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DIE BRUCKE IL PONTE

caratterizzano per le pennellate dense e pastose, dall’assenza di sfumature, da una nuova attribuzione di significato ai colori: perché un volto non può essere blu o verde? Chi ha stabilito che il brutto non è degno di comparire su una tela?

Giovane talentuoso e fragile, Ernst Ludwig Kirchner è tra i principali protagonisti del movimento della Die Brücke. Appassionato, impetuoso, infaticabile, alterna momenti di grande entusiasmo ad altri in cui la depressione lo attanaglia.

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La sua parabola artistica è ben esemplificata da tre opere: Marcella (1910), Cinque donne nella strada (1913) e Autoritratto come soldato (1915).

Marcella è una ragazzina che siede su un letto con le mani incrociate, una giovane prostituta che posa, mettendo in evidenza un corpo acerbo e un volto pesantemente truccato segnato dalla vita.

Unico rimando alla purezza è quel fiocco bianco appuntato sui capelli.

Anche le Cinque donne nella strada fanno il mestiere di Marcella, sono delle prostitute che attendono i loro clienti sugli squallidi marciapiedi di

Berlino.

Ma, a differenza della giovane ragazza, sfoggiano degli abiti impreziositi da pellicce di colore verdastro e i loro volti appuntiti sono simili a coltelli. L’ambiente del postribolo torna anche in Autoritratto come soldato, dove il corpo nudo di una donna fa da sfondo alla scena.

Il pittore si presenta qui monco: non solo la mano è mozzata ma anche i suoi sentimenti.

Erich Heckel, nelle sue opere abbandona progressivamente il colorismo e dà alle forme una rappresentazione quasi geometrica.

La sua poetica è evidente in Giornata cristallina, opera del 1913.

Vi è raffigurata una giovane donna dal corpo voluttuoso che fa il bagno immersa in una natura, per contrapposizione, spigolosa.

Le nubi, come cristalli pungenti, si riflettono nelle acque azzurre che sono un tutt’uno col cielo.

Emil Nolde si unisce al gruppo della Die Brücke a quasi quarant’anni.

Ama definirsi un “copista della propria immaginazione”, impegnato nella traduzione visiva di ciò che la sua mente fervidamente produce.

Il colore violento, feroce e brutale da vita a composizioni che si rifanno al mondo delle leggende, della sfera religiosa e della natura.

Opera emblematica di questo periodo è “La ballerina, una figura istintiva e selvaggia che si esibisce animata da una furia cieca e scomposta: la testa reclinata, la bocca spalancata, la chioma nera agitata dalla turbinosa danza, la gonnellina a frange che lascia intravedere le parti intime.

Leggi anche Angelica Kauffmann, spregiudicata ritrattista nella Roma tra Sette e Ottocento https://www.diariodellarte. it/espressionismo-germania-brucke/

Con la loro pittura, Kirchner, Heckel, Nolde e gli altri lanciano un grido di allarme e di dolore al mondo che pare essersi addormentato.

Un mondo cieco e incosciente, trascinato dalla brutalità degli eventi che in quegli anni stanno sconvolgendo l’Europa intera.

I loro colori puri, le loro forme selvagge e primitive somigliano tanto ai disegni dei bambini che, senza malizia alcuna, stanno tentando di parlare al mondo dei grandi.

E’stato il supplemento a Palazzi A Venezia, il mensile in francese che pubblichiamo dal lontano 1989 con grande successo di pubblico, ad iniziare la pubblicazione delle immagini di alcuni fotografi dei nostri amici inspirandoci ad una rivista ormai cult, voglio parlare qui del Playboy degli anni ‘50 e ‘60 che con il suo centerfold proponeva una locandina domestica ai suoi lettori.

Abbiamo voluto rinnovare l’esperienza proponendo un’immagoine nel formato

A2 in modo da poter eventualmente realizzare un poster da affiggere sulle pareti di quelle che sono ancora le nostre camere e dove conserviamo i nostri sogni.

Così anche il supplemento a Sardonia ha voluto inspirarsene, proponendo quindi periodicamente uno o una fotografa ai nostri lettori.

Questa volta abbiamo il piacere di presentarvi una fotografa che esercita il suo talento nella regione dove vive cioè il Nord della Sardegna.

