X'L Motocross #03/2022 web magazine

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//#03//2.0 MARZO//2022

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Marco A. FONTANA

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LEGEND // Danny MAGOO CHANDLER // LA STORIA MXEPOCA MALPENSA SUPERCROSS USA Saint LOUIS MXGP // ARCO VINTAGE BIKE HOnda // CR125M ‘72

Foto: Enzo Tempestini



INDEX 04 MAGIC MOMENT 14 MXGP TRENTINO // PIETRAMURATA 28 IL MONDIALE...supercross 32 MXEPOCA // MALPENSA ROUND #01 58 SUPERCROSS USA // SAINT LOUIS 70 LA STORIA : LA PRIMA 2T HONDA 80 vintage bike // honda rc125m 1972 102 Columns // DANNY “MAGOO” CHANDLER 112 Columns // LA PREPARAZIONE FISICA 116 e-space // MARCO FONTANA



Magic Moment Foto: Claudio Cabrini


Magic Moment Foto: enzo tempestini




Magic Moment Foto: www.suzuki-racing.com



Magic Moment Foto: KTM // PRESS


Magic Moment Foto: www.hondaracingcorporation.com



MXGP – GP#05 TRENTINO // PIETRAMURATA

Pianeta Gajser Lo sloveno continua nella sua marcia verso il quinto titolo iridato. Nella MX2, rivoluzione al vertice. Testo: Redazione X’L Motocross // Foto: Stefano Taglioni // Claudio Cabrini

Anche se siamo sulla terra e anche se siamo in Italia, sembra di essere in un altro “mondo”, sul pianeta Gajser. L’orda di tifosi provenienti dalla Slovenia, che facilmente ogni anno raggiungono le colline trentine, con i pittoreschi abbigliamenti, con gli assordanti e più disparati rumori e con i sempre

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presenti fumogeni, rigorosamente di colore giallo-rosso, contribuiscono notevolmente a trasformare in “pianeta” il Ciclamino di Pietramurata. Ma è dalle mani di Tim Gajser o meglio, dal polso destro del quattro volte campione del mondo, che spuntano di diritto le coordinate per raggiungere l’immaginario astro.


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MXGP – GP#05 TRENTINO // PIETRAMURATA Un immaginario che si sta tramutando in realtà viste le recenti performance dello sloveno che, nei primi cinque GP di questo campionato 2022 che sembra essere tornato alla normalità, ha conquistato sei vittorie di manche, tre secondi posti e una volta si è piazzato “soltanto” terzo. Una media “scudetto” che parla chiaro sulle reali possibilità di Gajser di puntare dritto alla quinta corona iridata anche se, ovviamente, è ancora presto per “can-

Jeremy Seewer - Maxime Renaux

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tar vittoria”. Alle sue spalle c’è una bella lotta che però, vista l’alternanza di piloti tra il secondo e il quarto posto, gioca proprio a favore di Gajser, con gli avversari che si “tolgono” punti reciprocamente e con nessuno di loro capace di avvicinare il pilota Honda. Il campionato è ancora lungo (quindici GP al termine) ma se l’andazzo è questo, gran parte del copione è stato già scritto. Sul “fronte Italia” alcune note positive e alcune meno.

Ottimo l’approccio alla stagione di Alberto Forato che sembra aver definitivamente adattato le sue misure a quelle della potente GasGas 450. “Alby” ha inanellato una serie di prestazioni degne di nota anche se, soprattutto nel caso della seconda manche di Arco, la sfortuna non gli ha concesso di raccogliere quanto meritava. Nono in campionato (ma con due “zeri”) Forato dimostra di poter ambire a posizioni anche più importanti e da qui


Jorge Prado

a fine stagione, siamo certi che il pilota veneto riuscirà a togliersi grandi soddisfazioni. Cosa che invece, almeno fino a questo momento non è riuscito a fare Alessandro Lupino. Un inizio di stagione veramente travagliato per il pilota delle Fiamme Oro che prima ha dovuto fare i conti con qualche problema tecnico di troppo e poi, con la sempre più “precisa” sfortuna che lo ha colpito sotto forma di appendicite durante il week end del GP del

Portogallo costringendolo ad un intervento chirurgico direttamente nel paese straniero e alla relativa convalescenza che per ora lo ha estromesso anche dalla gara di casa. Inoltre, al suo rientro in Italia è dovuto tornare sotto le cure dei medici per un’infezione interna che lo ha costretto a un ulteriore ricovero. Lupino, dopo cinque GP ha raccolto veramente ben poco anche se nell’unica manche portata a termine senza problemi

(la seconda a Mantova) si è classificato in decima posizione a dimostrazione del suo reale potenziale. Non è stato più fortunato di Lupino nemmeno Nicholas Lapucci. Inizialmente schierato al via con la 2502t, rivelatasi presto non competitiva, dal GP del Portogallo è passato alla più performante Fantic 450 4t ma dopo il comprensibile GP di adattamento (in Portogallo) alla vigilia della gara di casa è riaffiorato l’infortunio che lo aveva 17


MXGP – GP#05 TRENTINO // PIETRAMURATA

Brian Bogers

Alberto Forato

tenuto fuori dalle gare nel recente passato, costringendolo alla resa anche a Pietramurata. Rimanendo in colori “italici” non possiamo non citare la italianissima Beta che (problemi di Lupino a parte) sta raccogliendo grandi soddisfazioni in campionato. Il belga non è mai andato sotto un risultato nella top ten e al momento occupa la settima posizione nella classifica generale. Un risultato molto incoraggiante

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per la casa italiana che, almeno in quanto a indiscrezioni, dovrebbe mettere in cantiere una piccola produzione della 450 derivata dalle competizioni, entro la fine di questa stagione, ovviamente come “model year” 2023. Passando invece alla classe MX2, sul tracciato “Il Ciclamino” abbiamo assistito alla prima rivoluzione della classifica. Geerts, arrivato in Trentino con 16 punti di vantaggio su Vialle,

è incappato in una situazione di quelle che oramai possiamo definire come la sua “solita caduta” e ha offerto sul classico piatto d’argento la leadership del campionato al francese Tom Vialle. Un Vialle che per agguantare la tabella rossa ci ha messo comunque tanto del suo andando a vincere entrambe le manche con una netta superiorità. Dietro di lui invece iniziano a scalpitare nomi nuovi, nomi giovani (non


Jeremy Seewer

che Vialle sia “vecchio”, ovviamente) ma nomi che presto risuoneranno stabilmente nei piani alti delle classifiche. Mikkel Haarup (tre podi consecutivi), Kay de Wolf (non nuovo a imprese da podio) e Tibault Benistant (al primo GP di stagione) hanno fatto vedere cose egregie e di certo cercheranno di mettersi in mostra ancora meglio da qui a fine stagione. Dopo l’exploit della prima gara in Inghilterra sono un po’ cadute in ribasso le quotazioni

di Simon Langenfelder. L’austriaco, dominatore del primo GP con una “doppietta” si è un po’ perso strada facendo ma la giovane età e la poca esperienza per ora sono delle attenuanti di valore rispetto al calo delle prestazioni. Prestazioni altalenanti per i piloti italiani. Dopo il GP in Argentina, manca all’appello anche Gianluca Facchetti (infortunato in Patagonia) e quelli stabilmente impegnati nel campionato sono rimasti i soli Andrea

Adamo e Mattia Guadagnini. Da Adamo ci si aspettava una stagione in crescendo ma di certo le prestazioni del siciliano hanno sorpreso tutti e lui (probabilmente) per primo. Andrea ha disputato una prima manche degna di una posizione da podio finale (quarto in gara 1) ma purtroppo, nella seconda è incappato in un errore rimanendo bloccato dietro il cancello ripartendo ultimo. Poi, in rimonta, è stato anche autore di una caduta che lo ha

Brian Bogers

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MXGP – GP#05 TRENTINO // PIETRAMURATA

costretto al ritiro con una spalla malconcia. Chi invece ci fa vedere il bicchiere “mezzo vuoto” è Mattia Guadagnini. Per sua stessa ammissione un inizio di stagione non all’altezza delle aspettative, con il pilota veneto apparso più volte contratto alla guida e non

Nicholas Lapucci

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fluido come lo avevamo visto guidare nella stagione scorsa soprattutto in occasione dei grandi risultati ottenuti (è stato anche tabella rossa, non lo dimentichiamo). Mattia sta “lavorando” per ritrovare una continuità di risultati di livello ma soprattutto una sorta di

serenità alla guida che, nelle cinque gare disputate, è sembrata venir meno rispetto ai suoi standard del passato. Le sue caratteristiche non si discutono, ovviamente, ma i risultanti non eclatanti impongono un cambio di rotta e a breve.


Glen Coldenhoff

Jeremy Van Horebbek

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MXGP – GP#05 TRENTINO // PIETRAMURATA

Tom Vialle

Kay De Wolf

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Jago Geerts

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MXGP – GP#05 TRENTINO // PIETRAMURATA

Jago Geerts Mikkel Haarup

Mattia Guadagnini

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Tibault Benistant

Andrea Adamo




Il rovescio della… moneta

Da un lato, le difficoltà in Europa di sostenere un campionato del mondo sempre più dispendioso, dall’altro una società che promette investimenti ingenti e ingaggi per tutti. Sarà un top o sarà un flop?

Testo: Redazione X’L Motocross // Foto: SX Global

Eravamo alla fine dello scorso anno quando l’annuncio “shock” è arrivato per mano del Presidente della F.I.M. la Federazione Internazionale Motociclistica, Jorge Viegas che ha ufficializzato l’acquisizione dei diritti del “Campionato del Mondo FIM Super28

cross” da parte della società australiana SX Global. Da quel momento una serie di “voci” e comunicazioni non ufficiali si sono succedute fino al momento che i neo gestori del mondiale SX hanno iniziato a diramare le prime notizie. Notizie che hanno fatto subito

scalpore, notizie che si sono basate prima di tutto su “cifre” importanti riguardanti il sistema economico di quello che dovrebbe essere per la prima volta nella storia un vero mondiale supercross e non il “solito” titolo assegnato al vincitore della serie AMA in America


e di qualche altra sporadica ce, la SX Global ha già messo ultimo ordine d’importanza, gara, come successo in pas“nero su bianco”. Le prime è stato dichiarato che tutti gli sato. Senza ripercorre la storia cifre scaturite parlano di oltre eventi si svolgeranno all’interdei miseri tentativi di fare un 50 milioni di dollari di investino di stadi di massimo prestivero mondiale SX, quello che mento in 5 anni e di 250.000 gio (e capienza) con un format in questo inizio di 2022 è saldollari di montepremi ad ogni di gara innovativo e con tante tato subito agli occhi di tutti gli gara. Un format a “scatola attività collaterali che coinvolappassionati ma soprattutto di chiusa” però dato che, solgeranno il pubblico in maniera tutti gli addetti ai lavori, è una tanto 10 squadre potranno diretta e altamente spettacoladeterminazione assoluta mes- accedere alla competizione; re. Le prime dichiarazioni della sa in campo dai vertici della squadre che, ovviamente, società australiana parlano di società SX Global. Formata da saranno finanziate dalla soun 2022 da catalogare come uno staff che di sport ne ha cietà che gestisce i diritti del “anno zero”, anno durante il masticato parecchio, questa campionato. Ogni team dovrà quale saranno messe a punto nuova realtà ha voluto dare portare in gara due piloti per tutte le dinamiche per portare subito un’impronta “diversa” ogni categoria per formare la serie al massimo potenziarispetto a quelli che, almeno un parco partenti di 20 piloti le, nel 2023. Di rimbalzo però, in Europa, sono gli standard per ogni classe e inoltre, per ad oggi, l’unica cosa certa al organizzativi. Un grande show, ogni evento, ci saranno due momento è che non è dato a costruito sulle sapersi dove e basi delle quando inizierà esperienze questo “fanfatte ma sotasmagorico” prattutto fonCampionato del dato su basi Mondo Supereconomiche cross. Sappiaimportanti. E mo soltanto infatti, le prime che, da dichia“news” che razioni ufficiali sono arrivate di Tony Cochradall’Australia, ne, presidente sede della SX di SX Global, Global, hanil Campionato no fatto forza Mondiale FIM proprio sul Supercross fattore eco2022 si svolgenomico grazie rà nel secondo Da destra; Tony Cochrane (Presidente - SX Global), Ryan Sanderson (Managing Director Commercial SX Global), Adam Bailey (Managing Director Motorsport SX Global) al supporto di semestre su una un investitore di base di cinque altissimo livello, la Mubadala “wild card” a vantaggio di eventi da settembre a novemCapital, sussidiaria della Muorganizzatori locali o team che bre, mentre per il 2023 e gli badala Investment Company, vorranno partecipare alla sinanni successivi la serie doprincipale società che cura e gola competizione. Totale; 22 vrebbe completarsi ogni anno gestisce gli investimenti del partenti a numero chiuso per tra i mesi di giugno e novemgoverno di Abu Dhabi, uno dei ognuna delle due classi WSX bre. più ricchi dei sette paesi che (450) e la SX2 (250) . Al moformano lo “UEA” ovvero, gli mento è questo il “succo” del Emirati Arabi Uniti. Una poten- discorso e con questi “numeri” I primi sorrisini ironici da oltre za di “fuoco” che possiamo possiamo solo dire …”scusate oceano sono già arrivati e solo immaginare ma che inve- se è poco”! Inoltre, ma non in ovviamente, gli “yankees” non 29


potevano non intervenire visto che un campionato del genere suonerebbe come un vero e proprio campanello di allarme (rosso) nei confronti di quello che fino a oggi è stato l’unico e indiscutibile campionato di supercross. I commenti letti e visti provenienti dagli Stati Uniti, ovviamente, non possono essere che dubbiosi o a dir poco ironici e basati su una presunta “non riuscita” dell’ennesimo tentativo di un campionato globale negli stadi. Ma questa volta, soprattutto visti i “numeri” e i “nomi” che ci sono dietro, le possibilità di vedere nascere questo campionato sembrano veramente tante. L’ipotesi è d’obbligo visto i momenti che

