Librosolidale 2005/6

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Milano


“E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te: non sciuparla�



Xmas Project

Xmas Project è il regalo che vogliamo farci a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i Natali. Ci siamo regalati un’idea, la speranza e il coraggio di farla diventare realtà. Le abbiamo dato un nome, Xmas Project, l’abbiamo fatta diventare Associazione, le abbiamo consegnato un compito da portare a termine; faremo un libro, diverso ogni anno. Tutti coloro che desiderano farsi questo regalo: sono loro il Xmas Project. L’idea nasce dalla necessità di dare una soluzione a un vecchio disagio, a un bisogno che non aveva ancora trovato risposta: il disagio del regalo inutile, della forma che ha perso significato, del piacere di donare divenuto sterile. Tutti noi facciamo regali diversi, in occasione del Natale: regali colmi di affetto, regali innamorati, regali pazientemente cercati, regali che non potevamo non fare, regali riciclati, regali “socialmente corretti”, regali di rappresentanza, regali frettolosi. Mille regali. Tanti soldi. Un vecchio e trito discorso. Che si lega a un’altra, solita, considerazione: l’inimmaginabile divario fra il tanto che noi sprechiamo e il poco che altri non hanno. Xmas Project si sostituisce al regalo di Natale, diventa dono, si fa libro che propone un’idea e che contemporaneamente la realizza. Perché il libro racconta di se stesso, del progetto di aiuto che, con i suoi proventi, riesce a realizzare e raccoglie i volti, le frasi, i disegni, le speranze di tutti coloro che hanno contribuito ad esso. Puoi scegliere anche tu di regalare e regalarti il Xmas Project, è molto facile: basta credere in un progetto di solidarietà; scegliere all’interno della tua cerchia di parenti, amici, conoscenti, clienti i destinatari di questo dono; quindi acquistare le copie del Librosolidale, alla cui realizzazione hai partecipato con un tuo segno, e contribuire così alla realizzazione del progetto, da un lato finanziandolo, dall’altro diffondendolo. Milano, settembre 2001


In questi anni abbiamo un po' conosciuto, attraverso il nostro libro, Paesi distanti, bellissimi e pieni di contraddizioni. Abbiamo finanziato progetti che portavano un segnale concreto di speranza e di aiuto a comunità di esseri umani che vivono a migliaia di chilometri da noi. Abbiamo cercato di non essere indifferenti verso la sofferenza e il bisogno di chi vive in quella gran parte di mondo che non conosce l'opulenza e il benessere del cosiddetto Occidente. Tutti voi, che negli anni ci avete sostenuto, avete cercato di non essere ciechi verso ciò che non sta sotto i vostri occhi tutti i giorni; avete voluto non essere sordi alle richieste di chi normalmente non ha neanche i mezzi e la possibilità di farsi sentire da qualcuno. Il Xmas Project ha quindi rappresentato in questi anni un piccolo ma importante segno di vicinanza verso i bisogni di chi ci è lontano. Quest'anno invece, vogliamo esprimere la nostra indignazione verso l'ingiusta sofferenza di persone che ci sono molto vicine, che vivono e condividono con noi ogni giorno le nostre strade, che respirano la nostra stessa aria. “Così lontano, così vicino”: è il tema dei contributi di questo libro, ma è anche la riflessione che ci ha portato a scegliere questo bellissimo progetto a “casa nostra”. Non vogliamo essere colpevolmente indifferenti alla richiesta di aiuto di chi ci circonda. Non vogliamo voltare il viso dall'altra parte, alzare il finestrino dell'auto, cambiare lato della strada. Non solo. L'occuparci di ciò che ci circonda ci chiama, se possibile, a un impegno ancora maggiore rispetto al semplice realizzare qualcosa di concreto. Ci chiama cioè ad alzare la nostra voce verso le istituzioni; ci sollecita a richiedere soluzioni sistemiche, organiche e durature a problematiche verso le quali inevitabilmente il nostro progetto non può che offrire una parziale e momentanea risposta. Lo sappiamo bene, la politica in Italia spesso non funziona e quasi sempre quando elabora soluzioni, lo fa con colpevole ritardo. E di tale ritardo siamo spesso un po' tutti corresponsabili con il nostro pessimismo, con la nostra rassegnazione, con il nostro silenzio. Non è così e non deve essere così. Non dobbiamo essere pessimisti verso la possibilità di risolvere i problemi: possono esistere soluzioni per l'inquinamento e per la crisi economica, così come esistono modalità per garantire umanità a chi viene a cercare un lavoro e una nuova vita in Italia. Non dobbiamo essere rassegnati verso l'inerzia della politica: solo se la collettività fa sentire forte la sua richiesta di soluzioni la politica prende decisioni. Altrimenti preferisce “governicchiare”, senza scontentare nessuno. Non dobbiamo quindi restare in silenzio, ma indignarci e alzare la voce. Questo libro, quest'anno, sarà il nostro e il vostro modo per farci sentire. Ovunque pensia-

Per affrontare il delicato tema in questione, quest'anno abbiamo raccolto gli scritti di giornalisti professionisti: Candido Cannavò, che non ha bisogno di presentazioni, Antonia Jacchia ed Elisabetta Soglio giornaliste del Corriere della Sera, Teresa Monestiroli giornalista de La Repubblica. Li ringraziamo di cuore. Le immagini dell'asilo Giramondo sono di Alessandro Trovati, noto mago dello scatto, che da sempre ci supporta. Quelle che corredano la parte iniziale del libro sono invece di Francesco Giusti, fotogiornalista indipendente. Sono state scattate a Milano, anche se sembra incredibile. Sono foto di immigrazione irregolare, di clandestinità, un “passaggio” purtroppo spesso obbligato, anche per chi viene in Italia con la sola intenzione di lavorare. Sebbene il Xmas Project di quest'anno, “Chiedo asilo a Milano”, non sia specificatamente rivolto alle persone che vivono nella drammatica situazione della clandestinità, abbiamo ritenuto opportuno utilizzare queste foto, che documentano le condizioni di vita di migliaia di essere umani, colpevo-

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Romania, Niger, Colombia e Nepal: il Xmas Project dopo aver percorso una sorta di ideale viaggio intorno al mondo, torna a casa. In Italia, a Milano.

te che ci sia un orecchio che possa o debba ascoltare, fate arrivare questo messaggio, fate arrivare il nostro Librosolidale.

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Natale 2005, Milano - Italia

Per il quinto anno, buon Natale.

Indice Progetto 2005: Chiedo asilo a Milano

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Il budget

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Noi, Xmas Project 2005

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I nostri progetti: Romania 2001, Niger 2002, Colombia 2003, Nepal 2004 87 Xmas Project 2006: segnalateci i vostri progetti

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Il progetto 2005 “L'immigrato esiste solo per difetto nella comunità d'origine e per eccesso nella società ricevente, generando periodicamente in entrambe, recriminazione e risentimento”. P. Bordleu, L. Wacquant, ETHNOGRPHY 1-2, 2000.

Nella maggioranza dei casi, l'immigrazione è segnata da rotture sociali, affettive, culturali con i paesi d'origine, con la comunità di appartenenza, con i legami e le relazioni di parentela; quasi sempre l'immigrazione è determinata dall'assenza di prospettive economiche e sociali. L'arrivo nei paesi d'immigrazione coincide spesso con un lungo periodo di difficoltà caratterizzato dalle esclusioni praticate nell'ambito della lingua, della cultura, della cittadinanza e, infine, dalla paura dell'espulsione che accompagna sempre l'esistenza del clandestino. L'immigrato irregolare vive una

condizione emotiva di doppia assenza: assente dalla comunità di provenienza e assente dalla società che lo riceve in quanto escluso e non ancora integrato. Il percorso di integrazione, inoltre, è lungo e insidioso. Vivere in condizioni di illegalità significa essere facili prede dell'alcolismo, della depressione e della criminalità. A Milano molti immigrati clandestini sono costretti a vivere e nascondersi nelle aree dismesse della periferia, spesso in quelle fabbriche, oggi abbandonate ed inquinate, che in passato erano il vanto della produzione industriale del Nord Italia. Le nuove leggi in materia di immigrazione renderanno il futuro di queste persone sempre più difficile ed incerto. Francesco Giusti www.francescogiusti.net


Il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e non possiede né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità" ... solo il bene ha profondità e può essere integrale. Hannah Arend, “La banalità del male”


Dal 1970 ad oggi in Italia si è passati da meno di 100 mila a quasi 3 milioni di stranieri. 1

La Caritas italiana, nel proprio Dossier sull'immigrazione, in base ai dati raccolti dal 1970 ad oggi, sottolinea come l'immigrazione nel nostro paese debba essere considerata un fenomeno strutturale. I dati disponibili non esauriscono il quadro complessivo del fenomeno. L'Archivio del Ministero degli Interni, infatti, non registra autonomamente i minori se non in minima parte, quando hanno compiuto il quattordicesimo anno di età o quando si ricongiungono ai genitori già soggiornanti in Italia. Inoltre vi sono annualmente decine di migliaia di nuovi nati in Italia, anch'essi destinati ad avere una loro evidenza statistica, seppure non sistematicamente, solo dopo i 14 anni.2 La crescita esponenziale del fenomeno migratorio, cominciato quindi da parecchi anni in Italia, ha comportato, alla fine

degli anni Novanta, il consolidamento di una significativa presenza di cittadini immigrati. Questa presenza non è più disorganica, ma articolata in gruppi familiari. Infatti, nel corso di questi anni, si è giunti ad una “normalizzazione” dal punto di vista demografico della popolazione immigrata, con una sostanziale equivalenza numerica dei due sessi, una prevalenza dei coniugati sui celibi e sulle nubili, un'elevata incidenza dei minori (un quinto dei residenti) e un consistente numero di nati da entrambi i genitori stranieri. I due terzi degli stranieri che giungono nel nostro paese lo fanno per motivi di lavoro, quasi un quarto per motivi di famiglia: queste due cause di immigrazione configurano circa il 90% delle presenze e mostrano una fortissima tendenza all'insediamento stabile. Quasi la metà degli immigrati nel nostro paese è di provenienza europea (47,9%, di cui il 7% cittadini comunitari), seguiti da cittadini di origine africana (23,5%) e asiatica (16,8%) per finire con coloro di origine

1,2 Fonte: anticipazioni “Dossier statistico immigrazione 2005” a cura della Caritas italiana e della Fondazione Migrantes. 3 Fonte: “Dossier statistico immigrazione 2004” a cura della Caritas italiana e della Fondazione Migrantes.


Etnie in arrivo per lavoro: rumeni (40% dei visti); poi Albania, Marocco e Polonia (tra il 15% e il 10%). Etnie in arrivo per ricongiungimenti familiari: Marocco e Albania (3.000 visti cad.), Romania (8.000), Cina (7.000) e poi India, Ucraina, Serbia-Montenegro, Bangladesh, Macedonia (3.000). Stranieri laureati: 12.1% (Italiani 7,5%) Stranieri diplomati: 27,8% (Italiani 25,9%) Quota ufficiale 2005: 179.000 nuovi lavoratori. Arrivi irregolari, paesi più coinvolti: Egitto, Corno d'Africa, Sudan, Sierra Leone, Burkina Faso, Nigeria, ma anche Bangladesh e Pakistan. Modalità arrivo irregolari: 90% via mare. Ormai quasi esclusivamente le coste siciliane. Provvedimenti di allontanamento dall'Italia: circa 105.000 (stabile vs. 2003). Quota di rimpatri effettivi: 56,8% (61,6% nel 2003). Italiani preoccupati dall'immigrazione: 10% (4% Francia, 6% Germania, 14% Olanda, 17% Austria, 29% Inghilterra) Opinione pubblica europea che ritiene insufficiente il grado di integrazione degli immigrati nelle città: 47% Fonte: Caritas, Dossier statistico per il 2005. “Immigrazione e globalizzazione”, 15a edizione del Rapporto. * Fonte: "The world factbook 2005" – Central Intelligence Agency

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DATI E NUMERI Nazione: Italia. Abitanti: 58.103.033 Di cui stranieri: 2.800.000 (4,8%). Età media: 41,77* Aspettativa di vita: 79,68* Mortalità infantile (ogni 1.000 nati vivi): 5,94* PIL pro capite ($): 27.700* Tasso di disoccupazione: 8,6%* Popolazione sotto il livello di povertà: 13,2%** Nascite di stranieri: 48.238 pari all'8,6% totale (nel 2000 erano il 4,8%) Posizione nell'UE per presenza di stranieri: terzi. Dopo Germania (7,3 milioni di immigrati) e Francia (3,5 milioni). Alla pari con Spagna e Gran Bretagna. Provincie con più stranieri: Roma (340.000), Milano (300.000), Torino e Brescia (100.000). Distribuzione immigrazione: Nord 59%, Centro 27%, Sud e isole 14%. Motivi del soggiorno: 9 su 10 in Italia per lavoro o per ricongiungimento familiare. Afflusso nel 2004: 131.000 Motivi di afflusso nel 2004: 109.000 per lavoro (di cui 77.000 stagionali), 87.000 per motivi familiari, 6.000 per motivi religiosi, 5.000 per studi universitari e meno di 1.000 per residenza elettiva.

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Italia


FILIPPINE

EGITTO

Mortalità infantile (ogni 1.000 nati vivi): 23,51 PIL pro capite ($): 5.000 Tasso di disoccupazione: 11,7% 24.024 residenti a Milano nel 2004

Mortalità infantile (ogni 1.000 nati vivi): 32,59 PIL pro capite ($): 4.200 Tasso di disoccupazione: 10,9% 18.518 residenti a Milano nel 2004

138.775 stranieri a Milano. dati 2004 Ufficio Stranieri, Comune di Milano e "The world factbook 2005" – Central Intelligence Agency

ECUADOR

SRI LANKA

Mortalità infantile (ogni 1.000 nati vivi): 23,66 PIL pro capite ($): 3.700 Tasso di disoccupazione: 11,1% 10.505 residenti a Milano nel 2004

Mortalità infantile (ogni 1.000 nati vivi): 14,35 PIL pro capite ($): 4.000 Tasso di disoccupazione: 7,8% 8.692 residenti a Milano nel 2004


PERÙ (ogni 1.000 nati vivi):

31,94 PIL pro capite ($): 5.600 Tasso di disoccupazione: 9,6% 12.627 residenti a Milano nel 2004

CINA Mortalità infantile

(ogni 1.000 nati vivi):

24,18 PIL pro capite ($): 5.600 Tasso di disoccupazione: 20% 11.513 residenti a Milano nel 2004

E voi, non vi muovereste?

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Mortalità infantile

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Questi otto sguardi sono di Alessandro Trovati.

MAROCCO Mortalità infantile

(ogni 1.000 nati vivi):

41,62 PIL pro capite ($): 4.200 Tasso di disoccupazione: 12.1% 5.302 residenti a Milano nel 2004

ROMANIA Mortalità infantile

(ogni 1.000 nati vivi):

26,43 PIL pro capite ($): 7.700 Tasso di disoccupazione: 6.3% 4.617 residenti a Milano nel 2004



“Cara Milano, tra tanti progetti per il tuo futuro di grandezza, deve essercene uno primario e solenne: dare dignità di vita a persone che ti hanno scelto come approdo...”

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La culla, la cesta per l'auto, il marsupio per le prime passeggiate a contatto con la mamma, piccole giostre colorate che attirano il suo sguardo, musiche celesti che le danno del mondo una visione dolcissima e poi un corredo nel quale tutta la generosa fantasia della parentela multinazionale si è scatenata. Un bel modo di diventare nonni. Due squilli del telefonino spezzano l'estasi. In genere sono brutte notizie, non certo per colpa dell'agenzia giornalistica cui sono collegato. Il solito barcone in balìa delle onde a qualche miglio da Lampedusa. Ci sono dei poveracci finiti in mare, o forse anche buttati. Ci sono anche donne con bambini. Una di esse è incinta. Da un mare della stessa Europa, emerge l'altro mondo, quello della disperazione con tutto il suo senso di immane ingiustizia. Vedendo la nostra bambina immersa nelle delizie, come fai a non pensare a quelle creaturine che sono arrivate dallo stesso cielo e forse vi torneranno prestissimo? Ecco il dramma che ci portiamo dietro noi occidentali, tra becere reazioni, inestinguibili tristezze, qualche rimorso e soprattutto con un senso di impotenza al quale bisogna ribellarsi. Quando sento dire “il mondo è sbagliato, cosa possiamo farci noi?", la mia reazione è sempre uguale: “Proviamo a fare qualche piccola cosa". E allora se uno degli amici che si sono raccolti attorno a questo giornale mi descrive l'idea di finanziare un asilo che possa accogliere bambini arrivati da terre lontane, senza diritti e

senza prospettive, io lo guardo con occhi dolci e mi lascio catturare con il massimo della disponibilità e della gioia. E in partenza gli dico “grazie". Gli anni, i viaggi, le esperienze umane e professionali, anche nel carcere milanese di San Vittore del quale sono diventato amico e dove ci sono anche dei bambini, mi hanno dato una ferma convinzione: nel mondo ingiusto, sbagliato e incorreggibile in cui viviamo, la solidarietà non è un optional, ma un dovere che deve attrarci ogni giorno. Noi occidentali siamo alle prese con l'emergenza obesità, mentre in tre quarti del mondo si lotta per la sopravvivenza e milioni di bambini muoiono per denutrizione. Non poniamoci troppe domande, non cerchiamo alibi, non ascoltiamo i fanatici e biechi difensori dei nostri privilegi: facciamo qualcosa con affetto, anche una piccola cosa. Quest'asilo da finanziare a Milano è molto di più di una piccola cosa. Oltre agli effetti pratici, dare cioè una speranza a creature innocenti, ha la forza poderosa dell'esempio. Cara Milano, tra tanti progetti per il tuo futuro di grandezza, deve essercene uno primario e solenne: dare dignità di vita a persone che ti hanno scelto come approdo, sulla spinta della loro disperazione. Sogno un sindaco che, appena eletto, annunci come punto-cardine del suo programma: “Vogliamo creare centomila nuovi milanesi, che ci daranno ricchezza: non profughi, ma cittadini. Casa, lavoro, scuola e assistenza per i loro figli”. Se questo sindaco arrivasse, lo bacerei in fronte e gli chiederei di arruolarmi nel suo progetto. Nell'attesa, amici miei di strada: mi arruolo con voi.

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La nipotina che è nata a Londra, italiana di madre e inglese di padre, è avvolta in un tripudio rosa...


Immigrazione: una risorsa necessaria Presentando il dossier monsignor Francesco Montenegro, presidente della Caritas italiana, ha bocciato i Centri di Permanenza Temporanea. “Non abbiamo mai creduto, e i numeri ci danno ragione sia in Italia sia nell'Unione europea, che la repressione da sola sia una soluzione”. Montenegro si è detto “turbato” nel leggere “i resoconti sui traffici di manodopera, sui rimpatri nei paesi convenzionati, sui soggiorni nei Centri di permanenza temporanea”. Di fronte a questa grave situazione, “continuiamo ad auspicare che le disposizioni di contenimento dei flussi non abbiano mai a ledere diritti personali”.

Si dice immigrato e si pensa al lavavetri all'angolo della strada, al “vu cumprà” o peggio al borseggiatore sul tram. Paura del diverso. Accompagnata a un senso di minaccia. Si teme che l'extracomunitario in cerca di lavoro e di un po' di serenità nel nostro Paese, ci porti via qualcosa. Ma la realtà è ben diversa. E a parlare sono le cifre. Innanzitutto secondo l'annuale dossier della Caritas che fotografa il fenomeno dell'immigrazione in Italia (dal titolo “Immigrazione è globalizzazione”), cresce il numero degli immigrati regolari (a quota 2.800.000). Si tratta di 200 mila persone in più rispetto all'anno scorso, il doppio sul 2000. E un nuovo raddoppio è atteso fra 10 anni quando la popolazione straniera prevista sarà di circa 5 milioni e mezzo. Gli extracomunitari (48,4% sono donne) sfiorano il 5% del totale, in linea con la media europea. E in questo il rapporto sottolinea: “Siamo un grande paese di immigrazione”. Certo, loro attraversano mari e varcano confini con il sogno di una vita migliore.


l'industria: si tratta degli operai che soprattutto nelle fabbriche del Nord vanno a ricoprire quegli incarichi che i giovani italiani non vogliono più svolgere. E non a caso ogni anno, dopo i numeri e le quote della BossiFini, gli imprenditori lombardi ma anche quelli veneti si la men tano di non avere abbastanza manodopera e mi nac ciano di chiudere le aziende. Il 5,9% lavora nell'agricoltura. Prevalgono i contratti a termine e quelli a tempo parziale (e quindi l'insicurezza e la precarietà delle persone straniere) mentre sono ridotti gli impieghi ad alta qualifica (solo 1 su 10, tre volte meno degli italiani). Il primato di contratti a tempo indeterminato spetta ai lavoratori dell'Est Europa (47,4%).

Mezzo milione di donne straniere lavora nelle nostre case come collaboratrici domestiche a fronte delle 100 mila italiane. Ed è questa la voce che cresce di più in termini percentuali: “le collaboratrici familiari”, le addette cioè alle pulizie dei nostri appartamenti ma anche le signore pazientemente impegnate nella cura dei nostri cari, bambini o anziani. L'immigrazione è più concentrata al Nord. La Lombardia si conferma territorio record per la presenza di extracomunitari e Brescia con le sue industrie “ruba” il primato a Milano. Gli immigrati presenti al Centro sono il 27%; si riducono nel Mezzogiorno (14%). Le donne sono 1.350.000. Antonia Jacchia

Gli immigrati sono mediamente più istruiti degli italiani: i residenti stranieri laureati sono il 12,1% mentre tra gli italiani sono solo il 7,5%.

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Ma siamo soprattutto noi ad avere bisogno della loro collaborazione. Andando a prestito da un altro rapporto, questa volta Inps (“Immigrazione, una risorsa da tutelare”) si scopre che contribuiscono alle malconce casse del nostro istituto della previdenza sociale. Tra il 1991 e il 2002 i lavoratori immigrati iscritti all'Inps sono passati da 209.220 a 1.426.391, un aumento di quasi sette volte. Il dossier della Caritas stima che i lavoratori stranieri oggi siano 2.160.000, ossia il 9% delle forze lavoro e che il tasso medio di disoccupazione sia vicino all'8% registrato per gli italiani. Ma cosa fanno? Sono soprattutto dipendenti (quasi la metà dei lavoratori stranieri è impiegato nei servizi), il 44,8% nel-

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1 casa su 8 ha per compratore uno straniero; il 29,9% compra pagando in contanti mentre il restante 70,1% ricorre al mutuo. I mutui ipotecari concessi ad immigrati sono aumentati dal 2001 al 2004 del 66% e i prestiti personali del 40,8%.


A fare la differenza sono i numeri. A spiegarci ogni giorno che bisogna pensare diversamente la società e che è ora di inventare un nuovo modello organizzativo sono gli elenchi degli uffici anagrafe sparsi in tutta Italia. Dove si accavallano, soprattutto nelle regioni del Nord, etnie e lingue, culture e stili di vita, ma anche esigenze e richieste di questa variegata popolazione. Le nuove famiglie del nostro Paese, come ha annunciato l'Istat nel suo ultimo bilancio, provengono da 191 nazionalità diverse: albanesi, marocchini, rumeni e cinesi. E poi i nuovi immigrati dell'Ecuador, le migrazioni dalla A alla Z, dall'Afghanistan e dallo Zimbawe: tutti in cerca di una vita migliore. I numeri fanno la differenza e il peso. L'incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati residenti è passata dal 3,9 per cento del 1999 all'8,6 del 2004. Più che raddoppiata, dunque: con una forbice che in alcune regioni del Nord si allarga ulteriormente. Prendiamo Milano, ad esempio, dove la città è tornata a superare lo sbarramento del milione e 300 mila abitanti, non certo però per merito dei sempre più rari Brambilla, e dove il numero di non italiani sfiora quota 156

mila. O la provincia di Treviso, dove fa bella mostra di sé la scuola di Follina: 194 alunni stranieri su 702, quasi il 30 per cento di chi siede sui banchi. Gli esperti ci spiegano che i dati sull'immigrazione vanno letti “come uno specchio dello sviluppo economico italiano”: si cerca casa, dunque, nel NordEst dove l'industria ha bisogno di manodopera, nelle metropoli dove nessun italiano vuole più fare la badante o il cameriere, nelle regioni del Nord o del Sud dove funziona il lavoro temporaneo e c'è chi raccoglie i pomodori in Sicilia e chi preferisce le mele in Trentino. Comunque la si legga e la si voglia interpretare, la situazione sta richiedendo un impegno agli amministratori e ai politici, chiamati in causa per primi a dare risposte. Lo ammette il professor Giancarlo Martella, assessore allo Stato Civile del Comune di Milano, considerata la capitale italiana dell'immigrazione: «Siamo chiamati ad affrontare i mutamenti della città e a definire un disegno più vicino alle esigenze di chi la abita, offrendo opportunità in tutti i settori, dalla casa alla scuola, dall'assistenza alle nuove religioni». Non è soltanto un problema di sicurezza, insomma, anche se ciascuno reclama il diritto ad una vita serena. Oltre a quello, sono i temi dell'integrazione sociale a preoccupare e dividere le coalizioni. Insomma: come ci si organizza? La questione più consistente nei numeri è quella scolastica.

Nel 2004 più di 280 mila bimbi stranieri hanno frequentato le nostre scuole elementari, pari al 3,5 per cento della popolazione studentesca. Ci sono classi dove il rapporto fra bimbi stranieri e italiani è arrivato a uno a quattro: bisogna insegnare la lingua, conciliare tempi diversi di apprendimento, rispettare religioni diverse, servire in mensa menù differenziati. I problemi si rovesciano sulle spalle degli insegnanti, ai quali sono richieste competenze, professionalità e disponibilità nuove. Per non dire delle questioni legate alle diversità religiose: si discute sull'opportunità di costruire nuove moschee come della possibilità di studiare orari di lavoro che consentano le pause per la preghiera. E c'è il problema della casa, con gli immigrati che occupano gli alloggi pubblici e altri che acquistano nei quartieri di periferia cambiandone l'immagine complessiva. L'elenco prosegue con l'accessibilità ai servizi per chi parla lingue diverse, l'assistenza sanitaria da garantire anche a queste fasce “deboli”, le code interminabili davanti alle Questure per ottenere il permesso di soggiorno. Fino alle svolte epocali, che qualche partito già sollecita: come quella del diritto di voto anche per chi non è italiano. Temi, tutti questi, sui quali è impensabile rinviare ancora una riflessione. Temi che chiedono una decisione condivisa e tempestiva: perché sono i numeri a fare la differenza. Elisabetta Soglio

Come ci si organizza?