Questa regione é assunta a simbolo di vacanze lussuose da quando un consorzio italo-belga alla ricerca di uno spot velico nel Mediterraneo, scopri questo tratto di terra e di mare, dove per altro eisteva già la scuola di vela del Touring Club italiano.

In effetti molti tra di noi ignorano il fatto che il livello del mare non é uguale a zero e sopratutto sempre lo stesso nelle diverse parti del globo terraqueo, come direbbe l’altra, in effetti la superficie del mare é costituita da piani inclinati, per esempio la differenza di livello media tra l’Oceano Atlantico ed il mare Mediterraneo é di ben 80 (ottanta) metri mentre tra il mar Tirreno ed il Mar di Sardegna é di 40 (quaranta) metri.

Questa situazione crea nello spazio marino situato tra la Corsica e la Sardegna non solo un movimento di acvque estremamente importante, ma sopratutto una presenza costante di venti di ogni direzione secondo le diverse condizioni metereologiche, quindi una zona assolutamente ideale per le barche a vela. Come da tradizione sia in Corsica che in Sardegna, le terre in riva al mare erano considerate senza alcun valore e quindi lasciate in eredità alle donne della famiglia, per di più in questo tratto di costa non c’era assolutamente niente , se non molte rocce ed una caratteristica del terreno che le impediva di essere destinata a pascolo per i bovini, Al massimo qualche capra avrebbe potuto sopravviverci. Così il consorzio italo-belga incominciò a comprare le terre, dapprima per dei prezzi assolutamente derisori, poi spargendosi la voce dell’esistenza di tali acquirenti i prezzi salirono naturalmente, a volte con degli episodi particolarmente succosi, come quando un avvocato partecipo ad una compravendita offrendo un miliardo di lire per l’acquisto del terreno si vide rispondere “Non vogliamo un miliardo vogliamo quattrocento milioni”, anedotto ormai leggendario.

Piano piano il progetto si materializzò ed apparve il famoso Aga Khan, que naturalmente dette lustro e credibilità all’operazione che creò’ tra l’altro anche qualche regata velica di importanza mondiale portando così i maggiori equipaggi a cimentarsi nello specchio d’acqua sardo e dando una visibilità internazionale e lussuosa a tutta la Costa ormai battezzata Smeralda.

La località Porto Cervo, ormai famosa, fu impiantata in un luogo, forse l’unico della zona, dove una sorgente di acqua potabile vi fu scoperta vedendo appunto un cervo abberevarsene.

Ormai tutto questo é storia ma vogliamo piuttosto presentarvi la fotografa del mese per la quale abbiamo chiesto ad Alessandra Sorcinelli di scriverci qualche parola di commento.

Che vi presentiamo qui di seguito:

Angela Ciboddo fotografa della Gallura.

La costa Smeralda crea meraviglia che viene sapientemente colta dall’obiettivo di Angela che come una vera esploratrice cerca la migliore essenza della luce e delle sfumature.

Non solo natura ma anche storie di persone di vita di luoghi.

Combatte contro la violenza sulle donne con scatti ad hoc molto suggestivi.

Tra colore e flash si indaga su mondi .

Vita vera e momenti. Autodidatta e istintiva. Solare ed emotiva.

Ingenua tanto da affacciarsi allo scatto come una bambina curiosa.

Questa dote di innocenza la contraddistingue.

Emerge il volto dello stupore intatto.

Insegnante donna madre sensibilità e intuito.

Personalmente possiamo solo dire che gli scatti di Angela Ciboddo ci mostrano la bellezza di una regione nonostante tutto ancora incontaminata rivelandoci il talento di una fotografa molto schiva e di cui per il momento non abbiamo molti testi critici a disposizione ma pensiamo di suscitarne qualched’uno prossimanente perchè l’abbiamo invitata ad esporre le sue fotografie quest’estate al Museo del Vino a Berchidda, in concomitanza con la manifestazione Insulae Lab, bandita ormai al secondo anno, da Mattea Lissia e Paolo Fresu, noti organizzatori della manifestazione Time in Jazz ormai alla sua trentaseiesima edizione e che hanno voluto estendere l’avventura musicale agli altri mesi dell’anno, incominciando da Aprile e finendo a Settembre invitando i gruppi musicali delle diverse isole del Mediterraneo, come Mqalta, Cipro Baleari, eccetera.

