VENEZIA NEWS - FEB-MAR 2022 - #260-261

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© Lucio Schiavon, Il Carnevale delle illusioni per T Fondaco dei Tedeschi, Venezia Mensile di cultura e spettacolo - n° 260-261 - anno 26 - Febbraio/Marzo 2022 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE

EXHIBITIONS MUSEUMS CONCERTS THEATRE FILMS&SERIES CLUBS FOOD&DRINKS

ENGLISH INSIDE

€ 3,00

260-261 FEBRUARY-MARCH 2022

venicecityguide

Vernice fresca

NEW SEASON: CARNIVAL, THEATRE, EXHIBITIONS, CONCERTS, LIVE PERFORMANCES


PENUMBRA KARIMAH ASHADU JONATHAS DE ANDRADE AZIZ HAZARA HE XIANGYU MASBEDO JAMES RICHARDS EMILIJA SKARNULYTE ANA VAZ 20.04—27.11 2022 FONDAZIONE IN BETWEEN ART FILM COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO VENEZIA


Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse, n. 2 (Landschaft mit roten Flecken, Nr. 2), 1913. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.

emozióne [sostantivo femminile] Forte impressione, turbamento, eccitazione.

Ti aspettiamo. Prenota la tua visita su guggenheim-venice.it* *La prenotazione online è vivamente consigliata

Lasciati ispirare dalla Collezione Peggy Guggenheim. Scopri l’energia e la bellezza delle avanguardie con Pablo Picasso, Salvador Dalí, René Magritte, Leonor Fini, Alberto Giacometti, Emilio Vedova, Jackson Pollock e molti altri che hanno fatto la storia dell’arte del ‘900.

Dorsoduro 701, Venezia guggenheim-venice.it


february-march2022 CONTENTS

editoriale (pag. 5) Un vitale tris d’assi incontri (pag. 8) Silvia Ferino, Tiziano e l’immagine della donna | Antonella Magaraggia, Presidente Ateneo Veneto tracce (pag. 14) Federico Buffa, Amici fragili arte (pag. 18) Il latte dei sogni | Aspettando Biennale Arte 2022 | Intervista a Riccardo Caldura, Direttore Accademia Belle Arti Venezia | Toni Zuccheri | Power & Prestige | Palazzo Ducale, Museo Correr | Bruce Nauman | Fondazione Querini Stampalia | Lo schermo dell’arte | Giampaolo Babetto | Lorenzo Tiepolo/Bosco Sodi | Gabriele Grones | in luce – Alessandra Chemollo | Marco Sabadin | Luigi Ferrigno/Mark Smith | Sabine Weiss | Masters | Galleries | La fabbrica del Rinascimento | Levi e Ragghianti | Treviso Contemporanea | Intervista a Caio Twombly, Spazio Amanita | Dai romantici a Segantini carnivaldiary (pag. 43) Intervista a Rita Chimetto Alajmo | Intervista a Massimo Checchetto, Direttore Carnevale Venezia | Claudio Baglioni | Gabriadze Theatre | Le 66! di Jacques Offenbach | Spaesamenti musicali | Il sipario strappato | Itinerario tra i teatri veneziani | Kids | Screenings musica (pag. 72) Intervista a Cesare Malfatti | Jazz& | Nu Fest | Subsonica | Kyla Brox | Paolo Conte | James Blunt | Elio canta Jannacci | Paolo Fresu | Franz Ferdinand | Brunori Sas | Avril Lavigne | Motta | Tommaso Paradiso classical (pag. 84) La baruffe | Teatro Toniolo | Teatro La Fenice | Musikàmera | Angèle Dubeau | Palazzetto Bru Zane | Phryné theatro (pag. 90) Tempest Project | La peste di Camus | Eichmann | La vita davanti a sé | Un tram che si chiama desiderio | Leoni Biennale Danza e Teatro 2022 | Rivelazione | Paradiso | Il dio bambino | Kids | Fiorello | Drusilla | Comici cinema (pag. 106) Classici Fuori Mostra | Lina Wertmüller | Sidney Poitier | Paesaggi che cambiano | Monica Vitti | Cinefacts – Berlinale | Supervisioni etcc... (pag. 114) Intervista a Jacopo De Michelis | Intervista a Luca Zaia | Parole | Giornate di Studio sul Paesaggio | Guggenheim & CUOA | Nowtilus | Giorno del Ricordo menu (pag. 124) Trattoria da Romano | Gusto! Gli italiani a tavola | Il Barbaresco | Hotel Danieli 200

