Quaderni Cds #4 - I sentimenti contano

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Un ‘ponte comunicativo’ fra le generazioni: tra gli anziani dei centri sociali e dei circoli Arci di Santa Croce e gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Reggio Emilia e provincia. Il progetto è promosso dal centro sociale Tricolore, in collaborazione con il centro sociale Orti Montenero, i circoli Arci Pigal, La Fornace e la Circoscrizione Nordest.

Centro Documentazione Storica n. 4

2012

educazione per le scuole di II grado a Reggio Emilia

lenza, la prostituzione e l’intolleranza.

Circoscrizione Nordest

Centro Documentazione Storica di Villa Cougnet

uaderno

i sentimenti

contano A cura di Lucia Zanetti

progetto di secondarie

Educare ai sentimenti, contro la vio-

progetto di educazione per le scuole secondarie di II grado a Reggio Emilia

so più che decennale del progetto

i sentimenti contano

Questo volume dà conto del percor-

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Circoscrizione Nordest

uaderno

2012

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con un’intervista a

don Andrea Gallo A cura di

Lucia Zanetti

Progetto promosso da Centro sociale autogestito Tricolore in collaborazione con Centro sociale Orti-Montenero Circoli Arci Pigal e La Fornace

Progetto di educazione per le scuole secondarie di II grado a Reggio Emilia

I sentimenti contano


Progetto “Educare ai sentimenti, contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza� promosso da Centro sociale autogestito Tricolore in collaborazione con Centro sociale Orti-Montenero e circoli Arci Pigal e La Fornace patrocinio e contributo al Progetto

pubblicazione a cura di Lucia Zanetti Impaginazione e stampa Servizio Comunicazione Comune di Reggio Emilia DVD - riprese e montaggio degli spettacoli e delle testimonianze Alessandro Scillitani


Per chi ha vent’anni e se ne sta a morire in un deserto come in un porcile e per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero cosÏ belli a gridare nelle piazze perchÊ stanno uccidendoci il pensiero. Roberto Vecchioni da Chiamami ancora amore



INDICE

PREFAZIONI

• • •

Graziano Delrio, sindaco del Comune di Reggio Emilia Sonia Masini, presidente della Provincia di Reggio Emilia Daniele Simonazzi, associazione Rabbunì

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INTRODUZIONE

Lucia Zanetti, curatrice del volume

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a partire da qui

• Profumo di campagna

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Dove sono nata io c’erano sempre buone ragioni per parlarsi La storia di Rosa Galeazzi, promotrice e responsabile del Progetto

dentro il territorio

• Santa Croce, i suoi circoli e centri sociali

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Tra una tombola e un ballo liscio, si crea un ponte fra generazioni

il progetto

• Primo, ascoltare i ragazzi: incontro con i docenti

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L’illusione dell’apparire intervista a Roberto Iemmi La metafora delle ragazze di strada colloquio con Giovanna Bondavalli e Barbara Corradini C’è sete di sentimenti dialogo con Nicoletta Spada e Francesca Muscarello Le infinite possibilità di essere di Giulia Ronzoni

• Un gioco di specchi: focus fra studenti e docenti

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Oltre facili scorciatoie

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• Sentimenti e sessualità: la percezione dei giovani

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La metodologia di lavoro di Roberto Iemmi Il tumulto delle emozioni e le difficoltà a viverle Istituto Luigi Galvani La relazione tra desiderio e difficoltà Istituto Blaise Pascal Quando ci togliamo la maschera Liceo Matilde di Canossa Storie vere sulla prostituzione e pensieri vari di studenti e studentesse Istituto Blaise Pascal

• Il corpo delle donne: il libro-documentario di Lorella Zanardo che fa discutere in classe

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Diventare difensori dei diritti umani di Celestina Tinelli, avvocata ex membro del Csm L’immagine mercificata della donna di Roberta Mori, avvocata e consigliere della Regione Emilia Romagna Per migliori rapporti fra donne e uomini di Fabio Montanari, vicepresidente dell’associazione Pro.diGio laboratori creativi

• Spaccati di vita nascosta: i laboratori sul tema della prostituzione Le mie labbra mai Hanno saputo guardare ‘oltre’ con la regista Bruna Fogola e gli studenti/attori Le lacrime d’argento di Mimì dal periodico ‘Diaconia’ Stelle nere - racconti fra cielo e strada Il mare fa paura in una notte d’inverno la storia di Albina Xhamaj arrivata dall’Albania su un gommone Cosa non si farebbe per essere accettati dagli altri le valutazioni di Silvia Codeluppi Ho preso coscienza delle varie facce della prostituzione testimonianza di Sara Barbieri Una bella possibilità per interrogarmi riflessioni di Antonella Fabbi Narrazioni di strada e di cielo

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• Così diversi, così uguali: i laboratori sull’intolleranza

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Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vita altrove Mettersi nei panni di un altro intervista a Ruby Spinella, ex studentessa del Pascal Uguali, ma con sentimenti diversi dal tema di Matteo della IB dell’istituto superiore Silvio D’Arzo Quanto conta il giudizio degli altri classe IB del D’Arzo Ma nel cuore il sereno Poetiche tra casa e casa RIFLESSIONI

• Fra tradizione e cultura digitale: considerazioni dal mondo della scuola 215 Questo progetto può aiutare la scuola a uscire dal suo impasse intervista a Giuliano Fornaciari, dirigente scolastico del liceo Matilde di Canossa Didattica e progetti per aiutare i giovani a crescere colloquio con Marco Incerti Zambelli, dirigente scolastico dell'istituto Pascal e Stefania Mancin, insegnante della stessa scuola Violenze in classe un’esperienza al liceo Gaetano Chierici Il bullo in noi report dall’istituto superiore Antonio Zanelli

• Parole e musica: alcuni protagonisti dei concerti dell’8 marzo 241 La musica unisce e sa ascoltare di Massimo Ghiacci, Modena City Ramblers La passione è il motore, la disciplina è il mezzo di Andrea Papini, pianista e jazzista Le droghe non danno la carica di Robby Pellati, percussionista Il rispetto per la musica e per chi l’ascolta di Tiziano Bellelli, musicista e docente Cepam Un appuntamento sentito di Alessandro Miglioli, presidente Consulta provinciale studenti

• Un prete di strada e un educatore 255 La scuola soprattutto come luogo di accoglienza intervista a don Andrea Gallo

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POSTFAZIONE

Roberta Pavarini, presidente Circoscrizione Nordest 265

APPENDICI

• A - Un viaggio insieme 271

Chi ha condiviso il Progetto nel corso degli anni: dagli enti locali che l’hanno patrocinato e supportato, dai docenti ai volontari, dagli studenti agli attori e tecnici degli spettacoli, dalle scuole che lo hanno accolto, agli sponsor che l’hanno sostenuto, agli artisti che hanno partecipato agli spettacoli dell’8 marzo

• B - Gli eventi e le iniziative

Tutti gli eventi pubblici organizzati nelle scuole e nel territorio intorno al progetto Educare ai sentimenti contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza

DVD

• Gli spettacoli tratti dai laboratori teatrali Le mie labbra mai regia: Bruna Fogola interpreti: studenti istituto Pascal e liceo Canossa Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vita altrove regia: Bruna Fogola interpreti: studenti istituto Pascal e liceo Canossa Stelle nere - racconti fra cielo e strada regia: Roberto Iemmi realizzazione: associazione culturale La valigia dell’attore sequenze filmate riprese nel corso dell’iniziativa Certe altre notti svoltasi il 5 marzo 2010 al Csa Tricolore Riprese e montaggio: Alessandro Scillitani

• Testimonianze di studenti e studentesse Le donne nei media: l'opinione di giovani del liceo Moro e degli istituti Pascal, Nobili, Secchi, Iodi e Scaruffi-Levi-Città del Tricolore presentate in occasione dell'incontro con Lorella Zanardo autrice del libro-documentario Il corpo delle donne avvenuto il 26 aprile 2012 nell'aula Pietro Manodori dell'Università di Reggio Emilia e organizzato dalla Provincia di Reggio Emilia Riprese e montaggio: Alessandro Scillitani

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prefazioni


Relazione e dialogo Quale eredità La cura genera cura Stagione avara verso le giovani generazioni Relazione e dialogo Assenza di pregiudizio Nuovi scenari Partita di democrazia Cittadinanza attiva Rispetto per la libertà e la dignità Violenza sulle donne Conoscere i giovani è conoscere il futuro


Conoscere i giovani vuol dire conoscere il futuro. L’incontro con le giovani generazioni ci interroga come adulti, città e comunità. Ci chiede cosa vogliamo consegnare loro come eredità; quali strumenti e opportunità siamo in grado di mettere loro a disposizione perché diventino cittadini consapevoli e competenti. Abbiamo una responsabilità verso il nostro stesso futuro, i più giovani che ci passano accanto nel loro ritmo impetuoso. Il resoconto dell’impegno della concittadina Rosa Galeazzi e del pool di esperti, che si sono dedicati all’educazione ai sentimenti nelle nostre scuole, descrive come questo compito si sia tradotto in azione, pratica quotidiana, relazione tra generazioni, conoscenza. Sono anni molto difficili, quelli che stiamo attraversando. Se guardiamo alla prima decade del terzo millennio, infatti, la vediamo dapprima ostaggio della paura, poi liberata dalla primavera di tanti popoli, ma attanagliata dalla crisi economica, e la vediamo avara rispetto alle giovani generazioni, se non di quel mondo. Guardando poi all’Italia negli anni appena trascorsi, sono stati messi in circolo modelli di vita falsi che non ci hanno aiutato a crescere come persone e come cittadini. Un 'vinca il più forte', se non il più furbo, che è tutto il contrario di ciò su cui si fonda la coesione di una comunità. È qui che, con semplicità e dirittura morale, si è fatto strada il lavoro di Rosa e compagnia, che ha poggiato su imprescindibili fondamenta: la relazione e il dialogo, lo sguardo chiaro e l’assenza di pregiudizio, il rispetto, la passione per l’essere umano e per la convivenza. In questo modo, questa équipe di appassionati si è fatta breccia nel travaglio delle scuole e nei percorsi di ragazze e ragazzi, aprendo loro nuovi scenari, nuove scale di valori, nuove possibilità di felicità.

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Ciò che non sarebbe mai stato argomento di dialogo con un genitore, è diventato in queste lezioni oggetto di confronto comune, un modo per guardare sé e gli altri allo specchio, una pratica di democrazia. La cura genera cura, l’attenzione genera attenzione: questa è la catena che mette in moto la cittadinanza attiva. Un grazie, quindi, a tutte e tutti coloro che hanno reso possibile questo confronto, in appoggio a docenti e dirigenti, aprendo occhi mente e cuore di studenti e studentesse su un alfabeto dei sentimenti che li aiuterà certamente ad essere cittadini responsabili, quelli che parlano al 'noi' e che, con il loro impegno, aspirano alla felicità pubblica, cioè per tutti. Graziano Delrio Sindaco di Reggio Emilia


La violenza sulle donne e, in generale, la mancanza di rispetto nei confronti della figura femminile sono un fenomeno ancora diffuso che riguarda diversi ceti sociali. Il percorso per contrastare i pregiudizi e l’intolleranza di genere, soprattutto nei confronti delle donne più deboli, è lungo e faticoso, ma i risultati raggiunti ci motivano a proseguire, insieme alle associazioni e con le scuole che come noi hanno creduto fin dall’inizio e fino in fondo al progetto Educare ai sentimenti. Per questo la Provincia di Reggio Emilia lavora da anni, e continuerà a farlo, per stare al fianco dei ragazzi nei momenti più delicati ed importanti della loro formazione, come giovani adulti, come persone che scoprono i sentimenti, come cittadini che iniziano ad agire in una comunità avendo sempre grande rispetto per la libertà e la dignità di tutte le persone. Sonia Masini Presidente della Provincia di Reggio Emilia

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Ringrazio, a nome dell’associazione Rabbunì, dello spazio che ci è stato concesso e che ci fa riflettere su questi anni in cui, insieme al gruppo di lavoro che fa capo a Rosa Galeazzi, abbiamo provato a camminare con alcune classi delle superiori sul tema della prostituzione. Ci siamo limitati a quest’ultimo 'tema' e nel momento in cui il progetto nel suo complesso si è ampliato, abbiamo fatto la scelta di agire autonomamente. Crediamo che questo sia stato un fatto positivo perché ci siamo resi conto, in questi anni di cammino, delle necessità di approfondire, preparare, verificare la nostra 'attività'. Il problema, di cui siamo consapevoli, è che in un percorso di questo tipo si è efficaci quanto più si è preparati con una competenza che deve avere sempre più carattere rigoroso. Questo deriva dal fatto che l’ 'argomento' riguarda persone che soffrono, vittime di tratta a scopo di prostituzione. Naturalmente la loro condizione è conseguenza anche di un nostro modo di vivere che, più che l’attenzione alle persone, mostra interesse 'alla' persona generando individualismo, se non peggio. La realtà della tratta ci dice che con denaro si esercita un potere per il proprio piacere. Si coglie immediatamente come non basti fermarsi alla denuncia di questo fenomeno, ma come occorra proporre uno stile di vita che vada al di là di scorciatoie che, nel migliore dei casi, nascondono la realtà. Condizione, quest’ultima, che è peggiore della precedente. Si tratta di scegliere logiche di povertà (non di miseria), invece che logiche di denaro; logiche di servizio, invece che logiche di potere; logiche di dono, anziché logiche di piacere. Questo pensiamo sia anche la novità che in termini etici ci ha portato il Cristo.

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Siamo consapevoli che, nel rispetto delle provenienze culturali diverse, questo sia ciò che coglie meglio la complessità della realtà della tratta. Il passo ulteriore è quello di individuare il motivo per il quale si sceglie di vivere, testimoniare e proporre un certo stile di vita. Il motivo è ricondurre ad un concetto che è sempre più urgente e attuale, quello di alleanza. L’alleanza evoca un legame, una volontà di compromettersi e di dare la vita, un essere tu per l’altro, un sentire l’altro come integrante del tuo esistere. Dice condivisione nelle pene, capacità di rallegrarsi nelle gioie, ma soprattutto dona la consapevolezza di vivere e di essere di qualcuno per il quale l’appartenenza non è schiavitù, ma volontà di donarsi. Questo è ciò che abbiamo maturato in questi anni di cammino, anche per la volontà di chi ci ha creduto. don Daniele Simonazzi Associazione Rabbunì

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introduzione


Ponti di comunicazione Occhi azzurri Apparire ed essere Dare loro fiducia Spazi di civiltà e rispetto a scuola Narrazioni vere e crude Pedalando pedalando Cuore aperto Comunità solidale Generazione digitale Buone idee per la comunità Tradizione Parole e musica Riflessioni Tracce I ragazzi sono incredibili Gnocco fritto e ballo liscio


Briscolate e tombolate, gnocco fritto e ballo liscio, gare di bocce e di pesca sono fra le più frequenti attività dei centri sociali. Succede anche al Tricolore, agli Orti Montenero e ai circoli Arci come La Fornace e il Pigal che si trovano nel quartiere di Santa Croce esterna, nella Circoscrizione Nordest di Reggio Emilia. Promuovono infatti attività associative e ricreative principalmente per chi ha raggiunto la terza età, com’è nella loro funzione conclamata. Rosa Galeazzi, che di quel mondo fa parte, non si accontenta. Evidenzia che nel loro statuto i centri sociali auspicano anche la possibilità che gli associati possano mettere la loro esperienza a disposizione delle giovani generazioni del territorio, a partire dalle scuole, per creare possibili ponti di comunicazione e dialogo. Scoperto, detto e fatto. Così Rosa, una donna minuta, ma tenace come poche, ha creduto che fosse giusto investire tempo ed energie – lei che era già nonna e ora anche bisnonna – per contribuire a portare nelle scuole, a ragazzi dai 14 ai 19 anni, ulteriori motivi di riflessione su segni del nostro tempo, di degrado del nostro tempo. Un’epoca che ha imposto modelli basati più sulla furbizia che sul merito, più sull’apparire che sull’essere, più sulla mercificazione del corpo che sulla dignità della persona; un tempo in cui si registrano più che mai violenze di genere o di gruppo e atteggiamenti d’intolleranza verso chi viene d’altrove. L’idea è di promuovere a scuola spazi di civiltà e rispetto dell’altro. Animata della sua carica umana e ideale, con consensi strappati o adesioni convinte dei centri sociali, Rosa percorre in bicicletta le strade di Santa Croce, fra la sede della Circoscrizione – prima in viale Ramazzini e poi in via Adua – e quella dei centri sociali e circoli, dal Tricolore in via Agosti, agli Orti in via Montenero, fino allo stadio Giglio dove si trova il Pigal. Ancora in bicicletta fino al polo scolastico di via Makallè, senza dimenticare prima una sosta al vicino circolo La Fornace in via Cisalpina. E 23


poi ancora pedalando per raccogliere sostegni da enti, associazioni, cooperative e aziende per il progetto che dal 2001 si chiama Educare ai sentimenti contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza. L’auto arriverà più tardi, quando il progetto si espanderà ad altri istituti scolastici in città e provincia. Rosa si muove in quel modo delicato che la contraddistingue, ma che non dà scampo, quando ti punta addosso gli occhi azzurri centrati sullo scopo. Un modo solido e perseverante che la caratterizza, anche in passaggi provanti della sua vita personale, come nell’estate del 2009 quando, colpita da emorragia cerebrale, si vede costretta a recuperare un poco alla volta funzioni abituali di parti del corpo. Lo fa senza grandi drammi, gioiendo della conquista di ogni piccolo passo. Quando lei ha una convinzione, la sa trasmettere e sa coinvolgere. È una passione che le viene da dentro. Vuoi per data di nascita – nel 1938, il 24 giugno, nel calendario il giorno di San Giovanni Battista – vuoi per le sue esperienze lavorative durate giusto 50 anni alla Camera del Lavoro, in cui difendeva chi subiva infortuni o malattie professionali. O forse perché è nata in campagna, nell’ultima casa di Fabbrico prima di Reggiolo, sul Cavo Fiuma, in una grande famiglia contadina e in una comunità solidale, come si racconta in queste pagine. "Perché non devo portare i miei valori alle nuove generazioni?", risponde spesso Rosa a chi le chiede ‘Come mai?’. Non perché veda i ragazzi d’oggi perduti o dissoluti, come spesso succede a chi contrappone la propria generazione a quelle successive. Anzi, li trova incredibili, forse a volte confusi, ma "Basta parlarci, ascoltarli e dare loro fiducia", sostiene. "La violenza, la sopraffazione, la paura del diverso – dice Rosa – sono fenomeni che vanno affrontati parlandone a cuore aperto, con chi interpreta quei temi partendo da età ed esperienze diverse. Noi lo facciamo con letture, dialoghi, ascolti che possano portare a chiarire i diversi punti di vista sui fenomeni, non semplicemente per condannarli, ma per capirli e superarli". Il suo obiettivo è infatti il dialogo: "Il nostro progetto per le scuole secondarie superiori – afferma – non deve arrivare da un’associazione autonoma che si occupa specificamente dell’edu24


cazione, ma deve avvenire in un contesto di relazioni e di valori che permetta alle generazioni di colloquiare". Sono passati più di dieci anni da quando il progetto Educare ai sentimenti, contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza è entrato in molti istituti scolastici secondari di secondo grado della città e della provincia. Ovvero dirigenti, insegnanti e anche rappresentanti degli studenti hanno scelto di sviluppare – durante la quotidiana didattica scolastica o nel monte ore – i temi che il Progetto propone attraverso lezioni frontali e con l’ausilio di mezzi audiovisivi, per mezzo di laboratori e rappresentazioni teatrali. In queste pagine si racconta com’è nata questa volontà e come poi si sono aggregati i docenti; si descrive la preziosa presenza dei volontari e di coloro che hanno anche sostenuto finanziariamente l’iniziativa: istituzioni, aziende e privati cittadini. Recentemente il Progetto ha anche avuto un contributo dal bando del Comune di Reggio Emilia “I reggiani, per esempio”, che finanzia coloro che hanno buone idee da mettere in pratica per la comunità. Questa pubblicazione raccoglie frammenti dell’esperienza che si è sviluppata durante questo decennio nelle varie scuole, coinvolgendo centinaia e centinaia di studenti. Cosa pensano i giovani del corpo che vantaggiosamente si può vendere; quali sono le difficoltà di relazione con l’altro sesso o con chi porta una cultura diversa dalla propria. E ancora sui disagi della scuola fra la tradizione e la generazione digitale, fra l’etica e la cultura dell’ 'usa e getta', fra l’aggressività e la consapevolezza, fra le risorse e i cambiamenti. Interviste, dialoghi fra studenti e docenti; riflessioni sull’immagine e la mercificazione della donna; poi narrazioni vere e crude e le poetiche di chi non ha voce per raccontare. Un capitolo è dedicato alla giornata dell’8 marzo, un appuntamento che è diventato parte costituente del Progetto. Un giorno in cui parole e musica si incontrano, in cui si esibiscono insieme musicisti affermati e giovani studenti con le loro performance. Preziosa, infine, la testimonianza di don Andrea Gallo, un prete, un educatore che vive a tempo pieno, nella sua Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, con gli ultimi, i poveri, gli emarginati. 25


Pagine che solo schizzano un percorso, che appena depositano pensieri, non per mero spirito storico-archivistico nĂŠ celebrativo, ma per sprazzi di riflessione. E per lasciare qualche traccia di quella storia di donne e uomini di questa terra reggiana, ancora cosĂŹ ricca di chi sa spendersi per i valori in cui crede. Lucia Zanetti curatrice del volume

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a partire da qui


Calma Regole della collegialità Curiosità Coesione Condividere con gli altri Giovani straordinari Rispetto per l'età Generazioni a colloquio Guardare con occhi diversi Dare quello che si sa Sentimenti Sete di conoscenza I pensieri e gli affetti Stupirsi e vedere il bello Valori di comunità No alla mercificazione Campagna


Profumo di campagna

I ricordi, la sequenza degli avvenimenti, tutto si snoda come grani di rosario nella memoria di Rosa Galeazzi, mentre ti racconta dell’infanzia vissuta in campagna nella terra degli ‘scariolanti’, dei corsi della Cgil a Roma, del lavoro all’Inca durato 50 anni, fino alla nascita del progetto Educare ai sentimenti. Ad ogni passaggio lo stesso denominatore comune: curiosità, determinazione, voglia di comunicare, di creare contatti, di vivere esperienze. Ma anche di conoscere il nuovo, le nuove generazioni. Quando parla dei giovani, gli occhi le brillano e le rughe intorno si rialzano. È capace di stupirsi e di vedere il bello. Del resto, come avrebbe potuto altrimenti applicare la sua caparbia costanza andando, per oltre un decennio, al di là di tutti gli ostacoli nel voler proporre alle scuole secondarie di secondo grado questo progetto sull’educazione ai sentimenti. Perché, fra le cose importanti per Rosa, ci sono certamente i valori di solidarietà, di coesione sociale e d’interesse affettuoso e curioso verso le nuove generazioni. E che c’entra un pezzo della sua storia personale in questa pubblicazione che vuole parlare di un progetto? C’entra. Perché ciascuno dà quello che è, quello che ha costruito con i suoi pensieri e le sue passioni. Che diventa un bene collettivo. I ragazzi percepiscono istintivamente l’approccio sincero di Rosa, l’ascoltano e la trattano con rispetto. E fa bene immaginare, sentire che chi ti precede nell’esperienza non è separato da te, ma semplicemente ti passa il timone che, in questo caso, sa di buon profumo di campagna, di solidarietà e di passione civica.

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DOVE SONO NATA IO C’ERANO SEMPRE BUONe RAGIONI PER PARLARSI Rosa Galeazzi, promotrice e responsabile del progetto Educare ai sentimenti, si racconta

Ciò che maggiormente ha forgiato la mia personalità e il mio modo di pensare è stato senza dubbio l’avere trascorso i primi 20 anni della mia vita in campagna. La nascita e lo sviluppo del progetto Educare ai sentimenti è stato sicuramente influenzato da quella condizione. Sono molto innamorata dei luoghi della mia infanzia e adolescenza, luoghi di acqua, di terra e di animali. Ricordo le magnolie nei fossi, le ninfee, le rane che erano talmente veloci e furbe da non farsi mangiare dalle bisce. Ti puoi rifugiare in quella calma che è cresciuta con te anche quando vivi in città, dove io Rosa con genitori e fratelli abito dal 1958. In questo modo le tensioni e le pressioni perdono il loro mordente, sfumano i loro contorni più aggressivi. E puoi vedere con più chiarezza. Quindici anni li ho vissuti a Fabbrico, nell’ultima abitazione sul Cavo Fiuma. La nostra casa era proprio vicino al fosso e la Fiuma la separava dal Comune di Reggiolo. Una zona che è diventata poi centrale nella lotta dei braccianti che rivendicavano una paga giornaliera contrattuale, una regolamentazione del loro rapporto di lavoro. Le loro lotte sono raccontate nella famosa canzone degli ‘scariolanti’, di cui saprò solo quando andrò a Roma, a un corso della Cgil. Lì era docente Giuseppe Di Vittorio e sarà proprio lui a parlarmene.

UOVA, PANCETTA E CIAMBELLA I miei genitori erano contadini di un ampio podere di 60 biolche. Una grande famiglia di 27 persone: noi eravamo in quattro fratelli, più altri quattro figli del fratello di mio padre, poi tanti 33


cugini, zii e nonni. Era una grande casa dove, senza volere, si imparavano le regole della collegialità. I bambini andavano a scuola e non potevano fare colazione senza che prima i capifamiglia si fossero seduti a tavola. C’era la lunga tavolata degli uomini che tornavano dai campi, poi una più piccola per le donne e i bambini. La colazione che preparava mia sia vecía (zia vecchia) sembrava quasi un pranzo perché c’erano le uova cotte, quelle strapazzate, la pancetta, il pane, la ciambella. Ancora oggi per me la prima colazione è un momento molto importante di incontro famigliare, anche in questi tempi così convulsi, in cui ciascuno schizza via verso i propri impegni quotidiani. La nostra era una famiglia cattolica che viveva lontano dal paese e che, per quello che ho capito io, non aveva nemmeno vissuto la Resistenza. L’unico ricordo che ho della Resistenza è il passaggio dei nazisti sul Cavo Fiuma. Per La casa d’infanzia di Rosa vicino al Cavo Fiuma rappresaglia contro i contadini che avevano aiutato i partigiani, sgozzarono i loro animali. Di questo gravissimo episodio ho l’immagine impressionante del Cavo Fiuma insanguinato. Per la nostra famiglia, i figli non dovevano essere legati agli avvenimenti degli adulti. Se nonché io, allora come ora, ero curiosa da morire e volevo capire vedendo. Ho detto a mio padre “adesso io ci vado sulla riva della Fiuma, che voglio vedere questo disastro”; “No tu non ci vai” aveva deciso. Ma mi ha visto tanto ostinata che ha ceduto e mi ha anche accompagnato, perché era pericoloso avvicinarsi. Nella zona in cui sono cresciuta da bambina, le famiglie erano molto affiatate, c’erano sempre motivi per essere in relazione, parlarsi e prestarsi cose. Molte delle attività i contadini le facevano insieme, come la mietitura, la battitura, la vendemmia, ma anche i balli nelle aie. Ho avuto quindi la fortuna di crescere in un ambiente 34


dove le cose che non si devono fare si evidenziano subito e sono condannate. È invece accettato quello che si realizza in armonia, che si può condividere con gli altri. Sono cresciuta in una scuola dove le persone si guardavano, si parlavano, si confrontavano, si aiutavano. Il mondo contadino, per quello che ricordo io, esprimeva una grande civiltà, un’alta solidarietà e faceva crescere i pensieri negli affetti. Quello che sono oggi lo devo alla mia famiglia d’origine, ricordo mio padre Vittorio, i miei fratelli, Guerrina e i figli; e anche alla famiglia che ho costituito: mia figlia Marina, mio marito Luciano, mia nipote Irene e la piccola Sofia.

DI VITTORIO E IL 7 LUGLIO 1960 Il mio ambiente famigliare e comunitario è stato quindi una grande scuola di vita, mentre la scuola istituzionale l’ho frequentata per poco tempo. Tutti quelli della mia generazione, soprattutto nelle zone rurali, arrivavano al massimo alla quinta elementare, Rosa a scuola me compresa. Ho quindi imparato a fare la magliaia e anche un po’ la sarta perché non si poteva passare il tempo in strada. Poi a 15 anni sono andata a lavorare in una fabbrica di camicie a Carpi con le mie amiche. Eravamo in 300 operaie senza nessuna assicurazione. Aderisco a un grande sciopero per avere il riconoscimento delle paghe. La fabbrica chiude e licenzia tutte, non senza avere chiesto a me e a qualcun’altra di rimanere dentro, "No – ho detto – o tutte o niente". In quei tempi, gli ‘interessi’ della famiglia contadina li faceva il capofamiglia, che normalmente era il nonno. Tutti gli altri, uomini compresi, erano ‘subordinati’. Lo erano soprattutto le donne che tuttavia godevano di rispetto perché lavoravano sia in campagna che in casa e si prendevano cura dei figli e degli anziani. Però io 35


ho il ricordo di mio padre che diventa un punto di riferimento per il mondo contadino, prima come presidente della cooperativa moto aratori e poi del molino cooperativo della Bassa, che successivamente si chiamerà Progeo. Ed è a causa di questa stima che proprio a lui, poco tempo dopo il mio licenziamento dalla camiceria, si rivolgeranno i segretari delle Camere del lavoro di Fabbrico e Rolo, per vedere se io potevo fare un’attività di sostegno alle braccianti quando c’era da presentare domanda di assistenza, di indennità di parto, di disoccupazione. Pensavano che io fossi adatta a fare quel lavoro di comunicazione con le persone, anche perchè potevo spiegarmi pure in dialetto, anzi, soprattutto in dialetto. Poi succede che il direttore dell’Inca, il patronato della Cgil – che allora era Ivano Pezzarossi, un grande, un’università parlante – capisce che un conto era la voglia di agire e l’essere amata dalla gente, un conto era anche avere le conoscenze per dare le giuste informazioni. Quindi decide di mandarmi a Roma a un corso nazionale per diventare assistente sociale di fabbrica. Il corso era promosso dall’Inca Cgil e pagato dal Ministero del Lavoro e la sede era proprio accanto alla scuola nazionale della Cgil, di cui Di Vittorio era il segretario nazionale. Sei mesi a Roma, senza mai tornare a casa, mettono le ali alla mia mente: tutto quello che vedo è fantastico, tutto quello che leggo è straordinario. Mi ritrovo assetata di conoscenza, la mia curiosità galoppa e da allora non si è più fermata. Ivano Pezzarossi per l’Inca e Walter Sacchetti per la Cgil decidono quindi di assumermi per la sede di Reggio. E così comincia la mia storia di lavoro e di passione durata cinquant’anni, con momenti fin da subito molto drammatici, come quello del 7 luglio 1960. Era mia la voce che, dall’altoparlante montato sulla Fiat 600, annunciava in città lo sciopero politico contro il Governo Tambroni. Ed ero su quella stessa auto – nell’attuale piazza Martiri del 7 luglio gremita da migliaia di persone – quando cominciarono ad alzarsi i fumi delle bombe lacrimogene e a scoppiare i colpi di arma da fuoco che lasciarono poi sul selciato ‘i morti di Reggio Emilia’. È stato Renato Ferraboschi, che guidava l’auto, a salvarmi dai proiettili. Davanti al sagrato della chiesa di San Francesco lui urla, implora: “vai a casa, vai a casa!” Sono già madre di una bimba di due anni e volo via, mi infilo dietro alle autolettighe che 36


portano i feriti all’ospedale – allora era in centro, in via Dante Alighieri – ed entro in casa in via Sessi. Ma, come ai tempi della mattanza sulla Fiuma, non mi persuado, voglio vedere e vado in solaio con vista sulla piazza: piena di fumo, della disperazione delle persone, di barelle che corrono con i feriti, un pandemonio. Un’esperienza che ha lasciato un marchio, l’impegno per portare avanti gli obiettivi in cui credo.

LA SCUOLA SERALE, LA CAPARBIETà E LA PASSIONE Il sindacato è stato senza dubbio un ottimo terreno per esprimere la mia convinzione, la mia caparbietà. È successo fin dalla gavetta, ovvero da quando semplicemente compilavo le domande di maternità delle braccian- Il Cavo Fiuma ti di Fabbrico che avevano lavorato nelle risaie, ed è continuato quando ero all’Inca provinciale e anche quando ho dato vita e gestito il dipartimento di prevenzione della Cgil provinciale, da dove passavano i riconoscimenti dei danni biologici derivati da infortuni sul lavoro. Qui riuscivi ad avere un riscontro positivo solo se dimostravi che la causa era la mancata applicazione delle norme di sicurezza. Non mi andava che i lavoratori, oltre ad aver perso la salute, non avessero riconosciuto che quella situazione derivava dalle condizioni di lavoro. Ero meticolosa nel costruire le pratiche, nel fare ricerche sul campo, nel coinvolgere lavoratori, medici e laboratori chimici. La cosa più importante per me era smaltire quei dossier che avevo sulla scrivania. Se lavoravo solo otto ore mi sembrava di essere in cassa integrazione a orario ridotto. Così non mi rimaneva che preparare a casa, all’ultimo momento, le lezioni che dovevo tenere, magari il giorno dopo in Sardegna.

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Sì, ho fatto anche esperienze di docenza. All’Inca nazionale ritenevano che io potessi spiegare come si faceva ad impostare una pratica, ottenere un esito positivo e come fosse importante descrivere i metodi che avevamo cercato di acquisire a Reggio. M’intimoriva sempre un po’ questo tipo di richiesta rivolta a me, una piccola donna di provincia con la quinta elementare che poi aveva voluto a tutti i costi prendere almeno un diploma, per non sentire questo grande divario fra lei e i suoi interlocutori. Infatti un giorno i miei amici Elia Pomidoro e Rolando Cavandoli mi iscrivono alla scuola serale Ars et labor. Lì si potevano fare più anni contemporaneamente e si sostenevano gli esami d’estate. A 25 anni ottengo anch’io quella carta agognata che mi riconosce segretaria aziendale. Mi sono poi anche cimentata in due concorsi pubblici, uno per la segreteria della Casa di riposo e l’altro per la segreteria del sindaco Renzo Bonazzi. Perché in casa, ogni tanto, usciva l’idea che non sarebbe stato male avere un impegno di lavoro di 36 ore settimanali. Ho vinto entrambi i concorsi, ma ho sempre finito col rinunciarvi. A me piaceva l’attività che stavo facendo all’Inca. Lì dovevi studiare ogni volta per riuscire a risolvere il caso. Un risultato positivo avrebbe fatto la differenza nella vita di quel lavoratore. E a quel punto non importava di quante ore avevi avuto bisogno per realizzarla. Poi ho sempre sostenuto che, una volta in pensione, avrei frequentato l’Università della terza età, ma ce l’ho fatta a farmi ancora coinvolgere, questa volta a tempo pieno, dal progetto Educare ai sentimenti in modo tale che ho tempo di leggere il giornale solo nel pomeriggio o alla sera, come quando ero all’Inca o quando ero alla presidenza del Comitato Consultivo provinciale dell’Inail.

IL PEDIBUS E L’ACQUA PER LA PASTA È stato poi anche molto naturale appassionarmi per un lavoro sul territorio quando, negli anni Ottanta, mio marito Luciano ed io ci siamo trasferiti nel quartiere di Santa Croce esterna. Per me legarmi al luogo significava farlo attraverso i Centri sociali e il partito, sempre lo stesso, anche se nel tempo ha cambiato la sigla: Pds, Ds, Pd. Dopo essere stata impegnata nelle commissioni di lavoro della Settima Circoscrizione, mi è stato proposto di 38


lavorarvi come consigliere; l’ho fatto dal 1999 al 2004, dove sono stata anche responsabile della commissione cultura. Ti coinvolgi quando ci sono situazioni che ti convincono, perché è vero che in Circoscrizione si svolge un’attività di tipo amministrativo, ma questa ha valenze sociali, umane e hai necessità di consultarti con le persone. Negli ultimi anni è stato poi un piacere fare l’accompagnatrice di Bicibus e Pedibus. Ovvero facevo la ‘nonna’ che accompagnava a casa un gruppetto di bambini della scuola primaria Collodi. Ho aderito perché era semplicemente bello potere essere di aiuto a qualcuno che non poteva recuperare il proprio bambino a scuola. Ma l’ho fatto anche per potere scambiare parole con queste nuovissime generazioni, per essere Vittorio, il papà di Rosa, con la in contatto con loro. nipotina Marina È la stessa spinta che mi fa portare avanti il progetto Educare ai sentimenti. Sono cresciuta con questi valori di comunità che anche il mio interesse per la politica e il sindacato hanno accentuato e dai quali ricevo molto in cambio. Dopo che ho avuto l’episodio di emorragia cerebrale che mi ha colpito nell’estate del 2009, non posso più fare volontariato al Pedibus e al Bicibus nel quartiere. Ora, quando incontro per strada quegli stessi bambini, loro mi salutano, si fermano a parlarmi e mi chiedono cosa possono fare per me. Lo trovo bellissimo e commovente. Posso dire di essere stata fortunata anche negli affetti. Mio marito Luciano è stato vicinissimo a me durante questo periodo di lento recupero, di conquista giornaliera della funzione di ogni singolo muscolo, che prima davo per scontato e che forse non sapevo nemmeno di avere. Ho avuto molto vicino anche mia figlia e mia nipote che ora mi ha dato una pronipote. E poi c’è anche la soddisfazione di riconquistare possibilità di vita, di sperare che andrò di nuovo a passeggiare nei parchi della Val D’Aosta. Me lo auguro. Mi dico che se ho imparato di nuovo a camminare in via 39


Adua e in via Veneri, potrò forse camminare anche in un sentiero di montagna. Posso comunque guardare a questa mia nuova situazione con accanto un uomo che mi appoggia. Luciano è stato un marito molto comprensivo e solidale, anche quando lavoravo moltissime ore al giorno. Lui sapeva che occorreva passione in quell’attività e che quindi tutto poteva debordare a favore di questa. Chi arrivava per primo a casa metteva l’acqua a bollire per la pasta. Abbiamo avuto la stessa voglia di fare, di condividere, lo stesso desiderio di non ostacolarci mai. E ora, da quando c’è il Progetto per la scuola, non faccio nulla se prima non mi misuro con lui, con il suo parere equilibrato e lungimirante.

EDUCARE AI SENTIMENTI: PROLOGO La nascita del progetto Educare ai sentimenti contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza ha un prologo, che si può datare 1999/2000. In quel momento si stavano diffondendo numerose e gravi notizie di violenza sulla donna, tanto da indurre il Comune di Reggio Emilia ad aprire la Casa delle donne, in via Melegari, nel nostro quartiere di Santa Croce. Nei pensieri delle persone che frequentavano gli ambienti dei centri sociali, ma anche in quelli dei componenti le commissioni dell’allora Settima Circoscrizione, vi era incredulità. Non si riteneva possibile che la violenza alle donne in famiglia avvenisse anche nel nostro territorio comunale. Più verosimilmente era cronaca da giornali, televisioni, non poteva essere fra noi. Allora abbiamo pensato di divulgare i dati del fenomeno attraverso i nostri centri sociali in occasione delle loro iniziative di aggregazione, a volte interrompendo il gioco della tombola o delle carte. Siamo stati aiutati in questo dalle volontarie della Casa delle donne e dall’associazione Nondasola. Le informazioni venivano date anche durante la serata celebrativa dell’8 marzo, dove le associazioni Nondasola e Rabbunì ci portavano a conoscere realtà di disagio e di violenza proprio vicino a noi. Ricordo in particolare una significativa serata dell’8 marzo in cui fummo ospitati da don Vittorio Chiari dell’oratorio Don Bosco e precisamente al Teatro Regiò di via Agosti. È naturale che poi nascesse la domanda: “Perché non educare al rispetto i giovanissimi, già a partire dalle scuole?”. Così, insieme alle volontarie della Casa delle donne, si pensò a un

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progetto di sensibilizzazione e di educazione all’interno dell’Istituto comprensivo Galileo Galilei, in cui era preside Saverio Maccagnani. Sono stati anche raccolti fondi di sostegno per l’attività della Casa delle donne, così come per l’associazione Rabbunì di don Daniele Simonazzi che, dalla sua parrocchia di Pratofontana, lavorava e lavora per ridare dignità alle ragazze di strada.

EDUCARE AI SENTIMENTI: NASCITA E SVILUPPO Dopo l’esperienza con la Casa delle donne, nel 2001 nasce il progetto Educare ai sentimenti. Germoglia dalla voglia di espandere queste informazioni, non solo sulla violenza di genere e non solo nel territorio della Settima Circoscrizione. L’idea è di proporre un percorso educativo alle scuole secondarie superiori per prevenire ogni tipo di violenza e sopraffazione, compreso quello della prostituzione. In quegli anni la prostituzione stava diventando un fatto imponente, legato anche alla tratta delle persone di certi fenomeni migratori. Parlare di prostituzione nelle scuole, non era solo per leggerla con occhi diversi, ma anche per contrastare quella cultura della mercificazione che si stava imponendo e da cui anche i giovani erano toccati. Un tema a cui ci aveva particolarmente sensibilizzato il lavoro di don Daniele Simonazzi. Ho appoggiato e coordinato allora la formazione di un gruppo composto dallo psichiatra sessuologo Roberto Iemmi e dalla psicologa Barbara Corradini, a cui si è aggiunta la preziosa collaborazione di don Daniele Simonazzi, di Giovanna Bondavalli e Daniele Marchi, sociologo dell’associazione Rabbunì. È poi arrivata l’attrice e regista Bruna Fogola perché volevamo proporre alle scuole, non solo le lezioni frontali con l’ausilio di mezzi audiovisivi, ma anche laboratori teatrali. Negli anni collaboreranno altre figure come le psicologhe Linda Battilani, Nicoletta Spada, Francesca Muscarello, oltre che docenti puntualmente preparati su specifiche tematiche, in particolare sulla violenza fra adolescenti, il cosiddetto bullismo. Negli anni scolastici 2010-2011 e 2012 abbiamo avuto anche la preziosa collaborazione di Fabio Montanari, Roberta Mori e Celestina Tinelli che hanno portato nelle classi il dibattito intorno al video documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo,

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con cui si crea consapevolezza intorno all’immagine del femminile utilizzata nella tv italiana. Nel 2011-2012 collabora anche la giovane psicologa Giulia Ronzoni, che ci accompagna sui diversi temi, sia nella scuola che sul territorio. Altri professionisti ci hanno seguito nei nostri momenti di formazione e approfondimento fra cui Matteo Bini, Marco Maggi, Luisa Sironi, Carla e Pina Tromellini. E poi musicisti, tecnici del suono e preziose figure che, con il loro lavoro volontario, hanno sorretto l’organizzazione. Per non parlare delle sponsorizzazioni e il sostegno economico di enti pubblici come la Regione Emilia Romagna, la Provincia e il Comune di Reggio Emilia, l’allora Circoscrizione Settima e poi l’Ottava, la Quinta e poi la Sesta, la Fondazione Manodori, ma anche aziende e privati cittadini. Le prime scuole che aderiscono alla nostra proposta sono gli istituti Matilde di Canossa, Bus-Tcs Pascal, Angelo Secchi, Itis, il liceo Moro e l’Ipsia Lombardini. Le quarte e quinte classi degli istituti Bus-Tcs Pascal e Matilde di Canossa scelgono di approfondire il tema della prostituzione con il laboratorio teatrale in cui gli attori sono gli stessi studenti. La performance viene chiamata Le mie labbra mai. Un titolo individuato dagli stessi ragazzi e dedotto dalle loro ricerche sul fenomeno: sembra infatti che le prostitute vendano sì il loro corpo, che lo facciano per denaro e che a volte siano anche indotte perché schiavizzate, ma che comunque non permettano che vengano toccate le labbra. Il che significa, sì, ti do il mio corpo, ma non i miei sentimenti. La performance verrà rappresentata in varie occasioni a Reggio. Sul tema della prostituzione il Progetto si è anche avvalso della collaborazione sensibile delle due psicologhe Francesca Angelucci e Lisa Castronuovo dell’Unità di strada del progetto Rosemary del Comune di Reggio Emilia. Negli anni successivi anche altre scuole aderiscono al nostro progetto: lo Scaruffi, l’Itas Tricolore, l’Ipsia Galvani, il Chierici, i licei Ariosto e Spallanzani, il D’Arzo di Montecchio, il Russel di Guastalla e il Corso di Correggio. Al Progetto viene richiesto di sviluppare anche altri temi come quello dell’intolleranza verso chi arriva d’altrove. Oltre alle lezioni si crea allora, sempre con la regista Fogola e gli studenti, un altro spettacolo sul tema della coesione Tu che 42


mi guardi, tu che mi racconti, storie di vita altrove. L’argomento è capire che è possibile guardare chi viene da un altro luogo senza prevenzione; che è possibile accettarlo nella sua diversa cultura, tranquillizzarlo e tranquillizzarsi, poiché l’altro è come noi, come il vicino di casa che conosciamo da sempre e di cui non abbiamo nessun timore. Anche l’aggressività fra maschi e femmine viene affrontato e l’Ipsia Galvani e l’Itis Nobili hanno lavorato molto su questo argomento, in particolare con la guida delle psicologhe Linda Battilani e Barbara Corradini. La formula della rappresentazione è stata per noi il mezzo più mirato per raccontare, ma anche quello più diretto per arrivare alla sensibilità e alle emozioni dei ragazzi, per fare crescere la cultura della solidarietà e della tolleranza. Nel 2007 nasce Stelle nere, racconti fra cielo e strada, letture di storie vere di prostituzione – anche inaspettate e mascherate – con musica dal vivo. La regia è di Roberto Iemmi che, con l’associazione La valigia dell’attore, Rosa al teatro Municipale insieme realizzerà pure Ma nei cuori il se- al papà reno, storie allegre e tristi di donne e uomini che viaggiano per il mondo non per piacere, ma perché non hanno scelta. Due performance molto gradite e richieste che proponiamo tuttora in varie situazioni a scuola e nel territorio. A partire dall’anno scolastico 2010-2011, per parlare di violenza di genere, abbiamo utilizzato il video-documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, che indaga e mostra la palese mercificazione del corpo femminile, in particolare nella televisione italiana. Lo abbiamo fatto portando nelle scuole anche nuove figure di docenti che, per la loro professionalità, hanno potuto offrire ai ragazzi altri elementi di conoscenza: Celestina Tinelli, Roberta Mori e Fabio Montanari. 43


L’avvocata Celestina Tinelli – che è stata membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura e che ora è consigliera provinciale di Parità – può parlare delle parti del codice giuridico che si occupano dei reati di abuso e violenza. Può così aiutare i giovani nell’essere più responsabili, nel capire le conseguenze, anche penali, dei propri atti. Roberta Mori è avvocata e presidente della Commissione Pari opportunità della Regione Emilia Romagna. La Regione, come si sa, ha potere di legiferare anche su temi quali la scuola, l’educazione e la cultura. Ed è importante che i ragazzi sappiano che il varo di normative e leggi regionali è il risultato di un dibattito a cui essi stessi possono portare il loro apporto. Un altro e diverso contributo è stato offerto da Fabio Montanari Quattro generazioni al femminile: che ha avuto esperienza come Rosa, Marina, Irene e Sofia assessore alle politiche giovanili in un Comune reggiano; ora è vice presidente dell’associazione Prodigio, che si occupa dei temi del disagio giovanile, per conto della rete dei Comuni della Bassa reggiana. Arriva poi la fattiva e sensibile collaborazione della giovane psicologa Giulia Ronzoni.