In attesa ecco qui qualche cliché di Angela Ciboddo, di cui siamo lieti di presentarvi il lavoro sicuri che lo troverete di altissimo livello fotografico ed artistico. Come noi tutti. Vittorio

E. Pisu

Bernardino Palazzi, indicato spesso dalla critica come un enfant-prodige,intraprende molto presto un percorso autonomo di ricerca stilistica, mostrandosi assolutamente coerente, lungo tutto l’arco della propria attività artistica, nella scelta dei temi e più in generale nelle convinzioni circa il significato del fare arte.

Cresciuto nella complessità del clima culturale milanese degli anni tra le dueguerre mondiali, mantiene autonomia di ricerca rispetto alle diverse correntiartistiche e, totalmente incurante delle critiche, si apparta, approntando unlinguaggio che si fa interprete unicamente della personale sensibilità.

Senza mettere in discussione la conoscenza e le riflessioni di Palazzi sull’evoluzionedelle ricerche artistiche a lui contemporanee, si può affermare che la sua pittura non tocca vicende storiche o problematiche connesse al sociale: fare arte ha significato, per lui, innanzi tutto godere del piacere che scaturisce dal puro atto del dipingere e, in secondo luogo, andare alla ricerca di emozioni estetiche che sono testimonianza di un atteggia- mento positivo nei confronti dell’esistenza e della predisposizione al racconto di una realtà serena, opulenta erilassata.

È così appassionato alla vita e così occupato a trasferire quel mondo nel linguaggio della pittura che non sente come primaria la necessità di interrogarsi o di porsi dubbi sulle ricerche visive delle avanguardie.

Ogni singolo elemento ch’egli raffigura nello spazio del dipinto contribuisce a definireun’atmosfera felice che impregna l’intera composizione, in una perfetta sintesi di forma e colore.

Sostenitore fino all’ultimo dei valori autonomi della pittura, Palazzi è capace di raccogliere, nel XX secolo inoltrato, l’eredità di Matisse, non tanto nel senso espressivo del colore, quanto piuttosto nella predisposizione a un disinteressato piacere gioioso dell’arte.

Musa ispiratrice e protagonista indiscussa ne è la donna: la signora elegante dell’alta borghesia milanese in posa per il ritratto; la moglie Maray colta negli atteggiamenti più intimi e quotidiani; oppure, semplicemente, la modella nuda, in genere sdraiata, in uno stato deliziosamente vago, che sembra ondeggiare tra il torpore e la noia o fra il sonno e la veglia.

Egli si compiace di cantare liberamente la gioia della giovinezza: l’eleganza e l’erotismo del corpo femminile diventano il mezzo più dolcemente persuasivo per esprimere quel senso di pienezza e di soddisfazione che fa parte del ritmo incessante della vita, tanto quanto gli affanni e le emozioni dolorose.

La scoperta del mondo femminile avviene attraverso la luce, che rivela e costruisce tramite il colore.

»Troppo spesso gli altri possano pensare e dire…», scriveva Bernard Berenson, illustre scopritore ed estimatore del mondo palazziano, mostrandosi sensibile alla verità e al coraggioche sottendono all’impulso creativo dell’artista.

Medesimo registro è adottato da Palazzi anche nelle opere incui affronta le tematiche sarde, affascinato dai toni delpaesaggio, dai costumi tradizionali e dalla suggestionedelle feste popolari, lavori in cui ci offre un’interpretazione del mondo isolano complessivamente distante dai modelli proposti dagli artisti suoi conterranei, testimonianze

S’ARTI NOSTRA 15 concrete di un legame sempre vivo con la terra abbandonata nell’adolescenza.

Questi dipinti sono con-cepiti con l’intento di rispondere a quell’urgenza di richiami della quale egli stesso ci parla, legami che nonhanno mai smesso di farlo avvicinare, non solo coi ricordi, alla Sardegna, la sua parte meno nota.

Ha poco più di quattordici anni Bernardino Palazzi quando si allontana dalla Sardegna per andare ad apprendere all’Accademia di Francia, a Roma, le tecniche dell’incisione e l’uso del pastello, sotto la guida di Carlo Alberto Petrucci.

La sua innata passione per la pittura si era manifestata quando ancora frequentava le scuole a Nuoro e poi a Sassari. Fermamente deciso a seguire la sua vocazione artistica, ottiene il consenso per allontanarsi dall’Isola e rag-giungere la capitale.

Roma lo sbalordisce, la sua magnificenza eterna lo disorienta, quasi l’opprime.