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FABER & ROMBO DI TUONO

Il racconto di una notte, di un incontro fugace e profondo tra due anime insofferenti a ogni forma di conformismo. Gigi Riva e Fabrizio De André, due anime fragili e introspettive fattesi figlie di una Sardegna una volta e per sempre, raccontati in scena da un grande narratore orale di sport e di costume, Federico Buffa. The story of a night, a fleeting encounter of two souls who cannot be pressed into conformity. Gigi Riva and Fabrizio De André, two frail, introspective souls that chose Sardinia as an adoptive mother. tracce p. 14

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IL LATTE DEI SOGNI

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213 artisti da 58 nazioni, 1433 opere esposte. L’arte secondo Cecilia Alemani costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione, come nelle favole di Leonora Carrington a cui il titolo rimanda. 213 artists from 58 nations, 1433 pieces of art. Curator Cecilia Alemani knows how art can be reinvented through the prism of imagination, as happens in Leonora Carrington’s fairy tales. arte p. 18

NU FEST

La sperimentazione parla francese e norvegese, con Franck Vigroux prima e il Trio di Erlend Apneseth poi. Tra marzo ed aprile Teatrino Grassi e T Fondaco dei Tedeschi sono capitoli di un viaggio nelle sonorità elettroniche contemporanee che Veneto Jazz vuole continuare a raccontare. Experimentation speaks French and Norwegian, with Franck Vigroux first, and Erlend Apneseth and his Trio second. Between March and April, Teatrino di Palazzo Grassi and T Fondaco dei Tedeschi open new chapters of a journey into modern electronic music. musica p. 77


COVER STORY

Carnevale o non Carnevale? Siamo stati in sospeso per giorni, ma alla fine eccoci con una nuova dimensione di festa dal profilo più intimo, raccolto, un’occasione per vivere i mille possibili volti colorati di una Venezia che non si arrende al buio, che chiede di essere viva, pulsante, con un’energia solamente più diffusa e sostenibile. Il vestito ufficiale del Carnevale appare un po’ appannato tra prudenza e poca reattività, costretto a un programma fortemente condizionato, mentre sono i teatri soprattutto a riprendere in mano la Festa e a riconquistare l’antico primato sul Carnevale. Ma è il Fondaco dei Tedeschi a sorprenderci con il suo Carnevale delle Illusioni, giocando tra realtà e apparenza, tra quello che sembra e quello che è. Un caleidoscopio di finzioni ottiche e giochi di parole sulle vetrine del Fondaco, che svelano messaggi nascosti invitando chi le guarda a lasciarsi sorprendere e a immergersi nel divertimento. Ne è autore l’artista Lucio Schiavon, che ha reinterpretato con garbo grafico e invenzioni ipnotiche la tradizionale sregolatezza del Carnevale. Un’immagine grafica a cui non abbiamo potuto rinunciare, scegliendola come copertina di questo Numero. Le sue reinvenzioni colorate di maschere danno vita a suggestioni cubiste e inusuali immagini astratte, che fungono per noi da ponte perfetto verso l’attesissima stagione della Biennale Arte. Le cose sono sempre diverse da come sembrano... carnivaldiary p. 43

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LE BARUFFE

Nata dalla collaborazione tra Teatro La Fenice, Marsilio Editori e V-A-C Foundation, la nuova opera di Giorgio Battistelli prende spunto dalla commedia di Goldoni per vivere di nuove sfumature delineate dalla regia di Damiano Michieletto. Born of a cooperation between the Fenice Theatre, Marsilio Editori, and V-A-C Foundation, Giorgio Battistelli’s latest piece takes inspiration from Goldoni’s comedy to live under Damiano Michieletto’s direction. classical p. 84

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TEMPEST PROJECT

La magia, l’amore, colpa ed espiazione, lealtà e tradimento, le forze contrastanti del bene e del male, le pulsioni umane e le loro dirompenti conseguenze nelle vite degli uomini: Tempest Project porta al Goldoni la summa delle suggestioni shakespeariane, firmata Peter Brook.

