Sette occhi, Enzo Ciruolo

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ENZO CIRUOLO

SETTE OCCHI

ZeroUnoUndici Edizioni


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SETTE OCCHI Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-467-0 Copertina: immagine di William T. Ayton Prima edizione Maggio 2021


Alla mia famiglia: Sofia, Massimo e Davide



«La verità non è in un solo sogno, ma in molti sogni». «Che notte, Dio non ne ha create di uguali, il suo inizio fu amaro, ma com’è dolce la sua fine».



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Poteva

vedere se stesso, come un guscio vuoto. Un pezzo di carne arenato a terra. Nel buio pece, buio denso e granuloso, i suoni erano ovattati, i sensi alterati. Completamente avvolto da quella coltre asfissiante, non poteva fare altro che concentrarsi sul dolore. Il dolore, pulsante, si era diffuso in tutto il corpo. E nonostante tutto, egli era interessato a conoscerne l’origine. Sondare i tessuti, le ossa, i nervi, la carne. Era come se ogni singola parte del suo corpo fosse rotta, spezzata, tumefatta. Come se fosse morto. Per quanto fosse insensato e inspiegabile, non riusciva ad accostarsi ad altri stati dell’esistenza che potessero descrivere la sua condizione attuale. Forse perché, in verità, si trattava di non-esistenza. Il dolore lo estraniava, gli impediva di ragionare lucidamente. E al tempo stesso, paradossalmente, stava iniziando a provocargli una certa sonnolenza. Un dolce torpore, sempre più irresistibile. Aveva acquisito la capacità di vedersi in terza persona, come se la sua anima avesse abbandonato il corpo. Come se vivesse in un sogno. Tutto intorno a lui si muoveva con estrema lentezza. La realtà aveva assunto fattezze surreali, oniriche. I muri avevano iniziato a muoversi, danzavano una musica a lui sorda, mostrando grottesche bocche in movimento. Stavano cercando di dirgli qualcosa, qualcosa di importante. Si ricordò che nell’oscurità non si è mai da soli. Magre e ossute figure dai lunghi arti stavano vorticando intorno a lui, forse per schernirlo, forse per proteggerlo. Ma si trattava realmente di più


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figure, intrecciate fra loro in quella danza disgustosa? O forse in realtà stava affrontando una sola entità, le cui membra protese disordinatamente nella stanza agivano come se avessero volontà propria? Aprì gli occhi. Lentamente, gli altri sensi prima intorpiditi si risvegliarono dal lungo letargo. L'olfatto, il tatto, l'udito. Tutto riprese a funzionare. Il buio della sala grondava di un puzzo infernale. Discarica di materia organica, collettivo di mosche e decomposizione. La carne e il legno, il sangue e la ruggine. Solo e solamente in quell'istante egli comprese la pluralità del dolore. Realizzò che il dolore non è solamente un superficiale segnale d’allarme del corpo, ma un vasto spettro composito, un’intricata gamma costituita da migliaia di colori, di stati, di variabili. Era solo nel buio, in apnea in un oscuro nulla. Nonostante questo, apprese tantissime cose. Capì, scoprì, esplorò e ricordò, comprese il significato di quei disegni che prima ignorava, diede forma e nomi alle costellazioni di dettagli, prima così insignificanti, ora luminosi come astri. L’ultima e più dolorosa scoperta fu la consapevolezza che quel buio, prima o poi, sarebbe finito. E le fiamme avrebbero arso la sua carne. I polsi scorticati, la fastidiosa sensazione del sangue incrostato sulla pelle, negli occhi. Le costanti, interminabili pulsazioni derivanti dai traumi e dalle contusioni su tutto il corpo. Ma in verità, nulla gli provocava più dolore di ciò che aveva visto quel giorno. Nulla lo feriva più di ciò che aveva scoperto. E di ciò che provocò quella scoperta.


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I

«Le ragioni per cui l'uomo teme il buio hanno origini primordiali. La realtà materiale che ci circonda acquisisce forma e concretezza solo se illuminata dalla luce. La luce benedice la realtà e la rende visibile, e perciò comprensibile. Ciò che si può comprendere non può più nuocere, perché prevedibile. La luce plasma la struttura intrinseca della realtà e la benedice di sicurezza e prevedibilità. Per questo l'uomo teme il buio. L'imprevedibilità, l'ignoranza e l'incapacità di prevedere generano la paura. Ciò che non si vede può nuocerci, senza la possibilità di difenderci. Ne deriva un senso di impotenza, umiliazione e frustrazione. Ed è solo in quel frangente, in quell'irripetibile istante, che l'essere umano vive l'epifania di ciò che era e che aveva dimenticato di essere. Un animale. Una bestia. Non importa quanti secoli passeranno, quante conoscenze accumuleremo e a cosa ci porteranno; in verità io vi dico: il nostro mondo muterà costantemente e sempre di più, arrivando a somigliare a un’eterea scatola di nullafacenza, in cui tutto è completamente automatizzato; l'uomo si diletterà nel giocare a fare Dio, cercando di distillare la prima Genesi artificiale in provette. Ma in verità io vi dico: mai e poi mai, mai, mai, mai l’uomo potrà dimenticare la sua natura di animale. Mai le sue cellule perderanno la memoria genetica dell’istinto di sopravvivere, del desiderio di conservarsi e preservarsi, della paura del buio.