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stiamo vivendo e visto che “il passo indietro” è sempre dietro l’angolo. È passato troppo poco tempo per dimenticare il “flop” del presunto Principe di… (non si è capito bene di dove) che aveva promesso mega investimenti nel mondo della Moto GP che però, alla fine dei giochi è ritornato di colpo nella lampada del genio, di quel genio che aveva inventato questa storia che ancora non si è capito come, per cosa e soprattutto a chi, avrebbe portato benefici. Comunque, queste notizie hanno destabilizzato il modo di ragionare di tanti e soprattutto di quelli che a oggi sono impegnati nel campionato del mondo motocross. Una serie sempre

più impegnativa sotto tutti gli aspetti con tante difficoltà da affrontare, prima fra tutte, quella economica. 20 GP in una stagione con trasferte in 3 o 4 continenti diversi iniziano a “farsi sentire” anche nella casse delle squadre ufficiali che comunque, al momento sembrano tenere bene il passo. Cosa che invece non succede nelle squadre “satellite” o minori, costrette a coprire budget sempre più elevati e con estrema difficoltà. I “numeri” del GP di Argentina hanno destato preoccupazione con pochi partenti al via in entrambe le cilindrate anche se eravamo “solo” al terzo GP della stagione.


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Italiano Motocross Epoca // 1a prova // Malpensa 27 Marzo


L’epoca decolla da Malpensa Prima prova e record di iscritti per il campionato delle “vecchiette”.

Testo: Redazione X’L Motocross // Foto: Enzo Tempestini


Italiano Motocross Epoca // 1a prova // Malpensa 27 Marzo Allacciate le cinture, si parte. Il campionato motocross epoca è decollato dal crossdromo “Ciglione della Malpensa” e ha preso subito quota. Quota 250 vale a dire il numero dei partenti in quello che, ad oggi, è il campionato che fa registrare un continuo aumento degli iscritti. Un “fenomeno” che sta prendendo piede da qualche anno e che non accenna ad arrestarsi (per fortuna). Un campionato “nostrano” creato e fatto crescere da gente che ha messo la passione prima di tutto e di tutti, da gente “comune” che faceva e che ha fatto del tutto per far si che queste “vecchiette” potessero trovare una nuova vita e perché no, anche i piloti di un tempo. Un uomo su tutti, che ci piace sempre ricordare, il compianto Paolo Torta che fino al momento della sua prematura scomparsa, nel febbraio del 2018, ricopriva il ruolo di responsabile del settore motocross epoca dal 2009. Un uomo che ha dato una marcia in più al campionato, forse anche due, e al quale tutto il settore deve e dovrà sempre essere grato per quanto fatto per lo sviluppo del motocross epoca. In un crossdromo profondamente rivisitato dopo il cambiamento di “gestione” passato da inizio anno nelle mani del gruppo “Red Moto Honda” ma sempre sotto l’egida del Moto Club MV Gallarate il paddock si è animato fin dalle prime ore del venerdì. Un paddock dove si respira l’aria del motocross di una volta e questo non solo grazie a tutte le moto presenti ma anche e 34

Gherardo Gasso, dopo una bella lotta con Montalbini, si è aggiudicato l’assoluta della E3.


soprattutto ai partecipanti che hanno sposato in pieno la filosofia di questo campionato; il divertimento. Per chi ha avuto la fortuna di vivere il periodo d’oro del motocross, sembra di fare un tuffo nel passato. Lo sport, la meccanica, la competizione, ma soprattutto l’amicizia sono gli ingredienti che rendono unico questo “cocktail” del campionato epoca. Nel campionato epoca si può assistere a scene che nei più blasonati (almeno sulla carta) campionati nazionali sono oramai scomparse. Scene di “ordinaria follia” potrebbero dire quelli che pensano di fare “motocross vero” scene che vedono avversari in pista, aiutarsi a vicenda nel riparare la moto dell’altro per far si che si presenti in orario al cancello di partenza e per gustarsi il “succo” della vera e sana competizione. Nessuna gelosia, nessun “odio” ne per le moto migliori ne per il camper o l’abbigliamento più “figo”. Qui, all’epoca, non si scherza, anzi si, si scherza si ride e ci si sfotte come se non ci fosse un domani, ma sempre in armonia e con un grande spirito di amicizia. Ma, e ci sono anche i ma, a un certo punto, scende la griglia di partenza e allora tutti a cercare di arrivare in testa alla prima curva e scatta l’agonismo. Ma, anche rischiando di essere ripetitivi, un agonismo puro, insomma l’agonismo di una volta quello che ci piacerebbe vedere anche in altri campionati di alto livello (ma cosa si intende per alto livello?.... questo non è dato a sapersi). Le gare dei vari gruppi e delle

Massimiliano Arenella (719), Silvio Gasparella (780), Francesco Cinelli (239) e Ivan Zuin (954) in lotta nella classe E4-E5

Alessio Soldà il vincitore della classe D2

Mario Rossi in sella alla CZ ha conquistato il terzo gradino del podio della A3.

Trazione totale in uscita di curva per Dario De Lorenzo (D3) 35


Italiano Motocross Epoca // 1a prova // Malpensa 27 Marzo Maurizio Corti (Aspes-B1) alle prese con un “classico”; il salto della catena.

Francesco Cinelli (239 Kawasaki E4) e Alberto Ferrari (94 Suzuki E5)

Paolo Fiorucci (353) ha provato a contrastare Alessandro Orbati (82) ma senza successo. Orbati ha vinto la classe B2 precedendo proprio Fiorucci.

Michele Camola nella E1 ha collezionato un ritiro e un quarto posto in sella alla più classica delle moto enduro con tanto di faro e parafango posteriore con porta targa.

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varie categorie, che a dire il vero al primo impatto sembrano dei “codici da Vinci” per quante sono e per come sono raggruppate, hanno tutte un suo “perché”. Dopo il primo esperimento dello scorso anno in occasione della gara di Maggiora, in questa stagione è entrata di diritto la classe “Evo” suddivisa in “Evo1 fino a 125 cc” e “Evo2 oltre i 125 cc” con alla guida i “giovani” di oltre 38 anni di età. Praticamente, le moto “meno vecchie” e cioè quelle che vanno dal 1990 al 1996 ma anche piloti “diversamente giovani” che in sella a una moto da cross riescono ancora a far vedere cose egregie. Insomma, ogni anno, in questo campionato ci sono grandi novità e grandi attrazioni che contribuiscono notevolmente alla crescita del “movimento” e questo è il più importante aspetto. Le competizioni viste a Malpensa ci hanno fatto ritornare indietro nel tempo, o meglio, nei 2 tempi. La quasi totalità delle moto in pista (un solo 4t presente) funziona ancora a “miscela” un ingrediente fondamentale per il palato fine dei partecipanti. Competizioni che comunque hanno un loro “ego” e infatti è sbagliatissimo pensare a delle semplici “passerelle” dimostrative quando invece i piloti, una volta indossato il casco, ritornano alla concentrazione dei tempi passati nonostante le “taglie” dell’abbigliamento abbiamo a volte subito una netta crescita verso la soglia della categoria (non ancora in regolamento) “piloti di un certo peso”. Ma goliardia a


Stile inconfondibile per Marco Graziani che ha portato la sua Maico al secondo posto nella A3.

Staccata al limite per Marco Madaschi in sella alla sua Suzuki (E5) Roberto Corti, secondo nella A2 con la CZ

Alessandro Gritti, classe 1947, plurititolato nell’enduro e nel motocross è sempre presente in pista e in sella a una KTM ha vinto l’assoluta della A3 con due primi posti.

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Massimo Marescalchi autore di una perentoria “doppietta” nella D1, in sella alla sua Yamaha “giallo america”.

parte, anche questa nel paddock regna sovrana, entrando in competizione e di tale si tratta, ogni classe ha i suoi argomenti agonistici da proporre. Partendo in ordine di “cubatura” ci sono i “cinquantini” della classe F con la F1 over 30, moto fino a 50 cc fino al 1977, e la F2 over 30, moto fino a 50 cc dal 1978 al 1982. A dimostrazione dell’interesse di questo campionato anche tra i più giovani, che sono stati i fruitori di queste mini belve dei loro tempi, esiste anche una classe G over 14 anni ma “under 38” con moto prevalentemente “ottantini” e più precisamente moto oltre i 50 cc fino a 125 cc e al 1989 (G1) per poi passare alla G2 con moto oltre ai 125 cc, sempre fino al 1989. Per dovere di 38

Stefano Morini (CZ-A2) si è dovuto ritirare nella seconda manche dopo un ottimo sesto posto in gara 1.

Carlo Grotto (381-F2) e Giulio Artioli (124-F1) “gomito a gomito” in uno dei veloci curvoni del Ciglione della Malpensa. Il contatto c’è stato ma…“il VAR non ha visto”


“Kekkin” iscritto nell’elenco con una Honda ma inequivocabilmente in gara con una Suzuki. Nell’epoca capita anche questo.

Giuliano Giovannelli (713) e Aldo Mezzedimi (224) in lotta nella prima manche della classe C. I due hanno conquistato entrambi 38 punti con Mezzedimi terzo sul podio e Giovannelli quarto classificato. Giovanni Martini (50-Aprilia F2) anche per lui un ritiro in gara 2

Moto Kawasaki e logo “Honda” per Gianni Gismondi, quinto classificato nella E2.

C’è tempo anche di “posare” per i fotografi e guardare direttamente nell’obiettivo, come ha fatto Ubaldo Montagni durante una fase di gara della D3

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Italiano Motocross Epoca // 1a prova // Malpensa 27 Marzo Gianfranco Nardi, regolare nei piazzamenti ha chiuso la gara al sesto posto nella A2.

Gaetano “Gao” Gentilini, ottavo posto per lui nella A2

Franco “El Diablo” Rippa, in sella alla sua inseparabile KTM (B2)

Fausto Cerri (190) e Maurizio Corti (78) in lotta nella B1

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cronaca, fermo restando lo “spunto” delle due classi ai margini del regolamento (le moto più performanti “evo” e le più piccole “G”) ci limitiamo a citare quelle che sono le restanti classi dove è possibile iscriversi in base a cilindrata, anno della moto, età del pilota (cercate bene, che la vostra classe …c’è e…preparatevi a partecipare, ne vale la pena) Classe A Over 50 / 60 / 68 anni Moto oltre 125 cc. fino al 1973 con classifiche separate:- A1 riservate ai piloti Over 50 / fino ai 59 anni - A2 riservate ai piloti Over 60 / fino ai 67 anni - A3 riservate ai piloti Over 68 anni Classi B Over 50 anni: Moto dal 1974 al 1976 - B1 moto da 100cc a 125cc - B2 moto oltre 125 cc Classe C Over 45 anni: Moto oltre 125 cc dal 1977 al 1979 Classi D Over 38 anni: Moto oltre 125 cc dal 1980 al 1989 con classifiche separate: - D1 moto dal 1980 al 1982 - D2 moto dal 1983 al 1985 - D3 moto dal 1986 al 1989 Classi E Over 38 anni: Moto da 80 cc fino a 125cc E1, E2, E3, E4, E5 fino al 1989 con classifiche separate: - E1 moto fino al 1979 - E2 moto dal 1980 fino al 1982 - E3 moto dal 1983 fino al 1985 - E4 moto dal 1986 fino al 1989 - E5 moto oltre 50 cc fino a 80 cc fino al 1989 La cronaca delle gare; ad oggi, anche se solo dopo qualche giorno dal termine


delle sfide in pista e anche se la nostra piccola realtà giornalistica è una rivista on line, ci sentiamo di dire che la cronaca nuda e cruda diventa subito “storia passata”. Elencare i vincitori delle classi, o magari allargare il “range” al podio per citarne semplicemente i nomi, citare magari un episodio “particolare” quale può essere un sorpasso o una caduta, lo reputiamo “superficiale” ed è per questo che lasciamo parlare le immagini con a margine (e non sempre) un commento “didascalico” per far capire ai lettori, soprattutto a quelli che non sono del settore, di chi e di cosa stiamo parlando. Forse un tentativo sbagliato, un’idea non valida, non lo sappiamo ma fare la cronaca di un evento, accaduto qualche settimana prima o addirittura qualche mese, ci sembra, al giorno d’oggi, banale e quanto meno scontato. Il web ci concede il “lusso” di sapere tutto e subito, anche se a volte l’esasperazione di essere i primi a dare la “notizia” ci lascia abbastanza perplessi. Malpensa è stata anche per noi una “prima” e da ora in avanti cercheremo di migliorarci e soprattutto di far fronte alle esigenze del “movimento epoca” per dare a tutti i protagonisti il giusto spazio e la meritata “vetrina”. Abbiamo avuto la fortuna di vivere il periodo d’oro del motocross, e lo vogliamo rivivere ancora attraverso questo campionato e tutti i suoi protagonisti, nessuno escluso.