L’8 MARZO CON RIFLESSIONI E MUSICA Negli anni il Progetto si è ampliato progressivamente con l’obiettivo di portare nelle scuole occasioni di dibattito, testimonianze e riflessioni su realtà difficili da vedere e da accettare, come la paura della diversità, la violenza come modalità per allontanare ciò che non riusciamo a comprendere o che ci disturba; l’escludere i sentimenti e le emozioni fino a considerare denaro, poteri e beni materiali come finalità fondamentali dell’esistere. Tematiche che abbiamo perfezionato negli anni, anche grazie alla capacità propositiva dei dirigenti scolastici, insegnanti e studenti e i loro organismi di rappresentanza.

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Nella mia esperienza di questo lungo periodo di collaborazione nelle scuole, posso dire che i giovani, se stimolati opportunamente, sono straordinari; si appassionano, si entusiasmano, si impegnano. Siamo stati anche interpellati da loro autonomamente perché hanno ritenuto che il nostro progetto potesse essere di sostegno al loro dibattito. Si è sempre verificato un confronto pieno di dignità, rispetto e accettazione fra le nostre diverse età ed esperienze. Non è vero che oggi i giovani sono semplicemente irrispettosi, lo diventano quando vedono situazioni che la loro purezza interiore non accetta. Vorrei inoltre sottolineare che ho trovato una risposta positiva anche da parte degli insegnanti, che spesso hanno desiderato dare continuità didattica ai temi del Progetto. Dal mio punto di vista, non è perciò vero che la scuola sia disattenta a questo tipo di proposte, occorre semplicemente darle un supporto stimolante. Per incontrare i ragazzi e le ragazze con un linguaggio universale da loro molto gradito, abbiamo utilizzato la musica per sottolineare il valore dell’8 marzo, giornata internazionalmente dedicata alla donna, che per noi significa anche ciò che la donna rappresenta nella società. L’8 marzo diventa così un momento di riflessione fra le parole dei cantautori, la musica e i temi del rispetto che proponiamo. Il programma della giornata viene presentato alla Consulta provinciale degli studenti. All’inizio sembrava che l’offerta fosse un poco ‘forzata’, ora sono loro che la sollecitano. Un criterio che ci ha spesso guidato nella scelta dei musicisti per questa ricorrenza, è stato quello di volere 'mescolare' maestri con allievi o ex allievi, personalità internazionali con i musicisti della scuola di quartiere come il Cepam. Così è stato con il Maestro Hengel Gualdi e Tiziano Bellelli nel 1999; con i musicisti della band dei Nomadi Beppe Carletti, Danilo Sacco e Cico Falcone insieme ai docenti del Cepam: Tiziano Bellelli, Massimo Giuberti, Leonardo e Riccardo Sgavetti, che attualmente fanno parte delle formazioni dei Modena City Ramblers e dei Popinga. La giornata dell’8 marzo viene realizzata soprattutto al Palahockey Fanticini che si riempie di oltre 1.500 studenti e dove si esibiscono gruppi musicali affermati e rinomati fra i giovani, ma anche gli stessi studenti – è il caso degli istituti Bus-Tcs Pascal e Canossa – che preparano appositamente performance durante l’anno scolastico e che poi presentano nell’occasione.

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La musica e le canzoni hanno un effetto unificante, ti ‘parlano’ al di là della lingua e della nazionalità; sono come il ballo e lo sport che accomunano oltre il colore della pelle. Nel 2011, l’8 marzo è stato celebrato in modo nuovo: in particolare i ragazzi del Bus hanno lavorato moltissime ore per elaborare la scaletta della manifestazione in cui hanno scelto gli studenti e i gruppi che si esibivano e omaggiato i cantautori che apprezzavano maggiormente. Lo spettacolo, inoltre, si è svolto nello stesso istituto scolastico ed è stato concluso con i festeggiamenti dell’ultimo di Carnevale.

dal territorio alla scuola e ritorno Il Progetto parte dai centri sociali per andare nelle scuole, ma poi dalle scuole ritorna al territorio arricchito delle riflessioni e delle evoluzioni che i ragazzi hanno contribuito a creare. Il legame fra territorio/scuola/territorio per noi non si scinde mai, tanto che abbiamo sempre accompagnato il nostro lavoro a scuola con iniziative che potessero portare le stesse tematiche alla cittadinanza, per coinvolgerla in ulteriori riflessioni. Lo abbiamo fatto, per esempio, con i laboratori teatrali, le cui rappresentazioni si sono tenute spesso in vari luoghi di Reggio, in provincia e anche in altre città d’Italia. Fra le iniziative di più ampio respiro, voglio tuttavia ricordare il dibattito sul fenomeno della prostituzione che abbiamo promosso il 5 marzo del 2010 e che si è tenuto nel centro sociale Tricolore. Lo abbiamo chiamato Certe altre notti e abbiamo messo intorno a un tavolo la presidente della Provincia Sonia Masini, gli amministratori del Comune di Reggio Emilia Franco Corradini, Natalia Maramotti e Matteo Sassi – rispettivamente assessori alla Coesione e sicurezza sociale, Cura della comunità e Politiche sociali e salute – Nilde Marchesini dell’associazione Rabbunì, Bruno Galloni della Commissione Sicurezza sociale della Circoscrizione Nordest e Giuliano Antonio, sostituto commissario della Questura di Reggio Emilia. È stato un dibattito aperto che ha avuto al centro il tema della dignità della donna, del come è derubato, umiliato e mercificato e degli strumenti possibili a disposizione per contrastare questo fenomeno. Nel corso della serata, è stato anche presentato il laboratorio teatrale Stelle nere – racconti fra cielo e strada. 46


I CENTRI SOCIALI E GLI STUDENTI Educare ai sentimenti è sempre stata una proposta dei centri sociali e dei circoli Arci di Santa Croce nella Circoscrizione Nordest, è in essi infatti che io mi riconosco. Mi sento legata alle istituzioni, a come esse si muovono sul territorio ed è con esse che desidero rapportarmi per stabilire relazioni nella società civile. Il seme del Progetto germoglia in fondo dall’esigenza, nata nel quartiere, di conoscere perché era stata aperta la Casa delle donne. All’epoca svolgevo la funzione di coordinamento dei centri sociali e sapevo che nel loro statuto, oltre alle finalità di luoghi di aggregazione per la terza età, avevano anche quella di individuare come l’esperienza dell’anziano poteva essere messa in relazione agli adolescenti, ai giovani, alle scuole del territorio. Coinvolgerli nel progetto Educare ai sentimenti significava anche dare Un intervento di Rosa al liceo al centro sociale un’occasione diversa Matilde di Canossa dal gioco delle carte, della pesca, del ballo o delle bocce. Un’occasione di informazione, coinvolgimento, scelta. Molti hanno figli, nipoti, pronipoti, il punto è vedere come si possa dare alle nuove generazioni quello che si è imparato della vita, pure avendo avuto disagi diversi da quelli che hanno oggi i giovani. Si chiama ponte fra le generazioni. Si tratta in sostanza di parlare con persone che hanno un’altra mentalità, un altro punto di vista e strumenti così diversi dai nostri come il web e i telefonini. È importantissimo che le generazioni dialoghino fra loro. Per quello che mi riguarda, finché potrò, continuerò quest’attività, sempre all’interno del contesto dei centri sociali. Credo che questo Progetto possa essere realmente percepito come una possibilità di scambio fra generazioni.

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Tempo fa mi ha avvicinato uno studente dell’Istituto Bus Pascal per dirmi che, se come nonna io portavo nella sua scuola un messaggio educativo, altrettanto facevano lui e i suoi compagni andando nei centri sociali ad insegnare l’uso del computer. Una ragazza del liceo Canossa mi ha fermato nel corridoio della scuola per annunciarmi felice che la sua classe sarebbe andata nei centri sociali per conoscere come erano un tempo i genitori e i nonni. C’è una restituzione, c’è sempre una restituzione di quello che si dà. Il nostro Progetto, perciò – ci siamo interrogati anche su questo – non deve essere offerto da un’associazione autonoma che si occupa specificatamente di educazione, ma deve avvenire in un contesto di relazioni e di valori che permetta alle generazioni di colloquiare. Anche se ognuna ha la propria stagione.

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dentro il territorio


Rispetto Un ponte fra noi e i ragazzi Principi condivisi

Temi

Integrazione Relax Bella iniziativa Diamo valore a chi vuol fare Può migliorare la societĂ Condividiamo gli intenti Generazioni a confronto Collaborazione fattiva Proposta che cammina con le sue gambe Centri sociali di attualitĂ


santa croce, i suoi circoli e centri sociali

I centri sociali Tricolore, Montenero, i circoli Arci Pigal e La Fornace hanno una funzione importante nella storia del progetto Educare ai sentimenti. A cominciare dal fatto che la sede legale dell’organizzazione del Progetto si trova al centro Tricolore. Di fatto è proprio nello statuto dei centri sociali che si ritrova il concetto del ‘creare un ponte’ fra le generazioni, tanto caro ai fondatori del Progetto. Un ponte culturale che si può lanciare, un aggancio, una forza, un legame che si può creare. Fra generazioni. Di seguito alcune note per conoscere meglio queste quattro realtà che si trovano nel quartiere di Santa Croce, nella Circoscrizione Nordest. Quindi le dichiarazioni dei quattro presidenti: Antonio Frignani per il Tricolore, Franco Iemmi per il Montenero, Ivano Iotti per La Fornace e Ivano Ballarini per il Pigal.

CENTRO SOCIALE AUTOGESTITO TRICOLORE

Aperto nel 1985, è stato ristrutturato nel 1998. Uno spazio ampio di 6.000 metri quadrati fra sale, aree sportive e gioco bimbi, con 1.500 soci. 53


Ballo, tombolate, competizioni sportive – famoso per le gare di bocce – ma anche cicloturismo, scacchi, biliardo, calcio e poi balli, incontri, dibattiti, gite sociali e gastronomia. Qui una sala è dedicata ad associazioni di volontariato e salute, come l’associazione Alice che svolge un lavoro di prevenzione rispetto all’ictus cerebrale, con sede, uso computer e telefono gratuiti. Sono aperti tutto l’anno e mobilitano molte migliaia di persone. Oltre a offrire ricreazione, giochi e sport, propongono attività di aggregazione, solidarietà, cultura e assistenza. Si finanziano con il tesseramento, un’autogestione scrupolosa e molte proposte. Una grande famiglia costituita, per la maggior parte, da pensionate e pensionati. Centro sociale autogestito Tricolore

(aderisce all’associazione Ancescao) Via Agosti 6 (zona aeroporto - di fronte alle Reggiane) Tel. 0522 516583. www.csatricolore.it, info@csatricolore.it

CENTRO SOCIALE AUTOGESTITO ORTI MONTENERO

Il centro si costituisce nel 1989, poi viene ampliato e ristrutturato nel 2004. Un’area di circa 2.800 metri quadrati, comprensiva di parco, dalla quale sono esclusi i 48 appezzamenti di terreno, di 25 metri quadrati ciascuno, coltivati ad orti.

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I soci sono 120, per la maggior parte in età pensionabile, compresi coloro che lavorano gli appezzamenti di terra. All’interno del piccolo centro sociale funzionano bar e giochi d’intrattenimento da tavolo. Collaborano puntualmente con la scuola primaria Collodi da cui li separa una rete metallica. Centro sociale autogestito Orti Montenero

(aderisce all’associazione Ancescao) Via Montenero, 11 (laterale di via Adua) Tel. 0522 513065

CIRCOLO ARCI PIGAL

Nasce nel 2006 dalla fusione dei circoli Pistelli e Galileo, per collocarsi attualmente nella zona dello stadio Giglio a nord della città. Un circolo Arci con uno statuto da centro sociale. Nei suoi 1.000 metri quadrati di superficie accoglie 1.800 soci. Il Pigal si sovvenziona con le tessere d’iscrizione e con le numerose attività che propone fra cui: discoteca Anni 70 (seguitissima), ballo liscio e non solo, cabaret, con le iniziative del gruppo dei campeggiatori, delle ‘teste quadre’ tifosi della Reggiana, Non solo vela, la sezione cittadina di Emergency e la polisportiva Galileo. In un anno mobilita migliaia di persone. Solo il ballo liscio ne fa arrivare circa 200 che si ripropongono per 40 sabati all’anno.

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Non è un circolo pensato specificatamente per la terza età. Si svolgono progetti culturali e di sperimentazione sociale, in collaborazione con le istituzioni di prossimità. Circolo Arci Pigal

Via Petrella 2 (vicino allo stadio Giglio) Tel. 0522 515287 www.arcipigal.it info@arcipigal.it

CIRCOLO ARCI LA FORNACE

È stato inaugurato nel 1996, prima era un circolo Enel. La sua area di competenza è di circa 2.000 metri quadrati che comprendono, oltre alla struttura del centro, un lago per i pescatori, la pista polivalente, l’area gioco bambini e la casetta per festeggiare i compleanni. I soci sono circa 250, di cui 70 pescatori. I frequentatori del centro sono un migliaio annualmente. Nel lago si tengono le gare della Federazione nazionale della pesca otto o nove domeniche all’anno con circa 150 partecipanti ogni volta. Si possono pescare trote e pesce nero durante tutto l’anno. Nella pista polivalente si tengono serate danzanti e feste; c’è il ballo liscio, ma anche il Dj per i giovani e giornate a tema. E ancora tombolate e iniziative varie a scopo benefico. Circolo Arci La Fornace

Via Cisalpina, 40 (di fronte al pala Fanticini) Tel. 0522 512201 56


TRA UNA TOMBOLA E UN BALLO LISCIO SI CREA UN PONTE FRA GENERAZIONI

Antonio Frignani presidente centro sociale Tricolore

Il progetto Educare ai sentimenti ci riguarda perché qui sviluppiamo anche una parte culturale che, seppur non molto diffusa, a che fare con la storia del centro sociale. La maggior parte delle persone che frequenta il nostro centro chiede che questo sia un luogo di relax e intrattenimento. Ogni giorno abbiamo all’interno almeno 200 persone che altrimenti non saprebbero dove andare per praticare i propri interessi o stare in compagnia. Ma abbiamo anche persone che si attivano per fare proposte culturali come Rosa Galeazzi e noi le appoggiamo. Al Progetto noi offriamo supporto economico, collaborazione fattiva e sede legale. Per noi non è solo ‘disbrigo’ amministrativo, è condivisione dei principi che lo ispirano e valorizzazione dell’impegno delle persone che lo realizzano. Franco Iemmi presidente centro sociale Orti-Montenero

Il progetto Educare ai sentimenti va portato avanti, perché serve a educare i giovani al rispetto l’uno dell’altro e ad approfondire anche il tema dell’integrazione. Noi diamo un aiuto economico, che non è cosa secondaria per il Progetto, perché senza quattrini non si va da nessuna parte. Concordiamo con l’idea di creare un ponte fra noi e i giovani, ma concretamente diventa difficile realizzarlo all’interno del nostro piccolo centro sociale. L’unica attività che riusciamo a portare fuori è quella legata alla scuola primaria Collodi. Collaboriamo con loro già dal 2006: offriamo ai bambini le piantine di pomodoro e gnocco fritto a volontà alla festa annuale della scuola. Per diversi anni abbiamo dato la nostra collaborazione all’iniziativa Cento strade per giocare e ora è arrivata la richiesta di collaborazione della scuola d’infanzia Malaguzzi per la cura degli orti. Continueremo a sostenere il Progetto. 57


Ivano Ballarini presidente circolo Arci Pigal

Educare ai sentimenti è un progetto notevole, che affronta tematiche di attualità, a cui tuttavia noi garantiamo solo un sostegno secondo le necessità. Abbiamo concordato che la sede principale, dal punto di vista economico e di collaborazione fattiva del Progetto, resti il centro sociale Tricolore. È una proposta che cammina con le sue gambe e ha suoi riferimenti autonomi. Non c’è stretta relazione fra l’attività del circolo e quella del Progetto, di cui condividiamo l’obiettivo. Probabilmente, se vorrà mantenere forza nella continuità, il Progetto avrà bisogno di crearsi una struttura ancora più autonoma, perché i centri sociali, in base alla mia esperienza, fanno molta fatica a produrre iniziative insieme. La realtà dei circoli non va mitizzata, ma va dato loro atto della capacità di riuscire a creare varie iniziative gestite dai volontari all’interno della propria struttura, cosa che diventa più complessa quando si tratta di organizzarla sul territorio. L’aggancio ideale con il Progetto può essere trovato nella mission iniziale del circolo, tra le cui finalità ha quella di stare vicino agli adolescenti. Non a caso abbiamo costruito, insieme al circolo Galileo, una polisportiva che si occupa dell’attività giovanile. Abbiamo anche sperimentato una discoteca No alcol per giovani e realizziamo alcune iniziative con gli studenti. Ivano Iotti presidente circolo Arci La Fornace

Il nostro è un centro in cui circolano molti giovani. Se non ci fossero loro, questo luogo sarebbe già chiuso. Anche nel consiglio, su 11 membri, sei hanno dai 20 ai 40 anni. Abbiamo molto puntato a unire i giovani e gli anziani attraverso la condivisione dello svago: si gioca a carte e si guardano le partite di calcio alla televisione, ma si dialoga anche e ci si confronta sulla realtà. Non ci piace infatti vedere gli uni in una stanza e gli altri nell’altra. Ho sempre quindi dato il mio appoggio al progetto Educare ai sentimenti, sia in termini di amicizia, che di supporto economico. L’8 marzo offriamo il pranzo ai musicisti, visto che noi ci troviamo proprio di fronte al palahockey e vicinissimi al polo scolastico. Anche se collaboriamo solo saltuariamente con il Progetto, ne condividiamo gli intenti. È una bella iniziativa che speriamo possa migliorare la società. 58


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il progetto


Sessualità Castità Sentimenti Fedeltà L’illusione dell’apparire L’illusione dello sballo Semplicità Affettività Responsabilità Conseguenze Valore dell’essere Valore dell’avere Altro punto di vista Accoglienza Stereotipi Guardare negli occhi Nuda in internet Emozioni Controllo Buchi emozionali Ragazze di strada


PRIMO: ascoltare i ragazzi [Incontro con i docenti del Progetto]

Intervista a Roberto Iemmi che ripercorre per noi l’esperienza di docenza in alcuni istituti scolastici secondari di secondo grado con i temi del progetto Educare ai sentimenti. Le attenzioni, le illusioni, le difficoltà delle nuove generazioni di fronte ai grandi temi dell’essere e dell’avere, del sesso e delle relazioni, dei sentimenti, delle emozioni o della loro assenza. La questione della prostituzione, in particolare, è invece dibattuta da due docenti del progetto: Barbara Corradini e Giovanna Bondavalli. Ha senso parlare di prostituzione nelle scuole? Le storie dietro le immagini di strada, i giovani e la società mercificante, i luoghi comuni. Poi ci sono le scoperte, le sorprese, le passioni di chi è alle prime avventure professionali, come le giovani psicologhe Francesca Muscarello, Nicoletta Spada e Giulia Ronzoni. Roberto Iemmi

Laureato da più di 25 anni in medicina e chirurgia, si è specializzato in psichiatria, psicoterapia e biosessuologia. Si occupa, fra l’altro, di disagi relazionali, dell’affettività e sessualità, del senso d’inadeguatezza nelle prestazioni professionali, scolastiche o sportive e delle conseguenze di traumi e abusi. È coinvolto nel Progetto, fin dal suo nascere, in qualità di docente, ma anche come regista di alcuni spettacoli realizzati per Educare ai sentimenti. Vive e lavora a Reggio Emilia.

Barbara Corradini

Psicologa con specializzazione in psicoterapia. Ha avuto esperienza pluriennale con il progetto Rosmary 63


del Comune di Reggio Emilia, che è nato nel 1997, e le cui operatrici incontrano le prostitute per strada offrendo dialogo e informazione e, per chi lo desidera, anche aiuto per costruire una vita nuova e diversa. Vi ha lavorato come Unità di strada, incontrando le ragazze che si prostituivano e attivando i loro percorsi di uscita. Coinvolta nel progetto Educare ai sentimenti come docente fin dagli esordi, vi ha collaborato sui temi della prostituzione, della violenza e dell’intolleranza.

Giovanna Bondavalli

Laureata in lettere, lavora come volontaria per l’associazione Rabbunì che è nata nel 1995 dal desiderio di alcuni cristiani di condividere il cammino di chi si trovava sulla strada, non con l’idea di ‘redimere’ o ‘salvare’, ma di stare loro accanto. Come interfaccia di questa associazione, è inserita anche nel progetto Rosmary del Comune di Reggio Emilia dal 1997. Collabora al Progetto come docente sui temi legati al fenomeno della prostituzione. Francesca Muscarello Nicoletta Spada

Laureate in psicologia; hanno recentemente sostenuto l’esame di Stato e si stanno specializzando nella scuola adleriana di psicoterapia. L’esperienza con il Progetto è stata la loro prima avventura professionale.

Giulia Ronzoni

Giovane laureata in psicologia, collabora al Progetto come docente su temi quali la prostituzione, la diversità e la tolleranza. 64


L’ILLUSIONE DELL’APPARIRE [Intervista a Roberto Iemmi psichiatra e sessuologo]

Cosa l’ha spinta ad aderire al progetto Educare ai sentimenti? Un giorno del 2001 Rosa Galeazzi mi parla del lavoro che intende fare nelle scuole medie superiori sulla violenza e la prostituzione. Ho detto sì perché in quel periodo stavo iniziando ad occuparmi ambulatoriamente di problemi legati alla violenza e collateralmente alla prostituzione. Ragazze che frequentavano club e che poi, senza Roberto Iemmi rendersene conto, si ritrovavano a vivere in una spirale di violenza e prostituzione. Storie terribili. Come medico ho voluto così portare la mia conoscenza agli studenti per tentare di prevenire questi fatti tragici, ma anche per cercare di capire meglio i ragazzi. Quindi voleva allertare gli studenti su questi fenomeni? Allertare è un termine restrittivo; più che altro è la voglia di comunicare ciò che va fuori dalle righe o quando c’è quella superficialità che fa dire ‘tanto che male c’è a fare questa o quella cosa?’. Che male c’è in effetti a partecipare ai concorsi di bellezza, a frequentare certi locali della Costa Azzurra o Smeralda, agli happy hour serali? Non c’è nessun male in sé, infatti. Il problema è non sapere quello che ci può essere dietro, dove questa cultura, questo modo di vivere ti può portare. C’è perciò un discorso sui valori e il modo di intendere la vita? È stato molto utile a un laico come me lavorare a fianco di persone con una cultura profondamente diversa dalla mia come don Daniele Simonazzi, Daniele Marchi e Giovanna Bondavalli dell’associazione Rabbunì. Diverso il modo di vedere il mondo ri65


spetto ai veri valori in cui credere, sull’idea stessa di divertimento, di passione, di amore, di sesso, di corporeità. Tuttavia noi, come anche l’associazione Rabbunì, credo che prima di dire e di voler insegnare, abbiamo voluto ascoltare. Alla fine penso che la nostra diversità abbia aiutato tutti noi ad andare oltre con l’obiettivo comune di muovere, fare vedere le cose da un altro punto di vista, aiutare a capire; cercare di incontrare i giovani e parlare con loro al di là dell’ideologia e della cultura religiosa della famiglia. Per esempio, parlare ai ragazzi di castità come rispetto dell’attesa o di sentimenti nella sessualità ha una capacità dirompente in quest’epoca in cui sentimenti ed emozioni sono messi in secondo piano. Ha trovato i giovani sensibili e attenti a questi ragionamenti? Assolutamente. Anche perché in fondo capiscono benissimo che è un’illusione l’ideologia dell’apparire a tutti i costi, di dover essere al centro dell’attenzione, di potersi sballare. Capiscono che prima o poi è una fregatura. Che invece il vero si trova nelle cose più semplici. Quindi il tema fondamentale è educare ai sentimenti. Poi l’avete declinato anche parlando di violenza, prostituzione, intolleranza. Non era sufficiente parlare di educazione ai sentimenti? Ma è la stessa cosa! La prostituzione è una delle forme più elaborate al mondo di violenza, anzi forse la forma più diffusa di violenza. Nella graduatoria dei tre maggiori mercati criminosi, la violenza della prostituzione si colloca dopo quella delle sostanze chimiche e prima ancora del mercato delle armi e delle guerre. Non dobbiamo dimenticare che il seme del progetto nasce intorno all’idea della donna discriminata, della donna violata. Quindi poi l’idea di violenza si è estesa all’anello debole, quello della prostituzione. A cui si aggiungono altre modalità di violenza Violenza, prostituzione, intolleranza e anche il cosiddetto ‘bullismo’ stanno tutti dentro al discorso della perdita di peso specifico del valore dei sentimenti, del valore dei principi. Il ‘bullismo’ è la praticità di avere un sistema di potere che permette ai 66


ragazzini di 14 anni di superare le proprie ansie e paure. Lui ha paura e reagisce esercitando potere, crea un sistema di potere o segue chi il potere ce l’ha già, diventando così il luogotenente del bullo capo. Prostituzione, cos’è se non la scorciatoia di prendersi qualcosa che non dovrebbe mai essere oggetto di mercato. La violenza esercitata è lo stesso tipo di scorciatoia: è più comodo imporre un potere con la forza, piuttosto che dialogare, convivere e relazionarsi. Noi dovremmo trovare degli strumenti per provocare questo contatto con le emozioni e i sentimenti. Che tipo di stimoli avete portato agli studenti? Quelli legati alle situazioni emotive riferite soprattutto alla corporeità, alla sessualità, all’affettività, quindi ai sentimenti e al diritto ad essi. Cercando di rompere un poco quella convenzione del ‘va tutto bene’. Nella nostra civiltà passa spesso questo messaggio che “va tutto bene”, che siamo in un “contesto benestante”, “sicuro” e quindi “protetto da tutto”. Noi trasmettiamo questa idea che non fa parte del mondo infantile, né giovanile. Bisogna invece iniziare a dire ‘badate ragazzi che non sempre va tutto bene o che non si può sempre fare tutto’. Occorre dare il senso che, per ogni azione, ci sono conseguenze e una responsabilità oggettiva che investono il corpo, la morale e i valori. Avete quindi puntato molto sulla responsabilità personale? La responsabilità è il più grande carburante educativo del mondo. Lo hanno detto in tanti, da Gandhi a don Milani, da Rodari a Pasolini. A qualunque età si può e si deve, in giusta misura, essere responsabili. Ai ragazzi suggeriamo, raccontiamo cose semplici, di persone uguali a loro. Quando parliamo della tratta, si parla di persone dai 15 anni in su. Don Daniele ci ha aiutato molto a identificare gli attori fondamentali come il carnefice e la vittima. È facile per i ragazzi emozionarsi quando raccontiamo la storia di una ragazza che viene dall’Albania o dalla Russia. Ed è facile dire che quelle sono storie molto diverse dalle nostre, sostenere che a noi non potrebbe mai capitare. Allora arrivo io e racconto la storia di quella ragazza reggiana, una come tante, che faceva l’Istituto per geometri a Reggio e che, senza rendersene conto, è capitata in un brutto giro. 67


È stato necessario partire dal discorso della tratta? Penso sia stato molto utile. E poi l’associazione Rabbunì, che è parte integrante del progetto, lavora proprio contro la prostituzione. Questa forma estrema di violenza ci ha sempre coinvolto e ci ha anche aiutato a cogliere altri aspetti. Del tipo, ‘Se io faccio sono, se non faccio non sono niente’. Che corrisponde al dare valore all’avere, che non è solo denaro, ma anche all’essere guardato, sentirsi non uno qualsiasi, non uno sfigato, ma uno che va via con quella certa macchina, eccetera. Il tutto è molto accidentale, anche noi ci siamo cascati dentro. Facciamo qualche esempio concreto di temi proposti ai ragazzi/ragazze? Vedere il loro modo di relazionarsi, gli atteggiamenti, la competizione. La valutazione degli altri, quindi anche di se stessi, in base a quello che hanno, a come appaiono, anche nei rapporti veri o presunti di amicizia. Cosa pensa il tuo vicino di banco? Ha fratelli, sorelle? È la stessa cosa di chi non sa chi abita nell’appartamento di fianco. È un po’ il tratto della nostra società contemporanea occidentale: rapporti inesistenti mediati dall’apparire. Poi è arrivata anche la musica e il teatro? La musica è sempre stata parte integrante fin dall’inizio del Progetto. Poi abbiamo visto che le persone che partecipavano potevano dare un contributo specifico in tal senso. Inoltre, abbiamo coinvolto l’associazione “La valigia dell’attore”, un ulteriore elemento su cui potevamo puntare. Quindi ha curato la regia di un reading su storie di prostituzione e un altro sulle multiculture Dopo lo spettacolo sulla prostituzione di Bruna Fogola Le mie labbra mai, nasce nel 2007 Stelle nere, storie vere di violenza legate alla prostituzione. Fondamentale è stato l’apporto di una ragazza albanese – infermiera professionista, arrivata in Italia su un gommone – che ha vissuto in prima persona le storie di tante ragazze albanesi. La musica dello spettacolo è preregistrata, noi 68


poi raccontiamo sei storie che, lette teatralmente, hanno un impatto emotivo forte. Abbiamo fatto una trentina di repliche e ora lo spettacolo fa parte del Progetto, anche se è una produzione dell’associazione “La valigia dell’attore”. Il vostro approccio con gli studenti si è modificato nel tempo? Come docenti del Progetto siamo cresciuti anche grazie ai ragazzi che abbiamo avuto davanti, perché loro ci hanno davvero insegnato molto. Siamo partiti senza un grande programma scritto e poi ci siamo coordinati meglio, abbiamo ampliato l’approccio in quantità e qualità. Ma è avvenuto tutto in modo molto spontaneo, su quel bisogno fondamentale di aiutare gli altri a cercare di vedere realtà diverse, in modo utile per la loro vita e la nostra.

8 marzo 2011: Roberto Iemmi al Pascal

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LA METAFORA DELLE RAGAZZE DI STRADA [Colloquio con Giovanna Bondavalli e Barbara Corradini]

Perché avete scelto di lavorare sul tema della prostituzione? Giovanna Bondavalli – Ero al corrente del cammino di Rabbunì fin dall’inizio, perché conoscevo le persone. È attraverso loro che ho incontrato le ragazze di strada. Poi la chiave di volta è stato il legame che si è creato con qualcuna di loro, qualcuna che ha lasciato la strada. Così ho dato la mia disponibilità a fare un lavoro sistematico sul tema. Poi è arrivata la proposta del Comune e vi ho aderito per portare in quel progetto anche il nostro stile, il nostro modo di fare accoglienza che si fonda su piccole cose come la gratuità, la dimensione familiare dell’accompagnamento e il mettere al centro la persona. Ho poi avuto anche ‘la grazia’ – diciamo nei nostri ambienti – di viverci insieme; infatti queste ragazze sono oggi la mia famiglia. Barbara Corradini – A quell’epoca cercavo lavoro e c’era questa disponibilità nel progetto Rosmary. Mi è piaciuto fin da subito lavorare con le ragazze di strada. Si erano create delle relazioni e il loro disagio mi aveva preso proprio dentro. Spesso erano molto giovani e non avevano scelto quella condizione. Io ho viaggiato poco, ma con quel lavoro ho contattato buona parte del mondo, dalla Siberia al Brasile, dalla Nigeria alla Romania e all’Albania. Con loro non potevi fare psicoterapia o tutoraggio classico, ma dovevi metterci del tuo. Dovevi capire le problematiche, dovevi entrare in empatia con queste persone. Ha influito qualche motivazione religiosa nella vostra scelta? Barbara – Non per me. Ho sempre pensato che le persone che soffrono devono semplicemente essere aiutate. Non sono particolarmente religiosa, anche se ho una mia fede e penso che si debba andare incontro a chi soffre. Naturalmente non puoi risolvere il problema della Nigeria e del petrolio, ma puoi aiutare quella ragazza ad alleviare il dolore che sente.

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Giovanna – Per me è una scelta che è nata dentro un percorso di chiesa, questo sì. Molte di noi sono persone che partono da motivazioni legate al Vangelo. In realtà poi in questi anni abbiamo raccolto in questo cammino anche persone con convinzioni religiose diverse con cui abbiamo semplicemente condiviso il nostro caposaldo che è quello della centralità della persona. Con questo spirito, abbiamo raccolto subito la proposta di Educare ai sentimenti per andare nelle scuole a parlare con i giovani. Quindi abbiamo condiviso con Barbara e Roberto il percorso da portare agli studenti: quello di potere conoscere ciò che succede in strada, per poi poterlo leggere e interpretare in modo corretto, al di là degli stereotipi fuorvianti. Capire che quello che succede in strada contiene alcune modalità che appartengono a tutti. Barbara Corradini

Così il progetto Educare ai sentimenti, contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza entra nella vostra vita Giovanna – Noi di Rabbunì abbiamo letto in questo progetto un’occasione per informare, per provare in nuovi luoghi a raccontare delle ragazze, della verità della loro situazione e aprire anche dei piccoli momenti di discussione e di confronto. Ricordo bene che il taglio iniziale era molto legato a questo dato informativo, che ora non abbiamo cancellato, ma che allora era preponderante: invitare i ragazzi a riflettere su un certo modo di rappresentare la ragazza di strada, il cliente, anche esplorando elementi che non erano così sottocchio come il traffico delle persone, le situazioni di povertà da cui si parte, il giro economico che sostiene la tratta, la condizione di sfruttamento e anche la normativa. E fare parlare le ragazze attraverso noi, perché loro non possono venire a raccontare di se stesse, perché si vergognano, perché chi è in strada fa fatica a incontrare gli altri dicendo della propria situazione. Barbara – A me piaceva l’idea di andare a lavorare con i ragazzi, forse perché avevo avuto anche un’esperienza di tirocinio con gli adolescenti. Quando lavori con le situazioni di strada, come 72


io facevo nel progetto Rosmary, ti scrolli di dosso tutto il resto; poi vai a casa e vivi un’altra realtà separata. Quindi senti il bisogno di mettere insieme due modalità che sembrano divise, ma non lo sono, solo che la gente fa finta che siano separate. Soprattutto di notte diventano unite, ma anche di giorno. Nell’immaginario collettivo è tuttavia nella notte che queste due realtà si intrecciano. Qualche giovane con cui abbiamo lavorato ci è venuto a dire sì, ora mi faccio delle domande. Quali gli stereotipi principali che avete tentato di smontare? Barbara – Che alle ragazze piace. Giovanna – Lo fanno per soldi, lo scelgono. Barbara – Tanto ci sono le ragazze votate a quel mestiere, non tutte possono fare le impiegate; che è il mestiere più vecchio del mondo e che Giovanna Bondavalli quindi, mettetevi una mano sul cuore, ci sarà sempre. Giovanna – Che bisogna farle sloggiare da lì perché creano disagio, e dov’è la polizia? Che i clienti sono sempre gli altri. Barbara – Che è una cosa così e che non possiamo farci niente, magari possiamo al massimo regolarizzarla. A me poi interessava molto anche proporre il rapporto maschio-femmina, e cercare di capire perché un uomo sceglie di andare con una prostituta. Giovanna – Noi abbiamo anche fatto l’esperienza dell’incontro con i clienti delle prostitute. Era emerso che queste persone volutamente non si facevano delle domande o, se le facevano, le relegavano in un cantuccio, preferendo gli stereotipi. Allora ci siamo chiesti: è meglio che lavoriamo su quelli che hanno smesso di farsi delle domande o su quelli che per età o per il momento della loro vita sono ancora disponibili a farsele? Abbiamo puntato quindi sull’incontro con gli adolescenti come un momento forte di prevenzione, anche se più impegnativo per noi che siamo tutti volontari; le lezioni infatti sono al mattino, il che significa assentarsi dal lavoro.

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E che visioni avete offerto in alternativa agli stereotipi? Giovanna – L’idea di proporre un’alternativa allo stereotipo l’abbiamo maturata complessivamente insieme come gruppo. Non siamo partiti come un’equipe già costruita, ma come persone che raccontavano con tagli differenti la medesima realtà. Abbiamo offerto ai ragazzi anche un coinvolgimento emotivo, raccontando le storie reali delle ragazze. Mettendo sul piatto anche questioni che toccassero loro in prima persona e che li aiutassero a dire, non solo che questo mondo non è un mondo scontato rispetto al quale non si può fare niente, ma è un mondo che li tocca molto da vicino, perché muove alcuni elementi fondamentali del nostro modo di essere e di vivere, su cui possiamo intervenire. Credo che uno degli aspetti più complessi di questi ultimi anni sia stato farlo su di noi questo percorso, noi come formatori. Quindi abbiamo detto a noi stessi e ai ragazzi, guardiamo sì con occhi diversi cosa c’è dietro al fenomeno, ma proviamo a ritrovare insieme anche nella nostra vita i meccanismi che reggono la strada, per dirci “allora cosa c’è che non funziona anche nella nostra vita? E cosa c’è invece che funziona o che potrebbe funzionare meglio?”. Barbara – Abbattuto lo stereotipo che non ci vanno solo i vecchi – perché sappiamo che l’età va dai 16 agli 84 anni – che

L'8 marzo 2002 al centro sociale Tricolore

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non ci vanno solo gli ammalati di mente – perchè allora quanti ammalati di mente ci sono? – abbiamo cominciato a riflettere sugli aspetti psicologici del rapporto, del mettersi in gioco con l’altro, con l’altro sesso. Cosa vuol dire per una persona incontrarne un’altra, mettersi nei suoi panni, trovare un punto d’accordo, voler bene a una persona; faccio una cosa che piace a lei, faccio una cosa che piace a me, a volte c’è un sacrificio, non è una cosa tutta bella. C’è un’emozione forte perché sono legata, ma forse c’è anche qualche rinuncia. Se io pago una ragazza il sacrificio non c’è, il potere è tutto in mano mia. Le decisioni le prendo io, l’altro non è più in relazione, è un oggetto. Io sono con un oggetto, lo uso come pare a me. E poi da lì abbiamo fatto vari ragionamenti negli anni. Giovanna – Nel tempo c’è stato uno spostamento di prospettiva. Al centro ci sono stati sempre di più i ragazzi con il loro modo di vivere certe situazioni. All’inizio il taglio era più concentrato sulle vittime, ora lo è più sul come viviamo la relazione con l’altro, sul come ogni relazione ci mette in difficoltà nell’aspetto particolare uomodonna, che non è più il legame uomo-donna analizzato e nella forma distorta che c’è in strada, ma la strada diventa il primo passaggio per guardare a noi. I ragazzi allora ascoltano, chiedono approfondimenti sulle relazioni uomo-donna, raccontano come funzionano o non funzionano i loro rapporti, quali sono i modelli, quali i disagi.

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Barbara – Siamo andati quindi a toccare gli aspetti più interiori e relazionali. È stato un processo che ci siamo trovati a vivere con i ragazzi. Nella mia esperienza gli adolescenti sono molto cambiati negli ultimi dieci anni. In generale abbiamo notato che questi ragazzi e ragazze hanno carenze di tipo relazionale, che hanno più difficoltà a mettersi in gioco, a esporsi, a entrare in relazione con l’altro. Sì, esiste il cellulare, il computer, ma così non guardo negli occhi la persona per dire cosa penso e cosa sento; tra me e l’altro c’è uno schermo che filtra tutto, anche le emozioni. Una situazione che ha facilitato l’uso della propria immagine, la vendita della propria immagine senza abiti in internet, magari senza mostrare il volto. Parliamo quindi di un atteggiamento mercificante? Barbara – Questo è un discorso generale che riguarda sia i maschi che le femmine. Nei primi anni c’era da parte delle ragazze una reazione più di offesa, di scandalo. Negli ultimi anni è subentrato anche un atteggiamento del tipo: “Dai, se io vendo la mia fotografia, se io mi faccio vedere carina da un ragazzo, se poi lui mi compra una borsa perché sono uscita con lui…”.

Presentazione de Le mie labbra mai al circolo Arci La Quercia di Gavassa

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Giovanna – Le provocazioni vengono direttamente dai ragazzi e ragazze. Un tema che abbiamo rielaborato insieme e su cui ci siamo confrontati prima di proporlo ai giovani, è stato il valore della corporeità. Uno dei soggetti era quello di un corpo che va in strada e compra un altro corpo, senza rendersi conto che quella è una persona. Ora sono gli stessi ragazzi che ci conducono a una riflessione più complessiva sul tema del corpo, del tipo: cosa è il corpo per me? Perché non sono capace di usarlo come strumento privilegiato di relazione, ma perché anch’io lo vivo soltanto come oggetto da abbellire e da mostrare? Perché faccio così fatica a dire che il mio corpo sono io e mi viene invece più naturale dire il corpo è mio e lo uso come voglio? Ricordo bene il percorso di perfezionamento che abbiamo fatto noi come formatori: era partito proprio dal disagio che certe osservazioni dei ragazzi ci avevano lasciato dentro. A volte ci siamo sentiti inadeguati – soprattutto noi volontari non professionisti – a dare delle risposte, per non rischiare che fossero banali, scontate e anche un poco ideologiche. Un’altra provocazione è stata sull’uso del denaro come potere. Allora con alcune classi abbiamo fatto un lavoro sul loro modo

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di vedere il denaro, su quello che loro sarebbero stati disposti a fare per denaro. Barbara – Nella mente di vari ragazzi c’è l’idea che il corpo può essere un mezzo per ottenere denaro. Ricordo di una situazione in cui mi sono sentita in difficoltà con una ragazza che dichiarava di mostrarsi nuda in internet, inquadrando solo il corpo e non la testa. L’idea è quindi che “Posso mostrare il mio corpo senza testa, farmi vedere nuda, posso farmi vedere svestita per il costo di una carta telefonica, sì mi posso vendere; sì questo è un vendersi, non posso chiamarlo in altro modo”. I ragazzi si sentono in difficoltà ad elaborare queste situazioni: da una parte arriva loro questo aspetto comunicativo che dice “Fallo, è normale, tutti lo fanno”; dall’altra sentono che c’è qualcosa che non va. Una ragazza poco tempo fa ci ha confessato: “Noi siamo poco abituati a riflettere su questi temi e avremmo bisogno di qualcuno che venisse qui più spesso a farlo con noi”. Giovanna – Soprattutto dopo il nostro percorso di approfondimento, i ragazzi e le ragazze ci dicevano spesso: “È già finito? Non venite più? Avete detto delle cose che ci interessano, delle cose importanti”. Forse anche noi abbiamo affinato qualche tecnica in più rispetto all’inizio, ma effettivamente ora escono le loro paure, le insicurezze, raccontano che il gruppo a volte “Mi spinge a fare cose che so che non vanno bene, ma se poi l’alternativa è stare da soli, io non ce la faccio”. I ragazzi e le ragazze esprimono anche le loro perplessità sul mondo adulto, sulle loro modalità e i loro riti su cui chiedono una conferma o una smentita. Un tema che è rimbalzato spesso negli ultimi incontri è quello della fedeltà: “Sto con qualcuno, devo essere fedele?” Le ragazze chiedono una conferma rispetto a questo tema, verso cui si sentono così disorientate, perché il modello adulto che va per la maggiore non è quello della fedeltà, ma dello stare con qualcuno fino a quando ci si diverte. Sono temi che meritano più momenti e luoghi di ascolto per i ragazzi. Nei nostri tre incontri, in una dinamica di classe che ha la sua complessità, non è sempre facile e immediato cogliere e utilizzare gli spunti che ci arrivano. Rispetto al tempo che avete a disposizione, significa semplicemente che potete piantare un seme?

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Giovanna – Il rammarico a volte è che i temi fondanti che tocchiamo restino un intervento isolato. Perché la tratta ci porta alla relazione uomo-donna, alla sessualità, al corpo, al tema della scelta e della libertà, al denaro, al tema del gruppo e del condizionamento della società. Personalmente faccio fatica a chiudere il corso e dire: “Ci sono gli ultimi 10 minuti, tiriamo le fila”. Si vorrebbero affrontare ancora con loro delle questioni, perché ti rimane l’idea che quando usciamo noi dalla porta, forse ne riparleranno ancora fra di loro, ma che possa poi mancare una continuità di riflessione del mondo adulto presente dentro la scuola. Barbara – Per me questa dimensione del germoglio, del fatto che tu tocchi qualche corda, rimane anche fra i più resistenti, anche in quelli che negano di più, che dicono che va tutto bene. Dagli studenti abbiamo avuto vari feedback. C’è stato un ragazzo che è venuto a raccontarci la sua storia; assomigliava ad alcune di quelle che avevamo riportato noi, perché il giovane era appena entrato nella gestione di una discoteca e anche lui era venuto a contatto con le ragazze. L’anno scorso, durante una nostra presentazione, due ragazzi si sono messi a litigare perché uno sosteneva che tutti vanno a prostitute e uno si è alzato con la faccia decisa dicendo: “Questa cosa riguarderà te, ma tu non sei me, teniamo bene le distanze”. Poi c’è anche qualcuno che viene a dirti, in modo ancora più fermo, le sue idee che negano il problema, ma se uno insiste a negare il problema, significa che qualche dubbio è stato messo. Questo dà comunque l’idea che i temi toccano i ragazzi. È importante lasciare alla fine un’immagine positiva, come diceva Giovanna, dire almeno in che direzione bisogna andare. Anch’io, quando finiamo i nostri incontri, ho la sensazione che nessun altro poi riprenderà questi temi. D’altronde il vuoto scolastico riprende poi il vuoto sociale che lascia completamente abbandonate queste tematiche, anzi, se è possibile, le copre con tutto il resto. Giovanna – Io credo che i ragazzi abbiano un atteggiamento positivo perché i temi che noi portiamo si prestano anche a battute grevi, da osteria. Di fatto ce ne sono state pochissime in tutti questi anni. Anche in classi totalmente maschili, in scuole professionali, i ragazzi hanno dimostrato molto bene di capire che la cosa li tocca e che su questi argomenti si può scherzare i primi tre minuti. Mi vengono in mente anche piccoli episodi che mi fanno pensare che qualcosa abbiamo smosso. Ricordo un ragazzo del Motti che si è 79


alzato ed ha confessato di essere andato alla Bruciata e quando la ragazza è salita, lui non sapeva più che fare e l’ha mandata via. Il fatto che davanti a una classe abbia confessato un suo vissuto e un suo disagio è straordinario, perché di solito tendono a fare gli spacconi. Penso anche a un altro ragazzo che ha detto del come poteva capire chi andava dalle ragazze di strada perché lui aveva una fidanzata e stare con lei gli metteva un’agitazione terribile: “Non so mai che cosa pensa, non riesco mai a capire cosa dobbiamo fare insieme”. Se questo uno lo riconosce davanti alla classe è già il segno che qualcosa si è toccato. E la scoperta che stare con l’altro non è solo una questione di messaggi telefonici, destabilizza molto. Quando parliamo della fatica di stare insieme, di relazionarci, i ragazzi capiscono che è anche un percorso individuale che devono prendere, scelte che devono fare con tutte le sfumature che comportano. Oppure ti illudi di potere avere il controllo, invece scopri che non ce l’hai. Nei ragazzi/ragazze ci sono perciò ‘buchi emozionali’, ma contemporaneamente anche sensibilità e profondità? Barbara – Non è superficialità, ma sono proprio dei ‘buchi’, come se uno non l’avesse sperimentata quella cosa lì. Per esempio il sentirsi accolti e ascoltati profondamente: magari c’è il bisogno, ma non c’è stata la risposta, quindi non so cosa vuol dire essere ascoltato, ma ho il bisogno, quindi lo riconosco. Quando manca il vissuto emotivo dell’essere accolti e non giudicati, quindi s’innalza una barriera. Giovanna diceva delle scuole professionali tecniche: sono le prime a lavorare su questo perché hanno problemi e difficoltà contingenti nella loro vita scolastica. Gli insegnanti richiedono che tu vada a trattare questi temi, mentre nei licei c’è la visione che quelli sono ragazzi d’elite e che per loro quei temi non esistono, ma non è vero; quindi si mette su tutto una coperta. Giovanna – Noi non facciamo un percorso specifico sulla sessualità, ma sul corpo come mezzo di relazione. Anche se c’è un gran ribadire che si può fare tutto, di una grossa libertà nell’uso del corpo, i ragazzi testimoniano invece una grossa fatica nel concreto. Da una parte parlano di foto via internet da vedere e mostrare e contemporaneamente parlano di corteggiamento, di difficoltà nell’esprimere l’aspetto emotivo. 80


In sintesi, com’è strutturato il vostro corso, il vostro approccio? Giovanna – Nel primo incontro ci presentiamo rapidamente, prospettiamo il tema ai ragazzi e proponiamo fin da subito una storia, che non è obbligatoriamente su una ragazza di strada, può anche avere come protagonista un ragazzo o una ragazza qualunque. Chiediamo agli studenti di lavorarci a piccoli gruppi, cercando di addentrarsi nei meccanismi della storia. Quindi facciamo un’opera di rielaborazione fra di noi, per capire quali sono i temi su cui i ragazzi si sono focalizzati di più, quali sono quindi i punti dolenti. Proponiamo poi alla classe un momento di gioco, di rappresentazione in cui gli studenti stessi sono chiamati a calarsi dentro la storia. Nel secondo incontro chiediamo di raccontarci le loro emozioni e di come hanno vissuto la parte che hanno rappresentato: dalla ragazza a cui vengono fatte delle avance, al ragazzo a cui viene chiesto dagli amici di andare al ‘puttan tour’, alle ragazze sfruttate davvero e chiamate a decidere cosa fare della loro vita, se scappare o se rimanere. Viene allora proposto ai ragazzi di costruire una rappresentazione e di partecipare raccontando le proprie emozioni. L’ultimo incontro serve un po’ per riesaminare questi due momenti, focalizzando i temi di fondo e cercando di elaborare i principali insieme ai ragazzi, tentando alla fine di arrivare a qualche piccola conclusione che diventi un nostro patrimonio. Ci sono accorgimenti che potrebbero migliorare il vostro contributo nelle scuole? Barbara – Primo obiettivo sarebbe fare capire agli insegnanti che sono necessari almeno tre incontri e non due, come di solito ci viene richiesto, anche se giustamente loro hanno il programma didattico da perseguire. Giovanna – Avremmo necessità anche di un lavoro previo. Noi incontriamo gruppi di studenti, oppure classi che non conosciamo, per cui la scelta di un tema piuttosto che un altro viene fatta sul momento. Sarebbe meglio avere qualche informazione preliminare perché può fare la differenza. E poi alla fine sarebbe bello che, nelle valutazioni finali, ci fosse anche l’insegnante per chiedere ai ragazzi “cosa vi portate a casa?”. A volte però abbiamo 81


anche sperimentato che la presenza dell’insegnante in classe può essere percepita come invadente dai ragazzi, che non si sentono così più ascoltati e allora si ritirano in se stessi. È chiaro che non è questo che ci aspettiamo dai docenti. Barbara – Ci sono alcuni insegnanti che se ne fanno carico sia prima che dopo la nostra presenza, però normalmente entrare con loro in quest’ottica è difficile. Il nostro lavoro viene facilitato quando gli insegnanti toccano queste problematiche nella loro classe.

