2013/04/21 Discorso di Marzio Muraro a Longarone - Un italiano macchinista in Rhodesia

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LONGARONE PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MARIO SANTINELLO E FIGLIO LUIGI

(di Marzio Muraro)

Ringrazio Santinello e gli organizzatori locali per la cortesia che mi hanno usato, invitandomi da Brescia a questa manifestazione fieristica e alla presentazione di questo libro. Sono passati ormai degli anni da quando aziende italiane come Rivarossi e Lima hanno chiuso i battenti. I modellini dei treni, lasciati ora ad una ristretta cerchia di collezionisti, non alimentano più i sogni dei ragazzini. Oggi, addirittura, dobbiamo fare i conti con la trenofobia dei NO TAV, a mio avviso un condensato di repulsioni, spesso retrograde e sempre ostinate. Sembrano lontanissimi i tempi in cui Carducci scioglieva un inno a quella creatura mostruosa ma rivoluzionaria che era il treno, rappresentato come il centro della mitologia moderna: “…come di turbine manda il suo grido, come di turbine l’alito spande …corusco e fumido, come i vulcani, i monti supera, divora i piani… “ E come appare di un’altra epoca l’orgoglio sociale trasmesso dallo sguardo fiero del Ferroviere, un film di Pietro Germi nel solco del cinema neorealistico italiano! Per questo il pregevole lavoro dell’amico Mario contiene gli ingredienti e assume i contorni di una passione superstite, indicibile, nostalgica e struggente. Siamo dunque in presenza di un generale ripiegamento, ma questa bella tradizione è destinata a durare, anche perché, come diceva Gustav Mahler, “La tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”. Persone di una certa età, come me, hanno vissuto pienamente il fascino della strada ferrata. Senza andare al celebre e raffinato Orient Express, ispiratore di racconti e films, spesso come luogo di misteri e intrighi all’Agatha Christie, essendo io di genitori asiaghesi, ricordo le suggestioni del trenino a cremagliera Piovene Rocchette-Asiago, inerpicatosi per 50 anni lungo i tornanti dell’Altopiano. Rammento quando, di primo mattino, infreddolito e appisolato sui sedili di legno, mi facevo svegliare da mia madre per vedere dall’alto, in ore antelucane, quella che per me era una volta stellata rovesciata all’ingiù: ovvero le rade luci della pianura. Per decenni esso ha segnato, quasi scandito, la vita dei 7 Comuni vicentini. Lì sono sbocciati innamoramenti; su di esso i giovani studenti di Toni Giuriolo raggiunsero armati la montagna, celebrati successivamente dal libro “I piccoli maestri” di Meneghello; con esso, soprattutto, migliaia di emigranti si staccarono dalla terra natale diretti in “Merica”, per dirla con Emilio Franzina, o in Australia. Erano in cerca di fortuna o, più semplicemente, li muoveva il bisogno di sopravvivere. 1


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