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E non importa quanta luce saremo in grado di generare con le nostre macchine! A nulla serviranno tutte le lampade perpetue di cui l'uomo si servirà per cingere Gaia con il nobile obiettivo di cancellare male nel mondo. Si tratta solo di deliri di onnipotenza. Noi non smetteremo mai, mai, mai di avere paura del buio. Mai». Esdras aveva sentito quelle parole circa un’infinità di volte. Non avrebbe mai potuto dimenticare il suo primo impatto con quella retorica così assoluta e pura, avvenuto ormai tanti anni prima. Era solo un novizio, desideroso di sapere tutto. E se non tutto, di certo il più possibile. Cercava di assimilare ogni cosa, con gli occhi e con le orecchie. A quell'epoca era convinto che persino un colpo di tosse di uno dei suoi Maestri gli sarebbe stato utile, in qualche modo. Il motivo del suo accanimento era piuttosto ingenuo, ma di questo si accorse solo dopo qualche anno. Egli cercava di rispondere a tutte quelle domande che lo tormentavano da quando era un bambino. Le domande più semplici, che ogni giovane si pone nella sua ingenuità e semplicità e, allo stesso tempo, i veri buchi neri dell'intricata tessitura che è la trama e l’ordito della storia dell'uomo. “Qual è il senso della vita umana? Qual è la causa delle tribolazioni della carne? E qual è il fine? Perché l'uomo è biologicamente egoista? Perché l’istinto di sopravvivenza è una pulsione naturale, e la carità è invece frutto del massimo allenamento dello spirito?” «Secondo i Sacri Testi, l’anima umana nasce prima del corpo e abbandona la Camera del Guf in una condizione di “equilibrio”: la sua sostanza è chimicamente costituita in eguale misura di luce e ombra. Ripetono fino allo sfinimento che dipende tutto da noi. Siamo noi a decidere che percorso scegliere, a quale punto del bivio svoltare. Ma allo stesso tempo, è comunque tutto un piano


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del Padre. Le nostre gioie sono suo Dono, i nostri dolori solo colpa della nostra imperfezione. Il Padre ci ha concesso di sbagliare per essere liberi. Ma se sbagliare significa soffrire, perché permettercelo? La vita umana si costruisce su successi e fallimenti. Noi siamo benedetti dal Padre nei primi, ma unici artefici di solo questi ultimi. E tutto questo è già stato previsto da Lui, all’inizio di tutto. Le nostre tribolazioni fanno parte di ciò che in realtà è considerabile “la via migliore possibile”. Di tutte le vie percorribili possibili, nessuna è priva di dolore. Il Padre ci permette di imboccare quella meno dolorosa. Ma se soffriamo è solo per causa della nostra possibilità di scegliere. Del nostro libero arbitrio. Per questo i fedeli del Concistorio si affidano al Padre. Dandogli la nostra vita nelle sue mani, siamo sicuri di stare percorrendo la strada più giusta, lontani dalla pericolosa libertà di scelta. Se, scegliendo, abbiamo la possibilità di sbagliare, allora che sia Lui a scegliere. È per questo che siamo nati, ed è per questo che torneremo a Lui». Tuttavia, Padre Ure la pensava in modo diverso. Egli non ripudiava la natura istintiva dell'uomo, la sua parte finita e terrena. «Non dobbiamo vergognarci della nostra capacità di sbagliare, perché è anch'essa dono del Padre e parte del suo Piano. Se scontrarci con la nostra limitatezza, vivere sulla nostra pelle il fallimento e la mortalità della carne è una componente ineluttabile del nostro cammino, così sia. Il dolore è un dono, perché senza di quello non potremmo provare gioia. Non esiste luce che non produca ombra, così come non ci è possibile gustare il dolce gusto di un frutto senza aver prima faticato e pazientato per la semina e la cura della pianta». Nonostante fosse unanimemente riconosciuto come un dotto


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oratore e un erudito, Padre Ure non era ben visto dalla maggior parte dei Maestri del Concistorio. La sua filosofia dell'accettazione della limitatezza umana e della sua propensione al peccare era vista come eretica e giustificatrice. «Il Peccato va perseguito proprio perché è frequente e facile nell'animo umano. Accettarlo per il medesimo motivo va contro il principio stesso della ricerca alla purificazione su cui si basa il Concistorio stesso!». Padre Ronnet non smetteva di ripeterlo durante le lezioni. E ogni volta che lo ricordava, ammonendo implicitamente le tesi di Ure, il suo sguardo ricadeva sempre su Esdras. Il motivo di tale comportamento non era oscuro a nessuno: Esdras era stato ammesso all'Università Spirituale di San Policarpo in qualità di discepolo di Padre Ure. Solo i giovani novizi di nobile lignaggio e quelli raccomandati dai Maestri più influenti potevano sperare di frequentare la prestigiosa Università. Esdras aveva umilissime origini, e non c'era notte in cui non pregasse ringraziando padre Ure per la possibilità che gli aveva concesso. Mai avrebbe dimenticato tutto ciò che aveva fatto per lui, da quando l'aveva preso con sé e scelto come discepolo. I primi mesi al San Policarpo erano stati molto duri per lui. Nonostante avesse passato brillantemente l'esame di ammissione (obbligatorio e imprescindibile sia per nobili che per raccomandati) la sua condizione di figlio di nessuno, e per di più discepolo del famoso predicatore ai limiti dell’eretico gli aveva procurato non pochi sguardi torvi da parte dei suoi colleghi e compagni di corso. Si aspettava di certo di venire importunato con una nomea simile, e in tal senso si era anche preparato psicologicamente. Inoltre, c'era un ulteriore dettaglio che avrebbe sicuramente attirato l'attenzione di tutti, oltre che il ribrezzo, e che avrebbe contribuito al circolare di storie non proprio gradevoli sul suo conto.