Magic, love, guilt, atonement, loyalty and betrayal, contrasting good and evil, human passion, and life: Tempest Project by Peter Brook brings true Shakespearean drama on stage. theatro p. 90

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CLASSICI FUORI MOSTRA

Quattordici titoli in lingua originale al Rossini per la rassegna firmata Biennale: il cinema torna al proprio posto, in sala, esattamente come lo spettatore, per un appuntamento con capisaldi del grande schermo selezionati da Alberto Barbera. Fourteen titles in original language at the Rossini for the Venice Film Festival: cinema returns to its place, in the hall, just like the spectator, for an appointment with cornerstones of the big screen selected by Alberto Barbera. cinema p. 106

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editoriale di Massimo Bran

UN VITALE TRIS D’ASSI M

attarella, le Olimpiadi, la Biennale Arte. Insomma, c’è un domani, sì! Nonostante il Carnevale e Sanremo, che insomma, ce la mettono tutta per intristirci, chi per una ragione, chi per un’altra. Un tris d’assi che parlano di resistenza (basta con questa resilienza!!!), di riorganizzazione, di ripartenza vera. Soprattutto un tris che ci riconnette con le radici più alte del nostro vivere insieme: la politica come equilibrio, cultura, cura del bene comune; lo sport come disciplina vitale e condivisa, quale espressione di una vissuta socialità, come energia pulsante di emozioni adrenaliniche nelle sue vette agonistiche più alte; l’arte, quella che si fa e si definisce ora e domani, con un occhio attento a ieri e anche all’altro ieri, il terreno elettivo privilegiato in cui misurare la temperatura del tempo con il termometro dell’immaginazione, della materia, della contaminazione tra i mille linguaggi espressivi di cui siamo dotati. Un tris di concreta speranza che si fonda su radici storiche assai più solide delle onde devastanti che più o meno regolarmente insidiano il nostro vivere migliore, la nostra qualità valoriale, emozionale, culturale, che insieme infondono un senso alto, degno al nostro stare al mondo. Avremo tempo di indagare su questa rutilante, visionaria, è proprio il caso di dirlo questa volta, scommessa che Cecilia Alemani ha poggiato sul tavolo da par suo, partendo esattamente dall’elemento fisico che ci connota in questo mondo, ossia il corpo, il nostro corpo in continua metamorfosi, messo in relazione con la tecnica in tumultuoso, come mai prima d’ora, divenire e con la terra, la nostra casa da cui proveniamo e che abitiamo, in forme proprie e, ahinoi, spesso assai improprie. Già sin d’ora quello che qui ci viene d’impeto e d’intelletto insieme da dire per prima cosa è che l’attesa di questa inacchiappabile Biennale Arte sta producendo una tensione vitale palpabilissima prima ancora di iniziare. Certo per la voglia, l’urgenza di rimettersi tutti in gioco, in primis, naturalmente, chi in questo mondo ci lavora e da questo mondo dipende, ma anche più estesamente per la curiosità densissima di misurare come la nostra creatività, le nostre modalità espressive saranno uscite trasformate da questo biennio imprevisto e folle. Una tensione, un’attesa febbrili come sempre dopo ogni cataclisma, sia esso bellico, virale, o piuttosto ancora derivante da un qualche sommovimento terrestre. Del resto sono le metamorfosi più radicali ed improvvise che trasformano le nostre menti e il linguaggio stesso dei nostri corpi, del nostro incedere nell’attraversare i giorni, necessariamente mutati da accadimenti più grandi di noi. Non occorre certo scomodare le avanguardie di inizio secolo a cavallo della Prima Guerra Mondiale, e quindi nel pieno della fine della storia secolare degli imperi europei, o ancora la Biennale stessa del 1948, che sancirà la definitiva affermazione quale epicentro del contemporaneo espressivo di New York nei confronti di Parigi, vero contrappasso storico, politico e culturale dei tempi, per essere ben e pienamente consapevoli che l’arte è per antonomasia il terreno su tutti in cui il nostro tempo in divenire viene visto e pre-visto, attraverso azzardi, intuizioni, scavi, lievitazioni di visioni già da tempo incubate. Tra l’altro il titolo che Cecilia Alemani ha dato a questa 59. Biennale Arte ben prima che la pandemia scoppiasse, Il Latte dei Sogni dall’omonimo libro per ragazzi della pittrice surrealista Leonora Carring-

