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Sergej Roić

Omaggio a Paul Klee Prefazione di Daniel de Roulet

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Elogio dell’universalità di Daniel de Roulet

La Svizzera conta 7 milioni di abitanti, il nostro pianeta ne conta 7 miliardi. Ciò significa che 999 individui su 1000 non sono svizzeri. Peccato, non sanno quello che si perdono. Soltanto offrendo loro un romanzo, riusciranno a capire un po’ meglio questo paese. Un libro, tuttavia, è come una prefazione, può risultare tanto stereotipato da rivelarsi inutile. È ciò che definiamo cliché, abbelliscono senza apportare nulla di reale. Per esempio: invece di dire «bere» ci si complica la vita dicendo «dissetarsi», invece di dire «mangiare» ci si crede poetici dicendo «assaporare». E a ogni parola si aggiunge un aggettivo convenzionale per dimostrare di avere stile. Così facendo gli abissi saranno sempre considerati insondabili, gli accessori originali strani, le dita accusatrici e il terrore saranno sempre più diffusi, la rabbia esploderà e la gelosia impazzerà. Una volta che ci siamo lasciati trasportare dal flusso delle parole, cosa abbiamo detto? Nulla. Abbiamo utilizzato cliché senza concludere niente. Chi parla della Svizzera in un romanzo può utilizzare le proprie conoscenze per evocare i medesimi luoghi comuni del paese in questione: banche raffigurate con colonne di marmo, prati con le bandiere su uno sfondo di cime innevate, bambini con le labbra sporche di cioccolato, operai con le mani callose sullo sfondo di un cantiere, paesaggi lacustri con un battello bianco. A forza di essere ripetute, le immagini perdono quel poco di verità che conVII Omaggio a Paul Klee - Interno.indd VII

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servavano. Lo stesso accade per le figure di stile: chi le inventa crea meraviglia, chi le ripete, risulta forzato. Scrivere un romanzo sulla Svizzera appare alquanto rischioso, sembra sia stato detto di tutto e di più su paesaggi e abitanti. Il turista che atterra all’aeroporto di Zurigo e prende la metro sotto le piste è allietato, durante il suo breve soggiorno, da effetti sonori triti e ritriti: non vede l’ora di imbarcarsi per una destinazione meno kitsch. In meno di trenta secondi si ritrova ad ascoltare, come segno di benvenuto, pastori, campanacci, e dolci muggiti di mucche. L’ente del turismo pensa di dover trasmettere questo del nostro “essere svizzeri”, un’accozzaglia di cliché sonori. Il fatto è che esiste il paese reale e il paese idealizzato. Entrambi lasciano delle tracce. Ma qual è il paese reale? I 7 milioni di abitanti non sono tutti svizzeri, non hanno tutti diritto di voto. Negli Stati Uniti, paese d’immigrazione, si stima che il 15% degli abitanti sia figlio di genitori immigrati, ovvero che il padre, la madre o entrambi sono nati fuori dai confini del paese. In Svizzera la proporzione sale al 33%: si tratta di uno dei paesi più eterogenei del pianeta. Solo gli emirati del Golfo hanno un tasso migratorio più alto. Inoltre, se si considerano i cittadini «conviventi» con compagni i cui genitori sono immigrati, ne risulta che la metà degli abitanti è, in un modo o nell’altro, toccata dal fenomeno dell’immigrazione. Per il momento il sistema politico non sembra interessarsene, infatti il diritto di voto, concesso con parsimonia, rimane prerogativa degli immigrati della prima generazione e tutt’al più della seconda. Oltre la metà dei cittadini che lavora in città come Basilea o Ginevra, così, non ha avuto la possibilità di esprimersi in merito alle decisioni politiche che subisce. Nel paese reale, nella Svizzera variegata ognuno può vedere con i suoi occhi giovani donne sud-americane o africane o ucraine prendere il pullman in città per andare a vendere i loro oggetti nei quartieri ricchi. Partono all’alba per dirigersi verso la Goldküste di Zurigo, verso la riviera Lemanica, verso Zugo, verso Cologny, VIII Omaggio a Paul Klee - Interno.indd VIII