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Lo straniero per entrare regolarmente in Italia deve essere in possesso dei seguenti documenti: ■ passaporto o documento equivalente ■ visto d'ingresso. Il visto d'ingresso viene rilasciato dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana presente nel Paese di provenienza se ricorrono i presupposti previsti dalla legge. Le tipologie di visti corrispondenti ai diversi motivi d'ingresso sono: adozione, affari, cure mediche, diplomatico, familiare al seguito, gara sportiva, inserimento nel mercato del lavoro, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, reingresso, residenza elettiva, ricongiungimento familiare, studio, transito, trasporto, turismo, vacanze-lavoro. I visti d'ingresso sono di breve o lunga durata a seconda che consentano soggiorni brevi (massimo novanta giorni) o lunghi (superiori a novanta giorni). Lo straniero entrato in Italia regolarmente deve munirsi entro 8 giorni dal suo ingresso di un permesso di soggiorno richiedendolo

Il permesso di soggiorno così rilasciato consente allo straniero di godere, in maniera differente a seconda del motivo del soggiorno, dei diritti riconosciuti ai cittadini italiani e di accedere ai servizi più importanti. In particolare avrà diritto a: ■ frequentare la scuola dell'obbligo, se minore d'età ■ godere dell'assistenza sanitaria assicurata dal SSN ■ accedere ai servizi sociali e di previdenza sociale ■ accedere ai servizi educativi.


Per l'iscrizione anagrafica gli stranieri devono poter dichiarare un domicilio e quindi avere la disponibilità di un alloggio; inoltre devono presentare: ■ permesso di soggiorno ■ passaporto o documento d'identità.

L'accesso ai servizi educativi o all'Infanzia (tra cui vanno annoverate le scuole materne e gli asili nido) è regolato generalmente dalle normative comunali. Per l'iscrizione agli asili nido comunali sono necessari: ■ certificato di residenza ■ permesso di soggiorno (del genitore su cui il minore viene iscritto) ■ certificato di vaccinazione I bambini stranieri i cui genitori hanno presentato richiesta di iscrizione anagrafica o sono in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno sono inseriti in lista d'attesa per l'accesso alle graduatorie. I bambini stranieri i cui genitori sono sprovvisti di regolare permesso di soggiorno sono inseriti in un apposito elenco a parte e vengono accolti quando possono documentare l'effettiva residenza nel Comune. Per l'anno 2005/2006 le iscrizioni ai nidi d'infanzia sono state regolate dalla Circolare 17/2005 – Settore

Il percorso dello straniero

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sedici | diciassette

Per maggiori informazioni, consultare i siti internet: www.comune.milano.it


Per capire come sarà la Milano del futuro basta entrare in una scuola materna. Qui, ogni giorno, bambini che provengono da tutte le parti del mondo superano con semplicità le differenze di cultura e religione che, talvolta, agli occhi degli adulti risultano insormontabili. Ogni giorno, alunni di italiani e stranieri si tengono per mano senza neanche immaginare che lontano, da qualche parte, qualcuno sta combattendo una guerra per quella diversità nel colore della pelle che loro neanche percepiscono. Ogni giorno bambini di cinque o sei anni scoprono che i compagni di banco pregano un Dio a loro sconosciuto, rispettano rituali che per loro non hanno alcun significato, rinunciano a cibi che sulla loro tavola vengono serviti quotidianamente. Tutto questo, e molto di più, si chiama integrazione: una magia che nelle scuole di Milano si

compie tutte le mattine, silenziosamente. Senza dare nell'occhio. Grazie al lavoro e alla buona volontà degli insegnanti, costretti a fare i conti con finanziamenti che non arrivano, tagli al personale, mancanza di interpreti e traduttori. In molti istituti – specialmente nelle zone a maggior concentrazione di immigrati come Viale Padova e Chinatown – un alunno su tre è straniero, uno su quattro è musulmano. Sono bambini nati nel nostro paese, perfettamente inseriti, ma anche bambini arrivati in Italia grazie ai ricongiungimenti familiari, che entrano nelle classi senza conoscere una parola di italiano. Non a tutti i genitori immigrati però viene offerta la possibilità di far parte di questo piccolo, protetto, paradiso interculturale. E sono ancora tante, troppe, le donne non italiane, spesso sole e in cerca di un lavoro, che non riescono a iscrivere i propri figli nelle scuole materne e negli asili nido. Se, infatti, per quanto riguarda il sistema di istruzione

obbligatorio (elementari e medie) l'inserimento dei bambini in età scolare è obbligatorio – indipendentemente dai documenti presentati – per quanto riguarda le materne e i nidi la condizione indispensabile per poter accedere alle liste d'attesa, senza la certezza di un posto, è di avere un regolare permesso di soggiorno, oltre ai certificati sanitari del bambino. Un'eccezione viene fatta nelle scuole materne statali (a Milano una minoranza) dove molti dirigenti non si formalizzano e, se hanno ancora posti a disposizione, accolgono anche i figli dei clandestini. Ma vediamo i dati. A Milano il numero degli studenti stranieri che frequenta le scuole statali è 35 mila, pari al 7% del totale degli iscritti. Percentuale destinata a crescere ancora (negli ultimi sette anni è raddoppiata) se si pensa che in molte scuole si toccano picchi del 30-40%. I numeri salgono più diminuisce l'età dei bambini: se alle elementari gli stranieri sono


Asili: graduatorie e paradossi diciotto | diciannove

bliche non si avvicinano neanche per la mancanza, appunto, di documenti in ordine. E anche quando questi sono a posto, l'iscrizione è un vero e proprio percorso a ostacoli. Un complicato sistema di punti stabilisce l'ordine dei bambini in graduatoria e, paradossalmente, una coppia di genitori che lavora ha un punteggio maggiore di una mamma sola senza impiego: a una donna straniera o immigrata con situazioni di disagio per il minore viene assegnato un punto alla materna e mezzo al nido, contro i quattro punti dati a due genitori che lavorano a tempo pieno. Un vantaggio che finisce per lasciare fuori, talvolta, le famiglie più bisognose. E non solo economicamente.

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l'8,6%, alle materne salgono al 18-20%. In particolare nelle scuole dell'infanzia gestite dal Comune (170) i figli di immigrati sono 3.800 (di cui quasi 500 accettati con riserva perché in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno), pari al 17,5%. In quelle statali, dove appunto il permesso di soggiorno non è un documento obbligatorio, la percentuale cresce al 21,5. Un po' inferiori sono invece i numeri nei nidi, quelli pubblici tutti di proprietà del Comune. Qui gli stranieri sono 1.343 su quasi 12 mila iscritti, cioè l'11,5%. A questi vanno aggiunti tutti i piccoli in lista d'attesa – azzerata alle materne, ancora lunga nei nidi – e tutti quelli che alle scuole pub-


PANETTONE MILANESE Ingredienti: 100 gr di burro 100 gr di zucchero 2 tuorli, 1 uovo pizzico di sale 300 gr di farina 2 dl di latte 250 gr di uvetta 200 gr di cedro


venti | ventuno 20|21

Lavorare con la frusta il burro ammorbidito con lo zucchero, i tuorli e l’uovo intero. Unire poco alla volta la farina intervallata dal latte, unire il sale. Quando la pasta sarà morbida unire l’uvetta già lavata ed asciugata, il cedro candito tagliato fine. Formare degli anelli di carta robusta da forno alti circa 12-14 cm, ungere con burro, spolverare di farina e riempire con il composto per 3/4. Far lievitare per almeno 3 ore in luogo tiepido quindi fare un taglio a croce profondo 1 cm sulla cupola, cuocere in forno moderato per 30-40 minuti a 160 gradi. Una volta pronto levare subito la carta e lasciar raffreddare.


L’Asilo Nido Giramondo L'asilo nido multietnico Giramondo – nato nel 2002 per volontà della Cooperativa Sociale Città Nuova – nasce per rispondere ad esigenze ben precise nel quartiere della Bovisa, zona in cui il flusso migratorio degli ultimi venti anni ha portato nuova affluenza, forza lavoro, e dunque l'insediamento di nuclei familiari in numero sempre crescente e rilevante. Nuclei spesso differenti da quelli tradizionalmente presenti in Italia, sebbene Milano si stia connotando sempre più come una città “multietnica”. Serviva quindi un asilo in grado di accogliere e far vivere insieme bambini italiani e stranieri, accuditi e sostenuti nella loro crescita da personale educativo ed ausiliario di varia nazionalità, ciascuno portatore della propria cultura e del proprio paesaggio di formazione, ma in grado di unire le forze in un comune progetto didattico educativo. Il nido multietnico Giramondo è quindi un nido speciale, che accoglie bambini ed educatori di tutte le nazionalità, improntato concretamente sull'interculturalità. Il personale dell'asi-

lo, sia italiano sia straniero, è stato formato grazie al “Progetto di Formazione alla Multietnicità” realizzato con decreto n. 32614, legge 28 della Giunta Regionale, Direzione Generale Famiglia e Solidarietà.

CRITERI D'AZIONE ■ la cura per lo sviluppo armonico sia del singolo bambino sia del gruppo, tenendo conto dei percorsi di socializzazione e cooperazione tra “tutti i bambini del mondo”; ■ la presenza di operatori anche stranieri, qualificati per lo sviluppo del progetto pedagogico ecoculturale; ■ la particolare attenzione rivolta alle esigenze della famiglia.

METODOLOGIE ■ Psicomotricità; ■ attività mimica e drammatizzazione (burattini, travestimenti, fiabe, ecc); ■ giochi di gruppo, simbolici, di imitazione, creativi ecc; ■ musicoterapia, musica, canto, ballo, con strumenti e suoni prodotti da materiali vari, giochi

si movimento e brani cantati sia italiani che dei paesi di provenienza dei bambini; ■ laboratori di manipolazione (colori, farina, sabbia, terra, pasta, carta di vario genere); ■ laboratori di pittura e segno grafico attraverso l'uso di matite, pastelli a cera, gessetti, acquarelli e tempere; ■ laboratori di scienze e natura (fiori, terra, semi, foglie, sassi, acqua) anche attraverso l'approccio diretto col giardinaggio nello spazio verde a disposizione dell'asilo; ■ approccio alla lettura attraverso libri con immagini singole e gradualmente più complessi. STRUMENTI ■ Strutture per il gioco (scivolo, altalena basculante, casetta, tenda, tunnel, tappetini gonfiabili e morbidi, tappetini multisensoriali) ubicati anche nello spazio esterno; ■ giocattoli strutturati, semistrutturati e non strutturati; ■ strumenti musicali strutturati e creati; ■ libri strutturati e creati; ■ materiale di recupero di vario

La Cooperativa Sociale Città Nuova La Cooperativa Sociale Città Nuova nasce nel marzo 1997 per iniziativa volontaria di un gruppo di operatori qualificati nella riabilitazione geriatrica e nel campo dell'educazione all'interculturalità. La Cooperativa, in collaborazione con la Società COOP.SI srl, ha ristrutturato a Milano, nel quartiere Bovisa, alcuni immobili dimessi, per realizzare il Centro per anziani Alfieri, aperto nel 2000, e l'asilo nido


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Cominciando a lavorare come psicologa del nido ho potuto rendermi conto sempre più che parte della nostra utenza si caratterizza per la presenza di genitori stranieri soli, mamme di bambini per i quali il padre è la figura assente, vuoi perché lavora in un altro Stato, vuoi perché ha deciso o non ha davvero potuto farsi carico degli impegni familiari. Ma figure assenti sono anche gli altri figli rimasti nel Paese d'origine. O quelle figure che normalmente nel Paese d'origine sostengono le donne nella loro maternità: dalle mamme, alle sorelle e alle amiche; la famiglia allargata: una rete che protegge la coppia madre-bambino con la sua presenza, la sua storia e il cui ruolo garantisce un adeguato sviluppo psicofisico e relazionale del bambino e l'integrazione nel contesto sociale dell'adulto. Ad aggravare i vissuti, purtroppo presenti, di isolamento, impotenza, esclusione o comunque ad ostacolare i processi di crescita ed integrazione intervengono ulteriori difficoltà: dai problemi d'apprendimento e uso della nuova lingua o le remore ad abbandonare l'uso della propria, alla fatica a instaurare nuove e appaganti relazioni o a trovare i contesti in cui coltivarle; dalla mancanza di un lavoro stabile e in regola, alla precarietà o all'assenza di un'abitazione; fino alla quasi impossibilità a reperire in modo semplice tutte le informazioni necessarie per usufruire dei servizi della sanità o scolastici, per rinnovare i documenti o i permessi di soggiorno, per non finire nel calderone dei clandestini. Complessità è il trait d'union di questi aspetti e di molti altri inscindibilmente legati gli uni agli altri, concause tra loro. E il rischio maggiore è che non venga salvaguardata la coppia madrebambino. In questo contesto è nato all'interno dell'asilo Giramondo il “Progetto 100 euro”. Barbara Dambrogio

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Madri sole: la povertà ha un significato preciso

A Milano e provincia la percentuale di stranieri con figli è il 90,8%. Una parte significativa di costoro è costituita da genitori soli, nella quasi totalità dei casi da madri sole, per le quali la povertà ha un significato preciso: vuole dire non potere pagare le bollette (14%), comprare vestiti (15,4%), sostenere spese mediche (9%). Il disagio è tale che un'altissima percentuale di donne straniere decide di interrompere la gravidanza. Nel 1999 in Italia ci sono stati 19.890 aborti da parte di donne straniere contro i 21.186 bimbi stranieri nati. Il tasso di abortività stimato fra le donne straniere è ben tre volte superiore a quello delle italiane.1 1

Fonte: Numero di Maggio 2003 del giornale “Terre di mezzo”.


Accanto agli obiettivi tradizionali dell'asilo nido, il “Progetto 100 euro” si propone di non sostituirsi al ruolo o alle responsabilità dell'adulto genitore straniero, e di porsi come facilitatore nell'acquisizione di quelle risorse che sono diritto di ogni persona. Così il compito dell'équipe coinvolta diventa favorire l'inserimento del bambino e allo stesso tempo supportare il “genitore solo”, avvicinandolo a quei servizi pubblici e privati che, a vario titolo, possono far fronte alle sue necessità e che, per svariati motivi, non sono immediatamente e facilmente disponibili.

COME AVVIENE L'INSERIMENTO Il genitore che arriva all'asilo nido viene accolto dal personale e, attraverso un primo colloquio con le coordinatrici, si arriva a stabilire se la sua situazione presenta le caratteristiche e i requisiti necessari a farlo usufruire del progetto “genitore solo”. A questo primo incontro di natura informativa fanno seguito alcuni colloqui, non necessariamente strutturati, in cui si permette al genitore di esporre le sue difficoltà e il suo punto di vista. Il clima predominante, indipendentemente da chi conduce il colloquio (è significativo che talvolta elementi importanti della vita delle persone emergano dalle chiacchiere informali fra un genitore e un educatore al momento dei saluti, ad esempio) è di ascolto attivo ed empatico, di vicinanza emotiva e di accettazione positiva e non giudicante. In uno o più colloqui, oltre a redigere la scheda di

inserimento valida per tutti i bambini che frequentano il nido e volta a raccogliere tutte le informazioni anagrafiche e sanitarie, relative al bimbo e ai suoi genitori, alle sue abitudini, ritmi, progressi e conquiste, si approfondiscono anche le infor mazioni relative alla storia del nucleo familiare e ai punti di svolta che ne hanno determinato significativamente le attuali condizioni. Così, lentamente e per piccoli passi, si arriva a raccogliere anche altre e più concrete notizie: se c'è una casa, propria o in affitto, se è spaziosa o sufficientemente adeguata, condivisa con qualcuno o no; se il lavoro c'è o manca, se è fisso, saltuario, stagionale, in regola, in orari che consentono di occuparsi del bambino, di accudirlo; se l'accesso alle strutture sanitarie e legali è efficace, se c'è un pediatra, un ginecologo, un consultorio cui rivolgersi; se le relazioni sociali stabilite con la comunità sociale sono soddi-


sfacenti. Inoltre, sempre nel corso di questi colloqui si cerca di fare emergere tutti gli aspetti importanti relativi alla propria appartenenza culturale, quali festività, compleanni, lutti, rituali, passaggi di crescita. Tutto ciò ha lo scopo anche di responsabilizzare il genitore solo, mettendolo in grado di organizzare meglio la rete di contatti e di risorse di cui dispone e procurandogli le informazioni che gli mancano, cercando di costruire uno scambio e una rete fra tutti i genitori coinvolti nel progetto. I genitori soli possono inoltre richiedere in qualsiasi momento un colloquio con le educatrici, con la psicologa o con il pediatra del nido. Allo stesso modo, con una periodicità che cambia in relazione alla specifica situazione, ogni genitore viene contattato dalla psicologa per fare il punto della situazione. Contestualmente, i bambini vengono

osservati e seguiti negli scambi relazionali con gli altri bimbi e con gli adulti, nei vari laboratori, da soli. Il loro sviluppo all'asilo viene monitorato e sostenuto parallelamente al percorso portato avanti dal genitore… ma ciò effettivamente non differisce da quanto accade con tutti i bimbi del nido! Oltre a tutto ciò, il personale dell'asilo sta redigendo delle apposite “schede guida” che forniscano un ulteriore strumento di verifica a breve termine delle programmazioni decise insieme ai genitori e una “banca dati” sui servizi del Comune e di zona, con i numeri di telefono dei consultori, dei consolati, di enti pubblici o privati che seguono sul territorio le varie etnie e di quant'altro possa essere utile, il cui aggiornamento è continuo.

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Asilo e accoglienza


Vi voglio raccontare come sono arrivata al Nido Giramondo. Formazione classica. Specializzazione in didattica della musica e canto corale. Dopo dieci anni di lavoro con i bambini dai tre anni in su, decido di fare un corso di specializzazione in “Tecniche di assistenza familiare e psicologia dell'età evolutiva”. Qualche mese prima della fine del corso, passando dal mio consultorio di zona, vengo attratta da una locandina verde che pubblicizzava il “Nido Multietnico Giramondo”, dove si invitavano i genitori, anche stranieri, a portare i loro bimbi, rassicurandoli sul fatto che lì avrebbero trovato un clima sereno, pronto ad accogliere ogni bambino, la sua famiglia e la sua cultura. Si parlava anche di una équipe di educatori e operatori italiani e stranieri che lavoravano insieme ad un progetto di educazione alla pace. Sono sempre stata interessata alla conoscenza delle altre culture e mi sarebbe piaciuto andare a lavorare all'estero per incontrare e collaborare dal vivo con bambini e adulti di altri paesi. Sento che quel nido sarà quello del mio tirocinio e inizio ad informare la mia scuola. Dopo notevoli difficoltà la mia tutor mi dice che il giorno 6 giugno 2003 sono attesa al nido Giramondo per iniziare il tirocinio. Da allora è passato del tempo e sono ancora qui… Avevo “sentito” giusto leggendo quella locandina. Il caso voleva che stessero cercando un'educatrice e un'insegnante di musica, e mi sono fermata. L'incontro con l'équipe, con i genitori e con i bambini per me è stato entusiasmante. Mi ci sono “buttata” anima e corpo e da un anno con Cristina, sono anche coordinatrice. Sono tante le emozioni che si provano vivendo anche un solo giorno qui con noi, tanti gli sforzi, ma tantissima l'energia che circola fra le persone, adulti e bambini, che si rispettano, si aiutano, a volte bisticciano, ma si vogliono bene anche se hanno paesi di provenienza diversi. Per me la frase “così lontani, così vicini” ha veramente il senso dell'avverarsi di un sogno. Volevo lavorare e vivere a contatto con altre culture e le ho trovate qui. Emanuela Monguzzi, Coordinatrice Educatrice Nido Giramondo


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Il Nido Giramondo è bello perché è vario di colori, cultura, tradizioni. Qui mi trovo benissimo sia a livello organizzativo sia col resto del personale. Il lavoro dell'educatrice è un lavoro di responsabilità in quanto devi cercare di perseguire una continuità educativa tra famiglie e scuola e realizzarlo ti dà tante soddisfazioni e appagamenti. La mattina entrare in classe e trovare tutti i bambini che giocano, gridano, ridono, parlano, ti rendono felice e in quel momento ti immedesimi in loro e diventi anche tu una bambina, lasciando dietro quella porta qualsiasi altro problema o pensiero. La distanza ci tiene lontani, ma il cuore ci tiene vicini. Graziella Rubanu, Educatrice Nido Giramondo


Fotografare persone, volti, situazioni, luoghi, fa parte della mia vita, della mia indole: è il mio lavoro. L'interpretazione personale è d'obbligo, ma quando ritraggo il mondo dei bimbi è sempre un'emozione coinvolgente e piena di sorprese, come l'asilo dei mille mondi dove loro sono i veri interpreti. Alessandro Trovati www.alessandrotrovati.it


Il progetto 2005. Chiedo asilo a Milano Il budget


Progetto “100 euro”

Il progetto “100 Euro” prevede l'inserimento all'Asilo Nido Giramondo di 10 bambini stranieri figli di “genitori soli” in situazione di grave disagio economico e sociale. Il progetto consente al “genitore solo” di pagare una rata forfettaria di 100 Euro mensili per la permanenza del proprio bambino al nido per l'intera giornata.

Nello specifico ciò significa: ■ l'accoglienza di 10 bambini, figli di “genitori soli”, in età dai 6 mesi ai 3 anni; ■ l'offerta al genitore di assistenza concreta attraverso il supporto della psicologa dell'Asilo e l'utilizzo di una serie di collegamenti ai servizi utili.

OBIETTIVI GENERALI ■ Sostenere i genitori soli stranieri che non riescono, per vari motivi, ad accedere alle graduatorie dei nidi convenzionati. ■ Svolgere una costante attività di supporto, assistenza e sostegno psicologico nei confronti dei “genitori soli” in modo da evitare e/o diminuire l'emarginazione.

OBIETTIVI SPECIFICI ■ Raccogliere tutte le informazioni relative ad ogni singolo bambino: abitudini, malattie, bisogni e necessità specifiche nate anche in relazione alle esperienze vissute con il genitore solo. ■ Favorire l'inserimento del bambino tenendo conto delle informazioni raccolte su di lui e sul genitore.

■ Favorire l'apprendimento della lingua e della cultura italiane allo scopo di agevolare l'inserimento del bambino nella vita sociale e, successivamente, nella scuola materna. ■ Supportare i “genitori soli” e i bambini grazie all'intervento di diverse figure professionali (pediatra, psicologo, educatrici ecc.) ■ Strutturare incontri periodici bimensili con lo staff educativo e i “genitori soli” per affrontare problemi, verificare il lavoro svolto, stabilire gli obiettivi e verificarne il raggiungimento, rispondendo così in modo flessibile ad ogni nuova esigenza.

PERSONALE COINVOLTO ■ Maestre d'asilo, educatori professionali, didatta della musica, animatori sociali, mediatori culturali, personale ausiliario, inserviente, cuoca. ■ personale amministrativo; ■ psicologo; ■ pediatra; ■ assistenti sociali; ■ consulenti legali.


Il budget

Anno 2006/07

Posti disponibili

10

Mensilità asilo

11

Retta mensile asilo

450 euro

Retta mensile asilo agevolata

100 euro

⇔38.500 euro 30|31 n|n

Budget (pari ai fondi necessari per coprire iscrizioni)

trenta | trentuno xxx | xxx

Progetto “100 euro”

Fais dodo, Colas mon p'tit frère, Fais dodo, t'auras du lolo. Maman est en haut Qui fait du gâteau Papa est en bas Qui fait du chocolat. Fais dodo, Colas mon p'tit frère, Fais dodo, t'auras du lolo.


Cooperativa sociale CITTĂ€ NUOVA Piazza Alfieri, 3 20158 Milano Tel. e fax: +39 02 3760512 info@coopcittanuova.it


Asilo Nido Multietnico GIRAMONDO

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trentadue | trentatre

Via Candiani, 139 20158 Milano (Zona 9 – Bovisa) Tel.: +39 02 39313197

www.coopcittanuova.it


tana, l’ultima è il ritorno. Nel mezzo vi è la scelta tra i dentro e il fuori con la porta e il confine, vi è l’orientarsi con l’orizzonte e la mappa , il preparare le valige e scegliere i mezzi di trasporto . Decisa la partenza per conoscere il mondo, o perché necessaria la fuga dalla guerra, si diventa il viandante, l’emigrante, lo straniero che calca sentieri nuovi e si espone alle avventure del viaggio non sapendo qual è il punto di arrivo. L’incontro è il momento decisivo che può far La prima carta è la

como te llamas? Da dove vieni? Nell’incontro si può essere riconosciuti da amici con saluti, un dono, un abbraccio; far festa e stare in cerchio, dare e avere ospitalità con cibo, sonno e pace . L’incontro può al contrario procurare paura , lotta , ospitalità negata, avere di fronte all’improvviso un mostro o finire in prigione. Il ricordo e la preghiera soccorrono il viandante. Anche chi sta in casa può nascere curiosità:

Le immagini che fanno da sfondo ai contributi di questo Librosolidale sono “Le carte del Viandante”. Un nostro sentito ringraziamento al Laboratorio Migrazioni del Comune di Genova che ne ha consentito l’uso. Le Carte del Viandante sono la documentazione, in forma di gioco, dei progetti e dei percorsi di lavoro sui temi del viaggio, delle migrazioni, dell’ospitalità e dell’incontro con l’altro proposti ed attuati dal Laboratorio migrazioni del Comune di

Genova dal 1995 al 2000. Nei laboratori e nelle scuole di Genova, più di 5000 bambini, di età compresa tra i cinque e i quattordici anni, attraverso racconti, danze, musiche, immagini sono diventati, di volta in volta, viandanti, ospiti o stranieri. I nomi delle carte sono le tematiche proposte o emerse nei laboratori, le immagini delle carte sono, per lo più, disegni dei bambini fatti dopo l’esperienza in laboratorio. Eterni topos del nomadismo e della stanzialità, le tematiche delle carte ed i loro nomi indicano tappe della

crescita umana che uniscono bambini e ragazzi provenienti da paesi diversi. Insieme possono conoscere e rispettare le molteplici risposte che le culture hanno dato a grandi temi universali, in un percorso comune a tutti gli uomini e le donne, anche in un mondo pieno di differenze e contrasti.