ton, mai fu così azzeccato, come del resto lo fu quello di Architettura lo scorso anno, ossia How We Will Live Together?. Già, di che altro abbiamo bisogno se non di nutrirci protetti, quali diversamente infanti come un po’ tutti ora ci sentiamo, del latte dei sogni? Uscire da questo tunnel è un po’ rinascere circolarmente, su tutti i fronti, i versanti del vivere per sé e insieme agli altri. Quindi di nuovo nutrimento abbiamo proprio bisogno, sì, nella sua più pura e intima essenza. L’altra carta tra le mani del tris che ci fa sorridere, emozionare, vivere più lietamente è quella a cinque cerchi. Già Tokyo ha rappresentato un momento quasi catartico, con quei gesti atletici memorabili che davvero ci riconnettevano tutti in uno spazio condiviso, perché lo sport è per eccellenza il terreno comune in cui vivere e godersela insieme. In più si sono rivelate a dir poco memorabili per noi quelle Olimpiadi, che siamo gente che ama certo definirsi attraverso la reinvenzione miracolistica di sé, ma da qui a diventare noi italietta espressione della massima potenza del corpo umano in velocità sul pianeta terra, beh, questo va ben oltre ‘o miracolo! Ora è la volta di Pechino, ghiaccio e neve, ancora purtroppo con forti limitazioni per atleti e pubblico eppure con un ritmo in levare, tanto per omaggiare l’irresistibile team Giamaica di bob…, con una disposizione di chi vi partecipa in loco e a casa da fuoriusciti quasi, da chi l’ha scampata finalmente. Lo sport è a questi livelli fatica, duro lavoro, spesso dolori e delusioni, ma quello che di esso resta è pura adrenalina, gioia di vivere, emozione, per chi se la gioca e per chi se la guarda. Di che altro abbiam bisogno se non di questo per darci una scossa positiva dopo questa parentesi angosciante? Infine la carta più importante del tris per noi italiani, purtroppo costitutivamente allergici ai processi evolutivi normali, quasi compiaciuti sinistramente da questa triste irriducibilità a civicamente formarci, educarci, in una parola, compierci. La carta di un Presidente alto e altro quale Sergio Mattarella rappresenta certo ben più di un jolly, perché ci fa vincere una mano cruciale, una partita delicatissima sul tavolo del futuro, con l’Europa che mai come ora ci ha concesso una così grande fiducia che naturalmente non può in nessun modo ancora una volta essere tradita. Sì, davvero una carta irrinunciabile, che nel suo sospirato (ri)appalesarsi mostra al contempo, nella sua più desolante nudità, la paralisi direi culturale, prima ancora che eminentemente politica, di una sin troppo composita teoria di partiti incapace da troppo tempo di darsi una dimensione quantomeno decentemente dignitosa. Con tutti i distinguo del caso, s’intende, e ve ne sono di moltissimi e di assai rilevanti, eppure ancora una volta dobbiamo dire grazie a delle persone, a degli individui singoli dotati di un inossidabile senso dello Stato, non a un sistema in grado di esprimere queste stesse persone quali conseguenti espressioni del suo buon operare. Questa dicotomia tra figure di profilo altissimo ed integerrimo e sbraco, non mi viene termine migliore, o per meglio dire peggiore, di una grassa parte dell’universo partitico italiano è purtroppo una malattia fattasi ormai endemica, che i Ciampi, i Napolitano, i Mattarella, direi oggi anche i Draghi, eccome!, possono “solo” lenire in qualità di irrinunciabili farmaci per la sopravvivenza del sistema. Ciò detto, che carta! Grazie Presidente, sì. 5


Due nuove mostre per un’inedita relazione con il tempo

24.02.2022

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27.03.2022 | Ingresso gratuito


