Come una pianta di cappero

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Capitolo cinque.

Ignazio ripartiva dopo cinque o al massimo sette giorni per l’ennesima festa di paese, lasciando la casa nel solito, muto disincanto che si sarebbe presto riempito delle urla isteriche di Olga, dei canti accorati di Rita, dei rimestii di Carla e dei pianti di Eleonora. I soldi erano finiti. Natalina riprendeva a bere. Staccava strisce di carta da parati e le arrotolava per fare le sigarette con il tabacco che teneva sfuso nelle ampie tasche della sua veste da camera. Chiamava Edda e la mandava dalla signora Vinci a finire i risparmi rimasti per comprare il vino. La mattina usciva all’alba per dirigersi al vecchio ospedale Santissima Trinità a pochi chilometri da casa dove ancora faceva l’infermiera. A volte faceva il turno di notte in obitorio perché i morti non le facevano impressione. Lo raccontava con orgoglio ai suoi figli e diceva che, piuttosto, bisogna avere paura dei vivi. Natalina era così. Caparbia e istintiva. Non temeva niente e nessuno. Per qualche tempo aveva anche lavorato al manicomio di Monte Claro, dove dopo anni di lontananza dalla sua famiglia d’origine aveva ritrovato sua madre, malata e pazza, abbandonata da suo padre quando aveva cominciato a dare i primi segni di depressione. Le battaglie che Natalina intentava caparbiamente contro la vita affogavano solo nella mollezza del vino e lasciavano indietro il resto, inclusi i figli. Molte erano le esperienze vere o presunte che avevano segnato la sua vita e lei le raccontava con dovizia di particolari, soffermandosi sui dettagli oltre il necessario, per dare a ognuno il valore che meritava. Ancora incinta di Michele era stata cacciata di casa da suo padre. Era riuscita a farsi ospitare da una vedova che chiamava zia, ma che non era sua parente. La donna viveva sola e senza figli in una casa di pietra e paglia che assomigliava più a un nuraghe che a un appartamento. La piccola dimora sorgeva alla periferia di Pirri, poco distante da Cagliari. Natalina iniziò a fare la teracca12 da privati e a lavare le scale di condomini eleganti nella zona di via Sonnino che raggiungeva sopra il carro trainato da buoi di Ninnetto Carta, un parente acquisito che gironzolava intorno alla vedova. La ragazza lavorò fino al nono mese di gravidanza. Alla nascita di Michele, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, fu accolta in ospedale, nonostante fosse analfabeta, prima come aiuto cuoca, poi come inserviente ai piani e infine come infermiera, tanta era la necessi12

Donna di servizio, in sardo.


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