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DENSA E POLICENTRICA: QUARTIERI VS SPRAWL

La crescita immobiliare degli anni ’10 ha contrassegnato la trasformazione del paesaggio urbano e periurbano in città diffusa, ed ha concorso alla costruzione della mappa mentale più comune e contemporanea di Reggio Emilia: maisonettes (a gogo), villettopoli, sprawl, aree della ripetizione, spazi della dispersione degradante, sono le diverse definizioni che accompagnano un paesaggio mutato, sullo sfondo di un capitalismo molecolare che ha caratterizzato quel territorio esteso talvolta denominato “megalopoli padana”. Alla netta linearità del confine omogeneo e permeabile tra città e campagna si è gradualmente sostituita un’area eterogenea, adagiata sulle direttrici principali di accesso alla città (ed in particolare sud-est e sud-ovest) e caratterizzata dalla contaminazione tipologica, morfologica, e quindi percettiva, tra il territorio urbano ed il paesaggio rurale. Compaiono così nuovi spazi insediati e segmentati, incapaci di generare, identificare o rappresentare nuove e solide centralità insediative e sociali, rimanendo relegati a luoghi simbolici di comunità chiuse ed impermeabili a contaminazioni e fruizioni esogene: un sistema insediativo di pretesa urbana che diviene, nel paesaggio rurale e nella sua memoria storico-visiva, capillare ed invasivo. Mentre i centri commerciali, macchine ibride e nuovi capisaldi del territorio esteso, assumono una funzione vitale complementare e divengono contrappunto dimensionale al sistema insediativo dello sprawl. Un sistema insediativo diffuso e di bassa densità pervade e prevale nel territorio esteso. Parallelo e non dipendente si avvia un processo di incrinatura dei cardini del sistema economico urbano. Si assiste all’incremento esponenziale di reti economiche, sociali e culturali intangibili. Al materiale si sostituisce l’immateriale, e la città intesa come luogo deputato agli scambi cede il proprio ruolo al territorio esteso, si priva di socialità e cultura, smarrisce le relazioni e dimentica i luoghi di incontro. Tuttavia, l’immaterialità non è sufficiente a garantire le opportunità socio-economiche strategiche ed imprescindibili per l’individuo ancor prima che per la comunità. La città è infatti un processo e non un luogo, è nodo di reti e di relazioni, dove diversi segmenti sociali con obiettivi diversificati, provvisoriamente orientati da spazi economici coesistono e si relazionano nella rete. Per ritornare a vivere la città deve essere densa affinchè vi sia adeguata intensità delle relazioni, dei nodi delle reti sociali, economiche e culturali. La competizione tra città e campagna si è sempre generata sul potenziale di comunità ampiamente superiore che alla città veniva riconosciuto.

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La crescita dei non luoghi, degli spazi vuoti o neutrali nella città ha determinato il depotenziamento del valore comunitario, favorendo il riposizionamento competitivo della campagna rispetto alla città. L’azione di isolamento e lacerazione sociale, culturale ed economico nella e della città che ha caratterizzato gli anni ’80 e ’90 hanno favorito il trasferimento nel territorio rurale.


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