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Intervista Sylvia Ferino

PROFUMO DI DONNA Le dame ritratte sono pienamente consapevoli del proprio fascino e carisma erotico e così dispongono dell’osservatore a proprio piacimento di Franca Lugato e Mariachiara Marzari

incontri

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’abbiamo inseguita a lungo , prima a Vienna e ora a Milano. Non l’abbiamo però ancora potuta visitare, apre il 23 febbraio a Palazzo Reale. Tiziano e l’immagine della donna è una mostra unica, emozionante, attesissima. Un affascinante itinerario di bellezza, eleganza e sensualità nella pittura del grande maestro e dei suoi celebri contemporanei, quali Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto, nella Venezia del Cinquecento. La nostra impazienza e l’aiuto prezioso di Francesca del Torre ci hanno permesso di raggiungere la curatrice Sylvia Ferino, già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna, nel pieno dell’allestimento, quindi nel clou del lavoro preparatorio. Eppure, e di questo le siamo davvero molto grati, ci ha guidato comunque in una immaginifica ‘visita’ in anteprima. Coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico internazionale composto da Anna Bellavitis, Jane Bridgeman, Beverly Louise Brown, Enrico Maria Dal Pozzolo, Wencke Deiters, Francesca Del Torre, Charles Hope, Amedeo Quondam, la mostra è promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna e grazie al Gruppo Bracco. L’esposizione affronta un argomento eternamente valido e insieme completamente nuovo, presentando l’immagine femminile attraverso tutto l’ampio spettro delle tematiche possibili – celebri eroine e sante, fino ad arrivare alle divinità del mito e alle allegorie – e al contempo mettendo a confronto i rispettivi approcci artistici a riguardo di Tiziano e degli altri pittori del tempo. Tiziano e l’immagine della donna 23 febbraio-5 giugno Palazzo Reale-Milano www.palazzorealemilano.it

Partiamo dai prodromi. Com’era la rappresentazione della donna prima di Tiziano? Prima del Cinquecento la rappresentazione della donna era rara a Venezia, perché il governo oligarchico non favoriva il ritratto reale. Per questo forse all’inizio del secolo si ‘inventarono’ altri generi per rappresentare la donna nella pittura, in una sorta di gara con letterati e poeti nei cui scritti la presenza della figura femminile era dominante. Oltre alle rappresentazioni nel contesto della pittura religiosa, in cui la donna impersonava ruoli diversi, oltre alle scene pagane, mitologiche, ecc. – anche se ancora rare sono le raffigurazioni di divinità quali Venere e Diana –, il campo in cui le donne sono da sempre presenti è quello dell’allegoria e delle personificazioni delle Virtù e delle Arti. Nessuno meglio di Tiziano ha compreso la personalità femminile reinventando la maniera di rappresentarla. Ci può dire qualcosa di più su questo fondamentale passaggio? Come ci rivela lo sguardo omnisciente della donna ritratta nel dipinto Ninfa e pastore – opera tarda di Tiziano, conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna – il pittore amava e ammirava le donne, la loro profonda essenza, la loro conoscenza intuitiva degli eventi universali del mondo. Sembra quasi che egli associ la forza creatrice femminile alla creatività artistica e che proprio a questo alluda il celebre motto della sua complessa ‘impresa’: «NATURA POTENTIOR ARS». Sembra che Tiziano abbia compreso appieno l’energia creativa della donna nel mondo. Come anche nelle opere di soggetto religioso, che tuttavia non sono state incluse nella mostra, coglie l’essenza della donna e il suo ruolo non solo nell’atto della procreazione ma anche come elemento fondamentale della vita sociale. La comprende nella sua


TIZIANO Ritratto di giovinetta, 1545 circa Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

TIZIANO e bottega Maria Maddalena, 1565 circa Stoccarda, Staatsgalerie Stuttgart

TIZIANO Giovane donna con cappello piumato, 1534-1536 circa San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage

TIZIANO Lucrezia e suo marito, 1515 circa Vienna, Kunsthistorisches Museum

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incontri

SYLVIA FERINO TIZIANO E L’IMMAGINE DELLA DONNA

forza positiva vista in tutte le sue declinazioni: dalla bellezza erotica seducente di una sposa promessa, alla forza divina e spietata di una Diana. Dalla familiarità quotidiana all’implacabilità dei personaggi mitologici. Forse Tiziano stesso ha inventato immagini di donne così belle e seducenti per accenderne la richiesta da parte dell’élite dei collezionisti. Questo sembra essere stato il caso della Bella degli Uffizi, della Donna in Pelliccia di Vienna e della Bella con il cappello piumato dell’Eremitage. Sappiamo che lui stesso offriva delle “Veneri” all’Imperatore e che fu lui a inventare le scene mitologiche, vale a dire le poesie, per Filippo II di Spagna, in cui le donne, dee o amanti degli dei, rivestono un ruolo fondamentale. Queste opere ben presto diventarono collectors items molto preziosi, mostrati solo a conoscitori scelti, come sappiamo che fu per certo per la Venere di Urbino, custodita gelosamente dal Duca Guidobaldo della Rovere nel guardaroba del Palazzo Ducale di Pesaro. Tiziano quindi rafforza il potere della donna, rispettandone sempre la dignità e l’aura divina. Verso la fine del secolo scorso, tuttavia, è stato accusato di aver provocato e imposto nei suoi dipinti un fenomeno di “erotizzazione” del femminile e, quindi, il dominio dell’uomo sulla donna-oggetto nell’arte. Alcuni studiosi pensavano, e pensano tuttora, che le sue figure femminili rivolte verso l’osservatore – peggio ancora se a seno nudo o seminudo – potessero essere invariabilmente identificate con delle cortigiane. Spesso, tuttavia, queste valutazioni si rivelano veri e propri pregiudizi legati a modelli di educazione di questi studiosi stessi. Considerando la composizione, l’idea che sottende la sua immagine delle donne, la loro personalità e la loro bellezza dal suo segno espresse, viene sempre più spendibile di decennio in decennio l’analisi critica opposta: nelle sue “belle” cariche di eros e poesia Tiziano visualizzava il potere delle donne sugli uomini e nelle composizioni mitologiche anche le passioni drammatiche che talvolta spingono gli dei ad agire in maniera spietata, come narrato ad esempio da Ovidio nelle Metamorfosi. Le nuove fonti, a cui oggi si fa riferimento, restituiscono un quadro assai più differenziato degli sguardi e dei gesti che osserviamo nei dipinti del Cinquecento. Il fatto che anche tra gli autori del catalogo della mostra vi siano opinioni divergenti dimostra vieppiù il fermento che regna nella ricerca su questo fronte. La Venezia del Cinquecento come laboratorio di un’evoluzione della raffigurazione femminile. Qual è la temperie culturale attorno all’unicità del fenomeno artistico tizianesco? Nel corso del Cinquecento furono stampati a Venezia una marea di testi sul tema della donna: trattati, dialoghi, romanzi e poesie scritti da letterati, umanisti e poeti, molti dei quali residenti anche per lunghi periodi in città, come Pietro Bembo, Jacopo Sannazzaro, Pietro Aretino, Benedetto Varchi, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e molti altri ancora. Iniziando con il sogno di Polifilo alla ricerca della desiderata Polifila attraverso un viaggio nei sogni più fantasiosi, nella famosa Hypnerotomachia Poliphili pubblicata nel 1499, si sviluppa nell’opera di Pietro Bembo, nella sua edizione del Canzoniere di Petrarca e nel suo famosissimo Gli Asolani – nel quale si discute delle varie forme d’amore –, l’attenzione per la figura femminile, amante-sposa-madre-cortigiana. Specialmente nella poesia, la sua bellezza e l’amore nei suoi confronti vengono esaltati e celebrati. Convinti che la pittura fosse superiore alla poesia nella rappresentazione della bellezza della donna, perché stimola il senso della vista collegato con quello del tatto che suscita il risveglio del desiderio erotico più immediato, i pittori gareggiavano nei loro 10