Non si perde d’animo, dopo pochi mesi, trascorsi tra l’Accademia e la Libera Scuola del Nudo, il trasferimento a Firenze segna una tappa fondamentale nel percorso di formazione dell’artista: appena sedicenne entra nello studio del pittore torinese Felice Carena, i cui insegnamenti lasceranno un’impronta ben manifesta, addirittura evidente nelleopere realizzate tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta.

Palazzi disegna incessantemente. È convinto che senza il disegno non si possa dare vita ad alcuna creazione nelle arti figurative.

Firenze lo accoglie in un momento in cui la ventata futurista si affievolisce e si fa strada la necessità di un rinnovato confronto con la tradizione e con la natura.

Per raggiungere la famiglia, trasferitasi a Padova a seguito di esigenze legate al lavoro del padre, Palazzi lascia il capoluogo toscano e intraprende una nuova esperienza nel Veneto, coincidente con gli anni delle prime prove pittoriche e delle prime apparizioni in pubblico.

A Padova copia Mantegna e sicuramente anche Giotto, come ci “racconta”nel dipinto autobiografico, un rotolo lungo 18 metri iniziato nel 1969, nel quale l’artista riporta i momenti più significativi del suo lavoro.

A Venezia scopre Tiziano, Tintoretto e soprattutto la pittura chiara (segue pagina 16)

(segue dalla pagina 15) e grandiosa di Veronese, affascinato dai colori luminosi e iridescenti della sua tavolozza, che hanno dato vita alle immagini più felici della gloria veneziana.

L’esordio di Palazzi avviene nell’estate del 1925 alla I Espo-sizione degli Artisti di Ca’ Pesaro, tenutasi al Lido; nell’oc-casione l’artista raccoglie elogi e riconoscimenti per una serie di dipinti di soggetto esclusivamente sardo. La Sardegna continua a riecheggiare anche nel grande oliointitolato La croce (vedi illustrazione pagina 15), presentato nel 1926 a Padova alla IV Esposizione d’Arte delle Tre Venezie.

Realizzato probabilmente sulla base di appunti e disegni che Palazzi ha portato con sé dall’Isola, il dipinto contribuisce ad accrescere la notorietà che l’artista pian piano si va conquistando.

I critici contemporanei esprimono giudizi prevalentemente positivi di fronte alle eccellenti qualità del pittore, soprattutto in considerazione della sua giovanissima età. Si rilevano innanzi tutto una grande chiarezza costruttiva e un forte senso della composizione: la croce, concepita quasi come apparizione simbolica, è circondata da figure disposte nello spazio secondo unpreciso ordine geometrico. Prevale un senso generale di staticità che, unito alla raffinata eleganza di alcuni volti femminili, contribuisce ad allontanare qualunque effetto di drammaticità. È certamente plausibile che ildipinto faccia pensare, come ha giustamente sottolineato la critica,ai nostri artisti del Quattrocento, così come certi accenti di matrice espressionista, culminanti nelle linee che definiscono il volto ele mani nodose del suonatore di launeddas, rivelano l’aggiornamento del pittore, da poco giunto a Venezia, sul panorama internazionale delle arti; ma è altrettanto evidente che lo stile risentedel legame con la tradizione figurativa isolana e dell’amicizia conMario Delitala, che lasciano sensibili tracce nella produzione gio-vanile di Palazzi. Negli anni che precedono la partenza dalla Sardegna, egli respira ilclima artistico sassarese: la città è attraversata da fermenti di cultu-ra europea e vede crescere un’intellettualità aperta e spregiudicata che mira ad un continuo confronto con l’esterno. L’esempio delpittore Giuseppe Biasi ha favorito il nascere di un gruppo di artistiche orienta le proprie scelte in direzione secessionista: il gusto de-corativo, la tendenza alla geometrizzazione dei contorni, la predile-zione per le figure bidimensionali e per le tonalità pure e lumino-se, attestano l’aggiornamento sulle novità proposte negli ambientidella Secessione romana, indirizzati principalmente verso un rin-novamento linguistico nelle scelte antiaccademiche. Un anno prima della realizzazione del grande dipinto La croce, Palazzi realizza l’olio intitolato “Beoni” (a noi noto da una fotografia d’epoca), nel quale alla sintesi di matrice secessionista si unisce l’influsso del pittore Felice Casorati, anch’egli, come Carena, di area piemontese.Casorati, oltre ad avere frequentato l’ambiente padovano e gli artisti di Ca’ Pesaro, è ben rappresentato da una sala personale alla Biennale di Venezia nel 1924, con ben quattordici opere che documentano la raggiunta maturazione del suo stile aristocratico.