Per informazioni: Laboratorio Migrazioni Tel. 010256505 labmigrazioni@comune.genova.it

Noi,


Maur

o Ferre ro

Xmas Project 2005


2005. È a casa nostra il terzo mondo? Il progetto a cui quest’anno ci dedichiamo si trova in Italia. È mai possibile? Ci siamo sempre occupati del terzo mondo, che si trova in zone che risultano lontane e disperate, non certo a casa nostra! Invece oggi siamo chiamati ad aprire gli occhi, perché interveniamo proprio qui, da noi: quello che chiamavamo “terzo mondo” è qui, ormai da 30 anni. Conosciamo Filippini, Egiziani, Cinesi, Peruviani, Eritrei e Rumeni che hanno cercato fra noi un posto dove far vivere la propria famiglia e guadagnare qualche soldo. E con sudore e fatica, anche se spesso male accolti, si sono creati uno spazio dove far crescere i loro figli. Immaginiamo quanto duro sarà stato per degli stranieri trovare un appartamento e mantenere una famiglia. Ma adesso, mentre la Cina e l’India invadono i mercati, in Italia stiamo perdendo punti. Siamo a crescita zero, mentre tutto intorno a noi sta crescendo con uno sviluppo tumultuoso. Ma non ci sono nel frattempo grossi segnali di preoccupazione nei nostri dirigenti. Da noi destra e sinistra hanno ben altro su cui litigare. Si preparano ad uno scontro cruciale fra i due poli (peraltro già piuttosto rissosi anche al proprio interno), ma senza alcuna preoccupazione di tirarci fuori da questo pantano: ci cacciano dentro ancora di più, mentre loro (mettendo sempre avanti nuovi problemi) si scontrano in litigi che ci distraggono dal loro impegno di intascare tutto quello che trovano. Si continua così ad avanzare spediti sulla strada che prima noi bianchi percorrevamo tranquilli stabilendo, sempre fra occidentali, le priorità da rispettare (e sempre con un minimo di riguardo per la parte spettante ai nostri incontrastati dominatori a stelle e strisce). In questi anni stiamo cadendo dalle prime posizioni, ma continuiamo a considerarci superiori e ci comportiamo da padroni con gente costretta a questo ruolo di servizio da più tempo (o ingannati più da noi). Sono capitati da tutto il mondo in casa nostra mentre noi ci siamo abituati e adagiati su questo piedistallo da signori. Ora la cosa si fa dura. Noi ci pensiamo ancora fra i grandi (mentre invece siamo decaduti fra i tanti). Ci lamentiamo di ingiustizie e reclamiamo indispettiti, ma cerchiamo di sentirci più alti di tutti, pensando di essere ancora fra quelli più fortunati. Siamo invece degli smemorati. Un tempo non eravamo noi ad emigrare? Guardiamo alla nostra storia dei secoli scorsi. Da metà dell’ottocento, dall’unità d’Italia, gli italiani cominciano ad abbandonare le proprie campagne, che si riempiono di fame e di briganti, per cercare una via d’uscita alla mancanza di pane. Comincia allora il tempo delle navi cariche di umanità che varcavano lentamente l’oceano per intere settimane, fino a scaricare i propri emigranti in Brasile, Argentina o in Paraguay. Molti di questi occuperanno le terre serrane del Rio Grande, lavorando come disperati sui terreni montagnosi non ancora occupati dai tedeschi che li avevano preceduti, costruendo villaggi e cittadine, segnati con nomi di contrade di casa propria. Intanto in Italia il movimento migratorio si allargava, coinvolgendo anche le zone collinari del nord (oltre che le pianure del Veneto), che si aggiungono a tutta l’area vesuviana ed al sud. Da Napoli partirono le navi che allora portavano alla “nuova America”, con sbarco ad Ellis Island, sotto la statua della libertà.

01 la tana

Fu un’emigrazione in buona parte temporanea, con lavori duri nei cantieri, sulle strade, e poi si rientrava coi pochi soldi risparmiati. Ma molti restarono, insediandosi nei quartieri immigrati (le little Italy), dove italiano era confuso con mafia e la vita era dura e pericolosa. Ci volle tempo, ma il povero italiano, un po’ più tardi degli altri, riuscì ad inserirsi. Dall’Italia intanto si continuava a partire. Si andava anche in Venezuela, in Canada, in Australia: dovunque ci sono popolazioni dove l’Italia è ancora evocata da qualche nome o da qualche vocabolo, e dove qualcuno ha lasciato ancora dei ricordi o resta qualche parente. Ma dopo le guerre mondiali, molto più vicino a noi, era l’Europa del nord che per rilanciare la sua economia, aveva bisogno di braccia. E proprio l’Italia aveva disoccupazione e braccia in più. Allora gli italiani partirono per il Belgio (in cambio di sacchi di carbone), per l’Inghilterra, la Francia e la Germania, dove grandi fabbriche o miniere cercavano braccia da lavoro. Alcuni tornavano, ma erano pochi: i più invece chiamavano con sé anche le famiglie. E così, mentre si costruiva lentamente l’Europa già l’emigrazione aveva unito queste genti diverse, raccordandole dal basso. Ci fu un tempo di animosità e di sfacelo sull’Europa. La guerra fu dura e dolorosa. Ma quando gli animi si riappacificarono e l’Italia riprese le forze, il boom industriale scoppiato nel nord risucchiò la manodopera che abbondava nel sud, ormai senza sbocchi. Furono quelli gli anni dei meridionali che si trasferivano con treni stracarichi di bagagli, di odori e sudore, verso le periferie del nord, costruite in quegli anni. Torino, Milano, Genova si gonfiarono, risuonando di dialetti calabresi e siciliani, con i figli a riempire scuole in un ingorgo di parlate e di costumi, ma anche di problemi, del tutto nuovi. Ancora oggi qualche emigrante cerca fuori d’Italia un modo di sopravvivere, ma ormai da 30 anni si è aperta anche la strada di altre popolazioni verso l’Italia, che un poco alla volta hanno raggiunto il milione e mezzo, cambiando la situazione (i rapporti di forza e le rivendicazioni). Sono stranieri che partendo dall’Asia, dall’Africa o dall’America Latina sognando un domani migliore per se stessi e per i figli, hanno trovato uno sbocco verso l’Italia. Qui si sono insediati, lavorano, hanno messo al mondo figli e cercano di migliorare la loro esistenza. È questa l’immigrazione. E noi tutti, figli, nipoti o paesani di emigranti siamo chiamati a ricordare. Bruno Muner

“Happiness... a mischevous waif that deftly eludes pursuit but magically appears on those rare occasions where actions come from the heart” Steve Lowe


02 la porta

Arbi Mone Fonte: www.ilpassaporto.it (il giornale dell’Italia multietnica – rubrica di Repubblica.it)

trentasei | trentasette

Sono tante le diversità che uno straniero trova quando arriva in Italia. Sono delle diversità che pian piano smarriscono, ed emergono quelle alle quali ognuno vorrebbe dare una sua spiegazione o interpretazione. A scuola (in Albania) avevo imparato a leggere e a scrivere. Non pensavo che si poteva scrivere “c” e leggere “k”. Nella mia lingua si legge così come si scrive perché ogni lettera (e ce ne sono ben 36 di lettere) mantiene la sua pronuncia indipendentemente dalle lettere che la seguono. Imparando l’italiano invece, notavo che questo non accadeva. La lettera “c” assume una pronuncia diversa a seconda della vocale o consonante che la segue. Succede lo stesso con la “g”, la “s” ecc. Io naturalmente mi chiedevo come mai non hanno risolto il problema come abbiamo fatto noi. Basta mettere una virgoletta alla “c” e la sua pronuncia sarà come in “ci” e in “ce” anche nel caso in cui fosse seguita dalle altre vocali, senza l’aiuto della “i”. Crescendo iniziai a capire che non era un fatto “da risolvere”, ma si trattava di un’intera cultura ben coltivata ed evoluta da un popolo che aveva una storia diversa da quella del mio. Mia madre mi raccontava delle storie sul nostro eroe nazionale, Skenderbeu, e tante storie sulla resistenza del mio popolo contro l’invasione turca durata cinque secoli. Conosceva la storia dell’Italia (studiata a scuola), ma forse stanca delle storie di guerra e di resistenza, per quanto riguarda l’Italia mi parlava delle opere di Donizetti, Puccini, Bellini, Verdi ecc. Sentivo come un dispiacere per le possibilità negate al mio popolo. Mi sembrava che essendo costretto a tenere sempre in mano il fucile, quei miei antenati avevano dimenticato di sorridere. Mi sembrava che anche la pronuncia della “rr” albanese e la “r” forte dell’italiano fosse diversa proprio per questo motivo. Ma non solo. Riprendiamo il discorso sulla “c”: mantiene sempre la stessa pronuncia.

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Alfabeto dei popoli

Questa lettera non cambia “atteggiamento”, quando le stanno vicino altre lettere. Rispetta tutte ugualmente e non privilegia nessuno. È come se non volesse scendere a compromessi, dalla paura di perdere la sua indipendenza. Scrivere in albanese è stato possibile solo nel XIX secolo, in quanto era proibito dai turchi. Di conseguenza scrivere rappresentava la libertà e l’emancipazione. E quando riesci a conquistare la libertà bisogna proteggerla e tenersela stretta. Riuscivo a spiegare proprio così la pronuncia invariabile delle lettere dell’alfabeto albanese. Diversa invece è la pronuncia della “c” nella lingua italiana che cambia a seconda della lettera che la segue. Faticosamente cercavo di spiegarmi questo differente modo di pronunciare. Con la sua gentilezza questa lettera permette alle altre di starle vicino senza imbarazzo, cercando di venirle incontro. La sua disponibilità a essere pronunciata con la punta della lingua quando è seguita dalla “i” e “e”, e dalla parte centrale della lingua quando è seguita dalla “a”, “o” e “u”, non sta solo nei confronti delle vocali (2+3), ma anche verso le consonanti. Mi pareva che la “c italiana” rispecchiasse la disponibilità del popolo italiano ad aprirsi e a saper accettare altre culture, a non desistere di fronte alle diversità. Questa lettera mi è diventata “simpatica” per la sua dolcezza. Somigliava ad una signora che sa come fare per non mettere in imbarazzo chi le sta vicino. A questo punto, somigliava a mia madre. Lei è capace di costruire un discorso con ogni persona e di ogni età. Ma cosa sto dicendo? Mia madre non è italiana, è albanese. Comunque questo fatto della somiglianza è vero. Ma sì che è vero, perché non solo mia madre può essere così. La madre albanese non può essere diversa da quella italiana, per il semplice fatto che è una mamma. È come le lettere dei nostri alfabeti che sono tutte latine. Poi si sono adattate alle circostanze delle diverse situazioni in cui sono capitate. I patrioti albanesi scelsero le lettere latine per codificare la lingua albanese, ispirati proprio dalla cultura di questi popoli. “O luce divina che nasce dove il sole tramonta”. Così scrive Naim Frasheri, il poeta albanese del XIX secolo rivolgendosi alla cultura dell’Occidente. All’inizio mi sembrava di trovarmi tra le diversità. Riflettendo, sono arrivato in quel punto che tutti abbiamo in comune: la cultura umana.


Lontano e vicino. Concetti che indicano una distanza, designano un intervallo geografico tra il “qui” e il “là”. Lontano e vicino possono anche riferirsi a un intervallo temporale. Lontano nel tempo, vicino nel tempo. Se ci soffermiamo sul significato di lontano e vicino è facile verificare come l’idea della distanza geografica sia cambiata nel tempo. Una volta “lontano” significava irraggiungibile o addirittura ignoto e si doveva lavorare di fantasia per immaginare cosa ci fosse oltre i confini noti. All’inizio del secolo scorso l’America era raggiungibile in settimane con un viaggio allucinante via nave. Oggi in poche ore siamo a New York. Le distanze si sono ravvicinate. Progresso e tecnologia ci hanno permesso di accorciare le distanze e di sapere in ogni momento cosa accade in ogni angolo del mondo (o quasi) così come ogni luogo è pressoché raggiungibile in maniera relativamente semplice. E sempre più persone cercano lontano, in paesi esotici, emozioni o occasioni per rilassarsi. Ma quanto più si desidera viaggiare e visitare luoghi lontani, tanto più si nota l’aumento del desiderio di isolarsi, di creare muri e barriere tra noi, l’Occidente, e gli altri, coloro che sono lontani culturalmente. Già. Lontano significa anche diverso, e purtroppo qualcuno interpreta la diversità rispetto a “noi” come inferiorità. E quindi si disprezza chi giunge da paesi lontani, si cerca di respingerlo e quando arriva lo si guarda con sospetto se non con, appunto, disprezzo. E qualcuno invoca addirittura una guerra di civiltà

tra noi e gli altri. E ci si dimentica di quanto avveniva un centinaio di anni fa. Troppo lontano nel tempo per ricordarsene? Oggi gli immigrati sono fannulloni, ladri, delinquenti, se non terroristi. Così venivano descritti gli italiani più di un secolo fa: “Noi protestiamo contro l’ingresso nel nostro paese di persone i cui costumi e stili di vita abbassano gli standard di vita americana e il cui carattere, che appartiene a un ordine di intelligenza inferiore, rende impossibile conservare gli ideali più alti della moralità e civiltà americana”. Negli anni ’30 in Australia si diceva che l’Italia era “l’ultima delle grandi potenze perché razzialmente imperfetta” oppure venivamo descritti come “questa lurida ondata di feccia mediterranea venuta a degradare e insozzare l’Australia”. È davvero la guerra di civiltà la soluzione? La costruzione di muri per impedire il ravvicinamento? La costituzione di nuove barriere per difendere la nostra “democrazia”? O forse la distruzione di ogni diversità? Credo di no. La diversità è ricchezza. Non dobbiamo farci sfuggire l’occasione. “L’occasione è di capire una volta per tutte che il mondo è uno, che ogni parte ha il suo senso, che è possibile rimpiazzare la logica della competitività con l’etica della coesistenza, che nessuno ha il monopolio di nulla, che l’idea di una civiltà superiore a un’altra è solo frutto di ignoranza, che l’armonia, come la bellezza, sta nell’equilibrio degli opposti e che l’idea di eliminare uno dei due è semplicemente sacrilega”.

Non esistono mondi estranei: esistono mondi nuovi. L’ALCHIMISTA. PAULO COELHO

Tina e Emilio Bertolesi

...mi capita spesso sai, non so neanche quante volte, ...ci penso, penso a quante volte ti ho sentito lontano nonostante tu sia qua vicino a me, direi a portata di mano, penso a quanto il “tutto” ci ha cambiato, plasmato, spesso non come avremmo voluto. Adesso sento più che mai la necessità di non perdere altro tempo e cominciare a recuperare tutti quei momenti che non abbiamo vissuto... se tu lo vorrai... dedicato a te, tu che hai ricevuto questo libro in dono da me... con tanto affetto

Carlo Carlini Marco Tuffi

Le Radici Ca Tieni “Se nu te scierri mai delle radici ca tieni rispetti puru quiddre delli paisi lontani! Se nu te scierri mai de du ede ca ieni dai chiu valore alla cultura ca tieni!” SUD SOUND SYSTEM

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03 la partenza

Le Radici che hai ”Se non ti dimentichi mai delle radici che hai rispetti pure quelle dei paesi lontani! se non ti dimentichi mai da dove vieni dai più valore alla cultura che hai!” FranciRenaDiego


vare la profondità come con persone della stessa lingua e la consapevolezza che dovevo aggiornare il concetto di trasferta. In quei mesi l’esperienza maggiore passò attraverso i percorsi che facevo ogni giorno, quando camminavo per i lunghi corridoi sotto l’albergo, dove c’erano le lavanderie, le cucine e una serie di uffici dai compiti indefiniti. Li guardavo mentre pas-

04 sentieri

ni precedenti avevo già risposto di sì. Elisabetta, l’animatrice, a cui ho fatto da testimone alle sue nozze lampo con Saadi di cui si era innamorata così follemente da accettare anche il fatto di sapere pochissimo di lui, coprirsi il volto e non avere gli stessi diritti che aveva nella sua Torino. È una scelta che non capivo e non digerivo e litigai con lei per questo. Ma alla fine alle nozze ero lì come unico amico presente. Per me fu il primo vero caso di rispetto applicato. Fino ad allora sapevo di avere delle idee e di non comprenderne alcune profondamente diverse dalle mie, ma non sapevo come mi sarei trovato a discuterle con chi le rappresentava.

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trentotto | trentanove

È successo, non poi molto tempo fa, di trovarmi parzialmente solo in un mondo tanto sconosciuto da sembrare astratto. Era il 1997 e mi trovavo in quella terra battuta da un solo tipo di umanità, formato turista e con la certezza per contratto, di sapere già cosa volere da quel posto. Quella terra era l’Egitto ed io ci rimasi cinque mesi e mezzo. Non ero arrivato con propositi più nobili che un semplice mandato di organizzare il divertimento degli ospiti (ero titolare di una società di animazione), più altri compiti fastidiosi, legati alla gestione di un folto gruppo di animatori in diversi grandi alberghi. Il fatto è che fin dai primi giorni realizzai che, se non sei un turista, qui sei come un egiziano, non hai lo stesso valore e non puoi entrare dalla stessa porta. Nessun ostacolo, se non l’inglese, che ci permetteva di parlare di cose semplici ma senza tro-

savo, senza capire che vita fosse la loro. Quegli uomini con i baffi, il tono di voce sempre alto e l’aria agitata, una massa di persone che si muoveva in un formicaio che appiattiva ogni identità. Era questo dunque: sentirsi straniero, estraneo ai costumi, alla vita di un paese a poche ore d’aereo dall’Italia, disegnato da spot e cartoline come una meta esotica, suggestiva e alla portata di tutti ma senza il libretto di istruzioni per carpirne l’essenza. In quei mesi ho imparato a conoscerli e la cosa più intensa che mi porto da quel viaggio è il confronto: con Ahmed l’egiziano, che faceva il cameriere e si era innamorato di una ragazza tedesca senza comprendere perché lei non volesse saperne di lui che in fondo aveva solo una moglie. Passai una notte intera a parlare con Ahmed e il resto dei ragazzi della cucina, in una sala ristorante vuota nel ten-

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La misura delle culture

tativo di fargli comprendere la cultura occidentale mentre lui e gli altri mi spiegavano quella del loro Paese. E poi Mohammed l’iraniano che era fuggito dalla sua terra durante la lunga guerra con l’Iraq di Saddam. Per lui l’Egitto era l’Eldorado, lì era arrivato e lì voleva restare con il suo lavoro nella tintoria dell’hotel Safir. A meno che non gli trovassi un impiego in Italia… ogni giorno a chiedere di dargli una mano come se avesse dimenticato che i 27 gior-

Nessuno di loro arrivò a convincermi e nemmeno io con loro. Ma ci ridemmo su e trovammo una pepita: il rispetto, tanto prezioso da essere suggellato, come in un film di Salvatores, con una partita di calcio in una piazza di Hurgada. Era il 1997 e purtroppo le cose sono cambiate in peggio ma Ahmed e Mohammed non si sono spostati di un millimetro nella distanza della mia memoria. Lapo De Carlo

Lasciamoci coinvolgere tutti da questo desiderio del Xmas Project. Piantare ogni anno speranza e amore in tutte le civiltà che ne hanno bisogno, per poter raccogliere tanti sorrisi che rimangano nei nostri e loro cuori. A voi i miei complimenti e grande riconoscimento per tale dimostrazione di generosità. Cyndra Velasquez


Cari amici, eccoci al nostro atteso appuntamento annuale... Condividiamo l’idea di guardarci attorno vicino a noi e, da genitori di bimbi piccoli, sappiamo quanto sia importante lasciare i nostri cuccioli mentre siamo al lavoro in luogo adeguato, allegro, ricco di risorse per una crescita serena. Ci auguriamo che questi bimbi si possano sentire veramente integrati nel nostro mondo complicato e spesso poco ospitale. Pensando a dei bimbi in un asilo e volendoli pensare felici, abbiamo scelto una foto che secondo noi esprime il desiderio più innato di tutti i bambini, quello di voler correre, giocare e ridere, con la speranza che questo desiderio possa essere garantito a tutti come un diritto, perché tra i bambini non c’è differenza, non c’è vicino, non c’è lontano... Michela e Dario Regazzoni e i loro bimbi Chiara e Alberto

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son lla-Daniele o lo -Simo ro i ne-Dan Bru l no i no Q stroele-Davide uai ni futu -Alessia ro.

05 avventure


In questa strada mio nonno aveva il magazzino di granaglie. A Milano c’erano solo i milanesi. And now? Una mezcla de razas, cultures differentes, necessités diverses. Te voeuret tì? Torna a cà tua. Excuse me Sir, Shokran. Per strada il grido del moleta, dell’umbrellàt e dell’arrotino si è pian piano dissolto. Ora forse quello di un minareto lontano. Ghè de andà innanz, minga indrée. Ma che senso ha disunire. Apriamo le nostre scuole, let’s open our hearts, abrimos nuestras casa, ouvrons nos bras, dervum l’uss. In questa strada (sì, proprio Via Candiani) mio nonno aveva il magazzino di granaglie. Ora al posto di quel magazzino puoi trovarci un negozio di cous-cous, oppure un rivenditore di guacamole. Innanz!

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– Classe 3a B

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quaranta | quarantuno

vi aB occ oni

Claudio Elie

Viaggiare per vivere due volte. Scoprire per continuare a stupirsi. Solitudine di un universo estraneo, energia del diverso. Essere lontano. Vivere un quotidiano di sguardi e parole sconosciute e pensare di poterle condividerle con voi, anche solo con un pensiero. E quel pensiero vi tocca... è creato per accompagnarvi, per gridare che “ci sono”. Dalla Cina alla Terra Sicula, passando per Paris, Milano, Roma... il pensiero vola... ed é cosí dolce sentirvi più vicino. Raimondo Gissara

06 in viaggio


Il migliore amico di Diego è Denis,

suo papà è turco, la sua mamma italiana. La maggior parte dei bimbi del nido Giramondo non sono italiani, i loro genitori vengono dai posti più disparati, dal Perù, l’Equador, il Congo, l’Albania, la Turchia… La Bovisa, il nostro quartiere, oggi è una zona a forte concentrazione di immigrati. Noi ci viviamo da soli 6 anni, ma posso dire di averla vista cambiare di mese in mese, con la nascita di una serie di attività gestite da immigrati e create per immigrati e con una presenza sempre maggiore di persone straniere per le strade, nei negozi, nel nostro piccolo condominio. Per me è una situazione normale, per Diego credo che sia e sarà altrettanto naturale. Ho l’impressione che chi fa più fatica a convivere con l’immigrazione crescente siano le persone più anziane che da sempre vivono in Bovisa, il loro paese, fanno la spesa nella stessa drogheria e nelle stesse botteghe, gestite da “milanesi da generazioni”, negozi di fabbri, restauratori. Lo vedi quando si sta in fila, in attesa di arrivare alla cassa, e osservano nel loro dialetto chi gli sta accanto, quando si scansano sui marciapiedi, per non passare troppo vicino

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07 il viandante

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ad un gruppo di magrebini che chiacchierano sul marciapiede in piazza Bausan. Mi sembrano preoccupati di perdere il loro quartiere, di non essere più “padroni in casa propria”, ma di dover condividere i loro spazi con sconosciuti, con persone diverse da loro per cultura, lingua, colore della pelle, di vedere snaturate le loro radici e di accorgersi che, mentre gli stranieri sono tanti, in gruppi, gli italiani sono sempre meno coesi, occupati a gestire la propria individualità e vivono il quartiere molto meno dei “nuovi arrivati”. Ma forse anche preoccupati di non poter vedere come sarà nei prossimi decenni, per i loro figli, i loro nipoti. Preoccupati di non capire l’importanza della diversità che ci sta vicino. E forse questi sono sentimenti che non riguardano solo gli anziani, ma che a volte toccano tutti noi. A volte mi chiedo se sia possibile riuscire a controllare questo fenomeno migratorio, che riguarda tutto il mondo ricco, non certo solo l’Italia, che anzi tra i grandi paesi europei resta ancora tra quelli con il minor numero di immigrati, seppur in forte crescita. Quello di cui sono certo è che non sia possibile impedire alle persone di spostarsi verso paesi che, a torto o a ragione, ritengono migliori, in grado di offrire a loro e ai loro figli un futuro diverso da quello a cui sarebbero destinati nei loro paesi. E bisogna dire che la grande maggioranza dei migranti rappresenta la parte migliore dei loro paesi, le persone più preparate e più intraprendenti, quelle che hanno il coraggio di partire per un paese sconosciuto, per rifarsi una vita o per permettere a chi resta a casa di vivere, con la prospettiva di tornare dai propri figli non appena si raggiunge la cifra giusta, dopo aver pagato l’usuraio che ci ha prestato i soldi per fare il viaggio per venire da clandestini in Italia, vivendo in mini appartamenti super affollati pagati in nero a proprietari italiani. Ma credo che non sia possibile controllare un simile fenomeno, senza

cercare prima di conoscerlo, e che non sia facile conoscere altre culture senza integrarle, senza offrire alle persone che vengono in cerca di una vita migliore gli strumenti necessari per poterci provare, ad integrarsi. Consentire alle mamme sole di poter lasciare il proprio bimbo in un nido convenzionato con il Comune quando si è in cerca di occupazione e non si abbia una famiglia a cui appoggiarsi. Questo è solo uno dei tanti aspetti critici della vita di un immigrato in Italia, a Milano, oggi, ma provare a sensibilizzare le istituzioni su questo tema rappresenta un piccolo passo, a mio avviso, per rimediare ad una “svista normativa”, che crea una situazione assurda, e per certi versi tragica. Venire incontro ai nostri nuovi concittadini, è l’unico modo che abbiamo per poterli capire, aiutare, per insegnare loro cosa significa vivere in una “democrazia occidentale” e per imparare da loro tutto ciò che possono insegnarci, e magari riscoprire, grazie a loro, il valore delle nostre radici e l’importanza che la conoscenza del nostro passato può avere per il futuro dei nostri figli. Il primo passo spetta alle istituzioni, che se vogliono davvero gestire l’ondata migratoria, devono andarci incontro a quest’onda, offrire strumenti chiari, logici e definiti nei tempi e nei modi. Dare servizi, ma anche fare sentire chi non è nato qui non un ospite poco gradito, ma una persona con i suoi diritti e i suoi doveri, un probabile futuro cittadino italiano. Solo così, credo, potremo anche pretendere rispetto della nostra “civiltà”. Solo così, credo, la diversità che ci allontana potrà diventare una forza che ci avvicina. Come per i nostri bimbi, per cui il colore della pelle, la forma degli occhi, sono uno stimolo alla curiosità, non alla paura della diversità. Renato Plati


08 il ricordo

A tutti voi, con affetto, perché senza la vostra stima non sarei qui. Il presidente Rino Cimmino THE INTERNATIONAL ASSOCIATION OF LIONS CLUBS DISTRETTO 108-IA/1 IV CIRCOSCRIZIONEZONA C

- LIONS CLUB BORGOMANERO (NO)

quarantadue | tre

tempi, che da laggiù si è trasferito quassù, perché chi va piano va sano e va lontano. A Franco, perché senza di lui la piazza di Borgomanero non sarebbe più la stessa. A Piero, per una vita contro il fumo, a lui gli oneri ed a Sirchia gli onori. A Francesco, quando la banca era “meno banca e più Francesco” ancora prima che inventassero la pubblicità del San Paolo. A Giovanni perché con lui avremo sempre un posto familiare dove trascorrere gli anni del tramonto. A Mauro, Paolo e Nicola, last but non least perché siano orgogliosi di essere tra noi. A Franco, Carlo, Franco, Renzo e Stefano perché sappiano che per loro la porta è sempre aperta. Ad Aldo, Alfredo, Damaso, Emilio, Renato, Mario e Vincenzo che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui tutti sentiamo la mancanza, perché ci guardino con benevolenza da lassù.