Francesca Angelucci e Lisa Castronovo di Unità di Strada del Comune di Reggio Emilia, collaboratrici del Progetto sul tema della prostituzione

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c’è sete di sentimenti [Nicoletta Spada e Francesca Muscarello parlano della loro esperienza come giovani docenti del Progetto e dei bisogni delle nuove generazioni]

"Ho aderito al Progetto perché mi è sembrata una proposta molto costruttiva e anche innovativa – dice Nicoletta Spada – Mi sembrava importante fare riflettere i ragazzi su argomenti come il bullismo, la prostituzione, l’educazione all’affettività perché sono temi di cui si sente parlare spesso, magari in tv o nella vita di tutti i giorni". "Con l’esperienza Educare ai sentimenti – afferma Francesca Muscarello – ho appreso tanto: come condurre una lezione, come prepararla, come Nicoletta Spada informarmi su alcuni argomenti. Sono stati anche molto importanti gli incontri formativi che abbiamo fatto come gruppo. Infine sono rimasta molto colpita da quei momenti più vasti, aperti alla città di Reggio, da quella risonanza più ampia e non limitata all’ambito scolastico che il Progetto propone. È come un sassolino che, gettato nel lago, crea cerchi concentrici".

Scambi attivi Nicoletta – Sono rimasta impressionata dalla voglia dei ragazzi di parlare dei temi legati ai sentimenti, sono stati attentissimi e partecipi, come se avessero sete di queste informazioni. I momenti in classe sono risultati dei veri scambi, dei momenti per pensare e anche per confrontarsi fra di loro. Francesca – Sicuramente non erano lì per scaldare la sedia. L’esperienza mi ha arricchito personalmente, oltre che professionalmente. Questi ragazzi, non troppo lontani da me come età anagrafica, rimandano e rilanciano la loro visione che comunque è sempre nuova.

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Nicoletta – Sì, vicini di età, ma sicuramente diversi. Il fatto è che ora si parla di più di queste tematiche, si dà spazio a questi fenomeni. Quando avevo la loro età e facevo le superiori, se ne poteva forse parlare fra amici, forse in casa, ma nemmeno tanto e comunque non nella scuola. Rispetto al bullismo poi, un fenomeno che in fondo c’è sempre stato, se ne è parlato molto di più ultimamente e quindi li ho trovati più preparati nell’affrontare queste tematiche. Un altro aspetto di questo Progetto che mi ha molto arricchito professionalmente, è stata la formazione serale per noi docenti, realizzata da professionisti, con competenze teoriche specifiche. La preparazione universitaria mi ha dato pochi strumenti per entrare in contatto con le persone; la partecipazione al Progetto invece mi ha permesso anche di sperimentarmi a livello umano, nella relazione con gli altri.

LA dinamica degli incontri in classe Nicoletta – Dopo aver concordato con l’insegnante la tematica da affrontare, c’era la fase di presentazione, poi si iniziava a raccontare. Per esempio, sul tema della prostituzione, poteva esserci una storia vera fornita da Roberto Iemmi. E da lì si chiedeva ai ragazzi di esprimere i loro pensieri, quello che provavano, quello che veniva dal cuore. Iniziava così una sorta di dibattito. Noi docenti portavamo le nostre conoscenze aumentando così la loro consapevolezza sul fenomeno. Francesca – Riguardo ai temi della diversità e dell’aggressività, si inizia facendo un brainstorming, ovvero si scrivono sulla lavagna parole immediatamente suggerite dai concetti di diversità e aggressività. Arrivano così le libere associazioni di pensiero. Si cerca poi di raggruppare le parole e metterle in relazione fra di loro; da lì parte il dibattito. Può succedere anche di chiedere ai ragazzi di ‘giocare’ interpretando per esempio il ruolo della vittima e quello dell’aggressore. Stessa cosa per il tema delle ‘diversità’; quando è quella di genere, si orienta il dibattito sulle diversità sessuali. Ricordo che in una classe era uscito l’aggettivo ‘etnica’ perchè erano presenti anche ragazze mussulmane e di diversa nazionalità, così ci si è concentrati più su questo aspetto. Spesso, dopo il brainstorming, si lavora a piccoli gruppi. A ogni gruppo viene affidato un aspetto di ciò che è uscito e si chiede loro di 86


produrre idee nuove, diverse dagli stereotipi. Una ragazza alla parola ‘diversità’ aveva associato la parola ‘uso’. Mi aveva colpito questa forte associazione. Da ricollegarsi alle diversità etnico-razziali, ma anche alla prostituzione. Nicoletta – Parlando di prostituzione, mi ha toccato molto il racconto di un giovane che diceva di avere incontrato una ragazza che faceva la prostituta perché costretta da un uomo. Ha riferito la storia con gli occhi carichi di sentimento ed emozione, sottolineando il fatto del come si fosse sentito un po’ inutile perché non riusciva a risolvere il problema di questa giovane. Spiegava quindi ai suoi amici increduli di come spesso, dietro a queste ragazze, ci sia tutto un mondo che le costringe a fare questo tipo di scelta. Da questo racconto, anche gli altri ragazzi Francesca Muscarello si sono avvicinati all’idea di una prostituzione forzata, mentre erano convinti che tutte le prostitute lo facessero per scelta. Francesca – Ci siamo focalizzati soprattutto su un diverso tipo di prostituzione: da quella della tratta sulle strade, fino al significato della parola ‘prostituirsi’. Una modalità che può incarnarsi anche in un rapporto fra amici, per esempio, nello sfruttare la bravura di un nostro compagno di classe, il cosiddetto secchione, e chiedergli di passare i compiti in cambio di soldi; oppure, tutte le notizie che ci sono state di ragazze che nei bagni si sono fatte filmare in cambio di una ricarica del cellulare. Vogliamo far riflettere i ragazzi sul cosa significa il termine prostituzione, nel senso di attentato alla dignità umana, più che darne l’immagine consueta. Nicoletta – Una ragazza ci ha confermato che molte conoscenti coetanee vendono la propria immagine, soprattutto tramite internet. Ci sono siti particolari dove basta mettere l’immagine del corpo nudo e, più persone cliccano per vederlo, e più in automatico si accreditano soldi nel conto della giovane. Sapevo di questi fenomeni, ma il sentirmeli raccontare da una ragazza in classe, mi ha fatto molto riflettere sugli aspetti negativi di queste tecnologie.

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Francesca – In una classe del Secchi, che gli insegnanti ci avevano descritto come vivacissima e al limite della ingovernabilità, ricordo la reazione di un ragazzo dagli atteggiamenti piuttosto provocatori, che alla fine ci ha ringraziato per come si era sentito capito e condotto da noi a riflettere sugli stereotipi uomo-donna.

I bisogni dei giovani tra sete di verità, profondità e difficoltà Francesca – Sarà forse perché mi sento ancora vicina alla loro età, che voglio difendere questi ragazzi. Possono avere delle manchevolezze, ma è anche perché dietro loro possiamo trovare una famiglia e un sistema mancante. Non è questione di cercare colpe e distribuirle, ma nemmeno credo siano equi i giudizi sulle generazioni di oggi; è facile sparare a zero senza mettersi in prima linea. Servono invece iniziative e stimoli. Ci possono essere giovani più o meno brillanti, ma sono comunque tutti come terreni fertili bisognosi d’acqua e cure. Occorre quindi stimolare il loro spirito critico; ci vuole qualcuno che dica loro di farlo. Non è così scontato in questo mondo globalizzato, rapido, precario e poco emotivo. Nicoletta – Penso che questi ragazzi e ragazze abbiano bisogno di essere ascoltati anche nelle famiglie. Forse nelle famiglie mancano momenti in cui tutti si riuniscono e affrontano certe tematiche in cui si parla e ci si confronta. Vuoi per impegni lavorativi, per cui ciascuno è più fuori che dentro, vuoi per altre ragioni, sembra proprio che manchi questa unione fra figli e genitori. Anche il fatto di mettersi a tavola e di raccontare quello che hai fatto, far capire ai ragazzi che si è presenti e che possono essere ascoltati qualora avessero delle difficoltà, è importante. I ragazzi diventano così più solitari, si estraniano dalle famiglie e cercano magari vie alternative per sentirsi qualcuno. Spesso nelle scuole i giovani ci hanno detto che di questi argomenti a casa non se ne parla, magari c’è la notizia al telegiornale e allora ci sono due o tre parole di commento, ma non un momento di profonda comprensione e condivisione, non solo di pensieri, ma anche di emozioni. Francesca – Rispetto ai nostri tempi cosa è cambiato? Si lotta sempre più contro i tabù. La mia generazione è già stata fortunata perché era già in atto un’apertura non indifferente, rispetto a prima. Al giorno d’oggi, in questo senso, c’è ancora più libertà d’espressione, con il rischio, però che, canali come internet 88


portino il pericolo opposto, ovvero quello di sapere troppe cose, di bruciarle senza poterle analizzare con spirito critico. Credo che comunque ci sia un’evoluzione, io voglio pensarla sempre in modo positivo, i ragazzi e le ragazze me ne hanno dato spunto; come qualsiasi cambiamento, anche questo va conosciuto e gestito. In ogni caso, è una fortuna che ci siano queste iniziative nelle scuole, che ai miei tempi non esistevano e che quest’ultime abbiano una risonanza ancora più ampia sul territorio.

Cosa si aspettano dagli adulti le ragazze e i ragazzi Nicoletta – Questa risonanza più ampia dovrebbe coinvolgere anche i genitori e tutti coloro che si occupano di educazione e crescita dei ragazzi. Perché va bene andare nelle scuole e dare stimoli di riflessione, ma se poi dietro manca quell’apporto genitoriale che faccia sì che i giovani continuino quella crescita positiva, serve a poco. Francesca – Mi sono fatta quest’idea: ci vorrebbe una scuola di vita, ovvero una scuola che insegnasse sì tutte le materie accademiche, come è doveroso, ma nello stesso tempo ci vorrebbe quella passione negli insegnanti che li portasse a mettere in gioco loro stessi, la loro vita, anche parlando di attualità e di quotidianità. Una scuola di vita, una passione che venga comunicata da parte degli adulti che fanno la scuola. Ben vengano tutti questi progetti esterni, ma è importante soprattutto l’esempio costante di un insegnante, di un genitore, di un adulto disposto all’ascolto e alla riflessione. Da un adulto i ragazzi si aspettano un modello di vita vivo a cui far riferimento. Credo che i giovanissimi siano osservatori, ma nello stesso tempo liberi. A mio avviso non hanno aspettative precise, come fa troppo spesso un adulto. Un adolescente è molto più aperto rispetto al mondo perché è una spugna pronta ad assorbire la realtà e deve formarsi. Credo che gli adulti non debbano sentirsi appesantiti dagli occhi giudicanti di un ragazzo o di una ragazza, ma semplicemente essere loro stessi e metterci del proprio, mettere la loro vita in quello che fanno, anche quando si sta parlando di una formula matematica, che solo in apparenza sembra non dar spazio all’umanità. Per il docente non è solo insegnare la materia, ma possedere la consapevolezza che pone se stesso di fianco ad un altro essere umano, per cui ha la missione di incarnare ogni volta una nuova possibilità. 89


Nicoletta – I giovani oggi sono tempestati di informazioni, di gossip, di notizie, ma manca un momento in cui ci si mette lì per capire cosa è successo. Nella scuola ci dovrebbero essere spazi, settimanalmente forse, in cui si porta un argomento, qualcosa di cui parla la televisione, qualcosa che è accaduto, su cui tutti i ragazzi, insieme a un insegnante o docente esterno, si mettono a ragionare. Oggi manca il tempo della riflessione, tutto accade e scivola via. Magari sarebbe utile pensare anche a serate per genitori.

Un pensiero di Cicerone sulla pace citato dagli studenti del Moro

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LE INFINITE POSSIBILITà DI ESSERE [Giulia Ronzoni approfondisce il tema della diversità, i suoi aspetti positivi e le paure connesse]

Fra le diverse sfaccettature con cui il progetto Educare ai sentimenti si presenta nelle scuole, vorrei sottolineare quella sulla diversità su cui ho particolarmente lavorato da quanto faccio parte dell’equipe dei docenti, ovvero dal settembre 2011. I ragazzi e le ragazze sono molto interessati all’argomento e sollecitano il confronto sia fra i compagni, sia fra le persone che non lo ritengono un tema importante. Nell’adolescenza invece, la sperimentazione della diversità funge da strumento essenziale e creativo per definirsi e differenziarsi. Urge quindi da parte dei ragazzi la necessità di preservarlo, incoronarlo e 'urlare' a tutti che è sacrosanto e da rispettare. L’argomento è trattato da diversi punti di vista e sempre emergono tanto le paure che la diversità che comporta, quanto l’eccitazione e l’ebbrezza che può Giulia Ronzoni dare, nonché la ricchezza di pensiero. La diversità è certo l’origine della vita, poiché solo da elementi opposti che si attraggono si scatena energia creatrice. Da uomo e donna e da gameti diversi nascono gli individui. La diversità è quindi esistenza e vita, ma spesso è accompagnata da paure e pregiudizi che rischiano di isolare e stigmatizzare. Incalza allora la necessità di parlarne, non solo per evidenziarne gli aspetti positivi, ma anche, soprattutto, per coglierne le paure connesse. Questo per evitare quegli atteggiamenti sia espliciti, ma soprattutto impliciti, di discriminazione che produciamo per difenderci da ciò che, diverso da noi, potrebbe metterci in discussione e quindi porci in contatto con la nostra fragilità e la possibilità di essere anche “diversi” da quello che mostriamo; uno spiraglio verso l’evoluzione di noi stessi, cammino auspicato ma temuto.

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Non ammettere la diversità, significa esercitare una relazione di potere nella veste di aggressore; ciò non equivale a essere liberi, ma legati e sottomessi alla necessità di dover uniformare gli altri a sé. Riconoscere e permettere la diversità significa invece uscire da quel meccanismo simbiotico che ci dice che entrare in relazione con l’altro implichi uguagliarsi ad esso; comporta inoltre l’affrontare le difficoltà della separazione e le modalità dell’essere 'diversi-in relazione fra di noi'. Ai ragazzi preme anche la nozione di 'apertura mentale', reclamano questo diritto. Come germogli giovani che stanno sbocciando, hanno uno slancio vitale verso tutto ciò che 'può essere' e verso tutto ciò che può arricchirli. In questo modo aprono, invece che chiudere e hanno molta meno paura, rispetto agli adulti, di esplorare mondi diversi, di tollerare più situazioni contemporaneamente. Questa genuina spontaneità e apertura verso gli altri abbatte la paura e incoraggia l’esplorazione. Quando si parla di diversità emerge, soprattutto da parte dei ragazzi/e, un punto fondamentale: la libera espressione di ognuno è presa come punto cardine di ogni relazione che possa chiamarsi sana ed è l’elemento vitale principale. Se siamo tutti diversi, se ognuno si esprime per quello che è, la diversità è illimitata e fonte di un continuo mescolarsi di modi di essere e di energie. Nelle classi ho sempre trovato un clima estremamente brillante e aperto all’evoluzione; i ragazzi si dimostrano molto attenti, attivi e disposti alla discussione. Credo che siano, in particolar modo a questa età, predisposti a mettere in discussione tutto ciò che viene loro detto, e questo è un grande potenziale evolutivo per gli incontri che si fanno nelle classi. Grazie a ciò, ogni lezione non è mai uguale ad un’altra, e le nozioni che apportiamo come docenti o 'esperti' vengono abbondantemente completate e arricchite dall’esperienza dei ragazzi, dalle loro esigenze, dalle loro idee e aspettative. Questo sicuramente, oltre a contribuire a creare una lezione su misura per chi la sta co-creando, si rivela anche un meccanismo estremamente evolutivo per noi docenti. Quando mi reco nelle classi, 'sto bene', perché mi sento investita da un alone creativo di sentimenti che vanno emergendo ogni volta. Ciò supera la classica idea di nozioni o di trasmissione

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di saperi. Inoltre penso che questo lavoro abbia un valore aggiunto che è quello di costruire il bene comune. Credo sia fondamentale creare uno spazio di pensiero nella mente dei ragazzi, oltre che uno spazio d’aula, in cui sia possibile costruire una modalità relazionale costruttiva, sana e rispettosa. In una realtà come la nostra, dove tutto và estremamente veloce, dove un telefonino appena uscito è già stato superato da una serie infinita di telefonini successivi, non si dà il tempo alla mente e al corpo di fermarsi a riflettere sui sentimenti, su ciò che è estremamente e straordinariamente vitale, come la relazione con se stessi e gli altri. I messaggi mediatici poi trasmettono un’ideale di affermazione narcisistica di sé, che nulla ha a che vedere con una sana autostima e un sano rispetto dell’altro. Allora portare nelle classi un messaggio diverso, proporre valori, idee, perché ogni ragazzo le recepisca, le valuti e le contraddica anche per farle sue alla propria maniera, è fondamentale. Infatti, non sempre i valori o meglio i punti fermi esistono. Proprio perché dalla televisione, dalla pubblicità, dalla politica, sembra che ci possa essere tutto e il contrario di tutto e questo disorienta e confonde. Sicuramente dei 'paletti' invece aiutano a tenersi in piedi e ad appoggiarsi, nel caso se ne sentisse il bisogno.

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un gioco di specchi: focus fra studenti e docenti

Un incontro fra studenti e docenti del Progetto per mettere a fuoco alcuni temi che sono stati discussi negli incontri di classe. Che portano poi a riflettere e a indagare su argomenti di ampio respiro, che hanno a che vedere con le storie dei giovani, le loro paure, domande e aspirazioni. A volte uno specchio scomodo delle fragilità degli adulti, a volte un riflesso cristallino di speranze mai sopite.

Partecipano al focus gli studenti: Sara Barbieri (V B. Pascal – Linguistico) Nicolò Codeluppi (V M. di Canossa) Martina Ferretti (IV Z. Iodi – Turistico) Giuliana Santos (IV L. Galvani – Moda) Sonia Sgaramella (IV L. Galvani – Moda) E i docenti: Barbara Corradini, psicologa Roberto Iemmi, psichiatra-sessuologo

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oltre facili scorciatoie [Dialogo fra studenti e docenti sui temi che il Progetto ha stimolato]

Il corpo Giuliana – I temi portati in classe, legati alla violenza e alla prostituzione, ci hanno indotto a indagare sulla nostra relazione con il corpo. Vi abbiamo riflettuto e abbiamo concluso che il corpo siamo noi, il corpo non è un oggetto che possiamo sezionare e di cui usare i pezzi a piacere. Sono io il mio corpo e quindi devo chiedermi cosa faccio di me stessa. Barbara – Abbiamo cercato di vederlo come un tutt’uno, non come una cosa separata. Se uso il mio corpo o la mia immagine per comprarmi una ricarica telefonica da 50 euro o per andare in un posto in cui posso accedere solo presentandomi in un certo modo, non è essere. Sara – Parlando di giovani delle mia età, credo che la consapevolezza del come si usa il corpo non ci sia. Non c’è la coscienza di dire io sto usando il corpo per arrivare a un fine. Come chi magari dice, “Io voglio pesare 40 chili così posso andare in discoteca con la minigonna, sono bellissima e tutti mi guardano”. Perché l’immagine della velina è là sopra, è un simbolo e pesa 40 chili. Martina – Ci sono persone che si fanno fare i book per certi scopi. Io ‘chatto’ sì, ma preferisco farmi conoscere per quello che sono mentalmente, piuttosto che attraverso una foto. Nicolò – Il problema è che forse non c’è più la voglia di conoscere le persone per quello che sono veramente. L’immagine ti prende subito, sei bella o sei brutta. Se mi piaci avrò voglia di conoscerti, altrimenti evito di perdere tempo. Martina – Infatti, secondo me, quello di internet è un modo sbagliato di approcciarsi con le persone perché è una modalità tutta basata sull’immagine. Personalmente preferisco conoscere gente in una serata tra amici, piuttosto che via internet. Attraverso internet ne ho conosciute solo tre o quattro. Certo, incontrare direttamente una persona e conoscerla per quello che è, magari è troppo faticoso.

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L’immagine Martina – L’immagine è il primo impatto: se una ragazza è bella ti rimane impressa. Se invece vedi una ragazza normalissima, in jeans e scarpe da ginnastica, magari dopo 10 minuti, se la incontri per strada non te la ricordi più. Diciamo che l’immagine è il biglietto da visita. Barbara – Diciamo che l’immagine deve colpire, in qualche modo… Sara – Però io sono dell’avviso che una persona vada conosciuta a fondo prima di giudicarla. Ci sono persone che valutano soprattutto l’aspetto fisico e altre, ma sono poche fra i giovani, che preferiscono andare a fondo e vedere la persona per quello che è realmente, al di là dell’apparenza. Roberto – Un conto è se il biglietto da visita è considerato un primo approccio, un’immagine come tale, un mezzo iniziale per superare la barriera di qualcosa. È ovvio, ci nutriamo tutti di immagini. Il bello ha diritto di esistere. Altro è se la carta d’identità si risolve tutta lì, se è lo strumento per definire tutto ciò che noi siamo. È questa la distinzione. E non dico solo a 15, 17, 20 anni, ma in generale è difficile distinguere questa storia qui. Le trasmissioni televisive – che spesso non hanno particolarmente un pubblico giovanile che per fortuna, forse, la sera fa altro – non ci aiutano. Ci siamo dentro tutti, anche come adulti, in questo fraintendimento. E forse l’esserci dentro riguarda noi come genitori, perché è poi quello che trasmettiamo. Mi ricorda anche il discorso sulla scelta delle discoteche. Da un lato non mi sembra il caso di demonizzarle, da sempre esistono locali dove ci si ritrova e si ascolta musica, dall’altro… C’è una storia che io racconto spesso a scuola, quella della ragazza che si annoiava ad andare nei soliti locali, poi dice che le è capitato di meglio, ma forse le è capitato di peggio. Insomma c’è l’idea che è banale, che ci si sente troppo ‘normali’ o omologati, andare nelle stesse discoteche, quindi si cerca qualcosa di esclusivo, ma non è detto che quello che è alternativo a questo sia migliore.

Le discoteche Barbara – Forse più che il tipo di discoteca è la ricerca dello sballo, dell’alcol o droga per dimenticare, per cercare qualcosa d’altro che nella normalità si pensa di non avere. 98


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Matteo O.: “Molte volte anche a me capita di vedere persone ‘diverse’ ma loro sono uguali a noi in tutti i sensi.” 99


Sara – Si parte male dall’inizio: in discoteca le ragazze entrano tutte gratis perché così arrivano un sacco di ragazzi. E per il ragazzo, o sei vestito bene ed entri o sei vestito male e stai fuori. Non condivido questo sistema. Roberto – È una strumentalità che ci sta dietro. Sara – Sui volantini è ben definito, il locale si riserva l’ammissione. Nicolò – Anch’io vado in discoteca, ma pensare che devo pagare 20 euro, che ti timbrano come una mucca e forse alla fine sei escluso perché non hai il vestito all’ultima moda, non mi va. Magari entro e vedo molti ubriachi e penso ‘ma che cavolo è, devo ubriacarmi per divertirmi?’ La prostituzione è l’esempio più palese del degrado a cui andiamo incontro, ma è un marcio generale. Basta guardare la televisione. Le istituzioni dovrebbero comunque spendersi anche sul discorso discoteche. Personalmente ormai ne ho piene le scatole di questi luoghi.

Il fine e i mezzi Sonia – Mi è sempre piaciuta la moda, noi la disegniamo a scuola. Anche quando ero piccola e vedevo la televisione, dicevo che era quello che volevo fare. Semplicemente mi piace vestire alla moda. Le persone ti giudicano per quello che indossi. Se hai una gonna particolarmente corta, sei una puttana. Io credo sia una cosa sbagliatissima da dire. Martina – Be’, anch’io se vedo una ragazza di un certo tipo, vestita in un certo modo, mi viene da pensare, ma non giudico subito. Sonia – Nella mia classe qualcuno ha commentato che per un vestito giusto si potrebbero fare cose un po’ stravaganti, tipo essere disponibili a fare compagnia a qualcuno e si diceva che fino a lì ci si poteva arrivare. Barbara – Abbiamo portato a scuola una storia vera in cui si parlava di ragazze sedute a un bar che venivano pagate. Gli studenti hanno suggerito poi altri modi più sottili, tipo la vendita di una fotografia per aver in cambio il pagamento di una carta telefonica da 50 euro. Qualcuno ha detto che questo succede via internet. Certo, si sa come si parte, ma non si sa come l’esperienza si può concludere. Roberto – Credo che il punto non sia il vestito come fine e nemmeno il denaro. Forse questo apparteneva più alle nostre 100



generazioni. Noi adulti siamo i più ancorati all’idea che il denaro o l’oggetto prestigioso è il fine, non per i ragazzi. Per alcuni oggi il denaro o il vestito giusto è il mezzo per essere inseriti in uno status, rappresenta il modo di essere, di vivere, di avere la possibilità. Non è per il vestito in quanto tale, ma per poter essere visti e accettati in quell’ambiente lì, in quel luogo, per conoscere quelle persone lì. Non si può andare nella solita discoteca, bisogna cercarne una più esclusiva. A volte, per poter essere in quell’ambiente, può anche venire l’idea di prostituirsi. Si capisce fra le righe che, per vari giovani, è necessario seguire per forza certi schemi per non essere tagliati fuori.

L’esclusione Martina – Secondo me è vero. Molti ragazzi hanno questo tipo di mentalità, la preoccupazione di essere tagliati fuori. Molti ragazzi nel loro interiore sanno che è così, ma hanno paura ad ammetterlo e a mostrarsi per quello che sono. Barbara – Nella classe di Sonia è uscita la paura di essere esclusi dal gruppo. Nicolò – Io sono pienamente d’accordo con quello che è stato detto. Il corpo diventa un mezzo per arrivare a qualcosa che non si sa nemmeno cosa sia. E al di là della prostituzione che è il male più grosso, quello più palese, ci sono altre forme meno evidenti a cui non prestiamo attenzione. Io vedo a scuola da me le ragazze che già a 14 anni si presentano in giardinetto a fumare. Lo fanno perché vedono quelli più grandi. E si capisce benissimo che sono in difficoltà, che sono impacciate, però per atteggiarsi, per fare vedere che loro ci sono, ti vengono a chiedere la sigaretta, un mezzo per arrivare a una certa posizione sociale all’interno della scuola. E poi in discoteca devono mostrare che sono in grado di bersi una cosa alcolica, che possono reggere il ritmo degli altri e poi finiscono per vomitare e devono telefonare a casa alla famiglia. È giusto bruciarsi, ma poi devi anche imparare dagli errori che hai fatto. Io ci ho rimesso un anno di scuola per delle stupidate che ho fatto. Vedo invece persone che, se sono state bocciate, danno la colpa agli insegnanti che non li capiscono e si lasciano andare. No, queste sono sfide da prendere, devi accettarle alla grande, hai 20 anni, insomma fa qualcosa. 102


Martina – Ma sono atteggiamenti che ci hanno inculcato. Sarà banale, ma è ciò che la televisione ci propina 24 ore al giorno: le veline, le donne seminude, l’atteggiamento di strafottenza. È un tipo di mentalità che si sta introducendo nella testa di molte persone, forse quelle più fragili, quelle che hanno bisogno di cose materiali, che pensano che solo in questo modo possono essere qualcuno.

Lo sballo Roberto – L’estetica, la moda, che è meravigliosa, non va demonizzata, così come l’aggregazione. Il problema sorge quando questa diventa strumento per qualcosa d’altro. Ma parliamo anche del vino, quando è un fine per sentirmi più coraggioso, quando mi serve per sballarmi un po’, allora diventa strumentale. Come qualsiasi cosa che io butti giù che mi faccia alterare le percezioni. Altrimenti sarei tagliato fuori, non starei nel giro. Uno non può passare da astemio quattro ore davanti a un bar venerdì o sabato sera dalle 21 alle 24: un cocktail, un altro, un prosecco, due noccioline, poi all’una vanno in discoteca già fusi. Così come l’uso strumentale della sigaretta. La sigaretta si inizia a fumare non perché piace – fa in effetti schifo – è che è un comportamento che ti fa accettare. Anche negli anni Cinquanta si iniziava a fumare per darsi un contegno, ma ora tutto è strumento. Nicolò – Basta vedere la droga negli anni Settanta e Ottanta: c’era l’eroina che arrivava, ora i ragazzi a 15 anni buttano giù delle pasticche una dopo l’altra che danno infarti al cuore. Prima erano prezzi inaccessibili, ora le pasticche te le danno gratis, e dopo due o tre sabati… Barbara – A un certo punto hanno livellato i prezzi delle droghe, la differenza era solo nella quantità. Nicolò – Ne abbiamo parlato in classe con i miei compagni e ciò non risponde altro che a leggi di mercato. Se tu proponi più robe, certo che puoi abbassare il prezzo, è la quantità di domanda che ti fa abbassare il prezzo. Barbara – È come la prostituzione. Roberto – È un discorso di civiltà, ma il problema è globale. C’è l’idea che tutto quanto è mercato, che tutto si compra e si vende, a cominciare dalle cose più interiori. Solo il dire che il corpo può essere usato, per me è una grandissima idiozia, è una patologia e qui ragiono da medico. 103


La sessualità Nicolò – Parlando delle prostitute, sembra non esista più il tipo quasi mitologico cantato da Fabrizio De Andrè che ti faceva fare esperienza da un punto di vista sessuale e tu dopo ti sentivi un uomo. Ora lo fai perché pagando ti arroghi il diritto di agire come ti pare, potresti anche picchiarla, per assurdo, perché hai pagato. Roberto – Esistono anche situazioni dove, ad adeguato prezzo, corrisponde un adeguato uso del corpo altrui per fini di violenza, per fini deliberati di dolore. Nicolò – Così il sesso non è più un’esperienza adolescenziale che poteva essere più o meno bella, così è una merce, non provi più emozioni. In classe a volte ne parliamo e viene fuori una cagnara; mi dicono che sono estremista su questo punto. Ne parlo un poco con i miei amici e un poco a casa, avendo anche una sorella più grande. In classe abbiamo discusso del come è vista oggi una persona che arriva vergine al matrimonio. Sonia – E come è vista? Nicolò – È ovvio che ti vengono a dire fa bene, fa bene a farlo. Ma sfido io quando conosci una persona che ti dice “io sono vergine, mi piacerebbe arrivare vergine a 30 anni quando mi sposerò e solo allora lo farò con quella che diventerà mia moglie”. Ti prendono per scemo o per pazzo. Sembra quasi una malattia ed è un degenerare della società.

La verginità Nicolò – La sessualità e il sentimento possono essere legati? Personalmente quando l’ho fatto per la prima volta con la mia morosa di allora, non sapevo bene, ma lo facevano tutti e quindi lo volevo fare anch’io. Ho capito dopo, cambiando fidanzata, perché lei ci teneva a questa cosa della verginità. È anche una prova di coraggio nei suoi confronti, specialmente se lei è vergine. Tu le stai prendendo qualcosa che lei si ricorderà tutta la vita, nel bene o nel male, quindi devi essere responsabile al massimo in questo. Non solamente toglierti i pantaloni e metterti un preservativo e via. C’è tutta una storia dietro da girare la testa, se ti è piaciuto o ti ha fatto schifo, è un campo minato. Non per niente esistono i centri di ascolto, i consultori. 104


Roberto – Una considerazione a ruota libera. Nicolò ha parlato di coraggio. Il coraggio è la cosa che manca più di tutte. Quando c’è qualcosa di comodo che puoi comprare, di qualunque cosa, anche dei valori, allora lo fai perché non hai coraggio. Coraggio è scegliere di fare qualcosa solo quando la mia cultura, la mia religione dice che è giusto farlo, oppure scegliere di farlo anche senza una cultura di tipo religioso, ma perché io la sento. O non farla perché non la sento, anziché farla perché la fanno gli altri. C’è un cantautore, Ivan Graziani, che diceva che siamo in un mondo in cui il coraggio è sempre meno e siamo pieni di paura, magari messa dentro ad uno scrigno dorato che poi è quello che tu puoi comprare. Abbiamo paura semplicemente di quello che potremmo essere. Noi docenti, laici e cattolici, andando a parlare con i ragazzi, non ci siamo mai trovati radicalmente in conflitto anche se per i cattolici ci sono valori che presuppongono di aspettare il matrimonio per dare legittimità all’atto sessuale. Ma anche mio padre, che è ateo, mi ha insegnato a farlo quando era il momento, quando era ora, quando condividevo, soprattutto. A condividere si fa fatica. Nicolò – Si fa fatica ad accettare i no. Roberto – Sì, si fa fatica. La scorciatoia è infatti, compro o uso la forza. Barbara – Dire aspetto il matrimonio per esprimere la sessualità, vuol dire dare importanza al legame che ho, a quello che sento. Dire quello, vuol dire che voglio affrontare la dimensione del legame, della relazione, dell’attaccamento a una persona e questo fa molta paura. Che è molto diffusa, anche fra gli adulti.

La paura dei sentimenti Nicolò – La tecnologia ci sta dando una mano a bloccare i sentimenti. Scrivere ti voglio bene, facciamo fatica a digitarlo anche per intero e così mettiamo la sigla Tvb sul cellulare, che poi ti viene naturale anche dirlo di persona, è una cosa eclatante. È raro trovare una persona che ti guarda negli occhi e ti dice “ti voglio bene”. Giuliana – Per me non è difficile dire ti voglio bene. Perché quando lo dico sono convinta di quella cosa, anzi. Quando sento che è vera, perché no. Magari ci rimetterò la faccia, ma magari avrò imparato qualcosa. Certo che la sessualità è legata al sen105


tire, se no che senso ha? L’immagine? Io guardo l’intero di una persona. Naturalmente è sempre bello vedere un bel corpo, ma per me l’immagine non conta più di tanto. Sonia – Per me è difficile dire ti voglio bene. Anche se lo provo veramente, mi viene difficile dirlo. Quando un ragazzo, che magari conosco da poco tempo, mi dice “ti voglio bene”, tendo a metterlo in dubbio. Ci vado con i piedi di piombo. Sara – Per me è difficile sentirmi investita da sentimenti degli altri. E anche esprimerli. È più facile dichiararli quando non sono veri fino in fondo, di quando li senti davvero. E quindi penso che anche il Tvb, il ti voglio bene del cellulare… be’ credo sia più profondo un “ti voglio bene” non detto che il Tvb. Credo sia più difficile dare un nome ai sentimenti che provi e anche esprimerli, perché non puoi dare un nome a una cosa che non conosci. Giuliana – Io la penso in modo diverso riguardo al cellulare. Certo non ci ha aiutato, ma il Tvb è diventato semplicemente commerciale, un modo di fare. La gente scrive Tvb anche se deve mandarlo a una persona che ha conosciuto tre giorni prima. Roberto – Vorrei richiamarvi a un’attenzione. Non è che i sentimenti sono solo quelli grandi, quelli importanti. Noi siamo fatti di tante possibilità. Non è che il piccolo sentimento o la simpatia di un primo momento per qualcuno siano di serie b. Il cellulare è comodo, la discoteca può andare bene. Non credo che dobbiamo demonizzare queste cose. Noi siamo anche fatti di piccoli sentimenti. Se io dico che stravedo per l’Inter, non vuol dire che l’Inter è più importante della pace nel mondo, però è legittimo che io abbia una passione sportiva, che mi sia simpatica quella persona, che voglia bene a un cane, a un canarino. Certo è che viviamo in un mondo che tende ad equiparare tutto. Perdiamo una scala di valori o una graduatoria per cui tutto, bene o male, si confonde in questo grigiore del “va tutto bene”. Sara – Oltre ai grandi sentimenti, anche quelli piccoli sono difficili da definire se passo il mio pomeriggio, la mia giornata davanti alla play station o a guardare il Grande fratello o con facebook. Vuol dire che non sono in grado di trovare la bellezza o il piacere nel guardare un albero, non li conosco comunque perché faccio altro. Roberto – Viviamo in una civiltà che tende a moltiplicare le emozioni e voi sapete che se io aumento il denominatore, diminuisce il valore specifico della cosa. Parlando di calcio, che a me piace molto, se in un anno ci sono almeno 20 partite che 106


Studenti del Pascal durante un confronto sul tema delle differenze

ti vengono spacciate tutte le settimane come la partita dell’anno, allora l’emozione dell’attesa perde di peso specifico, perde di valore assoluto. Bisognerebbe fare passi indietro per sapere aspettare, anche per sapere distinguere i sentimenti grandi da quelli, pure legittimi, più quotidiani, più semplici. A livello emotivo noi questa cosa nel Dna ce l’avremmo, ce la fanno perdere, perché è poi necessario finalizzare tutto a una logica di compra-vendita, di usufrutto delle cose. Sara – Anche il sapere aspettare manca. Ho una sorella più giovane di cinque anni e che è in prima superiore; io, quando avevo la sua età, non avevo quella libertà che ora ha lei. Secondo me si è tutto anticipato. Ti aspetta di diritto aver il cellulare in quinta elementare, oppure andare al cinema con i tuoi amici da sola. Il saper aspettare non esiste. Roberto – Qualche giusto divieto ogni tanto ci vorrebbe, così come il sapere che non tutto si può avere, questo è il grande problema. È proprio il concetto stesso dell’educare ai sentimenti. I sentimenti sono proprio qualcosa di raro, qualcosa che si perfeziona da sé, qualcosa che può anche essere piccolo e che ha tutto il diritto di esistere. 107


Il futuro Sara – A lungo andare spero di realizzarmi, non solo rispetto al lavoro, ma anche all’essere la persona che ho scelto di diventare e non perché qualcuno me lo ha imposto. Ora come ora è un po’ difficile, perché ci vuole coraggio a essere se stessi, perché c’è il timore di essere giudicati, esclusi. Un buon obiettivo da voler raggiungere è quello di non aver paura di essere me stessa e di poter scegliere chi essere. Martina – Tutti vorrebbero essere realizzati. Per me essere realizzati significa trovare la felicità anche nelle piccole cose quotidiane. Essere felice e vedere davanti a me persone tranquille, vivere comunque in un ambiente puro, non corrotto, in un clima di tranquillità. Riuscire a finire la scuola, riuscire ad andare all’università, a trovare l’amore della mia vita. Crearmi un’esistenza mia ed essere padrona delle mie decisioni. Alla fine quello che accomuna un po’ tutte le persone. Situazioni che via via si formeranno. Tutte le esperienze ti aiutano a crescere, gli sbagli soprattutto, e a capire alla fine quello che vuoi. Giuliana – Un giorno in classe da me abbiamo parlato di quello che speravamo dopo la scuola. E non è uscito quello che state dicendo, ma piuttosto la speranza di mantenere il gradino sociale a cui appartenevano, tipo diventare direttrice dell’azienda del padre; quindi non credo che sia proprio di tutti quello che affermate. Nicolò – Io aspiro, prima di tutto, a finire la scuola. Vorrei anche cercare di rimanere curioso. E che anche a 40 anni, io sia in grado di trasmettere questi valori magari a mio figlio. Vorrei che mio figlio potesse ascoltare i miei consigli come padre, ma soprattutto come quelli di una persona di cui si può fidare. Fra le mie aspettative, magari quella di riuscire con il basket, e chissà se rimarrò in Italia a vivere o se andrò da qualche altra parte, ma quelle sono cose del momento. Invece il poter diventare una persona di riferimento per mio figlio o per qualcun altro, è importante. A me piacerebbe fare l’insegnante, addirittura di scuola elementare perché è da lì che parte tutto. Se ho un modello che mi ispira? I miei genitori assolutamente: per quello che hanno fatto, per come mi hanno sopportato soprattutto. Delle figure storiche, magari leggo il loro pensiero e forse mi prendo questo o quest’altro, anche così formi il tuo modello. 108


Martina – I miei modelli sono mio padre e mia madre, per le caratteristiche particolari di entrambi. Un po’ la serietà e la sicurezza di mio padre e un po’ l’ingenuità e la spontaneità di mia madre. Mi hanno dato tanto e continuano a farlo e li ringrazio di avermi aiutato a diventare quello che sono, anche a essere un poco critica e a non seguire sempre la moltitudine. Sara – Mia mamma. C’è anche mio padre, ma il tempo che ho passato con lei è stato sicuramente maggiore. Però un po’ mi spaventa avere mia madre come esempio, perché è veramente una persona molto responsabile. Roberto – Mi piacerebbe che i giovani avessero la possibilità, non tanto di realizzare i loro modelli, quanto di esserne profondamente convinti senza sentirsi, né delle mosche bianche, né una razza privilegiata.

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SENTIMENTI E SESSUALITà: LA PERCEZIONE DEI GIOVANI

Roberto Iemmi, docente del progetto, traccia lo schema metodologico di approccio alle tematiche di Educare ai sentimenti nelle classi. Sono quindi riportate alcune schede che testimoniano i pensieri degli studenti sul mondo tumultuoso delle emozioni, della difficoltà a viverle e le parole chiave per definire la relazione con l’altro sesso. Arrivano da classi degli istituti Pascal, Ipsia/Galvani e liceo Canossa. Quindi alcune storie vere utilizzate dai docenti nelle classi.

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la metodologia di lavoro di Roberto Iemmi

Sono fondamentalmente due le modalità pedagogico-educative con cui si svolgono gli incontri-lezione che teniamo nelle varie classi della scuola secondaria superiore. Incontri che chiediamo siano almeno due, meglio tre, per classe e della durata di due ore ciascuno. La prima tipologia è basata su un’induzione d’interesse. Rispetto a ciascuno dei temi che noi proponiamo agli Istituti scolastici e che sono propri del Progetto, noi raccontiamo delle storie, soprattutto quando l’argomento è quello della prostituzione o di forme di violenza contro la donna. Nel periodo in cui abbiamo collaborato con l’associazione Rabbunì di don Daniele Simonazzi, il docente di Rabbunì raccontava una storia di prostituzione di strada, a cui poi aggiungevamo la narrazione di vicende legate ad altre forme di prostituzione, che oggi diremmo molto attuali come quelle delle ‘escort’, su cui abbiamo avuto molte notizie di cronaca recentemente. L’idea è quella di scatenare l’interesse dei ragazzi, non solo quello solidaristico rispetto, per esempio, a fenomeni di tratta delle ragazze che arrivano da Paesi diversi dal nostro, con situazioni personali molto differenti da quelle dei giovani che frequentano le nostre scuole. Portare storie vere di loro coetanei, spesso di buona famiglia e senza problemi economici, che trovano forme meno apparenti di mercificare il loro corpo, ebbene, ciò scatena il loro interesse. L’abbinamento di queste due differenti vicende funziona anche per dare l’idea che il problema non riguarda solo persone con una situazione molto diversa dalla nostra, ma coinvolge la nostra stessa vita. Cerchiamo così di suscitare il loro interesse che diventa più intenso, quanto migliore è la nostra capacità di rispondere alle loro richieste, ai loro perché, nel fare comprendere chi sono i protagonisti di queste vicende e il perché si arriva a questo. A volte significa anche intendere come funzionano le leggi nei vari Paesi e come mai non si può fare nulla e come mai questo ‘mestiere 113


più vecchio del mondo’ continua. Significa ascoltare i perché dei ragazzi che poi è la dinamica fondamentale verso la conoscenza dei bambini e degli adolescenti. Questa è la prima metodologia che è stata quella fondamentale, quasi esclusiva, per vari anni. Poi è maturata anche un’altra metodica, che è un po’ alla rovescia, poiché parte dalla raccolta di ciò che i ragazzi sanno. Noi poniamo un argomento o il titolo di un tema del nostro Progetto, violenza, prostituzione, intolleranza, oppure quello delle varie forme di ‘diversità’ e facciamo quello che in gergo si chiama brainstorming. Chiediamo cioè ai ragazzi di fare uscire d’istinto dei termini, quelli che si associano alle parole che proponiamo e li scriviamo sulla lavagna. Si scatena allora una grande confusione, ma che è guidata, voluta. Si cerca comunque d’indirizzare la discussione in una certa direzione. A questo punto facciamo quello che nell’altra tipologia era la prima cosa, cioè proponiamo delle storie che aiutino a capire la situazione. Rispetto alla scelta metodologica, almeno per quello che riguarda me, ma in questi anni è stata molto condivisa, noi non proponiamo solo schemi cognitivi, perché in due o tre incontri non si concluderebbe nulla; certo diamo anche delle informazioni, diciamo e rispondiamo a domande conoscitive, ma fondamentalmente lavoriamo sul piano emotivo. Questo modo emozionale di dialogare con i ragazzi, prima ancora che conoscitivo, giunge più dritto al cuore. Personalmente preferisco arrivare lì piuttosto che al cervello e magari, se è possibile, a tutti e due.