dipinti creando nuovi generi come il ritratto dell’eroina a mezza figura o la cosiddetta “bella veneziana”. Sembra possibile che l’immagine della donna forte, bella e sicura di sé, che Tiziano e i suoi colleghi pittori hanno creato nei loro dipinti, abbia in qualche modo incoraggiato le donne del Cinquecento nei loro approcci forti e decisi verso l’emancipazione, come viene chiaramente espresso nei loro scritti. Fra le poetesse-cortigiane si trova il modello Petrarca-Laura rovesciato: è lei, Gaspara Stampa, a desiderare Collaltino Collalto, il suo oggetto del desiderio. E nei loro dialoghi e in altri testi fondamentali delle “querelles des femmes”, il movimento protofemminista forse più importante prima dell’Ottocento, le donne difendono non solo sé stesse dalle accuse maschili, ma persino i loro accusatori, il tutto non senza una scintilla di raffinata ironia. Da cosa sono caratterizzate le “belle” donne nella pittura? Le “belle veneziane”, per lo più immagini a mezza figura di donne in atteggiamento più o meno ‘flirtante’ con l’osservatore, che giocano o con i propri capelli o con i gioielli, gli abiti, o rappresentate come dee, ninfe o eroine della storia antica o dell’antico testamento, assumono varie pose con diverse gradazioni assai distinte da quelle restituite dai ritratti “seri e ordinati”. Per il loro atteggiamento scarsamente rappresentativo, le “belle” venivano in passato considerate tutte come cortigiane. Fu argomentato che esse volessero attirare gli uomini interessati alle loro arti di seduzione. Il fatto che alcune di esse mostrino uno o entrambi i seni fu considerato una prova eloquente a supporto di questa interpretazione. Oggi, come nel passato, lo studio di queste prostitute di rango elevato è molto preferito a quello concentrato sulle nobildonne e cittadine, che non figuravano né in pubblico né negli atti processuali a differenza delle cortigiane, le quali correvano spesso il rischio di essere processate, come accadde a Veronica Franco, la più famosa, intelligente e socialmente sensibile di tutte le cortigiane veneziane. Nel tempo si è però anche consolidato un approccio critico che predilige un’attenzione per le donne reali della Venezia del tempo che, pur non rivestendo ruoli ufficiali nelle cerimonie o in altre occasioni pubbliche, erano in gran parte responsabili del funzionamento della vita sociale della città, occupandosi dei malati, dei poveri, dei vecchi nell’ambito di infinite iniziative caritative. Il tema se le immagini delle “belle veneziane” rappresentassero delle spose e se fossero commissionate dai rispettivi futuri sposi deve essere analizzato criticamente dipinto per dipinto: in molti casi troviamo attributi che sembrano confermarlo, come gli anelli gemelli, anelli di fidanzamento e altri consimili oggetti. In altri casi bisogna considerare che l’immagine di una bella ragazza presentata come sposa poteva anche costituire il soggetto di un’immagine di bellezza femminile ideale. Un altro elemento viene sempre dimenticato quando ci si addentra su questa intrigante lettura poliedrica della rappresentazione cinquecentesca della figura femminile, vale a dire quello di un’ambiguità di significato volutamente applicata, intesa a costruire una rappresentazione a più versanti di lettura. Questi dipinti di belle donne, giovani e per lo più bionde, in pose meno ufficiali e formali, sostituirono i ritratti realistici – comunque rari a Venezia – e sembra soddisfacessero soprattutto la “concupiscenza degli occhi”: le belle donne rivolgono lo sguardo – vivace, incoraggiante, oppure malinconico e sognante, o anche falsamente severo, a volte addirittura annoiato – in direzione dell’osservatore o deliberatamente