Il campo bianco della tovaglia, i volumi perfettamente scanditi degli oggetti e la forzatura prospettica del volume sghembo del tavolo, sul quale poggia la testa uno dei beoni, rimandano al linguaggio diCasorati e in particolare alle opere realizzate all’inizio degli anni Venti, quando la sua ricerca, espressa in forme semplificate ed elementari, riscopre gli arcaismi negli oggetti della realtà ricondotti a volumetrie pure.

Palazzi osserverà con attenzione soprattutto gli studi di Casorati sul corpo femminile e i motivi iconografici ricorrenti nelle sue tele, quali la modella nello studio dell’artista e il nudo sdraiato, temi abbondantemente sviluppati nella produzione successiva.

E una prima evidente suggestione si coglie nell’ Autoritratto con figure ignude, dipintonel1929 e anch’essopervenutoci tramite un’immagine d’archivio: la luce av-volge i volumi ben torniti e levigati dei corpi delle duedonne vicine all’artista in silenziosa contemplazione.

Prevale una sensazione di purezza e di quiete, che ricon-duce a certe atmosfere irreali e magiche degli internidomestici dipinti appunto da Casorati. Nel 1929 Palazzi abbandona il Veneto per trasferirsi a Milano; a parte isuoi viaggi, frequenti soprattutto in Francia, risiede nel capoluogolombar- do fino al 1950.

Sono anni decisivi per la definizione della sua personalità artistica e soprattutto del suo ruolo negli ambienti dell’alta borghe-sia milanese, da cui provengono numerose e importanti commissioni.

Sin dalla fine del primo conflitto mondiale, Milano è animata da un grandefervore di ricerca in campo artistico. In linea con la tendenza generale dell’arte europea nell’immediato dopoguerra, si avverte la necessità di un ritorno all’ordine, che coincide con un’esigenza di figuratività, di rigore plasticoe di semplificazione delle forme che si riaggancia alla tradizione rinascimen-tale italiana, in opposizione agli sperimentalismi portati avanti dalle avan-guardie, prima fra tutte il Futurismo.

Questi presupposti sono alla base dell’orientamento del gruppo di Novecento,destinato a diventare un importante punto di riferimento per molti artisti ita-liani.

Il primo contatto di Palazzi con il mondo culturale e più specificamen-te artistico milanese avviene con l’ingresso nel gruppo di Bagutta, del quale fanno parte artisti, giornalisti, critici letterari, poeti e scrittori che si riunisco-no per discutere liberamente d’arte e di letteratura lontano dall’atmosfera op-primente del fascismo e in sintonia con l’ala progressista della borghesia mila-nese.

«Vengo accolto assai affettuosamente nel cenacolo di Bagutta», scrivePalazzi nei suoi ricordi autobiografici, «… stavo molto ad ascoltare, essendoio il più giovane, e ascoltando imparavo molte cose, mi orientavo sulle lettureda fare e da non fare».

In breve tempo il pittore sardo diventa celebre come ritrattista di quel mondo, una grande dote che la critica non gli ha mai contestato.

«Palazzi è ritrattista nato», scrive il giornalista Orio Vergani, nel primostudio monografico dedicato alla sua opera, «e la sua sensibilità è dominata da un sentimento prepotente e squisito della personalità».

Abbandonati, per il momento, i temi legati alla Sardegna e con essi il gusto decorativo (seppurerisolto con grande originalità), a riempire le tele dell’artista sono soprattuttoritratti delle signore dell’alta borghesia milanese, realizzati col pastello o conl’olio, contrassegnati da una grande ele- ganza e raffinatezza di tocco, che incontra gli apprezzamenti di un pubblico d’élite sempre più vasto.

È fuor di dubbio che la piena maturazione stilistica di Palazzi si compie attraverso scelte che mostrano una dichiarata indipendenza dalle correnti artistiche milanesi contemporanee; ma è innegabile, tuttavia, che in alcuni dipinti dei primi anni Trenta si percepisca un influsso novecentista, già in parte assorbito con la lezione di Casoratie rielaborato in maniera assolutamente personale.