Lorenzo Consolati (42) e Gabriele Baradel (712) impegnati nella gara in classe E4

Sergio Gandolfi ha dominato le due manche della classe C

Michele Ciceri (91) e Alessandro Calvaresi (90) impegnati nella E4

Leopoldo Corrà, sesto nella D1 in sella alla Villa 41


Nicola Montalbini mette “alla frusta” la Yamaha 125 con la quale si è classificato al secondo posto, anche se a pari punti con il vincitore, nella classe E3.



Ferdinando Lorini (KTM-A2) ha conquistato il terzo gradino del podio.

Due vittorie di manche nella G1 per Marco Volpe in sella alla Suzuki 125.

Luigi Raffaello Manenti (KTM-A1) all’ultimo giro della gara ci segnala “tutto OK”

Dino Pini Chiappini, con i soffietti “a pacco” in una staccata a fine discesa del Ciglione della Malpensa

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Massimo Bonardi (D1) impegnato a gestire la potenza della sua KTM in uscita di curva


Maurizio Pezzaglia (CZ-A2) intento a “confidarsi” con il mezzo meccanico.

Giuseppe Dimasi (E4) intento a “domare” la sua Honda 125 nel mezzo della bagarre successiva alla partenzameccanico. Mattia Favaretto, al traguardo con la sua “vecchietta”. Una Suzuki classe G2.

Michele Franchini con l’aiuto della “compagnia della spinta” recupera la sua Kawasaki (Evo2) che lo ha appiedato.

L’immancabile “Gommino” al secolo Dino Perioli, in sella alla sua Aspes.

Luigi Meirana (Yamaha-D3), settimo a fine giornata nella sua classe.

Luca Cardoni (187) e Sergio Negro (557) con le loro Maico della classe C

Adriano Vinciguerra (564) e Andrea Grassi (254), vincitori G2-Evo1


Lucio Dimasi, terzo assoluto nella G1

Non è un “doppione del numero 62” ma è Roberto Meroli (F2) che ha corso la prima manche con la HRD (foto sotto) ma, rimasto appiedato, in gara 2 si è presentato in sella all’Aprilia e ha vinto la frazione. Nella gare d’epoca, succede anche questo.

Quasi al “limite” con l’età (è appena quindicenne) Andrea Pecora dimostra che anche i giovanissimi possono divertirsi in sella alle moto del passato. Fabio Cornaggia in ottima forma dopo un passato tra i pro, primo ha vinto la Evo2

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Marco Veronesi (Honda-D1) nono al termine della giornata “strappa” in volo il filo del gas.

Mauro Romano, vincitore della B1 con la TGM Claudio Zago ha sfiorato il podio della D1 (quarto di giornata)

Marcello Fenaroli, grinta e stile “da vendere” per il dominatore della E4 in sella alla Honda

Pietro Novello (Suzuki-G1). Un ritiro in gara 2 lo ha estromesso dalla lotta per le posizioni del podio.

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Fabio Marino, ottavo nella E4 in sella alla Honda

Alberto Ferrari, terzo classificato nella E5 con la Suzuki 80cc Giordano Antonio Dallari, secondo nella classe C con la Maico

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Francesco Borgogelli, secondo classificato nella B1 con la Yamaha “monocross”


Scatto “bruciante” alla partenza per Alex Cevolani (Honda-E4)

Michele Dallatomasina (847) precede Mirko Fiorentini (778), durante la prima manche delle classi D3-D2. Fiorentini ha vinto la D3, mentre un ritiro nella seconda manche non ha permesso a Dallatomasina di andare oltre l’undicesimo posto nella D3.

Emanuele Carosi a Malpensa ha conquistato “soltanto” il decimo posto nella E4

Giovanni Gritti si è classificato secondo nella D2 nonostante in gara 2 è stato costretto alla rimonta dalle retrovie, che si è arrestata al terzo posto.

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Ivan Zuin ha vinto la E5 con la Suzuki 80cc

Samuele Pagliaccia, quarto nella G1 ha mancato il podio per soli due punti

Enrico Bertone sulla “Cheney” con la quale ha conquistato la vittoria nella classe A2.

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Cesare Salvi (HusqvarnaD1) si è dovuto ritirare nella prima manche e nella seconda ha chiuso al nono posto

Massimo Trollo (TGMF1) ha vinto l’assoluta di classe con due vittorie di manche

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LE FOTO DELLE GARE


E le trovi su:


SX – USA Round #13 St. Louis

Marvin Musquin back to the top È iniziato il rush finale del supercross 2022 e Tomac ipoteca il titolo a quattro round dal termine. Testo: Redazione X’L Motocross Foto: yamaha-racing.com // hondaracingcorporation.com -Align Media // suzuki-racing.com // KTM Press GasGas Press // Husqvarna Press

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Diciassette gare senza respiro, questo il supercross 2022. Tredici sono andate in archivio e un uomo solo è al comando; Eli Tomac. Quando ci sono ancora parecchi punti da assegnare sembra oramai scritto il copione di questo 2022 sempre più nel segno del pilota ritornato in sella alla Yamaha. Una

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stagione sempre consistente e priva di errori per lui con il risultato di poter controllare al meglio i 56 punti di vantaggio che ha in campionato. Un vantaggio creato a suon di vittorie (sette fino a ora) ma soprattutto grazie a una “cinquina” consecutiva impressionante dal round #08 al round #12. A questo

punto, solo la sorte potrebbe negare il titolo a Tomac che, facendo i debiti scongiuri, potrà amministrare al meglio il meritato vantaggio ottenuto fino a oggi. Un vantaggio costruito con tanto merito ma aiutato a volte dalla malasorte degli altri che, alternativamente, si sono dovuti piegare alle più dispara-


te problematiche. Prima causa fra tutte, gli infortuni. Tanti, troppi ma per fortuna non gravissimi che hanno comunque allontanato, a turno, tanti protagonisti dalla lotta per le posizioni di testa e di conseguenza dalla possibilità di conquistare il titolo. Nell’ul-

tima gara “triple crown” della stagione si è imposto Marvin Musquin che mancava dalla vittoria dalla gara di Sal Lake City, penultimo appuntamento del 2021. Per Musquin si è trattato della prima vittoria del 2022, cosi come per KTM che ancora non aveva visto

nessuno dei suoi piloti primeggiare nel 2022. Al secondo posto si è piazzato Chase Sexton in sella all’unica Honda HRC rimasta, dopo l’abbandono di Ken Roczen. Sexton è riuscito anche a vincere la prima delle tre finali (la seconda l’ha vinta Musquin). Terzo 61


gradino del podio per il mattatore di questa stagione, Eli Tomac. Conservatore quanto è bastato nelle prime due finali, dopo aver capito che poteva azzardare qualcosa di più, ha vinto la terza come a voler dimostrare che in que62

sto momento, quello che per lui conta di più è arrivare a fine campionato evitando errori che gli potrebbero costare cari in termini di risultato finale. Tomac è sembrato un freddo calcolatore che però, al momento opportuno, ha fatto ve-

dere che il ruolo di leader non lo ricopre proprio “per caso”. A Saint Louis è andato in scena il sesto appuntamento (di nove) della SX250 East. Prima affermazione in carriera Per Rj Hampishire che ha preceduto Jett Lawrence


e Mitchell Oldenburg. Con l’assenza forzata per infortunio, di Cameron Mcadoo, Lawrence si trova ad amministrare un vantaggio di 34 punti sullo stesso Mcadoo quando mancano solo tre prove al termine.

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Marvin Musquin

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Chase Sexton


Jet Lawrence



Cameron Mcadoo

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L’inizio del grande successo Honda “..Non costruirò mai moto a 2 tempi…” sentenziava il fondatore e presidente della Honda Motor Company Soichiro Honda; ma la storia ci racconta qualcosa di diverso. Testo: Redazione X’L Motocross // Foto: I.M.M.

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Siamo a metà anni ’60, la Honda spadroneggia nelle gare motociclistiche su asfalto e nel 1966 vince alcuni GP al debutto nella classe 500 e si aggiudicata il titolo costruttori nelle 4 classi; 125, 250, 350, 500. Nello stesso periodo (1967) in Giappone inizia l’era del motocross e delle moto a 2 tempi e in quel momento il motocross era uno sport molto conosciuto in Europa ma sconosciuto nel paese del sol levante. Partendo e passando velocemente dagli albori della disciplina, il dominio delle moto a 4 tempi era cosa certa, come era cosa certa la rapida decadenza delle moto a benzina non appena case europee come Husqvarna e CZ per citare alcuni esempi, misero mano e svilupparono progetti e modelli di moto a 2 tempi molto più leggere e perfromanti. Tutti i principali costruttori, anche giapponesi, si allinearono alla tendenza del tempo tanto è, che proprio Suzuki, con la progettazione e la produzione del modello 72

RH250 del 1970 si aggiudicò il primo campionato del mondo FIM con il belga Joel Robert. Soltanto tre anni prima, il motocross era arrivato in Giappone dove, nel 1967 venne disputato il primo campionato nazionale riconosciuto dalla Federazione Motociclistica Nazionale denominato “All Japan Motocross”. Molto poco tempo è bastato alle case costruttrici per “buttarsi” sul mercato e sviluppare prodotti competitivi e vincenti. Yamaha affidò a “Mr. THOR” Torsten Hallman le sue moto, la Kawasaki aveva piloti di elevato valore mentre chi era rimasta fuori dai giochi, era proprio Honda e non a caso. Infatti, era proprio il fondatore della casa Soichiro Honda, che diceva; “Honda non costruirà mai una motocicletta a 2 tempi” e di conseguenza, nessuna moto “rossa” era presente nel panorama delle gare e del mercato “cross”. Fu nel 1967, anno dell’arrivo del motocross nel paese del sol levante che Honda si

ritirò dai campionati su strada e un gruppo di ingegneri che lavorava in “casa” diede vita a una associazione chiamata “The Association to Study the Motorcycle”. Anche se indipendente dalla casa madre, erano tutti tecnici che lavoravano per la casa madre anche se all’esterno e in maniera autonoma. Appassionati di tecnica, ma soprattutto di corse e risaputo che dai piani alti della casa la 2 tempi non era vista di buon occhio, inizialmente si dedicarono allo sviluppo di una moto da cross partendo dalla base della SL125 a 4 tempi. Riduzione massimale dei pesi di ogni componente e aumento della potenza del motore furono gli obiettivi che si prefissarono e una volta raggiunto il massimo compromesso possibile, nel maggio del 1969, portarono in gara alla sesta prova del campionato motocross giapponese a Kurume, Fukuokala la prima moto ufficiale di motocross della Honda. Al termine della prima competizio-