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La sua faccia. Si rese conto tuttavia poco tempo dopo, con sorpresa, che i suoi pronostici erano esageratamente pessimistici; in verità nessuno gli prestava la benché minima attenzione. Cosa che non gli dispiaceva per nulla, e che era ampiamente giustificata: l’ateneo ospitava oltre diecimila studenti. Era solo un pesciolino in un enorme oceano. Anche se, molto probabilmente, nessuno di quei pesciolini aveva una faccia come la sua. Esdras non temeva la solitudine, da sempre sua vecchia amica. Pertanto, il suo soggiorno al San Policarpo divenne gradualmente più piacevole. Fin da bambino era sempre stato d’accordo con le parole di Padre Ure. O almeno, questa era la sensazione di cui aveva memoria ogni volta che ascoltava una sua predica. Mai gli venne in mente un’obiezione, mai scoprì una falla nella filosofia o nella dialettica, mai riuscì a pensare ad alternative migliori alle conseguenze logiche dei suoi ragionamenti. Inizialmente, Esdras si convinse che la motivazione alla sua incapacità di obiettare fosse dovuta alla sua scarsa preparazione. Non poteva presentare antitesi agli argomenti di Ure, perché semplicemente non ne conosceva. Ma più studiava, più approfondiva le Scienze Dogmatiche, dai principi di incarnazione fino all'Unione Ipostasica, più si rendeva conto di essere d’accordo con Ure. Anzi, era molto più di questo: “Non sono semplicemente d’accordo. Ora ho i mezzi per capirlo da me: Ure ha ragione! Sono i Testi della Masagida a confermarlo!” Finalmente Esdras poté realizzare che il pensiero di Padre Ure era rivoluzionario, e allo stesso tempo, il più attinente al vero significato dei Sacri Testi, superando la scialba retorica che i predicatori usavano con i paesani, scavando a fondo nella sua simbologia enucleare e attingendo alla sua forma più completa. Aveva inoltre compreso perfettamente i rischi che avrebbe corso


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nell'essere predicatore ed esponente di quei pensieri. Sapeva che Padre Ure non era ben visto dagli altri Maestri e che era stato più volte richiamato dal Concilio, e ora capiva il perché. Il suo pensiero era innovativo, ma anche scomodo. Nella reale ricerca dell’accettazione umana nella sua finitezza, non poteva esistere una congrega di dotti dei Testi che si professava come classe di prescelti, con la Missione di istruire il popolo e studiare i misteri del Verbo. “La Masagida richiede necessariamente uno studio approfondito, ma non è previsto che siano altri uomini a istruire la gente. La Parola professata da uomini ad altri uomini non segue più un tragitto univoco, ma è filtrata, edulcorata, e in alcuni casi mal interpretata dagli stessi. Ne deriva una scorretta diffusione.” «Ogni uomo deve essere predicatore di se stesso!» diceva spesso Ure. «I pesci non imparano mai a nuotare da altri pesci! Se una carpa imparasse a nuotare da un salmone, andrebbe controcorrente come lui, cosa per cui non è destinata, e pertanto finirebbe per diventare solo una preda facile!». Questo e mille altri pensieri venivano condivisi da Ure durante le sue prediche, suscitando molto spesso stupore o disapprovazione. Dopo tutti quegli anni, Esdras aveva imparato a conoscere quei pensieri nella loro quasi totalità, e ad applicarli nello studio. D'altronde nella sua coerenza Padre Ure condivideva i suoi punti di vista e le proprie interpretazioni, ma non si intrometteva mai nello studio della Masagida. Aveva insegnato a Esdras a leggere e a tradurre i Sacri Testi, ma mai esplicava la soluzione di una parabola o di un episodio angelico. «Perché la soluzione non esiste. O meglio, ne esiste una per ognuno di noi. Per questo non posso dirtela: finirei per dirti la mia, quando tu dovresti cercare di scoprire la tua. Il mio compito è insegnarti a imparare, non insegnarti a insegnare. Forse è proprio questo il motivo di tutto il