Ne sono un esempio il ritratto di Wanda Toscanini, la figlia del grande maestro, e lo splendido olio intitolato “Figura in rosso”, che Palazzi dipinge nel 1934.

Nel primo, la solidità plastica e il nitore formale, uniti aduna pungente introspezione psicologica, ricordano i ritratti femminili del pittore triestino Piero Marussig (uno dei fondatori del gruppo Novecento), che si distinguono, oltre che per il purismo formale, per un’aria velatamente malinconica che aleggia negli sguardi delle eleganti signore; nel secondo, invece, l’ordine misurato della composizione, com’è stato acutamente osser- vatodalla critica, rimanda ad esempi quattrocenteschi, in linea con l’esigenza di ritorno alla tradizione rinascimentale italiana, diffusa negli ambienti novecentisti.

Ed è ancora dagli esempi milanesi degli anni Venti che Palazzi attingequando realizza nel 1935 il suo dipinto in assoluto più conosciuto, intitolato Bagutta, conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano e diventato simbolo dell’omonimo gruppo.

Il primo gruppo di giudici del premio Bagutta è raffigurato mentre discute con grande vivacità e animazione: si avvicina il giorno in cui deve essere assegnato il premio annuale di letteratura.

Racconta lo scrittore Orio Vergani che l’esecuzione deldipinto ha significato tanti mesi di lavoro. Palazzi ospita nello studio, aduno ad uno, gli amici di Bagutta e li fa posare davanti alla tela gigantesca in atteggiamenti predisposti come in un “cenacolo sacro”. Il carattere documentario del dipinto e la ripresa analitica dei gesti e delle espressioni dei personaggi fanno tornare alla mente il realismo minuziosoe a tratti lenticolare dei dipinti di Leonardo Dudreville (anche lui come Marussig S’ARTI NOSTRA 17 tra i fondatori del gruppo milanese), che utilizza l’oggettività come strumento di penetrazione psicologica. Per quanto riguarda l’attenzione alla definizione plastica dei personaggi, nota bene il severo occhio di Ugo Ojetti, nome di punta della critica italiana del tempo, quando riferendosi a Bagutta sottolinea le «figure una volta tanto più sode deibei nudi femminili», ponendo l’accento sull’esigenza di saldezza costrutiva, imposta all’artista da una osservazione attenta del dato reale.

Le citazioni,da Ingres a Cézanne, sono riassorbite nell’insieme a creare un’atmosfera quasi immobilizzata, fuori dallo spazio e dal tempo. Nel suo studio milanese, che Orio Vergani ricorda così piccolo da non esserci spazio che per lavorare, Palazzi dipinge copiosamente, con rari momenti di stasi, fino a quando nei primi anni Cinquanta lascia il capoluogo lombardo per trasferirsi in Liguria, a Sanremo.

Sono in assoluto le donne, nella raffinatezza esecutiva dei ritratti e ancor più esplicitamente nella morbida sensualità dei nudi, a rappresentare fino agli ultimi anni di attività il tema prediletto dall’artista. L’anima femminile,così complessa e inafferrabile, ha trovato in Palazzi un interprete attento eraffinato, che l’ha saputa esaltare mettendo a nudo gli aspetti più intimi eseducenti del suo carattere. Le sue dolci creature sono colte preferibilmentenei momenti di maggiore rilassatezza, rapite dai loro pensieri più intimi in una dimensione di assoluta serenità: sedute o sdraiate, in interni diffusamente illuminati dal sole, sono immuni da qualsiasi angoscia e inquietudine, pronte ad offrirsi in tutta la loro bellezza fisica e spirituale.

«Per me la donna è l’oggetto più bello del creato» afferma l’artista in un momento diriflessione sulla sua produzione pittorica, «è la grande madre, la grande sorella, la grande consolatrice. Pensare di destinare le donne a questo ruolo inmodo pressoché esclusivo (ecco che cosa significa il mio insistere su temicome l’odalisca, l’harem, l’attesa), sottraendole alla brutale concorrenza la-vorativa col maschio, significa appunto rendere loro, se-condo me, il massimo degli omaggi».

Pamela Ladogana

Bernardino Palazzi ILISSO

n’immersione multisensoriale nella vita e nell’opera di una delle più celebri e iconiche figure femminili dell’arte del ‘900, attraverso un universo di proiezioni video, effetti luminosi e acustici.