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ne, il risultato fu altamente deludente tanto da far capire a tutti, che nonostante i tanti sforzi fatti per adattare al meglio una 4 tempi al motocross, era praticamente impossibile battere sul campo le moto a 2 tempi. Sebbene Honda avesse una forte repulsione per le moto a miscela, gli ingegneri del gruppo fecero capire ai vertici che per essere competitivi si dovevano allineare alla concorrenza e ottennero l’autorizzazione ad acquistare due moto di provenienza europea per studiare e capire “cosa fare”. Una volta arrivate in sede, una Husqvarna e una Reeves, iniziarono gli studi ma soprattutto i sogni di come battere in pista quelle moto con una Honda. In quel periodo, nei reparti di ricerca e sviluppo, era in fase di grande espansione il progetto del monocilindrico 4t “SL250” e il team “esterno” decise di prendere proprio quella moto come base di partenza per la nuova 2t e il progetto, presentato nel 1971, venne avvallato e

agli ingegneri arrivò il segnale di “via libera”. Pero, purtroppo, una volta completato il progetto della SL250 che arrivò velocemente ad avere grandi successi commerciali, lo sviluppo della moto da cross Honda a 2 tempi perse di importanza e il suo cammino rallentò molto. Inizialmente denominato in codice come “335”, poco tempo dopo venne ripreso in mano e classificato come “335B” rimesso in “marcia”. Per accelerare i tempi, vari componenti della ciclistica furono “presi” dalle moto dei produttori europei (si parla dell’utilizzo di un telaio Husqvarna modificato) e una volta completata la moto che sembrava più un “prodotto” fatto in casa e “rimediato” alla meno peggio, la gestione del progetto decise di iscrivere la moto alla prima gara ma, visto che la moto non era ufficialmente una Honda e per evitare di dare nell’occhio, sono entrati in gara come squadra privata il 22 agosto 1971 al 9° round di Mine, Yamagu-

chi. Nonostante la scelta di una gara lontano dalle grandi metropoli e presumibilmente dall’interesse mediatico del tempo, tutti i costruttori, i giornalisti presenti e anche se poco, il pubblico, notarono questa Honda “camuffata”. Il risultato sportivo non fece scalpore e infatti la moto venne ritirata dalla gara per problemi alle sospensioni, ma il responso dato dalle prestazioni del motore fu molto positivo e tutti, da quel momento, iniziarono a parlare e scrivere della prima moto Honda a 2 tempi. L’unico “problema” era che questa moto non era ufficialmente un prodotto Honda ma uno studio di quel gruppo di ingegneri che avevano fondato “The Association to Study the Motorcycle” e che si domandavano cosa potesse accadere se il capo supremo, il Sig. Honda, avesse scoperto quello che oramai non era più un segreto. In quel momento decisero di sottoporre una proposta per la costruzione di un motore 2 tempi a 75


colui che aveva sempre dichiarato “non costruirò mai un motore 2 tempi”, il Sig. Soichiro Honda. La riunione, raccontata da persone che presenziarono, fu molto breve e una volta ascoltata la proposta, il Presidente disse al gruppo “ se desiderate cosi tanto fare una moto a 2 tempi, fatela, ma sarà meglio per voi che sia la migliore al mondo con un motore superiore a tutti gli altri”. I giovani ingegneri capirono che il loro sogno si stava avverando ma da subito capirono anche, che la pressione sulle loro spalle sarebbe stata enorme. Erano esattamente a conoscenza dei metodi di Soichiro Honda e avevano visto con i loro occhi che Honda voleva solo vincere, che la sconfitta non era contemplata e che un eventuale fallimento del progetto sarebbe costato loro, il posto di lavoro. Questo, unito al fatto cha a Mr. Honda non piacevano i due tempi, era un mix che poteva esplodere nelle loro mani da un momento 76

all’altro. Ricevuto il consenso direttamente da Soichiro Honda, il progetto prese ufficialmente il via con il codice “335C” ma non è dato sapere se lo stesso Honda avesse mai saputo dell’esistenza della super segreta Honda 2 tempi 335B. Da quel momento tutti si diedero un gran da fare e facendo base sulla squadra che comunque aveva portato in gara la “335B”, il team di manager, meccanici, ingegneri e coordinatori venne creato in poco tempo. Kunihiko Aika, ingegnere capo, Katsumasa Suzuki, capo meccanico e Kazuhisa Sekiguchi, consulente del team MX; questa la prima squadra ufficiale Honda impegnata nel motocross. Al seguito dello staff tecnico, a fine del 1971 furono ingaggiati i due migliori piloti di motocross giapponesi; Koichi Ueno e Taichi Yoshimura “strappato” ai rivali della Suzuki. L’annuncio dell’ingaggio dei due piloti fece molto scalpore e da quel momento tutti i riflettori

puntarono direttamente la squadra ufficiale Honda. Purtroppo però, Koichi Ueno si ammalò prima dell’inizio della stagione e rimase fuori dai giochi per tutto il tempo lasciando il solo Yoshimura ad occuparsi dello sviluppo della moto e delle gare. Immediatamente all’inizio di quella che doveva essere la prima stagione per la Honda nel motocross, al progetto “335C2 venne ufficialmente dato il nome di RC250M. Da quel momento in poi, tutte le moto che sarebbero uscite dal reparto corse della Honda avrebbero preso il nome “RC”. Gli ingegneri lavorarono senza sosta a tal punto che, visti i tanti e veloci progressi della moto, decisero di iscrivere Yoshimura alla prima gara del campionato giapponese, il 12 marzo 1972 sul tracciato di Yatabe, Ibaragi. Quello della RC250M fu un debutto difficile e al termine della gara il sesto posto finale fece riflettere e molto il gruppo di lavoro, soprattutto


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su tutti i problemi riscontrati in gara. Era evidente che le corse su strada, dove Honda aveva dominato fino al momento del ritiro, non potevano essere di riferimento. Si doveva ricominciare da capo e fu proprio questo che i tecnici Honda fecero. Capiti i primi punti deboli della moto, iniziarono ad affinarli tutti cercando anche di carpire tutti i segreti delle altre squadre e per far questo, si narrano anche alcuni aneddoti particolari come ad esempio quello di un tecnico Honda che si avvicinò alla moto di un’altra casa e con il palmo della mano cercò di rilevare il diametro dello spillo del tubo di scarico oppure, quando gli stessi tecnici, al termine delle gare, rovistavano nella spazzatura lasciata dalle altre squadre nel tentativo di reperire qualche particolare o qualche pezzo di materiale da analizzare. “Vogliamo essere competitivi, vogliamo raggiungere i migliori e batterli, a qualunque costo”; questo 78

era quello che recitavano all’unisono all’interno della prima squadra ufficiale Honda e dopo tante prove, tanti errori e tante soluzioni, capirono che la RC250M fosse oramai pronta per vincere. Soltanto otto mesi dopo l’approvazione del progetto, sul circuito situato all’interno del comprensorio sciistico di Kannabe e sotto gli occhi del Principe Takamatsu, della Famiglia Imperiale del Giappone e di quelli del fondatore e presidente della Honda Motor Company, Soichiro Honda, Taichi Yoshimura portò al successo la RC250M per la prima volta. Per due volte partito in testa al gruppo a dimostrazione della competitività raggiunta dal motore 2 tempi e di conseguenza con il secondo posto della prima manche e la vittoria nella seconda, Yoshimura scrisse per la prima volta il nome Honda tra i vincitori di una gara di motocross. Era il 4 giugno del 1972.


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Più unica che rara. Honda RC125M 1972 Unico esemplare rimasto in circolazione nel mondo, questa Honda 125 è stata la pietra miliare del futuro della casa alata nel motocross. Testo: Redazione X’L Motocross // Foto: I. M. M.

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HONDA RC125M // 1972

Le notizie e soprattutto le memorie riguardo i primi modelli Honda dedicati al motocross sono molto frammentarie e “sfuocate” dal tempo. È passato mezzo secolo da quella data e ritrovare una documentazione dettagliata per descri-

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vere questo vero e proprio capolavoro di tecnica è stato difficile e comunque emozionante. Dalle ricerche effettuate nel tempo, si è venuti a conoscenza che di queste moto ne erano state prodotte pochissime e quella rappresentata in


queste foto, dovrebbe essere l’unico “pezzo” rimasto in circolazione. I dettagli che emergono dalle foto fanno realmente capire con quale cura maniacale ma soprattutto manuale sia stata prodotta questa Honda RC125, una moto che in Europa ne tanto meno in America era mai stata vista prima.

Una certosina ricerca nella “rete” ci ha fatto scoprire anche un po’ della storia di questa moto, passata tra le mani di quello che, tra i piloti giapponesi, è stato considerato da sempre il più rappresentativo; Taichi Yoshimura.

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HONDA RC250M // 1981

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HONDA RC125M // 1972

Come descritto nelle pagine precedenti, la storia di Honda nel 2 tempi è iniziata con la RC250M (codice progetto 335C) ma come la stessa storia ci insegna, Honda non si stava concentrando solo sulla 250 e sul primo successo ottenuto. Parallelamente alla RC250M, prese vita anche il progetto della prima 125 2 tempi; la RC125M. Basato su tutto quanto di buono realizzavano con il pro-

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getto 355C/RC250, la “piccola” di casa Honda vide la luce in tempi molto brevi e infatti, a sorpresa, fu portata in gara per la prima volta il 2 luglio 1972 alla settima gara del campionato nazionale giapponese conquistando il quarto posto assoluto. Alla gara successiva, Yoshimura si classificò terzo e al nono round della stagione portò la RC125M a quella che fu la prima vittoria per Honda in 125. Era soltanto la

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HONDA RC125M // 1972

terza uscita in pista della nuova moto che risultò subito molto affidabile e leggera. Per ottenere questo, il primo obiettivo dei tecnici fu quello della riduzione dei pesi dato che a quel tempo i motori non erogavano potenze esagerate e nel caso di perdita di velocità in pista facevano

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Sotto: il freno anteriore a doppia camma e il particolare per la regolazione di quella superiore


HONDA RC125M // 1972

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HONDA RC125M // 1972

fatica a ridare inerzia alla moto, soprattutto se la moto era troppo pesante. Il forcellone, i mozzi delle ruote e in particolare le sospensioni furono oggetto di studio e sviluppo e con l’utilizzo di materiali nobili, e portati al limite di peso che però garantiva una massima affidabilità. Basta pensare che il forcellone pesava meno di 2 chilogrammi, per capire quanto studio e quanto lavoro fecero gli ingegneri. Analizzando il motore, la precisione assoluta dell’assemblaggio generale, con tolleranze ridotte al minimo possibile,

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la qualità dei materiali utilizzati, scelti tra i più leggeri e resistenti di quel tempo e tanti altri accorgimenti “factory” dimostra che il reparto corse Honda non avesse di certo problemi di budget economico da investire. Il motore pesava meno di 15 chilogrammi con una potenza erogata di 21 cv a 9.500 giri. Incastonato in un telaio ridotto ai minimi termini in quanto a peso, ma molto robusto e con una

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potenza tale, la prima Honda ufficiale da motocross risultò un’arma micidiale che permetteva ai piloti di guidare in maniera molto fluida e meno faticosa rispetto alle moto della concorrenza. Rispetto a una moto standard, alla bilancia mancavano all’appello oltre 25 chilogrammi e questo basta per capire quanto lavoro ci sia stato prima di arrivare a questo risultato da parte di un gruppo di giovani

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HONDA RC125M // 1972

ingegneri che avevano si un sogno, ma avevano anche bene impresse le parole di Soichiro Honda che chiese espressamente “deve essere la migliore moto al mondo”.