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il tumulto delle emozioni e le difficoltà a viverle [I pensieri di una quarta classe dell’istituto Luigi Galvani: sintesi della psicologa Barbara Corradini]

A titolo di esempio, una modalità del come si evolvono gli incontri con i ragazzi/ragazze in orario scolastico. In questo caso ci si riferisce all’esperienza elaborata con gli studenti di una quarta classe del Galvani. Si tratta di dinamiche di gruppo intorno al tema della diversità di genere e sul rapporto maschio-femmina

Il corpo All’inizio è emersa un’immagine del corpo come una parte di sè, che ognuno ha la possibilità di utilizzare liberamente, escludendo l’eventualità di venderlo in tutte le sue forme; si includono invece i criteri dell’uso, fra cui la relazione più o meno diretta. Un altro criterio è scegliere di usare solo una parte, per esempio il viso sì, ma il corpo no (in internet posso mettere il mio viso che mi identifica, ma mettere il mio corpo è eccessivo, può essere una vendita). Un altro criterio è il mostrare la propria immagine, però ponendo dei limiti (essere più o meno vestiti). È contemplata da alcuni la possibilità di mostrarsi, di far vedere la propria immagine limitando la visione solo a chi ha un legame (per esempio agli amici). Altri invece lo ritengono un tradimento, in particolare se c’è una relazione affettiva in atto (mostrare la propria immagine a un amico, quando ho il ragazzo, può essere un tradimento). Nel mostrare il nostro corpo rientra il piacere di esibirlo, di sentirsi desiderati dall’altro: quindi ci si veste in un certo modo perché ci piace e/o perché gli altri ci notino. Il corpo e noi siamo la stessa cosa: non si può dividere il corpo dal pensiero e il viso dal corpo. Il corpo esprime la personalità. È importante non perdere di vista la dignità della donna, non sottovalutarsi, avere rispetto di sé e quindi darsi valore. Questo coesiste con il piacere di essere guardate e desiderate fino ad arrivare alla provocazione della donna verso l’uomo. L’esibizione del corpo da parte di qualcuno famoso è consentita socialmente, mentre è giudicata negativamente se fatta da una persona comune.

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Il gruppo Il gruppo a volte ci influenza e ci induce a fare delle scelte, anche se è apparsa fin dall’inizio l’altra faccia della medaglia: la ricerca dell’autonomia, il non rinunciare alle proprie idee. È un difficile equilibrio, perché c’è anche il rischio di perdere la compagnia e rimanere soli: è proprio vero il detto ‘meglio soli che male accompagnati’. Il gruppo ci spinge a provare delle cose nuove, per esempio il fumo. Nessuno del gruppo ti obbliga a fare qualcosa in modo diretto, però ti può far capire che c’è in ballo l’esclusione dal gruppo, come nella storia di Jessica [vedi pag. 129]. Il gruppo conosce le tue fragilità e i tuoi bisogni e fa leva su quelli per farti fare quello che vuole. Qualcuno nel gruppo può non essere d’accordo, ma è difficile che si esprima contro corrente, preferisce girarsi dall’altra parte.

La relazione uomo-donna Sentirsi desiderata, apprezzata e non essere sola è un’esigenza importante: se vengo disprezzata da tutti, almeno qui ho qualcuno che mi apprezza. Gli uomini adesso sono più in attesa del primo passo delle donne, che si devono proporre per prime (sarebbe bello ritornare al corteggiamento). Rispetto alla ‘relazione prostituita’, di cui abbiamo parlato, per l’uomo sembra non importare chi è o come è una ragazza, basta che stia lì con lui. Infatti la incoraggia a mostrare la ‘merce’. La ragazza percepisce che è lui che comanda perché è lui che ha i soldi. Molti uomini considerano ancora la donna un oggetto o un essere inferiore. Fanno fatica a comprendere la situazione, cedono alla tentazione. In strada si va per comprare un oggetto e per divertirsi, per hobby. La relazione tra l’uomo e la donna è corretta quando c’è un legame, quando c’è un desiderio da parte di entrambi. Ci deve essere anche il divertimento, quando c’è sentimento (cosa che non c’è sulla strada). Quanto conta il desiderio? Nella relazione con l’altro ci piace avere il controllo, decidere le condizioni, giocare con le nostre regole, ma ricordiamo che non c’è un contratto definito. È possibile ‘contrattualizzare’ le relazioni? Ho delle regole condivise? Mi pongo delle domande quando scelgo all’interno della coppia? 116


La scelta Dibattito acceso e controverso: alcuni dicono che anche nell’essere obbligate c’è un margine di scelta, altri riconoscono i condizionamenti che sono sempre presenti e il fatto che per scegliere bisogna avere i piedi per terra. Non farsi guidare solo dai sogni, ad esempio sulla scelta della scuola. Ci sono casi in cui non si hanno opzioni possibili. Nella scelta bisogna essere sempre pronti a rinunciare. Nell’obbligo ci può essere qualcosa di bello. Scegliere comprende sempre la dimensione del potere. A volte i sogni prendono il sopravvento. Il criterio per scegliere può essere il guadagno, nel rispetto dei principi. I soldi servono e non c’è niente di male. Cosa significa mettersi in gioco? Dare tutto se stessi per raggiungere uno scopo Scoprire fino a dove possiamo arrivare Provare cose che non faremmo mai Rischiare e mettere alla prova le nostre possibilità Rischiare per arrivare allo scopo, per ottenere qualcosa Cambiare comportamento e aspetti del carattere per vivere esperienze che ci permettano di conoscere e conoscerci meglio Andare oltre paure e limiti Sfidare se stessi Affrontare la vita a testa alta Essere disponibili ad aiutare le persone in difficoltà Tentare di cambiare o creare una situazione rischiando risvolti negativi Denaro, piacere e potere Lavoro importante e ben pagato Benessere Bisogno di avere qualcosa di completamente diverso I soldi in eccesso rendono l’uomo schiavo Il denaro rende libero l’uomo dal bisogno, il potere superiore alla massa, il piacere spensierato di fronte ai problemi Denaro, potere e piacere sono legati fra loro e fanno parte della vita di ognuno Il piacere è il valore più importante, inteso come il benessere di una serena vita sentimentale e come stare bene 117


Tentazioni, difficili da ignorare Felicità per alcuni e non importa degli altri Io centro dell’universo Qual è l’aspirazione massima dell’uomo? Quanto sei disposto a giocare della tua vita per i legami affettivi? All’unanimità è emersa la relazione tra quanto si è disposti a dare e l’intensità del legame. Più il legame è stretto, più rischio e mi metto in gioco. Alcuni aggiungono sfumature al concetto: dipende da quanto la persona con cui siamo in relazione lo merita, dalle circostanze, dalla volontà, da quanto è messa a rischio la relazione.

Scena dalla performance Le mie labbra mai

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la relazione, tra desiderio e difficoltà [Dal laboratorio Di tutti i colori, le riflessioni della classe 3A e 3B dell'istituto Blaise Pascal sulle diversità di genere (2009-2010)]

L’imput è stata la narrazione di due storie di prostituzione nascosta nelle aggregazioni giovanili di ‘elite’, di ‘velinismo’ e incontro con ‘vip’. Storie dure, a cui segue una discussione. Si parla delle relazioni e del come si manifestano nella quotidianità. Vengono poi poste delle domande ai ragazzi e alle ragazze separatamente: Come vedi il tuo genere? Come vedi l’altro genere? Come pensi che loro vedano il tuo genere? Perché il branco? Le risposte vengono scritte su grandi fogli bianchi. Nell’ultimo incontro, di nuovo insieme a restituirsi i rispettivi pensieri emersi. Il materiale così prodotto (oltre a costituire un documento a disposizione del Progetto) viene proposto, in una specie di mostra, ad altre classi dello stesso Istituto. Ciò avviene una mattina a fine anno scolastico e la discussione è guidata dagli operatori del Progetto e dai ragazzi e ragazze delle classi che lo hanno elaborato.

I maschi Come vedi il sesso femminile? • •

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Lo vedo come un mio simile con caratteristiche diverse; una persona con cui riesci a costruire una discussione e un rapporto stabile. Una persona al mio pari! Credo non si possa generalizzare su cose del genere; certamente esistono degli stereotipi dettati dalla cultura in cui si cresce, che però saranno veri una volta su mille. Le ragazze che conosco io, in genere, sono più mature e sanno prendere in mano la situazione quando ce n’è bisogno. Dimostrano un po’ più di maturità. A volte fai anche fatica a capire come prenderle perché non sono tutte uguali come sembrano. Comunque sono complicate. Complicato, pensano troppo alle conseguenze delle proprie azioni. Si dovrebbero buttare di più. Ormai la donna è usata come un oggetto. 119


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Io lo vedo complicato, sempre attivo, pronto a criticare gli altri; ma allo stesso tempo più organizzato, maturo e disponibile, sensibile e capace di ascoltare. Complicato – Attraente – Profondo – Stressante. Come una necessità. Una parte della vita di cui non si può fare a meno; ci completa. Come un modo diverso con cui rapportarsi per crescere e maturare in modo da non avere concetti stereotipati, ma idee reali derivate dall’esperienza. Si possono certamente trovare caratteristiche comuni tra i due sessi, considerando sempre le eccezioni. Partendo da queste differenze generali (il carattere più complicato, le fisse che a volte risultano incomprensibili ed ingiustificate…) l’altro sesso è quindi qualcosa che generalmente è diverso, ma con cui sicuramente vale la pena rapportarsi per crescere e maturare. Vedo il sesso femminile più sensibile rispetto a quello maschile, più maturo e riflessivo, attento alla propria immagine e rispettoso verso il prossimo.

Come pensi che il femminile veda il sesso maschile? • • • •

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Come insensibili, superficiali, infantili. Che hanno bisogno di crescere e maturare. A mio parere molte volte vedono l’uomo come una persona senza sentimenti, che si preoccupa solo di apparire. Secondo me le ragazze tendono a generalizzare sui maschi definendoli spesso immaturi, infantili e superficiali. Molto immaturi, però allo stesso tempo, come amici su cui contare e su cui si può fare affidamento senza farsi troppi problemi. Ci vedono come dei fissati, ad esempio dello sport. Semplici – Superficiali – Decisi – Volenterosi di fare – Stronzi. Io penso che la maggior parte delle ragazze vedano i maschi come grezzi, disorganizzati, poco affidabili e quindi oggetto delle loro sparlate. Quando invece ne trovano uno che è l’opposto, si vogliono relazionare con lui e conoscerlo bene. Come persone spesso poco sensibili e superficiali per-


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ché, nella maggior parte dei casi, mostriamo loro questo. Ma anche (a volte) come persone affettuose, capaci di renderle felici, avendo un rapporto di serietà e serenità. Ci vedono come immaturi, senza testa, senza sentimenti, come persone che pensano solo a ‘quello’. Secondo me anche le donne vedono gli uomini come qualcosa di diverso da loro, con cui è importante relazionarsi per vedere le differenze e potersi confrontare. È probabile che le donne ci vedano più superficiali. Specialmente fra coetanei, io penso che nella grande maggioranza dei casi, l’altro sesso ci veda immaturi, forse non al suo pari; è tuttavia importante sottolineare che si può essere visti anche come veri punti cardine, magari interessandosi alle problematiche dell’altro sesso, così da capirlo e farci capire.

Come pensi che il femminile veda la sessualità? •

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Non esiste un unico esempio. Siccome alcune donne vivono il sesso come un ‘piacere’, altre lo vedono come un passatempo e altre invece lo vedono, come secondo me è giusto, cioè come un ‘gesto’ da compiere quando si è pronti. In maniera più sentimentale… È come una questione più profonda del semplice rapporto tra corpi. Per loro la prima volta è un passo molto importante che va riflettuto e pensato o forse una cosa che deve venire spontaneamente, senza leve o forse che si impongono nel rapporto di coppia. Si fanno troppi problemi, pensano troppo alle conseguenze, lo vivono in modo troppo sentimentale; non sono semplici e decise come i maschi. Secondo me lo vivono in modo molto prezioso. Come una cosa seria e importante da vivere con la persona che hanno al loro fianco. In modo profondo e sentimentale. Per me le ragazze vedono la sessualità in modo molto sentimentale e danno (giustamente) molta importanza al rapporto di coppia. Sicuramente le ragazze sono molto più attente e più 121


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caute per quanto riguarda i rapporti sessuali, perché, in caso di ‘problemi’, loro sono quelle che ci rimettono di più, mentre il maschio è più ‘tranquillo’. Loro lo vivono con più passione e meno per motivi ormonali. L’altro sesso vede la sessualità come una cosa più elevata, meno legata agli impeti del momento e forse più vicino ai veri sentimenti. Rispetto al sesso maschile, genericamente, per le donne la sessualità è qualcosa di profondo, qualcosa che arriva dopo una serie di esperienze diverse, in cui ci si conosce. La sessualità è qualcosa che ti fa conoscere ulteriormente l’altro e la donna lo vede come il completamento di quella conoscenza.

Il gruppo maschile visto dai ragazzi • • • • • • •

Serve per combattere la timidezza Ci si consiglia a vicenda Per divertirsi Per difendersi a vicenda Per fare nuove esperienze Perché è bello stare in compagnia Nel momento del bisogno si può contare sul gruppo

le femmine I ragazzi in branco perché? • • • • • • • • • • • 122

L’uomo in gruppo è più cattivo, quando è solo ha più paura Per sentirsi accettati Per possedere Dà più sicurezza e forza Per dimostrare di avere coraggio Per riuscire a fare cose rischiose Per vincere Usare Per potere essere leader Per dimostrare il proprio valore Meno scrupoli


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Si proteggono Vendere Per superare la timidezza Comprare Amicizia – solidarietà Omertà, proteggersi a vicenda Sono chiusi e recitano una parte E con gli amici vanno a ridere di te

Il gruppo femminile visto dalle ragazze • • • • • • • • • • •

Per trovare conforto Dà maggiore forza e sicurezza personale Per divertimento e distrazione Per ritrovarsi in qualcuno di simile Per spettegolare Per crescere Per necessità di confronto Gruppi piccoli e fissi Per sentirsi mature e superiori Per distaccarsi, alleggerire situazioni Per rivalità personali

Come vedi il sesso maschile? • • • • • • • • • • • •

Pensano alla ‘donna oggetto’ Ho lottato per cambiarli Sessualità? Un traguardo da raggiungere Teoria del sesso: l’uomo è ‘figo’, la donna…no! Sono schietti Devono dimostrare a qualsiasi costo Sono immaturi Hanno responsabilità zero Noi siamo al loro servizio Sanno essere solidali Gli uomini si scordano di essere nati tutti quanti da una donna Hanno vergogna di provare sentimenti diversi dal divertimento

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quando ci togliamo la maschera [I pensieri della classe 4I del liceo Matilde di Canossa]

La quarta classe, sezione I del Canossa, si è confrontata sui temi delle relazioni: sono facili o difficili? Ma anche sulla paura del giudizio e sull’amicizia, sull’uso del corpo e sulle illusioni. La loro sintesi. Quando lasciamo che l’incontro ci tolga le nostre difese • •

Il comportamento è diverso a seconda di quanto ci si sente protetti? Il gruppo dà senso di protezione, da soli ci si sente insicuri Il comportamento è diverso se si conosce l’altro? Se conosciamo l’altra persona abbassiamo le difese e ci togliamo la maschera; se non la conosciamo, abbiamo meno coraggio e più difficoltà a mostrarci

Mostrare il volto a chi è diverso da noi • • • •

Non sempre è possibile per paura del confronto con chi è molto diverso da noi Disponibilità, perché è giusto non scappare dalle difficoltà e assumersi le proprie responsabilità Disponibilità quando si è convinti di essere nel giusto e quando si valutano gli altri più deboli Disponibilità tutti i giorni, con delle differenze: quando la diversità fra le persone aumenta, sono maggiori le difficoltà e la paura del giudizio

Quanto conta un rapporto di amicizia • • • •

È fondamentale perché ci permette di essere noi stessi In alcuni casi ci porta verso errori Non ci fa sentire soli in momenti di difficoltà Influenza le scelte perché si vuole appartenere al gruppo e quindi si può agire anche non correttamente 125


L’amicizia è tutto: con un amico si può essere senza veli e faremmo qualsiasi cosa

Uso del corpo come se fosse staccato dalla testa • • • • •

Accresce l’ego e i conflitti interiori; si è influenzati dai media, c’è mancanza di valori e si va contro la morale per affermare la propria indipendenza No alla separazione fra viso e corpo per favorire la personalità individuale Foto di sé come vendita, noi siamo oggetti, però ci sono cose più gravi No alle divisioni, ciò che decidi di fare con il corpo è deciso dalla mente Valorizza la figura della donna, corpo come guadagno, si va indietro al tempo delle donne solo come oggetto sessuale; il corpo per dignità e non per vendita

La prostituzione come il mestiere più vecchio del mondo • • • • •

Corpo come oggetto di vendita per notorietà; tra uomini alleanza, tra donne lotta; l’uomo prevarica sulla donna La prostituzione ci sarà sempre, uso inappropriato del corpo, nella prostituzione legame sessuale Ci sarà solo se ci sarà il cliente; non c’è relazione di tipo sentimentale nella prostituzione, entrambi sono subordinati e dipendenti l’uno dall’altro La relazione uomo-donna stabile è basata sull’amore, nella prostituzione obbligo per chi la esercita, piacere per chi ne approfitta Trasgressione e divertimento per l’uomo, fonte di guadagno per la donna; nella relazione uomo-donna coinvolgimento emotivo e divertimento per entrambi

Influenza dei sogni, desideri, illusioni, fiducia nelle scelte • •

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L’opinione degli altri ci influenza, come i desideri e la fiducia Situazioni che costringono a scelte, importanti sogni e desideri; l’obiettivo finale è perseguire il proprio sogno con tenacia


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Desideri e altro ci influenzano nell’obiettività (aspettative e desideri soprattutto) Dipende soprattutto dal contesto e dalle caratteristiche personali Non si può scegliere oggettivamente perché la situazione ci influenza; quando una cosa è fatta, non sempre si riesce a tornare indietro Sempre influenzati da fiducia, illusioni, da ciò che viviamo Paura di scegliere e insicurezza, facilmente influenzabili, la fiducia in noi stessi è più importante, bisogna prevedere le conseguenze per quanto si può.

Scena dalla performance Le mie labbra mai

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storie vere e pensieri vari sulla prostituzione [Narrazioni proposte dai docenti in varie scuole e considerazioni finali di studenti]

Quelle che seguono sono brevi storie vere. Sono tratte dall’esperienza degli operatori di strada dell’associazione Rabbunì e da quella professionale dei docenti del Progetto. Vengono utilizzate nelle classi per parlare delle varie forme di prostituzione, da quella di strada a quella nascosta, magari durante feste di lusso. Alle storie possono seguire domande, provocazioni, riflessioni.

Al bar Jessica si trova al bar con le sue amiche per passare un pomeriggio in chiacchiere. Il barista sta preparando le bevande per loro e in un angolo c’è un signore che sembra in attesa. Ad un certo punto una di queste amiche, Anita, le propone ‘un’entrata integrativa’ per migliorare le proprie finanze e fare soldi in modo veloce. “Siamo amiche, no? Allora ti vogliamo svelare un segreto: noi facciamo già qualcosa che ci dà dei soldini. È una cosa divertente e veloce, pensa, c’è un tavolo dove sta seduto un signore, come quello (e indica quello all’angolo). Se tu ti avvicini e inizi a chiacchierare con quel signore, lui ti fa dei regali in cambio della tua compagnia”. La prima reazione di Jessica è di schifo e di ribrezzo: “Io devo fare una cosa simile? Ma voi siete matte!!!! Poi con un uomo vecchio e per i soldi? Neanche morta!!!!!” Le amiche insistono: “Oh, non è poi quella gran cosa. Devi stare seduta e fargli solo un po’ di compagnia. Non ti porta da nessuna parte e non ti chiede di fare niente di particolare”. “Sono dei polli da spennare, degli stupidi: te fai vedere qualcosa e quelli sganciano”. Allora Jessica ci pensa: in fondo deve fare solo l’oca per avere un po’ di soldini che, non può negare, le servono. Poi è lei che dirige il gioco e loro fanno quello che vuole lei. Allora cambia idea, si alza e si siede al tavolo. Il signore l’accoglie tutto soddisfatto: “Ti aspettavo. Sai già come funzionano le cose? Vuoi qualcosa da bere? Se poi ti piaccio, possiamo fare qualche fotografia”. 129


Ivana Spesso i clienti non fanno sesso. Pagano e mi danno anche qualche euro in più… per parlare. Parlano del loro lavoro, della carriera E di una moglie che non li capisce E di figli che non li ascoltano. Parlano delle loro avventure E di quante donne hanno fatto godere. Io ascolto, Anche se non sempre capisco tutto quello che dicono, Però capisco che si sentono tutti molto soli Faccio finta di essere interessata… e loro sono contenti. Poi scade il tempo, Ma so che quei clienti ritornano. Ogni tanto viene un prete di un’associazione cristiana Che aiuta le ragazze della strada. Spesso porta un thermos di tè caldo, A volte diciamo le preghiere insieme. Con lui sono soprattutto io che parlo. Allora gli racconto del mio paese, dei miei genitori, Di me quando ero una bambina. Altre volte parlo delle cose che vorrei fare un giorno, Che mi piacerebbe una vita tranquilla, E scaldarmi tutti i giorni alla luce del sole. Che vorrei andare al cinema, Che mi piacerebbe conoscere un bel ragazzo, Che poi vorrei una famiglia E crescere dei bambini. Di questo parlo con il mio amico prete.

Al terzo colpo di clacson della grossa macchina Ivana è scesa dall’auto del suo amico prete e con decisone ha liquidato il cliente dicendogli: “Vai a casa! Questa sera c’è il mio amico prete!”. Da quella sera nessuno ha più rivisto Ivana su quella strada. 130


Con il casco È un tranquillo venerdì sera estivo. Il gruppo di amici di Fabio si ritrova nella solita piazza del quartiere per decidere cosa fare durante la serata. Non esce nessuna proposta divertente e che li metta tutti d’accordo. Allora uno propone di andare tutti a fare un bel giro alla Bruciata a vedere le prostitute. Dopo una breve discussione, tutti accettano e partono con il motorino. Intanto alla Bruciata due volontari di Rabbunì stanno parlando con una ragazza africana, quando arriva il gruppo di ragazzi. Questi ultimi cominciano a sfottere e insultare la ragazza che sembra dare loro poca importanza, come se fosse abituata. Improvvisamente a Fabio si ferma il motorino. Mentre uno dei volontari si avvicina per parlargli, i suoi amici cominciano ad allontanarsi qualche centinaio di metri, senza però staccare gli occhi da quello che stava succedendo. Il volontario propone a Fabio di ripetere ciò che ha appena detto togliendosi però il casco: “Metti la faccia sotto al lampione, proprio come fa la ragazza”. Fabio, ignorando completamente la proposta, cerca di riavviare il motorino senza successo. Allora raggiunge a piedi con una certa fretta i suoi amici, che intanto lo stavano prendendo in giro. I volontari continuano a parlare con la ragazza, mentre i ragazzi spariscono inghiottiti dalla notte.

Dalla Russia all’Italia e il lavoro di strada “Non credere a tutto quello che ti dicono, perché non sempre ci si può fidare delle persone che conosci”. Questo è una delle cose che ho imparato dalla mia esperienza. Avevo appena cominciato il primo anno dell’Università della mia città in Russia, quando ho incontrato, dopo molto tempo, una ragazza che avevo conosciuto anni prima. Questa ragazza mi ha proposto di andare con lei in Italia, perché aveva un lavoro sicuro in un ristorante, che poteva offrire anche a me. Siccome la mia intenzione era quella di costruirmi una vita indipendente dalla mia famiglia, ho deciso di partire per trovare un lavoro che me ne desse la possibilità, perché nel mio Paese non avrei mai avuto l’opportunità di trovare un lavoro decente. Dopo due mesi lei mi ha chiamato per dirmi che era arrivato il momento di partire e, dandomi le informazioni necessarie, mi 131


ha detto che mi avrebbe aspettato in Italia. Ho fatto un viaggio in pullman durato una settimana, senza avere idea di quello che mi sarebbe successo. Dopo tre giorni che ero arrivata in Italia, questa ragazza mi ha detto che non esisteva nessun ristorante e nessun lavoro tranne quello che lei aveva pensato per me: così la sera stessa mi ha accompagnato su una strada della città dove eravamo ed è rimasta con me tutta la notte per ‘insegnarmi’ ciò che ero obbligata a fare. Ho desiderato fortemente di tornarmene a casa, ma ho capito quasi subito che era una cosa impossibile: non avevo nemmeno un soldo per me e tra le minacce che mi avevano fatto all’inizio c’era quella che se mai avessi avuto l’idea di fuggire o di tornare a casa, non avrei più trovato la mia famiglia ad aspettarmi. Inoltre c’era un particolare di non poco conto: non avevo nemmeno un documento, perché il passaporto falso che mi avevano fornito per il viaggio era in loro possesso. Mi resi conto che non potevo fare nient’altro che rimanere lì con loro. Per avere indietro quel passaporto dovevo ‘rimborsarli’ con tremila e cinquecento euro. Ogni settimana mi prendevano i soldi che io guadagnavo sulla strada: metà se li tenevano loro e l’altra metà dicevano che era per rimborsare quel ‘debito’. Trascorsero due mesi e mezzo, in quella che io ho sempre considerato la mia prigione, fino a quando, con una donna più grande di me che io incontravo a casa finito il ‘lavoro’, decidemmo di scappare insieme. Così ogni giorno cercavamo di tenere per noi un po’ di denaro, senza però correre troppi rischi. Quando arrivò il giorno scelto per la fuga, dicemmo di voler andare al Consultorio per gli stranieri della città. Avevamo un motivo molto valido, visto che questa donna era incinta e io non stavo bene da qualche giorno. Invece di andare al Consultorio, ci siamo incontrate con un amico della donna che era con me; insieme ci siamo trasferite in una città lontana, ma ben presto le nostre strade si sono separate. Lei infatti scelse di rimanere con quell’uomo con il quale continuò a fare la vita che già conosceva, mentre per me decisero che era meglio trasferirmi in un’altra città, a casa di un parente di questo uomo. In questa casa abitai per circa un mese senza mai uscire. Non ero ancora padrona della mia vita, perché non avevo la possibilità di potere scegliere per me. Avevo le idee confuse sul cosa fare, quale strada percorrere, ma ero sola e non sapevo qual’era la direzione giusta per me. 132



Una sera, durante un giro in macchina, ci fermò la polizia per un controllo documenti. E da quella sera la mia vita cambiò: mi portarono in un’altra città, dove ho cominciato la nuova vita. Ora sono io a progettare quello che desidero fare. Ho frequentato un corso e in questo momento sto lavorando. Sto meglio e vorrei che nessun altro avesse un’esperienza come la mia.

I guai per cercare di sentirsi ‘speciale’: la storia di Elena Diciannove anni, quinta superiore, brava a scuola. Elena è anche molto spigliata, carina e intelligente. Qualche storia sentimentale abbastanza importante e qualche avventura di poco conto. Nel tempo libero, le solite cose: amiche e amici, vasche in centro, bar, discoteca. Tutto normale, troppo normale. Elena si annoia. Così, quando un’amica la invita a una festa privata, accetta subito. Le piace, si diverte e continua ad andarci ogni week end, per più di un anno. È felice, vive intensamente e mai si sente obbligata: belle serate, notti emozionanti, sempre diverse, bella gente, vip; d’estate su yacht e spiagge da sogno. Tutto è speciale e anche lei si sente, finalmente, speciale. Per qualche mese Elena sta insieme a un uomo che possiede ville e barche. Durante una mini-crociera hanno giocato d’azzardo e lui ha perso un bellissimo yacht. L’avversario vincente (un noto pervertito che organizza festini sado-maso per facoltosi) gli ha proposto uno scambio: “Tieni la barca e mi dai la ragazza”. Dopo oltre un mese, in una località isolata fra Tunisia e Algeria, dopo umiliazioni, stupri, sevizie che hanno lasciato conseguenze sia fisiche che emotive, Elena decide di telefonare alla madre per raccontarle la sua disperazione. Il primo passo per ritornare a casa.

Innamorarsi di una prostituta: l’esperienza di Piero Piero è timido e si sente inadeguato, imbranato, poco attraente, 'sfigato' insomma. Invidia i suoi coetanei, soprattutto alcuni, 134


disinvolti e che sanno sempre cosa dire e cosa fare, specialmente con le ragazze, con le quali hanno successo, loro. Lavora in un’officina ed è l’unica cosa che gli riesce bene e che gli dà soddisfazione. I motori sono infatti la sua passione; con lo stipendio si è comprato una macchina niente male, gli piace guidare ed è molto bravo. Un ragazzo che fa il Pr gli offre un secondo lavoro: si tratta di accompagnare ragazze, che fanno le ballerine e le cubiste, da un locale all’altro o da un party all’altro. Piero accetta e la sua vita cambia: ogni giorno, anzi ogni notte, diviene più sicuro di sé, si sente importante, perfino attraente e ‘rimorchia’ senza neanche impegnarsi troppo. Fa esperienze e si accorge di essere capace anche lui. Piero sapeva che alcune delle ragazze che passavano sulla sua auto venivano portate in feste private in cui si faceva ‘sesso estremo’, ma non se ne era mai preoccupato. Certe cose gli hanno sempre dato fastidio, ma il cambiamento della sua vita era più importante e poi ripeteva a se stesso: “Mica è colpa mia, io sono solo l’autista!” Finché si è accorto che una delle ragazze gli piaceva più delle altre. Se n’era accorto perché gli dispiaceva vederla sballottata come una bambola fra un locale e l’altro e si era anche reso conto che gli interessava di più conoscerla bene che farci sesso. Ma la sorpresa è stata scoprire di esserle simpatico e che, forse, anche lei si stava innamorando. Quando gli hanno ordinato di accompagnare proprio lei a uno di quei party dove si svolgevano ‘giochetti cruenti’, si è rifiutato. Ci hanno pensato due enormi ‘buttafuori’ ad accompagnare di forza la ragazza alla festa. Naturalmente in precedenza avevano riempito Piero di botte. Questa storia finisce nell’ambulatorio del dottore psicologo, ma fortunatamente proprio lì ne comincia un’altra, molto più bella.

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Sulla prostituzione: modi di dire e di pensare DI STUDENTI DEL pASCAL “Mi hanno proposto di mettere su internet delle fotografie di me nuda con il viso nascosto. Tanto che problema c’è? Mostro solo il corpo e non il viso. Io non sono il mio corpo, quindi anche se lo faccio vedere... Posso tenere diviso il corpo da quello che sono io”. “Diciamoci la verità: la prostituzione è un mestiere che c’è sempre stato, gli uomini ci sono sempre andati e ci andranno sempre. Cosa c’è di male? Così uno può fare pratica e imparare delle cose nuove, divertendosi”. “Per me fare una scelta significa conoscere bene le caratteristiche della situazione e quindi decidere in base a quelle che sono le mie idee. Non è che poi è così difficile!” “Lavoro all’interno di una discoteca al sabato insieme all’organizzazione. Sono l’ultimo arrivato, quindi non decido niente, ma alla sera vedo che a una certa ora compaiono delle ragazze a due tavoli precisi e che ogni tanto se ne vanno fuori con qualche uomo che ha prenotato quel tavolo”. “Io mi offendo quando mi dicono che devo fare come tutti gli uomini e considerare la prostituzione come una cosa normale e non fare tante storie. Per me non è così. Io non desidero una ragazza a pagamento”. “La prostituzione andrebbe regolamentata, perché, come dice anche mio padre, non è possibile vederle lungo le strade. È una cosa obbrobriosa. Se si mettono in casa è meglio per noi, così chi ci vuole andare va in un luogo chiuso e non si vede tutto fuori”. “Non è una cosa così facile avere a che fare con le ragazze. Pretendono molto e poi quando cerchi di conoscerle, ti danno delle botte sonore sui denti. Poi comunque è un impegno avere una relazione, perché pretendono i regali, essere corteggiate, bisogna contrattare su quello che si fa insieme e sono difficili da capire”. 136




IL CORPO DELLE DONNE: il libro-documentario di lorella zanardo che fa discutere in classe Il filo conduttore dell’attività scolastica 2010-2011 dei docenti del Progetto è stato il tema legato alla diversità di genere, violenza e prevaricazione di genere, trattato con proiezioni di video, dibattiti e laboratori espressivi. Il tema è stato sviluppato in una dozzina di istituti scolastici secondari di secondo grado per circa 70 ore complessivamente. L’argomento è stato spesso stimolato preventivamente dalla visione del video Il corpo delle donne (www. ilcorpodelledonne.com) di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù. Il corpo delle donne è un documentario che ha fatto il giro della Rete in brevissimo tempo – a tutt'oggi è stato visto da quattro milioni di persone su YouTube – suscitando tante reazioni. "La realizzazione del documentario Il corpo delle donne – scrive Lorella Zanardo, parlando della sua ricerca – è partita da un’urgenza. La constatazione di come le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e di come siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell’identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti, ma senza che vi sia un’adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime. Da qui si è fatta strada l’idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo, non solo a chi non guarda mai la tv, ma specialmente a chi la guarda ma 'non vede'. L’obiettivo è interrogarci e interrogare sulle

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ragioni di questa cancellazione, un vero 'pogrom' (*) di cui siamo tutti spettatori silenziosi. Il lavoro ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione. Dall’esperienza maturata nella visione di centinaia di ore di programmazione e poi dagli incontri seguiti alle numerose proiezioni del video, dai dibattiti e dai confronti pubblici, ci siamo resi conto dell’urgenza di dovere offrire uno sguardo critico a chi guarda molta tv, per farne spettatori consapevoli e dunque liberi, in particolare per quanto riguarda i minori". Fra le tante reazioni che il video ha provocato in Rete, c’è stata anche quella di mettere in moto iniziative e progetti. Così è stato per i docenti di Educare ai sentimenti che si sono avvalsi delle preziose collaborazioni di Celestina Tinelli, Roberta Mori e Fabio Montanari.

Celestina Tinelli

Avvocata, è stata componente laico del Consiglio Superiore della Magistratura dal 2006 al 2010, nel quale è stata presidente della Settima Commissione per l’organizzazione degli uffici giudiziari e della Ottava Commissione relativa alla Magistratura onoraria, nonché componente del Comitato Pari Opportunità in Magistratura con sede presso il Csm. Promotrice e costituente della Rete dei Comitati Pari Opportunità delle professioni legali con sede presso il Consiglio superiore della Magistratura. È Consigliera supplente di Parità della Provincia di Reggio Emilia. Fa parte del Forum donne giuriste italiane che si occupa di diritto di famiglia; è componente dell’Eco Istituto dell’Emilia Romagna, in cui si affrontano problemi relativi alla tutela dell’ambiente; è membro dell’Icef, una Fondazione internazionale che ha l’obiettivo di costituire un Tribunale internazionale per l’ambiente. (*) Pogrom: persecuzione a danno delle minoranze etniche o religiose.

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Roberta Mori

Avvocata con esperienza in ambito civile e amministrativo. È stata sindaco, per due mandati (199-2009), del Comune di Castelnuovo di Sotto (Reggio Emilia) per la coalizione di centro sinistra. Fa parte dell’assemblea e della direzione nazionale del Partito Democratico. Consigliera regionale dal 2010, è presidente della Commissione regionale permanente per la Promozione di condizioni di piena parità tra donne e uomini. Fa parte anche delle commissioni assembleari Territorio, Ambiente e Mobilità; Politiche per la salute e Politiche sociali; Statuto e Regolamento. È componente della Consulta regionale degli emiliano-romagnoli nel mondo e presiede la rete associativa transnazionale di comuni, province e regioni italo-svedesi Sern.

Fabio Montanari

Libero professionista, è stato amministratore del Comune di Castelnuovo di Sotto dal 1999 al 2009. È vice presidente dell’associazione Pro.diGio – Progetti di Giovani, un’associazione di promozione sociale a cui aderiscono la maggior parte dei Comuni dell’area Nord della provincia di Reggio Emilia. Il suo scopo è di favorire la promozione sociale mediante il miglioramento della qualità di vita dei giovani in varie aree fra cui: educazione e formazione, qualità del tempo libero, promozione del volontariato e della partecipazione giovanile.

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diventare difensori dei diritti umani ogni persona ha ambiti indisponibili all'altrui volontà di Celestina Tinelli

Il progetto Educare ai sentimenti, fortemente ispirato dall’infaticabile e magnifica Rosa Galeazzi, mira a fornire conoscenze e a far acquisire competenze ai giovani studenti reggiani nel campo dello sviluppo emozionale. Lo si è attuato in oltre una ventina di incontri ciascuno di almeno tre ore, con studenti e studentesse di tutte le classi di istituti secondari di secondo grado di Reggio Emilia negli anni scolastici Celestina Tinelli 2010/2011 e 2011/2012. Temi e problemi legati alla diversità di genere, alla violenza e alla prevaricazione di genere, all’educazione sessuale, ai diritti umani e di uguaglianza, sono stati trattati e sviluppati nel contesto più ampio della educazione ai sentimenti grazie alla presenza del medico sessuologo Roberto Iemmi e mia di giurista avvocato. Sono state messe in campo sia azioni di sensibilizzazione, sia azioni per lo sviluppo di una nuova cultura della non violenza, fondata sulla parità e sull’uguaglianza, passando dal saper riconoscere gli stereotipi di genere che determinano rapporti interpersonali di potere diseguale. Fra le finalità del Progetto: promuovere la partecipazione libera, attiva e significativa degli adolescenti, promuovere e proteggere i diritti umani e di pari opportunità fra uomini e donne, promuovere e proteggere i diritti umani per diventare difensore di diritti umani, promuovere la consapevolezza e la comprensione dei diritti umani, affinché le persone sappiano riconoscerne le violazioni. Il modello è basato sulla comunicazione. Uno stimolo importante di confronto fra le studentesse e gli studenti è stata la proiezione del filmato Il corpo delle donne, che è il titolo del documentario di Lorella Zanardo: 25 minuti sull’uso del corpo della donna in tv.

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È emersa chiaramente la constatazione che le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. Molto meno appetibili per le testate informative sono, evidentemente, tutte le altre donne, quelle capaci di studiare, lavorare e affermarsi senza scorciatoie ma a prezzo di fatica e sacrificio. Nonostante alcune di loro abbiano raggiunto posti di responsabilità e di rilievo (si pensi a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, a Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, alle donne ministro del Governo) l’identità delle donne 'normali' resta completamente in ombra rispetto alla presenza esorbitante di vallette o veline dell’intrattenimento. L’obbiettivo dell’autrice Lorella Zanardo era di interrogarsi sulle ragioni di questa cancellazione di cui si è tutti spettatori silenziosi e sulle conseguenze sociali di questa rimozione. Il confronto con i giovani studenti e le studentesse di tutte le classi di molti Istituti superiori di Reggio Emilia ha fatto emergere interessantissimi aspetti. Ad esempio, nel commentare la scena in cui una donna è appesa fra i cosciotti di prosciutto con i glutei timbrati proprio come fosse un prosciutto certificato, alcuni ragazzi, in particolare di genere maschile, hanno aperto la riflessione sulla disponibilità ad offrirsi come merce in cambio di benefici. E sull’essere disponibili al farsi appendere come un prosciutto con i glutei timbrati in mostra, in cambio di un motorino, beh … più di uno di loro forse lo avrebbe fatto. Le studentesse spettatrici, invece, 'donne vere', hanno sempre tutte provato un forte sentimento di umiliazione, anche perché le vicende legate all’inchiesta dei magistrati milanesi sul giro di donne che hanno abitualmente frequentato la casa di Arcore di Silvio Berlusconi hanno riempito le pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali di una pletora di giovani donne disposte loro per prime a offrirsi come merce in cambio di benefici economici e professionali. Tutte hanno colto la tendenza dei media a rappresentare queste giovani come una massa dotata di grande forza d’urto e grande impatto anche in termini sociali. Se da un lato è umiliante per una 'donna/ragazza vera' vedere larghissimi spazi informativi occupati da questa rappresentazione, dall’altro è drammaticamente sconvolgente prendere atto del fatto che molte donne giovani in fondo riflettano anche sul fatto che potrebbe 144


anche valere la pena di vendere il proprio corpo e la propria dignità in cambio di qualche sicurezza materiale e lavorativa. Il confronto con studenti e studentesse si è anche concentrato sulle pubblicità, in particolare su quelle lesive della dignità della donna e portatrice di stereotipi di genere. È emersa la necessità di contrastare messaggi in cui si perpetuano paragoni come quello tra la donna e un prodotto alimentare, dove si ironizza, in maniera non solo superficiale ma anche dannosa, sul maltrattamento fisico della donna e si ribadisce la superiorità del potere decisionale dell’uomo. A tale proposito è stato proiettato uno spot pubblicitario 'oscurato' in tutte le reti televisive, in seguito a segnalazione all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, poiché altamente offensiva dell’identità femminile e incentrata sul concetto di donna oggetto. Un ragazzo appena sveglio, con alle spalle una fantastica donna bionda sul suo letto, sta per andare a farsi un cappuccino con la sua macchina apposita pubblicizzata nello spot, ma, a un tratto, si ferma a pensare se invece non sarebbe meglio una bella cioccolata. A quel punto, come per magia, il letto girevole scaraventa via l’avvenente ragazza e dal cielo piove all’improvviso una donna di colore, che sta a incarnare la cioccolata. Il ragazzo, non completamente appagato da un’unica donna ovvero dalla sola cioccolata, ci ripensa e decide che anche un buon cappuccino non sarebbe poi male. Così, la splendida bionda ripiomba sul letto e le due donne si ritrovano insieme a stringersi la mano per soddisfare con piacere i desideri maschili. Il ritiro della pubblicità da tutti i media ha sancito un chiaro segnale di contrasto verso qualsiasi forma di riproduzione di immagini stereotipate e di messaggi di offesa e violenza sul corpo femminile. Si è dimostrata l’importanza di non rimanere silenti davanti al proliferante tentativo di riduzione della donna a oggetto sessuale. I diritti umani nascono definendo di ogni persona un ambito proprio e indisponibile alle altrui volontà. Guardatelo, il documentario, e diffondetelo.

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l’immagine mercificata della donna Qui si annida la ragione dell’odio, del possesso e del sopruso di Roberta Mori

Educare ai sentimenti è una sfida della modernità, sempre più stritolata dalla complessità di un presente che interferisce sulla visione del nostro futuro e a volte la impedisce, soprattutto ai più giovani, oggi privi di basi valoriali solide a cui ancorarsi. È davvero possibile, allora, educare ai sentimenti? E lo si può fare a scuola? La risposta, senz’altro positiva, è frutto di un pensiero forte e al tempo stesso di un’esperienza riuscita e densa di prospettive.

Roberta Mori

Quando mi è stato chiesto di dare un contributo al 'ragionamento' intorno alla cultura di genere, partendo dalla relazione e dai sentimenti per trovare la via del cuore e delle menti di tanti ragazzi e ragazze, ho esultato. Sì, perché ho trovato straordinaria l’ambizione di trasmettere e ricevere stimoli di uguaglianza, conoscenza e vissuto al femminile, in un contesto di reciprocità, durante il monte ore autogestito o attraverso la collaborazione di illuminati e sensibili docenti e dirigenti scolastici, il tutto attraverso modalità comunicative alternative, improvvisate, quasi laboratoriali. La grande intuizione di questa tipologia di progetti, svolti in collaborazione con le scuole del territorio e promossi da un volontariato civico ispirato e consapevole, è quella di cogliere appieno l’esigenza culturale ormai insopprimibile di evidenziare la strisciante ambiguità culturale di una emancipazione femminile solo dichiarata per dovere di stile e imperatività costituzionale, che si scontra – talvolta drammaticamente – con le statistiche di genere e quindi con la concreta posizione della donna nella nostra società. Lo svantaggio e le difficoltà sperimentate dalle donne sembrano dipendere in modo significativo proprio dal fatto di essere donne e di essere, in quanto tali, associate a un ruolo sociale specifico, 147


più debole per definizione. Tale stereotipo è radicato tuttora profondamente in larghe fasce sociali e tuttora genera discriminazioni, emarginazioni e violenze inaudite. Perciò va combattuto, non solo con una netta condanna e repressione della violenza, ma forse ancor prima attraverso un’azione educativa e culturale capace di incidere nella consapevolezza delle nuove generazioni. Lo stereotipo culturale della donna subalterna è il primo da scardinare per ambire a quel livello alto di civiltà che tutti desideriamo: la convivenza pacifica tra diversità, un multiculturalismo pienamente raggiunto nel riconoscimento reciproco. Rafforzare il processo di adesione da parte della società a una visione almeno 'duale' del mondo, dove la diversità sia un valore compatibile con l’uguaglianza, è il primo passo verso una condizione generale di pari dignità e pari diritti fra le persone, qualunque sia la loro etnia, lingua, religione, orientamento sessuale, opinione politica e status sociale. Nulla a che vedere, dunque, con l’omologazione o uniformazione delle differenze, bensì pari condizioni sul piano etico e giuridico. La parola chiave dal punto di vista culturale è 'rispetto'. La cultura del rispetto dell’altro rappresenta il mattone su cui poggiano tutti gli altri della casa comune. E la nostra casa di domani la costruiscono i giovani di oggi, sulla base dei valori che riusciamo a trasmettere loro e di una sensibilità che è cambiata assieme al mondo e che del mondo coglie aspetti inediti. Nel corso della bellissima esperienza di Educare ai sentimenti ho toccato con mano l’importanza della Scuola quale veicolo ineludibile della cultura che impregnerà la società di domani. Non fosse altro che per il fatto di 'essere comunità' e offrire ai più giovani la rappresentazione sociale e il modello relazionale più significativo della loro vita, la Scuola ha un grande potere e la massima responsabilità nella formazione delle persone. L’approccio empatico del progetto è in assoluto il migliore proprio nell’ottica della comunità, e ha dimostrato di funzionare. In particolare esso ha evidenziato bisogni profondi e li ha fatti incontrare con i valori che volevamo trasmettere; anzi, meglio dire scambiare, perché l’empatia presuppone una reciprocità e una messa in discussione che esclude l’insegnamento a senso unico. Da parte loro i ragazzi e le ragazze che ho avuto modo di incontrare hanno espresso grande desiderio di aprirsi agli altri, condividendo sentimenti ed esperienze; in un ambito fra l’altro già aperto e multiculturale gra148


zie ai cambiamenti indotti dalle tecnologie, dalla convivenza con tanti coetanei stranieri e dalla curiosità, non ancora inquinata da pregiudizi seppur sottilmente condizionata dai media. In un terreno reso fertile da questo approccio, ecco che temi pesanti e complessi come quelli della violenza alle donne, della prostituzione e della tratta delle schiave contemporanee, perdono qualsiasi connotazione dottrinale o distante e diventano realtà, che ci riguarda e che possiamo affrontare. Non li rifiutiamo più perché capiamo due cose: che il confine tra normale e diverso è solo un velo leggero che si solleva a un colpo di vento; e che possiamo affrontare qualsiasi verità dolorosa a patto di essere insieme. Allora la violenza alle donne smette di essere 'quella che capita alle altre' e diventa problema nostro. Smette anche di essere problema femminile e diventa problema della comunità, di uomini e donne. Scopriamo tutti insieme – qui davvero si abbatte anche la distanza fra adulti e giovanissimi – che i comportamenti violenti sono latenti o nascosti fra le mura domestiche, nelle famiglie insospettabili, negli ambienti di lavoro, ovunque. Scopriamo infine che non è accettabile alcuna forma di connivenza o passività, per la semplice ragione che il silenzio perpetua l’inciviltà dei sentimenti e giustifica la sopraffazione. “No, dicono all’unisono ragazzi e ragazze, bisogna trovare il modo di fermare tutto ciò”. Troviamo l’origine del fenomeno e sconfiggiamolo alla fonte. Alla domanda, “Qual è l’origine, perché tanta violenza nei confronti delle donne?”, si afferma spontaneamente la consapevolezza dello stereotipo culturale di cui parlavo. Un modello di donna che tante battaglie non sono riuscite a relegare al passato, un’immagine femminile rinata dalle sue ceneri in forme, se possibile, ancora più arretrate, a causa della sua riproposizione in grande stile da parte dei media e della pubblicità. Senza timore di fornire risposte superficiali, anche perché suffragate da studi internazionali di comprovata serietà, dove aumenta la distanza tra status reale e immagine mercificata della donna, lì si annida la ragione dell’odio, del possesso, del sopruso. Non sembra esserci altra strada: occorre combattere e sconfiggere le simbologie che riducono la donna ad oggetto, restituire della donna l’immagine che la riflette realmente. Solo riuscendo in questa grande operazione comunicativa e culturale, potremo rendere finalmente eccezionali e annoverabili fra le patologie, tutti i fenomeni di violenza contro le donne. 149


In uno degli appuntamenti tematici a cui ho preso parte, su 'diversità, violenza e prevaricazione di genere', la narrazione suggestiva ed il protagonismo esercitato dai ragazzi e dalle ragazze ha disvelato dolori e angosce personali sopite e mai superate. Abbiamo condiviso una rinascita possibile. L’esperienza del collettivo che socializza le paure del singolo e le esorcizza, annientandole. Il genere, dunque, esce dall’astratto per entrare a pieno titolo in una pedagogia del quotidiano che si vuole concreta, incisiva, pervasiva. Nella costruzione di un nuovo umanesimo, che punti al futuro senza dimenticarsi delle lezioni del passato, c’è lo spazio per rifondare l’indipendenza della donna partendo dai giovani, 'custodi dell’eternità'.

