Visionaria20

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QUANDO PRONUNCIO LA PAROLA FUTURO, LA PRIMA SILLABA VA GIÀ NEL PASSATO. QUANDO PRONUNCIO LA PAROLA SILENZIO, LO DISTRUGGO. QUANDO PRONUNCIO LA PAROLA NIENTE, CREO QUALCHE COSA CHE NON ENTRA IN ALCUN NULLA. Wislawa Szymborska (1923-2012) —Le tre parole più strane

Vent’anni fa mai avremmo pensato che vent’anni dopo si festeggiassero i Vent’anni del Festival. Anche con un anno di ritardo (nel 2011 non ha avuto luogo), è un traguardo importante perché testimonia la passione di tante persone che vi hanno creduto dedicandoci molto più del proprio tempo libero. Ma rappresenta anche un traguardo significativo perché i festival cinematografici e audiovisivi che possono vantare un così lungo periodo di attività sono davvero molto pochi nel nostro paese. E mai avremmo immaginato di festeggiare in un’epoca di profonda crisi economica, sociale e perfino politica. Un’epoca che non solo non investe più nella cultura, nella ricerca e nell’istruzione, ma ha tagliato tutto ciò che poteva tagliare, in un paese dove, da almeno 10 anni, l’articolo 9 della Costituzione sembra essere ormai lettera morta. Al di là e al di sopra delle amare considerazioni che possiamo fare, crediamo che siano sufficienti due riflessioni per rendersi conto di quanto, sulla cultura, si sia fatta non solo una cattiva politica ma si siano minate perfino le fondamenta di una sana crescita culturale del nostro paese. Entrambe le riflessioni provengono da citazioni pubblicate da Il Sole 24 Ore del 23/2/2012, entrambe sono firmate da Roberto

Grassi, Presidente di Federculture, entrambe sono brevissime, ma illuminanti: “il bisogno di cultura non raggiunge mai il suo punto di saturazione, ma cresce in maniera più che proporzionale all’aumentare del consumo” e quindi “studi sui ritorni economici del settore hanno evidenziato che la spesa effettuata in cultura genera flussi economici moltiplicati”. Vedere un film, leggere un libro, ascoltare musica, visitare mostre non genera sazietà e rigetto, come invece può succedere nei confronti del consumo di qualsiasi oggetto commerciale, al contrario fa venire voglia di vedere altri film, di leggere altri libri, di ascoltare più musica, di vedere nuove mostre. Questa assenza di saturazione nel consumo culturale sembrerebbe la chiave di volta per incentivare anziché deprimere tutti i settori legati alla cultura. Non solo, ma, investendo nell’istruzione, si possono far crescere nuovi e più attenti lettori e spettatori che a loro volta faranno salire la domanda di cultura in un circolo virtuoso inarrestabile. Del resto, anche l’intelligenza, al pari degli altri organi del nostro corpo, ha bisogno di cibo, di un cibo particolare che si chiama conoscenza. E qui interviene la seconda considerazione. Infatti, sul piano economico, tanto per fare un piccolo esempio, per ogni euro investito

dalla Film Commission di Torino ne sono ricaduti altri venticinque sul territorio, sotto forma di stipendi alle maestranze locali (dagli attrezzisti ai fotografi, dai costumisti agli scenografi, dai truccatori agli illuminotecnici ecc.) e naturalmente verso tutto l’indotto (arredamenti, catering, service, negozianti, artigiani ecc.) che lavorano sui vari set delle produzioni piemontesi: film, spot, fiction, cortometraggi e documentari. Senza contare poi rassegne, festival e mediateche che ne amplificano l’attività. A Piombino, pur con tutte le difficoltà che ormai gli enti pubblici devono affrontare per far quadrare i bilanci, bisogna dare atto che la pubblica amministrazione ha investito e continua ad investire in cultura, aiutando a far nascere e a crescere nuove realtà associative e strutture operanti nel settore e portando in città esperienze culturali di livello. Se pensiamo alla scritta che campeggiava sul muro di una delle vie principali della città, “meno mostre più pane”, che anticipava il celebre ed infelice motto tremontiano “la cultura non si mangia”, risulta vero esattamente il contrario: con la cultura si mangia due volte, con la pancia e con la testa. Mauro Tozzi Direzione artistica


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