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HONDA RC250M // 1981


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DORIANO //Zacchilli’S COLUMNS Magoo! Forse il nickname più iconico di sempre nel mondo del motocross. Alzi la mano chi non ha mai sentito questo nome! Crediamo pochissimi sia tra le vecchie generazioni, sia tra i più giovani che amano “smanettare” oltre che in pista, anche sui social. Basta dire Magoo e subito la mente va al più spericolato, veloce, ardimentoso pilota che la scuola a stelle e strisce abbia partorito nel suo periodo più fulgido, quello a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Non ce ne vogliano le nuove generazioni di piloti ma gli Stati Uniti in quel periodo hanno sfornato una quantità immane di super campioni che non solo hanno fatto sognare gli spettatori di mezzo mondo, ma che hanno dato il via a uno stile di guida talmente innovativo che ha permesso ai suoi rappresentanti di dominare almeno trent’anni di competizioni. E tra questi rappresentanti Danny occupa sicuramente di diritto un posto particolare nel cuore degli appassionati. Intendiamoci, non ha vinto quanto nomi più blasonati come Bailey, Johnson, Glover, O’Mara o Hannah e nessuno vuole accostarlo a questi mitici piloti a livello palmares, ma col suo stile di guida “tutto aperto o niente”, i suoi salti arditissimi, le sue evoluzioni e perchè no, le sue spettacolari cadute, in ogni caso si è ritagliato un degnissimo posto nell’Olimpo del cross mondiale. Purtroppo il suo gettare il cuore oltre l’ostacolo, è stato anche il suo più grande limite. Limite culminato con il gravissimo incidente nel Supercross di Parigi Bercy che nel Dicembre del 1985, pose tragicamente fine alla sua carriera, rendendolo tetraplegico e segnandolo nel bene e soprattutto nel male, per il resto della sua breve vita. Gli

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DANNY “MAGOO” CHANDLER Il cavaliere del rischio


aneddoti che lo riguardano e che ancora vengono raccontati da chi lo ha conosciuto bene o da chi lo ha incontrato come avversario sulle piste, suonano sempre come a dire: “hey io c’ero quel giorno, io l’ho visto, io correvo con lui...” quasi a suggellare il fatto di aver assistito a qualcosa di incredibile o al limite dell’irreale. E di cose irreali Danny ne faceva ogni fine settimana, seminando il terrore nei suoi malcapitati avversari. Questo almeno fino a quando arrivò al professionismo, che impose al nostro eroe regole un po’ più rigide, ma fino ad un certo punto. Uno stile selvaggio e abbastanza al limite non solo nelle corse ma anche nella vita. Intendiamoci, il periodo in cui Danny compiva le sue imprese era quello degli anni ’70 e negli Stati Uniti una buona parte dei giovani dell’epoca, era tendenzialmente portata ad uno stile di vita un po’ fuori dalle righe. Insomma, moto da cross, highways, birra, rock & roll e belle ragazze. Non contava molto altro per questi giovani scavezzacolli californiani, soprattutto se con i guadagni delle corse, si aveva una certa disponibilità economica. Il buon Danny ad esempio non si preoccupava troppo dell’integrità dei mezzi di locomozione che poteva permettersi grazie ai contratti da pilota professionista. Distrusse una Porsche 928 e grazie a questo fu subito soprannominato “Porsche Destroyer”. Anche il suo vitaminizzato pick up fece una brutta fine e a suggellare questa sua, diciamo tendenza, quasi a compiacersene, si fece stampare sul retro dei pantaloni la scritta “Road Hog”, che in italiano suona come pirata della strada. Scritta che però entrò nella leggenda grazie ad una incredibile foto che lo immortalava all’uscita della mitica Gravity Cavity di Unadilla, impegnato in uno dei suoi salti più spettacolari. Ma andiamo con ordine; Magoo è nato il 5 Ottobre del 1959 a Foresthill, nei boschi del North California. I suoi genitori appena sposati, si mossero dalle pianure del Kansas per cercare migliori condizioni di vita nel Golden State. Secondo di tre figli, due femmine e un maschio, vide l’origine del suo popolare soprannome non come molti potrebbero pensare,

dal famoso cartone animato ma dall’espressione usata da suo padre, che al momento della nascità del figliolo esclamò: ”mi sembra un Magoo” più attirato dal suono del nome che dal protagonista cieco del fumetto. Avrebbe potuto dire: “mi sembra un Batman” tanto per capirci... e da allora fu universamente Magoo. Dare un soprannone a tutti i membri della famiglia era un vezzo dei Chandler. Big Dan il papà, Big Red la

mamma, Little Red la sorella maggiore e Blackie la sorella minore che, detto per inciso, sulle minimoto era più veloce del fratellino. Come tanti ragazzini Danny cominciò in tenera età a muovere i primi passi nel motocross, spalleggiato dal papà che nel frattempo aveva intrapreso la carriera di meccanico. Dalle prime gare nella categoria mini a cavallo di una Steens con

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DANNY “MAGOO” CHANDLER // Il cavaliere del rischio

un motore da motosega Mc Culloch senza marce, passò presto ad un vetusto CZ e a tal proposito ancora oggi molti si ricordano il buon Dan che lo aiutava a partire mettendogli una cassa del latte sotto i piedi per non fargli perdere l’equilibrio, vista l’esigua statura. Diventò abbastanza presto un idolo degli spettatori della sua zona, in quanto già da adoloscente il suo stile irruente e spettacolare calamitava l’attenzione degli appassionati, che si posizionavano in prossimità delle asperità più spettacolari del tracciato per incitarlo. E lui non si faceva certo pregare per accontentarli, producendosi in personali evoluzioni che, a detta di molti, furono all’origine del freestyle MX. Nel 1975 ci fu il primo contatto di rilievo con il concessionario Dirt Factory che gli mise a disposizione un KTM 125. Le cose cominciarono a diventare importanti quando Danny entrò a far parte della scuderia che faceva capo al negozio della famiglia Da Prato, il famoso Woodland Sports Center, concessionario Penton/KTM. I Da Prato conoscevano già Danny e anzi, lo avevano aiutato a modificare le sospensioni del CZ proprio per facilitargli le partenze. Big Dan chiese a Bill Da Prato se avessero potuto trovargli un KTM 250. Bill da ex pilota KTM e quindi conoscitore dell’ambiente riuscì nell’intento di ottenere una moto dagli austriaci. Alla fine del 1977 dopo anni di allenamenti e gare insieme agli altri ragazzi della scuderia, anni che contribuirono a scolpire il fisico di Danny, il negozio dei Da Prato cessò l’attività e Billy andò a lavorare come meccanico per il concessionario Maico Pro-Track. Grazie alla segnalazione di Billy, Danny fu contattato da Jim Moore, il titolare, che stava cercando un pilota a cui

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affidare un Maico 250. Danny non deluse le aspettative e nel 1978 vinse il popolare torneo californiano denominato Golden State Series. Dopo questa vittoria, Maico e KTM USA gli fecero un’offerta e Danny scelse la compagnia tedesca, firmando un contratto di due anni (1979 e 1980) e diventandone pilota ufficiale per gli Stati Uniti. Le cose con Maico purtroppo non andarono nel modo giusto. Le prime gare Danny le disputò con la moto di serie, migliorata notevolmente dal suo meccanico e amico Bill e senza le parti ufficiali previste dal contratto. Si arrivò alla rottura tra i due amici a livello professionale, quando ormai era palese che Maico, oltre a non mantenere le promesse, intendeva appropriarsi delle soluzioni studiate in proprio da Bill. Danny fu titubante nel rescindere il contratto, in quanto ancora giovane e intimorito dal fatto di veder interrompere la sua carriera, ma un mese dopo, come previsto dal suo amico, fu appiedato dalla factory tedesca. La vera svolta della carriera arrivò nel 1981 quando, dopo essere stato ingaggiato dal Team LOP, Danny si cimentò nella classe 500 a cavallo di una Honda e si aggiudicò tutte le gare a supporto della famosissima serie internazionale denominata Trans AMA. Fino a quel momento aveva la reputazione di essere un bravo ma sconsiderato motocrossista professionista. Il nome Magoo era sinonimo di orrendi crash misti a fantastiche esibizioni di spettacolo. Era quasi imbattibile a livello locale, ma le sue performance erano state semplicemente troppo irregolari per guadagnarsi il totale rispetto sulla scena nazionale. Questo appunto fino al 1981, perchè la sua serie di vittorie nella Trans AMA gli permise di ottenere un


contratto da pilota ufficiale del Team Honda USA per l’anno successivo. Sicuramente il team migliore per quello che sarà il suo magico 1982. Danny pur non essendo un gigante, era fisicamente un vero e proprio torello. I muscoli delle braccia e delle gambe erano impressionanti e grazie a questa sua struttura, si trovava particolarmente a suo agio nel domare i mostri a due tempi da 500 cc. Come già detto il 1982 fu il suo anno perfetto. Vinse il GP degli Stati Uniti a Carlsbad in California, una prova del National a Red Bud nel Michigan e soprattutto fu convocato dalla federazione statunitense per partecipare agli eventi a squadre più importanti del mondo e cioè il Trofeo delle Nazioni a Gaildorf in Germania per la classe 250 e il Motocross delle Nazioni per la classe 500 la settimana succes-

siva a Wohlen in Svizzera. All’epoca le cilindrate erano divise e si correva in squadre da quattro componenti. Due manche per ogni singola manifestazione. Danny, unico e mai eguagliato, vinse tutte e quattro le manche a cui partecipò, entrando a pieno diritto nella storia di questo sport. Chi scrive ebbe la fortuna di assistere alla gara di Wohlen e vi possiamo assicurare che fino ad allora, mai avevamo visto un pilota essere così spudoratamente più veloce dei suoi avversari. Sempre nell’anno di grazia 1982, vinse la famosa gara Superbikers a Carlsbad, battendo con un rocambolesco sorpasso all’esterno sul tratto in asfalto lo specialista Steve Wise. La gara a differenza di quanto siamo abituati a vedere adesso in Europa, prevedeva tratti sterrati in salita e ripide discese mentre non vi era traccia di salti o asperità artificiali, favorendo quindi la partecipazione anche degli specialisti dell’asfalto come ad esempio Eddie Lawson. La gara fu trasmessa in diretta dalle rete televisiva ABC e contribuì quindi ad accrescere la fama di Danny a livello nazionale. A Dicembre del 1982, sulla scia del clamore suscitato dalla doppia vittoria nei trofei a squadre, fu ingaggiato per prendere parte al Superbowl di Genova, da un paio d’anni appuntamento fisso di fine anno del nostro calendario. A questo punto si deve aprire un capitolo a parte. Gli appassionati italiani avevano già imparato a conoscerlo grazie alle riviste del settore che riportava i suoi primi successi oltreoceano. All’epoca ovviamente internet era solo un esperimento in mano ai militari. Danny si presentò al palasport della fiera con forcelle, sospensione posteriore e marmitta personali, mentre la moto gli fu fornita dalla Special Cross di Asti, come era d’uso allora e durante le prove libere del sabato, non aperte al pubblico, gli addetti ai lavori cominciarono a rendersi conto di chi fosse veramente questo ragazzo californiano. La pista presentava due salti niente affatto ravvicinati per i canoni dell’epoca e qualcuno che conosceva il soggetto, si sbilanciò nel dire che Danny avrebbe provato il “doppio”. Chiaramente fu abbastanza deriso per questa sua considerazione, fino a quando Magoo appena entrato in pista, col motore in fuori giri, non solo fece il doppio salto, ma lasciò anche i piedi dalle pedane e, fu subito delirio. Delirio che continuò nelle due serate di gare. Il pubblico impazzì per il funambolo americano, che divise la posta in palio con il compianto, e grande amico per la 105


DANNY “MAGOO” CHANDLER // Il cavaliere del rischio vita, Georges Jobè. L’anno seguente vide Danny ugualmente protagonista in patria, vinse tre gare del National 500 lottando fino alla fine con piloti del calibro di Broc Glover e Darrell Shultz, pluricampioni nazionali e fece un’altra ottima figura nel GP degli Stati Uniti pur senza vincerlo. In quel periodo in America il campionato indoor aveva ovviamente un’importanza massima e il nostro eroe vi partecipò con alterne fortune, in quanto il suo stile aggressivo mal si adattava alle dimensioni ridotte ed alla complessità dei tracciati supercross. Danny era più portato per i tracciati tradizionali, pieni di saltoni come il famoso Magoo Double o discese impressionanti come la Banzay Hill di Saddleback, dove poteva dare sfogo a tutta la sua aggressività e audacia. L’unico risultato di rilievo nel SX lo ottenne all’interno dello storico stadio Rose Bowl di Pasadena, dove si classificò al terzo posto finale nell’edizione del 1983. Risultato che comunque passò alla storia per le sue evoluzioni nel salto d’arrivo che furono immortalate in famosissime fotografie. Del resto una sua caratteristiche, mantenuta fino all’ultimo, era quella di deliziare gli spettatori inventandosi i primi doppi salti in situazioni apparentemente impossibili ma che per lui erano la norma. Chiaramente questa attitudine era un richiamo irresistibile per il pubblico, dibattuto fra il richiamo della probabile imminente caduta spettacolare e l’audacia dei suoi tentativi. La sua facilità nell’andare così forte ed essere nel contempo così spettacolare, gli attirò non poche antipatie da parte dei suoi titolati e famosi compagni di team, che nonostante le apparenze nutrivano una notevole invidia verso lo spericolato “red head”, e non erano neanche pochi gli avversari che lo giudicavano pericoloso. Situazione che fece soffrire parecchio Danny nel suo periodo in American Honda e che lo portò a momenti di vera depressione. 106