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A Peppino, Pierluigi e Romano, quando la politica è passione; non importa poi se tra i pochi eletti dei tanti di Montecitorio o se eletti tra i pochi di un consiglio comunale; ciò che conta è crederci. A Remo ed Ugo che scrivono, scrivono, l’uno le storie l’altro i numeri del club, e per fortuna non si esauriscono mai. A Giovanni e Romano, chi cura il corpo, chi lo spirito; di entrambi non si può fare a meno perché a volte un bel diamante gratifica assai più di uno sciroppo. A Mario, Luigi e Michele, perché un sorriso, si sa, nulla costa a chi lo dona … ma madre natura non sempre da sola basta. A Franco ed Ugo, quando si dice l’eleganza. La classe per loro certamente non è acqua, ed a proposito di acqua: a Giuseppino, Mario e Sandro perché il piacere e la comodità di toccare l’acqua con un dito la dobbiamo un po’ anche a loro. Ad Ermanno e Leandro, loro sì sanno sempre dove mettere i piedi. A Luigi e Riccardo A Carlo ed Alessandro, Perché Dio li fa e poi li accoppia e, perché Strehler, al confronto, non lasciandomene passare una, chi è ? ma per la Carulena hip hip si salvi chi può! hurrà. A Maurizio e Riccardo, A Max, Ruggero e Vittorio, inseparabili compagni di merenda Così vicino e così per il loro contraddittorio, miglior perché i loro figli possano lontano, anche questi esempio di democrazia, raccontare un domani dell’amicizia sono solo punti perché non sempre è vero che chi fa che si tramanda di generazione di vista. da sé fa per tre. in generazione. Ad Ennio e Giuseppe, Ad Angelo e Vincenzo Dedicato a Franco, Gianfranco e Nini, perché tutto li divide tranne che conta e riconta, i bilanci senza di loro nessuno di noi l’amicizia e la Cimberio Basket. e la cassa devono quadrare, anche sarebbe qui. A Renzo, agli antipodi dell’alfabeto. A Carlo e Primo, appunto, perché non di sole valvole A Rino, perché la statura di un uomo non si vive l’uomo. mio celeberrimo omonimo, che in misura solo in centimetri A Felice e Pier Carlo quanto a “bon ton” non lo batte Ad Errico e Sergio che più palazzi si buttan giù, più nessuno ed anche perché Napule è, ma il gorgonzola è, loro, con le gru, si tiran su…. a Gaetano, gran sportivo, perché è, è! con il progetto di Germano che, mens sana in corpore sano. A Franco e Luciano, in silenzio, ti da una mano. Ad Arnaldo, che di fili se ne intendono. C’è chi lo A Giancarlo perché da lui c’è dal bel nome altisonante, perde (a detta sua) e chi lo cerca sempre un posto a tavola borgomanerese dell’anno non certo (a detta di sua moglie) anche e a Sergio che del di..vino se ne per vana gloria, nell’uovo. intende. ed a Damaso, galantuomo d’altri


“Se avessi delle lacrime da versare piangerei, non per quello che non ho potuto, ma per quello che non ho voluto. Piangerei per un sorriso che ti ho negato, per una mano che ho ritratto. Piangerei per quell’amore che non ti ho dato, per le parole lasciate lì… spezzate dal mio egoismo. Amico, se mi dai una mano forse la vita sarà più semplice, perché dove sono quattro piedi, correre è più facile: dove sono quattro occhi, scoprire non è difficile: dove sono due cuori, AMARE è più bello. Dammi il tuo sorriso perché impari anch’io, dammi la tua gioia perché possa donarla, amarci perché possa amare”. Invito i miei amici a condividere con me queste bellissime parole – non scritte da me – perché sono sicura che interpretino molto bene il sentimento che ci anima tutti a “dare” agli altri, siano bambini, persone anziane, malati o vicini. Grazie. Annamaria Bichisao

A volte mi domando come le persone coinvolte nelle tragedie che ormai quotidianamente accadono, riescano a sopportarne la sofferenza… sembra così lontano il dolore degli altri. Poi però mi rendo conto che sebbene io sia, sotto una serie infinita d’aspetti, estremamente fortunata, non sono immune dal soffrire. Me lo ricordano un sogno che con forza cerco di perseguire ed invece diviene sempre più irrealizzabile, amici che con spaventosa ed incredibile regolarità se ne vanno, sentimenti che nonostante siano profondissimi non ho la capacità (forse il coraggio) di esprimere e mi si spengono dentro… Ecco allora che la sofferenza diventa così vicina! Niente di più democratico verrebbe da dire: trasversalmente il dolore tocca qualsiasi razza, ceto e ambizioni connesse, quasi a ricordarci che siamo tutti uomini… banalmente uguali. O forse chissà, più che la sofferenza, è la perenne ricerca di felicità (così lontana) che ci accomuna e, allora, capisco che non si è mai soli nel “sentire” la vita. Erika Brovelli

moebius adiacenze, parole poggiate su labbra sottili. distanze, rose piantate in un vaso e fiorite in un campo. sull’unico fronte del nastro, viaggio verso la mia schiena. Inevitabile incontrarti. Gabriele Dozzini

09 il confine


L’importanza del rispetto reciproco

provocarlo e si getta su di lei. Durante la lotta sfrenata, loro urtano l’elefante che, pazzo di rabbia, risponde violentemente contro ciò che pensava fosse una provocazione. Fatto questo, l’elefante calpesta la coda del serpente che ovviamente lo morde. È cosi che viene annientata la società di questi animali, per colpa della iena, animale senza amor proprio, che non rispettava nulla”. Ma voi vi siete mai chiesti perché, invece di migliorare i nostri valori per rispettarsi, aiu-

tarsi e amarsi l’un l’altro, noi continuiamo a fare guerre e ad ucciderci? Sarà mica perché ci sono tante iene tra di noi e alcuni continuano a guardare gli altri non come degli esseri umani come loro, ma come degli esseri inferiori e diversi, cosicché odio e disprezzo portano solo alla guerra? Yade Mamadou Fonte: www.ilpassaporto.it (il giornale dell’Italia multietnica rubrica di Repubblica.it)

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quarantaquattro | cinque

In verità la vita in società è impossibile se c’è anche una sola persona che non rispetta gli altri. Vi racconterò ora una storia che i wolof del Senegal solevano raccontare. “Alcuni animali formano una società. Per renderla solida e durevole, ognuno fa sapere agli altri l’unica cosa che non sopporta. La pantera dice che a lei non piace essere guardata negli occhi; il leone dice

che lui si offende quando vede che qualcuno abusa della propria forza su un debole. L’elefante afferma che non sopporta di essere disturbato nei suoi momenti di riposo. Il serpente dichiara che a lui non piace che qualcuno calpesti la sua coda. Solo la iena fa sapere agli altri che lei non rimane mai infastidita da niente e vuole che tutto sia permesso. Appena detto questo, la iena fissa negli occhi la pantera che subito le dà un pugno, il leone pensa allora che la pantera voglia

Nella casa di fronte una donna stava versando un risotto giallo nella scodella di un uomo seduto a tavola. Parlando e sorridendo – lui a capo chino, col cucchiaio in pugno – gli si sedette davanti. Lui mormorò qualcosa e lei si alzò a prendergli la saliera. Ma che se la prendano da soli. La donna riprese a parlare con vivacità. Ebbi un moto d’amore per lei e per tutte le donne, che si consumano nella dedizione, nell’allegria, nella dolcezza, che tengono in vita gli uomini, tutti quanti. Questa è la verità. GRAZIA CHERCHI, DA “BASTA POCO PER SENTIRSI SOLI”

10 l’incontro

Sandra Casadei


Un pianerottolo in Paradiso “I primi parenti sono i vicini di casa”… così recita uno dei vecchi proverbi che mi sono rimasti dalla saggezza semplice ma profonda di nonna Felicita. In questo periodo trascorro molto del mio tempo a vuotare l’appartamento dei miei genitori che, uno dopo l’altro, se ne sono andati. Mi passano tra le mani gli oggetti grandi e piccoli di una quotidianità durata cinquant’anni e, mentre lavoro, la mente vola evocando nostalgia di cose, situazioni ma soprattutto persone che non ci sono più. I vicini di casa, appunto: Pietro e Francesca. Lei se n’è andata il giorno dopo la mia mamma: 25 ottobre 2001. Lui è rimasto solo per tre anni, ma ad un certo punto non ce l’ha fatta più: un po’ per gli ottant’anni, un po’ per la salute e soprattutto per la solitudine. Pietro era sardo, ma viveva qui in Piemonte da una vita: il lavoro, la famiglia, gli amici erano qui. Ma ora, di tutto questo era rimasto ben poco: in pensione da quasi trent’anni, vedovo, i figli lontani. Quell’appartamento, (attiguo a quello dei miei genitori), che aveva

accolto per molti anni cinque persone era andato via via abbandonato: prima un figlio si sposa, poi l’altro, poi la terza. Dopo un po’ di anni anche Francesca lascia quella casa e la propria vita: tra quelle mura risuonano solo i passi, sempre più stanchi di Pietro. L’anno scorso, di questi tempi, la decisione di tornare nella sua Sardegna, in una casa di riposo. Ci eravamo salutati con il groppo in gola e ci eravamo scritti gli auguri di Natale. Poco dopo Pasqua ho saputo che Pietro era morto e due mesi dopo se ne andava anche il mio papà: per uno strano gioco del destino si verificava una situazione analoga alla morte di Francesca e della mia mamma… Pietro se n’è andato a morire lontano dal suo vicino di casa, ma in un certo senso i tempi che avevano condiviso in quasi quarant’anni di buon vicinato erano stati rispettati fino in fondo: a distanza, ma fino in fondo! Saranno vicini di casa anche in Paradiso? Piercarla Barattini

Come? L’Uomo era solo in quel vuoto bu io che lo imprig sulla convenzion ionava. Da quan e del tempo. to tempo? Avev All’inizio i suoi a ormai perso il occhi scorsero controllo un la mpo provenire cervello. L’Uom da sinistra, ma o non ci pensò pi fo ù, rs non poteva perm e era solo un cr Poi quella luce ri udele scherzo de etterselo. apparve lì, prop l rio davanti a Lu quell’Essere fors i. L’Uomo allung e era l’unico rim ò un asto. braccio: voleva I muscoli gli do il contatto. Anc levano per l’imm he ensa tensione e tremante attrav ormai mancava ersò finalmente no pochissimi cent quella luce, ma braccio: doveva imetri. La sua m niente, non rius pensare. Come ano cì ad afferrare il suo essere fatt con l’Altro fatto ni en te. L’Uomo ritras o principalmente solo di energia? se il di materia avre Come alleviare Rilassò i musco bbe potuto com le loro solitudin li rassegnato. Er unicare i? Come? Come? a comunque da Come?....... solo.

11 saluti

Elena Cazzan

iga


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quarantasei | sette


“Così lontano, così vicino” si sa, è il titolo di un noto film di Wim Wenders girato a Berlino, ma potrebbe anche essere il titolo di un film altrettanto bello, ma meno noto girato a Milano, quartiere Vigentino, zona Ripamonti. È il 12 agosto di un afosissimo, assolato, bollente pomeriggio d’estate del 1997 e il sottoscritto, incallito tifoso milanista (no dai incallito tifoso no, diciamo appassionato sostenitore del Milan) esce di casa alle 17 per andare a vedere a San Siro la squadra del cuore, messa di fronte per l’ennesima volta alla compagine juventina, nell’ormai imperdibile appuntamento di inizio stagione con il Trofeo Berlusconi. Il caro Dario, difettando del tagliando di ingresso (è un’amichevole e non è che uno si compra il biglietto con due mesi di anticipo, è agosto e chi vuoi che ci sia a Milano che vuole andare allo stadio…) esce questa volta con grande anticipo, ma come al solito esce a cavallo della sua Vespa (un bel PX125). Sale la rampa dei box, prima, seconda, terza, imbocca via Rogers che porta alla rotonda che immette su via Chopin, affronta dolcemente la curva a 100 metri da casa felice che tra poco l’omino della biglietteria gli staccherà il tagliando davanti facendo attenzione a seguire con cura la linea preforata e dietro lo scambio denaro contro biglietto acquisterà il diritto a vedere lo spettacolo della sera. Invece no: sbanghhh, crash, patapum. Altro che denaro contro tagliando, qui si tratta di Auto contro Vespa. Cosa è successo? Niente, anzi tutto. Al momento di affrontare la curva di via Chopin (strada a doppio senso di marcia) si vede piombare addos-

12 la lotta

so una macchina che viaggia esattamente contromano, nel senso opposto della direzione di marcia, come se alla guida ci fosse un cittadino britannico convinto di passeggiare tra le campagne del Kent, mentre invece i campi sono quelli di Vaiano Valle, la guida è a destra e le regole sono quelle italiane. Il povero conduttore del veicolo non si accorge dell’arrivo della vespa, dato che già marciava in senso opposto chissà a che cosa stava pensando, l’auto colpisce il lato sinistro della Vespa, riducendo lo scudo proteggi-gambe ad una lattina di tonno e facendo finire il caro Dario sul parabrezza dell’auto. Con la destrezza di uno stuntman il giovane cade a terra, effettua una capriola stile nano del circo e ricade a lato della strada, dove grazie al cielo non arriva nessuno, rialza la Vespa sul cavalletto, si gira per guardare l’auto che nel frattempo termina la sua corsa con una sgommata. Si aprono le portiere e scendono due energumeni. Chiamiamoli A e B. A indossa una mezza tuta tagliata all’altezza delle ginocchia, zoccolo del buon infermiere per favorire una guida sicura e fantastica canottiera bianca a rete: il capello è ossigenato, lo si nota dal contrasto evidente con il vello nero che adorna il petto del giovane. B è più formale, pantalone dell’abito, mocassino impolverato, camicia aperta sul petto e un evidente riporto sopra la testa a nascondere i capelli unti da quelli secchi. Entrambe hanno i tratti importanti di chi la sa lunga, il sottoscritto invece ha i tratti di chi si sta cagando addosso. I due si fanno avanti gridando frasi tipiche di chi conosce le buone maniere: ma dove c…. vai? Ma che c….fai? Ma

alzati! Il sottoscritto che ha la tendenza a non litigare nemmeno con le zanzare rispetta la propria indole e con tono tra l’ironico e il disperato accenna alla loro guida evidentemente contromano. Non l’avesse mai detto. I giovani rallysti non si fanno problemi e iniziano ad enunciare una serie di minacce di cui mi permetto di riportarne solo una parte: sappiamo che abiti in queste case, sappi che poi ti veniamo a trovare... Leggermente intimorito ecco che allora il povero Dario comincia a pensare che trascorrere il resto dei propri anni con la paura di dover incontrare sotto casa i due giovanotti pensa bene di “patteggiare” una sorta di concorso di colpa senza l’uso della constatazione amichevole, ma con il semplice scambio delle generalità: mentre Dario passa la carta di identità il guidatore mostra la sua patente su cui campeggia una fotografia sbiadita e un nome indelebile che non si può pronunciare altrimenti ve lo ritrovate sotto casa anche voi. Ancora oggi è vivo il ricordo della patente e ancor di più è noto il luogo di nascita: ma santo cielo con tutto quello che c’era da fare in quella giornata bollente proprio “così vicino” (a casa mia) uno nato “così lontano” (a Nuova York) doveva tirare sotto proprio me? Dario Bertolesi


Grazie a questo asilo e a tutti coloro che operano al Progetto “100 euro”, la cui virtù va oltre il sacrosanto diritto dell’integrazione e dell’accettazione reciproca ma arriva a riconoscere e soddisfare il bisogno primario di una mamma di dare valore alla propria maternità e di crescersi il proprio bimbo potendo sperare per lui un futuro un pochino più semplice.

Girotondo intorno al mondo (SERGIO ENDRIGO)

La vittima diventa boia se non tiene cultura. SUD SOUND SYSTEM

Elena Casadei

Se tutte le ragazze Le ragazze del mondo Si dessero la mano Si dessero la mano Allora ci sarebbe un girotondo Intorno al mondo Intorno al mondo. E se tutti i ragazzi I ragazzi del mondo Volessero una volta Diventare marinai Allora si farebbe un grande ponte Con tante barche Intorno al mare. E se tutta la gente Si desse la mano Se il mondo veramente Si desse una mano Allora si farebbe un girotondo Intorno al mondo Intorno al mondo Emanuela Monguzzi Coordinatrice Educatrice Nido Giramondo

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Qualche mese fa è scomparso Sergio Endrigo, un cantautore italiano che ho conosciuto quando ero piccola, tramite i miei genitori. È stato impegnato nella diffusione di messaggi sociali e culturali importanti, anticipando i tempi anche su temi come la fratellanza fra i popoli, l’ecologia, oltre che essersi interessato alle tematiche dei bambini traducendo Vinicius de Moraez in italiano e musicando testi di Gianni Rodari. Ho pensato di proporvi il testo di questa sua canzone che quest’anno canteremo insieme con altre al nido Giramondo, magari cambiando le parole “ragazze” e “ragazzi” con “bambine “ e “bambini”.

quarantotto | nove

Francesca Colciaghi


Si racconta che all’inizio la terra fosse piana perché gli uomini si incontrassero facilmente. Ma crescendo gli uomini accumularono cattiverie, incomprensioni, diffidenze, nacquero così monti e colline, valli e paludi... Diventò via via sempre più difficile comunicare. Esausti gli uomini pregarono il Signore perché abbassasse le montagne, affinchè piegasse le colline... Il Signore mandò degli angeli che con le loro ali costruirono ponti tra le cime così che gli uomini potessero tornare ad incontrarsi. Oggi è il tempo per questi angeli di continuare a costruire ponti, nonostante gli uomini continuino ad innalzare muri. I nostri angeli sono i cuccioli dell'uomo, sono loro che ci fanno incontrare. Giuseppe Bettoni

Non abb iamo fat to in tem in tema po a pen perchè e sare al c ra nostro c ont ontribut vamo impegnat i a far n ributo o per i X ALICE 2 asc m 0.10. 20 as Proje 05 ct del fu ere il turo... Lorenz

o, Barb

ara e A

lice

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momenti e ci dona in quei la nse... offri il cuore e grandiose... inte re pi ni. mente a chi sa ca sublimi sensazio . a chi ti sta vicino Non mollare Cavaliere... e or lla strada am r pe o devi farl siamo ancora su r sa da quell'amore che giammai soli di noi. re nuovo vigo c'è chi veglia su a quei sogni bi l mattino Ivano Palom a quell'aurora de che ci illumina

Prima di tutto l’uomo

aella Raff gela

e An

Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista nella natura. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre: credi al grano, alla terra, al mare ma prima di tutto credi all’uomo. Ama le nuvole, le macchine, i libri ma prima di tutto ama l’uomo. Senti la tristezza del ramo che secca dell’astro che si spegne dell’animale ferito che rantola ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo. Ti diano gioia tutti i beni della terra l’ombra e la luce ti diano gioia le quattro stagioni ti diano gioia ma soprattutto, a piene mani, ti dia gioia l’uomo!

Clau Anna

e Claudia

dia e

Davi

de

Un abbraccio vale più di mille parole…

NAZIM HIKMET

13 amici

Raffaella Foschi

Raffaella Foschi e Anna Biasi; Angela Foschi, Claudia e Davide Coralli


mia città. In una mano ho una tazza di latte caldo. Nell’altra un libro. Per terra, accanto a me, una coperta che mi sono appena levato dalle gambe: la tachipirina mi fa sempre sudare. Da tre giorni ho la febbre, oggi è ancora piuttosto alta. Mia moglie è al lavoro, mio figlio all’asilo. Sono solo nell’appartamento. Le dieci di una mattina piovosa di febbraio. Bevo il primo sorso di latte, inizio a leggere… … In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare. Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, battere fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina. Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghetta-

14 l’ospitalità

… Ho finito la mia tazza di latte caldo. Mi alzo dal divano (mi sento ancora le ossa rotte), vado in cucina e appoggio la tazza nel lavandino, versandoci dentro un po’ di acqua del rubinetto per evitare che rimasugli di latte si incrostino sui suoi bordi interni. Apro il frigorifero in cerca di… non lo so, comunque lo cerco anche nell’armadietto in alto che fa da dispensa, ovviamente senza trovarlo. Torno al divano e riapro il libro… … A Eudossia, che si estende in alto e in basso, con vicoli tortuosi, scale, angiporti, catapecchie, si conserva un tappeto in cui puoi contemplare la vera forma della città. A prima vista nulla sembra assomigliare meno a Eudossia che il disegno del tappeto, ordinato in figure simmetriche che ripetono i loro motivi lungo linee rette e circolari, intessuto di gugliate dai colori splendenti, l’alternarsi delle cui trame puoi seguire lungo tutto l’ordito. Ma se ti fermi ad osservarlo con attenzione, ti persuadi che a ogni luogo del tappeto corrisponde un luogo della città e che tutte le cose contenute nella città sono comprese nel disegno, disposte secondo i loro veri rapporti, quali sfuggono al tuo occhio distratto dall’andirivieni dal brulichio dal pigia-pigia. Tutta la confusione di Eudossia, i ragli dei muli, le macchie di nerofumo, l’odore di pesce, è quanto appare nella prospettiva parziale che tu cogli; ma il tappeto prova che c’è un punto dal quale la città mostra le sue vere proporzioni, lo schema geometrico implicito in ogni suo minimo dettaglio. Perdersi a Eudossia è facile: ma quando ti concentri a fissare il tappeto riconosci la strada che cercavi in un

filo cremisi o indaco o amaranto che attraverso un lungo giro ti fa entrare in un recinto color porpora che è il tuo vero punto d’arrivo. Ogni abitante di Eudossia confronta all’ordine immobile del tappeto una sua immagine della città, una sua angoscia, e ognuno può trovare nascosta tra gli arabeschi una risposta, il racconto della sua vita, le svolte del destino. Sul rapporto misterioso di due oggetti così diversi come il tappeto e la città fu interrogato un oracolo. Uno dei due oggetti – fu il responso, – ha la forma che gli dei diedero al cielo stellato e alle orbite su cui ruotano i mondi; l’altro ne è un approssimativo riflesso, come ogni opera umana. Gli àuguri già da tempo erano certi che l’armonico disegno del tappeto fosse di natura divina; in questo senso fu interpretato l’oracolo, senza dar luogo a controversie. Ma allo stesso modo tu puoi trarne la conclusione opposta: che la vera mappa dell’universo sia la città di Eudossia, così com’è, una macchia che dilaga senza forma, con vie tutte a zig-zag, case che franano l’una sull’altra nel polverone, incendi, urla nel buio…

nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata di un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: “Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere … Mi alzo ancora, questa volta per vivente a un altro per un attimo e si andare in bagno a fare pipì. Men- disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide tre sono seduto sul gabinetto suona il citofono. È la custode che figure cosicché a ogni secondo la città mi chiede se ho bisogno di qualco- infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere”…

sa, dice di non fare complimenti, di farle sapere se deve andare a comprarmi il pane. La ringrazio e le rispondo che ho già tutto. Rientro in bagno, tiro lo sciacquone e vado un po’ infastidito a sedermi nuovamente sul divano. Una nuova città mi aspetta...

… Chiudo il libro. Mi alzo e torno in cucina. Apro il frigorifero, prendo un bicchiere pulito, la bottiglia dell’acqua, e me ne verso un po’. Vado in camera da letto e scosto la tenda della finestra che guarda nel cortile. Piove ancora. Le undici di una mattina piovosa di feb… Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le braio. Lo sguardo sulla mia città mani, impreca ai bambini che piango- diventa ricordo di quelle appena visitate. Nel giro di un’ora ho viagno, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina giato per tre volte fino ai confini si sveglia da un brutto sogno e ne del mondo. Benedetta febbre! comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti

Filippo Marconi LE CITAZIONI SONO TRATTE DA ITALO CALVINO, LE CITTÀ INVISIBILI

cinquanta | cinquantuno cuarenta | cuarenta y uno

ta delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il camSono sdraiato sul mio divano. Sotto melliere e il marinaio vedono Despina, la mia coperta, in casa mia. Nella città di confine tra due deserti…

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Porto, come sempre in casa, le mie pantofole e la tuta da ginnastica.