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verso Pully. Lo stesso vale per i cantieri nei quali sotto i caschi gialli, rossi o dorati, i lavoratori saltuari, interinali, frontalieri o clandestini costruiscono palazzi nei quali non abiteranno mai, trasportano mobili lussuosi sui quali non riposeranno mai. Per non parlare dei ricchi sauditi – sì lo so, è un cliché – che versano il loro champagne sulle terrazze degli hotel delle nostre rade. Esiste dunque il paese reale, quello osservato dallo scrittore, e quello idealizzato, folcloristico. È il romanziere stesso a evocarne il folclore: un lago di montagna, le rocce lisce sulle rive di un torrente. Anch’esso merita di essere citato. Ma quando è imposto con una certa distanza, il lettore reagisce con espressione incredula, non un vero e proprio sorriso. Del resto, i tratti distintivi dell’«essere svizzeri» hanno perso la loro autenticità, hanno un mero carattere di citazione, come una ripetizione postmoderna ormai superata. Già a partire dal diciannovesimo secolo, le descrizioni dei castelli di Chillon, di Righi e dei combattimenti delle regine sono state così numerose da impedirne l’ammirazione dal vivo. Essendo diventati simboli, hanno perso il loro carattere reale. Ecco che il getto d’acqua di Ginevra finisce per nascondere la bellezza del paesaggio, il ponte di legno di Lucerna fa dimenticare la danza dei morti che decora il fondo. Troppa Svizzera: un suicidio. È possibile sbarazzarsi di questi cliché grazie all’arte che offre la possibilità di utilizzare uno sguardo tutto nuovo, quello dello scrittore, che è il benvenuto e dona libertà, distanza. Permette di vedere il contesto, vale a dire la globalizzazione e l’universalità allo stesso tempo. La prima corrisponde al terrore finanziario che si abbatte sulle popolazioni, la seconda alla speranza di un ordine armonioso in grado di far reagire il pianeta. La prima rimanda ognuno di noi a un’identità conflittuale, la seconda lascia intravedere altri legami tra chi è solo svizzero e chi è anche svizzero. Lo sguardo dello scrittore si insinua proprio a metà tra un’apertura al mondo che renderà il paese un paese come un altro e IX Omaggio a Paul Klee - Interno.indd IX

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una chiusura che lo renderà peggiore di altri. Tocca poi al lettore aguzzare il suo, guardare oltre gli orpelli, apprezzare gli ammiccamenti, decifrare i segni. Molto tempo fa, quando gli svizzeri erano obbligati a emigrare al servizio dello straniero, contrassero una strana malattia, piuttosto diffusa ai giorni nostri che, grazie a un medico di Basilea, ora ha un nome: il male del paese è la Nostalgia. Ormai, questo, non è più un problema solo svizzero, tocca tutti i 999 abitanti immigrati della Terra.

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Prima opera. Agosto. Ein Kind träumt sich

Io paragono la vita umana ad un vasto palazzo dalle molte stanze, delle quali solamente due posso descrivere, rimanendo le porte delle altre a me chiuse - La prima di cui varchiamo la soglia la chiamiamo la camera dei bambini, o la camera senza pensieri, in cui noi rimaniamo fino a che non pensiamo - Ci rimaniamo un lungo tratto, e nonostante la porta della seconda camera rimanga aperta mostrando un aspetto luminoso, non ci interessa aff rettarci verso di essa; ma vi siamo impercettibilmente spinti una buona volta dal risvegliarsi del principio di pensiero - dentro di noi. Non appena entriamo nella seconda stanza, che chiamerò la stanza dei pensieri vergini, siamo pervasi dalla luce e dall’atmosfera, non vediamo nient’altro che piacevoli meraviglie, e pensiamo di attardarci lì per sempre estasiati. John Keats

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Lunedì: una parola di troppo

L’edificio in cemento occupa un intero isolato nel cuore della città. Conta tre entrate e decine di uffici: è la sede della procura pubblica, della polizia, dell’ufficio stranieri oltre che del catasto. All’interno, i corridoi sono rivestiti di linoleum verde. L’aria è stagnante. Fa caldo e il personale si è preso qualche libertà in fatto d’abbigliamento: niente giacche e poche cravatte nell’ultima settimana di agosto a Lugano. «È venuto a sporgere denuncia» riassume il commissario Ticozzi, un uomo snello dagli occhi azzurri. «Cerco di farmi un’idea sull’accaduto» fa Jimmy Bistoletti, il biondo mal rasato che si accarezza il mento. Sono seduti in uno stanzino disadorno del Comando della polizia cantonale ticinese, in un’ala dell’edificio di via Rossi. È mezzogiorno e si sentono sbattere le porte: chi ha sbrigato il lavoro del 5 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 5

