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Formazione Tutti a scuola per ripartire
F O R M A Z I O N E
TUTTI A SCUOLA PER RIPARTIRE
Aumentare le competenze dei dipendenti (e le proprie): è la strada obbligata per sostenere una competizione resa più difficile dai mesi di lockdown. E la tecnologia, per la distribuzione può diventare l’arma in più. A patto di saperla usare
di Stefano Lavori
Adicem: circa 40 ore, Biesse: 10-12 ore, Boscolo: tutti i giorni... L’elenco del tempo destinato dai distributori di materiali edili alla formazione del personale è variabile come il meteo in primavera. L’unico aspetto in comune è la mancanza di omogeneità: si va avanti in ordine sparso, ognuno fa a modo suo. Lo potete verificare, per esempio, dalle schede pubblicate sul numero di aprile di YouTrade. La sintesi che si può trarre da quelle autodichiarazioni è che non c’è, nel mondo delle rivendite di materiali, un filo comune per quanto riguarda gli skills, come si definiscono oggi le competenze, dei propri dipendenti. Le aziende agiscono secondo la sensibilità e, ovviamente, la capacità di investimento. Eppure questo è proprio il punto che distingue, secondo quanto amano ripetere i distributori, i rivenditori specializzati e la Gdo, accusata di avere una competenza solo nel marketing e non nell’assistenza al cliente.
IL RIMPALLO
Inoltre, la formazione del personale è proprio uno di quegli aspetti ai quali le aziende produttrici, cioè il gradino che precede il rivenditore nella filiera dell’edilizia, sono più attente. O, più precisamente, chiedono ai rivenditori maggiore impegno nell’istruzione dei propri dipendenti. «La distribuzione dovrebbe sforzarsi di stare al passo con il trend di specializzazione, che ha investito la produzione stessa dagli anni della crisi in poi: chi produce si deve specializzare sempre di più nel suo ambito, chi vende deve concentrarsi sui prodotti che fornisce al cliente finale», ha spiegato, per esempio, durante lo scorso Convegno YouTrade Renato Tesoli, responsabile commerciale e marketing prodotto Cap Arreghini. «La formazione continua richiede di essere presenti ovunque, visitare le aziende produttrici, per apprendere come e perché sono stati creati prodotti specifici e la tecnologia che ne sta alla base. Una volta appresi questi contenuti, si procede alla loro corretta diffusione. Poi, è necessaria anche una formazione interna rispetto alle competenze indispensabili a ogni venditore o a chiunque nel proprio lavoro ha a che fare con il pubblico», ha ribattuto nella stessa occasione Dante Cianciosi, titolare della omonima impresa di distribuzione.
PARTITA A DUE
Due punti di vista che sintetizzano la partita di ping-pong (che, a volte, assomiglia più a un incontro di wrestling) che si svolge tra le categorie dei rivenditori e delle imprese. Certo, è difficile stabilire un regola uguale per tutti, un impiego del tempo equiparabile a situazioni e mercati diversi per la formazione del personale. Sta di fatto, però, che la sensazione generale è di una certa carenza di investimenti. Che ora, nella Fase 2 e si spera presto 3 e 4 del dopo coronavirus, diventa ancora più importante. Una filiera che si accorcia, che è costretta a ottimizzare le risorse, deve essere ancora più competitiva. E il cliente si conquista sempre meglio con la competenza.
CARENZA GENERALE
D’altra parte, la distribuzione di materiali edili non è il pulcino nero della compagnia. È l’intero sistema delle imprese italiano che

è carente in fatto di formazione. Non a caso Enrico Moretti, uno dei membri della task force governativa per la riapertura del dopo covid-19, ha definito la formazione sul lavoro una priorità. E, sempre non a caso, le aziende con la più alta concentrazione di competenze sono riuscite a organizzare meglio il lavoro con lo smart working. Inoltre la formazione potrebbe facilitare le nuove modalità di lavoro in sicurezza e favorire la trasformazione digitale che il covid-19 ha reso praticamente obbligatoria. A partire, per esempio, dall’integrazione della multicanalità. Con minori spostamenti e con maggiori distanze di sicurezza, per i distributori di materiali edili offrire un servizio di recapito dei prodotti e, ovviamente, un sistema valido di e-commerce, potrebbe diventare l’ancora di salvezza o, se preferite, un’arma in più.
LE CLASSIFICHE
Purtroppo, sottolinea l’Ocse (organismo che misura le economie dei Paesi più sviluppati), l’Italia è drammaticamente indietro riguardo alle competenze dei lavoratori. La partecipazione a pratiche di formazione è circa la metà della media e le imprese dedicano alla formazione formale solo lo 0,3% del monte salari, contro l’1% della Francia o il 2,5% del Regno Unito. Non solo: la formazione è anche orfana di padrini nella politica. Senza quasi distinzioni, chi sta in Parlamento se ne occupa poco o niente: secondo una recente analisi, per ritrovare la parola formazione in qualche dibattito bisogna risalire al Jobs act.