In piazzale Europa, il gazebo del Progetto gestito insieme ai ragazzi della Consulta provinciale studenti e giovani di vari istituti scolastici, in occasione del concerto 2011 di Ligabue al Campovolo

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per i migliori rapporti fra donne e uomini Orizzonti aperti negli sguardi interessati di molti giovani studenti di Fabio Montanari

Non potevo mancare. Agli appelli di Rosa Galeazzi è sempre difficile rifiutare, ma in questo progetto non c’è solo lo sforzo di fare qualcosa di utile, si va più lontano, molto più lontano. Sarà anche il nome Educare ai sentimenti ad ispirare orizzonti che sfiorano l’astrattismo, eppure dal momento che si riflette sull’oggetto, sullo scopo della missione che vede al centro la violenza, e in particolar modo la violenza sulle donne, di astratto, purtroppo, c’è molto poco.

Fabio Montanari

Solo la cronaca ne parla. Una cronaca giornalistica, che sì denuncia un accaduto, ma non può fare molto di più se non di investigare sul colpevole. E oltre alla cronaca di quel fatto cosa accade? Credo che un contesto, paragonabile a un inferno che brucia a fuoco spento, stia lentamente conquistando terreno, banalizzando l’uso ed il consumo della donna, così il suo ruolo nella società, nelle famiglie, nella maternità, nel suo corpo. Allora basta poco a stimolare virilità, macismo e chissà quale altro elemento che porta alla realizzazione della violenza, che spesso non è solo fisica come la violenza sessuale, ma anche di sottomissione psicologica, che incide intorno alla donna il suo confine di essere tale. Cosa esiste fuori dalla cronaca allora? In realtà esiste un esercito di buoni volontari riconosciuti e aiutati dalle istituzioni, un esercito che sposa spesso una missione, lavorando tutti i giorni con l’arma della cultura, della conoscenza e dell’educazione. Sì, educare. Educare è una parola sempre attuale perché rappresenta l’agire umano per migliorarsi, per superare le difficoltà e per correggere gli errori e le ingiustizie che le società nel tempo realizzano spesso, mi auguro, senza consapevolezza. Allora gli 151


sguardi di quei ragazzi e di quelle ragazze all’interno delle classi hanno tutti un significato. Da chi vispo e attivo interagisce, a chi non vede l’ora di finire; da chi pensa: 'a me non accadrà mai', a chi ricorda: 'ma allora quel gesto…'. Tutti quei ragazzi e ragazze che, nella fase di crescita più importante della loro vita, non sanno cosa spetta loro fuori dal contesto scolastico, luogo dove la parità tra persone è tenuta insieme proprio dal ruolo dell’istituto scolastico. Al di fuori di questo contesto, tutto crolla se non si è pronti come persone a combattere le disparità: differenza di stipendi, differenze di opportunità e del ruolo nella vita sociale. Le ore trascorse nelle classi, che ho avuto modo di conoscere con il ruolo di supporter al dottor Roberto Iemmi, hanno dimostrato diverse sfaccettature, spesso influite dagli equilibri maturati all’interno della classe stessa, ma che hanno denunciato in modo univoco uno stato di bisogno di confronto che, credo personalmente, superi quel confronto all’interno della collegialità. Lo sforzo del progetto rivolto alla pari a maschi e a femmine, è fondamentale per consentire, al di fuori degli schemi scolatici, di poter inserire elementi sociali di attualità e di diretto riferimento alle giovani generazioni. Incontrare testimonianze di rifiuto, fastidio, vergogna verso comportamento di coetanei che concentrano sul corpo e sul bisogno istintivo la realizzazione del proprio futuro, è frutto di una consapevolezza di ciò che li circonda più profonda di quello che si pensa. E allora quando uno di loro riesce a far emerge una domanda, un’affermazione, una riflessione…: 'ma cosa si può fare?', ecco, in quel momento, comprendo che non è tutto triste ciò che ci ispira e che la voglia di migliorare il rapporto di vita tra uomini e donne non è un orizzonte astratto.

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laboratori creativi


Anima Lotta Percorso struggente Situazione disumana Violenza Donne senza voce Vuoto d'identità Senza scelta Deprivazione Senza radici Custodi dell'eternità Indifferenza Umanità Saggiare l'alba Ostilità Amicizia Diversità positiva Essere se stessi Aldilà del mare Stereotipi Corpo


SPACCATI DI VITA nascosta: i laboratori sul tema della prostituzione “La formula della rappresentazione teatrale, del laboratorio artistico è stato per noi – dice Rosa Galeazzi – il mezzo più mirato per raccontare, ma anche quello più diretto per arrivare alla sensibilità e alle emozioni dei ragazzi, per fare crescere la cultura della solidarietà e della tolleranza”. In questo capitolo parliamo degli spettacoli creati per affrontare e sviscerare, dentro pieghe non scontate, il tema della prostituzione. Il primo spettacolo, in ordine temporale, è stato Le mie labbra mai, per la regia di Bruna Fogola. Su questo tema delicatissimo sono stati coinvolti studenti dai 17 ai 19 anni, che si sono dovuti mettere in gioco. Più tardi è nato Stelle nere – racconti fra cielo e terra, per la regia di Roberto Iemmi, alla cui realizzazione hanno partecipato giovani e adulti. Le mie labbra mai è un allestimento teatrale realizzato nell’anno scolastico 2003-2004. La performance è il risultato di un laboratorio artistico degli istituti secondari di secondo grado Matilde di Canossa e Blaise Pascal. Il tema è quello della prostituzione. La rappresentazione è andata in scena, per la prima volta, al Bus l’11 marzo 2004. Al debutto sono seguite numerose repliche in circoli e centri sociali reggiani e in teatri come il Regiò e Zavattini-Cavallerizza. Nel capitolo il ricordo di Bruna Fogola e una conversazione sull’esperienza con attori-studenti: Giuseppe Bevivino, Giulia Bonacini, Lisa Castronovo, Barbara Ferretti, Laura Pelaia, Fabio Reverberi, Alberto Ruozzi e Anna Valentini. Bruna Fogola: attrice e regista, si è formata in Italia e all’estero. Ha collaborato con diverse compagnie di teatro e si occupa di formazione. 157


Laura Cadelo: danzatrice, ha collaborato nello spettacolo Le mie labbra mai. Formatasi alla scuola di Marcel Marceau, ha sviluppato la danza anche all’estero con insegnanti di rilievo. L’esordio di Stelle nere, racconti fra cielo e strada – il secondo laboratorio artistico sul tema della prostituzione – avviene il 18 dicembre 2007 al teatro Regiò di Reggio Emilia, per gli studenti dell’Istituto secondario superiore Luigi Galvani. “Non è uno spettacolo – dice il regista Roberto Iemmi, dell’associazione culturale La valigia dell’attore, ma un laboratorio in costante movimento”. Se Albina, che è albanese, è la prima interprete di Stelle nere, Silvia è l’ultima ad entrare. Dopo l’introduzione del regista, seguiranno le storie delle due protagoniste dello spettacolo, nonché le valutazioni di due volontarie: Sara e Antonella. Nel capitolo anche stralci dei testi e delle storie messe in scena. Le voci di Stelle nere che si sono susseguiti nel tempo: Simona Attori, Sara Barbieri, Kitty Bertolini, Mirela Bregu, Laura Chiari, Vanessa Corradi, Antonella Fabbi, Martina Ferretti, Nicolò Filodelfo, Elisa Gatti, Cinzia Montanaro, Mariella Montori, Giovanna Pergreffi, Debora Reggiani, Maura Rinaldini, Ludmila Kojocaru, Albina Xhamaj Beluli. La musica: Giulio Dallari, Silvia Codeluppi. I tecnici: Vanni Cigarini, Andrea Ferretti, Bruno Sala. I collaboratori: Antonella Ferrari, Fulvia Gueli, Stefania Mancin. Albina Xhamaj – nata a Valona, in Albania, 35 anni fa, è in Italia dal 1996. È arrivata su un gommone insieme ad altre 15 persone. Ora è infermiera professionale. Il primo e l’ultimo racconto utilizzato nella performance sono suoi. Silvia Codeluppi – è nata 35 anni fa a Rubiera dove vive e lavora a tempo determinato. È una ragazza ‘normale’ con un forte bisogno di autenticità. Offre 158


la sua voce recitante e il suono della sua chitarra accompagnando dal vivo il reading Stelle nere. Sara Barbieri – ventenne reggiana studentessa dell’istituto Pascal, poi volontaria del Progetto e voce recitante di Stelle nere. Antonella Fabbi – poliedrica volontaria del Progetto.

Luglio 2010: Stelle nere viene presentata a Collecchio (Parma)

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le mie labbra mai [Come viene presentato lo spettacolo, nato da un laboratorio teatrale, e alcuni passaggi della performance]

“Quello che ci proponiamo di rappresentare è uno spaccato di vita molte volte taciuto, che prende le distanze da un banale compatimento nei confronti del fenomeno della prostituzione; una drammaticità di fronte alla quale non sempre prevale la sopraffazione. Dare voce a queste persone significa perciò dare loro dignità: una dignità che così subdolamente viene negata con l’inganno di un lavoro, di una sicurezza, di un compenso, di chissà quale fortuna. È così che prende il via un rimpallo di emozioni che evoca strana euforia, rancore, rabbia. La marcata fisicità nello spettacolo esprime violentemente un’evoluzione interiore, un vortice di sentimenti contrastanti nell’animo di chi è costretto a vendere il proprio corpo, ma non cederà mai ad offrire le proprie labbra, troppo vicine al cuore”. Alcuni passaggi della performance: Giulia – Donne pagate / che regalano l’amore a ore / Donne pagate che non piangono mai, ormai / Sono donne libere, innamorate forse di un figlio / o di una realtà /Sono donne fragili, appena accennate / Donne incazzate! Laura – Sono donne pagate per niente / Sono anche odiate da te / che le cerchi da sempre /e le compri per gioco / Che le ami in un attimo / e dopo mai più.

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Barbara – Scende la notte insonnolita /su quelle donne sole / su quelle donne strane / su quelle donne / Forse nemmeno puttane! Lisa – Si accende la notte / Fasci di luce sulle strade / Si vedono donne / che vendono amore / E quell’uomo ti cerca, per solo due ore. Lisa – Ho guardato per te stasera / Ti guardo, ti vedo, ti ascolto, mentre la gente passa / E va, mentre io sono qui, muta in piedi, con le scarpe strette / Sebbene tu mi abbia gettato nell’abbandono, sebbene ormai / siano morte tutte le mie illusioni, senza che tu lo sappia / io piango. Laura – Mi teneva per mano, mi spingeva da dietro la schiena / E voleva fare soldi con la mia povera vita / Mi portò su palcoscenici squallidi, dove io recitavo, ma non ero viva / Così lo piantai il cattivo compagno, per sempre / Dall’oggi al domani, lui se ne andò a comprare / Un’altra ragazza e le tinse la faccia di cipria.

In basso a destra Bruna Fogola tra Rosa e Roberto, insieme al gruppo di studenti/attori dello spettacolo Le mie labbra mai.

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hanno saputo guardare ‘oltre’ [A distanza di tempo, ricostruiamo con la regista e alcuni studenti/attori, come è stato vissuto lo spettacolo Le mie labbra mai e che traccia ha lasciato in loro l’esperienza]

Bruna Fogola, regista – Non è stato complicato lavorare insieme a questi ragazzi, anzi. Mi ha fatto piacere trovare questi giovani che hanno risposto credendoci; ci siamo quindi, in un certo senso, auto accompagnati. Qui non c’è stata la classica regia dove io ho già i testi, dove ci sono i personaggi definiti, dove c’è un palcoscenico, c’è un pubblico e il tutto si esaurisce nell’arco di un’ora. È stato fatto l’esatto contrario: pur con indicazioni di massima, i testi li hanno ricercati e proposti i ragazzi; non ci sono personaggi perché ciascuno ne rappresenta uno unico, quello della prostituta. Sono quindi intercambiabili in base a ciò che ciascuno ha recepito dai testi, da come ha scelto le parole. Anche le musiche hanno seguito molto questa dinamica, questa interiorità. Abbiamo puntato molto sull’interiorità perché solo da qui tu puoi smuovere, toccare le emozioni. Ed è in fondo questo il compito delle arti, tirare fuori la parte più interiore di ognuno di noi. Abbiamo fatto in modo che la situazione teatrale potesse essere colta da chiunque, che si percepisse che è un mondo, quello della prostituzione, in cui tutti possono incappare, in cui chiunque può cadere. È più facile di quanto non si creda, denaro facile, ma spogliati della propria identità. Gli attori sono disposti circolarmente, non a caso, e devono sostenere un pubblico molto ravvicinato e a cui i testi arrivano come frecce. Avvicinamento voluto e la pedana della rappresentazione è come un ring, in cui si combatte una battaglia che va vinta. È un ring ma è presente anche la poetica, non solo nelle parole, ma nella scelta degli sguardi, della gestualità, dell’atteggiamento. C’è molta fisicità perché tu prendi un corpo, ma non potrai mai prendere l’anima di una prostituta. Il titolo, Le mie labbra mai arriva proprio da qui: pare infatti che alle prostitute non piaccia essere baciate sulle labbra, perché lì ci sta l’anima, la bocca è troppo vicino al cervello e poco lontano dal cuore, da lì passa il respiro e questo non va rubato. Chi va a prostitute questo non sempre lo sa.

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Con i ragazzi è stato fatto un grosso lavoro sulla fisicità. Per affrontare il tema della prostituzione era necessario un tipo di corporeità diverso dal solito. Una fisicità teatrale, ma nello stesso tempo qualcosa che riconducesse ad una gestualità più legata alla prostituzione; bisognava cercare il gesto che potesse lavorare su questo concetto. I ragazzi all’inizio erano abbastanza impacciati, non si conoscevano nemmeno fra di loro e, quando si trattava di toccare qualcuno, non era facile. Allora bisognava prima capire cosa voleva dire essere toccati, sfiorati, guardati. Da lì abbiamo poi elaborato una modalità congeniale a questa coporalità/lotta, a questo odio/amore che avviene su questo ring. Per questo obiettivo ci siamo avvalsi della collaborazione di Laura Cadelo, una danzatrice che lavora molto sulla gestualità. Dopo essere entrati nella dimensione del testo, con Laura i ragazzi hanno fatto un lavoro sulla fisicità e l’hanno rappresentata in un modo assolutamente credibile. Laura ed io eravamo molto soddisfatte. Non era infatti una lotta confusa, era un buttarsi, un toccarsi, un riprendersi in maniera coerente che andava di pari passo con il testo. Abbiamo sviluppato il lavoro cercando di dire che c’è di più di quello che si vede. Ed è stato importante che questo laboratorio non sia stato esaurito solo all’interno dell’Istituto scolastico come spesso accade. È invece stato interessante aver fatto uscire questa esperienza all’esterno, in una dozzina di rappresentazioni sul territorio. Questo ha prodotto nel tempo discussioni e dibattiti degni di attenzione o, perlomeno, ha portato elementi su cui riflettere.

La preparazione dello spettacolo Giulia – Sono stati sicuramente una novità per la scuola, sia il soggetto scelto, che il modo di sviluppare il laboratorio. La dinamica della preparazione è stata molto interattiva, ci veniva lasciato spazio, c’erano testi da ricercare e, normalmente, quando uno ha 15 anni gli viene richiesto di meno. Visto poi la tematica, è stato un risultato molto interessante. Laura – La preparazione era per noi oggetto di esplorazione continua. Molto forte anche studiare, osservare da vicino, entrare dentro alle testimonianze reali di queste ragazze, perché Bruna ci ha condotto nel lavoro attraverso documenti reali. È stato proprio 164


un percorso nostro struggente, perché ci siamo avvicinati a delle storie vere e abbiamo cercato di dare anima a queste storie reali. Giulia – Non c’è stata suddivisione di parti, alla fine tutti facevamo lo stesso personaggio. Avevamo delle battute, dei movimenti, delle cose da imparare, ma era tutto un approfondire insieme la stessa dinamica, lo stesso sentimento.

Laura, Giulia e Giuseppe

Laura – Mi hanno molto colpito quelle testimonianze reali. Tutte le ragazze che conoscevamo da questi scritti venivano sempre private della loro identità, finivano completamente svuotate come persone. La sfida era come fare a portare in scena la spersonalizzazione totale della ragazza. Questo è stato uno dei cardini del lavoro. Giuseppe – Amo la musica e ho iniziato a studiare Fabrizio De Andrè quando avevo 14 anni. Avevo da lì cominciato a capire cosa poteva essere la prostituzione e che c’erano persone che potevano venire sfruttate e delle quali si potevano pensare le cose peggiori. Il fatto che il messaggio dello spettacolo fosse rivolto ai giovani, portando loro un’idea più veritiera, mi ha convinto a partecipare.

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La messa in scena Anna – È molto importante contestualizzare lo spettacolo. Noi non avevamo la presunzione di rappresentare la prostituzione in senso lato, che è fatta di tante sfaccettature. Noi, con il nostro teatro sociale diretto da Bruna, miravamo molto a un solo aspetto della prostituzione. Secondo me il fatto di essere rappresentanti di vissuti e situazioni disperate e disumane, nonostante siano presenti nel quotidiano, è stato un grosso lavoro, un lavoro prettamente emotivo, poiché dovevamo trarre la forza per capire la violenza di questo atto gratuito. Anche dal punto di vista dello spettacolo, pur essendo un po’ particolare, senza palcoscenico e platea, ma molto interattivo e anche dinamico, secondo me ha funzionato. Lavorava infatti molto sull’impressione, lo sguardo, il gesto della violenza, ma anche con la pausa riflessiva delle letture che accompagnavano sempre questa rappresentazione. Laura – Ricordo come rendevamo la situazione delle ragazze svuotate della loro identità, della loro dignità, del fatto che non potevano avere contatti con nessuno, del modo come veniva recisa la loro vita precedente. Portavamo questi gesti fisici forti dello strappare, facevamo vedere la disperazione con cui cercavano di rimanere aggrappate fino all’ultimo momento a qualcosa che poi veniva sradicato, anche fisicamente. Donne recluse in un mondo fatto solo di violenza da cui non escono più. Giulia – Ricordo anche la poetica con cui però tutto questo veniva sviluppato. Non mi sembra che ci fosse mai un momento nello spettacolo in cui noi ci ponessimo come giudici o fosse un processo a chi va a prostitute. La rappresentazione parlava anche di un certo tipo di amore violento che ci può essere sulla strada, ma anche nelle nostre relazioni. La prostituzione era vista quindi come la punta di un iceberg del come a volte possono degenerare certi rapporti. Giuseppe – Nella performance anche la figura del cliente è stata affrontata e messa in causa. Però, quello che ricordo, è la visione più dolce di questa figura, dell’uomo che ha la possibilità di possedere perché ha i soldi, come un’arma per la sua debolezza. Perché in fondo è un uomo triste, un uomo che ha bisogno di qualcosa e siccome il modo più veloce e sicuro per averla è pagare, lo fa. 166


Le reazioni del pubblico Giulia – Lo spettacolo era molto concentrato, sintetico. Non so però se sia stato di facile comprensione per i ragazzi quindicenni, che forse si aspettavano di vedere rappresentati in modo definito i ruoli di prostitute, clienti e protettori.

Anna

Giuseppe – Credo che sia stato proprio per questo diverso tipo di narrazione, che siamo riusciti a entrare di più nei giovani, perché non andavi a sederti e poi aspettavi lo spettacolo. Non ti potevi nemmeno permettere di distrarti perché eri vicinissimo al ring, perché si girava intorno a te; è stata proprio la sorpresa a giocare molto. Inoltre, siccome lo spettacolo non era molto lungo, credo che l’attenzione sia rimasta alta dall’inizio alla fine. Laura – La nostra modalità recitativa, anche molto fisica, spiazzava e quasi a tratti indisponeva. Come all’inizio, quando abbiamo questo scontro fisico danza/lotta che è forte che non si aspettano e poi pensano, “Ma questi qua cosa fanno?”. Quindi le persone devono capire, guardare, ma siamo molto forti da vedere. Sentivo che negli spettatori si creava un momento quasi di paura, 167


eravamo a ridosso delle loro sedie a darci botte, colpi – anche se tutto era calibrato – e questo toccava molto e funzionava. Giulia – Quando abbiamo fatto lo spettacolo in sedi diverse dalla scuola, in circoli, associazioni, teatri e con un pubblico meno giovane, ho pensato che forse lì erano presenti anche persone che erano andate a prostitute. Non credo infatti che tutti gli uomini che vanno a prostitute siano degli aguzzini, magari ci sono anche brave persone, che però non si pongono questo problema. Ho pensato a loro. Noi non stavamo prendendo nessun tipo di posizione, non puntavamo il dito contro nessuno, stavamo lavorando con parole anche molto alte, dicendo solo “C’è anche questo aspetto, rifletteteci”. Laura – Il teatro è comunque un’arte che suscita emozioni, che può aprire una riflessione. La reazione del pubblico, sia degli studenti che in Cavallerizza, è stato il silenzio tombale che è indice di tensione, di trasporto di chi guarda e ascolta. Giuseppe – Abbiamo visto reazioni positive da parte del pubblico. Credo sia stato perché la narrazione era azzeccata, semplice e precisa; le emozioni erano chiare e ben definite. Il silenzio tombale e la grande tensione del pubblico sono arrivate anche grazie a una orchestrazione sui generis, come l’ambientazione circolare, e alcuni attori fra il pubblico. Credo anche che abbiamo trasmesso emozioni. Giulia – Nelle rappresentazione al circolo Arci a Pratofontana e alla Cavallerizza, alcune ragazze del pubblico sono venute a dirci: “Noi non possiamo parlare, ma voi potete farlo per noi”. Queste persone, che avevano fatto le prostitute, si erano emozionate, tanto da lacrimare, quindi vuol dire che lo spettacolo aveva suscitato ricordi veri.

Le tracce che l’esperienza ha lasciato nei protagonisti Giulia – Quando sei lì te ne rendi conto di meno. Poi, più vai avanti, e non hai più 15 anni, mentre affronti le relazioni della tua vita, ti tornano in mente certe parole, certi gesti come la danza-lotta. Abbiamo fatto proprio un bello spettacolo, ne sono orgogliosa, per come è stata affrontata la tematica, per noi, per il gruppo. Ora poi quando torno a casa la sera e vedo prostitute in strada, io non riesco a fare battute, forse non le facevo nemmeno prima, ma ora mi danno fastidio anche dette da altri. 168


Laura – Anche a me è capitato di vederle e di riflettere di più sulla loro figura. E quando succede di ascoltare commenti stupidi, rifletto di più su quello che si poteva dire: il fatto è che perdono la loro dignità di persona, che non hanno più radici. Ogni volta che mi capitava di incrociare il loro sguardo, riflettevo in modo diverso, davo delle letture differenti della realtà intorno a me e di questa figura sociale. Giulia – Mi sono interrogata molto nel tempo, oltre che sulla figura della prostituta, anche su quella del cliente. Ho conosciuto anche miei coetanei che d’estate vanno magari in certi paesi dell’Est europeo con uno scopo preciso. E loro sono 'brave persone'. Quindi non penso che i clienti possano solo essere persone violente o altro. Il punto è che lo spettacolo voleva fare riflettere. Tipo, “Voi non siete il male, ma state contribuendo al sistema che, grazie a voi, ma forse anche all’indifferenza degli altri, sta andando avanti”. Bisogna cercare tutti di uscire da questo meccanismo. Anna – Quello che mi torna spesso in mente, non è tanto la prostituzione in sé, quanto piuttosto l’idea di depersonalizzazione. Ho visto lo stesso concetto, ma in diversi ambiti, perché la prostituta può venire umiliata, così come tantissime altre persone nella nostra società. L’ho visto lavorando con i senza fissa dimora e i disabili con problemi psichiatrici. Ho riflettuto un po’ sulla qualità della vita, sulla relazione in senso lato e non solo su quella uomodonna. Deprivazione da una parte e umanità dall’altra come fattori trasversali delle esperienze che facciamo nella vita. Giuseppe – Mi sono interrogato soprattutto sui rapporti uomodonna. Lo spunto me l’ha dato la parte finale dello spettacolo in cui si prevedeva una sorta di balletto/scontro tra coppie: si partiva da una situazione in cui ci si accarezzava, ci si apprezzava, poi si arrivava a una situazione di scontro; da una carezza si passava allo schiaffo, per poi ritornare alla pace. In un rapporto può succedere: quando l’altro è disposto a stare alle nostre condizioni, magari per amore; noi crediamo che invece sia succube, più debole. Potrebbe allora succedere che le frustrazioni, le difficoltà che abbiamo subito in passato, possano venire riversate su questa persona, perché troviamo lo spazio per farlo. Come un bambino viziato che approfitta della persona che lo ama. Si avrà allora un rapporto un po’ malato. Personalmente ho capito che possiamo essere felici anche essendo fragili e che non è necessario avere bisogno di un’altra persona più debole, disposta a subire il nostro nervosismo o la nostra rabbia. 169



le lacrime d’argento di mimì

“Stan cercando l’anima di Mimì… dentro a una fossa… cercheranno per mille anni ancora, per mille anni non troveranno niente… niente… niente…” Al circolo La Fontana il 16 maggio 2004 è andato in scena Le mie labbra mai. Un commento tratto dal periodico Diaconia. "La sala del Circolo si è presto riempita, non c’erano più posti a sedere. Il palco era una grossa pedana posta al centro della sala e i ragazzi attori si erano mescolati con il pubblico, in attesa di cominciare. Bruna ci ha pregato di non intralciare i movimenti dei ragazzi, che avrebbero avuto bisogno di più spazio. Infatti, quando lo spettacolo ha avuto inizio, noi spettatori ci siamo trovati subito coinvolti nella scena, che si svolgeva sopra e intorno al palco. È un ring, ci ha spiegato dopo Bruna, su cui si combatte una battaglia, tutto lo spazio disponibile è utilizzato per una battaglia, quella contro la prostituzione, per dare dignità e voce all’anima di queste 'donne pagate che non piangono mai', ma che sono 'innamorate forse di un figlio o di una realtà'. È stato un rincorrersi di gesti, di parole e di silenzi, di dolcezza e di violenza, di amarezza e di nostalgia. I sentimenti e le emozioni sono diventati persone concrete davanti a noi e la realtà drammatica della prostituzione si è fatta immediatamente vicina, toccandoci dentro, andando dritta al punto del cuore in cui non c’è spazio per giudizi o condanne, né per l’indifferenza. Ecco che la dignità offesa di una ragazza, illusa dal miraggio di facili guadagni, a cui vengono con violenza strappate le scarpe in segno di sottomissione, diventa la nostra dignità offesa e la pena lascia spazio alla rabbia, alla voglia di gridare con forza che l’anima di Mimì, la ragazza fatta a pezzi e gettata in una fossa, la 'cercheranno per mille anni ancora, per mille anni non troveranno niente'. 171


La presenza di ragazzi, nel gruppo di attori, ha voluto ricordare che la prostituzione non è vissuta solo da donne, ma sempre di più anche da uomini, ragazzi che subiscono gli stessi soprusi. L’uomo non è più solo colui che sperimenta il suo 'potere' sul corpo e sulla vita della donna, ma anche colui che subisce la costrizione a farsi oggetto. La denuncia – e il grido di speranza – fatta dai ragazzi e proprio questa: la dignità dell’essere umano in quanto tale, non può essere umiliata neanche dal gesto più violento; nessuno può essere posseduto e schiavizzato completamente dall’altro, il suo anelito alla vita può essere soffocato, ma non finirà mai di zampillare, come le 'lacrime d’argento' di Mimì, che non hanno dissetato chi ha bevuto agli occhi del suo pianto".

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stelle nere – racconti fra cielo e strada

“...Come se mi avessero strappato via tutta la luce e nessuno mi può più vedere... e nemmeno io mi vedo e mi sento di esistere perché ho dentro soltanto il buio” È affidato a queste parole, pronunciate da una ragazza di 16 anni, il senso del titolo dello spettacolo sulla prostituzione Stelle nere – racconti fra cielo e terra che l’associazione culturale La valigia dell’attore di Reggio Emilia, con la regia di Roberto Iemmi, ha prodotto. Alle Stelle nere è impedito di brillare. Sono Stelle nere le donne a cui è negato il diritto di essere donne, cancellate come persone, escluse dalla possibilità di scegliere, derubate della vita, mutilate nell’anima e nel corpo, private della gioia di vivere sensazioni, emozioni, sentimenti, affetti. "Stelle nere non è veramente uno spettacolo, è una lettura – chiarisce Roberto Iemmi – una lettura di storie vere. Alcune ragazze prestano la voce e il volto a chi non lo può mostrare per raccontare la propria vicenda. Storie di prostituzione, di tratta e di altre forme di mercificazione; racconti di violenza contro la donna, di negazione del diritto alla propria sessualità, di negazione della propria persona. Ma anche prostituzione come cultura della nostra normalità quotidiana, del nostro modo di vivere. Il problema è nelle relazioni prostituite che possiamo avere tutti quanti: la relazione comperata e venduta, quella d’amore e d’amicizia, quelle che viviamo nel nostro quotidiano, nel divertimento. Una modalità che non è considerata né proibita, né pericolosa. Invece ci sono moralità e rigori, devono esserci. Quando lo spettacolo-laboratorio Le mie labbra mai con la regia di Bruna Fogola finisce il suo ciclo, si ha l’esigenza di una nuova performance sulla prostituzione per completare il percorso 173


sul tema che stavamo facendo all’epoca con l’Istituto Sidoli-Galvani. Nasce così Stelle nere, appoggiata dall’associazione culturale La valigia dell’attore. Germoglia soprattutto perché c’era gente con cose da dire, da raccontare. Una di queste persone si chiama Albina, è un’infermiera professionale. Albina, che viene dall’Albania, nella nascita di Stelle nere è fondamentale, vi ha impresso un movimento decisivo. Si trattava di tirare fuori storie, di raccontarle anche. Lei ne ha scritte due. Le ha narrate con le parole giuste. E poi si è presa la briga, senza essere mai stata su un palcoscenico, di recitarle. Così hanno fatto anche altre persone, ma è lei che colpisce di più, non solo per il suo italiano con una leggera inflessione straniera, ma perché dentro c’è l’emozione di chi sa cosa sta raccontando. La dozzina di storie sono arrivate poi anche dalla mia esperienza come medico, da Rabbunì e dal progetto Rosmary". La prima rappresentazione, realizzata in collaborazione con il Progetto, si è tenuta al Teatro ReGiò di Reggio Emilia il 18 dicembre 2007, per gli studenti del Galvani-Sidoli, davanti a una partecipazione attenta ed emozionata di giovani e insegnanti. L’associazione La valigia dell’attore è stata poi disponibile a rappresentare questo reading teatrale, ogni qualvolta qualcuno ha voluto "muovere le acque di quella palude d’indifferenza che sta diventando giorno per giorno la nostra esistenza". Non è uno spettacolo, ma un laboratorio in costante movimento, un modo per dare voce e volto ai racconti di decine di donne e restituire loro la forza per brillare. "Sono stati una trentina i palcoscenici vari e variopinti su cui ha viaggiato la ‘valigia’ di Stelle nere e migliaia le persone che abbiamo incontrato durante il viaggio – sottolinea Iemmi –. Iniziato nel freddo dicembre 2007, il viaggio di Stelle nere, almeno con queste modalità realizzative, si è concluso nel caldo luglio 2011. È stato un viaggio breve e intenso nell’universo terribile in cui il corpo e l’anima di milioni di donne vengono conquistati con la violenza, col ricatto, con la prepotenza del denaro, in cui l’essere umano, la sua stessa vita, è oggetto di mercato anziché soggetto d’amore, condivisione, incontro.

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Ma è anche stato un viaggio difficile e meraviglioso per tutti coloro che in questi anni hanno, in modi diversi, dato voce a Stelle nere, attraversando con una semplice ‘valigia’ di poesia, l’universo folle e magico chiamato palcoscenico; quel luogo cioè in cui da migliaia di anni, anche le umanità più deboli e silenziose trovano la forza, i gesti, la luce, le parole, la musica per svelarsi e raccontare, per rendersi visibili, per farsi ascoltare, per farsi capire".

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il mare fa paura in una notte d’inverno [Albina Xhamaj, una delle protagoniste sul palcoscenico di Stelle nere, racconta la sua storia: dal viaggio in gommone dall’Albania, agli anni della clandestinità, fino alla laurea italiana]

Del viaggio in gommone da Valona, in Albania dove abitavo, alla costa leccese di Sant’Andrea, ho serbato alcune emozioni molto precise. Non avevo ancora compiuto 19 anni in quel giorno di febbraio del 1996 ed ero fortemente determinata ad arrivare in Italia. Non sapevo esattamente a cosa aspiravo, l’unica certezza che avevo era andare via dall’Albania. Era un ambiente in cui tu non avevi voce in capitolo, almeno all’epoca. La donna veniva trattata come un essere che non aveva il diritto nemmeno di pensare. Nella mia famiglia c’erano sei figli, io ero la quarta e quindi venivo ascoltata ancora meno. Invece mi sono impuntata finché mio padre ha ceduto e ha detto “va bene vai, ma ti porto io”. Così lui era una delle quindici persone che hanno condiviso il mio viaggio sul gommone. E poi ricordo il freddo. E la sete, perché l’unico bidone d’acqua era finito. E la paura mentre aspettavamo la notte fermi in mezzo al mare, prima di entrare nelle acque territoriali italiane. Il mare d’inverno fa spavento, c’è buio ovunque, sopra e sotto. E infine gli imponenti ulivi, la luce e il caldo del grande falò che avevamo acceso sulla spiaggia di Sant’Andrea, dove eravamo sbarcati. Ero felice, anche se non c’era la cascina in cui ci avevano promesso il primo riparo. Ero felice, ero in Italia. E poi ho un ricordo tenerissimo del mio burbero padre. Quando si è trattato di scendere dal gommone, per evitare che mi bagnassi, mi ha preso sulle sue spalle e mi ha portato a riva. E poi, intorno al falò mi ha detto “Dai, fumiamoci una sigaretta”. Io all’epoca fumavo di nascosto e pensavo non se ne fosse accorto. Adoro mio padre, fin da piccola. Mio padre ha fatto cose per me che, in uno Stato come quello albanese e con la sua cultura, non tutti hanno osato. Evidentemente credeva in me. Mio padre è rientrato in Albania due giorni dopo e io ho raggiunto una cugina a Lecce. Da lei sono rimasta tre o quattro mesi in attesa di trovare lavoro. Che era cosa molto difficile. C’era paura 177


a dare lavoro ai clandestini. Il mio primo lavoro è stato nella casa di due persone anziane dove alla signora mancava una gamba. Sono stati sette o otto mesi non belli. Potevo uscire solo due ore la settimana, di domenica pomeriggio. I sogni con cui sono arrivata si infrangevano davanti a quella vita segregata, senza diritti perché ero una clandestina e la paga che ti davano te la facevi andare bene. Non ero più felice e facevo fatica a comunicare con i miei. Loro non avevano il telefono in casa, dovevano andare alle poste e poi chiedere la linea. Durante il giorno ancora ancora, durante la notte invece mandavi giù delle lacrime senza farti sentire. Allora vorresti anche tornare indietro, ma come fai? Cosa penseranno gli altri, ti chiedi. Fin da piccola cresci con l’idea che tutti gli altri ti possono giudicare; tu vorresti tornare però ti dicono "Cerca di stare lì, vedrai che scoprirai di stare bene". Però tu sai che non hai l’appoggio dei tuoi familiari e ti senti anche dire "Eh! l’albanase, eh! non capisci niente, eh! non hai fatto bene questo e quello". Ho avuto il permesso di soggiorno dopo due anni e all’epoca facevo tre lavori: la collaboratrice domestica, la baby sitter due volte la settimana e l’interprete presso il tribunale e il carcere. E quando il lavoro è calato, mi sono spostata a Forlì nel 2000 perché conoscevo una signora. Lì ho fatto la sarta. Forlì è una città grigia e non ho conosciuto nessuno. Così al sabato e alla domenica andavo nella Casa della carità di Bertinoro per fare volontariato. Fu lì che mi venne l’idea di fare l’infermiera. L’Università l’ho fatta a Reggio Emilia, perché qui c’era una persona che conoscevo. Io voglio essere pari agli altri, ma non sai mai qual’è la cosa pari, sai che devi fare, dimostrare. Così mi sono impegnata e ho studiato. Ho avuto la borsa di studio per merito e credito durante tre anni. Ho avuto soddisfazioni, ma per come sono fatta io, non ti senti mai soddisfatta. Forse perché non ti senti mai arrivata, forse perché sei sempre straniera. Quando ritorno al mio paese, mi sento straniera anche lì. Ora a Valona non mi riconosco più. Si sono ‘emancipati’. Vedo ragazze, magari con grandissimi problemi, ma con questa voglia di strafare, di eccesso. Può succedere dopo una dittatura in cui tu non potevi nemmeno dire, ‘ma come, è finito il pane?’ che venivi spedito con tutta la famiglia in un paese di montagna che non si sapeva dov’era. Invece ora questa grandissima libertà, mal compresa penso, ha dato loro alla testa. Perché essere liberi ha 178


tantissime sfaccettature. Ha anche dei costi, difatti ne pagano le conseguenze. C’è anche la droga che prima non si conosceva, non c’era nemmeno l’alcol, la birra non si sapeva cosa fosse. Veramente non so se la libertà dà alla testa, ma so che la povertà dà alla testa e ti fa commettere cose che dopo tanto tempo capisci essere sbagliate. Quando poi lo scopri è troppo tardi

Albina Xhamaj durante lo spettacolo Stelle nere

e non puoi tornare perché la gente ti giudica, e pensa chissà cosa hai fatto in Italia per un anno o due anni. È triste. A Valona è cambiato tantissimo anche l’ambiente. Io ho avuto una bellissima infanzia. Eravamo molto poveri, non c’era la tv, nemmeno il frigorifero e d’inverno conservavamo i cibi sulla ringhiera della finestra, legandoli con uno spago per non farli cadere. Ho nella memoria le colazioni di mia madre: due uova a cui doveva aggiungere acqua e farina per farli bastare per tutti. Ricordo questa cucina piccolissima – dove c’era anche il telaio di mia madre e una stufa a legna – dove ci riunivamo tutti. E siccome mancava spesso la luce, lì mio padre ci raccontava le storie di quando era militare. E poi ricordo l’enorme campo verde in cui andavamo a giocare, delle strade non asfaltate in pietra, d’inverno piene di fango, dove noi ci giocavamo comunque. Ho dei bei ricordi, cosa che adesso… non so. 179


Se ora dovessi pensare di rimanere in Albania non ci riuscirei. Ogni volta che vado, non riesco a resistere più di tre o quattro giorni. Niente mi riguarda più. Vedo questi palazzi di 9 e 10 piani. Sono cambiate tantissime cose. Il desiderio di andarmene dal mio paese è arrivato quando avevano già iniziato a rapire le ragazze. Facevo le superiori quando due mie amiche sono sparite. Loro avevano la speranza di andare con i rispettivi morosi, poi non si è più saputo niente di loro. A quel punto mio padre ha detto che non avrei nemmeno potuto concludere gli studi. Ma io mi sono impuntata. Li ho finiti con grandi sacrifici perché si aveva paura a portare i figli a scuola. Le ragazze venivano rapite, gli scafi partivano ogni due o tre ore e le portavano via. Non so dove, ma penso che Sant’Andrea sia stato un luogo di sbarco per tantissimi clandestini, quanto fossero per prostituzione o droga non so, però gli albanesi collaboravano con gli italiani. Chi ha portato me erano due italiani, padre e figlio all’epoca. Se tu pagavi un po’ di più andavi sul sicuro con un italiano, con un albanese qualcosa di meno e all’epoca erano soldi. In Italia mi sento un poco più accettata, penso di essere stata fortunata ad aver incontrato le persone giuste. Forse per il tipo di lavoro che faccio, forse perché mi piace anche leggere. Soprattutto a Reggio mi sento più accettata e credo di essermi formata molto soprattutto qui. Ho i miei giri, vado in piscina, ho il mio lavoro, le mie compagne dell’Università, le colleghe. Senti comunque di essere straniera, senti comunque che non è il tuo paese. Una volta lasciata la propria patria, tu non hai più patria in nessun luogo, non appartieni più a nessun posto. Ti puoi sentire valorizzata quanto vuoi, arrivata quanto vuoi, ma quel cognome lì Xhamaj che mi chiedono sempre, ma che cognome è, come si scrive, come si pronuncia, mi dà da fare. Sì, da una parte è bello perché entri in contatto, ma poi devi stare a spiegare e non puoi dire alla gente i fatti tuoi. A me pesa che mi chiedano, sono 14 anni che offro spiegazioni. Certo, devo riconoscere che la buona volontà in Italia viene quasi sempre ripagata. Soprattutto quando vedono che ti comporti bene, che fai una certa vita, che non vai fuori da certi standard. Ma in sostanza non hai radici, non le avrai mai. Posso dire che se torno in Albania là non ho più nemmeno amici. La cosa positiva è che se vado a Forlì ho degli amici, al sud anche, qui a Reggio soprattutto e questa è 180


una cosa positiva. Sono amici esclusivamente italiani. Gente pulita e onesta, che lavora con me, che crede in quello che fa. Sono le ragazze con cui ho fatto l’Università. I miei amici sono quelli che, anche se non li sento per qualche mese e poi li chiamo, ci sono e vengono a trovarmi. Ottimi amici. L’incontro con Stelle nere è stato importante per me. Scrivere quelle storie è stato liberatorio. Quando mi è stato proposto di raccontarle, mi sono sentita incerta, perché sinceramente non ho conosciuto casi di prostituzione. Ho letto, ascoltato la tv e soprattutto i racconti di mia madre quando tornavo a Valona. Mi diceva di ragazze che venivano rapite a casa e che facevano poi le prostitute. All’epoca, soprattutto nel ’98, era quasi iniziata la guerra civile in Albania, quindi mettevano nei palazzi queste ringhiere di ferro perché se sapevano che in casa non c’erano figli maschi, entravano e rapivano le ragazze che venivano destinate a tutto, sicuramente alla prostituzione. Questo si aggiungeva alla violenza psicologica che si subiva a casa, perché una donna albanese non doveva uscire se non accompagnata, e il marito era già deciso dai genitori. E poi c’era il viaggio in gommone che conoscevo, i pensieri veri e quelli ricostruiti. Leggerli davanti a un pubblico ha aggiunto una grande emozione, una scarica, uno schiaffo che puoi dare in faccia a queste persone che permettono queste cose. È la voglia di fare capire ai ragazzi, agli adolescenti che è la strada più sbagliata che possa esserci, perché vivere la sessualità deve essere uno dei momenti più belli della vita. Invece forse pensano che viverla con la violenza possa farli sentire più forti. Un modo per scuoterli, per fare capire che la vita non è il potere, non è cercare di fermare l’altro, togliergli il pensiero, la libertà, picchiarlo, drogarlo. Ho visto che l’ascolto c’era. Erano attenti, curiosi, soprattutto i giovani, ma anche gli adulti. Ora ho 35 anni e nel mio orizzonte c’è la famiglia, quella che avevo da piccola, magari non sei figli, ma uno o due sì. Famiglia per me significa persone che si sentono unite, che si aiutano fra di loro, persone su cui puoi contare, persone che, ovunque tu andrai, qualsiasi cosa sbagliata o meno tu farai, loro ti potranno far capire che hai errato, ma ci saranno sempre".

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cosa non si farebbe per essere accettati dagli altri [Silvia Codeluppi, collaboratrice di Stelle nere, racconta le ragioni che l’hanno spinta a cambiare amicizie]

A Stelle nere sono arrivata nell’aprile del 2010. Non ho fatto molti spettacoli, ma è stata un’esperienza profonda per me. Non perché abbia vissuto quel genere di storie, infatti ho avuto una vita normalissima, come la maggior parte delle persone. Le narrazioni mi colpiscono molto, fin da subito, poiché riprendono quello che io sempre più spesso vedo, ovvero quei valori che vengono enfatizzati oggi e che per me sono sbagliatissimi. Fra questi, il voler dare tanta importanza all’aspetto fisico, il voler strafare. La storia che mi ha più colpito, tuttavia, è quella di una ragazza normalissima, bella ragazza, che a un certo punto della sua vita, per noia, pensa che la sua esistenza sia troppo normale e decide di prendere una strada diversa. Partecipa così a feste di un certo tipo e finisce in situazioni molto pesanti. Questa narrazione mi ha molto stupito perché, pur di uscire dalla normalità, mostra come si accettano poi conseguenze dure. Ti fa più pensare una storia di normalità come questa che si trasforma, lo sbagliare strada, che le storie di prostituzione per tratta. Queste scelte possono succedere perché oggi ci sono valori sbagliati. Forse questo racconto mi ha particolarmente coinvolta, perché, fin da quando ero ragazzina, nonostante sia sempre vissuta in Italia e non abbia mai avuto problemi economici – non che sia ricca, però ho sempre avuto una vita normalissima, apparentemente con amici e tutto quanto – mi è capitato spesso di sentirmi ‘straniera’ nella mia terra. Perché semplicemente non credevo nei valori che molti avevano. Ad esempio, a un certo punto mi sono separata da quelli che pensavo fossero miei amici perché venivo considerata una ragazza che non si sapeva divertire, solo perché non bevevo e non andavo in discoteca, che cosa assurda! Però tutte cose che ritrovi qua, in queste storie; nel senso che per essere accettata a volte si fanno scelte sbagliatissime, senza la minima apparente ragione.

