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Living Future EuropE Trasparenza certificata

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L I V I N G F U T U R E E U R O P E

Trasparenza certificata per i prodotti edili

Si chiama Declare e riporta l’elenco delle sostanze chimiche codificate internazionalmente. È la prima dichiarazione volontaria dei produttori sui loro materiali, per soddisfare una duplice esigenza: la chiarezza di informazioni da parte della committenza, ma anche la sostenibilità certificata

di Valentina Anghinoni

Se mbrerebbe un paragone scontato, se non fosse che l’argomento in questione riguarda un cambiamento delle abitudini di consumo che ha totalmente rivoluzionato il marketing e le vendite del settore alimentare nel nostro contesto culturale. Stiamo parlando dell’esigenza del consumatore, diffusa sempre più su larga scala, di orientare i propri acquisti in base alla risposta che i prodotti sanno offrire a tre domande fondamentali. Ovvero, da dove viene questo prodotto? quali ingredienti contiene? come è possibile smaltirlo alla fine del suo utilizzo? Sono gli stessi quesiti ai quali più di 800 prodotti per edilizia etichettati Declare hanno risposto, grazie a questo strumento messo in campo dall’International Living Future Institute (ILFI), ente statunitense attivo nel promuovere la transizione dell’edilizia verso un modello sempre più rigenerativo, spiega Carlo Battisti, presidente di Living Future Europe (l’affiliata europea di ILFI), nonché consulente per l’innovazione sostenibile e Project Manager.

Domanda. Declare è la prima etichetta di prodotto pensata appositamente per i materiali per le costruzioni: di che cosa si tratta?

Risposta. È una piattaforma di trasparenza e database di prodotti, che si propone di rivoluzionare il mondo dei materiali per l’edilizia e il design. È pensata per fornire all’architetto, progettista e in ultima istanza anche al cliente finale, informazioni chiare e precise sulla composizione di un determinato prodotto e il suo effettivo impatto sull’ambiente. Una vera etichetta, in cui vengono indicati tutti i componenti chimici utilizzati, per esempio, per una finestra, un mattone o un pavimento, con un dettaglio di peso che arriva fino a 100 parti per milione, ovvero lo 0,01%. Ogni elemento al di sopra

Carlo Battisti, presidente di Living Future Europe. A destra, Phipps Center for Sustainable Landscapes, Pittsburgh (Pa). Photo courtesy © The International Living Future Institute

di questa percentuale deve essere dichiarato. La piattaforma Declare contiene l’elenco completo delle sostanze chimiche codificate internazionalmente, secondo i due maggiori sistemi di classificazione: il Cas (Chemistry Abstract Service) americano e l’Ecics (European Customs Inventory of Chemical Substances) europeo. In più, bisogna specificare la provenienza di ogni componente chimico, la riciclabilità del prodotto e, a breve, anche le informazioni sulle emissioni di CO 2 in fase di produzione. Le sostanze considerate nocive (il cui elenco è contenuto in una cosiddetta Red list) saranno evidenti nell’etichetta disponibile secondo tre livelli di salubrità, permettendo di conoscere in maniera esatta e immediata quanto un prodotto impatta sull’ambiente, quanto è riutilizzabile e quanto è salubre per salute degli utenti.

D. Come è stato recepito questo strumento dal mondo della produzione?

R. Ci sono più di 800 prodotti etichettati nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Australia e Nuova Zelanda, dove questa esigenza è molto sentita per promuovere i prodotti locali. In Europa abbiamo più di 60 prodotti etichettati. Quindi, è una realtà nuova e innovativa che si sta sviluppando e che speriamo prenda sempre più piede tra i produttori, visto che rappresenta una chiara volontà di trasparenza in un mercato spesso ancora ambiguo.

Basti pensare alla miriade di nomi e sotto-nomi commerciali di determinate sostanze che rendono difficile comprendere che cosa ci sia davvero all’interno di un prodotto. Declare è uno strumento progettuale che favorisce la sostenibilità come parametro di scelta qualitativa sui materiali e prodotti da impiegare in un progetto, riconosciuto da certificazioni di sostenibilità come Living Building Challenge, Leed e Well.

D. Qual è la visione di edilizia promossa dal protocollo di certificazione Living Building Challenge?

R. La visione si collega molto a quella della progettazione biofilica - che punta a riconnettere gli esseri umani con la natura nell’ambiente costruito (vedi Speciale Biocasa su YouTrade 111 ndr) - della quale si parla molto in questo momento, ma che in realtà è un concetto, oltre che una prassi, esistente da molto tempo, già parte della tradizione costruttiva italiana. Trovandoci nell’ambito dell’edilizia rigenerativa, divulghiamo la metafora dell’edificio come un fiore, o come un albero, entità radicate e dunque che non si muovono, eppure vivono: se ci pensiamo è una connotazione significativa che implica essere in relazione con l’ecosistema circostante, naturale e costruito. In questa visione, l’edificio è dunque perfettamente integrato con il luogo in cui si trova e riesce a essere autosufficiente dal punto di vista delle risorse, restituendo all’ambiente circostante

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The Bullitt Center, Seattle (Wa) Photo courtesy © The International Living Future Institute

ciò che preleva, in maniera armoniosa, efficiente e bella. La bellezza è un altro elemento fondamentale di questa visione perché incide sul benessere delle persone. La Challenge, a cui fa riferimento il protocollo è una vera e propria sfida, aperta agli architetti, ingegneri e a tutta la filiera delle costruzioni.