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mattino si prende la pausa pranzo. Jimmy ha raccontato al commissario di aver filmato la scena di un’aggressione in Val Maggia. «Insomma, lei vuole sporgere denuncia perché gliel’hanno chiesto i suoi superiori alla tv?» chiede Ticozzi. «Ho mandato in onda la trasmissione.» «Ha raccontato qualcosa che non corrisponde a verità?» «Non ne sono sicuro… L’uomo del fiume evidentemente era straniero. S’è avvicinato alla donna che prendeva il sole sulla pietraia.» «Ok, si è avvicinato,» Ticozzi lo guarda diritto negli occhi «ma cosa le fa pensare che fosse straniero?» «Era alto, magro, aveva la pelle scura, il volto marcato, ed era nudo… praticamente nudo…» «Le piaceva quell’uomo nudo lì tra i sassi della Maggia?» «Cosa…?» «Mi pare che l’abbia guardato attentamente.» «Indossava dei calzoncini verdi.» «Calzoncini verdi.» «È uscito dal fiume, si è avvicinato alla donna e lei gli ha dato la borsa.» «La donna, certo.» Ticozzi smette di prendere appunti. «Ma ha parlato con lei? E perché non è stata la donna a sporgere denuncia?» Jimmy Bistoletti scuote la chioma bionda. «Senta, commissario, sono stato testimone di un… incontro ravvicinato. L’uomo è uscito dal fiume e ha costretto la donna a dargli la borsa. Io mi trovavo a una ventina di metri, l’afferrava per il collo, ma quando mi sono messo a gridare l’ha lasciata. Lui se n’è andato, è scappato. Lei mi ha pregato di guardare se la sua auto era ancora parcheggiata sulla strada sopra il fiume. Le chiavi erano nella portiera della macchina. Voleva solo andare via. Ho mandato in onda il filmato presentandolo come un’aggressione. Il 6 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 6

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giorno dopo, la donna ha smentito che ci fosse stata violenza. Ma l’uomo le aveva portato via la borsa.» «Ah, certo, la borsa… Lei è il responsabile della trasmissione?» «Sono il conduttore del programma “La lunga estate calda”.» «La lunga estate calda… non è che sta cercando di montare un caso dal nulla per farne una notizia? Mi ha detto che non è sicuro al cento per cento che ci sia stata violenza.» «L’uomo stringeva la mano attorno al collo della donna, quando mi ha visto ha preso la borsa ed è scappato. Lei era praticamente nuda, indossava solo lo slip del costume…» «Bistoletti, ma si rende conto di quel che dice? Erano “praticamente nudi” tutti e due. Mi sta raccontando la scena di una storia d’amore? Ricapitoliamo: lei, un conduttore tv, si ritrova per caso a filmare una presunta aggressione sulla riva del fiume. La donna aggredita non denuncia il fatto. Però lei manda in onda il filmato che ritrae l’uomo e la donna in riva alla Maggia. La donna smentisce che ci sia stata violenza e lei si ritrova nei guai perché ha raccontato pubblicamente un fatto, un’aggressione inesistente. Si è immaginato qualcosa che non è avvenuto. Ha lavorato di fantasia. Ha dato una spintarella alla realtà.» «Ma io non potevo esserne sicuro al cento per cento… Come si fa? Ha presente la logica dei media, noi andiamo a caccia della notizia…Ho rivisto il filmato un paio di volte e…» «E?» «E ho deciso di presentarlo come un’aggressione.» «Il suo commento a quest’incontro ravvicinato… aspetti, me lo sono segnato, è stato: “per ora si prendono le borse, fra poco si prenderanno le nostre donne”. E il titolo della trasmissione era “La Svizzera derubata della sua verginità”.» «Senta, commissario, il mio programma…» Ticozzi si passa una mano tra i capelli. «Ho già avuto modo di vedere il suo programma. E…» Ticozzi scuote la testa, come se fosse sorpreso da ciò che sta dicendo «… 7 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 7