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Silvia Codeluppi durante lo spettacolo Stelle nere

Quindi Educare ai sentimenti è un progetto che sicuramente mi ha coinvolta e mi ha fatto pensare molto. Anche i miei obiettivi sono simili a quelli di Albina. Infatti, a partire da poco più dei 20 anni ho sempre avuto il desiderio di creare una famiglia. Verso i 25 ho avuto una svolta: ho realizzato che la storia sentimentale che stavo vivendo da qualche anno non era quella giusta. Non ne ero veramente coinvolta, stavo solo seguendo quello che gli altri si aspettavano da me. Sì, che mettessi su famiglia, ma senza cercare veramente la felicità, giusto per avere un marito, una brava persona per carità, però un marito che ti facesse avere figli. Non è così che lo vedo, anche se il mio obiettivo è avere bambini. Non potrei fare una vita superficiale, stare con una persona quotidianamente solo per avere una famiglia. Ho chiuso questa storia e da lì è cambiato molto nella mia vita. Ho iniziato a ragionare più con la mia testa, ho cercato di sviluppare il mio amore per la musica che coltivavo da molti anni; ho studiato chitarra, canto, ho seguito insomma di più il mio talento artistico. Anche se rimane importante per me avere una famiglia, non voglio che sia a scapito dello stare accanto a una persona che non ti trasmette quello che secondo me dovrebbe essere un compagno col quale poi fai la famiglia.

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HO PRESO COSCIENZA DELLA VARIE FACCE DELLA PROSTITUZIONE [La testimonianza di Sara Barbieri, ex studentessa dell’istituto Blaise Pascal, poi collaboratrice volontaria del Progetto]

È stato con gli occhi di una sedicenne che ho conosciuto il progetto Educare ai sentimenti. L’incontro è stato molto interessante, tanto che poi mi sono sentita di appoggiarlo, sia come assistente dei docenti del Progetto, sia come lettrice delle storie di Stelle nere. Con Educare ai sentimenti, ho preso consapevolezza di realtà che ignoravo (e forse non ero l’unica), come le varie sfaccettature della prostituzione. Immaginavo fosse solamente quella sulle strade, quella fatta da straniere che arrivano in Italia senza alternativa di lavoro, Sara Barbieri quella che vedi passando la sera in via Emilia. Non credevo che la prostituzione potesse essere insita anche in realtà così vicine a me e, soprattutto, non credevo fosse alla portata di noi ragazze italiane, integrate nella società, provenienti anche da famiglie 'per bene', ma mi sbagliavo. Proprio questa nuova consapevolezza mi ha dato l’input a fare qualcosa di più; ha fatto nascere in me la voglia di voler dare ad altri ragazzi, la stessa opportunità che ho avuto io. Purtroppo, temi come la prostituzione e la violenza sulle donne sono poco trattati dai media, dalla scuola e dalla famiglia. Fortunatamente però la mia scuola, il Pascal, è stata ed è una di quelle scuole che dà la possibilità ai suoi ragazzi di imparare non solo matematica, italiano, chimica e inglese, ma anche di riflettere su cose concrete, fatti di vita quotidiana che spesso si ignorano per comodo, per pigrizia o perché nessuno 'dei più adulti' ha voglia o tempo di fermarsi a spiegare. Così è iniziata la mia collaborazione con il Progetto. E quando è stato il momento di entrare nelle classi stando dall’altra parte

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(cioè insieme ai docenti del Progetto), credo che la soddisfazione più grande sia stata il vedere ogni volta manifestata, in maniera diversa, la curiosità dei ragazzi e delle ragazze verso ciò che noi eravamo lì a dire; oltre che la partecipazione con cui tutti, anche i meno interessati inizialmente, ci hanno aiutato a costruire i nostri incontri di volta in volta. Credo che queste siano le ragioni principali per le quali valga la pena di collaborare e sostenere questo Progetto.

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UNA BELLA POSSIBILITÀ PER INTERROGARMI [Breve riflessione di Antonella Fabbi, poliedrica volontaria del Progetto]

Il titolo del progetto Educare ai sentimenti dice già molto, per lo meno lo ha detto a me, madre di due figlie adolescenti. Così ho voluto aderire come volontaria a questa proposta rivolta ai giovani. Mi sono impegnata sia a livello amministrativo e organizzativo del Progetto, che nell’allestimento e nel reading di Stelle nere. I temi trattati nelle scuole piacciono ai ragazzi, li interessano e anche li sorprendono. Nelle aule si crea uno spazio in cui gli studenti e studentesse sentono di avere Antonella Fabbi la possibilità di parlare ed essere ascoltati, che sembra non capiti sovente. E tu, come adulto, ti accorgi che loro, i ragazzi, sono più educati di quello che tu pensi. La mia esperienza come volontaria è stata e rimane una possibilità per interrogarmi, per interrogarci. Il Progetto è una bella opportunità per tutti noi.

Stelle nere rappresentata al centro sociale La Fontana di Pratofontana

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narrazioni di strada e di cielo

Raccontarsi Raccontarsi è sollevare il velo leggero che nasconde la trama della propria vita. È svelarsi. È entrare in contatto con il sé più nascosto. Sono volti, sono occhi tristi, mani che si tormentano o che coprono la bocca, pudore che cerca di mitigare il fluire del racconto. Sono corpi su cui la vita ha lasciato segni profondi. Queste donne giovani, alcune giovanissime, ci hanno raccontato le loro storie. Sono storie dure, storie d’inganno, di delusione, di violenza. Con questa poetica si introducono le storie di Stelle nere. Dello stesso spettacolo fa parte il racconto che segue su Anna, scritto da Albina Xhamaj.

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I ricordi si fanno dimenticare, perché sono violenti e barbari Era d’inverno quando prima volta presi pullman per arrivare in Italia. Romania d’inverno è grande coppa di cristallo, tutto gela. Avevo con me solo promessa di lavoro come baby sitter. Erano le due del mattino quando sono scesa dal pullman, con me c’era il mio amico dell’infanzia, che spesso lui presente nella mia vita: lui era in Italia da due anni, era ben sistemato, lui così mi diceva, anche se però alloggiava da un suo amico. In fondo a una scala, per terra vetri rotti, dentro molto casino, ma lui diceva di non farci caso che ieri c’era stata una festa e che casino in quella casa è normale. Allora io ero stanca e ho dormito sopra un materasso imbottito con fieno, con addosso un brutto panno. Mi sono svegliata alle 10 del mattina pensando alla proposta di lavoro; poi poco dopo arriva il mio amico e dice che andiamo a comprare dei vestiti, perché stasera qui c’è una festa. Ero contenta, io non ero mai stata a una festa. La notte è arrivata, la casa era piena di gente e di alcol, di tutti i tipi. Questi ridono e quelli bevono, io capivo poco e non parlavo italiano. Mio amico beve più di tutti, sembrava più felice di tutti: penso che lui si sentiva forte soprattutto quando è avvicinato a me e mi teneva la testa tanto forte che mi ha fatto male …e gli altri nessuno faceva caso, tutto normale… era solo una festa! Per terra loro avevano buttato quel maledetto materasso di fieno …e mi hanno buttata al materasso… con cattiveria… con disprezzo. Mani sudate, aliti cattivi, … mi sentivo vomitare addosso e non solo quello… 190


Mi dicevano che… “Ti prepariamo per il lavoro”… questo loro mi dicevano. Penso che la cattiveria non è mai abbastanza, questo pensavo, ma avevo ubriaca la testa… di vino… di fumo … e la memoria nella testa è una memoria sporca, senza nemmeno piccoli pezzetti di umanità. C’è solo forbici da sarto con la punta … è un’arma così fredda e tagliente… ti strappa le grida. E allora dopo ero legata e tappata la mia bocca, perché davo fastidio a loro. Giorno dopo mi trovo in una strada di campagna. Intorno nebbia. I clienti non mancano. Ero una nuova e allora per controllare, pochi metri distanti da me, in macchina a fari spenti… … il mio amico della infanzia. Vedevo un filo di fumo uscire dal vetro della macchina: allora penso che la vita è tutto qui, come un respiro di sigaretta prima che si spegne… Allora non posso più sperare che la vita è più forte che la morte. Allora penso che in questo mondo puoi morire anche prima di morire. La vita non è uno scherzo!...è di più!...è un ridicolo scherzo, fatto di gente bene vestiti che hanno fatto la barba, profumati… … però miserabili per i loro giochetti, cattivi mentre che sono fragili, come incatenati dentro a un sistema che paghi per il piacere, senza pensare che esiste il futuro, che esiste gli altri. Gente sporca nel corpo e nel pensiero. Eppure invece il pensiero credo che è una delle grandi forse dell’uomo, è fatto per fare le cose…

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Volevo anch’io fare delle cose belle… ma questo non è concesso. E neanche pensa che è facile ribellarsi! Loro controllano e vanno sempre in branco. Loro è gente molto… suscettibile, gente che ha potere e sa usare tutti i tipi di arma fredda. I clienti non mancavano nemmeno alla stanza, anche la mattina presto, alcuni passavano prima di andare a lavorare. Nella stanza eravamo quattro ragazze tra i 16 e 20 anni, alle spalle delle famiglie. Poveri con la minaccia di fame e freddo e anche di loro che ripetevano sempre a noi che se tu non sei brava fanno male alla famiglia. Dopo pochi mesi sono stata venduta ai nigeriani a Milano: dovevo dare a loro un tot di euro ogni notte, ma raramente riuscivo e allora mi picchiavano. Non potevo contattare la mia famiglia, niente telefono, e io niente indirizzo. Non hanno mai saputo niente e non so se mai lo dirò. Un cliente veniva a trovarmi spesso… elegante… bella macchina. Allora ho provato di chiedergli di aiutarmi per mettermi in contatto con i miei, ma la risposta sua: “Tu ci servi qui, noi qui abbiamo bisogno di te”. Quella notte ho pianto tanto! Senza permesso di soggiorno… da pagare il debito del viaggio, l’affitto della casa e della piazzola dove venivo esposta … e lì c’erano tante altre uguali a me… perché non bastano mai le ragazze, non ferma mai questo schifo di cercare il godimento, questa processione fatta di giovani, mariti, vecchi, professori… dei ricchi buffoni. 192


È stato un giovane a picchiarmi al punto da svenire, poi mi sveglio all’ospedale, una pattuglia m’aveva trovato al mattino… … a quanto pare è passata al momento giusto. Dopo 20 giorni vado fuori dall’ospedale e ora vivo in centro di accoglienza. È la prima volta che penso e racconto. I ricordi si fanno dimenticare perché sono violenti e barbari. Perché nei miei ricordi sembra che la vita è una strana battaglia, una guerra inutile in cerca del potere, dimenticando che tutti siamo fatti uguale. La vita però credo che ha anche una grande forza. E io voglio fare delle cose belle. Per potere oggi finalmente respirare e ricordare.

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COSì DIVERSI, COSì UGUALI: i laboratori sull’intolleranza

Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vita altrove è un altro laboratorio teatrale che nasce nel 2007 dal progetto Educare ai sentimenti, ideato intorno al tema dell’intolleranza e della coesione. La sua ‘prima’ è datata 28 febbraio 2007 e avviene all’istituto Blaise Pascal, dove varie classi di studenti in doppio turno e orario scolastico, 'testano' la produzione e danno il loro benestare alla rappresentazione. Ancora una volta è messo in piedi da studenti diretti da Bruna Fogola. Lo spettacolo è stato poi rappresentato in alcuni Istituti secondari di secondo grado di Reggio Emilia e provincia, in centri sociali e in circoli culturali. Ogni giorno incontriamo decine di persone di cui non sappiamo nulla; ci sfiorano con lo sguardo, ci osservano, seguono i nostri passi. La loro terra è lontana, la loro famiglia è lontana, i loro usi e costumi sono lontani. Per venire da noi hanno lasciato ogni cosa. Affetto e ricordi vengono intrecciati da lunghe corde che raccontano storie di vita, che prendono forma nel nostro intimo e ci trasmettono colori, sapori e profumi di terre lontane, di pensieri diversi, di semplici gioie e di bei canti. Hanno recitato gli studenti Giammarco Corradini, Margherita Di Martino, Daniela Felici, Vanessa Iotti, Aziz Sadid, Laura Simonazzi, Ruby Spinella, Matha Woldezghi, sotto la regia di Bruna Fogola. Nel capitolo, il ricordo di Bruna Fogola e dell’ex studentessa/attrice Ruby Spinella. Quindi un dibattito con gli studenti della IB dell’istituto Silvio D’Arzo di Montecchio.

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Il tema dell’attenzione, della conoscenza, dell’ascolto di chi viene da fuori è toccato anche dalla performance Ma nei cuori il sereno, nata nel 2009 e curata da Roberto Iemmi. Sono storie allegre e tristi, tragiche e divertenti di donne e uomini che viaggiano per il mondo non per piacere, ma perché non hanno altra scelta. Uno stato della mente e dello spirito mirabilmente sintetizzato da un passaggio della canzone di Pierangelo Bertoli che dice: “…ho passato la frontiera con un peso in fondo al cuore e una voglia prepotente di tornare”. Il laboratorio teatrale è stato realizzato dall’Associazione culturale La valigia dell’attore. Regista Roberto Iemmi. I laboratori si sono tenuti negli istituti: Nobili, Filippo Re, Don Zeferino Iodi e Ipsia Lombardini. La performance è stata poi rappresentata nell’Aula Magna dell’Università Unimore a Reggio Emilia, in viale Allegri, il 23 gennaio 2009. Era presente - oltre a più di 200 studenti di varie scuole e i loro insegnanti - anche il prefetto vicario di Reggio Emilia Adolfo Valente. Nel capitolo anche alcuni brani dello spettacolo.

Gennaio 2009: oltre 200 gli studenti riuniti nell'aula Manodori dell'Università di Reggio Emilia per parlare di coesione sociale

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mettersi nei panni di un altro [La rappresentazione Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vita altrove nel ricordo dell'ex studentessa del Pascal Ruby Spinella, preceduta da un’introduzione della regista Bruna Fogola]

"Anche in questo laboratorio artistico – dice Bruna Fogola – ho puntato sulle possibilità dei ragazzi, sulla loro capacità di trovare la parola, la frase giusta, che era poi quella che li colpiva di più. Io ho dato solo l’indicazione dei terreni in cui cercare i testi di vari scrittori, poeti e filosofi. L’obiettivo comune era quello di raccogliere il senso della diversità, cos’è la diversità, da dove deriva questa parola, da scandagliare in tutte le sue diversificazioni poetiche nei vari continenti. A cui si è aggiunta poi la ricerca musicale. Il gruppo ha lavorato molto bene. Nello spettacolo ci sono sette storie, sette diversità, sette profumi, ma un unico personaggio. E alcuni simboli chiave: la vestizione, in cui uno indossa un capo, un accessorio che desidera, piccole cose a testimonianza di un vissuto; le corde come i legami familiari, ma anche come i sapori, gli odori, gli intrecci di storie e di parole; il gioco della moscacieca, che vuol dire chiudere gli occhi, ma vedere quello che hai lasciato, il tuo paese, la famiglia, i ricordi, la guerra se c’era, le risate, il mare, i colori della tua terra, i luoghi dove tu sei nato. Con gli occhi chiusi si racconta di questo vissuto che non sempre è facile da comunicare e non sempre c’è qualcuno che l’ascolta; altro simbolo il cappotto che appartiene a chiunque. Questo cappotto abbandonato viene indossato in maniera differente da ciascuno di cui raccontava una storia. Una dimensione essenziale, nessuna scenografia, ma parole e musica".

Ruby Spinella

Ruby Spinella ex studentessa del Pascal, rievoca con noi l’esperienza fatta come attrice dello spettacolo. 197


Cosa ti ha spinto a partecipare a questo laboratorio artistico? Avevo sentito parlare del progetto, sembrava interessante, ma non avevo intenzione di partecipare, poi un’insegnante mi ha sollecitata. Così ho iniziato ed entrando nello specifico l’ho trovato interessante. Poi avevo il ricordo dello spettacolo Le mie labbra mai che mi aveva colpito quando ero fra il pubblico. La tematica era diversa, ma speravo di poter comunicare nello stesso modo. Il fatto che tu sia figlia di una coppia mista, ha avuto il suo peso? La consapevolezza che anch’io avevo una mamma che veniva da un altro paese mi è arrivata quando abbiamo iniziato a portare lo spettacolo agli studenti. Lì ho capito che potevano vedere lo straniero come un elemento estraneo e pericoloso, per cui loro non si avvicinavano perchè erano insicuri o avevano un pregiudizio verso certe persone o per colore della pelle o altro. In ogni caso erano persone a cui non si sarebbero mai potuti aggregare. È stato anche un modo per mettermi un poco nei panni della mia mamma perché io sono nata e cresciuta qua e non ho avuto grossi problemi. I vostri personaggi hanno avuto invece dei problemi? La questione mi si è svelata in effetti attraverso la ricerca dei testi. Mia madre era venuta qui per studiare e non aveva avuto particolari problemi di integrazione, invece le persone della narrazione avevano tragedie alle loro spalle e nei paesi occidentali dovevano sforzarsi per integrarsi, nonostante tutto il bagaglio e il peso che si portavano dietro. È diventato importante per me spiegare ai ragazzi questa dinamica, fare loro capire che occorreva andare al di là delle apparenze, fare comprendere che tutte queste persone avevano cose da raccontare, cose che potevano servire ad ognuno di noi, sia per entrare in relazione con loro, ma anche per crescere personalmente. Cosa è per te la diversità? Ho provato a mettermi nei panni di una persona diversa, che avrebbe detto qualcosa di diverso da me; la cosa ti fa riflettere. La diversità è innanzitutto da vedere come situazione positiva e non negativa. Purtroppo nell’immaginario collettivo c’è quest’idea del 198


diverso come ostile, qualcuno a cui stare attenti. Invece potrebbe esserci qualcosa di bello da scoprire, da ascoltare. Fra i testi con cui i personaggi dello spettacolo si presentavano c’erano anche delle lettere che scrivevano ai famigliari e in cui mostravano le stesse preoccupazioni e i sentimenti che ognuno di noi avrebbe avuto in circostanze simili. Secondo me è l’ignoranza che non ci permette di metterci in gioco per vedere il lavoro com’è in realtà. È proprio questa paura, questa chiusura in se stessi: conosco il mio mondo e ci resto protetto dentro, non provo nemmeno a vedere com’è l’altra persona. Questo lo osservo tanto negli individui, dal come parlano, dal come si atteggiano. Attori-studenti in Tu che mi guardi, tu che mi racconti Ti sei sentita a volte toccata da pregiudizi? La mia pelle non è tanto scura, ma a volte mi è capitato di osservare la differenza con cui le persone si comportano con chi è più simile a loro e con chi invece non lo è. E quando succede di sentirlo un poco su di me, a volte ci rido sopra e penso 'poverina', perché una persona ignorante è una persona povera, ma altre volte mi ha anche ferita. Che valore ha per te parlare a scuola di questi temi e in questo piccolo spazio temporale, c’è tempo per buttare semi? Sì, è possibile, anche perché più sei giovane e più tutto ciò che ti circonda investe su di te. Io non so a quanti e come è arrivato il messaggio, però io so che l’ho lanciato. A volte può succedere che questo seme non germogli subito, ma arriverà un tempo in cui si potrà attingere dalle cose positive che si sono sentite. Hai un ricordo particolare della rappresentazione? 199


Delle varie rappresentazioni dello spettacolo che abbiamo fatto, sia nelle scuole che nei centri sociali e culturali, ho il ricordo particolare di quella che si è tenuta a Cavazzoli il 22 settembre 2007. Era ancora caldo e la performance si svolgeva all’esterno di questa casa-famiglia con tutte queste signore extra comunitarie con figli. Ăˆ stato insolito e molto bello perchĂŠ parlavamo a un pubblico diverso, direttamente coinvolto.

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uguali, ma con sentimenti diversi [Il tema di Matteo della IB dell’istituto Silvio D’Arzo di Montecchio, redatto a commento della rappresentazione di Tu che mi guardi, tu che racconti – Storie di vita altrove]

Il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 2009, siamo andati nell’Aula magna dell’istituto D’Arzo per assistere ad uno spettacolo dei ragazzi che hanno frequentato l’istituto Pascal. Subito hanno chiesto gentilmente sei volontari per una parte dello spettacolo e li hanno fatti accomodare su altrettante sedie poste in cerchio. In modo che tutti vedessero tutti negli occhi. Partita la musica, si sono spente le luci, sono entrati gli attori e si sono vestiti, cioè si sono messi dei vestiti sugli indumenti che indossavano già: cappelli, foulard e gonne tipiche dell’Africa. Dopo hanno fatto tenere delle corde ai sei volontari. Le corde significavano i legami che abbiamo con il prossimo o come tutti pensano il legame che non abbiamo con il prossimo, cioè con il ‘diverso’. Mentre i sei volontari tenevano strette le corde, gli attori le intrecciavano e raccontavano la loro storia. La storia di coloro che scappano, sopravvivono, fuggono o che vengono strappati dalla terra madre con violenza, con vili ricatti o che cercano una nuova vita in altri posti. Perché nel loro paese, dove hanno perso i genitori, dove hanno passato l’infanzia, dove sono legati con un legame spirituale con la loro terra, non ci possono più stare. Scappano dalle case situate sul terreno della propria patria, a causa della guerra, carestia o solo per cercare il benessere della propria famiglia. Questo punto viene messo in risalto quando due personaggi girano e legano con una corda la protagonista, travolgendola di domande. Quando le hanno posto l’ultima domanda, hanno buttato la corda a terra come se la disprezzassero. Lei si è messa a cantare, un canto triste, come se fosse allontanata da tutti, dalla propria casa con violenza, ma allo stesso tempo era un canto pieno di speranza per il futuro. Mentre cantava, un altro personaggio slegava il nodo, un nodo che simboleggiava la poca libertà che avevano e il valore insignificante delle loro vite. 201


Poi si sono messi a giocare a moscacieca, ma non bendati, perché non dovevano prendere un’altra persona. Ma dovevano cercare di non perdere un sogno e la speranza del futuro, la speranza di vivere. Questi sono i sogni di coloro che vogliono vivere e lottano con lo scopo di vivere un solo giorno in più. Finito lo spettacolo, ti vengono in mente mille domande: Chi sono io? Chi sei tu? Sono io diverso da te o tu sei diverso da me? Se io avessi il tuo coraggio, che hai tutti i giorni, come sarei? E se io… E se tu… E se noi…. Poi il punto dove prendono in giro, insultano e lo incolpano dicendogli che è tutta colpa sua, di come il mondo va avanti solo perché è diverso da noi. Siamo perfettamente uguali. Sì, magari siamo diversi in una sola cosa: il cuore. Il nostro è impuro, pieno di odio verso il diverso, ma anche se siamo capaci di provare sentimenti, rimane sempre impuro. Solo quello di pochi è ancora puro, quello dei bambini, ragazzini incapaci di pensare, agire e ferire con le parole. Il loro cuore è puro e pieno di sentimenti, loro darebbero la vita, l’anima per il futuro della propria famiglia e patria. Io non so dove trovano la forza di andare avanti, la forza di non vedere il tramonto come la fine di una vita e l’arrivo della notte buia come la morte. Ma solo il gusto e il piacere di assaggiare l’alba e il giorno fondato su speranze e sogni. Sono proprio riflessioni come queste, così come quelle che altri studenti e studentesse hanno manifestato nel corso degli anni, che hanno convinto gli organizzatori del progetto Educare ai sentimenti a riportare poi nel territorio le tematiche dibattute a scuola. Lo hanno fatto nei centri sociali, nei circoli, nelle parrocchie, laddove si potevano creare ulteriori motivi di riflessione con adulti, con genitori, per creare un reale scambio e confronto fra generazioni.

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quanto conta il giudizio degli altri [Riflessioni della classe IB, dell’istituto Silvio D’Arzo di Montecchio, qualche tempo dopo aver assistito allo spettacolo sull’inclusione Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vita altrove. La psicologa Barbara Corradini coordina il dibattito]

Cosa vi ha fatto venire in mente questo spettacolo: esperienze personali, positive, negative? Luca – Sì, ricordo quella mattina della rappresentazione. Mi aveva colpito la scena del cappotto che più persone si passavano. Il senso che mi ha dato è che tutti possiamo essere uguali con un semplice gesto come il passaggio del cappotto. Non capisco dove sia la diversità nelle persone, a volte c’è anche la diversità per invidia, questo è quello che penso. Io ho avuto esperienze e la maggior parte di esse mi hanno dimostrato che siamo diversi. Sento che ciascuno è un po’ un’isola e mi piacerebbe che fosse diverso, che tutti comunicassero pacificamente. Cosa impedisce questo? Come ho detto prima l’invidia. Ciascuno vuol essere meglio dell’altro. Riccardo – Non mi sento attaccato dagli altri. Ho molti amici. Fra di noi ci sono differenze di opinione, ma non reali differenze, per cui questo non mi impedisce niente. Io non mi sento su un’isola. Neanche verso persone che arrivano da altri Paesi. Non mi sento per niente impedito nella relazione se uno ha una diversa religione, lingua e colore di pelle. Sì ho amici come quello là (indica Omar, ndr). Omar – Vengo dall’Egitto. La mia amicizia con Riccardo è in effetti buona. Ci siamo incontrati a scuola e siamo diventati amici. Subito eravamo vicini di banco e dopo ci siamo visti, abbiamo parlato e abbiamo sentito che poteva esserci un’amicizia. Ci troviamo anche fuori dalla scuola. Sì, possiamo avere opinioni diverse, ma queste non ci impediscono di essere amici. Non ho mai discusso con Riccardo. Prima di conoscere qualcuno, qual è la difficoltà? Luca B – Quando entri in una nuova situazione, come quella di una nuova classe a scuola, c’è il timore di sbagliare, perché vuoi fare una buona impressione. Io all’inizio ho cercato di fare bella figura, senza però molti sforzi. Prima di esprimere un’opinione diversa 203


faccio una valutazione. E l’altro, per entrare nella mia cerchia, deve essere simpatico, sociale, ma non deve essere nato necessariamente a Montecchio. Può essere nato ovunque. Quando sento che ci sono episodi di razzismo penso che deve essere dura per quella persona lì. Alcune scene del genere sono successe anche in questa scuola, verso chi si metteva in disparte. Diego – Io conosco solo le litigate che succedono in classe, ma sono per cavolate fra ragazzi, nella scuola non ne ho viste. Personalmente, quando non conosco qualcuno sento una certa diffidenza, questo indipendentemente dalla provenienza. Se non si conosce una persona c’è timore ad andare a parlarle. Justin – I miei genitori vengono dalle Filippine, ma io sono cresciuto qui; quindi sento che ho le stesse loro difficoltà, mi sento come loro. Non è un problema fare amicizia. Federico – Io considero uguali sia gli italiani che i non italiani, per me la questione non cambia. Ragazzi, conoscete le ragioni di questa eventuale intolleranza? Vi siete dati una motivazione? Leonardo – Che non vanno d’accordo. Michelangelo – Razzismo. Luca – Paura di passare in secondo piano. Conoscendo una persona diversa, magari migliore di noi, potremmo così passare in secondo piano. Enrico – Non c’è razzismo solo fra etnie diverse, ma anche fra italiano e italiano che litigano perché uno è più grasso dell’altro e magari viene offeso. È questione di fare vedere che sei più potente. Diego – È fare vedere alle ragazze che sono più grande. Federico – Potrebbe anche essere in relazione agli amici, io escludo una persona diversa e quindi sono più potente. È quello che si pensa. Quindi se io mi metto in relazione con un altro, soprattutto se è diverso da me, questo può essere rischioso, può essere che lui sia più bravo, più potente, ma anche che metta un po’ in crisi me su quello che io penso, credo, quello che sono io. Quindi voi dicevate, non solo per la razza, ma anche per la diversità, per tanti motivi?

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Leonardo – Come il taglio dei capelli… I capelli e anche il modo di vestire. Ci può essere una sorta di esclusione per questo? E nello spettacolo, mi riallaccio a quello che ha detto Luca, cosa simboleggia secondo voi il cappotto?

Gli studenti della IB del D’Arzo durante la riflessione in classe

Enrico – Che ci si mette nei panni dell’altro. Esatto, quindi posso essere in qualsiasi momento della mia vita al suo posto? Michelangelo – Anche operai di un’azienda italiana sono stati recentemente rifiutati in Inghilterra dagli operai locali che avevano paura di perdere il lavoro, che anche loro si sentivano in grado di fare. Questo vuol dire che possiamo tutti essere emarginati o messi da parte. Oltre al cappotto di questo spettacolo cosa vi viene in mente? Michelangelo – Le corde, che vuol dire che si creano delle relazioni con le persone. 205


E la reazione di odio che c’è stata, è la reazione di una persona che si sente esclusa? Se uno si sente escluso che cosa fa, cosa pensa? Leonardo – Rabbia, rabbia per l’ingiustizia subita. Justin – Sì, uno si può sentire giustamente arrabbiato. Cosa può provocare poi questa rabbia? Leonardo – Di tutto Vi è mai capitato di essere esclusi per qualcosa? A me sì quando avevo la vostra età. Quando una persona si sente esclusa, che cosa fa? Medi – Mettiamo che qualcuno è emarginato da un gruppo, ma magari in quello stesso gruppo ci può essere uno che vuole fare invece amicizia con la persona emarginata; se lo fa può essere a sua volta escluso dal gruppo, allora non lo fa. Quindi molti lasciano perdere. È più che altro una questione di gruppo, più che di individuo singolo, perché poi dicono: “Ma con chi va in giro? Magari se sono da soli insieme va bene, ma in presenza del gruppo, quella persona ritorna ad essere emarginata. Vorrei raccontare quello che mi è successo con un amico: davanti a un certo gruppo di ragazzi mi prende anche in giro, ma solitamente dice il contrario, che sono una buona persona. Buona osservazione. Quando ci conosciamo personalmente saltano le barriere e si va a vedere quello che si è, quello che ci piace fare insieme, ma quando si è in gruppo si cerca di conservare un’immagine per non fare una cattiva figura, per non essere emarginati. Quindi a volte mi comporto non bene davanti a una persona che stimo per non perdere il giudizio positivo del gruppo. Alex – Magari incolpa un altro del gruppo per non fare una brutta figura lui. Luca – Per farsi giudicare importanti, per sentirsi importanti. Io sono importante se fumo, se bevo, se commetto degli atti vandalici. Bisogna apparire, insomma essere un po’ degli eroi in negativo? 206


Luca – Se si è eroi in positivo non si è degni di fare parte del gruppo, perché non fai le cose giuste, non ti diverti; ci sono tutti quei fattori che ti portano a essere emarginato da un gruppo. È proprio il gruppo che emargina non la singola persona, perché come ha detto prima Medi, davanti a me una persona può comportarsi in un modo, quando siamo nel gruppo in un altro modo. E non è bello per niente vedere una persona che di pomeriggio scherza e ride con te e la sera ti prende in giro davanti agli altri. Michael – Condivido quello che ha detto Luca. Per entrare in un gruppo devi fare quelle cose. No, non ho esperienze personali da raccontare. Michelangelo – Per me non è necessario essere estremisti per entrare a far parte di un gruppo, quello mai. Non l’ho mai fatto. In un gruppo, se sono accettato per la simpatia va bene, se no niente. Enrico – Alla nostra età grandi divisioni non ce ne sono. Io non mi interesso ancora di politica. Per me importante è che l’altro sia simpatico. Avete una ricetta per questo processo di avvicinamento, per questa conoscenza più personale? Luca – Uno deve essere se stesso, molto semplicemente. Questo è quello che avvicina le persone. Molta gente finge davanti agli altri. Luca B – Io non posso comportarmi bene con una persona e poi, in gruppo, verso la stessa in modo negativo. Samuele – Penso che alla fine siamo tutti uguali, solo che la diversità si basa su idee religiose e politiche differenti e ciò crea divisione. Matteo – Io sperimento di più il sentirmi uguale ai miei amici. Jordan – Io arrivo da Bibbiano e alcune persone della scuola le conoscevo già, con altri ho fatto amicizia dopo. Ma è la stessa esperienza anche quando sono passato dalla scuola elementare alla media. È la stessa situazione di chi arriva con una pelle diversa, una religione diversa, quando mangia in modo differente? Jordan – Lì è un poco più difficile abituarsi. Per me non vuole dire niente se è di un’altra razza, ma conviverci in classe vuol dire abituarsi, perché ha diversi usi e costumi, è diverso da noi. 207


Ma questo non m’impedisce di essergli amico, non c’entra niente con l’amicizia. Però vai fuori a mangiare e lui è diverso da noi, per esempio non può mangiare la carne di maiale. Medi – A volte uno è allontanato dal gruppo perché semplicemente il gruppo stabilisce a priori che non ne potrai far parte. Anche senza conoscerlo, lo escludono e non mi sembra giusto. Ti giudicano da come ti vesti e ti dicono che non puoi farne parte. È capitato anche a me, ma per fortuna ho altri amici. E non ho fatto nulla per conquistare quel gruppo, l’ho lasciato perdere perché non mi piaceva. Ci rende più ricchi o più poveri il fatto che vicino a noi ci siano persone diverse per costumi e tradizioni? Ricki – Più ricchi. Si possono così imparare usi e costumi di un’altra nazione. Da qualcuno che viene da un altro posto ho imparato modi di fare diversi. Luca B – Più poveri. Perché dal punto di vista economico, per esempio, se uno non mangia carne di maiale, di quella se ne vende meno. Io ho amici di altre religioni e a me poi non importa molto. Samuele – Avere un amico diverso o un conoscente che viene da un’altra parte ci completa, ci fa vedere modi di fare diversi, c’è anche più cultura. Sì, ho questa esperienza, anche in classe ho amici che hanno modi di fare diversi, tradizioni diverse, quindi riesco così a capire meglio le persone.

Gli studenti della IB del D’Arzo durante la riflessione in classe

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poetiche tra casa e casa [Brani dallo spettacolo Ma nei cuori il sereno, racconti di chi viaggia per il mondo non per piacere, ma perché non ha scelta. Il tema di altre culture fra i banchi di scuola]

Il titolo dello spettacolo Ma nei cuori il sereno nasce da una strofa della canzone del 1971 dell’Equipe 84 Casa mia. Una canzone che ha sempre toccato il regista Roberto Iemmi perché, dice: "Dà proprio la definizione di che cosa sia essere emigrati anche in situazioni non drammatiche, non terribili, dove magari ci metti solo otto ore per tornare a casa, comunque sei sempre là e quando torni, torni sempre e poi torni indietro". Altre ispirazioni sono arrivate dai Gatti di vicolo miracoli prima maniera e Teresa De Sio. Il lavoro, anche se basato sulle attività fatte nelle classi, sostanzialmente esce come one man show. È una lettura di testimonianze e poesie con brevi intermezzi musicali, improvvisazioni e l’eventuale partecipazione del pubblico. "Dietro a questo spettacolo c’è tutto il lavoro fatto nelle classi di prima, seconda e terza superiore – dice Roberto Iemmi – È nato per coinvolgere, con un linguaggio più appropriato, le prime classi delle superiori sulle difficoltà di tolleranza, di accettazione del diverso. Per loro è ancora più sentito. Si trovano in una prima superiore, di tecnico o professionale, dove ce ne sono di tutti i colori. Il loro laboratorio l’abbiamo chiamato infatti Di tutti i colori".

Strani compagni di classe Quest’anno sono capitato in una classe strana Con dei compagni davvero strani Però mi diverto un casino e sono proprio contento. C’è n’è uno che non sa le tabelline (2x2, 4x3, 5x7) Ma fa divisioni, moltiplicazioni, potenza e radice a tempo di record E non sbaglia mai. Ce n’è altri due che ogni giorno nell’intervallo Vogliono raccogliere loro i soldi per la merenda. Hanno 9 in matematica, però si fanno sempre fregare. Ce n’è sei che sono esentati da religione E in quell’ora vanno in un’altra classe a ripassare grammatica Contenti loro!? 209


Alcuni parlano male in italiano Altri vanno male in inglese Uno non parla mai nessuna lingua Quello lì che non parla mai sembra una mummia, però una volta È montato su a giocare a basket e dopo, in silenzio, si è spiegato benissimo. Un fenomeno! C’è chi prega spesso, chi non prega mai e chi prega solo accidenti, C’è chi nell’intervallo mangia sei kinder E chi non ha i soldi per un gnocchino, C’è chi non mangia il salame e chi mangerebbe anche il suo amico col pane. C’è chi ha gli occhi in sù e chi in giù C’è chi ha gli occhi molto belli (una soprattutto) e non solo gli occhi E c’è uno che proprio non ci vede. C’è chi è più scuro e chi è più chiaro Chi ha colori strani, ma se non basta si disegna con la biro E ce ne sono almeno 10 di colore... Sì di colore! Di colore bianco, Perché anche il bianco è un colore, Non vi pare?

Fra te e me Fra te e me La distanza è un pezzo di terra, di mare, di cielo, oppure una sfumatura di colore della pelle sottile che ci ricopre e ci protegge. Fra te e me Il confronto è fatto di parole e gesti necessari Per vivere, chiedere, rispondere, pregare e condividere le emozioni più grandi, 210


ma soprattutto quelle piccole. Fra te e me La differenza si fa sentire Nella nostalgia, nell’invidia, nella gelosia di luoghi e facce che dicono tutto o niente, che sono un unico grande mondo, ma sembrano neanche appartenere allo stesso piccolo mondo.

Un passaggio Quando il giorno scende verso il mare E il cielo si accende di rosso e di nero Chi tra noi sa guardare lontano Riesce a scorgere un passaggio davanti a sé, Tempo per esitare non c’è. Ormai ci hanno fatto credere Che non ci sia nessun passaggio per attraversare il mare Siamo rassegnati a pensare a un mare invalicabile Fra noi e le diversità del mondo. Siamo abituati all’idea Che una barriera di disuguaglianza e pregiudizio Separi il bianco dal nero, Il nord dal sud, Il giovane dall’anziano, Il normale dal diverso, Il cristiano dal mussulmano. No, tempo per esitare proprio non ce n’è. Solo quando il giorno scende verso il mare E il cielo si accende di rosso e di nero Chi tra noi sa guardare lontano Riesce a scorgere un passaggio in mezzo al mare. Bisogna attraversare ora! Altrimenti il passaggio svanirà E dopo non conosceremo mai Tutte le cose belle Che ci sono Al di là del mare. 211



riflessioni


Crescita emozionale Valori alti Esperienza fondamentale Coscienza collettiva Uso del corpo Generazioni diverse Traumi emotivi Finzione e realtĂ Sfiducia Corde scoperte Coinvolgimento profondo La riforma RigiditĂ Essere accolti Lavoro di gruppo Lezioni e Facebook Violenza in classe Comunicazione interattiva Arroganza Gentilezza Didattica


fra tradizione e cultura digitale: Considerazioni dal mondo della scuola

Dalla complessità del mondo scolastico, dalle sue contraddizioni fra tradizione e cultura digitale, fra didattica e crescita emozionale, fra risorse e cambiamenti, voci e pensieri da quell’universo, con qualche commento sull’esperienza del Progetto. Ne parlano, in un’intervista del gennaio 2011, Giuliano Fornaciari (dirigente del liceo Matilde di Canossa da 11 anni), Marco Incerti Zambelli (dirigente dell’istituto Blaise Pascal dal 2006) e Stefania Mancin che insegna da vari anni nella stessa scuola. Quindi studenti del liceo Gaetano Chierici raccontano come hanno affrontato problemi di violenza che si erano verificati in alcune classi dell’Istituto. Giuliano Fornaciari: dirigente del liceo Matilde di Canossa fino all’anno scolastico 2010-2011, è laureato in Scienze statistiche e politiche ed è legato al mondo della scuola da 43 anni. Marco Zambelli: dirigente dell'istituto Blaise Pascal fino all’anno scolastico 2011-2012, è laureato in Chimica industriale e lavora nel mondo della scuola da 35 anni. Stefania Mancin: insegnante del Pascal, è laureata in Scienze biologiche e lavora nel mondo della scuola da oltre 30 anni.

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questo progetto può aiutare la scuola a uscire dal proprio impasse [Intervista a Giuliano Fornaciari, dirigente del liceo Matilde di Canossa e forte sostenitore del progetto Educare ai sentimenti]

Il suo Istituto è stato fra i primi ad utilizzare il Progetto in varie classi. Come giudica l’esperienza? Molto interessante, ma soprattutto molto emozionante. Dal mio punto di vista è stata e continua a essere un’esperienza fondamentale, perché una struttura culturale, di impegno sociale come questa, è difficilmente riscontrabile in altri ambiti. È uno strumento di crescita fondamentale per gli studenti, ma anche per noi adulti. Ciò che vale per i ragazzi vale anche per noi, fa uscire quello che abbiamo sopito o che abbiamo dimenticato o che ci siamo rifiutati di vedere e di sentire. Poi devo dire che la coordinatrice Giuliano Fornaciari del progetto, Rosa Galeazzi, è una donna sempre pronta, sempre impegnata, sempre in difesa degli altri e questo i ragazzi lo sentono molto. Lei ha un impatto incredibile. Questa signora, che potrebbe essere la nonna dei nostri studenti, viene qua, parla loro, anche con i più vivaci, i più attivi, magari con i ragazzi dei centri sociali. I giovani l’ascoltano e ciò che dice va loro al cuore. È la sua stessa figura che li incanta. E poi questo suo impegno. Lei è sempre lì a costruire, a tessere, a mettere in piedi. È splendido. È una missionaria laica. Lei è un vulcano. L’altro aspetto è che è una persona molto semplice, molto pacata, sempre argomentata. Per questa donna non ho solo stima, ma un grande affetto.

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Il Canossa, che ha prevalentemente un taglio educativo umanistico, non è estraneo a interventi di questo genere, anche attraverso contributi esterni? Abbiamo avuto diversi progetti relativi all’educare alle emozioni, come quello realizzato con i centri di prevenzione e un altro sulla situazione sociale, che è stato molto approfondito in collaborazione con la Circoscrizione Nordest. La Circoscrizione è stata coinvolta in alcuni fattori, che possiamo dire di emozione sociale, di sviluppo del sentimento verso chi è esterno, chi è fuori. È un’azione difficile perché si tratta di determinare le emozioni verso fattori di disagio, di disabilità sociale che diversamente noi non riusciremmo a sviluppare. Nel tempo noi abbiamo maturato alcuni passaggi: uno è stato verso quello che comunemente viene chiamato ‘le diversità’, ma in realtà è una presa di coscienza collettiva da parte degli studenti; in alcuni casi è stato diretto verso il mondo della prostituzione, in altri casi verso tutte le diversità che ci circondano. Rispetto al tema della prostituzione, cosa pensa della modalità proposta dal Progetto? È un argomento che reputo di grande profondità e impatto. Fin dall’inizio il Progetto aveva come obiettivo, sia quello di capire il percorso sociale che ha portato queste donne verso la prostituzione, sia il processo che ne può determinare il recupero. Si trattava tuttavia di andare oltre, non solo con la descrizione di avvenimenti e storie di vita, ma, con l’aiuto di personale ad hoc, cercare di capire il meccanismo mentale e psicologico che ha portato a questi passaggi. In questo ci ha aiutato molto anche don Daniele Simonazzi, un uomo che se ne occupa per vocazione, con la collaborazione di altri, e che riesce a smuovere emozionalmente l’interesse. Il linguaggio delle emozioni, indotto soprattutto con l’aiuto di personale specialistico, ha provocato un allargamento dell’intervento anche al campo della sessualità, al rapporto che porta a comportamenti sbagliati e principalmente all’uso del proprio corpo. Al centro dell’attenzione degli studenti c’è sicuramente la solidarietà sul problema della prostituzione, ma più in generale l’interesse sul rapporto emozione-socialità-uso del corpo. Un tema molto sensibile in un popolo adolescenziale come il nostro, anche per l’uso distorto che ne viene fatto quotidianamente dai media. 218


Crede che l’intervento abbia lasciato qualche segno negli studenti? Direi un segno molto profondo che è continuato, tanto che quest’anno verrà riproposto. La sollecitazione è venuta principalmente dagli stessi studenti che l’hanno inserita nel loro progetto di autogestione. Riprendere sia il tema della prostituzione – che è una provocazione importante, simbolica di tutto il resto – sia delle emozioni, collegando strettamente emozioni, sentimenti e uso del corpo, e cercando di fare capire le connessioni e il governo di questi elementi, è uno degli aspetti più importanti della proposta. Le famiglie sono state coinvolte in questi passaggi formativieducativi dei loro figli? Quando il lavoro è incentrato sulle emozioni, facciamo fatica a coinvolgere le famiglie. Per esempio, lo scorso anno abbiamo proposto un lavoro approfondito sul tema dell’eutanasia attraverso il film Le invasioni barbariche che provoca sentimenti profondi. Sono fattori che determinano una forte ricchezza e anche un allargamento degli strumenti interpretativi e culturali. I ragazzi si documentano, studiano, chiedono agli insegnanti un ampliamento dei contenuti. Li dotiamo così di capacità interpretative più alte. Le famiglie sono le più imbarazzate. Devo dire che i più preparati sono quei gruppi familiari che fanno spesso attività parrocchiali, ovviamente con il loro taglio. Gli argomenti che riguardano le emozioni, i sentimenti e l’amore, l’affettività in generale, abbiamo visto che trovano grande difficoltà in quei genitori poco impegnati che fanno fatica a fare uscire il loro profondo, magari perché non abituati o perché c’è molto pudore. Sui temi che hanno una componente etica molto forte, abbiamo notato anche difficoltà nei genitori laici. È complicato coinvolgere gli insegnanti in processi che vanno al di là della didattica ministeriale? Dipende. Sicuramente su questi argomenti la componente culturale o lo schieramento personale conta molto; sono sicuramente più attrezzati gli insegnanti dell’area delle scienze umane e filosofico-storico. Su argomenti emozionali, tuttavia, la stragrande maggioranza fa molta fatica. È più facile parlare e ragionare sui 219


filosofi o la storia della filosofia, della pedagogia o sulla letteratura, che andare nel profondo, che fornire altri strumenti che non siano quelli dell’apparato culturale tradizionale. Le proposte che vengono dall’esterno sono benvenute o complicano l’andamento interno della vita scolastica? Sono benvenute. Per esempio il progetto Educare ai sentimenti è un impegno, nel contesto territoriale, basato su valori molto alti che può aiutare l’istituzione ad uscire dal proprio impasse. In ogni caso il Matilde di Canossa è una scuola delle scienze umane e spesso in classe si dibatte anche quando si affrontano alcuni degli autori. Il legame con la contemporaneità è quindi molto presente. I ragazzi poi spingono parecchio in questo senso e vari insegnanti sono motivati e attrezzati. Altri hanno invece timore ad esprimersi per paura di compromettere la propria competenza o apparire in una logica di schieramento. I giovani sono generalmente molto critici verso tutti, fa parte della loro personalità in evoluzione, ma alla fine devi aiutarli ad arrivare alla sintesi, devi dare loro la capacità di dire questo sì, questo no, vediamo com’è. La difficoltà che noi abbiamo come adulti, in questo caso, è cercare di stare al loro fianco e offrire strumenti nell’approfondire e nel governare le emozioni, senza assolutamente diminuirle, toglierle o silenziarle. Come sono queste ultime generazioni di giovanissimi, più fragili rispetto alle precedenti? Non sono più fragili, sono completamente diverse. In questi ultimi 25 anni lo sviluppo delle capacità è completamente cambiato. Le intelligenze ci sono, ma sono mutate. Ha sicuramente influito l’uso di strumenti massmediologici, non solo la tv, ma soprattutto internet. C’è discriminazione fra i ragazzi nello sviluppo delle competenze. C’è una fascia sempre più ristretta in possesso di grande capacità di flessibilità creativa e una fascia sempre più ampia con possibilità di attenzione molto ridotte, che confonde molto spesso l’approfondimento con la lettura, che ha difficoltà a usare sistemi logici di comunicazione. È un passaggio che abbiamo notato, è un fenomeno che gli scienziati dicono sia contemporaneamente presente ovunque e in parallelo con lo sviluppo delle rete informatiche 220


e con questo uso sfrenato che spesso gli adolescenti ne fanno, senza alcun controllo, fin dall’età più giovanile. Anche la situazione familiare è cambiata profondamente in questi 25 anni: separazioni e divorzi spesso hanno lasciato traumi emotivi nei ragazzi. Potremmo parlare anche di ottundimento delle emozioni a forza di fare loro vedere centinaia di migliaia di omicidi fin dall’infanzia. Così i ragazzi non sempre sanno distinguere la finzione dalla realtà e, davanti ad una situazione di reale violenza, possono magari guardarla come fosse una fiction. La scuola è attrezzata davanti a questi cambiamenti? La scuola primaria e secondaria di primo grado, in particolare, stanno facendo molta fatica. Le diversità degli apprendimenti e dei fattori di appartenenza socio-culturale hanno portato sempre a un mutamento della didattica. La strumentazione di questi ragazzi ora può essere tuttavia molto diversa nella stessa classe. Prima avevamo un apparato sociale, culturale e valoriale comune. Questo adesso è profondamente cambiato. Il punto nodale su questa situazione è la preparazione dei docenti.

