zig-zag, seguendo l’orografia del luogo. Talvolta li avvicina alla sommità, talvolta li allontana.

È come per la verità, lontani ma vicini…

Lasciano la boscaglia e a metà costa i due si fermano per rifiatare. Gli altri sono rimasti indietro. S’intravede una parte di muraglione che sembra sventrato.

«Lì, che è successo?» chiede Maura all’amico, che sembra sapere tutto sul luogo.

«Leggendo qualcosa sui siti locali, si cita lo scoppio della polveriera avvenuto qualche decennio prima della frana. Un altro avvertimento divino non ascoltato.» Lin-Bo la fissa con quegli occhietti da miope, ma Maura è concentrata su qualcos’altro.

«Guarda quella bottiglietta. Non ti sembra fin troppo nuova, per questo luogo?» Si avvicina, cauta. È incastrata dentro al ceppo di una ginestra, forse sbalzata dal vento. La donna calza un guanto di lattice e la prende. La osserva per qualche istante poi chiama il primo dei poliziotti che guida la fila della risalita.

«Questa, subito in laboratorio» ordina, senza staccare lo sguardo dalla bottiglietta. «Per le impronte, contaminanti dell’acqua e tracce biologiche.»

«Ha qualche indizio?» si accerta quello, dubbioso. Per tutta risposta Maura indica un piccolo bubbone posto appena sotto alla ghiera cui si avvita il tappo.

«Qualcuno ha praticato un foro e poi l’ha richiuso con della colla. Troviamo il barbiturico usato e avremo un’informazione in più su quel tipo.»

32

Il poliziotto estrae un sacchetto dalla tasca della mimetica e attende che Maura vi lasci cadere la bottiglia, poi lo sigilla. «Seguirò personalmente le analisi, stia tranquilla.»

Maura lo ringrazia con un sorriso da sciogliere un blocco di ghiaccio. Riprende la salita senza aggiungere altro. Il tempo stringe, minaccia pioggia.

Il sentiero li conduce alla torretta di sinistra. Sembra gettarsi nel vuoto. Infatti, Maura si affaccia e sbianca. Sotto di lei ci saranno duecento metri di burrone, e la paura mista alla sensazione di risucchio è molto forte, molto più forte di quella che ha percepito a San Marino, quando era sulle tracce di Vortice sui sentieri della rupe.

«Vieni, da questa parte!» Lin-Bo la richiama poco più su. C’è un varco fra la torre e della vegetazione, che nel tempo ha occupato la stretta stradina di accesso al castello.

Divorano i pochi metri che li porta all’interno, poco più della schiena di un cane spelacchiato. Armi alla mano iniziano a perlustrare. Tutto è diroccato. La torre di sinistra è del tutto vuota, quella opposta addirittura transennata per evitare di cadervi dentro. La sommità è larga dieci metri o poco più. Il sentiero gira attorno ai pochi alberi che sono cresciuti, una transenna richiama attenzione all’orrido che si apre poco oltre.

Maura avverte un capogiro. Per il vento, per la paura del vuoto che la coglie, per la tensione della ricerca di un cadavere, per una sfida che teme di non riuscire a controllare.

Stringe i pugni, e non è solo per la rabbia, ma anche per fare pompare meglio il suo cuore e pensare più in fretta.

«Qui non c’è nulla!» si lamenta un poliziotto.

«È qui» insiste la donna.

«Non può essere che qui!» conferma Lin-Bo. Altri poliziotti sono sopraggiunti e passano e ripassano gli stessi luoghi, cancellando eventuali impronte e indizi al pari di una mandria di bisonti.

Un rumore sembra lacerare l’aria, come un sibilo, una vibrazione che segue i capricci del vento. Maura lo segue, con le orecchie puntate. Scorge una bottiglietta infilata a testa in giù su un ramo spezzato. È di

33

una marca diversa dalla precedente e non nota il foro richiuso dell’altra. A giudicare dall’aspetto, sembra essere lì dallo stesso tempo.

Stavolta non c’è bisogno di dare indicazioni, il poliziotto di prima la preleva e la immette in un altro sacchetto.

Maura si guarda attorno. Sono giunti al margine estremo del castello, opposto all’ingresso. Non resta che fare ancora qualche passo per poi spiccare il volo gettandosi dal muraglione.

Si addossa con cautela alle antiche pietre e guarda di sotto. Scorge la casa e Di Matteo che guarda in alto. Lo saluta, ma non è certa che la possa vedere. Il vento le riempie la bocca e gli occhi di polvere.

«Ma a chi salterebbe in mente di portare qui una ragazza, per poi ammazzarla?» sbotta il poliziotto.

Maura lo fissa e quasi lui arrossisce per la minchiata che capisce di avere detto. Poi si accorge che la donna non sembra proprio guardare lui, ma oltre la sua spalla.

«Lì, c’è qualcosa!» urla Lin-Bo all’improvviso.

Cespugli odorosi e spinosi ricoprono i lembi di un muretto. Nulla di che, in apparenza.

Avvicinandosi e scostando la cortina vegetale, emerge un ultimo rudere, una piccola rientranza rivestita di pietra.

Il fetore che ne fuoriesce è più illuminante di un’insegna al neon.

Ricerca finita.

34
169 CAPITOLO 38..........................................................................138 CAPITOLO 39..........................................................................141 CAPITOLO 40..........................................................................143 CAPITOLO 41..........................................................................146 CAPITOLO 42..........................................................................149 CAPITOLO 43..........................................................................156 CAPITOLO 44..........................................................................160 CAPITOLO 45..........................................................................162 NOTA DELL’AUTORE E RINGRAZIAMENTI ...................................165 AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI..................................171
170

AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI

La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio

”1 Romanzo x 1.000”

per tutti i generi, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2023)

www.0111edizioni.com

Ai primi 3 classificati verrà assegnato un premio in denaro pari a un totale di 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.

171
172
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.