Papik vive in Alaska, dove fa molto freddo. Depa abita in India, dove c’è sempre caldo. Ci sono anche Qazim e la sua capretta, Malaika che ha le treccine, Edwin che è un bravo pescatore... Sono bambini di tutto il mondo, di tutti i colori. Vanno a scuola, giocano, crescono sognano come te... “BAMBINI DI TUTTI I COLORI”, DONATA MONTANARI

CEB SRL Giovannelli Ottavio Valentino Monteleone Sebastiano Tagliabue Carlo Campitelli Alessandra Cammi Elena

15 il dono


BAYLE, P.

Gli anni che passano

(1647 – 1706) E AROUET, F.M. DETTO VOLTAIRE (1694 – 1778)

portano con loro tante persone che hanno riempito i tuoi giorni e che si allontanano da te ma ti insegnano anche che se trattieni nel tuo cuore qualcosa di loro non c’è lontananza che tenga. Niente ti è più vicino di ciò che hai nel cuore.

… Così lontani... Dal “Dizionario filosofico” nelle pagine nelle quali Voltaire esamina le posizioni di Bayle: L’idolatria è più pericolosa dell’ateismo? Meglio non avere nessuna opinione che un’opinione falsa, lo diceva anche Plutarco. È più pericoloso il fanatismo o l’ateismo? L’ateismo non ispira passioni sanguinarie, ma il fanatismo sì; Hobbes passò per ateo e condusse una vita tranquilla e costumata, i fanatici del tempo suo inondarono di sangue l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda. Non bisognerebbe distinguere accuratamente la religione dello Stato e la religione teologica?

Augusta Mamoli

… Così vicini… Cicci Carini

Poi, all’improvviso, tutto svanisce... incontri un sorriso e lo condividi... riesci a farlo nascere sul tuo viso lo ricevi da due occhi innocenti che ti fanno sentire stupido... Ecco che le tue sofferenze, i tuoi problemi si trasformano in cazzate che più non ti appartengono … è quella trasparenza, quella semplicità,… il calore di quel sorriso, il brivido di quello sguardo… l’ingenua saggezza di una bambina la cui cameretta è diventata il letto di un ospedale a fartelo capire... Claun Comizio – MILANO

ASSOCIAZIONE DI CLOWNTERAPIA “LE NOTE DEL SORRISO” ONLUS

16 l’abbraccio

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Spendo una lacrima ogni volta che mi chiudo in pensieri ostili... ogni volta in cui penso che le cose vadano male e potranno andare solo peggio... ogni volta che non credo in un sorriso perché quello non è il momento giusto... ogni volta in cui credo che le cose debbano essere così, perché così dicono siano giuste... perché il rigore e la serietà in ogni luogo son dovute, ogni volta in maniera diversa... ogni volta che non mi concedo perché non sarei nel giusto, perché il giusto è la dove una camicia abbottonata troppo stretta ha deciso per me... quando non capisco se un istante, una foto, non è riuscita bene... quando una bambina ti ricorda che per una bella foto serve un bel sorriso... quando due occhi troppo azzurri hanno una cornice sbiadita da un destino che li consuma lento e troppo presto ha deciso per loro... quando la mia mano è tanto debole da non sorreggerne un’altra... quando continui a rincorrere un amore e per lei non dormi, non parli, non vedi e non trovi altre realtà al di fuori del tuo egoismo e non riesci ad allontanarlo.. forse perchè non vuoi... quando scopri di essere come nella vita non vorresti essere mai…

cinquantadue | tre

Dietro un sorriso


Felice sorpresa Ciao Leopold, sono Paolo, come mai sei così diverso da me? Sei nero! Sono nero perché sono nato in Africa. Ciao Nassir, sono Leopold, come mai sei così diverso da me? Sei scuro di pelle ma non sei nero? Sono scuro di pelle perché sono nato in Medio Oriente. Ciao Lin-Tao, sono Nassir, come mai sei così diverso da me? Non sei scuro ma hai la pelle gialla! Sono giallo perché sono nato in Cina. Ciao Juan, sono Lin-Tao, come mai sei diverso da me? Non sei giallo, sembri rosso e hai i capelli dritti e neri! Sono così perché sono nato in Centro America. Ciao bimbi, sono Piero, ma cosa ci fate qui nella mia città che venite da così da lontano? Siamo qui perché cerchiamo una vita migliore. Siamo bimbi e vogliamo essere felici. Ma Jaun, a te piace giocare al girotondo? Sì certo Ma Lin-Tao a te piace giocare a palla? Sì certo Ma Nassir a te piace giocare a nascondino? Sì certo Ma Leo a te piace giocare “strega comanda color”? Sì certo E a te, Paolo a te piace giocare a prendersi? Sì certo Allora bimbi, a tutti voi piacciono le stesse cose, ma allora bimbi siete uguali, e allora prendiamoci per mano … giro giro tondo casca il mondo… un nonno di Milano che ha tanta speranza che le cose vadano cosi.

Quando penso a quale, fra le grandi emozioni-esperienze che l’Uomo ha fatto proprie nel corso del suo cammino dall’inizio dei tempi, avrei desiderato provare, mi vengono in mente i primi esploratori, gli antichi mercanti, ahimè qualche seppur illuminato condottiero. Il loro incontro con genti ignote, frutto del viaggio, al di là dei confini di un mondo di mappe quadrate, era la vera essenza del peregrinare stesso. La conoscenza che ci hanno lasciato viene prima di tante altre conoscenze e ad altre ha dato forza. La meraviglia provata è una delle colonne della bellezza del nostro Mondo. Tutto questo per noi è oggi motivo di paura, di chiusura, di ignoranza. E allora, se noi siamo fermi, perché non dovrebbero muoversi loro? Alberto Cometto

17 il cerchio


Alouet

alouet

te

Je te plu m Et le bec erai le bec (bis) (b Et la têt is) ê (bis) Alouette (bis) Ah!

Anasta

sie Egu

eu

cinquantaquattro | cinque

te, gen Refrain tille Alouette ,g Alouette entill’alouette, , je te plu merai Je te plu m Et la têt erai la têtê (bis ) ê (bis) Alouette (bis) Ah!

Due piedi lesti lesti per correre e saltare, due mani sempre in moto per prendere e per fare, la bocca chiacchierina per tutto domandare, due orecchie sempre all’erta intente ad ascoltare, due occhioni spalancati per tutto investigare ed un cuoricino buono per molto, molto amare. Vorrei con tutti i bambini del mondo fare un allegro girotondo; Poter dare la mano a chi mi è vicino e a chi è lontano; Correre sempre insieme per stare in allegria tutti quanti in compagnia; Ci vuole poco per essere felici e avere in tutto il mondo tanti tanti amici. Stefania Conte Educatrice Asilo Nido Giramondo, Sala Divezzi

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Quel che possiede un bimbo


quello che stava con l’occhio fisso al cielo, a scrutare le nuvole, perso nelle sue domande e che, senza accorgersi dell’ostacolo, inciampa e finisce a faccia in giù, fra la polvere, gli escrementi dei cani, l’odore della terra? Me lo immagino steso, un po’ scomposto, nella sua mente i pensieri in disordine faticano a riprendere il loro posto, come fiori caduti da un vaso hanno perso la loro armonia e sembrano, quasi, già appassire: rimane lì, i suoi sensi intorpiditi a tentoni contattano un mondo nuovo, così vicino, così lontano. Il cielo gli è familiare, non questa terra così dura, così scomoda; conosce tutte le morbide rotondità delle nuvole, si è addentrato mille volte nelle profondità dell’azzurro ed è amante appassionato del buio della notte, ci si muove come un gatto, agile quasi sprezzante. Ma questo puzzo insopportabile che lo aggredisce e questa specie di grumo in cui si è aggrovigliato fino a perdere l’equilibrio e poi cadere è ormai troppo vicino per far finta di niente … Non so come può andare a finire questa storia: forse il filosofo rimarrà steso ancora per un po’ e ad un certo punto qualcuno gli

insegnerà a riconoscere gli odori, educherà il suo olfatto ai profumi, gli svelerà i miasmi da combattere; piano piano, addirittura, sempre restando lì disteso, risveglierà la sua vista a nuovi colori, riconoscerà il nero, i grigi, le tante tonalità dei marroni, poi la gamma irresistibile dei verdi e, forse, arriverà anche allo sfolgorio dei gialli e alla bellezza quasi mortale dei rossi. Allora ri-conoscerà l’uomo e la donna, prima così lontani ora così familiari e vicini. Forse. Oppure, dopo un primo momento di turbamento e di ribrezzo, verificato il proprio stato di salute, passati in rassegna muscoli, ossa, nervi, ripreso il controllo di se stesso e raccolti e ordinati i propri pensieri, il filosofo si rialzerà, una scrollatina per liberarsi della terra che ancora si sente fastidiosamente appiccicata al corpo, insinuata nei polsini e nel collo della camicia, nei calzini, perfino fra le ciglia e sulla lingua, e poi, eccolo, di nuovo nelle nuvole. Così lontane, così vicine. Ovviamente è solo un gioco, l’ispirazione arriva da tante cose, in particolare dalla lettura delle poesie di un giovane poeta, Stefano Aldeni, di cui riporto, volutamente confusi, alcuni versi.

L’odore altrui arriva con fretta e con molto pianto che sta in cose porte e tornate presto facce

Possono di notte le case sui grandi viali ascoltare il gorgoglio della città che s’allenta

ascoltar e la zing ara piangere all’incro cio, col suo bra pendent ccio et e le vest ra i fiori i rafferm e, circuite nel bam bin tra seno o arenato e volto.

Es il c trin in orpo gend un o un in ga i via ico mb li bel e e in g ato tu abb tto ie

Ricordate quel filosofo,

nulla sai dell’acqua nelle pozze seccate, l’origine minore d’ogni cosa mancata.

Le mani sono le orbite d’ogni cosa ….

Cristina Traverso

Città, a disputare il tuo fondo un nugolo che rovista, una polvere malvista, dell’andare in tondo, dell’uomo.

. tano.. n o l zza o t ol Pani m a i e n r a nda cini el e V Isab orre a utti più vi , c o c e t o at Non entirci t o, M Pabl s r ...pe 18 la festa


47. Il re dei russi. 48. L’ultima opera di Puccini. 50. Si dice per rifiutare. 51. I mercati che trattano il pesce. 52. Fu. 53. La nostra Associazione. 56. A noi. 57. Bosco francese. 58. Il profeta presente nella Trasfigurzione. 59. Collegio nei pressi di Londra. 61. Il nostro regalo di Natale. 65. Difeso, riparato. 66. Una provincia toscana.

VERTICALI 2. Confusione. 3. Vengono ricordati con i Babilonesi. 4. Tutto in inglese. 5. Quella internazionale aiuta i più poveri. 6. C’è quello nazionale. 7. Despota. 8. Formazione cistica. 9. La cartuccia della stampante. 10. La piazza greca. 11. C’è quella del nove. 12. Società ad accomandita semplice. 13. I rifugi dei banditi. 14. Un’appellativo di Gesù. 15. La più famosa Orfei. 16. Canzonatoria, beffarda. 18. Le vocali dei divi. 19. Collegano le principali stazioni. 20. La più famosa Cooper. 21. Duchessa senza... pari. 22. Originario della zona attorno al mar Nero. 27. Fan pesci da...pasti.

31. Ha per capitale Port-au-Prince. 33. Nota città della Valtellina. 34. È sana in corpore sano. 35. Famoso film con Lancaster e Delon. 38. Articolo femminile. 39. Vi sorge un famoso tempio egizio. 40. Antica misura austriaca per cereali. 42. Si porta al dito. 43. Le compagne del circolo. 45. Viterbo. 46. Lo si chiede nel pericolo. 49. Una delle sorelle Poggi (in.). 54. Il nome di Gabin. 55. Taranto. 57. Così era nota la Bardot. 59. Nota serie televisiva. 60. Ottoni senza toni. 61. Latina. 62. Lo sono allo specchio. 63. Iniziali di Ventura, il grande attore. 64. Dottore in breve.

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ORIZZONTALI 1. Starnazza nell’aia. 4. Quella di stomaco è data dai succhi gastrici. 11. Post Scriptum. 13. Il rame. 15. Un no assoluto. 17. Uno dei soggetti che sosterremo. 22. Il tema editoriale di quest’anno. 23. Li adorava Sigfrido. 24. Il maghetto della Rowling. 25. Ha per capitale Niamey. 26. Serve per pescare. 28. Varietà di foraggio per il bestiame. 29. Quando si sostengono fan venire sempre la tremarella. 30. Elegante. 32. Turbo diesel. 35. Iniziali di Neill, l’attore. 36. Le gemelle di casa. 37. Pianta dalle virtù più disparate. 39. La capitale del Togo. 41. Il “cappello” del mobile. 44. È adorato con Brhama e Visnù.

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In una fredda giornata di inverno, un gruppo di porcospini si rifugia in una grotta e per proteggersi dal freddo si stringono vicini. Ben presto però sentono le spine reciproche e il dolore li costringe ad allontanarsi l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li porta di nuovo ad avvicinarsi si pungono di nuovo. Ripetono più volte questi tentativi, sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non trovano quella moderata distanza reciproca che rappresenta la migliore posizione, quella giusta distanza che consente loro di scaldarsi e nello stesso tempo di non farsi male reciprocamente. ARTHUR SCHOPENHAUER Graziella e Antonio Panizza

19 l’ospitalità negata

cinquantasei | settey uno cuarenta | cuarenta

Le “nostre” parole crociate


Lontano da me Lontano da me in me esisto fuori da chi io sono, l’ombra e il movimento in cui consisto. FERNANDO PESSOA

Silvia Marchetto

Si prega di lasciare un messaggio… – Pronto? Telefono amico, buona sera. – ... – Ti ascolto. –…… – Va bene anche stare in silenzio, se questo è quel che ti serve. – ... … … … – Che cosa senti? – ... ho attorno tante persone ma nessuno mi chiede mai come sto davvero. Le mie conversazioni sono solo cronache, di azioni. Cosa mangio, cosa faccio, il lavoro, la giornata, la casa. – ... dimmi ancora – È per questo che ho smesso di rispondere al telefono. – Però hai chiamato me. – Non ce la facevo più a stare in silenzio. Grazie di aver avuto la pazienza di aspettare che fossi pronta a parlare. E anche di non aver cercato di indovinare i miei “perché” prima che aprissi bocca. Lorida Tieri

20 la paura


Il mio segreto: sotto un tumulo che voi non scoprirete mai. E.L. MASTER, ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Escludersi dai meccanismi corporei della percezione, come estraneo osservatore non osservato di una realtà puramente materiale. Distaccarsi. Ridurre i sentimenti, le sofferenze, le trepidazioni umane a semplici alterazioni della frequenza cardiaca. I pensieri null’altro che sequenze di impulsi elettrici. È realmente ciò che volevi ? L’impossibilità di “saziarsi alla tavola della voluttà”. Questo lo ricordo bene, quando qualcuno lesse, tardivamente, i tuoi inediti. Ci si può assolvere sulla sola base di questa tua incapacità ? No.

Laura Dozio

… ma io non voglio cadere nell’astuto stolto tranello figlio della nostra ipocrisia che invoca il solito ritornello: “era il suo destino, e così sia”.

cinquantotto | nove

23 novembre 1909 sesta elementare, Stravino-Milano, donna di servizio, 14 anni, farsi suora, amore-paura: Giacomo, ventiseienne…matrimonio, bambini, figli, guerra, bombardamenti, fame campo di concentramento, prigioniero politico, Fossoli-Mauthausen, fuga, ritorno, follia. Tradimento, dolore, liberazione Nipoti: Colomba suona la tromba Carte da gioco; scopone scientifico, pomeriggi di coccole. Profumo di torta banane e cioccolata Insegnamento: rispetto, libertà, uguaglianza, sesso, amore. Un bicchiere di whisky per le coronarie, due dita di china martini per i piccoli. “Qualche sigaretta non fa male” Montagna, camminate, funghi, odore di autunno. Protesi alla gamba, forza. Generosità senza limiti. Informarsi: leggere il giornale. Mi basta arrivare ai 70… Mi basta arrivare agli 80… Mi basta arrivare ai 90… stanchi sorrisi; 95 anni Così vicina, così lontana …ma come dici tu, nonna: quanto è bello vivere!

Dedicata a F., morto suicida nel 1993

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Colomba Elvira Chemotti

Enigmatiche comunicazioni non instaurate governeranno le mie sequenze di impulsi. Le onde che trasportano la nostra insostenibile ultima conversazione hanno ormai terminato di battere anche a milioni di chilometri nell’Universo. Tuttavia, non vedo ancora i limiti della dilatazione bergsoniana ad essa associata. Questo, forse, mi impedisce di descrivere il tutto nei distaccati termini della sola materia...

Nella Terra di mezzo, così lontana così vicina, cammina Emilio stanco, alla ricerca di una zona d’ombra dove riposare. Cerca di colmare la sua solitudine, il suo distacco col mondo e dalle persone care identificando un luogo sereno da cui ripartire verso un futuro di pace. Lucia freme alla ricerca di un primo raggio di sole, costante ed entusiasta, pronta a sfidare il mondo, con l’energia invidiabile di chi ha tutto da giocarsi, la curiosità, la speranza di un futuro di pace. I due si incontrano sospesi in un momento di passaggio, qualcosa di familiare li avvicina in un gesto d’affetto. Così lontani così vicini nel ciclo della vita. Matteo Fiorini


Chiara

Utili

re Se potessi aiutarli a non abbassa mai lo sguardo io essere "in regola". Per poter lavorare in cantiere è necessar i,artigiani... Bisogna dimostrare di essere murator Omar arriva accompagnato. lui è a posto Per lui parla un’altra voce: spiega che . ma che l’altro, Omar, è appena arrivato o? and dom mi e, Da quale paese vien La sua storia, la sua famiglia? a di una risposta. I miei occhi si posano su di lui in cerc ogna e paura. Omar abbassa lo sguardo: è pieno di verg nte cura non L’altra voce continua a parlare i... mentre io rimango su quegli occhi bass Marina Gianesini

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21 l’orizzonte

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Straniero orfano di una patria ormai smarrita, Alieno in perenne ricerca del tuo essere, Pellegrino di un mondo che non senti più tuo, smanioso di trovare un giaciglio sul quale costruire vecchi sogni, ma ancora attuali perché non esiste feretro che possa definire l’immortalità. Vagabondo circondato da miraggi e chimere che il tuo spirito trasformerà in realtà quando la ragione e la passione appellativi di vela e timone per quel navigante chiamato anima dipaneranno la nebbia che abbraccia l’orizzonte, allora il canto demagogico delle sirene non sortirà alcun effetto e il cuore sin qui diviso tra mille velleità si spezzerà in un sorriso inaugurando una nuova dimora.

Volevo regalare questa frase a tutti gli amici e sostenitori del Xmas project perché penso che il progetto 100 euro oltre ad essere una bella iniziativa da sostenere sia sicuramente un investimento per il futuro dei nostri figli perché solo condividendo la quotidianità vedranno nel compagno non uno straniero di cui diffidare ma solamente il compagno con cui si può tranquillamente giocare, ridere, studiare e forse finalmente capiremo che tutti siamo cittadini del mondo. Raffaella Panigada

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22 lo straniero

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“È giusto avere qualche conoscenza dei diversi popoli per poter meglio giudicare dei nostri e per non ritenere che tutto ciò che non è conforme alle nostre usanze sia ridicolo e contrario alla ragione, come sono soliti fare coloro che non hanno mai visto nulla”. CARTESIO

sessanta sessantuno cuarenta || cuarenta y uno

Marcello F.


C’è un unico filo conduttore in questo lavoro a sei mani che attraversa quattro generazioni. È dedicato a Carla, figlia, madre e nonna insostituibile per dirle che siamo orgogliose di lei e che le vogliamo bene.

Cristina: Strana storia quella della mia famiglia, la mia famiglia allargata. Nessuno di noi ha mai avuto più di due genitori o di quattro nonni, ma che confusione! Ciascuno con il ruolo dell’altro! C’era una nonna, indipendente, intraprendente e lavoratrice, insopportabile per me bambina oserei dire. Non avevo nemmeno finito di salutarla che già ero davanti ad una bilancia a pesare le caramelle – rabarbaro e menta, che non mi piacevano nemmeno, – insacchettandole a due etti alla volta e al terzo volo che facevo chiedeva a mia madre come mai avessi rotto il radar. Si è parecchio addolcita invecchiando lasciandomi per fortuna un ottimo ricordo e un briciolo di nostalgia. C’era un nonno buono, elegante e geniale, che faceva giocare me e i miei cugini con un niente ma tutto di sua invenzione, che mi chiama “nani” e mi diceva sst… non dire nulla che io e te ci facciamo uno zabaione stamani. Se ne è andato chiedendomi fino all’ultimo se la mamma continuasse almeno lei a dare un passaggio agli autostoppisti... erano tempi diversi! C’era una zia zitella, burlona ed impicciona che vestiva i due rampolli di famiglia (rispettivamente mio zio e mia madre) alla marinara e sulla quale ricadeva l’intera gestione della famiglia, educazione ai pargoli compresa, e parlava e parlava…; nottambula convinta perché si sa le cose migliori riescono quando il resto del mondo dorme e non disturba. C’era zia Marianna, zia di chi non ho ancora ben capito ma ciò che so è che la tapina non aveva trovato posto nella sua famiglia e quindi era finita nella nostra. C’era Lina di Alassio che occupava il suo bel metro quadro di spazio e lo occupava anche per parecchio tempo perché da noi il letto libero per lei c’era sempre. Mai meno di dodici a tavola e mai in tredici perché la fortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo: c’erano il pasticcere, perché tanto non aveva nessuno a casa ad aspettarlo, il prete perché lo spirito è importante ma l’ospitalità ancora di più, il generale in pensione che quando aveva alzato il gomito un po’ troppo trovava solo la nostra porta aperta, il gerarca fascista e la famiglia di partigiani sfollati (mai insieme ovviamente, a tavola il primo e in soffitta gli altri). Il posto c’era per tutti, proprio per tutti e con pari dignità. E infine c’era mio padre, con l’orgoglio e la riservatezza della propria cultura contadina, che immediatamente fagocitato nell’entropia di quella casa ha passato una vita chiedendosi probabilmente come fosse possibile sopravvivere in mezzo al caos. Già, perché con il passare degli anni forse i miei

23 partenza a causa della guerra

ricordi sbiadiscono ma ciò che mi rimangono, sempre, ben impressi nella mente sono una profonda, benefica sensazione di serenità ed allegria. Dedicato a mio padre e a mia madre perché, per gene o per credo, hanno insegnato a me e a Federica a non essere indifferenti.

Federica: la storia è la medesima… la mamma che ha disapprovato il giorno in cui ho appiccicato l’adesivo di radio popolare “qui nessuno è straniero” sulla mia automobile… Quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti però non ha esitato un attimo, si è resa disponibile ad accogliere i nostri vicini di casa, così lontani da noi per abitudini, linguaggio e cultura, spalancando loro la porta nel rispetto delle nostre e loro abitudini senza abbandonarsi a pietismi inutili. La storia è la medesima… non c’erano più i dolci dei nonni ma quelli del Marocco… che poi “non sono mica così male, anzi forse più sani dei nostri”! … non c’è più pane e nutella a merenda ma dei gran piatti di frutta per i nipoti propri ed acquisiti perché in Marocco funziona così! E poi ci sono… la raccolta differenziata che in Marocco non c’è ma “qui si fa così e quindi bisogna adeguarsi”. “Nessuno è straniero” non solo sulla mia automobile ma da sempre per tutti noi, questo l’ho imparato dalla mia famiglia e la storia che si ripete negli anni è sempre la medesima!

Lara: Io ho una nuova amica di nome Ikram con cui gioco normalmente; abita nel cortile di mia nonna e ha un fratellino di nome Zaccaria. I nostri giochi preferiti sono: fare mamma e figlia, fare le sorelle e giocare ognuno con la sua bicicletta. Insieme mangiamo dei grandi piatti di frutta che ci prepara la nonna. Io mi diverto moltissimo a imparare le loro abitudini così diverse dalle nostre. Un giorno Said il papà di Ikram mi ha detto che sono mezza italiana e mezza marocchina perché imparo i loro balli e mi piace molto il pane che fa sua mamma Hafida. Io penso che loro sono stati fortunati a venire ad abitare vicino a noi, perché ci vogliamo bene....

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Aldo e Angela: 40 anni di amore.

Maria Grazia Lodigiani

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Lara Cimmino, Cristina e Federica Poletti Maggiora, ottobre 2OO5

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Glenda Glenda è una ragazza filippina. So così poco di lei, lei invece sa tanto di me. È la mia colf. Conosce la mia casa, le mie cose, conosce tutto. Potrebbe scrivere qualcosa su di me, ha visto i miei libri, i miei vestiti, i dischi e i quadri. I biglietti, le foto, quello che mangio e quello che bevo. Sistema il mio letto, sente i miei odori. Avrà sicuramente anche rilevato qualche traccia di liquido seminale sulle lenzuola. Lavora anche da mio fratello, conosce mia madre, la mia famiglia, Ettore. Lei sa tutto di me, eppure sono io a volere scrivere di lei. Glenda è una ragazza piccola di statura, carina e sempre sorridente. È sinceramente gentile, educata, attenta. Raramente ho conosciuto una donna così gentile e premurosa. È attenta in modo silenzioso, discreto. Sistema la casa, spesso con delle piccole sfumature, che fortunatamente non mi sfuggono, e hanno fatto sì che io mi affezionassi tanto a lei. A volte sono i libri sul comodino sistemati in modo grazioso e intelligente; a volte un soprammobile, un piccolo oggetto o una decorazione, trovati in giro, e sistemati con un piccolo tocco femminile in un angolo della stanza. Oggi, per esempio, ha sapientemente cambiato il mio goffo modo di stendere le lenzuola sullo stendibiancheria, che cadevano e si afflosciavano sul pavimento, disponendole piegate più volte sui fili, così che non toccassero terra.