D. Il protocollo Living Building Challenge è adatto solo per le nuove costruzioni o ha una portata più ampia?

R. Il protocollo riguarda sia le nuove costruzioni, sia le ristrutturazioni, anche su spazi ridotti. Per esempio, se si vuole intervenire in un negozio, magari all’interno di un edificio commerciale. In realtà, la portata della sfida Living Building è molto più ampia, perché può e deve coinvolgere anche gli spazi urbani: quelle che il nostro Istituto definisce Living communities. In tal caso la metafora dell’edificio come fiore si allarga a livello di comunità, quartiere e città, in cui gli edifici sono collegati tra loro esattamente come gli alberi di una foresta. A questo proposito, è interessante il concetto di scale jumping (termine che indica l’uscire dai confini propri di uno specifico contesto per trovare soluzioni più efficienti ndr), per cui nel caso non sia possibile realizzare un edificio completamente autosufficiente si può pensare di progettare un cluster di edifici che insieme raggiungano un bilancio positivo, per esempio, grazie a un bacino di biofiltrazione delle acque grigie o un impianto fotovoltaico comune.

D. Un simile approccio implica un cambio di paradigma del settore delle costruzioni?

R. È un approccio dirompente, diverso da quello a cui si è abituati: presuppone una collaborazione sinergica fin dall’inizio del progetto, cosa che non è affatto banale. Per questo i nostri consulenti per prima cosa si occupano di formare e mettere in comunicazione il gruppo di progettisti, il proprietario, il gestore dell’edificio, fino all’impresa di costruzioni. Ciò permette di trovare le soluzioni più efficaci alle problematiche di cantiere, ottimizzare i processi e evitare gli sprechi, aumentando l’efficienza e l’efficacia dei vari interventi. Diversamente da ciò che accade in quella che possiamo definire come filiera a cascata, nella quale ognuno è cliente o fornitore di chi lo precede o lo segue e dove ognuno lavora in maniera isolata.

Si tratta di un processo integrato che applicato a ogni passaggio produce l’ottimizzazione complessiva che tutti auspichiamo.

D. La distribuzione edile qualificata può diventare un veicolo per promuovere l’idea di un’edilizia sostenibile e di un nuovo modo di costruire?

R. Certo, la mia impressione è che la rivendita edile sia piuttosto sottovalutata nei termini dell’impatto che può avere dal punto di vista culturale e della trasformazione dei processi. Non è sempre vero che i distributori vendono solo ciò che i grossi player sono in grado di imporre loro dal punto di vista commerciale: se la rivendita è il tramite tra la produzione e l’architettura, la progettazione e l’utenza finale, allora è sicuramente un anello importante e, se in grado di fornire una consulenza di qualità, penso che questo canale possa essere molto potenziato nella direzione dell’edilizia sostenibile. Chiaro che, a monte, il rivenditore deve fare delle scelte sui materiali e sistemi da proporre ai propri clienti.

D. Qual è, invece, il ruolo della produzione?

R. Noi puntiamo molto a orientare la produzione perché così è possibile ottenere un grande impatto sulla qualità dell’intera filiera. Non ci sono materie prime scartate a priori, ma sono selezionate in base al livello di salubrità che sono capaci di offrire, specie per gli

ambienti indoor, anche dal punto di vista strettamente industriale. Conoscendo la portata dell’impatto che il mondo delle costruzioni ha sulla produzione di emissioni di anidride carbonica, bisogna agire sia sui prodotti che sugli edifici, quindi non solo usare strategie progettuali volte alla sostenibilità ma anche materiali virtuosi, riciclabili e con filiere certificate.

D. Il superbonus 110% si propone di riqualificare il patrimonio edilizio attraverso l’utilizzo di materiali e soluzioni tecniche altamente prestazionali e di qualità. Può rilanciare e dare una spinta forte all’edilizia sostenibile?

R. È un discorso complesso, con tante sfaccettature. In linea di massima sì, perché ammettere un rimborso del 110% per ristrutturare è un messaggio molto forte, in un mercato in cui il problema maggiore spesso riguarda la liquidità e i finanziamenti. Però, come sappiamo, il diavolo si nasconde nei dettagli, in questo caso nella burocrazia. Per esempio, per realizzare un progetto di rivestimento a cappotto per ottenere il bonus 110%, un progettista deve compilare molti documenti diversi. Questo non va bene. Poi, c’è un focus sulla salubrità e la sostenibilità dei materiali? È corretto mettere in moto il settore delle costruzioni in questo periodo economico così complicato, oltre a migliorare le prestazioni energetiche degli

Etsy headquarters, Brooklyn - NYC Photo courtesy © The International Living Future Institute

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edifici. Ma altrettanto essenziale dovrebbe essere non puntare solamente sul minor prezzo e su materiali scadenti e di derivazione fossile. La nostra missione complessiva è di eliminare questa fonte non rinnovabile che continua a rilasciare quantità enormi di CO 2 nell’atmosfera, per iniziare un nuovo ciclo finalmente rigenerativo, l’unico in grado di assicurare il benessere per le generazioni future.