Torna a Bitti l’appuntamento con le grandi mostre di primavera, con l’inaugurazione, sabato 8 aprile al cinema Ariston, dell’esposizione multimediale “Frida Kahlo – Viva la Vita”. A finanziare l’evento – il terzo multimediale e itinerante ospitato nel comune barbaricino, dopo quello del 2019 dedicato a Leonardo Da Vinci e l’esposizione del 2022 “Van Gogh – Il sogno” – la Regione Sardegna, la Fondazione di Sardegna e il Comune di Bitti, mentre l’organizzazione della mostra è affidata, come per le precedenti, alla cooperativa bittese Istelai.

Divulgare senza banalizzare: una ricetta che richiede esperienza e precisione.

Bitti mette dunque di nuovo al centro una figura della storia dell’arte che il tempo, il mito e l’evoluzione dei costumi hanno catapultato fuori dai testi scolastici o dalla cerchia degli appassionati per attribuirle un nuovo status, forse anche suo malgrado: quello di icona pop, la cui effigie, svuotata del significato originale, diventa prodotto di consumo tornando milioni di volte su magliette, gadget, bacheche social. Una scelta ponderata e orientata senza dubbio a richiamare, in questo piccolo comune caratterizzato da una forte vivacità culturale, una fetta di pubblico ampia e trasversale, dalle scolaresche alle famiglie, dai turisti italiani e stranieri ai sardi che vogliono organizzare una “gita della domenica” in chiave culturale. Sarebbe tuttavia semplicistico pensare a questo appuntamento come a un evento “acchiappa ingressi”: la forza dell’esposizione sta proprio nella restituzione della figura di Frida Kahlo con una soluzione espositiva multimediale di forte impatto che è sì “facilmente” accessibile, ma che non banalizza la profondità della produzione di Kahlo. Immerso in un mondo esotico e variopinto, animato da una voce fuoricampo e da una colonna sonora appositamente composta per l’esposizione, il visitatore prende gradualmente confidenza con la poetica dell’artista, inscindibile dal suo percorso biografico e dalla sua identità.

“Frida Kahlo, nata Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón” dichiara Emanuela Manca, storica dell’arte e curatrice della tappa sarda della mostra, “è stata la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta schiettezza e in modo anche spietato, ma al tempo stesso pacato, temi molto forti come quelli della disabilità o quelli che riguardano le donne, diventando, non a caso, un’icona del femminismo. (affetta da spina bifida, l’artista rimase anche vittima, nel 1925, di un terribile incidente stradale che compromise ulteriormente, per il resto della sua vita, la già precaria salute della schiena e la deambulazione, ndr), tema forte e difficile da rappresentare, ma non solo: è una figura estremamente complessa, divenuta anche emblema del femminismo per la sua adesione alla Rivoluzione messicana.

E rappresenta a tutt’oggi un forte simbolo di resilienza”. Ad arricchire il percorso, una serie di scatti, prodotti dal grande fotografo colombiano Leo Matiz, che restituiscono l’essenza di Frida Kahlo all’interno della sua dimora, la sua amata Casa Azul appena fuori Città del Messico.

Una mostra che, al di là dei contenuti, invita a riflettere sull’effervescenza culturale che sta vivendo negli ultimi anni Bitti, piccolo centro di nemmeno tremila abitanti a mezz’ora di auto da Nuoro. Un fortunato e ammirevole percorso che il comune condivide con altri piccoli e vivaci centri del Nuorese, da Mamoiada a Gavoi, da Lula a Sarule, ma che ritrova, a Bitti, un’organicità e una varietà di proposte che costituiscono probabilmente un unicum.

L’ormai classico appuntamento con le mostre multimediali itineranti non è, infatti, che una delle tante tappe di un percorso articolato e focalizzato sulle diverse fasce d’età.

Dall’archeologia, con il villaggio-santuario di Romanzesu, alla tradizione testimoniata dal Museo della Civiltà pastorale; ma anche il Museo Multimediale del Canto a tenore, l’unico in tutta l’isola dove è protagonista l’antico canto dei pastori.

E poi, l’attesa riapertura, a partire dalla settimana pasquale, del parco paleontologico all’aperto di BittiRex, che propone, soprattutto a un pubblico di giovanissimi, un viaggio tra i dinosauri dominatori dell’Era Mesozoica.