Basta accendere la televisione e il male, il dolore, l’ingiustizia mi sommergono. Una donna si fa esplodere e porta la morte a tante persone innocenti con l’incomprensibile sacrificio di se stessa. Il mare si innalza improvvisamente e sommerge, cancella i sogni di bimbi e ragazzine in spiaggia a costruire castelli. L’ingiusta distribuzione della ricchezza trasforma i cittadini dei paesi ricchi in obesi e i bambini dei paesi poveri in scheletri che camminano.

LONTANO… Posso io cambiare cose che sono tanto più grandi di me? Mi hanno spiegato che anche un piccolo gesto può servire. La mia goccia nel mare è questa iniziativa: partecipare e diffondere un messaggio di amicizia, di solidarietà. Eppure mi chiedo se serve davvero. Se gli amici e le persone alle quali dono questo libro ne condividono l’impegno e il significato, oppure lo sfogliano solo un attimo, lo dimenticano e non ne scoprono le potenzialità, l’impegno. La risposta a questi dubbi comunque è semplice. Meglio fare qualcosa che non fare niente. Nicole e Flavia

24 mezzi di trasporto

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VICINO…

sessantadue | tre

Milano, 2004 Stefano D’Adda


Collisione ed equilibrio L’esperienza di sradicamento dal mio paese d’origine e gli innumerevoli tentativi per addentrarmi nella società italiana, hanno seminato in me, col tempo, senza che me ne accorgessi, qualcosa di particolare, qualcosa che so non mi lascerà mai più fino alla fine della mia vita. Mi ricordo ancora di me come una ragazza chiusa, timida e facilmente imbarazzabile, appena arrivata in questa penisola a forma di stivale tutta da scoprire. Vedevo il mondo attraverso un oblò, chiusa nella mia torre d’avorio. Devo dire che sono una persona disperatamente curiosa e ammetto di non sapere come ho fatto, in quel particolare periodo, a reprimere in me tutta quella voglia di scoprire e di conoscere. Da bambina, non conoscevo la parola solitudine, abituata come ero a comunicare direttamente con il mondo esterno. Non ho mai tenuto conto di ciò che avevo dentro di me, non mi ero mai posta la questione di chi fossi, cosa stessi facendo in questo mondo: credevo di avere le risposte. Credevo che la vita non fosse che un piacevole dono e approfittavo della libertà quanto più possibile per gustarla, goderla. Credevo che la mia esistenza fosse importante, immancabile, mi sentivo fiduciosa, mi sentivo essere. Ma un giorno lasciai la mia infanzia che apparteneva al mio paese e tutto cambiò. Avevo 12 anni e per la prima volta ho poggiato i miei piedi, insolitamente timidi, su questa nuova terra. All’improvviso il mio mondo si era spento, insieme ai miei valori, alle mie convinzioni: mi ero persa. Camminando per la strada, vedevo galleggiare davanti a me tante facce, o meglio, maschere. Non riuscivo a vedere ciò che si nascondeva dietro a quei visi che sembravano sorridere o piangere, gioire o arrabbiarsi. Io mi sforzavo di camminare con passi calmi e testa alta, ero una maschera anch’io, forse, ancora più marginale e disperata. Ero sola. In certi momenti, un forte e pazzesco desiderio m’ invadeva. Presa dal panico,volevo correre per la strada e strappare una di quelle maschere per poterla appiccicare sul mio viso, per diventare una di loro. Il mio dizionario aveva una sola parola in mezzo a tante pagine bianche: SOLITUDINE. Fu così che imparai a guardare dentro di me e a chiedere a quell’inaspettato vuoto chi fossi, che ci facessi qui. Il vuoto mi rimandava le stesse domande. Ero silenziosa, mi dicevo tra me e me: Jinchuan, fino a quando non trovi te stessa non dire parole, non compiere azioni, non fare niente: proteggiti e basta. Imparare la lingua italiana non era per me una difficoltà, bensì un’impossibilità. Non potendo comunicare, per non impazzire iniziai a tenere un diario, abitudine che conservo tutt’oggi. Oggi definirei la situazione di allora con le parole “shock culturale”, aggravato dalla mia inconsapevolezza. Andando a rileggere i miei primi diari, appaiono con chiarezza le sensazioni di un totale smarrimento e di nostalgia, a volte anche di rassegnazione. Cercavo di scrivere cose piacevoli, ma tra le righe di quei pensieri avverto una certa inquietudine, una buona dose d’incertezza e forse anche molta ipocrisia nei confronti di me stessa. Ma cosa potevo sapere, a 12 anni? Mi vergognavo di essere una cinese, degli occhi a mandorla, dei capelli neri come la pece. Mi chiedevo: cosa mi dà il fatto di essere cinese? Mi guardavo dentro e non vedevo niente di speciale, di attraente. Iniziai a odiarmi con tutto il cuore, mi negavo completamente, non avevo il coraggio di guardare in faccia me stessa, ero senza identità. Mi sentivo come l’etranger di Camus, distaccata, senza emozioni, trovando un po’ di conforto solo nella natura. Ho imparato la solitudine, quel senso dell’infinito che opprimeva me, essere fragile, piccolo, malinconico. Per diversi anni mi sono crogiolata nel mio guscio rassegnata, in un stato di immobilismo. Ho tentato a più riprese e con molta cautela d’imboccare qualche canale che mi potesse guidare nell’anima di questa sco-

25 il mostro

nosciuta società, ma dove trovarlo? Profondamente depressa, ero solo capace di calcolare la distanza tra me e l’Italia. Era come essere sulla riva del mare; il mare, la società, era così vicina, proprio davanti a me, e io ero in costume da bagno. Davanti a me, l’unica possibilità era quella di tuffarsi: non potevo tornare indietro. Eppure esitavo, non facevo un passo: avevo timore di essere travolta, di annegare, non volevo più essere coinvolta, costruire legami. Un giorno mi sono svegliata e – forse influenzata dalla lettura di Leopardi – mi sono chiesta un’altra volta chi ero io e che ci facevo in questa terra sconosciuta. Ho allora iniziato un viaggio a ritroso verso le mie origini. Ho sfogliato le prime pagine di quell’enorme e antico libro chiamato Cina. Nelle sue pagine ingiallite, ho versato lacrime di orgoglio e di vergogna per avere ignorato la mia cultura. Ho trovato un appoggio morale, mi sentivo appartenere a qualcosa, come un viaggiatore stanco e smarrito che camminando in un’infinita pianura, trova all’improvviso un albero a cui appoggiarsi, un posto dove l’anima si riposa. Una tappa, ma non ancora una soluzione. Infatti, la mia cultura diventò allora un pretesto per ignorare quelle altrui. Diventai vanitosa, essendo cinese e avendo 5000 anni di storia alle spalle non avevo bisogno di andare a frugare nel mondo degli altri. Credevo di avere trovato finalmente me stessa, invece mi stavo di nuovo ingabbiando. Pur essendo fiera di essere una cinese “culturalmente pura”, grazie alla mia grande curiosità – quel lanternino che da sempre ha illuminato la mia vita – avvertivo un desiderio represso di allargare i miei orizzonti. Non potevo neanche immaginare la confusione che ne sarebbe derivata. Avere diverse culture dentro di me! Un giorno ho incontrato uno scrittore che mi ha fatto riflettere profondamente. Secondo lui tante culture insieme non devono essere considerate come un miscuglio di chi sa che cosa, bensì come una macedonia: ogni frutto mantiene il proprio sapore e si può scegliere quello che piace di più senza però discriminare gli altri. Da queste parole capii cosa era una società multiculturale. Era come essere svegliata da un sogno, e mi sono detta una frase che mi avrebbe cambiato la vita: Jinchuan, basta crogiolarti nella tua cultura e farne un pretesto per rimanere ignorante. Apri il cuore e preparati a diventare una macedonia! La vita cambiò, gli occhi si aprirono, le incertezze cessarono, la curiosità venne liberata, il desiderio teso al massimo. Mi sento viva, con la mia stessa identità; che sia pura o meno, cosa importa? Questo è la mia cultura, ciò che il processo della vita mi ha donato, ciò che io come essere umano ho guadagnato, ciò che oggi, quando sto in piedi di fronte a mille anime del mondo, sa dirmi dove sono, chi sono. He Jinchuan Fonte: www.ilpassaporto.it (il giornale dell’Italia multietnica – rubrica di Repubblica.it) He Jinchuan ha vinto la menzione giovani del Premio Mustafà Souhir 2005.


La mia prima bicicletta Stefano a Monaco Il Grande Torino Le elementari La scuola (tutti i giorni, che palle!) Il Brasile, Roma e Firenze Il nonno Renzo Il primo bacio a Elena Luca allenatore (nel tempo) L’Aprica nei campi Matte&Co. nei mille Il papà (lavoratore) La mamma (casalinga) Celle Ligure Tom e la depilazione Il Delle Alpi L’Orpas Marco che non parla, con l’ansia Elena (la somala) Il primo Librosolidale

sessantaquattro | cinque 64|65

i Sevier Patriz ia

Così lontano Così vicino

Il monopattino di Ettore Stefano a Milano Il nonno Bortolo Danilo e Gianluca Il lavoro (tutti i giorni, che palle!) Max, Jin e Leo Il suo ricordo L’ultima coccola a Elena Luca allenatore (nel cuore) L’Aprica nel cemento Matte&Co. nei duemila Il papà (nonno) La mamma (casalinga) Milano Marittima Tom e i giornali Il Comunale I ragazzi dell’Orpas Marco che chatta, con l’ansia Elena (il guru) L’ultimo Librosolidale (ce la faremo?)

Maurizio D’Adda


"Prima di me c’era stato qualche clown che aveva sostenuto: non sprecare il sorriso con tutti. È una cosa preziosa. Non sono capaci di apprezzarlo. Riservatelo per i vostri amici soltanto." "Ma io vi dico: sorridete a tutti quelli che incontrate. Sorridete a chi è triste, a chi è solo. Donate un po’ di gioia. Vi sentirete ancora più felici." Dicono che guardando un clown si ritorna bambini. Prova una volta a fare il clown e ti accorgerai che è vero.

Non c’è felicità più bella per un clown che vedere un adulto con gli occhi di un bambino. Se cammini dietro di me, posso non vederti. Se cammini davanti a me, posso non seguirti. Se cammini al mio fianco, diverremo amici. Non credo sia tutta farina del mio sacco, sicuramente sono appunti che ho preso di qui o di là, oggi li ho ritrovati e mi hanno reso felice. Margherito MAGICOMICAMENTE WWW.MARGHERITO.COM

SEI VOL

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LONTAN O, MA R

Arrivo sola, mi lascio alle spalle un anno non bello. Cosa cercavo? Non so dirlo. Ho trovato silenzio e accoglienza per le strade, nelle case, nell’ospedale. Ho potuto pensare un po’ a me. Nessuno mi ha disturbato, nessuno mi ha respinto. Ho scritto ai miei amici e a Alberto sentendoli finalmente vicini. Il mio presente, quello che allora era il mio futuro, è frutto anche di quei silenzi e di quegli incontri. Due ricordi tra tutti: … la strada verso la chiesa del convento alla mattina presto circondata dai miei bimbi, l’odore dell’aria e le loro voci… … le lacrime di Abhram prima di partire. Il mio cuore si è riempito, ho accolto, sono stata accolta. Non ho fatto nulla di particolare per chi mi ha ospitato ma per me, è stato il periodo più sereno della vita.

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26 il cibo

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Ottobre 1993. India. Bombay.

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Benedetta Nocita


Già, nessuna differenza tra noi, ma un abisso, una voragine ci separa dai nostri amabili ospiti. Ma come!?! Lo scopo di questo viaggio non era avvicinarsi alla cultura locale?! “Così lontani, così vicini”, così recitava lo slogan del viaggio… “Così vicini, così lontani”, direbbe l’antico saggio della tribù, se le tribù esistessero ancora. “Se la vicinanza dipendesse soltanto da un fattore geografico, l’era moderna avrebbe già abbattuto ogni ostacolo, e le barriere si troverebbero soltanto sulle mappe e sugli atlanti.” E invece non è così…”Così vicini, così lontani” dicono anche gli occhi neri di un bambino indigeno, quando è costretto ad assistere allo spettacolo tragicomico di 20 turisti occidentali agghindati con i costumi indigeni che mangiano e ballano ripetendo in coro parole come “Buongiorno, Buonasera, Grazie” nella lingua locale, mentre il tempo, tiranno, lo costringe a salutare per sempre il suo nuovo amico occidentale. “Così vicini, così lontani”… forse, una volta a casa, capiremo anche noi il vero senso di questa frase e dimostreremo la stessa curiosità – magari più consapevole – verso chiunque incontreremo, straniero o nativo. Raffaella Stracquadanio

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…i sorrisi stampati sulle facce di 20 turisti allegri e spensierati esprimono al meglio ciò che questo viaggio rappresenta per la maggior parte di loro: riposo, svago, divertimento, ma soprattutto la possibilità di conoscere una cultura diversa… Si parte, e la brama di scoprire il più possibile di popoli, sapori, profumi e luoghi lontani è sempre più forte, più palpabile nell’aria fredda dell’aeromobile. Luoghi lontani, lontani, lontani… lontani perché sulle nostre cartine geografiche ci sono stati sempre presentati così, con forme e dimensioni diverse, marcati da linee di confine naturali o decise da qualcuno vissuto tanto tempo fa. Il tempo sembra fermarsi in questi luoghi esotici, il sole splende sempre e fa caldo 12 mesi all’anno; ma, soprattutto, sono necessarie 15 ore di volo per raggiungerli. È forse la lontananza che rende questi luoghi così affascinanti, così misteriosi, così attraenti per noi? È forse la lontananza che ci incuriosisce così tanto?

Arrivati a destinazione, dopo aver fatto una doccia occidentale, aver mangiato cereali allo yogurt ed esserci assicurati che il nostro cellulare funzioni, siamo pronti per immergerci a 360° nella cultura locale, e la nostra incontenibile curiosità ci spinge ad assaggiare le specialità del luogo – tutte – anche quelle a base di uova, a cui siamo allergici, ma, “sono specialità locali” e quindi siamo MORALMENTE OBBLIGATI ad assaggiarle! Con il passare dei giorni diventiamo più audaci e balliamo le antiche danze tribali del posto, indossando buffi costumi. Al termine della prima settimana mangiamo soltanto un menu vegetariano e ci salutiamo con l’inchino, ripetendo come automi le parole base dell’idioma indigeno. Abbiamo l’impressione – anzi, siamo assolutamente convinti! – di essere diventati dei perfetti nativi, ma in realtà restiamo sempre noi stessi, con la nostra identità straniera in terra straniera, tutti omologati uno all’altro, nessuna differenza tra noi e i nostri compagni di viaggio: mangiamo seduti per terra, camminiamo scalzi, e il suono di un telefono cellulare ci fa inorridire! Brr….!!! Nessuno è escluso da questa strana epidemia… tutti uguali, senza distinzioni né differenze.

sessantasei | sette

Ore 8.00 tutti pronti per partire.

Proverbi (GIANNI RODARI) Dice un proverbio dei tempi andati: “Meglio soli che male accompagnati”. Io ne so uno più bello assai: “ In compagnia lontano vai”. Dice un proverbio, chissà perché: “Chi fa da sé fa per tre”. Da quest’orecchio io non ci sento: “Chi ha cento amici fa per cento”. Dice un proverbio con la muffa: “Chi sta solo non fa baruffa”. Questa, io dico, è una bugia: “Se siamo in tanti, si fa allegria”. Giorgia Lodigiani

27 il sonno


Fu un giorno fatale quello nel quale il pubblico scoprì che la penna è più potente del ciottolo, e può diventare più dannosa di una sassata. OSCAR WILDE KEYDUE

È molto di più e molto più importante ciò che gli esseri umani hanno in comune, di quello che ognuno tiene per sé e lo distingue dagli altri. HERMAN HESSE

STAFF MCI

Tra due persone per quanto vicine possano essere, rimane sempre un abisso che può essere colmato soltanto dall'amore, di volta in volta, e solo con una passerella di fortuna. HERMAN HESSE Lonati Beniamino e famiglia

Nel tempo antico, nessuno pretendeva di essere migliore del proprio vicino, anzi, esserlo era considerato cosa volgarissima; oggigiorno, con la nostra moderna mania della morale, tutti devono posare come modelli di purezza, d'incorruttibilità e delle altre sette virtù umane. Ma quale ne è il risultato? Tutti cadono come birilli al gioco. OSCAR WILDE Carlo Pelizzi e Barbara Bordini

28 la prigione


sessantotto | nove

sono un viaggiatore.

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nella strada della vita voglio lasciare un segno

{ arachno }


Piccoli volti d’Africa: così vicino così lontano Attraversare i paesi dell’Africa centrale e occidentale significa soprattutto entrare in contatto con una realtà fatta di desolazione e di tanta povertà. E i bambini di queste terre sono certamente l’elemento dominante della vita quotidiana di questa gente che vive oggi come un tempo, usufruendo dei prodotti che la terra offre loro e di null’altro. Per poter conoscere realmente le condizioni di vita di queste piccole persone occorrerebbe fermarsi per giorni, osservando la loro precaria situazione alimentare, la mancanza di medicinali comuni come una semplice aspirina. “Cadeau, cadeau” sono comunque le parole più frequentemente pronunciate al nostro arrivo; parole che non obbligano a donare qualcosa ma solo a ricordare che un piccolo pensiero, una maglietta o una scatola di biscotti, una penna o semplicemente una caramella possono rappresentare molto di più di quello che immaginiamo. Ho sempre cercato di osservare con molta attenzione la giornata di questi piccoli bimbi: i loro giochi, costruiti artigianalmente con scatole di latta del caffè o dei pelati, piccoli recipienti di plastica o altro materiale riciclato, mi infondono un senso di rammarico per non poter regalare loro dei giocattoli veri, come quelli che abbondano nelle nostre case. I più fortunati possiedono un pallone vero, certamente vecchio e sgonfio, ma è quanto di meglio si possa trovare in tutto il villaggio. Si osservano palleggiare contro un muro o tra di loro e quasi sempre il nostro arrivo diventa una grande festa: poter giocare con noi, magari cominciare una piccola partita di calcio, può assomigliare ad un sogno indimenticabile. C’è comunque una notevole differenza nei comportamenti di questi bambini: capita spesso di fermarci in paesi dove essi, pur giocando sulle strade e osservando il nostro arrivo, preferiscono restare dove si trovano ed evitare di avvicinarsi ai viaggiatori. Ma il loro sguardo è rivolto a noi e offre sempre un sorriso e un gesto di amicizia. È probabilmente lo scarso ed indefinibile abbigliamento a colpire soprattutto nel cuore di chi si avvicina a loro; nella maggior parte dei casi non indossano scarpe

e camminando a piedi nudi sulla terra, sui sassi e su ogni genere di materiale, si provocano delle ferite che, non curate, possono essere veramente pericolose per la salute. Un pantaloncino e una maglietta, che certamente non cambiano da settimane o mesi, assomiglia di più a uno straccio che a un capo d’abbigliamento. Quando incontriamo bambini, nei viaggi in questi paesi, il nostro unico pensiero è di rubare uno scatto fotografico prezioso e reale della loro vita, dei loro piccoli volti, ma molto spesso ci dimentichiamo di offrire quanto di più importante e di utile essi necessitino, cioè cibo e vestiti. Nei miei ultimi itinerari in questi paesi ho sempre cercato di portare quanto possibile da offrire al mio passaggio nei villaggi, ma mi accorgo che è molto poco. E viaggiando in questi paesi, osservando la vita dei suoi abitanti, si comprende facilmente perché le organizzazioni umanitarie in sostegno di queste popolazioni siano in continua crescita: è il grande sentimento d’amore verso la vita a muovere questa gente che dona tempo e denaro a una missione sociale di grande valore. Se è vero che viaggiare nel mondo è considerato un momento di sviluppo e di crescita interiore, sempre teso al miglioramento individuale, è allora certo che il desiderio di generosità verso queste popolazioni e soprattutto verso queste giovani vite, non ci deve mai abbandonare.

Marina e Vittorio Salvini

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Dario Basile


In questi meravigliosi anni ho capito che tutti gli esseri umani sono uniti agli altri come i punti di un cerchio. Non spezziamo i legami che tengono insieme i viventi, creiamo nuove mappe del mondo; mappe capaci di rappresentare l’intreccio tra gli esseri viventi, tra il paesaggio e la nostra vita; mappe dove segnare, insieme al profilo delle montagne, alle rive di un fiume, ai contorni delle città, anche la trama dei nostri ricordi e delle nostre esperienze. Dove scrivere, in definitiva, ciò che costruisce la nostra identità, la storia e la cultura delle persone e dei popoli. Dobbiamo aiutarci ad inaugurare altri modi di guardare il mondo, e quindi noi stessi; mettere in luce il nostro coinvolgimento: se tutti facciamo parte di questa rete, ciascuno di noi contribuisce a crearla. …un grazie di cuore a tutti voi… Le lingue non dicono come il mondo è, ma come noi lo guardiamo o desideriamo trattarlo. Una lingua non serve solo a comunicare: una lingua è anche una casa; una dimora speciale che permette agli uomini di alimentare il senso dell’esistenza e la propria identità.

Non è l’aiuto da parte di un amico che ci aiuta, ma sapere che ci aiuterà! La parte più importante nella vita di ognuno di noi sono piccoli atti quotidiani di gentilezza e amore.

ospite atteso, archetipo alieno; luce viva di stella perduta, fiore d’inverno, canto parlato, luna perenne, attraversa la piazza su scarpe infuocate e nessuno l’afferra. mistero negato anche all’occhio nascosto, I suoi doni preziosi: dell’urgenza una traccia, di Rosetta la stele. Gabriele Dozzini

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Tra un sogno sognato e un sogno realizzato, c’è di mezzo un mondo da conoscere e da cambiare che comincia dentro di noi Cristina Pedretti Coordinatrice-Educatrice Nido Giramondo

Lontananza, vicinanza. Dimensioni che fanno parte del mio quotidiano, dell’incontro con persone, uomini e donne, che spesso hanno varcato confini per sfuggire da guerre, violenze o dalla semplice disperazione e sono arrivate inconsapevoli in un luogo che credono migliore. Spesso si tratta di donne, madri come me che abbandonano figli, piccoli, senza più averne notizie, senza la minima possibilità di un contatto con loro. Ormai è consuetudine ascoltare le loro storie senza scandalo come se fosse la normalità. Ma quale normalità, in base a quali criteri, parametri, diritti? C’è, quasi sempre, durante i nostri incontri, un momento in cui la distanza – culturale, professionale, linguistica, emotiva – viene annullata.

30 ¿como te llamas?

settanta | settantuno

Per i sorrisi e i momenti di gioia. Per tutto l’impegno che ci abbiamo messo Perché insieme siamo cresciuti Perché con voi sono tornata un po’ bambina Per queste ed altre mille ragioni Grazie!

rosetta

C’è un momento, a volte solo sfiorato, in cui è percorribile una vicinanza del cuore, una comunità di genere umano, una solidarietà nel vero senso della parola. Di recente, una donna proveniente dal Togo, al termine del nostro colloquio, mi ha chiesto a quale mese di gravidanza mi trovavo. Era evidente il mio stato e non ho potuto fare a meno di rispondere che si trattava per me della terza gravidanza e che aspettavo una bambina. La donna si è quasi commossa e mi ha detto che i bambini sono delle benedizioni di Dio, sono l’unica cosa che porta felicità. Non ho chiesto a quella donna se avesse figli. Credo di sì. Sarah Nocita


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31 l’arrivo

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32 la pace

E solo riconoscendo come vive il “tu” ammetto un “io” e il suo stato nel mondo. Una mamma del progetto cento euro che domanda qualcosa per sé porta a stabilire dove siamo noi nel darle una risposta, e a che punto siamo nell’evoluzione del progetto, nel crescere della nostra esperienza di questo mondo a misura di bimbo, di quartiere e di mondo, dell’integrazione e quant’altro. La misura di come sto non può prescindere da come sta qualcuno che mi è vicino, che interrogandomi sulla mia partecipazione alla sua vita fa sì che io mi domandi dove stia e quanta sia la mia forza, la mia partecipazione. La stanza di un asilo rivela un segreto a chi lo cerca: come sono accolte le mamme straniere sole in Italia?… che si apre su un altro segreto, quello del valore della maternità. I bambini in grembo sono vicini, dentro pance così visibili a portata di mani impazienti, ma anche così lontani dall’essere visti per quello che saranno realmente e che si possono conoscere al presente solo con un occhio aperto sull’immaginario o sul desiderio.