Nell'aula magna del Canossa per la rappresentazione di Stelle nere

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I docenti sono messi in condizioni di avere ulteriori strumenti per fronteggiare la nuova situazione? La crisi dello Stato è così forte che o ti arrangi come scuola o lavori in rete con altre scuole o ti trovi in grandi difficoltà. Soprattutto bisogna superare questo individualismo, ovvero l’insegnante da solo con la sua classe. Un altro aspetto critico per la scuola, che sta aumentando moltissimo, è il ruolo della famiglia in difficoltà. La famiglia in difficoltà, accanto ai cambiamenti dei ragazzi di cui parlavamo prima, è il vero problema. È dunque una famiglia ‘ammalata’? Non credo che la famiglia sia ammalata, se lo è, lo è nella misura in cui è ammalata tutta la società. La famiglia non sempre ha avuto gli strumenti per gestire lo sviluppo dei propri figli e spesso non era presente durante la loro crescita. Molte volte ha delegato ai nonni la funzione, a causa del sistema lavorativo che abbiamo. O perché avevano scommesso sui soldi come obiettivo o perché tutti e due avevano bisogno di lavorare. Casi diversi, ma che portano allo stesso risultato: i figli sono cresciuti spesso da soli e di fronte a negatività o problemi non riescono a gestirli. Molte volte accade che, per giustificare il loro comportamento di genitori che non potevano essere presenti, legittimino qualsiasi cosa il figlio faccia. Questo tipo di famiglia, che è minoritaria, ma sempre in aumento, ha difficoltà ad assumersi le sue responsabilità e a evitare il senso di colpa per la sua ‘assenza’ nel processo di crescita dei figli. Una grande difficoltà che registriamo, per esempio, è quando ci accorgiamo che un ragazzo/a è tossicodipendente o che comunque ha iniziato a fare uso di sostanze. Allora cominciamo a comunicarlo gradualmente, anche con l’aiuto di uno psicologo, alla famiglia, che però rifiuta l’informazione. È successo tantissime volte. Capisco benissimo questi genitori. È capitato altrettanto spesso che, dopo essersene andati rifiutando la notizia, siano poi tornati un mese dopo, spesso in pianto, dicendo, “Sì aveva ragione”. E aggiungono: “Mi sento messo in crisi, gli ultimi 20 anni della mia vita sono saltati per aria”.

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Come siamo arrivati a questo, dal suo punto di vista? L’anello debole di tutta la struttura è la famiglia, fortemente indebolita su precise responsabilità valoriali che fanno riferimento a scelte politiche avvenute negli ultimi 20 anni. La caduta della solidarietà, la messa in discussione di qualsiasi struttura che ti dia dei vincoli, ben espressi dagli slogan ‘libero è bello’, ‘nessuno mi può limitare’. Quasi che noi non avessimo più uno Stato, una cittadinanza, dei doveri e dei diritti. È chiaro che la famiglia è stata portata verso questa crisi, le abbiamo dato dei punti di riferimento completamente sbagliati e a ricostruire quel tessuto stiamo facendo tutti molta fatica. Ti trovi delle famiglie completamente lassiste o fortemente irrigidite, cupe a volte, dure come reazione. Famigliari che mettono in discussione l’insegnante se il figlio prende un voto inferiore alle loro aspettative, oppure ti fanno addirittura la richiesta degli atti per mostrare i compiti a un altro insegnante. Questi atteggiamenti, che tipo di ripercussioni possono avere sul ragazzo e sulla ragazza? Terribili. La famiglia dovrebbe fare sentire che l’insegnante, il mentore del figlio gode della sua fiducia. Questo non vuol dire che l’insegnante sia infallibile, nel modo più assoluto, ma significa che si crede nell’apparato di formazione, che si crede nelle persone che sono un punto di riferimento pubblico; si aumenta così la fiducia nelle persone che lo stanno formando. Andando a delegittimarle in questo modo, si alimenta invece quel circolo vizioso di sfiducia che un adolescente ha già per il suo processo di maturazione. È la distruzione di un impianto sociologico, non dico solidale, che è già un passo molto alto, ma di cittadinanza e di identità. Se poi questo fa il paio con scelte politiche, dibattiti politici, affermazioni politiche molto diffuse, ci si rende conto delle conseguenze che tutto ciò può avere. E la sua valutazione sulla scuola pubblica ora? È una domanda molto impegnativa. Effettivamente, dopo tanto tempo di esperienza e di vita nell’ambito scolastico, non saprei da dove iniziare. Primo, vale quello che ho detto finora sulla crisi dello Stato e sociale che stiamo attraversando. A cui si aggiunge la grande crisi della scuola pubblica. Il terzo elemento è, secondo me, il sistema 223


valoriale di riferimento mutato del nuovo gruppo politico dirigente del Paese. Politico ed economico aggiungerei. Andiamo verso un concetto di facoltà nella scelta di carattere individualista. Il fatto che io possa scegliere una scuola anche costosa, ma che vada incontro alle mie esigenze, scaricando tutti quegli altri che rappresentano un punto di riferimento egualitario, è il passaggio più pesante che può accadere a una società. La storia della nostra scuola è completamente diversa. Il Paese è stato unificato dalla scuola, le scuole pubbliche dobbiamo dire, dalle vecchie elementari dei Comuni, fino alla scuola dello Stato. Se si va a mettere in discussione questo, facendo una scelta privatistica, vuol dire andare verso la balcanizzazione della scuola con conseguenze culturali dirette per il Paese. Noi abbiamo avuto il prestigio di una scuola pubblica che ha unificato il Paese. Anche con tutti i limiti e le contraddizioni e le negatività sotto il fascismo. C’è stata comunque una unificazione del Paese, perché l’apparato dello Stato si è assunto prima il compito dell’alfabetizzazione, poi quello dell’evoluzione. Si pensi alla riforma della scuola media unica, al significato nella costituzione dell’obbligo fino ai 14 anni, fino ad arrivare ai 16 anni dei giorni nostri. Se si taglia ciò, si crea, non tanto una disarmonia, quanto una frattura nel Paese. Finanziare una disarticolazione della scuola, come sta accadendo, significa che fra non molto ci troveremo in una situazione analoga a quella di altri Paesi in cui la scuola privata è dei ricchi e dei benestanti e quella pubblica è degli apparati sociali con meno fortuna. Nel primo 50 per cento ci finiranno anche coloro che non hanno soldi e che per studiare dovranno fare grandi, grandi sacrifici.

Ancora al Canossa con la rappresentazione di Stelle nere

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didattica e progetti per aiutare i giovani a crescere [Intervista a Marco Incerti Zambelli, dirigente dell’istituto Blaise Pascal e Stefania Mancin, insegnante della stessa scuola]

Professor Zambelli, c’è complementarità o conflittualità fra esperienze emozionali e didattica scolastica, fra apporti di docenti esterni e interni? La scuola è quella situazione collettiva dove i ragazzi passano più tempo. Qui abbiamo 1.200 studenti, ma che sono soprattutto 1.200 ragazzi e ognuno di loro ha la sua personalità che cambia anche enormemente dai 14 ai 19 anni. Quindi il nostro compito istituzionale è sicuramente quello di fornire loro tutti quegli strumenti di formazione tipici della scuola, che però diventano efficaci nella misura nella quale si coniugano con il loro essere giovani che crescono. Questo intreccio va a toccare corde scoperte. Marco Incerti Zambelli Una consapevolezza che si coniuga, qui da noi, con il fatto che si cerca di non passare semplicemente informazioni e conoscenze, ma di farle diventare proprietà dello studente. Quindi c’è continuità fra le modalità di operare, la partecipazione attiva, la centralità dello studente e progetti come Educare ai sentimenti. C’è un problema oggettivo, che è quello del tempo. Perché se si vuole fare seriamente scuola in questi termini, è evidente che il tempo è preziosissimo. Queste operazioni complesse richiedono uno sforzo ulteriore allo studente, perché non possiamo confinarle al mattino, occorre un loro ingaggio anche nel pomeriggio. Non è un caso che la cosa sia nata proprio in quei momenti in cui già istituzionalmente la scuola dedicava a queste possibilità il monte ore degli studenti. Non è un caso che l’esperienza teatrale Le mie labbra mai, legata al Progetto nasca all’interno di questa scuola e quindi in cogestione fra l’istituzione, i ragazzi e i professionisti esterni. C’è quindi unità d’intenti, ma coniugati in modo diverso. 225


Professoressa Mancin, lo spettacolo teatrale sulla prostituzione Le mie labbra mai prende forma in questo istituto nel 2004. Cosa ricorda del progetto e del percorso? All’interno del monte ore, il dottor Roberto Iemmi e altri psicologi avevano incontrato gruppi di classi parallele di terze, quarte e quinte, a cui era stato chiesto di riflettere su problematiche legate alla prostituzione che gli stessi psicologi avevano stimolato; solo prostituzione inizialmente. Successivamente l’equipe di lavoro del nostro istituto, Progetto giovani – che si occupa di selezionare iniziative che vanno a promuovere il benessere organizzativo all’interno della scuola – ha cercato di collaborare con l’equipe di progetto dell’allora Settima Circoscrizione (oggi Nordest) e con Rosa Galeazzi per vedere se si riusciva a impostare un lavoro Stefania Mancin più particolareggiato, ma che andasse in profondità con i ragazzi rispetto a questo tema dei sentimenti. Ricordo che alcuni ragazzi/e facevano fatica a seguire perché sono tematiche non semplici da affrontare in un’assembla pubblica. Per lei o per il gruppo docenti, l’affrontare questa tematica nella scuola, è stata sentita fuori luogo o forzata? Non l’abbiamo mai sentita come una forzatura, perché è una forma di violenza di cui i ragazzi, bene o male, non direttamente magari, avevano sentito parlare. Non credo sia mai troppo presto per riflettere su questi temi. In ogni caso, la nostra équipe da anni cerca di affrontare le situazioni problematiche, non sempre e non solo presentandole sotto l’aspetto negativo, ma anche cercando di promuovere delle riflessioni e delle attività alternative che sottolineano la possibilità di vivere positivamente un’esperienza. Ed è stata questa la proposta al gruppo di lavoro del Progetto, oltre a considerare il fatto che il tema della prostituzione rientra in un discorso più generale di violenza che nasce dall’incomprensione e dal non tenere in considerazione l’altro. La nostra scuola poi è 226


collocata in prossimità di via Adua, una zona a forte immigrazione. Poi è venuto spontaneo il cercare di allargare la tematica della violenza agli aspetti che possono riguardare la mancanza di rispetto di se stessi e dell’altro, sia che si tratti di donna, handicappato o straniero, il più debole quindi. Si è cercato, anno per anno, di affrontare il tema più generalizzato, perché lo sentivamo anche più vicino all’esperienza dei nostri studenti. C’è stato perciò fra voi un incontro di esigenze e intenti Abbiamo lavorato insieme. Rosa Galeazzi e il dottor Iemmi sono sempre stati molto disponibili ad accogliere anche i nostri stimoli. Il laboratorio teatrale è nato proprio da una nostra sollecitazione. Pensavamo che i laboratori potessero essere un momento positivo di incontro fra i ragazzi per farli socializzare fra di loro, un modo per promuovere il benessere. A scuola abbiamo attività di giochi di ruolo, teatrali, la Bus band. Lo stile è perciò quello di presentare la problematica non sempre in negativo, ma quella di promuovere situazioni in cui i ragazzi abbiano modo di stare insieme, di affrontare le varie questioni della vita, facendo però esperienze positive. Cosa ricorda dell’esperienza teatrale, del suo impatto sugli studenti? La ricordo come un’esperienza molto bella; probabilmente di nicchia perché ha coinvolto poche persone, poiché c’è una difficoltà oggettiva a trovare il tempo per determinate attività. Gli studenti del laboratorio teatrale Le mie labbra mai, coordinato dalla regia di Bruna Fogola, si ritrovavano nel pomeriggio, ma avevano necessità di fare prima un’analisi e un approfondimento dei testi al mattino. È stata un’attività che ha coinvolto poche persone e che poi è stata presentata a tutta la scuola, e non solo, con un grosso impatto. Credo che la ricaduta sia stata buona, tenendo conto delle difficoltà di tempo che noi abbiamo. Il prodotto teatrale era di ottimo livello per ragazzi che iniziavano a recitare in quel momento. Loro sono stati molto contenti. Sono stati coinvolti nel profondo. È stato un lavoro che è andato nella direzione a cui noi aspiriamo: non solo portare a galla un sentimento, ma elaborarlo anche. Gli spettatori sono stati poi molto coinvolti e nessuno se ne è andato a casa senza un minimo di emozione. 227


Professor Zambelli, la riforma Gelmini vi permetterà di continuare a muovervi ancora con questi propositi? In una scuola come la nostra la riforma ha prodotto un cambiamento molto grande, perché è stata modificata nella sua struttura di scuola sperimentale. Eravamo una scuola con un biennio unico e ora abbiamo quattro indirizzi diversi. La struttura precedente era quella che aiutava di più, ma, dal mio punto di vista, credo che nei nuovi ordinamenti quel modo di lavorare non si sia perso, si è evoluto, ma non perso. In prospettiva questo significa che ci sarà ancora la possibilità di continuare questo tipo di esperienza. Avrete più difficoltà oggettive? Zambelli – Dobbiamo riposizionarci parecchio. Ci sarà più rigidità. Il biennio e il triennio erano percorsi che ci eravamo costruiti sulla nostra pelle e sui nostri obiettivi. L’utilizzo dei laboratori sarà più difficoltoso, anche e soprattutto perché verranno a meno le risorse umane. Stiamo cercando di adattarci. Mancin – Quella che diceva il preside è proprio la modalità in cui noi crediamo. L’obiettivo finale è di formare delle belle persone e non solo degli studenti. Persone che riescano a coniugare le competenze didattiche con la loro consapevolezza civile e sociale. Consapevoli dei gesti che si fanno, sia per argomenti di attualità, che di svago, sia durante la partecipazione a una gara sportiva o altra manifestazione. Consapevoli che le scelte che fanno siano scelte agite e non subite in qualche modo. Anche le esperienze piccole, però, per osmosi, creano degli stili. Per osmosi si diffondono, perché anche all’interno della classe uno studente che ha partecipato a quell’iniziativa, l’ha poi comunicata all’intera classe e il modello è molto più efficace e significativo di tante parole. Secondo la vostra pluriennale esperienza, di che cosa hanno principalmente bisogno oggi la ragazza, il ragazzo? Cosa caratterizza questa giovane generazione? Zambelli – Certe cose sono uguali adesso a come sono sempre state: l’adolescenza è l’adolescenza, le insicurezze sono le insicurezze, le difficoltà a riconoscere se stessi, e di conseguenza il rapporto con gli altri, sono sempre quelle. Però abbiamo dal 228


punto di vista sociale, direi quasi dal punto di vista antropologico, delle mutazioni molto grandi. Citiamo la più evidente, che è quella dei cosiddetti ‘nativi digitali’. I nostri ragazzini di prima e seconda sono molto più ‘digitali’ di quelli di quarta o quinta. Si vede proprio un salto. Il che comporta delle competenze e delle abilità che la scuola dovrebbe riuscire a coltivare, indirizzandole a una crescita complessiva della persona. Questa prerogativa così marcata, crea scompensi in altri aspetti della personalità del giovane? Zambelli – Certo. I ‘nativi digitali’ riescono a operare contemporaneamente su più cose; noi invece abbiamo sempre pensato che quello che occorre fare è concentrarsi su un obiettivo specifico per volta e poi organizzare il resto in una sequenza lineare. Noi perciò chiediamo loro competenze che non hanno imparato ad agire. Siamo comunque convinti che sia importante proporre l’approfondimento dei temi. Tutto il dibattito sulla superficie e la profondità nasce da problemi reali. Occorrerebbe una scuola capace di essere

Incontro in classe con studenti del Pascal

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libera di affrontare queste questioni e non sempre più ingessata in meccanismi e sempre più povera come si sta delineando. Mancin – Credo che i ragazzi, ora più che una volta, abbiano bisogno di essere accolti come persone. Richiedono anche dalla scuola un’attenzione individuale; se non li agganci sul piano personale, è molto difficile riuscire a stimolarli. La motivazione è cambiata nella nostra società: non c’è più quella di studiare per arrivare ad avere un pezzo di carta per poi poterlo spendere nel mondo del lavoro e per guadagnare anche un ruolo sociale importante. Non è più così, non si sa più a cosa servirà il titolo di studio. Quindi loro sono disorientati. A scuola hanno bisogno di essere accolti e di sentire che è un luogo che li considera come persone individualmente. Allora, forse, si rendono disponibili a mettersi in gioco. Come docenti riuscite ad accompagnare questi cambiamenti? Mancin – Le difficoltà ci sono e quotidiane. Si tratta di essere abbastanza tempestivi nel leggere i cambiamenti e abbastanza capaci nell’affrontarli. Non è semplice. La mia impressione è che il personale docente abbia la qualità della flessibilità. C’è la rigidità dell’istituzione, ma nei docenti credo ci sia una certa elasticità, magari non dappertutto e magari non tutti la coniugano nello stesso modo. Zambelli – Credo che, di fronte ai mutamenti, c’è la reazione di ancorarsi alle sicurezze, perché sono quelle con cui ti sei formato come insegnante, perché sono quelle che hai visto negli anni funzionare e che hanno formato ragazzi che adesso sono adulti e per i quali la scuola è stata utile. Non sto quindi parlando del conservatorismo gretto, ma ora questo atteggiamento deve assolutamente coniugarsi con la capacità di potere abbandonare porti sicuri. Questo atteggiamento rimane a discrezione degli insegnanti o essi sono messi in condizione di agire eventualmente in modo diverso? Zambelli – Il soggetto è il docente. La validità della scuola è quando c’è in aula un docente con gli studenti, il resto è contorno. Però è evidente che se tu hai una struttura che ti accompagna, 230


una modalità di lavoro che ti permette di confrontarti con i colleghi di continuo, questa modalità aiuta. Mancin – La particolarità di questa scuola è proprio questa. L’Istituzione non ci obbliga a scegliere una o l’altra strada e quindi potremmo essere delle monadi che vanno in direzioni diverse, perché nessuno ci obbliga a fare diversamente. In questo istituto c’è sempre stata una forte consapevolezza dell’utilità del lavoro in gruppo. Questo garantisce che ci sia una buona condivisione di modalità, di percorsi e una certa garanzia di uniformità del tipo di proposta che si fa agli studenti. Certo che l’organizzazione scolastica attuale è andata nella direzione opposta, per cui non so fino a che punto riusciremo a mantenere la nostra peculiarità. Credete che sarà ancora possibile continuare con l’apporto di proposte educative che vengono dall’esterno della scuola? Zambelli – Il punto è se la scuola vuole mantenere, anzi in questo momento vorrebbe accrescere, il suo ruolo – usando un brutto termine – di ‘ascensore sociale’; ovvero una scuola democratica che offre a tutti la possibilità e gli strumenti per dare il meglio di sè. Se la scuola è e deve essere ciò, non può chiudersi nel suo mondo. Si dice che se un uomo italiano dell’Ottocento venisse in questo momento a fare un giro nel Terzo millennio, l’unico posto che riconoscerebbe immediatamente sarebbe una scuola. Certo, una qualche alterità, un suo modo di essere diversa, la scuola dovrebbe averla; non possiamo fare nostre le regole della società. Noi dobbiamo saper far fruttare ai ragazzi le competenze che hanno, ma non dobbiamo fare lezione con Facebook. Ovviamente non dobbiamo criminalizzarlo, ma farlo nostro nel senso di capire che è uno strumento di comunicazione che ha una sua utilità, ma non fare Facebook nella scuola. Un ragazzo deve sapere che a scuola valgono certi valori, certi comportamenti, un certo tipo di rapporto con gli adulti, di condivisione. È un luogo dove sentirsi importanti per quello che si è, per quello che si è capaci di fare e soprattutto di dare. Io dico sempre ai ragazzi: “la scuola è l’ultimo posto della vostra vita, a parte la famiglia, in cui siete giudicati per quello che siete e non per quello che fate, per quello che sapete mettere in gioco. Quello che vi diamo è un percorso, finita la scuola quello che conta è quello che fate, quello che producete”. Se crediamo in una scuola di questo genere, e non riesco a ve231



dere altri modelli possibili, è indispensabile che ci sia una osmosi profonda con il mondo esterno. Mancin – Vorrei aggiungere che è necessario fare insieme alle istituzioni esterne una programmazione congiunta. Ci dobbiamo incontrare come modalità, ma anche nei contenuti. Zambelli – Dal mio punto di osservazione, ho quotidianamente richieste di interventi nella scuola. Vanno dal più illusorio, a proposte molto serie come il Progetto e in mezzo ci sta tutto. Io faccio una prima selezione, poi passo il tutto agli insegnanti. Mancin – C’è un gruppo di lavoro che valuta poi l’opportunità o meno di calare quella proposta nelle classi. Anche la giornata dell’8 marzo con i suoi spettacoli al Palahokey è legata al Progetto e il Pascal è sempre stato coinvolto. Mancin – Un progetto che è stato modificato nel tempo. Inizialmente era una proposta musicale che veniva costruita dall’esterno e presentata alla scuola. Negli ultimi anni abbiamo invece cercato di coinvolgere la scuola e molto di più i ragazzi e le ragazze. Per cui partecipano molte band studentesche e i gruppi di coro dei laboratori musicali che ci sono nella scuola. Alcune classi che fanno il percorso con il dottor Iemmi del Progetto elaborano dei testi o altro. Quindi diventa un costruire un po’ insieme quella mattinata, il cui significato è sempre nell’ottica di farla diventare propria, quindi di non viverla passivamente e di non lasciarsi passare l’esperienza come un modo di ‘perdere lezioni’, ma di partecipare. E per i ragazzi diventa anche più divertente. Zambelli – Alcuni anni fa gli organizzatori del Progetto venivano, ci portavano il programma, si faceva una circolare per le classi e si comunicava che si sarebbe andati all’evento e tutto finiva lì. Ora quando gli organizzatori vengono con la proposta, parliamo innanzitutto con i rappresentanti degli studenti in modo da costruire insieme il percorso. È un progetto che, per quanto limitato nel suo svolgersi, va a incidere nel cammino complessivo della scuola.

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violenze in classe [L’esperienza degli studenti del liceo Gaetano Chierici]

Un giorno del dicembre 2009, Rosa Galeazzi riceve sul suo cellulare la richiesta di intervento per l’équipe del Progetto al liceo Gaetano Chierici di Reggio Emilia. A chiamare erano direttamente i ragazzi rappresentanti del Consiglio d’Istituto. Avevano urgenza di affrontare una situazione di prevaricazione e violenza nelle prime classi. L’sos era arrivato a questi rappresentanti direttamente dalle classi in cui avvenivano i fenomeni di ‘bullismo’. Lo raccontano qui gli stessi studenti: Michele Arcangelo Tedesco, ora in IV B, sezione metalli, rappresentante nel Consiglio d’istituto e membro della Consulta studentesca provinciale sia negli anni 2009-2010, che 2010-2011; Emanuele Marchi, ora in V D, sezione arredamento e Martina Marchi sempre in V D, entrambi rappresentanti nel Consiglio d’istituto nell’anno scolastico 2009-2010. Perché avete chiamato Rosa Galeazzi nel dicembre del 2009 e poi successivamente a marzo nel vostro programma del monte ore? Emanuele – C’erano state violenze fisiche nelle prime e seconde classi, soprattutto verso ragazzi con problemi di salute. Queste problematiche ci preoccupavano molto. Ne avevamo parlato anche in sede di Consiglio d’istituto con la preside. Abbiamo chiamato Rosa Galeazzi e la sua équipe perché ci era stato detto che erano sensibili alla questione e comunque il tema faceva parte del loro Progetto. Poi avevamo constatato che sia Rosa che il dottor Roberto Iemmi sapevano dialogare con i ragazzi. Martina – Risultavano molto coinvolgenti, sia loro che le due giovani psicologhe. Abbiamo fatto prima due ore come assemblea d’istituto e successivamente tre giorni di monte ore. In quest’ultimo contesto hanno sviluppato anche le altre valenze del loro Progetto sui temi della sessualità, della violenza e della prostituzione. Michele – Avevo sentito direttamente il dottor Iemmi parlare in consulta del Progetto quindi, quando abbiamo avuto questa neces235


sità per il monte ore di trovare un gruppo che potesse rispondere alle nostre esigenze e problemi, abbiamo pensato di chiamarli. Avevamo in realtà un ventaglio di proposte da parte di molti, ma quello sull’Educare ai sentimenti con le sue varie declinazioni era il più completo e il più rispondente alle nostre esigenze. Cosa è successo poi, le cose si sono modificate nelle classi con problemi di violenza? Emanuele – Durante l’assemblea d’Istituto siamo rimasti stupiti del buon livello d’attenzione che gli studenti prestavano. I relatori avevano affermato che l’aggressività è presente nella natura umana, ma che deve essere espressa attraverso modalità costruttive e che il ‘bullo’, nonostante esibisca atteggiamenti dominanti nei confronti delle vittime, in realtà nasconde grandi fragilità. Si è poi arrivati alla conclusione che la considerazione dell’altro come individuo degno di rispetto, debba essere promossa sia a scuola che fuori. Alla fine siamo riusciti ad aprire il dialogo con le classi coinvolte nella problematica. Non è stata infatti la vittima in prima persona a chiamarci. Con questa conversazione e poi grazie all’aiuto dei compagni, la violenza è stata arginata. Anche la preside è rimasta molto soddisfatta perché il problema non si è più ripresentato. Secondo voi, cosa è stato determinante per la buona risoluzione del problema? Emanuele – Il modo in cui l’équipe del Progetto ha saputo entrare in relazione con questi ragazzi. Quando c’è una cattedra tra la persona adulta e il ragazzo, ci può essere un ostacolo. Lì invece si percepiva che la persona adulta si metteva nei loro panni e usava un linguaggio di facile comprensione. Martina – Qualcuno si è forse sentito più ascoltato o preso in considerazione. Dell’assemblea generale ricordo quanto è stato utile che ci fossero anche le giovani psicologhe a dare una mano. Abbiamo cercato di fare vedere come il comportamento di alcuni studenti fosse deprecabile anche nei confronti dei professori, abbiamo cercato di fare capire che gli insegnanti non sono nemici, che ci si può aiutare venendosi incontro. Nell’assemblea era venuta anche la preside a fare un breve intervento.

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Michele – A me è piaciuto molto che non fosse solo un modo di comunicare passivo, ma interattivo. C’era il gioco delle parole per associazione, c’era attenzione e anche partecipazione attiva. Poi avete ritenuto che, al di là del problema specifico, servisse anche qualche incontro approfondito sulle tematiche del Progetto da sviluppare nel vostro monte ore? Michele – Purtroppo vediamo tutti i giorni, e lo sentiamo anche sulla nostra pelle, come sia necessario parlare di educazione ai sentimenti. Un esempio, la discriminazione che accade anche tra i nostri coetanei. Spesso viene sottovalutata da chi non ha questo tipo di esperienza. Parlo di discriminazione a vari livelli, sia per la nazionalità, che è assurda, poi quella economica e sociale. Tipo ‘io ho vestiti firmati e tu no’ a volte capita. Ho partecipato anche al gruppo in cui si parlava di prostituzione che ha aperto il mio modo di vedere il fenomeno. Prima pensavo che non mi riguardasse e poi non avevo mai pensato alle implicazioni del rispetto per la persona. Emanuele – Durante quel gruppo è emerso che la convivenza pacifica con gli altri deriva anche dal rispetto per se stessi e del proprio corpo. Per questo abbiamo scelto loro: tanti i problemi affrontati che alla fine portano comunque sempre alla qualità della convivenza con se stessi e al rapporto con gli altri. Quanto è diversa la vostra generazione da quella dei vostri genitori? Martina – Rispetto al tempo in cui i nostri genitori erano piccoli, le cose non stanno migliorando secondo me. Ci sono molti gruppi che prevedono modi di comportamento spesso autodistruttivi, sia fra i ragazzi che le ragazze. I progetti come Educare ai sentimenti possono aiutare i giovani a capire che è giusto volersi bene. Un tempo magari si doveva lavorare anche da giovanissimi. Ora credo ci sia una mancanza di responsabilità nei giovani che porta a disperdersi, a lasciarsi andare, a non lavorare, a non andare a scuola, a non fare e a non impegnarsi in niente perché magari non c’è la necessità in casa. Questo può aprire la strada anche ad atteggiamenti non costruttivi. Tipo la ragazza che non

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mangia, quella che va in discoteca e si concede troppo facilmente a ragazzi, ai problemi di droga, ad atteggiamenti di bullismo. Michele – Questi fenomeni sono abbastanza diffusi, soprattutto questo senso di mancanza di rispetto per sé e per gli altri. Secondo voi, da dove nasce questo disagio? Martina – Dalle famiglie. C’è un’alta percentuale di genitori separati. Vedo le differenze fra la mia generazione e quella dei miei genitori e dei miei nonni. Ci sono più separazioni, c’è la crisi economica e poi non saprei. Michele – A mio parere non è proprio la separazione in sé il problema. Ma è quello della separazione responsabile. Anche i miei genitori sono separati. Io vedo che molti ragazzi di genitori separati sono lasciati a se stessi. Nel mio caso o in quello di miei amici, i genitori sono rimasti quello che sono, hanno messo in conto la necessità di educare il figlio e, seppur lavorando, sono riusciti tranquillamente a seguirlo. Martina – È il modo in cui avviene la separazione. Anch’io sono figlia di divorziati, ma sono cresciuta bene. Si hanno comunque sofferenze, anche con genitori bravissimi. Il tutto si manifesta comunque nell’adolescenza. Poi anche l’accesso facile a internet, non dico che non sia utile, ma a volte porta a commettere facilmente degli errori. Michele – Comunque i media fanno una buona parte del lavoro. Spesso in tv vediamo questo modello di donna che, se non riesce ad ottenere qualcosa, usa dei metodi più seduttivi. È un messaggio chiaro e nel subconscio capiamo che è così che funziona per ottenere qualcosa in modo facile. Ciò a cui mi sento più sensibile comunque è la discriminazione e il razzismo. Non perché sia stato personalmente toccato, ma ho avuto amici stranieri e la mia ragazza è moldava. Spesso anche solo la battuta per scherzo che qualcuno può dire ‘ti rimando a casa’, è in realtà crudele. Così si può ferire, magari senza volerlo o volendolo. Sento che questo clima è molto presente. Sul perché, credo siano tante le cause, fra cui il sentirsi invasi da nuove culture e l’esistenza di partiti xenofobi; in ogni caso è il mondo degli adulti che ci trasmette questo sentire.

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il bullo in noi [Educare ai sentimenti nel report di Nicolò Filodelfo, istituto Antonio Zanelli]

Il fenomeno del bullismo ha avuto di recente un’espansione impensata e preoccupante, sino a riempire quotidianamente le cronache giudiziarie e le prime pagine dei giornali. Per potere ridurre il fenomeno a piccoli e rari casi, è necessario risolvere e porre il problema ai diretti interessati, gli studenti. Durante il 2008 è stato accolto dal nostro Istituto il progetto Educare ai sentimenti. Questa iniziativa, nuova per la nostra scuola, è stata proposta da un gruppo di lavoro formato dai volontari dal centro sociale Pigal e dall’allora Settima Circoscrizione, sostenuta inoltre dall’associazione Rabbuny e dai Comuni di Reggio e Montecchio. Questo progetto affronta, oltre al tema del bullismo, anche altri argomenti di altrettanta importanza come la prostituzione, l’alcolismo e le droghe, ovvero i vari problemi che emergono dall’odierna società. Grazie a questo gruppo di lavoro, è stato quindi possibile effettuare alcune lezioni sul tema del bullismo nelle classi 1 C e 1 G, dove sono intervenute due psicologhe, Barbara Corradini e Linda Battilani. Inizialmente, durante le lezioni, si è cercato di dare una definizione di ‘bullo’, poi sono stati svolti giochi didattici sul tema. Si è cercato prima di fare uscire la rabbia degli studenti attraverso provocazioni, poi si è tentato di tramutarle in risposte educate e gentili. Lo scopo di questi giochi era quello di individuare dentro di sé la propria parte di bullo e arroganza per poi cercare di trasformarla, sostituendola con la comprensione e la gentilezza. Il Progetto ha avuto un ottimo riscontro tra gli studenti.

Il Progetto presentato agli studenti dello Zanelli

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PAROLE E MUSICA: alcuni protagonisti dei concerti dell’8 marzo Il palahockey Fanticini a Reggio Emilia fa puntualmente il pieno di studenti nella giornata internazionale della donna l’8 marzo. Succede regolarmente ogni anno, a partire dal 2002. L’occasione è creata dagli organizzatori del Progetto che vogliono offrire ai ragazzi occasioni d’intrattenimento, ma anche di riflessione con la musica. La musica di gruppi affermati, ma anche attraverso le performance degli stessi studenti. Perché l’8 marzo è un giorno speciale da dedicare al rispetto reciproco, per andare oltre a temi come la violenza, la prostituzione, l’intolleranza. E il linguaggio universale della musica può parlare a tutti i cuori e le menti. Nel capitolo, i contributi di Massimo Ghiacci, dei Modena City Ramblers, e dei musicisti Andrea Papini, Robby Pellati e Tiziano Bellelli, alcuni protagonisti fra i molti che, negli anni, hanno partecipato all’evento dell’8 marzo. Ricordiamo tra essi: Hengel Gualdi, Beppe Carletti e Danilo Sacco dei Nomadi, i Popinga, Fiamma Fumana, Little Taver, Marika Benatti, Luca Anceschi, Mel Previte, Break Floyd. Anche il presidente del consiglio provinciale degli studenti, nell’anno 2009-2010, Alessandro Miglioli commenta le iniziative legate all’8 marzo. Massimo Ghiacci – I Modena City Ramblers nascono nel 1991 come gruppo di folk irlandese. Dopo vari prodotti discografici, cresce il consenso intorno al gruppo come live-band. Saltano, suonano forte, si divertono e 241


fanno divertire; riempiono i locali e le piazze di tutta Italia e attirano più pubblico di molti artisti blasonati. Ad oggi hanno al loro attivo numerose registrazioni discografiche e centinaia e centinaia di concerti. Hanno partecipato alla manifestazione dell’8 marzo al palahockey Fanticini nel 2009. Andrea Papini, non vedente, inizia la sua professione come pianista teatrale. Vince una borsa di studio per la Guidhall school of music di Londra. Ha avuto diverse collaborazioni con importanti musicisti italiani, con il pianista americano Barry Harris e internazionale come Steve Lacy. Attualmente sta approfondendo la tecnica pianistica con il concertista Marcello Mazzoni. Apprezzato jazzista, è anche insegnante di piano jazz nella scuola musicale Giacomo Moro di Viadana. Ha partecipato all’edizione dell’8 marzo al Palahockey nel 2008 con gli Halftones. Robby Pellati suona la batteria da quando aveva sette anni. Allora si esercitava in cantina. Poi, da quando è stato chiamato da Luciano Ligabue a far parte del suo gruppo, ha suonato anche a San Siro e al Pavarotti and friends. Ha partecipato alla giornata dell’8 marzo al Palahockey di Reggio Emilia, nel 2006. Tiziano Bellelli suona la chitarra, il sax e canta da vari decenni. Negli anni Ottanta ha contribuito a fondare la scuola musicale Cepam in cui tuttora insegna. Svolge altresì una costante attività concertistica. Ha collaborato con Ro Marcenaro nella composizione di colonne sonore per cartoni animati e spot pubblicitari. Conduce anche laboratori musicali con anziani e portatori di handicap. Ha partecipato più volte alla manifestazione dell’8 marzo, fin dal primo appuntamento nel 1999, quando ancora il progetto non si chiamava Educare ai sentimenti contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza.

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la musica unisce e sa ascoltare di Massimo Ghiacci dei Modena City Ramblers

Nel marzo 2009 siamo stati ospiti del concerto organizzato al Palahockey di Reggio Emilia, nell’ambito del Progetto che ha coinvolto gli studenti di vari istituti superiori della città. La nostra adesione alla manifestazione è stata convinta ed entusiasta poiché da sempre nel nostro percorso artistico questi temi sono ricorrenti. Crediamo infatti che la musica, come occasione di condivisione culturale più che mero intrattenimento, abbia un ruolo importante nel veicolare certi messaggi. Soprattutto per i più giovani, quali appunto gli adolescenti, che sono intervenuti nell’occasione. In un mondo complesso e pieno di contraddizioni come quello in cui viviamo, è più che mai necessario lavorare per costruire una società aperta, tollerante, in cui la violenza e la cultura della sopraffazione siano chiari disvalori e per la quale concetti come il rispetto, il riconoscimento reciproco, la tutela del più debole diventino la pratica quotidiana. Nel nostro percorso di musicisti rivendichiamo questo ruolo. La musica ha la capacità di unire, di superare qualsiasi barriera e parlare direttamente al cuore di chi sa e può ascoltare. Ringraziamo tutti coloro che hanno organizzato la giornata e, più in generale, si sono spesi per l’intero progetto. Per noi è stata un’opportunità poter portare le nostre canzoni a confrontarsi, più che semplicemente essere eseguite, in un contesto altamente educativo, che, ne siamo sicuri, ci ha regalato nuova consapevolezza di quanto sia importante proseguire su questa strada d’impegno culturale.

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I Modena City Ramblers al palahockey Fanticini nel marzo 2009


la passione è il motore, la disciplina è il mezzo di Andrea Papini

È certamente bene che la scuola collabori anche con forze esterne, che ci siano questi incontri per discutere di tematiche su problemi esistenti e d’interesse dei giovani. Perché oggi i ragazzi entrano velocemente nel mondo degli adulti, ma lo fanno spesso in solitudine. C’è bisogno perciò di molta informazione, ma soprattutto di scambi sociali. I contatti tecnologici non contano, lì i ragazzi sono soli davanti a un video. Con questo non intendo dire che non si debba usare la tecnologia che fa parte della nostra realtà, ma semplicemente che occorre non abusarne e non perdere ciò che abbiamo acquisito quando non era così presente nelle nostre vite. A scuola poi io farei ascoltare musica, di tutti i generi e di tutte le culture del mondo. I ragazzi conoscono purtroppo solo quello che i media propongono o autori italiani o particolari generi o stili, ma la musica è tutta interessante. La musica è un linguaggio universale ed è di importanza fondamentale. Può insegnarci molto e può aiutare i giovani a crescere. Ogni canzone ha una sua struttura, una sua sequenza di accordi; c’è un ritmo, ci sono delle regole. L’improvvisazione si fa su qualcosa che esiste già, non è anarchica come molti pensano, non vuole dire libertà totale e caos. Suonare con gli altri significa ascoltare prima di tutto, per potere poi creare e comunicare. Con la musica bisogna osservare delle regole universali. Anche in un’orchestra c’è disciplina, ciascuno ha il suo ruolo. Disciplina significa conoscere e avere gli ingredienti per costruire. La musica può insegnarci questo. L’eccellenza bisogna conquistarsela. Ma la mentalità odierna è che le cose te le puoi comprare con il denaro e così puoi fare quello che ti pare. Occorrono invece dedizione, amore e lavoro. Occorre disciplina personale, rigore. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi maestri che mi hanno insegnato come, in questa materia, non si possa mai mettere la parola fine. 245


Ed è la passione che ci può dare la migliore motivazione. È veramente una fortuna trovare il proprio interesse e la propria passione. È fondamentale per tutti gli esseri umani, soprattutto per i giovanissimi. Le passioni danno forza e motivazione, anche se non sempre è possibile trasformarle nel nostro lavoro quotidiano.

Andrea Papini alla tastiera al palahockey Fanticini nel marzo 2008

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le droghe non danno la carica di Robby Pellati

Suono sempre volentieri per i giovanissimi. Sembra facile esibirsi davanti a loro, ma non lo è, perché hanno già una loro formazione musicale. Gli adulti tendono a dire che non capiscono niente, ma non è vero. Ricordo che, dopo aver suonato al palahockey Fanticini, sono arrivati dei ragazzini nei camerini molto interessati a fare domande pertinenti sulla musica. Ho un sogno, quello di andare un giorno in un palasport immenso pieno di ragazzi e di potere parlare loro. Ecco cosa direi: “Care ragazze e ragazzi, conoscete il lavoro che faccio, sapete i palchi che ho calcato, non ho mai avuto bisogno di strafarmi di vino, non ho mai avuto bisogno di tirare di cocaina. Se tu fai una cosa del genere per andare sul palco, vuol dire che è giunto il tempo di cambiare mestiere. Sono momenti così belli quelli degli spettacoli che te li devi poter ricordare e se sei strafatto di qualcosa, cosa ti può rimanere? Io voglio serbare memoria di tutti i momenti belli. E poi toglietevi dalla testa che quella roba lì vi dia della carica, non è vero”. Ripeterei anche quello che ho sempre detto a molti ragazzi che, per giustificare l’uso di sostanze, sostengono di aver dei problemi. Tutti abbiamo o abbiamo avuto dei problemi. Io a 26 anni, dopo un anno e mezzo di ospedale, ho perso un fratello di 40 anni. Anch’io avrei voluto sfondarmi di vino e farmi di cocaina per anestetizzarmi, ma avrei solo aumentato il carico di problemi a casa. Vorrei anche dire a chi si ‘fa’: “Siete senza palle”. Desidero anche mettere sull’avviso i giovani che amano la musica di non lasciarsi abbagliare da quello che la tv e il mondo dello spettacolo fanno vedere. Le varie trasmissioni, che io chiamo ‘usa e getta’, sono programmi che servono per fare audience, quindi raccogliere pubblicità, ma non sono utili ai cantanti o alle future star. Lì si creano solo meteore. Occorre invece perseverare nello studio, coltivare il campo dei talenti. È questione di dedizione. 247


Ecco perchè oggi ringrazio mio padre che, con tutti i suoi no, no, mi ha costretto a tirare fuori tutta la mia determinazione. Anch’io ora sono padre e avrei cose da dire ai genitori. Chi prende in mano questi giovani e insegna loro le cose? So bene che anche le mamme e i papà possono avere dei problemi, mai i figli sono i figli. Se lasciati a se stessi, i ragazzi possono accumulare rabbia e mi sembra proprio che sia così. Hanno dentro insoddisfazione, un vuoto creato dalla famiglia. E non diamo colpa alla società perché quella siamo noi. Negli ultimi 20-30 anni abbiamo mollato il freno a mano e pensiamo ci sia permesso tutto. I figli sono come piante di pomodoro: va bene dare loro acqua, cibo, vestiti e istruzione, ma se non metti il tutore in legno, quella piantina non riuscirà a crescere dritta.

Robby Pellati alla batteria, nel marzo 2006, al palahockey Fanticini

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il rispetto per la musica e per chi l’ascolta di Tiziano Bellelli

Quella mattina del 1999 al teatro Regiò, di fronte alle Officine Reggiane, suonava il mio illustre compaesano Hengel Gualdi, il più grande clarinettista che abbiamo avuto in Italia, in ambito jazzistico e non solo. Era lì per parlare, con la sua musica, della necessità di sensibilizzare le nuove generazioni di studenti sui temi della violenza meno evidente, ma più diffusa. Molte donne subiscono abusi o maltrattamenti tra le mura di casa, altre sono costrette da crudeli aguzzini a prostituirsi sotto la minaccia di ritorsioni sulle loro famiglie d’origine, con il razzismo che resta sempre sullo sfondo. Cosa c’entra il jazz di Hengel e del suo quartetto con questi temi, visto che la sua musica è solo strumentale? Non ci sono parole, solo suoni che incantano per la bellezza del timbro, per la precisione del ritmo che fluisce dalla band, per l’inventiva delle improvvisazioni e l’originalità delle armonie. È stato più facile quando abbiamo iniziato a suonare insieme ai tre Nomadi nel 2001 o al Palahockey nel 2003 con i Popinga; in quelle occasioni abbiamo cantato canzoni i cui testi contenevano parole chiare, sempre comprensibili anche se interpretabili in modi differenti, ma comunque riconducibili ai temi sociali ed etici a cui erano dedicate le iniziative. Hengel non aveva bisogno delle parole cantate. La sua maestria nel suonare il clarinetto gli permetteva di esprimere il rispetto che aveva verso le donne, attraverso la cura con cui porgeva la sua musica al pubblico. Rispettando la musica, rispettava tutti quelli che l’ascoltavano. Il messaggio non era fatto di parole altisonanti, ma dell’impegno con cui una persona riesce a realizzare qualcosa di buono, di bello, di positivo per sé e per gli altri e lo condivide con tutti. I temi della violenza, del razzismo, della prostituzione coatta e non, hanno bisogno di un’attenzione costante. E tutti coloro che, nel loro ambito, cercano di costruire qualcosa di bello e positi249


vo per tutti, stanno già compiendo un lavoro importante. A fare del male, a distruggere è sufficiente un attimo: è facile criticare, denunciare invece richiede coraggio. Per ricostruire è necessario impegno costante e tempo per fermarsi a osservare e riflettere… un piccolo elogio della lentezza.