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confesso che non mi dispiace. Lei riesce a far dire alle persone più di quello che vorrebbero. Li fa apparire per quello che sono. Le confesso che mi piacerebbe averla dalla mia parte durante gli interrogatori…» sorride «…ma ora la questione è un’altra. Se le sue affermazioni vengono sbugiardate da una persona direttamente coinvolta, lei rischia… ma che cosa rischia, in fin dei conti, Bistoletti? Al massimo dovrà smentire e scusarsi.» «Già. Smentire, scusarmi e andarmene dalla tv per aver detto una parola di troppo. La donna del fiume, Delphine Frutiger, ha denunciato me.» Il commissario Ticozzi è un vero ticinese. Non nel senso che questa espressione ha assunto di recente: Ticozzi non simpatizza per i Veri Ticinesi, il partito populista-separatista che ha guadagnato di recente molti consensi proponendo in tutte le salse il luogo comune degli stranieri come criminali. Certo, il commissario-capo ama la sua terra, il clima mite del Sud delle Alpi, il dialetto locale, le discussioni sul calcio con gli amici. Ma è anche un uomo colto, curioso e un buon psicologo che sa leggere nel profondo delle persone. Berto Ticozzi è un organizzatore che delega ai suoi subalterni compiti importanti e per questo è ben voluto dalla truppa che comanda da ormai dieci anni. Sa prendere decisioni in tempi brevi, ha fiuto per ciò che va fatto subito e per ciò che è meglio lasciare indietro. È alto, brizzolato e la sua andatura incute rispetto. Ora, a metà pomeriggio di un torrido lunedì di fine agosto, chiuso nell’edificio amministrativo di via Rossi, non si pente della decisione presa: ha mandato in Val Maggia il suo squadrone scelto alla ricerca dell’uomo del fiume. Lui, il commissario Berto Ticozzi, vuole chiarire alcune cose. Jimmy non si capacita della disavventura che gli è capitata sul fiume. Si è cacciato in un guaio che gli impedisce di concentrarsi, e persino di dormire. L’hanno criticato. Gli hanno rimproverato 8 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 8

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di essersi inventato tutto. Hanno visto e rivisto il servizio fi lmato. Gli hanno rovinato il finesettimana e l’appuntamento con Daria. Il caposervizio, Fernando Lucomagno, gli ha suggerito di denunciare il presunto aggressore alla polizia cantonale ticinese: «Denuncia lei, denunci tu» ha detto a proposito del voltafaccia della donna del fiume. Ma la faccenda si è complicata, i giornali hanno ripreso la notizia in modo apertamente polemico (“aggressione davanti alle telecamere”; “novità in Ticino: ora la televisione si è messa a rincorrere i ladri”). Da un semplice fatto di cronaca è scaturita una questione politica: in Svizzera, il compito della tv è quello di informare o quello di difendere la cittadinanza? Ora Jimmy si chiede se lì, in riva alla Maggia, non abbia commesso un errore fatale: doveva far finta di niente? avrebbe fatto meglio a voltarsi dall’altra parte? Il giorno dopo la messa in onda della trasmissione Delphine Frutiger, la turista romanda molestata, ha rilasciato un’intervista alla radio: «non è vero niente, non è successo niente». Lo stesso giorno la procura pubblica ha avvertito Jimmy della denuncia della donna “per calunnia in merito a un fatto, aggressione e furto, non accaduto”. Jimmy ha salvato la donna del fiume da quello straniero e ora si ritrova con una denuncia che gli pende sul capo come una spada di Damocle. Potrebbero annullare il suo programma? Saranno costretti a licenziarlo? Con un’espressione provata, Jimmy percorre di malavoglia il corridoio della palazzina che si affaccia sul lago di Lugano – a differenza dello stabile amministrativo del centro città, l’atmosfera degli studi tv è ovattata: camminando, il conduttore de “La lunga estate calda” sprofonda in una spessa moquette beige. Gira a destra ed entra nello studio 4, lì Hugo Almeida, il suo cameraman, lo ferma. «Alza i tacchi, capo» lo incita Hugo «torniamo in Val Maggia. Ho appena saputo che lo squadrone scelto della polizia cantonale sta facendo un sopralluogo sul fiume.» Jimmy vorrebbe chiedere «Da chi hai avuto questa informazio9 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 9