Il Xmas Project è un orecchio in ascolto su una porta chiusa. Chiuso però evoca qualcosa che si può aprire, ha senso dire chiuso se si può pensare aperto. Io ho senso se penso ad un tu che mi ha tenuto, mi dà forma. Un intorno necessario. Vicino. Vicino ha senso se immagino che c’è un lontano. Non è immediato capire dove finisca uno e inizi l’altro. E neppure così necessario. Ma è vitale accorgersi che l’uno implica l’altro, e usare questa molteplicità, riconoscerla, farla emergere da uno sfondo. Penso alle illusioni ottiche nelle quali ci sono delle figure ambigue in cui il mettere attenzione su alcuni dettagli ne fa emergere una piuttosto che un’altra e il resto diviene sfondo, e viceversa. Ma necessariamente una sarà sfondo e l’altra si farà figura. L’importante è scegliere. Solo così si dà il senso alle cose. Barbara Dambrogio psicologa Nido Giramondo

settantadue | tre

Le cose che abbiamo sotto gli occhi. Ne abbiamo tante. Scorrono davanti uniformi viaggiando in treno. Sembra che in una molecola d’acqua ve ne siano a bizzeffe! I condomini paiono monoliti grigi sonnolenti sull’asfalto. Le cose che abbiamo sotto gli occhi: (non) viste così lasciano sovente indifferenti. Mi guardo rapidamente allo specchio fino a quando non spunta una piccola e sgradita imperfezione, un capello bianco… Allora mi soffermo un po’ di più, studio la forma che ha e prendo contemporaneamente consapevolezza del resto del volto. Quindi mi domando se per caso io non stia trattando male il mio organismo… dormito poco? Mangiato male? Infelice? Stressata?… …come quando una goccia d’acqua si ferma tra le ciglia: deforma la visuale, la smeriglia, la acuisce… …come quando il treno si ferma e scatta un’istantanea nitida in un attorno che pareva sfuocato… come quando si apre nel buio di una strada l’occhio di una tapparella… Per non essere indifferente a questo “così vicino” devo fermarmi, devo darmi la possibilità di fermarmi, non potendo fermare il mondo attorno. Non necessariamente un arresto fisico, ma del tempo o di un

certo modo di viverlo. È la sensazione che io provo entrando in asilo nido a lavorare. Tutto piccolo. Ti trovi costretto a ripensarti in azioni che padroneggiate non riconosci neppure di compiere. Alzarsi, mangiare, camminare… Guardare il mondo da un’altezza sotto il metro costringe o forse mette nella condizione di ripensarlo. Un’opportunità per non essere indifferente. Se poi c’è qualcosa che suona come una stonatura nella perfezione immaginata dell’infanzia che alleviamo rischiamo di accorgerci che non siamo in equilibrio. Capiamo dove e come stiamo noi mentre cerchiamo di dare una risposta alla domanda di qualcuno che straniero s’interroga su di sé e sulle opportunità per il suo bambino qui, nel nostro Paese, in questa città, nel quartiere Bovisa… C’è un “tu-noi” prima di un “iome”. Posso sapere che “io” sono se vedo altre persone nel loro vedere gli altri. Solo quando dico “tu” pongo in essere un “io” che affermi questo tu e contemporaneamente se stesso in questa possibilità di affermare.

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Così vicini così lontani!


Somalia. Nord della Somalia. Berbera. Terra d’Africa, terra di neri. Terra di musulmani. Conservatori, se non integralisti. Donne sempre con il velo a coprire la testa, pochissime con la faccia coperta. Uomini con la barba, quasi tutti. Terra di povertà e di guerra, di colonialismo mimetizzato sotto altre forme, d’omicidi impuniti con coperture eccellenti. L’11 settembre è ancora di là da venire, da immaginare, forse. Una manciata di bianchi, cattolici per cultura se non per fede conclamata. Io con loro. Riconoscere le lettere vergate a mano con colori sgargianti sulle insegne dei negozi – la prima settimana, poi il caldo atroce e la sabbia sbiadiranno tutto – e non capire nulla. Se non riconoscere qualche reminiscenza della presenza italiana mai dimenticata, nel bene e nel male. Sedersi in una cafeteria e non poter comprendere se i quattro seduti di fianco a me, un paio di kalashnikof posati per terra, discutano di politica, calcio, mogli…

Estratto da “Tutto d’un fiato... o quasi”.

Il silenzio quasi assoluto che si insinua tra le mura delle case tutt’ora sventrate dai cannoni di Siad Barre, il frastuono del traffico che irrompe dal muretto. Eppure… Discutere per ore (in inglese), sorseggiando the, di Djin, terapie coraniche, sogni infranti e aspettative per il tempo che verrà, desideri comuni nonostante le differenze… per trovare un terreno comune di confronto. D’incontro. Il rispetto dell’altro, della differenza. L’essere uomini – e donne. Punto. Ognuno con le proprie idee, ideologie, religioni. Aeroporto di Amsterdam (Londra, Parigi, Madrid… fa lo stesso). Riconoscere tutto e non riconoscersi in nulla. Milano. La quotidianità che uccide, la televisione dove si litiga e non si dice nulla, le relazioni strozzate dal tempo che non basta mai, dai soldi che non ci sono (…la quarta settimana…).

Accoltellarsi per un sorpasso. Quelli contro e quelli a favore, quelli che però bisogna distinguere. Tutto già detto, tutto già scritto. Rinchiusi in casa con la propria famiglia, l’amore da proteggere e con cui proteggersi. Un altro mondo è possibile, forse.

Questa notte è dedicata a voi, scheletro della mia esistenza, sangue caldo e bagnato da passione, uniche certezze del mio infinito cercare (cosa?). Con amore, cari mamma e papà, cari fratello e sorelle, provo a spremere il mio cuore gonfio di sangue malato, per far scorrere parole che la mia lingua non sa sciogliere, ma che la carta sa accogliere. Eccomi nudo. [...] Semplicemente. Questa notte sarebbe bello essere in viaggio, tutti e otto, con gli animali e la roulotte, solo per l’idea di essere fisicamente vicini… oppure incontrarci a Cunardo, luogo d’incontri, per la sicurezza che ti dà ritrovare casa dopo la lontananza. Finalmente una lacrima gonfia e salata mi percorre il viso… e mi sento più vivo. Fabio Russo

33 preghiera

Stefano Errico


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settantaquattro | cinque

L’atlant ed non anc el Gran Kan c ontiene ora scop an er Armonia , New-La te o fondate: la che le carte dell saprai d nark, Ic e terre Nuova A pr ar ir t saprei t mi verso quale ia. Chiese a Ma lantide, Utopia omesse visitate , la Citt racciare rco Kub di quest à del So nel pensiero m lai: – Tu i futuri la rotta scorcio che s’ap c s c i h u s e ll p a e ingono splori in le. Oceana, Tam a car ta né re nel b dialogo i v torno oé, e f e is n l di ti m s assieme due passanti c ezzo d’un paes are la data dell propizi. – Per e vedi i segni, aggio in he s’inc ’a pezzo pe q uesti po pprodo. con ont rp rati da in r A tervalli, ezzo la città pe rano nel viava gruo, un affior lle volte mi ba ti non a tende il r i, s d r fe ta uno i e p t s e t d e r a i luci gnali , fat pen m devi cre io viaggio è dis che uno mand ta di frammenti sare che parte nella nebbia, il co a de nd m sa entro re che si possa ntinua nello sp e non sa chi li r escolati col res o di lì metterò azio e n t a smetter i confin o, d’ista c c o g lie. el e i n Kan sta va sfogli del tuo impero; di cercarla. For tempo, ora più Se ti dico che la ti separada ora se ment puoi rin ando ne c malediz ittà cui tra re ls ion più mo appr i: Enoch, Babil uo atlante le c cciarla, ma a qu noi parliamo sta densa, tu non ar on od e a più stre o non può esse ia, Yahoo, Butu te delle città ch l modo che t’ho ffiorando spar tta, ci ris detto. G a, Brave re che la e minac ià u c N ce n’è u no, è qu cchia la corren città infernale, ew World. Dice iano negli incu il Gran te. E Po : – Tutto bi e nell ello che ed è là in insieme lo: – e è .D è fo diventar ue ci sono per già qui, l’infern L’inferno dei v ndo che, in un inutile, se l’ultio iv n a n apprend e parte fino al p on soffrirne. I che abitiamo t enti, non è qua spirale sempre utti i gio lcosa ch imento c l primo unto di e r n r o è infern o, e farlo ntinui: cercare on vederlo più. iesce facile a m ni, che formiam sarà; se Il secon e saper o stand o durare, lt i: a ccet do o ric e dargli spazio. IT onoscere chi e è rischioso ed tare l’inferno e e c ALO CA s h ig e e c at osa, in m LVINO, LE CITT ezzo all’i tenzione e À INVIS IBILI nferno, non

34 valigie


Monder Kilani ci dice che l’Altro è una invenzione, un soggetto/oggetto che muta di significato a seconda di chi gli si pone di fronte. In altre parole l’individuo in quanto espressione di un gruppo sociale/etnico non è se stesso in quanto tale, ma assume un senso differente per ognuno di noi. Prendi i Rom ad esempio: per noi gagè (è un termine romano, indica tutti i non-zingari, come se un portoghese, un canadese e uno di Vipiteno siano tutti uguali…) ogni rom è uguale agli altri. Tra loro però si distinguono in molti modi: Sinto (nomade piemontese), Ungari, Rom, Manus (nomade del Massiccio Centrale francese), Spanjolo, e poi giostraio, gente del circo e così via. C’è un bel romanzo Einaudi, si intitola L’inseminatore ed è scritto da Cavatore. Parla di nomadi ed eugenetica ed è ambientato in Svizzera dalla seconda guerra mondiale in poi. L’Altro inventato assume forme collettive nel momento in cui lo si archivia semplificandone e appiattendone tutti i rilievi, facendo emergere gli aspetti più stereotipati. Le categorie più evidenti nel riconoscimento dell’Altro sono la lingua, il colore della pelle, la religione: l’Altro appare meno altro da noi se alcuni dei tratti principali che lo distinguono sono per noi più familiari. Ma l’Altro è lo straniero, senza andare fino a Timbuctù, basta lo straniero quotidiano. Lo straniero è straniero soprattutto se non aderisce ai ritmi e alle regole della cultura ospitante. Se sei arabo e vai alla scuola statale sei meno straniero, meno Altro, di quell’arabo della tua stessa età, del tuo stesso Paese, con la stessa padronanza della lingua italiana, che frequenta una scuola islamica.

35 da dove vieni?

Il circuito dell’esclusione ha molte origini di partenza. L’origine principale è forse la percezione stessa dell’Altro come strutturalmente differente da noi: quando questa distanza diventa troppo grande perché sia colmata dal riconoscimento reciproco, essa diventa esclusione (con vari gradi di esclusione: esclusione dai rapporti interpersonali, esclusione dai diritti di cittadinanza ecc..). E come non pensare alla rappresentazione che l’Altro ha di noi e di se stesso in quanto Altro… quante e quali lacerazioni scavano nelle anime dei migranti? Ecco l’immagine dei marrani ebrei spagnoli del XV secolo, obbligati ad abiurare per dimostrare la propria appartenenza, eppure sempre stranieri, né di qua ne di là della frontiera. L’estensione dei diritti di cittadinanza dovrebbe essere condotta semplicemente sulla base dei diritti umani. La cittadinanza non può essere un premio che si concede allo straniero che si integra tout-court, quell’Altro al quale forzatamente si richiede di essere più prossimo a noi, più riconoscibile: i diritti (rispetto per la dignità umana in primis, che poi si declina in possibilità di avere un alloggio decoroso, lavorare, ricongiungersi quando voluto con la famiglia ecc.) sono l’imperativo categorico delle democrazie. L’Altro vive e muore vicino a noi, si sveglia allegro o con la luna storta, mangia, beve, sogna, si dispera, si entusiasma, si prende l’influenza, scrive a casa e manda i soldi, si prende una sbronza con gli amici, si veste bene per il colloquio di lavoro… Sto rileggendo il Trattato TeologicoPolitico di Baruch Spinoza. È una lettura agile, anche se ha già 335 anni. Si trova in libreria, Rusconi Editore, circa 15 euro. Stefano Zimbaro


È venerdì sera, c’è un gran vociare tra noi, perché stiamo raccontandoci delle esperienze sul tema “così vicino così lontano”.

Le signore del Lions Club Borgomanero

36 in casa

settantasei | sette

Gli occ hi del pad re, la b occ a dell am ad Il so rris re. o lo p uò ere di da t tare e.

76|77

Ciascuna, a modo proprio, sta tentando di esprimere qualcosa che possa essere condiviso. Tra qualche riserva e qualche, forse giustificato, pudore si comincia a raccontare, esperienze intense, leggere, forti, di allegria e di dolore. Ne verrebbe fuori un libro da solo a riportarle tutte e così, sintetizzando, abbiamo scritto le nostre regole per non essere indifferenti cominciando dai piccoli gesti, proprio così: – Impariamo a salutare per primi e insegniamolo ai nostri figli, sempre. Non importa se non conosciamo chi ci passa accanto, non importa se alcune volte il nostro saluto non sarà ricambiato. Salutiamo e basta, possibilmente con un sorriso. È il modo più diretto per cominciare a comunicare. – Impariamo a rispondere garbatamente a una telefonata, magari sbagliata. Dall’altro capo, in quel momento forse qualcuno ha bisogno di sentire una voce. Due minuti del nostro tempo sono ben centoventi preziosi secondi per chi sta parlando con noi. – Sforziamoci di cercare il modo migliore per comunicare. Le parole devono arrivare al momento giusto. Un biglietto e una lettera, ad esempio, possono essere lette con calma, quando siamo nella situazione migliore per coglierle, e rimangono. – Specializziamoci in persone sole. Impariamo a riconoscere la solitudine anche quando non viene espressa in maniera così visibile e diretta. Cogliere il malessere di vivere da uno sguardo o da un silenzio richiede umiltà e disponibilità. – Accettiamo le persone per ciò che sono, mettendoci noi nei loro panni e non aspettando necessariamente il contrario. Allarghiamo i nostri orizzonti, accettiamo il confronto. Ne usciremo arricchiti. – Abituiamoci a offrirci per ciò che siamo. Una porta aperta subito e un bicchiere d’acqua in semplicità fanno molto più che il rimandare finché tutto non sarà perfetto per l’occasione. Quell’occasione potremmo già averla persa. – Impariamo a offrire un aiuto economico con dignità ma ancora di più il nostro tempo. Stringere una mano per infondere coraggio, visitare regolarmente qualcuno che si abituerà ad aspettarci alla finestra, accettare che un’amica si appoggi a noi come a un bastone. – Ricordiamoci quotidianamente di chi può aver bisogno di noi. Ciascuno come crede, facendo silenzio intorno a sé, pregando. Da soli, in famiglia, tra amici. – Non vergogniamoci di chiedere. La solidarietà e l’amicizia, come del resto l’integrazione, non vanno a senso unico. Donare e ricevere sono entrambi voce del verbo amare. Quando il mondo sembra crollarci addosso troviamo la forza di gridare “io c’ero. Ora tocca a voi aiutarmi a camminare!”. – Viviamo ricordando che non è sempre necessariamente importante solo la quantità di vita. È la qualità che fa la differenza. Questo dipende anche da noi.


ĂŠquipe di eurologos milano

37 il mondo


settantasei | sette settantotto nove

(se mi sommerge il mondo con tutto il suo inferno, io riscopro il cielo quando mi specchio nei tuoi occhi eterni)

38 la mappa

Chiara Foglia e Nicola Carrù

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Ojos de cielo Si yo miro el fondo de tus ojos tiernos se me borra el mundo con todo su infierno. Se me borra el mundo y descubro el cielo cuando me zambullo en tus ojos tiernos. OJOS DE CIELO, OJOS DE CIELO, NO ME ABANDONES EN PLENO VUELO. OJOS DE CIELO, OJOS DE CIELO, TODA MI VIDA POR ESE SUEÑO. OJOS DE CIELO, OJOS DE CIELO... OJOS DE CIELO, OJOS DE CIELO... Si yo me olvidara de lo verdadero, si yo me alejara de lo más sincero, tus ojos de cielo me lo recordaran, si yo me alejara de lo verdadero. OJOS DE CIELO... Si el sol que me alumbra se apagara un día y una noche oscura ganara mi vida, tus ojos de cielo me iluminarían, tus ojos sinceros, mi camino y guía. OJOS DE CIELO...


L’autista voleva che ci alzassimo, tutti e quattro. All’inizio non ci muovemmo, ma lui disse: “Liberate questi posti”. E gli altri tre si spostarono. Io, no. Arrivò un poliziotto, chiamato dall’autista, e mi arrestò. Ricordo che gli chiesi: “Ma perché fate i prepotenti con noi?”. E l’agente rispose: “Non lo so, ma la legge è legge, e tu sei in arresto”. E mentre mi arrestavano pensai che quella era davvero l’ultima volta che sarei stata umiliata in quel modo. La gente racconta che io non mollai il mio posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca, non fisicamente almeno. L’unica cosa di cui ero stanca era di arrendermi. ROSA PARKS «MY STORY»,

1992

Per il tema “così vicini così lontani” vi propongo questa foto che da sola potrebbe rappresentare solo un bel quadretto familiare. Nei fatti, le differenze che dividono i miei figli a volte sono così marcate che sembrano provenire tutti e tre da pianeti diversi. Stefano Larosa

“Un giorno incontrai un bambino cieco, mi chiese di descrivergli il mare e osservandolo glielo descrissi. Poi mi chiese di descrivergli il mondo e piangendo glielo inventai.” JIM MORRISON

È più lontano chi non vede il mondo o chi ha bisogno di inventarlo? Giulia Utili

39 l’emigrante


IL CORRIERE DELLA SERA DEL

26 OTTOBRE 2005.

Di molti “eroi” del nostro tempo ignoriamo persino l’esistenza. Una di questi è Rosa Louise McCauley, di cui abbiamo avuto notizia solo perché è morta. Anche per uscire dai nostri stretti cortili è opportuno ricordarla e con lei confrontarci. Era sera, Rosa rientrava dal lavoro, come tutte le sere prese il bus. Si sedette nel primo posto che trovò. Non era un bus di quelli “riservati” solo ai neri, e dunque le prime file dei posti erano per i bianchi. Il retro era per i neri, che potevano sedere nelle file di mezzo solo se quei posti non fossero reclamati da bianchi: se no dovevano spostarsi sul fondo o, se là non vi era posto, scendere dal mezzo. Potevano salire dalla porta accanto al guidatore per pagare il biglietto, ma se dei bianchi erano già seduti nei primi posti dovevano smontare e risalire dalla porta posteriore. Quella sera nel bus non c’era tanta gente. Rosa si sedette dove le capitò. Di fianco a lei, un uomo, anche lui di colore. E in una fila vicina, altre due donne nere. Poi salì molta gente, gente bianca e il bus si riempì. Allora l’autista ordinò ai quattro “negri” di alzarsi per fare posto ai bianchi. Così andava il mondo a Montgomery, Alabama. Subito l’uomo e le altre due “intruse” si alzarono per lasciar sedere l’unico bianco che era ancora in piedi. Lei, invece, no. Era il I dicembre 1955. Con questo suo atto di resistenza a un’assurdo sopruso, Rosa Louise McCauley maritata Parks, 42 anni, di professione rammendatrice presso i grandi magazzini di Montgomery, divenne un simbolo della lotta per i diritti civili. Il bus si fermò, furono chiamati agenti di polizia, che la portarono in prigione per violazione delle leggi segregazioniste. Non era la prima

40 il ritorno

soprattutto donne, aderirono al boicottaggio. Molti neri furono arrestati e aggrediti, e chiese, inclusa quella di King furono attaccate con le bombe. Lo sciopero di 381 giorni mise in ginocchio le stesse compagnie degli autobus. Da Montgomery la vicenda si diffuse a livello nazionale, fino a far dichiarare alla Corte Suprema americana, il 13 novembre 1956, che la segregazione sugli autobus era illegale. Però solo nel 1965 il presidente americano Johnson firmò la legge che aboliva la discriminazione razziale sui mezzi di trasporto. Fu proprio quel gesto di Rosa a essere la scintilla che diede inizio al “dream”, al grande sogno di Martin Luther King, l’uomo che guidò da subito il movimento non violento per tutti i diritti civili in america. Qualche anno dopo, nel 1968, Luther King si recò a Memphis per partecipare a una marcia a favore degli spazzini della città in sciopero, bianchi e neri che fossero. Mentre s’intratteneva con i suoi collaboratori, dalla casa di fronte furono sparati alcuni colpi di fucile: King cadde riverso, pochi minuti dopo era morto. Ma questa è un’altra storia.

Naturalmente Rosa perse il lavoro e suo marito pure. Alla fine, dopo aver ricevuto ripetute minacce d’ogni genere, fu costretta a lasciare Montgomery per Detroit, dove è stata a lungo assistente di un deputato democratico di colore. All’epoca dei fatti aveva 42 anni e cosa rarissima per una donna nera a quel tempo, aveva un diploma di scuola superiore che il marito, attivista politico, l’aveva convinta a prendersi, e anche lei lavorava, a titolo volontario, come segretaria di E.D. Nixon, presidente della sezione locale dell’NAACP, una delle più antiche e importanti organizzazioni dei diritti civili americani. Il 24 ottobre Rosa Parker è morta, a noi era quasi sconosciuta, ma la sua testimonianza ci ricorda come il suo viaggio in quell’autobus di Montgomery abbia pagato anche per noi il prezzo che tutti dovrebbero essere in grado di pagare, il prezzo della dignità.

ottanta | ottantuno

"Dissero che ero stanca. Ma io non ero stanca, non in quel senso. Ero solo stanca di arrendermi".

volta che una persona di colore finiva in carcere per quel motivo. Rosa fu multata di dieci dollari più quattro di spese processuali. Tutto corse via secondo la ripetuta e “normale” procedura in uso laggiù nell’Alabama, uno Stato dove erano più che mai in uso le leggi segregazioniste. Poi la Storia, inopinatamente, decise di dare uno strappo. E per farlo “sequestrò” una signora timida e minuta e l’autobus su cui viaggiava, oggi parcheggiato allo Henry Ford Museum, e li trasformò in bandiere del movimento per i diritti civili. Il suo caso fu immediatamente sostenuto dal “Consiglio politico delle donne”, un’organizzazione sorta nel 1946 proprio in relazione ai maltrattamenti subiti dai neri sugli autobus: essi venivano arrestati e malmenati se disobbedivano ai conducenti. Fu il Consiglio a distribuire 35.000 volantini che invitavano i neri a boicottare il servizio durante quel lunedì 5 dicembre, il giorno in cui Rosa venne processata. La domenica precedente la richiesta era stata fatta dai pulpiti di molte chiese “nere”. Anche un venticinquenne pastore della chiesa battista di Dexter Avenue a Montgomery, Martin Luther King, si unì all’iniziativa di sciopero. Anche King fu arrestato insieme ad altre 90 persone di colore con l’accusa di aver intralciato un servizio pubblico, ma ricorrendo in appello vinse. E allora la protesta divenne esplosiva perché la maggioranza di chi usava i mezzi pubblici erano cittadini neri, ma anche molti bianchi

Salvatore Nocita

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Rosa



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salvatore calabrese ♥ lorenzo cassini ♥ erminio corna ♥ alberto curti ♥ barbara ferrari ♥ simone la corte ♥ osvaldo lui ♥ roberto pettenati ♥ emilio pezzoni ♥ sergio pizzi ♥ grzegorz pniewski ♥ rinaldo todaro ♥ andrea vailati ♥ mediascan ♥ alessandro magni ♥ pasquale alzani ♥ francesco besana ♥ antonella cavalera ♥ riccardo meazza ♥ mediaservice ♥ virginio magni ♥ antonio allegra ♥ tiziana calvello ♥ ivano cassano ♥ antonio ferinaio ♥ emanuela franzoni ♥ manuela invernizzi ♥ massimo mascheroni ♥ rosa sergio ♥ corrado venturini ♥ pentaphoto ♥ roberta trovati ♥ armando trovati ♥ alessandro trovati ♥ marco trovati ♥ lucia pellegrini ♥ giovanni auletta ♥ roberta legnani ♥ claudio scaccini ♥ andrea rustioni ♥ simona dinetta ♥ luca strigiotti ♥ giulia strigiotti ♥ max bardotti ♥ andrea ♥ matteo ♥ samuele ♥ bruno ♥ gigi ♥ alberigo ♥ claudio ♥ luca ♥ riccardo ♥ davide ♥ stefano ♥ daniele ♥ mario ♥ gianni ♥ gigi ♥ michele ♥ eagles 1981 ♥ davide, luisa e bruno quaini ♥ pedro fernadez vargas ♥ jaime jaramillo ♥ alessia portoghese ♥ riccardo e raffaella masini ♥ marzia e alessandro ♥ laura e roberto gianesini ♥ daniela romagnoli ♥ elisabetta gerosa ♥ elena rossi e grazia sacchi ♥ emanuela e davide villani ♥ tiziana e elio tragni ♥ anna malosio ♥ francesca gambardella ♥ elisa grossi pometti ♥ mirko callegari ♥ alessandro paini ♥ clara de giuli ♥ cecilia gulisano ♥ silvia gulisano ♥ margherita mamoli ♥ alba muzzi ♥ le educatrici annamaria, sonia, simona ♥ vittorio carnemolla ♥ igea maggiolini ♥ adriana maggiolini ♥ giorgio maggiolini ♥ simonetta grazzini ♥ antonio cometto ♥ silvana maggiolini ♥ filippo bottin ♥ andrea bottin ♥ milena concetti ♥ silvano leva ♥ sergio bertolesi ♥ tina e emilio bertolesi ♥ sandra galbignani ♥ marisa bertolesi ♥ paola casartelli ♥ sara carnevale ♥ silvia ghisio ♥ claudia montanari ♥ alberto ferri ♥ marie anne bussiere ♥ vittorio bertogalli ♥ giuseppe perfetto ♥ adelia martini ♥ zia andreina ♥ alberto gallio ♥ gianluca gallio ♥ giorgio gallio ♥ fabiana gatti ♥ paolo mondini ♥ nicola appicciutoli ♥ daniele paladini ♥ enole nielsen ♥ matteo dondè ♥ federica bianchi ♥ elena plati ♥ anna di silvestro ♥ jole garuti ♥ matteo dones ♥ roberto dones ♥ lorena carro ♥ matteo ciliberti ♥ luca ciliberti ♥ marco ciliberti ♥ caterina cavallo ♥ jacopo e luca carter ♥ diego e elettra plati ♥ luciana salvatori ♥ alberto colciaghi ♥ marzia bonizzoni ♥ egle e ilaria colciaghi ♥ tommaso e giorgia larosa ♥ francesca venato ♥ katia babbini ♥ alan ferrari ♥ prisca baldo ♥ roberto ambrosi ♥ vittorio ramella ♥ patrizia trevisin ♥ maria frosi ♥ carlo cassani ♥ giuseppina rinaldi ♥ valeria cassani ♥ giuseppe toniolo ♥ gilda bambino ♥ lorenzo talamo ♥ maurizio talamo ♥ dario chiaravalli ♥ marzia gastaldi ♥ miky decio ♥ ale giovanni e stefano colombo ♥ mariarosa e nino casanova ♥ michela casanova ♥ francesca colciaghi ♥ giovanbattista plati ♥ raffaella panigada ♥ giuseppe stroppa ♥ enrica strada ♥ antonella la rovere ♥ gloria de ponte ♥ pietro marini ♥ elisabetta loi ♥ luca lunardi ♥ veronica setola ♥ vincenzo beninato ♥ andrea e pietro ferrari ♥ damiano bogo ♥ enza de bellis ♥ gisella novello ♥ vittorio pisicchio♥ daniela galbiati ♥ gabriella pinolo ♥ capricorn ♥ paola toniolo ♥ elisabetta peruffo ♥ laura aiello ♥ nadia galimberti ♥ alberto ipsilanti ♥ dario piletti ♥ il presidente, michele novaga ♥ michele schiavone ♥ silvana ghioni ♥ marina gianesini ♥ dario basile ♥ sabrina lombardi ♥ mediabyte ♥ giorgio guccini ♥ paola, fabio, giulia, camilla e paolo maragno ♥ matilde e piergiorgio petruzzellis ♥ francesca cantarutti ♥ luisa basso ♥ katia malgioglio ♥ raffaella foschi ♥ stefano marchi ♥ andrea gaeta ♥ manuela notti ♥ claudia muro ♥ martina todesco ♥ barbara da luca ♥ antonietta e franco ♥ lara cimmino ♥ cristina poletti ♥ giorgio boratto ♥ alberto mauri ♥ paolo elena e ariele cattaneo ♥ paolo mirri ♥ simone fontana ♥ alessandro de melas ♥ sonia de luca ♥ dario pigaiani ♥ marcello f.♥ piercarla battarini ♥ raffaella stracquadanio ♥ lorella bazzini ♥ lapo de carlo ♥ yade mamadou ♥ margherito ♥ metrella ♥ arbi mone ♥ he jinchuan ♥ patrizia sevieri ♥ erika brovelli ♥ cyndra velasquez ♥ rino cimmino ♥ lions club borgomanero ♥ carlo carlini ♥ steve lowe ♥ elena cazzaniga ♥ mauro ferrero ♥ classe IIIb scuola elementare via bocconi ♥ giorgia lodigiani ♥ rosella capitani ♥ asilo nido multietnico giramondo ♥ rosella campanella ♥ cristina pedretti ♥ emanuela monguzzi ♥ stefania conte ♥ graziella rubanu ♥ anastasie egueu ♥ elizabeta ivanova ♥ manuela ferrari ♥ sherifa moahmed ahmed ♥ gehan morcos ♥ khader tamini ♥ barbara dambrogio ♥ elisa migliavacca ♥ anna mazzone ♥ francesco giusti ♥ patrizia zapparoli ♥ samuele marconi ♥ giorgio redaelli ♥ mario spreafico ♥ elisabetta soglio ♥ antonia jacchia ♥ teresa monestiroli ♥ maria e loris panzeri ♥ associazione stak ♥ alessandra e beatrice monterosso ♥ laboratorio migrazioni genova ♥ bruno muner ♥ il beppe e l’adele ♥ a.s.bovisa 84 ♥ lonati beniamino e famiglia ♥ carlo pelizzi e barbara bordini ♥ stefano torretta ♥ maria grazia lodigiani ♥ enzo schiarripa ♥ massimo zurria ♥ luigi di sipio ♥ benedetta, alessandro e francesco simi ♥ ivano palombi ♥


I nostri progetti


2001 2002 2003


Ristrutturazione di alcune camere e bagni della sezione di malattie infettive pediatriche dell’Ospedale giurisdizionale di Slatina, in Oltenia e mantenimento per tre anni di un assistente materna.