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disordine ideologico del popolo e dell’incapacità di dialogare tra i Maestri del Concistorio. Ognuno di loro è stato obbligato a imparare il punto di vista di qualcun altro, convincendosi che fosse il proprio». Esdras sapeva benissimo a cosa sarebbe andato incontro decidendo di frequentare il San Policarpo, una delle più prestigiose Sacre Università del regno, sede dei più illustri Concistoriali della Britannia. Si sarebbe scontrato ideologicamente con ogni compagno di corso e con ogni insegnante della sede, per via delle sue idee. Lo avrebbero costantemente ripreso e ammonito, così come avevano fatto con Ure. E forse, nel peggiore dei casi, avrebbero anche potuto cacciarlo via. In ogni caso non sentiva nemmeno l'esigenza di frequentare una scuola nella quale ogni cosa era trattata e approfondita secondo un punto di vista che non condivideva. Padre Ure non era però dello stesso avviso. «La prima volta che ti ho incontrato, caro Esdras, ho percepito in te una curiosità e un desiderio di conoscenza che mai avevo riscontrato in un bambino. Ti ho preso con me e ti ho insegnato tutto quello che so, ma ho commesso un errore: nella mia umanità e limitatezza, non ho potuto evitare di mostrarti il contenuto dei Testi dal mio punto di vista, e pertanto ti ho condizionato. Mai potrò perdonarmi per questo. Ma ora che hai l’età giusta, puoi frequentare una Sacra Università che ti mostri la via della fede nella sua canonicità: studiandola e approfondendola, potrai trarre le tue conclusioni e decidere la tua strada da intraprendere. Ma per decidere in cosa credere, per comprendere davvero su quale versante puntano i tuoi pensieri, dovrai prima percorrere entrambe le strade. E chissà se la penserai ancora come me! Magari invece sarai d'accordo con la via del Concistorio, o perché no, scoprirai un'altra via tutt'ora ignota! Perché no? Una tua personale visione e concezione del contenuto dei Testi.


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Indipendentemente da questo, qualsiasi strada sceglierai, Esdras, io ti vorrò sempre bene, come sempre te ne ho voluto». Esdras decise di ascoltare le parole di Padre Ure. Nonostante il suo consolidato sapere e la sua indiscussa conoscenza, Ure non aveva mai perso l’umiltà che contraddistingue chi sa di poter sbagliare, e la curiosità di chi è consapevole che non si smette mai di imparare. Esdras lo aveva sempre ammirato, e voleva essere come lui. Per questo aveva accettato di studiare al San Policarpo, sede nella quale anche Ure aveva studiato da giovane. Fin da bambino era sempre stato solo, senza una famiglia. Ure diventò la sua unica famiglia, dopo che lo prese con lui. Quell'incontro doveva essere senza dubbio un dono del Padre, il frutto della sua misericordia; Ure era stato per lui un tutore, una guida, una fonte di conoscenza per l’apprendimento dei Testi. Esdras veniva dal nulla, e ora conosceva il contenuto di quei Testi, dalle Storie dei Kami a quelle degli Asi e dei Vani, dalla cacciata di Gog e Magog alle parabole del Salvatore, studi destinati solo a una circoscritta minoranza di giovani eletti in tutta la Britannia. Tutto il suo percorso, tutta la sua vita e il suo impegno, dovevano per forza essere parte del piano di Adonai, uno dei suoi magnifici disegni. Allora perché Padre Ure era morto? Nonostante tutto il contributo di Ure riguardo lo studio e l'approfondimento della Masagida, il Santissimo Libro, il destino gli aveva riservato una morte atroce. “Perché? Qual è il senso di questo disegno? Una punizione per le sue congetture eretiche? Per l’arroganza di aver dato un senso arbitrario alle parole della Masagida? Il suo peccato davvero era tanto grave da essergli causa di una morte simile?”


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II

Fu Padre Wotan a informare Esdras della terribile notizia. Wotan insegnava Scienze Ipostatiche, brillante insegnante e gentile con chiunque. Esdras eccelleva nella sua materia, nonostante la studiasse poco o nulla. Grazie a Ure conosceva perfettamente tutti i misteri dell’Incarnazione. Era una fredda mattina di inizio Novembre, quando padre Wotan bussò alla porta della stanza di Esdras, che si stava preparando come di consueto alle lezioni mattutine. Toc toc. «Avanti. Oh, padre! Buongiorno. Mi dica, che cosa posso fare per lei? La prego, si accomodi.» «Esdras, figliolo… devi perdonarmi, ma non c’è tempo. È successa una cosa terribile, il tuo mentore Padre Ure…» Esdras non sentì le parole successive. O più precisamente, le dimenticò seduta stante. Una sensazione di anestesia e intorpidimento lo pervasero, come quando si subisce un trauma talmente violento da non sentirne il dolore. La sua mente annebbiata, vuota. Il suo volto inespressivo. «…ti è vicino. Perdonami figliolo, per averti avvisato in modo così frettoloso e freddo. Questo evento terribile ha causato molti scompigli e la polizia sta già agendo. Darò ovviamente il mio contributo, in ogni modo possibile. Sei esentato dalle lezioni finché desideri, ma ti prego di recarti il prima possibile nella cappella del castello per incontrare Padre Ronnet. Anche lui desidera parlarti. Sono così addolorato, Esdras, non puoi immaginare quanto. Ma non dobbiamo cedere alla disperazione.