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ne?» ma è preceduto da un insistito «Sssh» e dal dito sulla bocca del suo cameraman. «Com’è possibile – pensa – che Hugo Almeida sappia molte più cose di me… io sono il bersaglio, lui è padrone della situazione?!» Per cercare di ristabilire un minimo di autorità dice: «Ok Hugo, ti credo, ma la notizia qual è?». «Capo, capo, capo» Hugo scuote la testa «quelli vanno ad arrestare l’uomo del fiume. Non vuoi rimediare al guaio combinato in Val Maggia? Siamo ancora in tempo per raccontare la storia giusta.» Roberto Bianchi è a capo dello squadrone scelto da due anni. Gli interventi puntuali sul confine italiano non si contano, gli inseguimenti di ladruncoli per le strade e negli appartamenti ticinesi neppure. Bianchi fa pattugliare i treni in arrivo dall’Italia alla ricerca dei trafficanti di droga, insegue i balordi nei quartieri luganesi, acciuffa i rapinatori delle stazioni di servizio e si fa riprendere dalle televisioni con le prede catturate. Nel tempo libero, va a pesca. Quando riceve la chiamata di Ticozzi sta bevendo il caff è del dopo pranzo nel suo ristornate preferito. I tavolini si allungano sulla piazza – alcuni alberi, il selciato, una fontana che riproduce una foca. Di fronte, il Teatro Sociale di Bellinzona. Dall’altra parte della piazza, il palazzo del governo cantonale. Se dovesse spiegare perché ami tanto questo ristorante, direbbe che il luogo e l’atmosfera lo fanno sentire a casa. Ora, si immedesima completamente nel suo ruolo di poliziotto che, nemmeno troppo raramente, gli consente di fare l’eroe. Non è male, non è affatto male fare il proprio dovere e piacere alle donne. Ticozzi lo tiene al telefono cinque minuti esatti. Gli chiede della casetta sopra Ravecchia: «Quando sarà terminata?». Parlano dell’imminente vendemmia: Ticozzi ha un vigneto da cui ricava un centinaio di bottiglie di Merlot. Che Merlot, chiede Bianchi, bianco o rosso? Da gustare col capretto, con le luganighe, col pollo? Ha appena 10 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 10

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pranzato e parlare di cibo non lo entusiasma; però non gli dispiace far contento il capo della polizia. La telefonata si fa lunga, interminabile. Bianchi ascolta mentre Ticozzi snocciola i dati sull’insolazione estiva e sulla quantità di pioggia primaverile – è possibile che il Merlot ticinese di quest’anno possa davvero essere sia asprigno che sostanzioso e pure dolce? «Chissà cosa ha in mente adesso» pensa quando il suo superiore gli accenna a un caso rimasto in sospeso. Si segna tutto sul block notes nero: la Maggia, la donna, l’uomo, la pietraia; il cronista della tv, la polemica giornalistica, la denuncia; perché quella donna difende un malintenzionato? che tipo di relazione hanno? Spiegandogli le regole d’ingaggio, Ticozzi è molto chiaro sul fatto che una volta catturato, l’uomo del fiume deve poter essere interrogato. «Trattalo bene, mi raccomando» conclude il capo augurando buona pesca al suo uomo sul campo. Bianchi fa un cenno alla cameriera dominicana, una brunetta appariscente con cui deve chiarire alcune cose, e dice ad alta voce «La tensione in Val Maggia cresce». Il cliente seduto al tavolo accanto lascia che il poliziotto paghi, si alzi e si aggiusti l’uniforme. Lo guarda mentre si allontana in direzione della fontana a forma di foca. Poi prende il cellulare e chiama un suo conoscente che fa il cameraman in tv: «questo pomeriggio» dice «lo squadrone scelto della polizia ticinese sarà impegnato in Val Maggia». «L’informazione è tutto» sorride il cliente del ristorante che ama far girare le notizie. Si alza e lascia una bella mancia alla brunetta che serve ai tavoli. Hugo Almeida guida col gomito fuori dal finestrino; Jimmy Bistoletti è seduto accanto a lui. Oltre al teatro, Hugo è un appassionato di romanzi gialli, infatti, la prima cosa che gli viene in mente è che stanno tornando sul scena di un delitto. Il furgoncino Volkswagen borbotta mantenendo la velocità di crociera sulla strada che costeggia i massi in precario equilibrio nel fondovalle. Non c’è anima viva. Hugo guarda la strada e pensa, il volto di Jimmy è una 11 Omaggio a Paul Klee - Interno.indd 11

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