2001

Slatina, Romania

Nel 2001, il primo Librosolidale, in collaborazione con la Fondazione “I nostri bambini”

Carissimi amici del Xmas Project, si è già fatto ottobre e qui a Bals non abbiamo avuto il tempo per renderci conto che il Natale è ormai alle porte. La Fondazione "I Nostri Bambini" continua con amore e con impegno a prendersi cura degli spazi e soprattutto dei bambini a cui si è dedicata. Purtroppo non abbiamo ancora la forza finanziaria per prendere definitivamente in affidamento i bambini abbandonati ed ammalati di aids ricoverati presso le istituzioni di stato, ma comunque li abbiamo qui tutti i giorni per il pranzo e la cena e diverse attività ricreative ed educative. Ci siamo nel frattempo dedicati anche ad altri casi sociali portando cure e speranza all'interno di famiglie molto povere e con bambini in gravi difficoltà. La "Casa dei Sogni" è stata ultimata e abbiamo molto migliorato anche gli spazi all' esterno, con varie possibilità creative e ricreative. Come al solito, dobbiamo denunciare grandi difficoltà di collaborazione con le istituzioni, ma la forza che ci ha sempre caratterizzato ci permette di continuare al meglio. Inviamo a voi e a tutti gli amici del Xmas Project, i nostri migliori auguri e ancora grazie per averci accolto nella vostra famiglia. Cogliamo l'occasione per invitare tutti voi qui a Bals, basta solo che ci contattiate attraverso i riferimenti del nostro sito: www.inostribambini.org

Con stima ed amicizia, Antonio Ellero


ottantotto | nove 88|89

Fundatia “I Nostri Bambini” str. Ciresului n° 100 Bals c. p. 235100 (Olt) Romania RAIFFEISEN BANK agenzia di Bals (Olt) Conto corrente RO39 RZBR 0000 0600 0389 2107 Tel./Fax 0040 249 454246 e-mail: info@inostribambini.org www.inostribambini.org

Budget preventivo progetto ristrutturazione TOTALE FONDI RACCOLTI Spese progetto (stampa, spedizione, segreteria) Fondi a disposizione per progetto Slatina Fondi stanziati per progetto ristrutturazione Fondi stanziati per progetto “Assistenti materne”

Euro 8.041 Euro 23.255 Euro 4.996 Euro 18.259 Euro 9.259 Euro 9.000


Costruzione di una scuola nel villaggio di Assada (aule, alloggi, servizi igienici, cucina e magazzino nonché muro di recinzione) e nel suo avviamento.

2002 Assada, Niger

Nel 2002, il secondo Librosolidale, in collaborazione con l’Associazione Les Cultures Il progetto Assada è terminato ormai da più di un anno, ma il lavoro no: la scolarizzazione in questa regione remota del Niger settentrionale è un affare delicato. La scuola è una cosa fragile nonostante i suoi spessi muri di terra cruda. L'anno scorso le lezioni sono cominciate solo a gennaio: oltre a un interminabile sciopero dei maestri (il 27, per i dipendenti pubblici del Niger, è un numero come un altro, e lo stipendio non arrivava da mesi), si sentivano i primi segni della crisi generale che ha colpito il paese quest'anno. Ad Assada è piovuto abbastanza, nel 2004, ma il raccolto delle cipolle non ha trovato sbocchi a causa della guerra in Costa d'Avorio; la gente che aveva investito in questa monocoltura si è trovata improvvisamente faccia a faccia con le meraviglie della globalizzazione, senza soldi per comperare da mangiare, e molti sono dovuti partire in cerca di fortuna. Il comitato di gestione ha perso così i suoi membri più attivi, e l'attenzione della gente si è spostata dalla scuola verso problemi più urgenti. Dopo una visita nel novembre del 2004, siamo intervenuti con un progetto supplementare di appoggio, per incentivare la sensibilizzazione della gente, il reclutamento dei bambini e la finalizzazione del direttore, e al successivo sopralluogo del marzo 2005 le cose si erano rimesse in marcia, grazie anche al lavoro incessante dei nostri amici di AFAA. Adesso le cose vanno decisamente meglio: siamo al quarto anno di funzionamento della scuola, ad Assada, e i bambini sono diventati veramente tanti: le quattro classi cominciano a stare strette nelle due aule che le ospitano. Con il reclutamento di quest'anno sono ottantaquattro.

circuito delle stazioni locali che abbiamo dislocato in alcuni villaggi dell'Air meridionale, permetterà di seguire più da vicino l'andamento della scuola, e non sarà più necessario sobbarcarsi un viaggio di due giorni da Agadez solo per sapere come vanno le cose. Inoltre permetterà di collegarsi al dispensario di Aouderas, trenta chilometri e tre ore in macchina più a sud, per eventuali emergenze sanitarie, anche se lì non ci sono molte attrezzature.

La prossima novità, entro il 2005, sarà la radio, la nostra risposta all'isolamento secolare della vallata di Assada. La ricetrasmittente a batterie solari, inserita nel

Giorgio Radaelli Ottobre 2005

Giusto per tenerci un po' in esercizio, visto che ad Assada le cose vanno abbastanza bene, quest'anno in marzo abbiamo lanciato, con l'aiuto del comitato Alex Baroni e della Nikon Italiana, il secondo progetto di scolarizzazione nella regione: la nuova scuola Bagzam II a Emalawlé, nella parte meridionale dell'altopiano dei monti Bagzam, 50 km da Assada e non lontano (in linea d'aria) da Tabelot, dove fa centro la maggior parte dei nostri interventi nell'Air. Qui una radio c'è già: per fortuna, perché a Emalawlé si arriva solo a piedi, con una salita di tre ore. Il materiale ha dovuto essere portato a dorso d'asino o di cammello, ma nonostante questo, grazie sempre ad AFAA, in due mesi la prima tranche di lavori è stata conclusa, e a ottobre la nuova scuola ha potuto aprire i battenti. Ci sono già diciotto alunni dello scorso anno, e nella riunione generale di agosto i rappresentanti dei villaggi della zona si sono impegnati per un reclutamento di altri venticinque bambini. Diciotto più venticinque uguale quarantatre, più ottantaquattro uguale centoventisette: centoventisette a zero in tre anni e mezzo: siamo piuttosto contenti.


novanta | novantuno 90|91

Les Cultures ONLUS Laboratorio di cultura internazionale Sede centrale: Corso Martiri, 31 – 23900 Lecco Tel.: +39 0341 284828 Fax: +39 0341 370921 informazioni@lescultures.it www.lescultures.it

Budget preventivo progetto Scuola TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni Spese di segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2003 Fondi stanziati per progetto

Euro 29.000 Euro 36.750 Euro 1.100 Euro 150 Euro 8.100 Euro 27.500


Acquisto nell’area urbana di Bogotá di una Casa Hogar (casa famiglia) destinata ad ospitare circa 60 giovani che hanno concluso il processo di reinserimento sociale all’interno della Fondazione e si preparano a lasciarla.

2003

Bogotá, Colombia

Nel 2003, il terzo Librosolidale, in collaborazione con la Fundación Niños de los Andes Cari amici del Xmas Project, un cordiale e rispettoso saluto da parte delle bambine e dei bambini che seguono il processo di riabilitazione nelle sedi della Fondazione, da parte di tutti i nostri impiegati e da parte mia. Mille grazie per l'interesse che dimostrate per la nostra Fondazione e per il lavoro che svolgiamo ogni giorno. Vi ringrazio ancora una volta, a presto. Pedro Fernandez

Casa Hogar, sede Albachiara Progetto finanziato dall'associazione Xmas Project, Italia. Dal momento della sua apertura, il 1° maggio 2005, ad oggi il programma ha seguito 44 giovani. La sede Albachiara ha spazio sufficiente per accogliere fino a 25 ragazzi e ragazze che seguono un processo di preparazione al reintegro sociofamiliare. La Casa Hogar Sede Albachiara è ubicata nel quartiere Gustavo Restrepo, sulla Trasversal 15 A al numero 32-36 Sud. La sede è un edificio di tre piani così distribuiti: – Primo Piano: due uffici principali costituiscono l'Area Amministrativa. Vi sono poi una sala per gli incontri e il ritrovo dei giovani e la mensa, ampia e ben illuminata. Completano il piano: la cucina e la dispensa, realizzate per il loro ottimale funzionamento coniugando spazio, luce e adeguata aerazione; i bagni, per coloro che lavorano nella Casa Hogar; una sala d'attesa per i visitatori. – Secondo Piano: ospita le stanze da letto dei ragazzi, dove tutti hanno un letto e un proprio armadietto per la custodia degli effetti personali. La Sala TV adibita anche a sala di ricreazione. Sul piano sono ovviamente presenti i bagni e una stanza realizzata per coloro che necessitano di una assistenza sanitaria specifica. – Terzo Piano: dedicato all'accoglienza delle ragazze, con le loro stanze da letto e i loro bagni. È stata realizzata anche una zona lavanderia che i giovani utilizzano in totale autogestione nell'ambito del loro processo di formazione. In generale tutti gli ambienti della Casa Hogar sono stati realizzati in modo da garantire ai giovani un soggiorno adeguato in un ambiente il più possibile familiare.

Attività svolte LAVORO CON LE FAMIGLIE D'ORIGINE – Contatto, orientamento e intervento su sistemi familiari dei ragazzi (minimo tre membri della famiglia per ciascun sistema). Per favorire il processo di reintegro sociofamiliare e garantire la sua riuscita. ORIENTAMENTO SCOLASTICO – Orientamento del 100% dei ragazzi all'educazione scolastica di base primaria o secondaria. – Nelle attività quotidiane della Casa Hogar è previsto anche un momento per la realizzazione dei compiti scolastici; allo stesso modo si porta avanti il sostegno educativo per coloro che non hanno potuto frequentare la scuola. ORIENTAMENTO PROFESSIONALE – Orientamento professionale avviato con il 75% dei ragazzi: i giovani sono stati indirizzati verso attività che favoriscono l'ingresso nel mondo del lavoro e che permettono loro di rafforzarsi in termini di autonomia, con prospettive chiare e concrete, nonché reali possibilità d'integrazione sociale. – Sono stati definiti i profili professionali dei ragazzi coinvolti nel progetto con la finalità di identificare le competenze acquisite e le proprie capacità, dal momento che il coinvolgimento in attività differenziate può facilitare lo sviluppo professionale. – Grazie alla convenzione tra la Fondazione e l'Universidad Agraria de Colombia sono stati avviati gruppi di studio per la formazione dei ragazzi nel settore avicolo e suino. ASSISTENZA TERAPEUTICA – Vengono frequentemente organizzati Cineforum con film di vario genere e tematica, per favorire la riflessione e la costruzione di una visione più ampia della realtà e al fine di contribuire alla realizzazione di un progetto di vita più responsabile e adeguato alla realtà personale dei ragazzi.


novantadue | tre 92|93

Fundación Niños de los Andes Tel.: 0057 1 6780655 Fax: 0057 1 6705375 Carrera 20 bis A # 164-51 A.A. 103659, Bogotá ninandes@ninandes.org www.ninandes.org

Budget preventivo progetto Casa Hogar TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2003 Fondi stanziati per progetto

Euro 35.000 Euro 35.340 Euro 540 Euro 8.100 Euro 26.700


Progetto socio-sanitario a favore di una comunità di donne Dalit: 18 borse di studio, produzione di materiale informativo e acquisto di attrezzature mediche per cliniche mobili.

2004

Rupandehi, Nepal

Nel 2004, il quarto Librosolidale, in collaborazione con l’Associazione GRT Cari amici di Xmas Project, il vostro impegno ha prodotto ben due regali alle donne Dalit di Fedo. Il primo regalo è il libro stesso, così bello e accolto con grande stupore e divertimento dalle donne Dalit, che lo sfogliano e se lo passano in continuazione. Il libro è stato molto importante per loro, anche se in italiano, come testimonianza della loro esistenza e dell'interesse che qualcuno, lontano, ha per loro. Il secondo regalo è il progetto. Con il contributo economico sono state garantite 51 borse di studio a bambine e ragazze. Le borse di studio non hanno coperto totalmente il costo delle spese scolastiche, allo scopo di incentivare le famiglie a chiedere e utilizzare comunque le facilitazioni che il governo mette a disposizione per gli studenti della Comunità Dalit; risorse minimali, ma con un significato simbolico: 500 rupie l'anno per i ragazzi e 625 per le ragazze. La seconda attività finanziata col progetto è stata la formazione di “social mobilizer”. I “social mobilizer”, secondo le dirigenti di Fedo, sono il punto cardine per la riuscita degli interventi, nel lavoro con le Comunità, nelle azioni legali. Se i “social mobilizer” sono formati, le cose funzionano, altrimenti gli interventi, che richiedono sensibilità, falliscono. Per la formazione dei “social mobilizer” e per metterli in grado di lavorare, si sono acquistate attrezzature informatiche e video e un'autovettura fuoristrada. Una parte del budget è stata utilizzata per iniziare a scrivere un testo sui diritti delle donne Dalit in Nepal. Questo testo, che verrà dato alle stampe tra breve, è stato un grande sforzo organizzativo di ricerca e di studio dell'Associazione Fedo. Infine si è contribuito al finanziamento e all'organizzazione di luoghi dove i piccoli possono stare durante le ore di lavoro. In nepalese si chiamano “Baal sischika”, in pratica degli asili. I fondi vengono ricercati tra tutte le

famiglie e le organizzazioni della Comunità Dalit. Fedo ha anche ottenuto promesse di sostegno da parte delle istituzioni locali. L'agilità del progetto e del tipo di finanziamento ha permesso di iniziare e stimolare tutte le attività descritte, per le quali si sono comunque cercati e ottenuti altri contributi In questo momento realizzare progetti in Nepal con finanziamenti pubblici occidentali, è veramente molto difficile per i tempi lunghi di finanziamento e i vincoli rigidi di esecuzione. L'accordo di massima sulla progettualità, che abbiamo discusso e deciso insieme a Fedo e che dà loro la possibilità di decidere le priorità e i tempi di esecuzione, ha permesso grande incisività e concretezza in tutte le attività. La priorità è andata a quelle che avevano garanzia di continuità ed è continuata con coraggio anche l'opera di sensibilizzazione, forte e precisa. Inoltre, il movimento provocato dal progetto ha dato a Fedo più forza nel proseguire nell'impegno per i diritti degli intoccabili. Fedo si trovava in un momento di “impantanamento”, in uno sforzo di elaborazioni progettuali complesse dal punto di vista della stesura e delle richieste burocratiche, spesso inconcludente. La nostra modalità di approccio, legata ad una chiarificazione molto precisa degli obiettivi e ad una strategia molto concreta, sebbene elastica e aderente alle situazioni contingenti, ha insegnato a Fedo che è più importante concentrarsi su piccoli progetti, da un punto di vista economico, che su grandi progettualità che rischiano di assorbire tutte le energie organizzative della Associazione per un risultato non controllabile. Fedo ringrazia gli amici di Xmas Project e il Grt, che da dieci anni sostiene con attenzione l'Associazione Fedo. Loris Panzeri


novantaquattro | cinque 94|95

G.R.T. Gruppo per le Relazioni Transculturali Via Desiderio 26/A 20131 Milano Tel./Fax: + 39 0226681866 e-mail: grt@una.org Budget preventivo progetto Dalit TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2004/5 Fondi stanziati per progetto

Euro 28.000 Euro 36.890 Euro 790 Euro 8.100 Euro 28.000


Xmas Project 2006? In primavera la scelta. Segnalateci i vostri progetti.


A partire dal Librosolidale 2004 abbiamo introdotto un piccolo grande cambiamento: non trovate infatti nessuna anticipazione sul progetto del prossimo Natale. Abbiamo deciso di rinviare la nostra scelta in primavera, perché desideriamo ampliare le nostre possibilità di intervento: vogliamo infatti dare modo a tutti voi di segnalarci iniziative che ritenete interessanti o di indirizzare verso di noi eventuali associazioni con le quali siete in contatto. Ecco i criteri che ci hanno ispirato fino ad oggi nelle nostre scelte e con i quali verranno valutate le future proposte.

Un progetto “finito”:

Un progetto “rispettoso”: appoggiamo progetti richiesti e voluti da chi ne beneficerà, o

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da chi opera direttamente sul campo. Pur gradite e necessarie tutte le associazioni “tramite”, ci piace alla fine arrivare ad aiutare un partner locale, che esprima un proprio progetto e il bisogno di finanziarlo.

Un progetto “sostenibile”: diciamo intorno ai 30.000 euro. Questa (per ora!) è la nostra potenzialità, quindi meglio tenerne conto. Ci piace avere un budget preciso e dettagliato del progetto. A preventivo e poi a consuntivo.

Un progetto “diverso”: desideriamo che la nostra piccola collana di libri ci aiuti anche a scoprire la varietà del mondo. Ci piace immaginare dei Librisolidali che ci portino di anno in anno ad avvicinare luoghi e problematiche differenti.

Altre cose che ci piacciono: ci piacciono le piccole associazioni che hanno progetti seri

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scegliamo progetti il più possibile delineati e dettagliati, con obiettivi chiari, anche se piccoli, un budget definito e un tempo di realizzazione certo.

e interessanti, ma un po' meno strade aperte per finanziarli. Ci sembra più utile portare il nostro piccolo contributo là dove non ci sono grandi possibilità di finanziamento. Ci piacciono le associazioni ben organizzate, quelle disponibili e desiderose di contribuire attivamente alla diffusione del Xmas Project.

Segnalateci dunque i vostri progetti, segnalateci alle associazioni che li portano avanti. Ricordatevi che dovrà essere realizzato nel 2007, anno in cui noi potremo finanziarlo. Sarà il protagonista del Librosolidale 2006. All’interno della copertina di questo libro, trovate tutti i dati per contattarci. Appuntamento quindi in primavera per la scelta del progetto. Buon Natale a tutti voi.

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Xmas Project ringrazia:

per la stampa del Librosolidale 2005

per la rilegatura del Librosolidale 2005

per la realizzazione e il mantenimento del sito www.xmasproject.org

Gli anni passanno e gli amici del Xmas Project sono sempre di più. Un grazie particolare a: Candido Cannavò, Antonia Iacchia, Elisabetta Soglio e Teresa Monestiroli per i preziosi testi di approfondimento. Francesco Giusti e Alessandro Trovati per le splendide fotografie. Patrizia Zapparoli per la correzione bozze del Librosolidale 2005. I clown Escamillo e Metrella per i sorrisi donati a tutti i bimbi durante la nostra festa. Lo staff di Personal Time Promotion srl per le nostre coloratissime T-shirt. Paola Scodeggio e Gianluca Sanvito per l’insostituibile “aiuto contabile”. Il Laboratorio Migrazioni del Comune di Genova e le loro straordinarie “Carte del viandante”. Antonio e Tatiana Ellero della Fondazione “I Nostri Bambini”. Giorgio Redaelli e Mario Spreafico dell’Associazione “Les Cultures”. Jaime Jaramillo e Pedro Isaac Fernández Vargas della “Fundacion Niños de los Andes”. Loris e Maria Panzeri del Gruppo GRT. Rosella Campanella della Cooperativa Sociale Città Nuova. Khader Tamimi, Barbara Dambrogio, Emanuela Monguzzi, Cristina Pedretti, Graziella Rubanu, Anastasie Egueu, Stefania Conte, Elizabeta Ivanova, Manuela Ferrari, Sherifa Moahmed Ahmed, Gehan Morcos, Elisa Migliavacca, Anna Mazzone dell’Asilo Nido Multietnico Giramondo. Tutti coloro che credono in questo progetto. Realizzazione grafica: Jacopo Dalai & Matteo Fiorini Stampato a Milano, Novembre 2005 È consentita la diffusione parziale o totale dell'opera e la sua diffusione in via telematica ad uso personale dei lettori, purché non sia a scopo di lucro.


Per contattare l’Associazione e partecipare al progetto: Associazione Xmas Project ONLUS Via Luigi Settembrini, 46 20124 Milano Numero Verde: 800 180 406 Fax: 02 68 80 402 info@xmasproject.org www.xmasproject.org

È il regalo che vogliamo farci quest’anno a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i prossimi Natali...

Ilo 169, con Survival per i popoli indigeni

L’Associazione Xmas Project è nata nel settembre del Duemilauno. I soci sono Roberto Bernocchi, Dario Bertolesi, Elena Casadei, Francesca Castelnuovo, Francesca Colciaghi, Alberto Cometto, Maurizio D’Adda, Jacopo Dalai, Claudio Elie, Matteo Fiorini, Filippo Marconi, Benedetta Nocita, Sarah Nocita, Sara Panizza, Renato Plati. ll Gruppo Media, azienda di arti grafiche, e Arachno, Web Agency, sono partner del progetto.

Il libro che state tenendo in mano è un libro speciale. È un “Librosolidale”. Non è in vendita, ma se lo desiderate, potete contribuire a crearlo, a diffonderlo e soprattutto a finanziarlo. Il Librosolidale è il frutto dell’impegno di molti. Questi molti sono il Xmas Project. Un’Associazione costituita per dare sostanza e realtà a microprogetti di solidarietà, in giro per il mondo, là dove c’è del bisogno. Chi vuole sostenere il progetto, e quindi aderire al Xmas Project, prenota una certa quantità di Librisolidali e versa un contributo proporzionale alle copie ricevute. Potrà così utilizzare i libri come doni, in occasione del Natale, trasformandoli in ambasciatori del progetto stesso. Non solo: questi doni saranno particolari, perché conteranno qualcosa di “proprio”. Perché chi aderisce al Xmas Project contribuisce in prima persona alla costruzione del Librosolidale, fornendo un proprio contributo: una foto, uno scritto, una poesia, piuttosto che semplicemente la propria firma. Se avete ricevuto questo libro in dono da qualcuno, sfogliatelo: vi troverete un suo segno. L’aspirazione, di Natale in Natale, è quella di costituire una Collana di solidarietà. Contattateci: è questo il regalo che anche voi potete donare e donarvi il prossimo Natale.

Xmas Project 2008

Xmas Project | Librosolidale 2008

L’Associazione Xmas Project

Il Librosolidale

Ilo169

Ilo169, Convenzione concernente Popoli Indigeni e Tribali in Stati indipendenti, Pianeta Terra. È finora l’accordo internazionale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni e tribali. La Convenzione Ilo169, emanata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, organizzazione di settore dell’Onu, è stata adottata il 27.06.1989 ed è entrata in vigore il 05.09.1991. Ad oggi è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173 Stati membri dell’ILO e l’Italia non è tra questi. Il libro di quest’anno vuole essere uno strumento di sostegno e di aiuto a Survival, l’organizzazione internazionale che da quarant’anni si batte per la tutela dei diritti delle popolazioni indigene e tribali. Vi raccontiamo l’attività di Survival, la sua vocazione, le emergenze umanitarie e le battaglie in corso. I fondi raccolti andranno a sostenere questa azione di difesa delle popolazioni indigene. All’interno del libro troverete anche la petizione da inviare al governo italiano per sollecitare la ratifica della Convenzione Ilo169. ________________

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