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Dobbiamo combattere la tentazione di abbandonarci alla sofferenza, e pregare insieme per scoprire le cause di questo terribile avvenimento.» Esdras si era perso buona parte di ciò che disse padre Wotan. Dopo quella inspiegabile sensazione di intorpidimento, che durò per tutto il discorso del Concistoriale, venne colto da un’improvvisa stanchezza. Senza nemmeno che se ne accorgesse, il Maestro aveva già abbandonato la sua stanza. Ancora intontito, si sedette sul letto. Alzò la testa e guardo il soffitto di legno della sua piccola stanza. «Perché?» chiese al Cielo. Il Concistorio basa le sue fondamenta sulla fede. Credere nelle parole dei Sacri Testi senza avere nessuna prova tangibile dell’esistenza dei Santi e dei Kami, degli Angeli e delle Sfingi, dei Miracoli e delle Catastrofi. “Avere fiducia nella Parola del Padre e del suo Piano nei nostri confronti, per quanto possa sembrare incomprensibile. Questo vuol dire avere fede. Nonostante questo…” Tutto ciò che aveva imparato e studiato con lucidità e perseveranza era completamente sparito. Esdras provava solo odio. Un odio bruciante e corrosivo. La gioia del Perdono e la Misericordia, tutte le cristalline nozioni apprese durante il suo tirocinio, pietre preziose di inestimabile valore gettate e perdute per sempre nell'abisso di un oceano nero, in un impeto d'ira e pazzia. Il suo odio era rivolto al destino, per la crudeltà ingiustificata che gli aveva riservato nonostante la sua vita di sacrifici e penitenze, nonostante avesse già perso tutto. In realtà, nessun discepolo del Concistorio crede davvero nel destino: non esiste nessuna forza manipolatrice di eventi, ma solo il Disegno assoluto di Adonai. Nemmeno Esdras credeva nel destino, ma aveva paura, nonostante tutto, di rivolgere la sua ira al Padre. Sapeva che commettere una simile blasfemia l'avrebbe


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fatto sentire ancora peggio. Bisognava quindi riordinare le idee, per evitare pensieri sbagliati. Ritrovare la lucidità. «Come farò adesso, senza Padre Ure… lui era la mia famiglia». Esdras sentiva calde lacrime scendergli sul viso. Erano passati tanti anni dall'ultima volta che aveva pianto. Era molto piccolo, e aveva appena conosciuto Padre Ure. «Pensare al passato non mi aiuterà. Così sarà ancora più doloroso...» Esdras tentò di fermare il flusso di pensieri e ricordi, invano. Era solo uno spettatore, passivo testimone di tutti i momenti che aveva passato con Ure. La sua passione per i Testi e l'amore che dimostrava nella predicazione e negli studi. Gentile con tutti, caritatevole con i poveri, così umile, nonostante la sua profonda conoscenza… Esdras chiuse gli occhi, senza realizzarlo, e si addormentò. Dormì per molte ore, un sonno pesante, di quelli che stancano anziché risanare. Quando si svegliò, sbigottito, si rese conto che fuori dalla finestra era buio. “Quanto ho dormito?” Realizzò di non sapere cosa fare. Si sentiva l'anima frantumata in mille pezzi, debole e devastato, e non aveva voglia di parlare con nessuno, specialmente con un Maestro. “Però… forse Padre Ronnet può dirmi qualcosa di più, riguardo al come e al perché sia avvenuto tutto questo. Ho bisogno di sapere.” Ancora leggermente intontito, si alzò dal letto. Prese la sopratunica ancora piegata sulla sedia e abbandonò la sua stanza. Il corridoio era poco illuminato. I vecchi lumi di vetro scuro emanavano una debole luce ed erano situati molto distanti l'uno dall'altro. “Gli addetti ai lavori non hanno mai pensato di investire


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nell’illuminazione interna?” Probabilmente la motivazione principale era che nessuno, eccetto pochi Concistoriali autorizzati e muniti di lucerna, aveva il permesso di girare il per il castello a quell'ora. In circostanze normali Esdras avrebbe provato disagio nel trovarsi in quella situazione, per via della sua paura per il buio. Una fobia di cui si era sempre vergognato, nonostante le parole di Ure, e che ricordava di avere da quando era molto piccolo. Ma il suo umore era più nero del buio che lo circondava. Camminava ad ampie falcate, quasi sfidando le terribili creature che da bambino si immaginava nascoste negli angoli bui della sua stanza. Nascoste nelle cavità delle pareti, statue di Angeli e Buraq lo fissavano con sguardi accusatori, come consapevoli di essere gli unici testimoni silenti della sua trasgressione. La stanza di Padre Ronnet era situata al secondo piano; particolarmente insolito, dato che le stanze dei Maestri erano tutte situate al quinto piano. Padre Ronnet insegnava al Policarpo da quasi trent’anni, tre decadi passate a salire e scendere le ripide scale del castello per ogni sorta di impegno. Col tempo gli era venuta l'artrite alle ginocchia e per premiare la sua dedizione (e molto più plausibilmente per non sentire più le sue lamentele) gli altri Concistoriali lo avevano trasferito al piano più basso possibile. Il primo piano e il piano terra, più i tre piani sotterranei, ospitavano gli spazi adibiti allo studio e alla ricerca, la Sacra biblioteca, il laboratorio di Scienze Formali, e le stanze per ospitare le classi di ogni ciclo di studi. Il piano terra ospitava inoltre una piccola cappella per pregare, anche se poco frequentata. Questo perché al di fuori del castello, con una fila di mura in comune, si ergeva la magnifica basilica, accessibile solo dall'esterno, dal piano terra e dal primo piano sotterraneo. Nonostante il castello, luogo in cui vivono gli insegnanti e gli studenti, e la basilica siano nati come progetti diversi e