IL CASO AGENZIA
Apriamo una parentesi: nel 2015 l’allora governo aveva istituito l’Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, che dovrebbe coordinare le iniziative per le persone in cerca di occupazione e la ricollocazione dei disoccupati, come previsto dal reddito di cittadinanza. A organizzare la piattaforma per mettere in moto l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, costata allo Stato 24 milioni, è stato chiamato dal passato ministro del Lavoro Luigi Di Maio Mimmo Parisi, professore che insegna in Mississippi. Ma Parisi, dopo essere stato bocciato dal suo Cda per il bilancio del piano industriale, è tornato in America, lasciando così l’Agenzia senza timone. Chiusa la parentesi.
I VANTAGGI
Per tornare ai problemi del mercato del lavoro, sempre secondo l’Ocse, con l’introduzione delle nuove tecnologie digitali il 15,2% dei posti di lavoro nel nostro Paese potrebbe essere completamente automatizzato e il 35,5% profondamente trasformato rispetto alle mansioni attuali. In Italia il 38% degli adulti ha competenze in matematica o nella lingua straniera (e, spesso, anche quella italiana) molto basse. In un mercato del lavoro sempre più integrato con la tecnologia questa scarsezza di capacità rischia di tagliare fuori milioni di persone. Per mantenere il posto di lavoro o trovarne uno diverso, infatti, gli italiani avranno bisogno di aggiornare le proprie competenze durante tutto l’arco della vita lavorativa.
L’AUTOMAZIONE CHE AVANZA
Un altro studio, questa volta del World Economic Forum, indica che circa il 50% delle aziende prevede una riduzione della forza lavoro full time a partire dal 2022 a seguito dell’automazione (con robotica e software di intelligenza artificiale tra le voci di spicco). Ma, allo stesso tempo, il 38% estenderà la propria forza lavoro a nuove funzioni integrate con
tecnologie di automazione. Nel 2018, il 71% del totale delle ore di lavoro coperte dalle 12 industrie prese a riferimento per l’analisi erano gestite da persone fisiche, rispetto al 29% a carico di sistemi automatici. Per il 2022, però, è previsto che il 58% del lavoro sarà assolto da persone e il 42% da macchine. Mentre in termini di totale ore lavorate, comprendendo quindi anche le nuove funzioni generate, i sistemi intelligenti guidati da algoritmi gestiranno lavori addirittura per il 57%. Facile capire, quindi, che assieme a un incremento del tasso tecnologico servano anche com- petenze adeguate. Le aziende, quindi, dovrebbero chiedersi: allo stato attuale quanti dei miei dipendenti sarebbero in grado di compiere il salto di qualità? E quanti, invece, sono destinati a rimanere a casa? Non è facile rispondere a questa domanda, ma la competizione costringerà prima o poi tutti a considerare queste due alternative.
CI VUOLE INCENTIVATION
Come fare, quindi, per migliorare il livello di formazione nelle im- prese italiane? In Francia, per esempio, esiste il Compte personnel de formation, un incentivo che garantisce a ogni lavoratore 500 euro l’anno da spendere in formazione, anche online o durante l’orario di lavoro (ma concordandola con l’impresa). Il Compte si attiva tramite una app da scaricare sullo smartphone. Nel 2018 la misura è costata 750 milioni di euro, gestiti dalla Cassa depositi e prestiti francese. Visto che il dopo coronavirus dovrebbe essere ampiamente finanziato con fondi europei, perché non pensare a un’iniziativa simile?
FONDI INUTILIZZATI
Copiare chi riesce meglio è sempre una buona idea: in Francia fino al 2014 vigeva un obbligo di spesa in formazione del 2% del monte salari per le aziende sopra i dieci dipendenti. D’accordo, ora sarebbe troppo impegnativo per le imprese. Ma forse una via di mezzo, magari con il contributo della citata Anpal, potrebbe starci. Le aziende italiane, inol- tre, possono anche destinare la quota dello 0,30% dei contributi versati all’Inps a uno dei 19 fondi esistenti e avere accesso a finanziamenti per formare i propri dipendenti. Questi fondi coprono circa 1 milione di imprese e una platea potenziale di 10 milioni di lavoratori. E con la gestione di circa 600 milioni di euro ogni anno rappresentano il più importante canale di finanziamento per la formazione continua in Italia. Eppure, i fondi sono ancora poco utilizzati, soprattutto tra le aziende di piccole dimensioni. Solamente il 6,2% delle piccole imprese (tra i 10 e i 19 dipendenti) li utilizza per finanziare la formazione, contro il 64,1% delle imprese con più di mille dipendenti. Anche perché, bisogna aggiungere, pochi conoscono la loro esistenza. D’altra parte, l’esistenza stessa dei fondi è ancora poco nota alle piccole imprese e, comunque, i contrubuti non coprono tutti i costi della formazione ma, in media, solo il 65%. Va messo in conto anche un costo indiretto, dato che le micro imprese della distribuzione, che hanno in media pochi dipendenti, non riescono a staccare qualcuno dal bancone per fargli seguire i corsi. Da sottolineare anche che il 30% delle attività finanziate dai fondi riguardano la formazione obbligatoria, come le competenze per salute e sicurezza sul lavoro, mentre solo poco più del 3% è diretto allo sviluppo delle competenze per il mondo del digitale. Eppure per le imprese, che siano della distribuzione o della produzio- ne, non c’è altra strada: far studiare i propri dipendenti. E, magari, potrebbe approfittarne per imparare qualcosa anche l’imprenditore.