“L’obiettivo che l’amministrazione pubblica sta cercando di perseguire ormai da anni” – commenta il sindaco di Bitti, Giuseppe Ciccolini, “è quello di dare la possibilità a un pubblico vasto di avere un approccio coordinato e originale a varie forme d’arte. Dare continuità a questo progetto per noi è diventato ormai una priorità”. Con un’ulteriore ambizione: “adesso vogliamo portare un po’ più in alto l’asticella, iniziando a produrre anche dei contenuti che possano esaltare le caratteristiche uniche dei nostri territori e delle comunità”.

E se volete passare l’intero weekend, eccovi qualche idea in più:

#bittinsecta: mostra sul mondo degli insetti;

BittiRex: parco paleontologico all’aperto;

Su Romanzesu: sito archeologico dalla grande magia, nel quale la storia si immerge in un bosco di sughere incantato Museo della Civiltà Pastorale, nel centro storico di Bitti Museo Multimediale del Canto a Tenore, nel centro storico di Bitti

Parco naturale regionale di Tepilora:

La ripresa delle indagini presso il bastione di Santa Caterina ha permesso dicompletare le scoperte della precedente campagna del 2009-2010, sia per quanto riguarda gliambienti sopratterra che per la struttura ipogea; i primi verosimilmente da connettere ad al-loggi legati alle strutture difensive che occuparono il sito a partire dall’età medievale, la secon-da, una probabile cisterna punica, trasformata in luogo di culto in età romana, poi riutilizzatoin epoche successive e destinato a discarica nell’altomedioevo.

Quest’ultima ha restituito interessanti reperti ceramici, ascrivibili a produzioni finora raramente attestate nei contesti meridionali dell’Isola, quali la forum ware e la sovradipinta.

Pertanto, seppure le indagini sianoancora in corso e i dati in fase di studio, si ritiene opportuno darne una preliminare notizia.

Parole chiave: Discarica, ceramica altomedievale.

Con questo contributo si presentano, seppure in via preliminare, i rilevantiritrovamenti di epoca altomedievale in corso presso la terrazza o bastio- ne di Santa Caterina a Cagliari, che potranno gettare nuova luce su una serie diproblematiche connesse alle vicende insediative della collina del Castello cagliaritano, finora definite dal Medioevo in poi, ma incerte per i periodi precedenti.

La puntuale analisi dei risultati, attualmente allo studio, consentiràdi chiarire gli aspetti connessi alle fasi di frequentazione e di individuare iflussi dei traffici e i rapporti commerciali.

Al momento è sembrato indispensabile presentare in anteprima alcuni dati particolarmente significativi perchécostituiscono un unicum nel panorama dell’archeologia della Sardegna meridionale.

Nel luglio del 2012, dopo una pausa di circa due anni, è ripreso lo scavo archeologico presso il bastione di Santa Caterina, trasformato in piazza alla fine delXIX secolo a seguito della dismissione delle strutture difensive bastionate, che fin dall’epoca spagnola svettavano sulla città di Cagliari.

L’indaginesi presenta come la prosecuzione di quella condotta tra il 2009 e il 2010, con l’apertura di un nuovo saggio a ridosso del precedente, che ha raddoppiato.

Desideriamo ringraziare Rossana Martorelli per averci invitato a pubblicar equesta scoperta avvenuta con singolare coincidenza proprio nei giorni del presente convegno.

Le considerazioni attuali, pertanto, potranno essere precisate e ampliate allaconclusione dell’indagine e degli studi. Al momento sentiamo il dovere di presentare agli studiosi elementi particolarmente rilevanti per la ricostruzione del periodoanalizzato in questa sede.

Finora gli studi sul quartiere hanno interessato soprattutto la fase punica, con ipotesi relative ad un insediamento.

La Soprintendenza Archeologica di Cagliari e la cattedra di Archeologia Cristiana hanno avviato un laboratorio interdisciplinare coordinato da Sabrina Cisci( Soprintendenza Archeologica) e Rossana Martorelli (Università di Cagliari) con lapartecipazione di Matteo Tatti e Laura Soro ed il coinvolgimento dei tirocinanti della Laurea magistrale e della Scuola di Specializzazione di Beni Archeologici.

.La presenza di forum ware e il suo accostamento alle produzioni sovradipintee alle anfore globulari, accanto a materiali

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