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semplicemente adiacenti, l’intera struttura è considerata da tutti come un unico luogo, il castello sede dell’Università di San Policarpo; il motivo principale riguarda l’architettura dei due edifici, così simili tra loro che chiunque li abbia visti per la prima volta non abbia mai immaginato che in realtà metà di ciò che consideravano come un unico castello, fosse in realtà un tempio per la preghiera. L’unica accortezza architettonica che permette di distinguere i due edifici consiste nella presenza di due coppie di enormi portoni presenti sulla meravigliosa facciata, “inno alla magnificenza di spirito proiettata in una dimensione di puro estetismo sistematico.” «Maestro, visto che il castello è la basilica danno l’impressione di essere quasi fusi tra di loro, perché non fare un’unica entrata?» «Il motivo risiede nell’architettura interna: anche se dall’esterno sembra un unico edificio, all’interno ci sono pochissime vie per accedere da uno spazio all’altro. E poi, i fedeli possono entrare solo nella basilica per pregare, mentre il castello è destinato agli allievi e ai Maestri. Come si dice: mai giudicare un libro dalla copertina.» Era doloroso ricordarsi della prima visita al castello con Padre Ure. “Perché mi viene in mente proprio ora? Perché la mia mente dovrebbe evocare questi pensieri, proprio ora che…” “La mente. Forse un altro modo, probabilmente inesatto, per definire il subconscio? Artefice di meccanismi sinaptici misteriosi e incomprensibili anche per chi li vive, a volte semplicemente indecifrabili, a volte persino dannosi. O sarebbe più corretto definirli “auto-dannosi”? Chi è che ferisce, o cosa? e chi è che subisce? Con la parola “io”, cosa identifico esattamente? Il mio corpo materiale, o forse l’insieme di impulsi nervosi che mi permettono di identificarmi come essere senziente? O forse


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ancora, la mia anima? E se il nostro sistema nervoso non fosse altro che la sede della nostra anima, essenza di quella stessa consapevolezza?” «…» “Queste parole… sono di Padre Hartmann. Ricordando la mia prima visita al castello mi solo venute in mente le parole della sua ultima lezione di filosofia dell’inconscio… Aveva proprio ragione. La mente a volte attua analogie e associazioni inspiegabili…” Esdras aveva appena imboccato la tromba delle scale che collega il quarto piano al terzo (entrambi dedicati alle stanze di allievi e discepoli) quando d'un tratto sentì delle voci provenire dal fondo della scalinata. “Nulla di strano, potrebbe trattarsi di Concistoriali di ritorno dalla biblioteca. Ma allora… perché mi sto nascondendo?” L’istinto lo spinse a smettere di fare rumore, attenuare i movimenti e tendere l’orecchio. Nemmeno lui comprendeva il motivo delle sue azioni, agendo come se non volesse essere scoperto, del resto non ne aveva motivo. “Ho il permesso di Padre Ronnet, è stato lui a chiamarmi. Perché allora…” Le voci si facevano più vicine, anche se ancora non perfettamente comprensibili. Con cautela, scese di soppiatto pochi gradini e tese l'orecchio. «Nulla del genere! Non poteva essere opera di un uomo. Nessuno con un briciolo di lucidità avrebbe commesso una simile atrocità». «Eppure, paradossalmente, nessun assassino privo di lucidità avrebbe agito in quel modo. Quella precisione, quasi “chirurgica”…». Entrambe le voci sembravano appartenenti a dei giovani, forse due studenti. Sembrava che parlassero di un qualche atto cruento


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e disgustoso. E dopo la notizia che Esdras aveva ricevuto questa mattina, potevano riferirsi solo a quello. Il mondo intorno a Esdras cominciò a roteare freneticamente. La testa gli diventò pesante, le gambe iniziarono a tremare, nonostante ciò resistette. Non poteva, non voleva sottrarsi alla verità. «È ancora lì?» chiese uno. «Be’… al momento spostare il corpo, se così può essere ancora chiamato, è fuori discussione. Intralcerebbe le indagini della polizia, anche se prima o poi...». “No, non è possibile. Non è possibile… Deve essere un incubo.” Una visione onirica, surreale e grottesca, amplificata nel suo manifestarsi improvvisamente. Ecco cosa stava vivendo. Un incubo lucido, una proiezione immaginifica così forte da sembrare reale. Esdras si sentiva vittima di un macabro scherzo, umiliato da quella grottesca insensatezza. Tutte le domande che potevano sorgere da quella conversazione origliata riconducevano a una sola. “Perché? Perché tutto questo?” «Haniel… non hai detto a Padre Ronnet che saresti andato a chiamarlo? Si tratta del discepolo di Padre Ure, sarà sconvolto quando gli dirai che...». «Il povero Setteocchi... E cosa vuoi che me ne importi? La faccenda non mi riguarda minimamente. E poi, credo che sia già stato informato da quel vecchio sciocco di Wotan… Inoltre, non si è fatto vedere per tutto il giorno. Se si fosse fatto vivo nel castello questa mattina, ora non saremmo qui. Il mio unico compito è dirgli che Padre Ronnet desidererà parlargli domattina. Lui e Ure erano vecchi compagni, entrambi allievi del grande Padre Aamon. Ure era un fratello per Padre Ronnet, nonostante le divergenze di pensiero e la differenza d’età. Pertanto è molto provato, ed è mio dovere aiutarlo. Ma bando alle ciance, vuoi