A fine 1983 sulla scia dei successi dell’anno precedente, tornò in Italia per disputare il Superbowl di Genova e il Motor Show di Bologna, ma Danny non era più lo stesso e collezionò solo grandi cadute. Nell’inverno del 1983, durante una seduta di allenamento in preparazione all’imminente annata agonistica, cadde pesantemente e fu ritrovato svenuto vicino alla sua moto. A seguito di questo grosso incidente, i suoi risultati ne risentirono molto, rimase sordo da un orecchio e oltre al divieto di partecipare ai Supercross da parte del boss Honda Roger De Coster, venne candidamente messo alla porta a fine stagione. Si ritrovò quindi senza contratto e con poche prospettive di essere ingaggiato da un altro team ufficiale. Ma come? Quel fantastico e un po’ pazzo pilota che per protesta contro la federazione che lo aveva ingiustam e n t e squalificato, tagliò il traguardo nella gara successiva alla squalifica a Unadilla girato al contrario sulla sua moto e che durante i festeggiamenti per la vittoria, con lo champagne inondò tutti i documenti all’interno della direzione gara, era rimasto a piedi? Incredibile ma vero. Fortunatamente nell’inverno arrivò una chiamata dalla Kawasaki UK che gli proponeva di partecipare al campionato mondiale della classe 500, a fianco del titolato Georges Jobè. Danny prese la palla al balzo, si trasferì in Europa con la moglie Tracy al seguito, e adottò la licenza irlandese. Ma durante le prime gare della stagione gli fu comunicato che la sua moto non avrebbe avuto le specifiche ufficiali, e che il suo compito sarebbe stato quello di spalleggiare il pilota di riferimento del team e cioè il suo amico Jobè. Danny non accettò la cosa e declinò l’offerta, ma chiusa una porta si aprì il portone KTM che lo ingaggiò immediatamente. L’annata non andò male ma fu costellata da infortuni e incidenti. Il culmine


Danny lo raggiunse con la vittoria assoluta nel secondo gran premio della stagione in Francia. Era chiaramente un pretendente al titolo, nonostante le sue menomazioni fisiche e una moto non certo paragonabile ai missili ufficiali Honda dei grandissimi Thorpe e Malherbe. Chiuse comunque il campionato del mondo al settimo posto, nonostante avesse saltato per infortunio parecchie gare ed in altre non era in condizioni tali da poter ben figurare, come ad esempio nel gran premio di casa a Carlsbad. Vorremmo comunque aprire il capitolo Montevarchi, sede del prestigioso gran premio d’Italia che si disputava come tradizione per il nostro paese, nel mese di Giugno. Al sabato pomeriggio, dopo la sessione di prove ufficiali era prevista un ulteriore sessione di prove libere. Per i più giovani, ricordiamo che in quel periodo il circuito presentava un lungo rettilineo che immetteva sul piazzale di partenza, intervallato da due grossi salti. Danny andò in fissa per provare a saltarli in un’unica soluzione. Il classico doppio, solo che di doppio salto non aveva proprio niente data la distanza tra i due dossi. Ma Danny era sicuro di farcela e lo confidò ai suoi colleghi Malherbe e Thorpe. Provò almeno cinque volte e al primo tentativo ci andò molto vicino. Alla fine gli fu intimato di rientrare ai box dai suoi disperati meccanici che non sapevano più come fermarlo, ma a suggello dell’incredibile tentativo va detto che tutti, ma proprio tutti i suoi blasonati avversari, si fermarono a guardare Danny impegnato nella sua impresa ai limiti dell’ impossibile. La domenica nella prima manche fu protagonista di una infelice partenza e durante la velocissima rimonta fece addirittuta un testacoda di 360°. Durante la risalita verso le posizioni di vertice, il link della sospensione posteriore

pensò bene di rompersi all’imbocco dell’ultimo discesone, causando l’ennesima disastrosa caduta e lasciando il suo amico Brad Lackey attonito in cabina di commento. Danny si risvegliò in ospedale a Montevarchi fortunatamente “solo” con una lussazione alla spalla e molti tagli sulla faccia. La fortuna andrebbe anche aiutata ma Danny era sicuramente in debito con essa. All’epoca nelle Marche era molto in auge un torneo internazionale che tutti ricorderanno, ovvero la Coppa 1000 $ che prevedeva tre gare: San Severino, Apiro e il gran finale il 15 Agosto a Esanatoglia. Nell’edizione del 1985 Danny fu ingaggiato per le prime due gare ed ebbe modo di raggiungere il suo grande amico Donnie Cantaloupi, anche lui in Europa sotto contratto Husky Italia per correre il mondiale 250. Il debutto avrebbe dovuto essere a San Severino ma il nostro, sempre per le conseguenze della caduta di Montevarchi, dovette rinunciare alla gara pur essendo presente in circuito. I rum o u r s dell’epoca riportano che al momento di arrivare in paese, scese dalla macchina nella piazza principale completamente nudo, si era ai primi di Luglio, e allo strabuzzare di occhi dei presenti, candidamente si infilò un paio di shorts... un “classic Magoo”. L’appuntamento seguente del torneo prevedeva la tappa ai Piani di Apiro. Danny era ancora sofferente al punto che i meccanici dovevano aiutarlo a indossare la pettorina e addirittura non si qualificò per la gara lasciando profondamente delusi i tanti appassionati marchigiani. Si rese comunque protagonista, a suo modo, di un gustoso episodio durante le visite mediche del sabato, quando calò letteralmente i pantaloncini a Michele Rinadi che diventò rosso come un peperone. Insomma, il nostro eroe era l’incor-

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DANNY “MAGOO” CHANDLER // Il cavaliere del rischio

reggibile burlone di sempre. Finita la stagione mondiale, Danny fu ingaggiato dal Team Kawasaki Italia gestito dal compianto Nazareno Cinti che grazie anche agli sponsor, gli garantì un ottimo ingaggio, si parlò di 400.000 $, per affrontare il mondiale 500 del 1986. Danny si sarebbe trasferito in Italia da fresco papà, vista la nascita della primogenita Keylight. La prima gara con i nuovi colori fu al Genova Superbowl dove però l’avversione ai tracciati indoor si manifestò in tutta la sua evidenza, con parecchie cadute che lo esclusero da posizioni di rilievo. Si arrivò quindi al prestigioso appuntamento con il supercross di Parigi Bercy. Danny era tra gli iscritti, insieme al gotha del motocross mondiale. L’inizio della fine. Sul salto del traguardo voleva prodursi nel suo solito show con moto di traverso e mano via dal manubrio ma il tentativo fallì e Danny cadde rovinosamente addosso ad un cameraman fratturandosi la vertebra C-5. Le urla che risuonarono all’interno del palasport non la-

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sciavano presagire niente di buono e infatti Danny ne uscì, dopo giorni di ricovero in un ospedale parigino solo e abbandonato da tutti, tetraplegico. Una notizia devastante per i tanti appassionati che lo avevano ammirato negli anni e che ormai lo consideravano un vero e proprio mito. A nostro parere la perseveranza di farlo gareggiare nelle gare indoor fu una scelta assolutamente sbagliata sia per la sua attitudine, sia per le sue caratteristiche tecniche, come giustamente De Coster aveva intuito, ma probabilmente gli ingaggi erano così buoni che si sorvolò su queste sacrosante considerazioni. Tenendo comunque conto che il motocross è in ogni situazione uno sport pericoloso, visto anche l’incidente occorso un anno dopo a David Bailey, un pilota che come carattere e stile, era all’opposto di Danny. Decisamente un periodo maledetto per il motocross. Tornato in America, Danny dovette affrontare tre mesi di ricovero ospedaliero e sostenere spese mediche per 200.000 $ in


quanto non era coperto da assicurazione personale. Spese che dato il periodo erano veramente una cifra enorme, in parte mitigata dai fondi raccolti durante una gara organizzata in suo onore ad Hangtown che vide al via tutti i più grandi piloti statunitensi. Da questo terribile incidente Danny cominciò la sua nuova vita, forse la più significativa e formativa. Da una grossa tragedia si può uscire in due modi: o soccombendone o ripartendone con più forza interiore e con una diversa consapevolezza. Danny provò sulla sua pelle tutti gli aspetti legati a queste considerazioni. Visse le fasi più cupe della sua esistenza cercando in tutti i modi di farla finita e abusando di ogni vizio. Nel giro di poco tempo si separò da Tracy e perse per gravi malattie entrambi i suoi genitori. Le difficoltà economiche attanagliarono sempre più la sua esistenza e passò periodi della sua vita in condizioni veramente miserevoli. Solo gli amici più stretti erano quelli che in qualche modo riuscirono a fargli sentire la loro presenza anche a dispetto delle enormi distanze tipiche degli Stati Uniti. Ci fu ad esempio chi gli spediva dal Michigan carne di cervo e lui condidamente ringraziava evidenziando però il fatto di come non avesse nessuno che gliela potesse cucinare... cose che fanno ancora male ricordare. A parziale ma prestigiosa consolazione nel 1999 fu giustamente inserito da AMA nella prestigiosissima Hall of Fame, così come succede a tutti i più grandi campioni statunitensi. Poi, come in tutte le belle storie che ogni tanto la vita offre, la rinascita sotto forma della fondazione da lui creata insieme ad un paio di amici, per sensibilizzare i giovani sulla cultura della sicurezza nello sport del motocross e soprattutto per sensibilizzare i giovani sulla necessità di dotarsi di una assicurazione sanitaria personale perchè, vista la sua esperienza, non si poteva certo pensare di sopravvivere grazie alle sole donazioni nell’eventualità di gravi incidenti. Danny andava nelle scuole, organizzava incontri con i ragazzini, insegnava i rudimenti della guida. Questa attività gli creò nuovi stimoli per affrontare finalmente con positività, la sua condizione fisica che, 109


DANNY “MAGOO” CHANDLER // Il cavaliere del rischio purtroppo, stava a poco a poco peggiorando. In Europa era rimasto nel cuore degli appassionati e l’ultima occasione di rivederlo fu grazie al promoter del campionato mondiale che lo invitò in occasione del Trofeo delle Nazioni a Franciacorta nel 2009, trattandolo con tutti gli onori. Il buon Danny, come testimoniarono in molti che ebbero la fortuna di incontrarlo per una foto o per uno stentato autografo, non era affatto in buone condizioni, magrissimo e con lo sguardo spento, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che da li a qualche mese e più precisamente il 4 Maggio 2010, ci avrebbe lasciato a soli 51 anni per una maledetta e banale infezione alle vie urinarie, visto che il povero ragazzo non poteva permettersi di sostituire il catetere tutti i giorni, a causa delle persistenti difficoltà economiche. Sono cose terribili ma vanno dette per tributargli il giusto merito. Uno sportivo che non ha mai dato meno del

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100% non meritava assolutamente una fine simile. Resta il rammarico nel pensare che se solo i social fossero stati rilevanti all’epoca come lo sono adesso nelle nostre vite, sicuramente il mondo del motocross avrebbe fatto di tutto per allievare le sue difficoltà. Difficoltà accentuate dal fatto che lui, da buon boscaiolo, era assolutamente riluttante nel chiedere qualsiasi forma di sostegno. Danny se ne andò proprio quando il suo caro amico Lackey era riuscito a raccogliere abbastanza fondi per acquistare un furgone attrezzato con cui avrebbe potuto muoversi più agevolmente per portare avanti le sue iniziative, ma tant’è. Oggi Danny riposa nel piccolo cimitero di montagna di Michigan Bluff. In mezzo ai suoi boschi che tanto avevano contribuito a forgiare il suo carattere. Riposa in pace piccolo grande Magoo. P.S. Per chi ne volesse ripercorrere le gesta è possibile trovare su Youtube il documentario Wild Magoo. Si ringraziano Jeff Frank, Billy Da Prato e Jimmy “The Jammer” Robertson per la preziosa collaborazione.