Al centro della foto Tiziano Bellelli alla chitarra, fra Leonardo e Riccardo Sgavetti nel centro sociale Tricolore, marzo 2001

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8 MARZO: UN APPUNTAMENTO SENTITO [Alessandro Miglioli, studente dell'istituto Blaise Pascal e presidente della Consulta provinciale degli studenti nell’anno scolastico 2009-10, commenta le iniziative legate alla giornata dell’8 marzo al palahockey Fanticini]

Come presidente coordino le iniziative della Consulta provinciale degli studenti. Noi abbiamo a disposizione un budget, finanziato dal Ministero Pubblica istruzione, di circa 10.000 euro. Con questi soldi sosteniamo le attività che il Consiglio degli studenti ritiene più importanti. Il Culture day è l’evento più significativo che organizziamo durante l’anno scolastico; accade in maggio ed è il coronamento della nostra attività. Portiamo in piazza della Vittoria circa 5mila studenti, che non è uno scherzo. Nella Consulta selezioniamo vari progetti che poi possono essere presentati all’interno del Culture day. Quest’anno abbiamo realizzato anche una manifestazione per la Giornata della memoria con diverse testimonianze, fra cui quella dell’unica sopravvissuta nel ghetto di Roma. E poi c’è stato il progetto Educare ai sentimenti, collegato alla giornata dell’8 marzo al palahockey Fanticini. Già l’anno prima di diventare presidente, quando ero rappresentante d’Istituto, avevo partecipato molto attivamente alla sua realizzazione, perché ogni anno la ricorrenza si celebra, per gli studenti, al palahockey che ospita praticamente un’assemblea degli studenti del Bus Pascal. Ricordo che erano venuti i Modena City Ramblers a suonare e mi ero già dato parecchio da fare. Mi erano rimasti i contatti con Rosa Galeazzi ed è stato semplice sentirci e chiedere l’adesione al Progetto. Quindi si è iniziato a discutere in Consulta di come organizzare la giornata dell’8 marzo, festa della donna, ospite questa volta Luca Anceschi. Tutto il Bus partecipa alla manifestazione – per noi è diventata una tradizione – con delegazioni di altre scuole superiori. Per gli studenti del Bus è un’occasione di festa; ogni tanto si perde di vista quello che è il significato della celebrazione, sono sincero, e si dice che bello, invece di andare a scuola, andare a sentire il concerto. Però, per un motivo o per l’altro, rimane una cosa molto 251


sentita, sia all’interno del mio istituto che in altre scuole. Ricordo infatti che altri rappresentanti d’Istituto, che avevano partecipato, erano rimasti colpiti in maniera positiva. E comunque la risposta del pubblico c’è sempre stata, con il pala stracolmo di 1500 studenti. Il gruppo musicale di richiamo funziona sempre. Certo deve essere di gradimento dei giovani. Solitamente è Rosa Galeazzi che viene alla Consulta e ci espone la sua proposta. Per i due anni in cui ci sono stato, sono rimasto molto colpito dalla sua capacità di attrarre dei nomi abbastanza importanti. Quando parlava dei Modena City Ramblers io credevo che scherzasse. È un appuntamento importante questo dell’8 marzo e può essere usato bene. È importante anche che, insieme al nome di richiamo, le scuole portino loro spettacoli; è importante coniugare cioè il concerto del gruppo conosciuto con le performance degli studenti.

Un 8 marzo degli studenti al palahockey Fanticini

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UN PRETE DI STRADA E UN EDUCATORE

Don Andrea Gallo ama essere definito un 'prete di strada'. È infatti dalla strada che arrivano molte delle persone in difficoltà che accoglie nella Comunità di San Benedetto al Porto di Genova. La comunità, che ha fondato e che guida, si occupa di recuperare tossicodipendenti, di fare uscire dal racket le prostitute del centro storico di Genova e di tante altre marginalità. Io cammino con gli ultimi recita il titolo di uno dei tanti libri scritti da don Andrea. Il prete genovese – classe 1928, ottantatre anni spesi bene – viene attratto fin dall’adolescenza dalla spiritualità di San Giovanni Bosco e dal desiderio di vivere a tempo pieno con gli emarginati. Viene ordinato sacerdote nel 1959 e un anno dopo è cappellano alla nave-scuola della Garaventa, un noto riformatorio per minori. Lì cerca di sostituire i metodi unicamente repressivi dell’istituzione, con una pedagogia della fiducia e della libertà. Don Andrea Gallo – una vita intensa e impegnata – è un 'prete di ‘strada’, un sacerdote spesso ‘scomodo’ per la gerarchia ecclesiale, ma anche un educatore nel senso più ampio del termine, che ha fatto dell’accoglienza la sua bandiera. Il progetto Educare ai sentimenti contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza ha incrociato il lavoro della Comunità di San Benedetto al Porto quando la stessa comunità genovese ha promosso una 'lettura' teatrale sulla prostituzione, tratta dalle narrazioni di Stelle nere, racconti fra cielo e strada, la 'lettura' è andata poi in scena quattro volte in terra genovese:

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l’8 marzo 2008 all’Auditorium del Centro civico Berzanello di Genova Sampierdarena (per iniziativa dell’associazione Mafalda e il Circolo Nove marzo).

Il 9 marzo 2008, al Teatro degli zingari della Comunità San Benedetto al Porto.

Il 1° aprile 2011 al teatro Modena di Genova Sanpierdarena in un adattamento teatrale dell’associazione Araba fenice di Genova.

Quest’ultimo allestimento è stato replicato il 5 giugno 2011.

Un pensiero di don Milani citato dagli studenti del Moro


LA SCUOLA SOPRATTUTTO come LUOGO DI ACCOGLIENZA [Intervista a don Andrea Gallo, avvenuta nel settembre 2011]

Pensa sia utile portare ai giovani delle scuole medie superiori un progetto educativo legato ai sentimenti, alla sessualità e all’inclusione? La scuola da sempre dovrebbe contemplare questi temi nei suoi programmi, nei suoi progetti e nella preparazione dei suoi docenti. Dovrebbe avere cioè una funzione educante, condurre per mano – senza atteggiamenti dispotici, senza Don Andrea Gallo autoritarismo, o addirittura senza atteggiamenti punitivi – in un cammino graduale verso la crescita e la maturità. Perché la scuola accoglie i giovani che hanno ricevuto dalla grande madre natura, ovvero da Dio padre e Amore, la spiritualità e quel quoziente d’intelligenza e di creatività che consente di andare a scoprire cosa c’è nel nostro bozzolo. Quindi l’obiettivo è di crescere nel rispetto. La pedagogia dovrebbe avere perciò questo intreccio? Mi domando come la scuola da sempre affronti l’educazione sessuale, la sfera affettiva e ora come s’interroghi sull’integrazione, il rispetto delle altre culture. Direi senz’altro che la scienza dell’educazione dovrebbe avere questo intreccio. L’illustre pedagogista brasiliano Paulo Freire, recentemente scomparso, diceva che nessuno si libera da solo, nessuno libera un altro, ci si libera tutti insieme. Certo, può succedere che il maestro intervenga, ma è qui il segreto, nell’approccio della calda pedagogia umana. Allora il pensiero va al Ministero dell’Educazione e alle scelte economiche 257


di questi anni. Non sono possibili tutti questi tagli, non è possibile non investire nella scuola che è il centro dell’educazione, che è il luogo della formazione. Quindi occorre sapere che la scuola italiana, per decisione che ormai viene da molti anni addietro, ha veramente bisogno di quella bussola che è la Costituzione italiana. La scuola deve anche formare dei cittadini? La massima fondamentale è che la scuola è un luogo di accoglienza; ma ci si ricorda di dire ai ragazzi che sono importanti, che devono diventare cittadine e cittadini sovrani? Ecco perché ho accennato all’educazione sessuale, al come si accoglie un gay, una lesbica, un transessuale. Certo, occorre instaurare un rapporto e nel rapporto ci devono essere delle regole che poi vanno rispettate, ma le regole devono avere un consenso. Don Bosco diceva ai docenti: “Se vuoi farti ubbidire – com’è importante in un rapporto per andare avanti – devi prima di tutto farti amare”. La scuola deve essere cioè un grande luogo ideale dove nasce la comunicazione, il rispetto, il dialogo. Questo Progetto porta anche nelle scuola, per essere dibattuto, il tema della prostituzione, a partire da quello della tratta, che è un fenomeno più marcato nei nostri giorni La tratta prospera perché tutti siamo complici, a partire proprio dalle grandi autorità. Perché la tratta può sopravvivere, anzi fiorire, se ha complicità dall’alto. Da noi in Italia le mafie, non la mafia, le mafie, sono diffuse. E anche il concetto della prostituzione, cosa c’è, solo disprezzo? Direi che occorre approfondirlo nella direzione del rispetto della persona. Soprattutto in Italia per l’importanza della presenza della Chiesa, perché c’è l’insegnamento della Chiesa, c’è l’insegnante di religione. Senza dire poi che la Chiesa ha le sue cosiddette scuole parificate. Mai come in questo momento vediamo come le sovvenzioni alla scuola privata, soprattutto alla scuola cattolica, sono state migliorate, quanto meno non tagliate, mentre la scuola pubblica sta diventando una cenerentola. Allora la Chiesa, con il suo messaggio evangelico, deve portare questo insegnamento, questo approfondimento sul rispetto, sull’incontro con l’altro, il rispetto di tutte le culture, di tutte le

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credenze e non credenze, deve accogliere cioè l’uomo con questo suo quoziente di intelligenza, creatività e spiritualità. Questo scontro in Italia non è facile, perché queste ingerenze realmente ci sono. Allora penso a quello che è la morale, la morale sessuale che a volte può creare traumi, fenomeni di devianze anche pesanti, come può essere la pedofilia. Come definirebbe lo stato di salute della scuola italiana? Per avere un’idea, in Italia sono 12 milioni gli analfabeti e abbiamo solo 3 milioni e mezzo di laureati, mentre sembra che in Italia siano tutti dottori. Quindi mi sembra che la scuola sia un’ammalata grave, perciò non ci si deve fare delle illusioni. Comunque io, andando nelle scuole, quanti insegnanti impegnati ho trovato. Ma a volte è scoraggiante, a cominciare dalla scuola materna. Pensi io vedo a Genova che il taglio alla scuola materna è spaventoso. Iniziamo già così il cammino, per poi arrivare alle tasse universitarie, scuole che dovrebbero poi dare uno sbocco professionale, ma siamo verso il 30% della disoccupazione giovanile. Allora cosa dobbiamo dire a questi ragazzi? Nel libro di un mio amico sociologo, il professor Marco Revelli dell’Università di Torino e Alessandria, i giovani sono rappresentati scoraggiati e inattivi. Scoraggiati per la situazione che trovano, inattivi perché aumenta quella fascia di giovani che abbandonano qualunque ricerca di lavoro e poi ci sono altri che, con lauree e specializzazioni, non cercano più il lavoro e altri che non studiano proprio. Si immagini quindi la fascia di alienazione. Ecco perché le statistiche parlano dell’aumento del consumo di droghe, di stupefacenti. Sono campanelli d’allarme veramente gravissimi. Ci sono anche le statistiche dei suicidi che sono impressionanti, così come degli infortuni sul lavoro, di cui quelli mortali sono cinque al giorno. Perciò questa è la situazione: scoraggiati e inattivi, nonostante le energie della scuola. Poi c’è tutta la storia del precariato. Qui i giovani continuano a ricevere delle delusioni, fino a quando, mi chiedo. Il ministro dell’Istruzione Gelmini, questo governo ha dimostrato di disattendere questa situazione. Penso poi a quanti difetti hanno avuto i ministri precedenti, di tutti i colori. Quindi ancora una volta direi che la scuola è molto ammalata, le strutture stesse sono

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ammalate. Io mi chiedo come mai una nazione trascuri la scuola che dovrebbe costituire un appello per tutti verso l’approfondimento, con umiltà, e un confronto per uscire da questa situazione. Ora sono anche tornate le classi sovraffollate, come mai? Noi abbiamo tante risorse. Conosco una persona laureata da 15 anni che l’anno scorso aveva 7 ore settimanali d’insegnamento, tanto per dire. E poi i cosiddetti organi collegiali – pieni di difetti, ma una conquista che aveva voluto migliorare i rapporti fra scuola e famiglia, con i consigli di classe e i ragazzi e i genitori – che fine hanno fatto? Ora mi chiedo che rapporto ci sia fra la scuola e i genitori. La scuola potrebbe avere un ruolo di prevenzione verso i giovani, anche in relazione all’uso di sostanze stupefacenti? La legge Fini-Giovanardi ha escluso totalmente la scuola. Prima, con la legge 685 – che è entrata in vigore il 1° gennaio 1975, arrivando agli anni Novanta – ogni Provveditorato prevedeva, e l’aveva veramente praticato e istituito, il diritto di aggiornamento per gli insegnanti; in ogni Provveditorato c’era un responsabile per gli insegnanti e ogni scuola secondaria superiore aveva un insegnante dell’Istituto delegato ad occuparsi del tema. È stato tolto tutto. Qualche anno fa l’ho detto a Giovanardi che occorreva impegnare la scuola in questo campo. Nella proposta del Progetto per le scuole si parla anche di un fenomeno che è stato rilevato fra i giovani, ovvero quello della prostituzione mascherata; magari via internet si può vendere l’immagine del proprio corpo senza sentire che sia un atto di prostituzione, come se non fossero più chiari i valori, i confini fra la dignità, il rispetto del corpo e dell’essere Bisognerebbe tornare un attimo indietro. Noi ora subiamo le conseguenze gravissime di tutto ciò che è progressivamente aumentato, soprattutto a partire dagli anni Ottanta: siamo fiaccati dal consumismo. Praticamente è nata la società delle tre 'a', cioè apparire, avere, appropriarsi. Ai valori abbiamo sostituito delle maschere, dei disvalori. Pensiamo alla moda, è chiaro che una ragazzina per comprarsi la borsa o le scarpe griffate ha bisogno di soldi, quindi vendersi è la via più breve, una scorciatoia. Del resto basta vedere gli esempi in alto: un premier che ha la corte 260


di ragazze e ragazzine, quindi è la concezione della dignità femminile posta in causa. Accennavo all’inizio che le sfere dell’affettività e della sessualità fanno parte dell’educazione. Se non c’è un’educazione a una sessualità liberata, in cui si riconosce questo dono, questa dignità, in cui si fa emergere che in qualunque rapporto o c’è l’assenza di mercificazione o addirittura di rinuncia alla propria dignità o si arriva a queste conseguenze. Il consumismo ha fiaccato un po’ tutti. Dov’è ormai la vigilanza delle mamme? Se la mamma vede la ragazzina vestita griffata... E poi le migliaia e migliaia di concorsi di bellezza. Quando si dice che i giovani sono deviati… Un grande psicologo sociologo come Laing sosteneva che tutti guardano i giovani come si osserva in cielo una formazione di aerei, e dicono: “Ma guarda i giovani come sono devianti!”, perché vedono qualche aereo uscire dalla formazione. Bisogna tutti insieme osservare che è la formazione intera a essere fuori rotta. Ci sono speranze? Noi partiamo ogni mattina con una grande speranza, anche perché, forse sono minoranze, ma ci sono giovani, docenti, educatori, cattolici e preti che sono consapevoli e che ogni giorno si impegnano. Quindi c’è la speranza di trasmettere, di riuscire a creare un contagio con un’educazione calda, umana, di ricominciare ogni giorno, di pensare ai più fragili. Ora poi stanno scomparendo le insegnanti di sostegno, sta scomparendo quindi questa possibilità di uguaglianza, dignità, questo rapporto di riconoscersi nella famiglia umana. Occorre evidentemente richiamare la Costituzione repubblicana. Il procuratore generale antimafia Grasso ha detto che se la Costituzione italiana fosse applicata, si sconfiggerebbero tutte le mafie e ha ragione. Che i cristiani vadano ad approfondire il vero Vangelo che vuole dire buona novella, che vuol dire accoglienza, che vuol dire purificazione, che vuole anche dire poesia, riconoscere questa nostra benedizione originale che è la non violenza, la pace. La Bibbia butta lì “Vuoi essere Caino o Abele?” Questo è il popolo in cammino che è Abele, quindi l’accoglienza.

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postfazione


Speranza Violenze impunite Educazione sessuale Ingiustizie dimenticate Santa Croce Goccia nel mare Progetto ambizioso Psicopolitica Chiavi di lettura Barbarie televisive L'istituzione deve sapere ascoltare Educazione ai sentimenti Non schiavi dell'oblio e dell'ignoranza Sapere chi sono Facebook Nuove consapevolezze


Sono passati più di dieci anni da quando Rosa Galeazzi, con infaticabile determinazione, ha cercato di radicare, in un tessuto policentrico come quello del territorio di Santa Croce, un progetto educativo che abbracciava e abbraccia tematiche ampie e complesse. Materie di cui ognuno di noi fa esperienza, ma che relega in un ambito di discussione spesso solo privato o di collettiva superficialità: il tema della violenza alle donne. Nessuno si leverebbe mai a dire che un tema di questo genere non meriti adeguata importanza, ma nella realtà accade che pochi di noi abbiano potuto misurare una fervida e convinta partecipazione a iniziative che ponessero al centro della discussione politica il medesimo tema e le diversissime sfaccettature che esso abbraccia: la prostituzione, la tratta, l’educazione alla sessualità. La Circoscrizione 7 – oggi Nordest – ha cercato, non senza dibattere molto al suo interno, di capire quale sostegno economico e partecipativo dare a questo progetto che si presentava ambizioso. Ci siamo sforzati di comprendere il come e il cosa fare. Abbiamo percorso un cammino di riflessione che ci ha accompagnato anno per anno e che abbiamo valutato e implementato a seconda delle esigenze che abbiamo trovato mutate. In questi 10 anni abbiamo così seguito passo passo gli avanzamenti del Progetto, la crescente domanda degli istituti scolatici superiori di potervi aderire, lo scambio di esperienze con diverse realtà e contesti, la produzione, con linguaggi diversi, di elaborati narrativi. Appare del tutto evidente come si possa, partendo dal basso, mettere in moto percorsi di educazione, di riflessione e di sollecitazione sui temi della nostra complessa convivenza che possiamo chiamare civile solo quando si affranca da ciò che la rende spesso una cartina di tornasole dell’aggressività dell’essere umano.

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A distanza di tempo, il lavoro tracciato ci appare sì una goccia nel mare, ma testimonia come sia necessario un approccio costante e mai rassegnato alle tematiche che hanno attinenza all’educazione ai sentimenti. Ci pare azione responsabile e doverosa immettere nel mare quella goccia e far sì che tante altre ne arrivino sperando alla fine di far 'venire a piovere'. Le nostre ragazze e i nostri ragazzi ci chiedono di avere informazioni, di conoscere esperienze, di possedere chiavi di lettura adeguate ai problemi che incontrano o con cui si scontrano. Vogliono sapere chi sono, vogliono conoscere la vita, e non solo attraverso facebook, ma anche vivendo le loro emozioni che hanno bisogno di attraversare e successivamente comprendere e riorganizzare in pensieri dai fili lunghi e generativi di nuove consapevolezze. Il bello dello scoprirsi, del confrontarsi nelle paure e anche negli stigmi, anima dibattiti, come abbiamo potuto leggere nel testo, cui dobbiamo dedicare il giusto tempo. Tempo che deve essere previsto nel periodo scolastico, laddove i ragazzi si ritrovano in un ambiente sicuro e collettivo. Un tempo e un luogo che dovrebbero favorire gli apprendimenti per la vita e che dovrebbero essere pensati e organizzati per rispondere al meglio a questa esigenza. Ma che troppo spesso non lo sono. L’assenza dell’educazione sessuale fra le materie insegnate a scuola è una lacuna tutta tricolore: in Svezia fu introdotta nel 1956, in Germania esiste fin dal 1970, in Francia dal ’73 e in Gran Bretagna è obbligatoria dai 15 anni in su. Ma anche Spagna e Portogallo, nazioni più simili alla nostra per formazione culturale e religiosa, l’educazione sessuale a scuola l’hanno inserita, rispettivamente, nel 1985 e nel 1990. Vero è che le recentissime indicazioni nazionali introducono l’educazione all’affettività nella sfera dell’educazione alla convivenza civile. È ancora tuttavia debole e residuale l’importanza che viene riservata a questa materia, nonostante sia consapevolezza di tutti, famiglie, genitori e alunni, di quanto un programma educativo – che parte dalla conoscenza e dall’accettazione di sé, per giungere all’idea di identità sociale e sessuale – sia un indispensabile tassello per la costruzione della società.

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A tale proposito, abbiamo affiancato alla progettualità qui descritta e documentata, un lavoro che, già a partire dalla scuola media, propone spazi di riflessione per i ragazzi e le ragazze delle classi terze. Si tratta del progetto EduchiAMO che da due anni sviluppiamo con la Cooperativa Arcobaleno in 23 classi della città. Si tratta di un investimento di cui andiamo orgogliosi per i ritorni che ci vengono dalla scuola e dalle famiglie, oltre che dai ragazzi. Consapevoli che il tempo della barbarie televisiva e della psicopolitica ci vorrebbe schiavi dell’oblio e dell’ignoranza, siamo qui oggi a raccontare un’esperienza che ha coinvolto persone in carne e ossa, siamo qui a testimoniare che l’impegno delle istituzioni deve esserci sempre e che deve sapere cogliere l’esigenze di chi ha meno strumenti per farcela da solo. L’istituzione deve anche saper ascoltare quel grido di dolore che sale da chi non può più reggere ingiustizie dimenticate, superficialità agite, violenze impunite. Roberta Pavarini Presidente Circoscrizione Nordest

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appendici


Patrocini

nere

Contributi

Sostegni

Stelle Studenti Il

Partecipazione

Docenti Tecnici Sponsor Artisti Teatro Concerti Performance Laboratori Labbra Certe altre notti Musica e solidarietĂ Generazioni Studenti 8 marzo Volontari corpo delle donne Scuole Impegni


a. un viaggio insieme

Il cammino più che decennale del Progetto ha visto coinvolti, via via, diversi docenti, collaboratori, artisti, tecnici, studenti, Istituti scolastici; ha avuto il patrocinio e sostegno da enti locali; collaborazioni e sostegno da Circoscrizioni, associazioni, aziende private e cooperative, cittadini. In queste pagine i promotori del Progetto vogliono ringraziare tutti loro che hanno reso possibile questa arricchente esperienza nelle scuole secondarie di secondo grado a Reggio Emilia e provincia. Un grazie particolare, infine, all’impegno del centro sociale autogestito Tricolore che accoglie, anche dal punto di vista legaleamministrativo, il Progetto, quindi al centro sociale Orti Montenero e ai circoli Arci del quartiere Santa Croce La Fornace e Pigal, nonché alla Circoscrizione Nordest. Di seguito l’elenco, in ordine alfabetico, di tutti coloro che hanno partecipato al Progetto in varie forme e tempi.

I docenti Sara Barbieri, Linda Battilani, Manuela Bertolini, Matteo Bizzi, Giovanna Bondavalli, Barbara Corradini, Roberto Iemmi, Marco Maggi, Daniele Marchi, Fabio Montanari, Roberta Mori, Francesca Muscarello, Giulia Ronzoni, don Daniele Simonazzi, Nicoletta Spada, Celestina Tinelli, Carla Tromellini, Pina Tromellini.

I collaboratori e i volontari Irene Arrivabeni Boldrini, Marina Arrivabeni, Sara Barbieri, Loris Bassoli, Antonella Fabbi, Paolo Ferraresi, Martina Ferretti, Nicolò Filodelfo, Luciano Iemmi, Sara Iori, Anna Maria Gradellini, Nilde Marchesini, Stefania Rivi, Pina Salvarani, Shira Violi.

le scuole per ambito territoriale Circoscrizione Nordest: Istituto Blaise Pascal, Istituto comprensivo Galileo Galilei, Istituto professionale Adelmo Lombardini, Istituto professionale Luigi Galvani, Istituto superiore Leopoldo 271


Un momento di rendiconto e confronto sul lavoro del Progetto. Da sinistra don Daniele Simonazzi, Rosa Galeazzi, William Bigi, allora presidente della Circoscrizione 7, e Sonia Masini

Nobili, Istituto tecnico Angelo Secchi, Liceo Aldo Moro, Liceo Matilde di Canossa. Circoscrizione Centro storico: Liceo Ariosto-Spallanzani, liceo Gaetano Chierici, Istituto professionale Filippo Re, Istituto tecnico Scaruffi – Levi – Città del Tricolore. Circoscrizione Sud: Istituto professionale don Zefferino Jodi. Circoscrizione Ovest: Istituto superiore Antonio Zanelli e Istituto Alberghiero Motti. Correggio: Convitto nazionale Rinaldo Corso. Guastalla: Istituto superiore Bertrand Russel. Montecchio: Istituto superiore Silvio D’Arzo. Sant’Ilario: Istituto professionale Luigi Galvani. Scandiano: Istituto superiore Piero Gobetti.

gli attori/studenti Le mie labbra mai, regia di Bruna Fogola: Giuseppe Bevivino, Giulia Bonacini, Lisa Castronovo, Barbara Ferretti, Laura Pelaia, Fabio Reverberi, Alberto Ruozzi, Anna Valentini e la danzatrice Laura Cadelo.

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Stelle nere, regia di Roberto Iemmi: Simona Atzori, Sara Barbieri, Kitty Bertolini, Mirella Bregu, Silvia Codeluppi, Vanessa Corradi, Antonella Fabbi, Martina Ferretti, Elisa Gatti, Ludmila Kojocaru, Cinzia Montanaro, Mariella Montori, Gio Pergreffi, Debora Reggiani, Maura Rinaldini, Albina Xhamaj. Tu che mi guardi, tu che mi racconti, regia di Bruna Fogola: Giammarco Corradini, Margherita Di Martino, Daniela Felici, Vanessa Iotti, Aziz Sadid, Laura Simonazzi, Ruby Spinella, Matha Woldezghi. Ma nel cuore il sereno, regia e interpretazione di Roberto Iemmi.

i tecnici Moreno Bortolotti (luci-audio), Giulio Dallari (musicista), Denis Malagoli (luci), Alessandro Scillitani (riprese video), Bruno Vagnini (fotografo).

gli artisti e i gruppi che hanno partecipato alle celebrazioni dell’8 marzo I gruppi: Habanera Quartet, Regospel-coro di Navid Mirzadeh, coro Gruppo Tzigano, I Popinga, Little Taver, Halphones, Modena City Remblers, Break Floid. Gli artisti: Luca Anceschi, Tiziano Bellelli, Vittorio Bonetti, Beppe Carletti, Massimo 'Dema' Dematteis, Cico Falcone, Simone Filippi, Simone Forte, Fiamma Fumana, Paolo Garuti, Max Giuberti, Henguel Gualdi, Alan Iotti, Norberto Midani, Valentina Nicoli, Andrea Papini, Albertina Pasquali, Robby Pellati, Mel Previte, Antonio Rigetti, Danilo Sacco, Leonardo Sgavetti, Riccardo Sgavetti, Giulio Vetrone.

i patrocini e i contributi Regione Emilia Romagna, Provincia di Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia, I reggiani, per esempio, Comune di Montecchio, Comune di Rio Saliceto.

le collaborazioni Circoscrizioni Nordest, Ovest e Sud del Comune di Reggio Emilia, e prima ancora le Circoscrizioni Quinta, Sesta, Settima e Ottava, la Fondazione Manodori.

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altri contributi e collaborazioni Giulio Cesare Bonazzi, Antonella Fabbi, Lino Ferrari, Laura Fontanesi dell’Istituto culturale Lombardo Radice, Vally Mandorli, Nella Morelli. Anpi, associazione culturale Lo zaino dell’artista, Boorea, centri sociali I Boschi, La Paradisa, Orti Montenero, Tricolore, centro sociale Arci La Fontana, Circolo Arci La Quercia, Consulta provinciale studenti, Cral Act, Cral Arci La Capannina, Cral Arcispedale Santa Maria Nuova, Filef, Partito democratico Circolo 7, Rete per l’accoglienza al femminile Parma, Unione Ds della Settima e Ottava Circoscrizione, US Daino, Volontari gnocco parrocchia di Gavassa. Banca Bipop Carire, Banca popolare dell’Emilia Romagna, Banca reggiana di Credito cooperativo, Banco San Geminiano e San Prospero, Cooperbanca, Unicredit, Unipol assicurazioni. Caam, Cantina sociale Centro, Coop consumatori Nordest, Conad Centro Nord, Supermercato Margherita, Progeo Re, Unieco. Borghi autonoleggio, Buontempone trattoria pizzeria, Caffarri mangimi, Ceriani strumenti musicali, Coprisol, Energy Group, Pinguino gelateria, Faro ristorante pizzeria, Fis di Fontanili, Nuova Gafm, Gallingani forno, Il Glicine fioreria, Ilva lavanderia, Jolly ristorante pizzeria, La Tortuga ristorante pizzeria, Luisa fiorista, Miari edilizia, Nadia macelleria equina, Olimpia bar, Orion petroli, Paco negozio per animali, Picciati pasticceria, Poli pasticceria, Stranamore pizzeria.

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b. gli eventi e le iniziative nelle scuole e nel territorio

Musica e Solidarietà 10 Marzo 1999, ore 20.30 - Teatro Regiò con Hengel Gualdi e il suo trio Habanera Quartet (Lele Barbieri, Felice Del Gaudio, Teo Ciavarella) Allievi e Insegnanti del Cepam Hanno portato un saluto: Luisa Pavarini, Presidente Associazione Nondasola don Vittorio Chiari, responsabile Oratorio don Bosco

Musiche dal mondo e solidarietà contro i maltrattamenti alle donne in famiglia 12 Marzo 2000, ore 20.30 - Teatro Regiò con REGospel coro, diretto da Navid Mirzadeh Athos e il suo gruppo di musica tzigana Hanno portato un saluto: Casa delle Donne don Daniele Simonazzi, pres. Associazione Rabbuni don Vittorio Chiari, responsabile oratorio don Bosco Annamaria Mariani, assessore Politiche sociali

Incontro Musicale per i giovani studenti nella giornata Internazionale della Donna 8 Marzo 2001, ore 10.30 - centro sociale Tricolore con Nomadi e Popinga Hanno portato un saluto: rappresentante settima Circoscrizione studentessa del liceo Matilde di Canossa rappresentante Consulta provinciale studenti avvocato Marco Scarpati, Associazione contro la violenza ai minori

Incontro Musicale per i giovani studenti e i cittadini del quartiere Santa Croce 8 Marzo 2002, ore 10 - centro sociale Tricolore con Popinga 275


Hanno portato un saluto: Antonella Spaggiari, sindaco di Reggio Emilia rappresentante Ottava Circoscrizione rappresentante Consulta provinciale degli studenti •

I valori dell’ 8 Marzo 2003 8 Marzo 2003, ore 10 - Palahockey Fanticini con Fiamma Fumana e il suo complesso Hanno portato un saluto: Sonia Masini, vicepresidente provincia di Reggio Emilia, rappresentante Comune di Reggio Emilia rappresentante dirigenti scolastici rappresentante Consulta provinciale degli studenti

Rendiconto pubblico sul Progetto 30 Ottobre 2003, ore 21 - Aula magna istituto Leopoldo Nobili con i Consigli delle Circoscrizione Settima e Ottava in seduta congiunta

I valori della giornata Internazionale della Donna 8 Marzo 2004, ore 10 - Palahockey Fanticini con Little Taver e il suo complesso Cabaret Musicale di Norberto Midani Hanno portato un saluto: Sonia Masini, vicepresidente Provincia di Reggio Emilia rappresentante Comune di Reggio Emilia rappresentante Consulta provinciale degli studenti

Le mie labbra mai 16 Maggio 2004, ore 21 - circolo Arci La Fontana con laboratorio artistico di Bruna Fogola studenti dell'istituto Blaise Pascal e del liceo Canossa

Le mie labbra mai 12 Febbraio 2005, ore 9 - Teatro Cavallerizza con laboratorio artistico di Bruna Fogola studenti dell'istituto Pascal e del liceo Canossa

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I valori dell’ 8 Marzo 2005 8 Marzo 2005 alle ore 10.30 - Palahockey Fanticini con Mel Previte and the Gangsters of love Hanno portato un saluto: Loredana Dolci, assessore Provincia di Reggio Emilia Gina Pedroni, assessore Pari Opportunità Roberta Pavarini, presidente settima Circoscrizione Rappresentante Consulta provinciale degli studenti

Le mia labbra mai 20 Maggio 2005, ore 21 - Teatro Regiò con laboratorio artistico di Bruna Fogola studenti Istituti superiori Hanno portato un saluto: Gina Pedroni, assessore Pari Opportunità Rappresentante associazione Rabbuni

Concerto dell’8 Marzo 2006 A lezione dai Cantautori 8 Marzo 2006, ore 10.30 - Palahockey Fanticini con Robby Pellati, Vittorio Bonetti, Albertina Pasquali, Valentina Nicoli Hanno portato un saluto: Marcello Stecco, assessore Solidarietà Provincia di Reggio Emilia Autorità del Comune di Reggio Emilia Roberta Pavarini, presidente Settima Circoscrizione Rappresentante Consulta provinciale degli studenti Rosa Galezzi, responsabile del Progetto

Le mie labbra mai 23 Aprile 2006, ore 21 - Circolo Arci La quercia con laboratorio artistico di Bruna Fogola studenti dell'istituto Pascal e del liceo Canossa Hanno portato un saluto: William Reggiani della Settima Circoscrizione don Daniele Simonazzi rappresentante associazione Rabbunì

Le mie labbra mai 28 Giugno 2006, ore 21 - centro sociale Carrozzone con laboratorio artistico di Bruna Fogola studenti dell'istituto Pascal e del liceo Canossa 277


Le mie labbra mai 23 Novembre 2006, ore 21 - Teatro Parrocchiale Mauro Chiesi, Sesso con laboratorio artistico di Bruna Fogola studenti dell'istituto Pascal e del liceo Canossa Intervengono i docenti del Progetto: Barbara Corradini Roberto Iemmi Daniele Simonazzi

Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 28 Febbraio 2007, ore 8.30 e 11 - Istituto Pascal con regia di Bruna Fogola e studenti dell’Istituto

Concerto dell’ 8 Marzo 2007 A lezione dai Cantautori 8 Marzo 2007, ore 10.30 - Palahockey Fanticini con Popinga studenti istituto Pascal Hanno portato un saluto: Marcello Stecco, assessore Provincia di Reggio Emilia Gina Pedroni, assessore Comune di Reggio Emilia Leda Spaggiari, consigliere Settima Circoscrizione Dario De Lucia, Consulta provinciale studenti Rosa Galezzi, responsabile Progetto

Tu che mi guardi, tu che mi racconti... storie di vite altrove 21 Aprile 2007, ore 8.30 e 11 - Istituto D’Arzo Montecchio Emilia con regia di Bruna Fogola e studenti del Pascal

Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 22 Settembre 2007, ore 17 - Pensionato Cavazzoli con regia di Bruna Fogola e studenti del Pascal

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 18 Dicembre 2007, ore 10 - teatro Regiò con studenti dell'istituto Luigi Galvani di Reggio Emilia e Sant’Ilario

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Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 19 Gennaio 2008, ore 9.30 - teatro Sant’Anselmo con regia di Bruna Fogola e studenti del Pascal

Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 24 Febbraio 2008, ore 18 - Circolo Arci Maffia con regia di Bruna Fogola e studenti del Pascal

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 2 Marzo 2008, ore 21.15 - Teatro Comunale di Rio Saliceto con studenti dell'istituto Pascal e del liceo Canossa

Per il centenario dell’ 8 Marzo 7 Marzo 2008, ore 21 - Centro Arci Pigal concerto con Marika Benatti

Concerto dell’8 Marzo 2008 8 Marzo 2008, ore 10.30 - Palahokey Fanticini con Halftones Andrea Papini coro vocale dell’istituto Pascal complesso Stoned Hanno portato un saluto: Sonia Masini, presidente provincia di Reggio Emilia Iuna Sassi, assessore comune di Reggio Emilia Roberta Pavarini, presidente Settima Circoscrizione

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 8 Marzo 2008, ore 21.30 - Auditorium Centro civico Buranello-Genova

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 9 Marzo 2008, ore 17.30 - Teatro degli Zingari Comunità S.Benedetto al Porto, Genova con gruppo Mafalda Sampierdarena

Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 15 Marzo 2008, ore 21.15 - Teatro Artigiano, Massenzatico con regia di Bruna Fogola, ex studenti del Pascal

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Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 9 Maggio 2008, ore 21 - Ctl di Bagnolo in Piano con regia di Bruna Fogola, ex studenti del Pascal

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 20 Luglio 2008, ore 19 - Parco Cervi con associazione culturale La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 24 Agosto 2008, ore 21 - FestaReggio /Tenda del viaggio con associazione culturale La Valigia dell’Attore

Educare ai sentimenti contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza presentazione del progetto 23 Gennaio 2009, ore 10 - Aula Magna P. Manodori Università di Reggio Emilia con studenti degli istituti Nobili, Ipsia Adelmo Lombardini, Filippo Re e don Zeffirino Iodi Nell’occasione è stata rappresentata Ma nei cuori il sereno con l’associazione La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 7 Febbraio 2009, ore 11 - liceo Gaetano Chierici con studenti dell’istituto

Tu che mi guardi, tu che mi racconti, storie di vite altrove 14 Febbraio 2009, ore 11 - Aula magna istituto D’Arzo Montecchio Emilia con regia di Bruna Fogola ed ex studenti del Pascal

Il tema del bullismo affrontato con i giovani 13, 14 e 20 Febbraio 2009 e 6, 7 marzo 2009, ore 8 e 9.40 Ipsia A. Lombardini con Barbara Corradini

Concerto dell’ 8 Marzo 2009 10 Marzo 2009, ore 10.30 - Palahockey Fanticini con Modena City Ramblers Hanno portato un saluto: Sonia Masini, presidente Provincia di Reggio Emilia

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Gina Pedroni, assessore Comune di Reggio Emilia Roberta Pavarini, presidente Settima Circoscrizione Marco Incerti Zambelli, dirigente scolastico del Pascal Francesco Pattacini, presidente Consulta provinciale degli studenti •

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 7 Aprile 2009, ore 14 - Aula Magna P. Manodori Università di Modena e Reggio Emilia con regia Roberto Iemmi reading di Albina Xhamaj Antonella Fabbi e Sara Barbieri musica dal vivo con Giuilo Dallari

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 9 Maggio 2009, ore 10 - Aula magna istituto Galvani con regia Roberto Iemmi associazione culturale La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 30 Gennaio 2010, ore 10.30 - palestra istituto Nobili con regia Roberto Iemmi associazione culturale La Valigia dell’Attore e le psicologhe del Progetto Nicoletta Spada Francesca Muscardiello

Certe altre notti 5 Marzo 2010, ore 20.45 - centro sociale Tricolore pubblica discussione sul tema della prostituzione con i rappresentanti delle istituzioni condotto da Liviana Iotti, giornalista Telereggio Rappresentazione teatrale Stelle nere, racconti fra cielo e strada

Riflessioni e Musica contro la violenza 8 Marzo 2010, ore 10.30 Palahokey Fanticini con Luca Anceschi performance studenti del liceo Canossa e dell'istituto Pascal Hanno portato un saluto: Roberta Rivi, assessore Provincia di Reggio Emilia 281


Iuna Sassi, assessore Comune di Reggio Emilia Roberta Pavarini, presidente Settima Circoscrizione Giuliano Fornaciari, dirigente scolastico Alessandro Miglioli, presidente Consulta provinciale studenti Giacomo Notari, presidente Anpi rappresentante Reggiana calcio femminile di serie A •

Dialoghi intorno al tema della prostituzione e Stelle nere, racconti tra cielo e strada 16 Maggio 2010, ore 17.30 - circolo Arci La Fontana con associazioni culturali La Valigia dell’Attore e Rabbunì

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 4 Luglio 2010, ore 18.30 - Festa multiculturale - Collecchio (Parma) con regia di Roberto Iemmi associazione culturale La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 20 Agosto 2010, ore 21 FestAmandrio con regia Roberto Iemmi associazione culturale La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 26 Febbraio 2011, ore 8 - Istituto Antonio Zanelli con regia di Roberto Iemmi, associazione culturale La Valigia dell’Attore Unità di Strada del Comune di Reggio Emilia

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 5 Marzo 2011, ore 8 - Liceo Canossa con regia di Roberto Iemmi associazione culturale La Valigia dell’Attore Unità di Strada del Comune di Reggio Emilia

Riflessioni in musica per l’8 Marzo 2011 8 Marzo 2011, ore 8.30 - Istituto Pascal con Break Floyd, Milf true love, del gruppo di studenti del Pascal

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Rassegna cultural musicale Stelle Nere, racconti fra cielo e strada e concerto 18 Marzo 2011, ore 20.30 - Agriturismo La Prateria con associazione culturale La Valigia dell’Attore Varchetta e Witko

Pomeriggio per dialogare sul tema della prostituzione e Stelle Nere, racconti fra cielo e strada 20 Marzo 2011, ore 17.30 - palestra di Gavassa con docenti del Progetto associazione culturale La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 1 Aprile 2011, ore 17.30 - Teatro Modena Genova Sanpierdarena con associazione culturale La Valigia dell’Attore regia di Laura Contu Intervengono Marina Dondero, assessore Pari Opportunità provincia di Genova Roberto Iemmi, La Valigia dell’Attore

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 21 Maggio 2011, ore 11-13 - Aula magna, convitto nazionale Rinaldo Corso - Correggio regia di Roberto Iemmi, con associazione culturale La Valigia dell’Attore reading con Antonella Fabbi, Sara Barbieri musica dal vivo con Silvia Codeluppi

Educare ai sentimenti, contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza in mostra al Cultur Day 2011 28 Maggio 2011, ore 10-13 - ex centrale Enel via Gorizia con rappresentanti del Progetto e volontari

Educare ai sentimenti, contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza in mostra 11-12 Giugno 2011, ore 10-13 - Parco Villa Levi - Coviolo in festa con rappresentanti del Progetto e volontari

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Incontro aperto sul tema delle generazioni 22 Giugno 2011, ore 21.30 - circolo Arci Pigal con Roberto Iemmi, rappresentante del Progetto Federico Amico, presidente Arci provinciale

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 25 Giugno 2011, ore 22 - Parco Nevicati, Collecchio (Parma) “Festa multiculturale” reading e regia di Roberto Iemmi con associazione culturale La Valigia dell’Attore Debora Reggiani, Albina Xhamaj musica dal vivo Bruno Sala

Educare ai sentimenti, contro la violenza, la prostituzione e l’intolleranza per il concerto di Luciano Ligabue 14-16 Luglio 2011, 24h - piazzale Europa con rappresentanti del Progetto e volontari Consulta degli studenti, centri sociali Tricolore e Orti Montenero

Stelle nere, racconti fra cielo e strada 23 Luglio 2011, ore 21.30 Bar Olimpia Correggio regia di Roberto Iemmi con associazione culturale La Valigia dell’Attore Antonella Fabbi, Albina Xhamaj musica dal vivo Silvia Codeluppi

Visione e riflessioni sul film Niente paura di Piergiorgio Gay Musiche, canzoni e interpretazione di Luciano Ligabue 9 novembre 2011, ore 9.30 - Cinema Rosebud studenti degli Istituti di Scuole secondarie di secondo grado Con la partecipazione dello sceneggiatore Pier Giorgio Paterlini e i docenti del Progetto

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne 25 novembre 2011, ore 10 - Istituto Pascal lettura di una studentessa della Consulta provinciale studenti con interfono per tutti i presenti nell’Istituto scolastico Messaggio di Roberta Mori, presidente Commissione legislativa per la parità della Regione Emilia Romagna

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Visione e conversazioni sul documentario Il Corpo delle donne di Lorella Zanardo Martedì 28 febbraio 2012, ore 21 - Centro lettura del centro sociale La Paradisa di Massenzatico Partecipano docenti del Progetto Roberto Iemmi Roberta Mori Giulia Ronzoni Tina Tinelli

Giornata internazionale della donna Visione del film Niente Paura di Piergiorgio Gay interpretato da Luciano Ligabue. Giovedì 8 marzo 2012, ore 10 - Cinema Cristallo Incontro con gli studenti degli Istituti secondari di secondo grado di Reggio Emilia e con la cittadinanza. Con la partecipazione dello sceneggiatore Pier Giorgio Paterlini Hanno portato un saluto: Ilenia Malavasi, assessore alla Formazione Provincia di Reggio Emilia Filomena De Sciscio, vice sindaco del Comune di Reggio Emilia Roberta Pavarini, presidente della Circoscrizione Nordest Claudia Wildner, presidente della Consulta provinciale studenti Tina Tinelli, docente del Progetto

Le donne nei media Incontro con Lorella Zanardo autrice del libro e del documentario Il corpo delle donne Giovedì 26 aprile 2012, ore 9.30 - Aula Manodori, Università di Reggio Emilia, organizzato dalla Provincia di Reggio Emilia Partecipano studenti di scuola secondaria di secondo grado

Presentazione del documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo 20 maggio 2012, ore 17.30 - centro sociale I Boschi - Quattro Castella Conversazione con i partecipanti e gli organizzatori del Progetto Presenti i docenti Roberto Iemmi, Fabio Montanari, Roberta Mori, Giulia Ronzoni, Tina Tinelli e Rosa Galeazzi

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DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DELLE INIZIATIVE

Nelle pagine che seguono viene presentato un mosaico fotografico che tratteggia, in parte, gli appuntamenti con il progetto Educare ai sentimenti. Sono accaduti nelle scuole, nell’aula magna dell’Università di Reggio Emilia, nel palahockey Fanticini, in centri sociali, circoli, palestre e teatri. Le immagini sono raccolte in tre tavole: nella prima vengono proposti alcuni momenti legati all’evento dell’8 marzo a scuola, al palahockey, nel territorio; nella seconda tavola le immagini si riferiscono alle rappresentazioni teatrali dei laboratori scolastici Le mie labbra mai, Stelle nere, racconti fra cielo e strada e Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vite altrove; infine i frammenti fotografici degli incontri e di quelle iniziative parallele che il Progetto ha sviluppato, anche in sedi diverse da quelle scolastiche, per promuovere dibattiti intorno ai temi su cui lavora, come la dignità e i diritti fra uomo e donna, l’inclusione e il valore dei sentimenti.

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8 marzo: le iniziative organizzate a scuola, al palahockey Fanticini e al centro sociale Tricolore

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Gli spettacoli dei laboratori rappresentati nella scuola e nel territorio: Le mie labbra mai; Stelle nere; Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Storie di vita altrove; Ma nei cuori il sereno

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Dalla scuola al territorio: i punti informativi e le conferenze sulla prostituzione, la violenza sulla donna e l’intolleranza

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Contatti Progetto Educare ai sentimenti Centro sociale autogestito Tricolore info@csatricolore.it tel. 0522 516583 Fabio Montanari monta.fa@libero.it tel. 320 4385147 Roberto Iemmi tel. 335 5233372 Giulia Ronzoni giuliaronzoni@iahoo.it tel. 339 6868299 Rosa Galeazzi rosa.galeazzi@virgilio.it tel. 0522 516299 - 338 4132304

Centro di Documentazione Storica Circoscrizione Nordest Villa Cougnet via Adua, 57 42124 Reggio Emilia tel. 0522 585596 fax 0522 516695 circoscrizione.nordest@municipio.re.it www.municipio.re.it/circoscrizionenordest www.villacougnet.it



Finito di stampare presso il Centro Stampa del Comune di Reggio Emilia nel settembre 2012


Un ‘ponte comunicativo’ fra le generazioni: tra gli anziani dei centri sociali e dei circoli Arci di Santa Croce e gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Reggio Emilia e provincia. Il progetto è promosso dal centro sociale Tricolore, in collaborazione con il centro sociale Orti Montenero, i circoli Arci Pigal, La Fornace e la Circoscrizione Nordest.

Centro Documentazione Storica n. 4

2012

educazione per le scuole di II grado a Reggio Emilia

lenza, la prostituzione e l’intolleranza.

Circoscrizione Nordest

Centro Documentazione Storica di Villa Cougnet

uaderno

i sentimenti

contano A cura di Lucia Zanetti

progetto di secondarie

Educare ai sentimenti, contro la vio-

progetto di educazione per le scuole secondarie di II grado a Reggio Emilia

so più che decennale del progetto

i sentimenti contano

Questo volume dà conto del percor-

4


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