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accompagnarmi o no? Sbrighiamoci». Esdras rabbrividì nel sentire ancora quel soprannome. “Di cosa mi stupisco? Non è certamente l’unico a chiamarmi in quel modo, nel castello. Eppure non capisco, la sua ostilità… così ingiustificata, e non mi conosce nemmeno.” Intuì dal rumore dei passi che i due stavano risalendo la scalinata. Tornò in cima di soppiatto e si nascose nell’oscurità, dietro una delle arcate del corridoio centrale. Fortunatamente, i due studenti passarono senza accorgersi di lui. Esdras ebbe modo, per un breve istante, di scorgere il viso di Haniel alla luce delle candele. Un viso delicato, proporzionato e armonioso, se non fosse stato deturpato da una cicatrice estesa sulla parte destra del mento, fino al collo. I suoi capelli dorati, lunghi fino alle spalle, catturavano la luce dei lumi restituendo lievi bagliori. I suoi occhi verdi, lievemente socchiusi per vedere meglio nell’oscurità, trasmettevano ostilità e risentimento. Il suo compare, di cui Haniel non aveva pronunciato il nome, era biondo anche lui, uno sporco biondo sabbia, più alto di Haniel e decisamente più robusto. Una sottile barba paglierina gli ricopriva le guance. Sembravano parenti, o forse nativi dello stesso luogo, da qualche parte nel nord Europa. Per qualche motivo il viso di Haniel gli era familiare, ma Esdras non si soffermò a lungo su quella sensazione. Non appena furono abbastanza lontani, si immerse nuovamente nell’oscurità che tanto temeva, avvicinandosi sempre di più al luogo in cui avrebbe saputo finalmente che cosa stava succedendo. “Padre, perdona la mia ira. Padre, allontana il mio rancore. Nonostante tutto… nonostante tutto, non posso dimenticare ciò per cui ho dedicato la mia vita. Non posso dimenticare gli insegnamenti di Padre Ure. Padre, perdona la mia arroganza, perdona la mia debolezza. Guidami nell’oscurità che mi circonda.”


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Esdras iniziava a sentirsi in colpa per aver ceduto emotivamente. Non tanto per la disperazione provata per Ure, quanto per il senso di impotenza e di accusa che aveva rivolto al Cielo. “La sofferenza rende deboli, e facili prede della tentazione. Padre, perdonami. Illumina il mio cammino.” Evidentemente, il Padre era in ascolto. Dopo aver sceso le scale e preso il corridoio a sinistra, Esdras provò come la sensazione di essere inondato da una luce innaturale, inspiegabile e mistica. Aveva imboccato uno dei corridoi delle mura esterne, con enormi vetrate che rivelavano il cielo nero della notte e le immobili meraviglie lucenti che erano gli astri. “La luna è così vicina.” Ci volle un po' per abituare gli occhi a quella luce. Le vetrate permettevano all’intero corridoio di essere illuminato, trasformando il fumoso sogno tormentato di Esdras in una meravigliosa tela ad olio di chiaroscuri. “Forse non mi sono mai alzato dal letto. Forse, sto ancora sognando.” «E tu… chi sei?». La luce rivelò anche ciò che doveva restare nascosto. Esdras vide, anche se poco nitidamente per via della distanza, una figura seminascosta dietro a una delle colonne delle arcate in fondo al lungo corridoio. Così lontana e occultata che non avrebbe mai potuto vederla, nemmeno con quella luce, se non si fosse trattato di una creatura pallida come la luna stessa, come se brillasse di luce propria. Un curioso connubio fra un fantasma e un corpo celeste, nascosto tra le colonne del corridoio. Esdras, anziché mostrarsi turbato o impaurito (benché effettivamente lo fosse) decise di approcciarsi, quasi con curiosità, alla misteriosa apparizione. «Ehi tu! Chi sei? Che ci fai in giro per il castello a quest'ora?»


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L'intruso rimase immobile, come se volesse fingere di essere una delle statue presenti nelle nicchie delle pareti interne. Ma solo per un attimo. Fulmineo come la luce stessa che l'illuminava, si lanciò dietro le ultime colonne del corridoio per sparire dietro l'angolo. Esdras decise di inseguirlo. «Fermati! Avviserò Padre Ronnet se non...» Prima di sparire dietro l'angolo, l'intruso si voltò verso Esdras, che si era sufficientemente avvicinato per distinguerne il volto. Il ragazzo, sbigottito, si fermò. Non un demonio o uno spirito. Si trattava di una figura molto esile, pelle lattea e lunghi capelli neri come l’oscurità che la circondava, così come i suoi occhi. Un neo sotto l’occhio destro, distinguibile solo perché in netto contrasto con la sua carnagione. Era indubbiamente una ragazza. «Per tutti i Maccabei. Una ragazza… al San Policarpo?».