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PREPARAZIONE Fisica Il COACH Roberto //Manzaroli FULL GAS Motorsports Personal Trainer Frequentando i campi di gara del motorsport da tanti anni, leggendo le riviste del settore e seguendo i social ho riscontrato come negli ultimi anni si noti a fianco dei piloti la crescente presenza di allenatori, preparatori fisici, tecnici, trainer e ….maghi. Tutti siamo pienamente consapevoli di quanto sia alto l’impegno che un pilota deve affrontare nell’arco di una stagione e le variabili che ne condizionano i risultati; le gare, gli allenamenti in pista e in palestra, le uscite in bici, le trasferte, gli infortuni... un vasto insieme di fattori che ha contribuito a ritenere estremamente necessaria una figura di riferimento in grado di prepararlo, gestirlo e supportarlo per consentirgli di sfruttare al meglio tutto il suo potenziale fisico, mentale, tecnico e tattico. All’analisi di queste considerazioni e focalizzandomi sul mio specifico ruolo di preparatore fisico noto con piacere una sempre maggiore attenzione al tema dell’allenamento, una bella conferma ed un segnale molto positivo di come esso venga finalmente più recepito e compreso nella cultura sportiva dai piloti ma che purtroppo mette in evidenza anche un lato della realtà distorto dovuto al proliferare di una moltitudine di programmi, di video e tabelle di allenamento dalle formule magiche e miracolose capaci di promettere e fare diventare in breve tempo chiunque un campione con la conseguenza purtroppo di mettere l’atleta nella condizione di rendere inefficace la

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gestione del proprio allenamento nella sua personale improvvisazione e scarsa conoscenza della materia. Di fronte a questa realtà mi sento di consigliare il pilota e il genitore di un giovane sportivo di riflettere e valutare attentamente questi programmi (pubblicati magari da un semplice appassionato o da chi non ha le dovute competenze), essi non possono e non devono assolutamente essere la strada scelta per il miglioramento personale; al contrario di quanto molti pensano vi posso confermare che creare un programma d’allenamento personalizzato non è affatto semplice da realizzare... ci si trova di fronte ad un’operazione complessa e delicata ove tantissime sono le variabili ed i parametri da considerare (stato di salute attuale, forma raggiunta, componente mentale, adattamento fisiologico ai carichi di lavoro, recupero nei periodi di scarico, gestione degli infortuni, livello tecnico, ecc) un insieme di fattori ed elementi da gestire, valutare e da verificare con estrema attenzione in quanto nulla è improvvisato. Ogni atleta è un entità singola ed unica, esso ha esigenze, necessità, tempi di sviluppo diversi l’uno dall’altro e pertanto è molto semplice affermare che seguire programmi standardizzati condizionerà negativamente il percorso formativo di crescita e di miglioramento di qualsiasi pilota. COMPETENZE e FORMAZIONE del PREPARATORE FISICO Il background di chi svolge professionalmente questo ruolo prevede una formazione universitaria (laurea in Scienze Motorie ex ISEF) di tipo interdisciplinare ed in continuo aggiornamento passando attraverso la fisiologia sportiva, l’anatomia funzionale, la psicologia, la medicina dello sport, la metodologia dell’allenamento, la biomeccanica del movimento, la

nutrizione, ecc.... un vasto insieme di conoscenze che unite alle esperienze vissute gli consentiranno (sulla base delle esigenze fisiologiche e psicologiche del singolo atleta) di sviluppare e programmare allenamenti finalizzati a migliorare le capacità e le qualità di prestazione. L’attività pratica del preparatore si svolge in diverse fasi: -Intervista iniziale - Anamnesi Essa è il primo strumento utile nelle mani del preparatore atto a costruire un programma personalizzato, si cerca di conoscere in maniera sufficientemente approfondita l’atleta in tutti i suoi lati, lo stile di vita, lo stato di salute, la storia medica e sportiva, il modo in cui si alimenta, come si è allenato, i risultati che vorrebbe ottenere, le problematiche riscontrate in gara, il tempo che ha a disposizione per l’allenamento ed individuare i possibili traguardi raggiungibili senza creare false aspettative. -La valutazione Antropometrica/ Funzionale Pressoché in maniera contestuale viene svolta la valutazione antropometrica/funzionale dell’atleta con la somministrazione dei test di efficienza fisica allo scopo di avere il maggiore numero di informazioni sui livelli di funzionalità corporea attuali; l’insieme dei dati ottenuti andranno periodicamente verificati nelle varie fasi della stagione e confrontati durante l’evolversi della programmazione. -L’elaborazione e l’esecuzione di un programma di allenamento personalizzato Integrando tra loro le considerazioni precedentemente rilevate e il risultato dei test si svilupperà un piano di allenamento con esercitazioni e suggerimenti adatti alle esigenze dell’atleta; la programmazione a breve, medio e lun-

go termine del lavoro prevederà anche la modifica calibrata degli esercizi, dei tempi di recupero, dei carichi di lavoro e delle intensità di esecuzione adattandole sulla base degli impegni sportivi ed ai risultati ottenuti rilevati nei test specifici periodici. QUALITA’ RICHIESTE al PREPARATORE Come in tutte le professioni egli deve possedere determinati requisiti e caratteristiche: - Una buona cultura generale ed una adeguata capacità professionale in merito alle conoscenze specifiche della disciplina sportiva che si sta praticando. -Essere disponibile ad ascoltare e soprattutto essere in grado di dare risposte adeguate in ogni situazione a lui pertinente. -Buona abilità nel saper gestire e comprendere le individuali esigenze e necessità dei suoi atleti nei momenti difficili dell’attività agonistica in presenza di situazioni di stress e di tensione. -Avere la capacità di leggere le carenze dei propri atleti e applicare dei programmi correttivi intervenendo adeguatamente. -Prepara i piloti attraverso esercitazioni costanti, periodiche e differenziate, finalizzate all’ottenimento del miglior risultato possibile in relazione alle capacità dei singoli. -Deve gestire la programmazione giornaliera dell’allenamento in maniera pratica, efficace e razionale utilizzando bene il tempo a disposizione modulando la qualità e la quantità delle esercitazioni proposte. -È fondamentale che analizzi con la massima obiettività le prestazioni fornite dai suoi piloti mantenendo sempre il contatto con la realtà dei fatti e con la lucidità necessaria per esaminare i problemi e ricercare la soluzione. -Da parte del preparatore è opportuno fare con l’atleta un lavo113


ro sulla consapevolezza sia prima della gara (per sapere cosa potrebbe preoccuparlo e di cosa è sicuro facendo leva sui suoi punti di forza) sia a gara terminata (chiedendogli come si sente e come si è sentito durante la competizione). -Esso sarà anche un amico, l’uomo di fiducia, la spalla su cui piangere quando le cose non vanno bene e a volte anche la linea di comunicazione tra atleta e genitori. -Ha a che fare con piloti dai caratteri e dalle personalità diverse, si trova a contatto con situazioni ed esigenze differenti da gestire che gli impediscono di adottare il medesimo comportamento con tutti nello stesso modo. -Ha una grande importanza nello sviluppare le giuste motivazioni graduando le prove con le quali l’atleta deve cimentarsi, dovrà trovare occasioni valide per metterlo alla prova monitorando i progressi e insegnandogli a trarre utili lezioni dagli insuccessi. -E’ importante sottolineare i comportamenti positivi del pilota con la propria approvazione valorizzando ogni suo progresso per aumentare l’autostima e la consapevolezza nelle sue capacità. -Deve conoscere le abilità dei propri atleti e elaborare un programma di preparazione che si basi su obiettivi concreti e reali, fissare obiettivi raggiungibili progressivamente in maniera tale da aumentarne l’autoefficacia e la motivazione nella consapevolezza del suo potenziale. -L’allenatore dovrebbe conoscere le proprie personali potenzialità, il suo valore, i suoi punti di forza e di debolezza, dare feedback adeguati, spiegare le sedute di allenamento ed essere soprattutto disposto ad ammettere, qualora i risultati ottenuti non siano stati all’altezza delle aspettative anche di avere fatto degli errori pretendendo troppo dall’atleta sottovalutando determinati fattori. 114

-Un bravo allenatore dovrebbe arrivare all’allenamento puntuale, essere da esempio positivo ed educare entusiasta del suo ruolo, trasmettere sicurezza, infondere fiducia e soprattutto il desiderio di migliorare; dovrebbe essere munito di enorme pazienza, deve sapere incoraggiare, rinforzare i comportamenti positivi e sottolineare quelli negativi; gli atleti dovranno sapere se stanno facendo qualcosa di giusto o sbagliato ...come potrebbe un pilota avere fiducia nel suo coach se sa che non gli sta dicendo la verità? Siete certi che tutto ciò che fate è corretto ? Siete sicuri che il vostro allenatore approvi sempre il vostro operato ? …o lo fa solo per garantirsi il vostro apprezzamento perché la strada più semplice per Lui è quella di non contraddirvi ? Dubitate di chi vi dirà sempre bravo …. la crescita sportiva ed il miglioramento arrivano con gli errori e con i NO …. probabilmente vi arrabbierete con chi cercherà di correggervi, con chi vi criticherà, con chi vi chiede il massimo impegno anche quando siete al limite o in una giornata difficile…ma chi vi segue deve prendere le sue responsabilità e sapere costruire giorno dopo giorno la strada per il vostro miglioramento sportivo, per vedervi felici dopo avere ottenuto prestazioni in pista degne di nota …..è bello e gratificante sentirsi dire a fine gara che ancora ne avevi ed hai gestito e non vedervi concludere con la lingua che penzola fuori dal casco privi di energie. La SCELTA del PREPARATORE FISICO Nella carriera di un qualsiasi pilota proprio come accade quando cambia Team o moto c’è anche un momento per scegliere il preparatore o decidere di lavorarci per la prima volta, è una decisione importante e fondamentale da prendere sapendo che gli affiderete il vostro fisico ed il vostro massimo

impegno, assicuratevi che siano persone competenti e preparate, che hanno dedicato anni di studio alla materia ed hanno le capacità e le conoscenze necessarie, considerate tecnici che abbiano esperienze professionali vissute a fianco di altri piloti e che si aggiornano costantemente ma soprattutto affidatevi a persone che hanno la grande motivazione di mettersi con voi in gioco e che accettano la sfida della competizione decidendo di stare al vostro fianco ...al contrario cercate da evitare coloro che improvvisano tale professione, magari solo perchè in possesso di un semplice attestato di partecipazione a qualche stage da personal trainer (figura oggi molto in voga) della durata di qualche giorno e che ambiscono magari solo ad arricchire le loro entrate economiche e la bacheca dei selfie.... sarebbe proprio come farsi operare da un chirurgo che non ha studiato e sinceramente non credo lo fareste.....sapere parlare è facile ma ottenere dei risultati non è così scontato e niente arriva per caso. Un programma serio ed efficace si basa su approfondite ricerche e studi di varie metodologie scientificamente testate e valutate sul campo, si attinge il sapere incrociando dati di altre discipline, di conoscere il perché…il come e quando applicarle è compito riservato a coloro che hanno le conoscenze adeguate e la curiosità di andare oltre. Anche lo stretto confronto con i colleghi può e deve essere un valido motivo per mettersi in discussione e valutare le proprie conoscenze mantenendo sempre la necessaria umiltà ma anche di sapere bene riconoscere il proprio valore con la giusta ambizione al fine di migliorarsi. Ogni preparatore ha un proprio percorso maturato nel tempo, in pista ed in palestra che gli ha dato l’opportunità di costruirsi un’esperienza dalla quale deriva


la propria professionalità e competenza, è un impegno continuo assolutamente necessario per essere in costante progresso, di avere la voglia di apprendere ed essere consapevole del fatto che c’è sempre qualcosa da imparare da ogni persona e da ogni situazione. Ho visto molti colleghi che vanno e che vengono, che cambiano pilota, che si prendono dei periodi di riflessione e che smettono...è accaduto anche a me... purtroppo è difficile staccare quando hai ancora il fuoco e la passione dentro o come dice un mio caro amico quando si è imbenzinati.

Anche a me arriverà il giorno in cui non avrò più voglia di studiare, di migliorare le mie conoscenze e di confrontarmi con gli altri non avendo più la giusta motivazione, sarà il giorno che lascerò, sereno e certo della scelta fatta con la piena consapevolezza di avere dato sempre il massimo dal lato sportivo, professionale ed umano nel rispetto di quell’etica e di quei valori che la vita insegna. Nelle mie giornate sui campi di gara osservo e vedo piloti, ragazzini o anche professionisti, carichi e pompati, che fanno riscaldamento sulla cyclette prima di una gara senza sapere il perché, con

quali frequenze cardiache, con che tempi ed intensità … il tentativo di immaginare quale programmazione improvvisata abbia seguito è vana e svanisce solo dopo avere osservato il loro sguardo sconsolato ed il colore del viso a gara terminata per poterne solo constatare la scarsa preparazione e l’errato approccio. Sempre più spesso vengo contattato da piloti che mi chiedono perché dopo mesi e mesi di allenamento si sentono stanchi solo dopo pochi minuti di gara o non riescono ad essere sciolti e veloci…la risposta è sufficientemente chiara nel sapere quali titoli di studio e competenze ha colui che lo segue …non ci si può poi sorprendere se i risultati non sono soddisfacenti…non mi meraviglia sapere di test ematici eseguiti senza comprensione di causa e senza nessuna abilitazione solo perché visti fare su qualche canale social, ingurgitare litri di integratori investendo un capitale convinti di rendere al massimo senza sapere cosa contengono e soprattutto perchè ….. NO, questo non potrà e non è la soluzione alle mancate ore di allenamento o la facile scusa per coprire le carenze fisiologiche dovute a improvvisate metodologie di allenamento che qualcuno vi ha convinto a seguire….sono tantissimi gli esempi che potrei raccontarvi e purtroppo tanti piloti si rendono conto degli errori e delle scelte fatte solo a stagione conclusa o a carriera finita. Nessuno ha inventato niente di speciale e magico, vanno solo seguite ed applicate delle regole basilari…sta a voi scegliere…sta a voi decidere se migliorare oppure fare finta…la pista prima ed il tempo poi darà sempre la giusta risposta…buon allenamento. Prof. Roberto MANZAROLI FULL GAS Motorsports Personal Trainer