D. Qual è il rapporto con la tecnologia?

R. Con il covid ci siamo resi conto, intrappolati nelle nostre abitazioni, che il comfort delle nostre case incide in maniera significativa sulla nostra salute. La pandemia ha sicuramente suscitato nelle persone una serie di riflessioni su quanto sia importante vivere in un ambiente salubre e contenente elementi naturali, al punto che anche architetti e progettisti hanno reimpostato alcuni parametri per venire incontro a queste rinnovate istanze.

D. In sintesi, qual è l’identità e l’attività di Living Future Europe in riferimento al settore dell’edilizia e delle costruzioni sostenibili?

R. Living Future Europe fa riferimento a una realtà di respiro internazionale, l’International Living Future Institute (Ilfi), che nasce di fatto per la promozione della certificazione Living Building Challenge, un’idea nata nel 2006 da Bob Berkebile e Jason McLennan, rispettivamente architetto e designer promotori e pionieri dell’edilizia sostenibile negli Stati Uniti. Insoddisfatti dei protocolli di sostenibilità già esistenti, si sono attivati per creare

UniverCity Childcare Centre, Burnaby, BC, Canada Photo courtesy ¬© The International Living Future Institute un protocollo che fosse il più possibile olistico e rigenerativo, sostenibile a tutto tondo. Il protocollo Living Building Challenge, negli anni, ha continuato a svilupparsi dal punto di vista tecnico e commerciale sotto l’egida di ILFI (con sede a Seattle). Esiste anche il Living Future Institute of Australia mentre a Bolzano c’è appunto la sede di Living Future Europe. Il network conta inoltre nel mondo circa 130 community denominate Collaborative, tra le quali c’è anche il LF Italy Collaborative. Sostanzialmente, si tratta di gruppi locali che su base volontaria agiscono per promuovere lo sviluppo dei nostri programmi. D. Quali figure del settore delle costruzioni ne sono coinvolte? R. Soprattutto dal mondo dell’architettura e dell’ingegneria, ma in realtà lavoriamo con tutta la filiera delle costruzioni e anche con sviluppatori immobiliari, enti pubblici, scuole, organizzazioni non governative e le grandi società. Insomma, da chi progetta e sviluppa gli interventi, a chi li realizza e li finanzia. Alcuni progetti sono diventati iconici: abbiamo superato il numero di 700 progetti registrati nel mondo di cui circa 130 certificati (il numero è sempre molto più basso rispetto a quelli registrati, perché il nostro protocollo richiede per la certificazione un monitoraggio dell’edificio di almeno dodici mesi dalla fine del completamento del cantiere, per capire se le prestazioni effettive ne rispettano i parametri). Tra le fila dei nostri clienti si annoverano anche alcuni giganti del tech come Google, Microsoft, Amazon e Salesforce. Per esempio, con Google abbiamo due progetti certificati, la ristrutturazione dei loro uffici a Chicago o i nuovi uffici a Londra, con Amazon stiamo collaborando per certificare il primo stadio sportivo al mondo a zero emissioni di CO 2 , la Climate Pledge Arena di Seattle (Washington). Stiamo assistendo il gruppo Salesforce per la certificazione Zero Carbon del loro nuovo campus a Dublino. E anche Microsoft ha adottato i nostri programmi per i loro prossimi edifici, compreso il nuovo campus a Mountain View (California), nella Silicon Valley. Quindi stiamo lavorando con grossi player dell’economia che hanno scelto di investire nelle costruzioni rigenerative secondo il modello che noi proponiamo.

D. Qual è invece la diffusione dei vostri standard in Italia?

R. In Italia siamo ancora molto all’inizio. Non solo perché c’è molta diffidenza verso il nuovo, ma principalmente perché si perde di vista quello che è il vero obiettivo, che per noi è molto chiaro: rendere davvero sostenibile il mondo costruito, che ha un impatto enorme sull’inquinamento ambientale. Per arrivare, come indicato dagli obiettivi internazionali dell’Onu e da quelli europei descritti nel Green Deal, alla decarbonizzazione completa prima del 2050. Tecnicamente e finanziariamente è possibile, i risultati che stiamo ottenendo con i nostri progetti lo dimostrano sulla base di prestazioni reali, grazie agli almeno dodici mesi di monitoraggio richiesti. Verifica indispensabile per capire come gli edifici, al di fuori dalla teoria, si comportano dal punto di vista prestazionale e come essi reagiscono ai comportamenti quotidiani degli utenti che li utilizzano. Caratteristica che rende nostro protocollo Living Building Challenge il più stringente, avanzato e dunque sostenibile, al mondo.

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