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III

Padre Ronnet dimostrava molti più anni di quelli che aveva in realtà. Era un uomo di mezz’età, più vecchio di Padre Ure di una decina d'anni, e i suoi capelli erano già completamente bianchi. Aveva il volto segnato da rughe, pelle sottile e chiazzata, faceva fatica persino a camminare. Molti sospettavano fosse vittima di una rara e terribile malattia che invecchia prima del tempo. O forse, il suo aspetto era tale a causa di qualche sortilegio. Tralasciando l’aspetto, Padre Ronnet era comunque relativamente giovane per il ruolo di Maestro che ricopriva all’Università; nonostante si trattasse di una carica di alto prestigio e molto ambita, egli non dava mai la sensazione di essere soddisfatto della sua occupazione. Era stato Maestro di un’intera generazione di studenti, e girava voce che i suoi primi allievi lo detestassero per la sua scarsissima disponibilità e pazienza. Esdras faticava a credere che si parlasse dello stesso Padre Ronnet. Sebbene non abbandonasse mai quella caratteristica aria di sufficienza, era probabilmente uno degli insegnanti più pazienti. Le lezioni proseguivano solo se l'argomento era compreso appieno dall’intera classe, ed era spesso disposto ad aiutare gli allievi privatamente e dare ripetizioni. La sua disciplina, Fenomenologia dello Spirito, era particolarmente complessa anche per Esdras. Ure gli aveva parlato pochissimo di quel campo di studi, ammettendo di trattarsi di uno degli ambiti più deboli della sua formazione. Esdras non avrebbe mai dimenticato le prime parole di Ronnet durante la lezione d'apertura del ciclo di studi annuale. «L'anima non è corporea, questo lo sapete tutti. Nonostante ciò,


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non si comporta diversamente dalla materia organica che studiate nelle lezioni di Scienze Formali. Possiede le sue leggi, e reagisce come qualsiasi sostanza chimica. Chi lavora la terra rafforza e tempra il suo corpo con il duro lavoro. I risultati degli sforzi di un falegname sono visibili nella bellezza e precisione dei suoi lavori. Si tratta di risultati evidenti, perché si parla di materia visibile. Cosa rafforziamo noi invece, studiosi dei Sacri Testi, ricercatori della verità nelle parole di Adonai? Noi rafforziamo la mente, e lo spirito. Perfezionano la materia invisibile. Ecco la definizione di anima. Un fuoco pulsante, il cui combustibile è la conoscenza». Esdras rimase stupito da quelle parole. Era convinto che fosse la carità e il sacrificio a elevare la qualità dell'anima. “Forse, grandezza e purezza non sono concetti così diversi.” Ronnet predicava la grandezza dell'anima, Padre Ure la purezza. Era forse questo il motivo della loro rivalità? Esdras era finalmente arrivato alla porta della stanza di Padre Ronnet. Quell’ultimo corridoio, come quasi tutti i corridoi del secondo piano, era quasi completamente immerso nell’oscurità. E sarebbe stato molto più buio se non ci fossero state le pesanti vetrate, gemelle a quelle del piano superiore. Anche se, per qualche strana ragione, si vedevano molte meno stelle di prima. “Forse perché siamo più in basso? Ma è un’assurdità…” Esdras si trovava esattamente sotto al punto in cui aveva avuto la misteriosa apparizione. “Forse dovrei informare Padre Ronnet di ciò che ho visto. Raramente si vedono donne qui al San Policarpo. Le Madri e le Lettrici del Magisterio vengono a farci visita solo per il Deus Sol Invictus…” Le fievoli luci che definivano i contorni dello spazio intorno a lui provenivano dai pesanti candelabri appesi alle pareti, quasi


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completamente affogati nella cera che si impegnavano a scogliere da secoli. La calda luce delle candele si fondeva dolcemente con la fredda e misteriosa luce lunare che si rifrangeva sui vecchi mattoni grigi delle mura interne. Le pesanti finestre, vecchie e spesse almeno due pollici, permettevano di scorgere vagamente il mondo intorno al castello: una fitta e lugubre foresta di sempreverdi, ricoperti da un sottile manto di neve. I fiocchi cadevano pigri, ma senza sosta. Probabilmente l'indomani la neve sarebbe arrivata alle ginocchia. Esdras si stupì di come potesse ancora distrarsi dalla contemplazione del paesaggio, nonostante quello che stava passando. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

I ..................................................................................................... 9 II .................................................................................................. 17 III ................................................................................................ 27 IV ................................................................................................ 35 V.................................................................................................. 41 VI ................................................................................................ 47 VII ............................................................................................... 50 VIII.............................................................................................. 56 VIII.............................................................................................. 56 IX ................................................................................................ 58 X.................................................................................................. 67 XI ................................................................................................ 73 XII ............................................................................................... 78 XIII.............................................................................................. 82 XIV ............................................................................................. 86 XV ............................................................................................... 90 XVI ............................................................................................. 94 XVII ............................................................................................ 97 XVII ............................................................................................ 97 XVIII ......................................................................................... 109 XIX ........................................................................................... 115 XX ............................................................................................. 119


XX ............................................................................................. 119 XXI ........................................................................................... 124 SOMNUS .................................................................................. 134 FINALIS ................................................................................... 139 RINGRAZIAMENTI ................................................................ 142 RIFERIMENTI, CITAZIONI E NOTE .................................... 143 INDICE ..................................................................................... 145


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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