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L’uomo “senza sella” Marco Fontana; una carriera da vero top biker con la medaglia di bronzo olimpica messa al collo nel 2012, nella MTB XC. Un’esposizione “social” da influencer e una nuova carriera nella e-bike. Intervista: Enzo Tempestini foto: RED BULL Content POOL

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L’UOMO “SENZA SELLA”

X’L Una carriera e una vita dedicata al mondo delle MTB fin dall’età giovanile. Come “nasce” il Fontana biker M.F. Ancora prima della bici, la mia prima passione è stata la moto. Ho avuto il primo motorino all’età di tre anni, un Italjet di colore giallo che, a dire il vero, nei miei sogni di bambino era un “Suzuki” poi, come tutti, ho preso in mano il primo giocattolo e cioè la bici, e all’età di nove/dieci anni ho iniziato con le gare su strada ma non mi sono piaciute. L’asfalto era noioso, io seguivo le gare di motocross sulle riviste, mi piacevano i salti, le curve, le staccate e allora sono passato prima al ciclo cross e poi alla mountain bike. X’L Fatta la “gavetta” tra i giovani a suon di successi e con tanti sacrifici, arriva la convocazione alle olimpiadi del 2008. Sensazioni e emozioni M.F. Ho iniziato a correre seriamente…o meglio, ho iniziato a correre in fuoristrada nella categoria juniores dove ho vinto il titolo italiano nel 2002 poi ci sono stati degli “alti e bassi” soprattutto nel periodo “under 23” quando ero anche universitario a Milano e stu-

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diavo, frequentavo amici, si faceva qualche “casino” ovviamente, e di conseguenza non sono stato molto costante. Poi, dopo due anni che ero andato via di casa e mi sono impegnato in maniera diversa, la prima convocazione olimpica è arrivata per “Pechino 2008” dove ho centrato il quinto posto, poi quattro anni dopo l’indimenticabile “Londra 2012” che mi ha consacrato e l’ultima chiamata per “Rio 2016”. La prima convocazione è stata un’emozione clamorosa, indescrivibile. X’L La gara: difficile, anzi, impossibile, dimenticare l’ultimo giro quando hai “perso” la sella della bici ma sei riuscito comunque a mantenere la terza posizione. Un ricordo di quel momento M.F. Sicuramente è impossibile dimenticare quel giro ma il mio ricordo è soprattutto legato al fatto di aver conquistato il terzo posto alle olimpiadi, non ci penso quasi mai al fatto di aver perso la sella che poi, in realtà, era stato il reggisella a rompersi. Un professionista di quel livello, in quei momenti non pensa al problema, ma pensa a come risolverlo. In quel preciso momento mi sono detto; “OK, vediamo cosa posso fare; sono praticamente

su una BMX, ho più escursione sulle mie gambe, non posso sedermi su telaio per non comprimere le gambe ed evitare crampi…” e sono andato avanti cosi fino alla fine. Il ricordo è più legato al come ho cercato di risolvere il “problema” più che a quello che era accaduto. X’L Senza quel “problema” avresti vinto la gara? M.F. Sinceramente, è difficile dirlo. Di certo sarei arrivato in volata con i primi due visto che con un problema abbastanza grave alla bici ho preso solo venti secondi di distacco. Poi, in volata me la sarei giocata sicuramente ma non posso dire che avrei vinto. X’L Senza quel “problema” saresti diventato cosi popolare? M.F. Diciamo “ugualmente popolare” dai. È anche vero che nei racconti esce spesso “quello del sellino…” che è anche una cosa “buffa” da raccontare per come, ma soprattutto per il contesto di dove è accaduta. Qualcuno dice che quell’episodio ha contribuito alla mia popolarità ma secondo me, alla fine, non è stato proprio cosi. Conquistare una medaglia olimpica è un risultato



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che “spacca” e secondo me, avrebbe “spaccato” in ogni caso. X’L Onore al merito per il risultato conseguito e la popolarità è arrivata di conseguenza, ma proprio nel momento dell’esplosione dell’era “social”. Le tue attività in merito sono state sempre di primo livello e hai un numero di follower da fare invidia a molti atleti di sport tanto più popolari. Merito della tua intuizione o di una pianificazione M.F. La medaglia olimpica, ovviamente, mi ha dato una grande spinta anche se il risultato è arrivato in un anno dove i social non erano ancora particolarmente in voga come ora, non “spaccavano di brutto” come in questo periodo. Diciamo che la popolarità social me la sono anche costruita e questo soprattutto per cercare di trasferire a tanti appassionati tutto quello che è il bello della bici, lo stile che ne consegue e tutte le emozioni che si vivono. Inoltre, lavorando anche nel mondo dei motori e della moda, mi piace trasferire queste emozioni in mondi diversi attraverso i più diversi canali di comunicazione.

X’L I giovani di oggi, a volte, prima pensano all’esposizione mediatica e poi ai sacrifici e all’ottenimento dei risultati. Dai un consiglio all’uso dei “social” M.F. La parte dei social media sta spopolando e i giovani di oggi fanno la loro parte nel mondo che stanno vivendo, come facevano i “giovani di ieri” nel loro periodo. Anche essere al top sui social, può essere un risultato quindi, dipende da qual’è il tuo “goal”. Se uno capisce che per guadagnare bene si deve “spaccare” sui social, allora è giusto che spinge in quella direzione, se invece il “goal” è vincere allora bisogna limitarsi e il consiglio che posso dare è di darsi un tempo all’utilizzo dei social e dare invece l’importanza giusta agli allenamenti, all’alimentazione e al recupero. X’L Tornando alla carriera da sportivo, tante soddisfazioni, tanti successi (non dimentichiamo i titoli mondiali nelle gare a staffetta) e tanti sacrifici con il tempo che inesorabilmente è passato e nel momento “giusto” come nel caso dei social,

è arrivata l’esplosione del “fenomeno e-bike” e sei salito in sella alla bici “elettrica”. Una necessità o un’opportunità M.F. Sicuramente entrambe le cose; il mio passaggio alla e-bike, dopo tutte le cose belle anzi, bellissime della mia carriera, l’ho vissuto come il passaggio a uno strumento che, in quel momento, andava bene per promuovere sempre e comunque la bellezza della bici nella sua totalità anche perché, la e-bike non è niente altro che una bici, anche se assistita. Sono arrivato alla e-bike un po’ prima di altri e in questo, diciamo che ho anticipato i tempi guardano un po’ più a lungo e quindi nel momento giusto e.. devo farmi i complimenti da solo (lo dice sorridendo…) ma è anche vero che le e-bike sono diventate oramai le bici di oggi e questo “fenomeno” è destinato a crescere ancora nel tempo. Un bene per tutto il mondo della bici in generale. X’L Come cambia la preparazione da una muscolare a una “elettrica” M.F. Fondamentalmente la pre-

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parazione tra le due bici non cambia molto. Bisogna sempre avere un’ottima base aerobica e c’è da lavorare sempre e comunque sull’allenamento lattacido. Ma ci sono differenze anche in base alle discipline. Se prendiamo ad esempio l’enduro MTB, dove si rimane tanto tempo in bici ma si hanno trasferimenti abbastanza lunghi, nelle gare con la “muscolare” i trasferimenti ti permettono di recuperare mentre con le e-bike si va sempre a “fuoco” dato che i tempi sono ristretti anche tra una prova speciale e un’altra, un po’ come capita

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anche nell’enduro con le moto. Di conseguenza, nell’enduro “normale” devi allenarti per fare degli sforzi maggiori nei tempi brevi (le speciali) nell’enduro “elettrico” devi avere un rendimento maggiore nell’arco di un lungo tempo. Poi, visto che in salita si va molto più veloci, la tecnica anche nell’affrontare le salite con la e-bike deve essere particolarmente curata. X’L I tuo impegni agonistici sulla e-bike

M.F. Di certo parteciperò alla serie Enduro World Series–E che è la maggiore competizione mondiale per e-bike poi farò qualche gara di e-enduro. Inoltre, vorrei anche fare qualche gara a tappe come l’e-tour du Mont Blanc, una gara di tre giorni con tappe di circa 100 km al giorno dove c’è da fare anche un po’ di navigazione e dove bisogna anche cambiare le batterie in gara per arrivare alla fine viste le distanze. Però la priorità è centrata sulla EWS-E.


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X’L I tuoi impegni “commerciali” come testimonial e i tuoi impegni per promuovere questa disciplina. M.F. Durante la stagione sarò presente alle fiere più importanti a iniziare dal Bike Festival che si sposta da Rimini a Misano, poi a Riva del Garda, al Bike Up di Bergamo e inoltre, bici elettrica o meno, presenzierò ad alcuni eventi tipo la Rocca delle Sabine, vicino Roma che si svolge in Aprile e poi alla Roc

D’Azur a fine anno. Ma soprattutto mi dedicherò al mio lavoro mediatico seguendo al meglio il mio vlog settimanale e a tutti i contenuti instagram e youtube che servono molto alla promozione della bici in generale. X’L La tua attuale occupazione e quali sono gli impegni di M.A. Fontana nel mondo MTB. M.F. Bella domanda…(e sorride). Sai, credo proprio di essere diventato un imprenditore. Ho

aperto da poco una società con la quale sto sviluppando un progetto tutto nuovo che partirà fra poco ma che non posso ancora svelare; è “top secret”. Sono sempre impegnato direttamente nella MTB visto che seguo gli atleti per la North Wawe come sports marketing manager e ovviamente sono un youtuber. X’L Questo “fenomeno” della ebike ha dato possibilità a moltissime persone di utilizzare la MTB come mai prima avevano potuto fare visti naturali limiti

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L’UOMO “SENZA SELLA”

fisici, soprattutto di persone di “una certa età”. I primi passi da affrontare per un neofita biker M.F. Andare per gradi, come in tutte le cose. Questo è il primo e più importante consiglio che mi sento di dare a tutti quelli che iniziano a praticare MTB. Un consiglio rivolto anche e particolarmente a quelli che passano dalla moto da cross alla bici e si trovano ad affrontare le difficoltà dei salti e dei percorsi tecnici. Ultimamente giro spesso con la moto in pista e con la moto è più facile uscire da situazioni difficili dettate da un errore del pilota. Un “corto” su un salto o una staccata “allungata” si recuperano più facilmente quando c’è il motore ad aiutarti e quando ci sono sospensioni e telaio di un certo “spessore”. Nella bici è diverso, la bici “perdona” più difficilmente quindi bisogna fare più attenzione. Scegliere percorsi in base alle proprie capacità è importante se poi si è alle prime armi allora consiglio anche di affidarsi a una guida o a un coach per essere aiutati a capire bene come approcciare il mondo MTB. Ognuno deve capire il proprio limite e pedalare sempre in sicurezza. X’L

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Il prossimo futuro: tra i giovani, c’è un nuovo Marco Fontana M.F. Ci sarà un prossimo “io”… mmhh, non lo so. Di giovani che vanno forte ce ne sono e tra questi mi vengono in mente Juri Zanotti, Simone Avondetto, Andreas Vittone e questi al momento “spaccano” ma, se uno di loro diventerà il prossimo Marco Fontana non lo so. Qualche anno fa, a questa domanda avrei risposto, Gioele Bertolini ma non lo è diventato. Magari lo diventerà qualcun altro ma è difficile dire chi sarà il prossimo Marco Fontana. X’L Il futuro della e-bike: come saranno, sempre più potenti, sempre più leggere, ma sempre e soprattutto più popolari? M.F. Soprattutto più autonomia. Al momento i bikers chiedono questo, rispetto magari alla leggerezza che viene considerata in maniera minore in confronto all’autonomia e comunque la tecnologia avanza e diventeranno sempre più performanti, sempre più leggere e per fortuna, sempre più popolari. X’L In chiusura; Bici muscolare e bici “elettrica” ma anche un

buon rapporto con le moto. Enduro, motocross, maxi enduro e anche altro. Quanta passione? M.F. E si, proprio così. Il mondo dei motori mi affascina molto. I motori sono stati sempre una mia forte passione che sto coltivando sempre di più. Siete stati testimoni della mia prima gara in moto sul crossdromo di Esanatoglia in occasione di un trofeo KTM, ho fatto un paio di volte il rally di Sardegna, lo scorso anno ho partecipato alla “Six Days” e….tra un po’…vediamo cosa succederà. X’L Ti vedremo a qualche gara con il motore… della moto? M.F. Nel 2022 mi piacerebbe fare un paio di gare di campionato regionale nel motocross perché il cross mi gasa un botto ma, e lo dico sempre, il mio sogno nel cassetto è quello di riuscire a partecipare alla Dakar; vedremo. Ma per tutte le news…rimanete sintonizzati sui miei canali….a presto.




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