TIZIANO Ninfa e pastore, 1570-1575 circa Vienna, Kunsthistorisches Museum

TIZIANO Venere Marte e Amore, 1550 circa Vienna, Kunsthistorisches Museum

oltre; oppure si intrecciano i capelli, si aprono o sistemano i vestiti, o si fingono colte in un momento d’intimità. Vengono ritratte con le espressioni più varie, che riflettono diversi stati d’animo: timidezza, ritrosia, malinconia, mistero, pensosità, affettuosa disponibilità, allegria, fino a una leggera ambiguità, a una certa lascivia. Alcuni di questi ritratti sono stati specificamente studiati alla ricerca dei possibili collegamenti con il Canzoniere di Petrarca e le Rime di Bembo e così gesti, sguardi ed espressioni facciali sono stati messi in relazione con le corrispondenti descrizioni poetiche. Anche Giovanni Bonifacio, l’“enciclopedista” dei gesti, propose una suddivisione specifica per molti di questi dipinti. Le dame ritratte sono pienamente consapevoli del proprio fascino e carisma erotico e così dispongono dell’osservatore a proprio piacimento: incarnavano i sogni maschili ed effettivamente venivano dipinte da uomini per destare un sentimento di trasporto, auspicabilmente non solo nei destinatari del quadro. Aprire il cuore e mostrare il petto: da dove deriva questo gesto e cosa simboleggia? Con il titolo Apri il tuo cuore viene presentato un gruppo eterogeneo di dipinti veneziani in cui le donne espongono il seno in modi molto diversi. Enrico Maria dal Pozzolo vi dedica un breve saggio nel catalogo. In passato si riteneva che questi dipinti fossero ritratti di cortigiane, poiché questa esibizione sembrava incompatibile con le virtù di pudicizia e fedeltà richieste alle donne rispettabili. Grazie alla recente edizione da parte di Silvia Gazzola del libro di Giovanni Bonifacio L’Arte de’ cenni, una sorta di enciclopedia dei gesti, è stato invece dimostrato che, all’epoca, esibire il seno femminile non significava necessariamente trasgredire le convenzioni della moralità pubblica, come ritenevano gli storici e le storiche dell’arte del Novecento. Secondo questa nuova prospettiva di ricerca, quindi, la ricca letteratura dell’epoca indicherebbe esplicitamente il petto come porta dell’anima, spiegando che il seno veniva messo a nudo affinché il cuore potesse ricevere qualcosa di bello in generale e l’amore del promesso sposo in particolare. Una donna ritratta a seno scoperto poteva inoltre indicare il consenso al matrimonio, come spiegato nell’analisi del dipinto di Bernardino Licinio in cui viene raffigurata una giovane con il suo pretendente. Inoltre alcuni letterati del tempo, come ad esempio Ludovico Dolce, indicavano che il gesto di scoprire il seno poteva significare l’affermazione di un sentimento, come l’amore o la lealtà, che veniva direttamente dal cuore e sottolineato così nella sua sincerità. Una mostra di Veneri, Eroine, Sante. Ma all’epoca vi era spazio anche per la rappresentazione della donna ‘normale’? Come traspare dagli studi sulle donne a Venezia, e mi riferisco in particolare al libro importante curato da Tiziana Plebani Venezia città delle donne, e al saggio di Anna Bellavitis presente nel catalogo della mostra, il ruolo della donna reale nella Venezia del Cinquecento era di fenomenale importanza per la coesione del tessuto sociale. Pur non rivestendo ruoli ufficiali nella vita pubblica, le donne avevano una posizione privilegiata rispetto ad altre società d’Italia, anche grazie ad una legislazione specifica relativa alla dote, al testamento. Questi elementi sono alla base della loro presenza nella letteratura e nell’arte, soprattutto nella pittura: la donna normale costituisce il fondamento su cui i pittori elaborano le loro Veneri, Eroine, Sante e altre figure ancora. La molteplicità delle qualità e delle funzioni svolte dalle donne – allora come oggi – non è mai stata casuale e l’arte ne è in questo caso sublime testimone.

TIZIANO Venere e Adone, 1555-1557 Collezione privata

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incontri ANTONELLA MAGARAGGIA PRESIDENTE ATENEO VENETO

IL DIRITTO DI CONTARE Sono la prima, spero di non essere l’ultima Kamala Harris di Fabio Marzari

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on una storia di oltre due secoli alle spalle, nato nel

1812, l’Ateneo Veneto è la più antica Istituzione culturale veneziana in attività. Dopo una significativa presidenza a firma dell’ambasciatore Gianpaolo Scarante, per la prima volta nella sua lunga esistenza a guidare l’Ateneo è una donna, Antonella Magaraggia, magistrato, Presidente del Tribunale di Verona. Una brillante scelta che dimostra ancora una volta come l’Ateneo Veneto abbia rappresentato e rappresenti un punto fermo assai autorevole nella vita sociale di Venezia, alimentandone il dibattito e il confronto culturale, politico e sociale, mantenendo tuttavia una costante e forte apertura al mondo. L’Ateneo infatti persegue per statuto finalità di solidarietà sociale: il suo scopo è quello di cooperare allo sviluppo e alla divulgazione delle scienze, delle lettere, delle arti in ogni loro manifestazione, promuovendo lo studio di quanto abbia relazione con Venezia, con la difesa del suo patrimonio e con il benessere e la crescita sociale e culturale dei suoi abitanti. Tra i suoi soci, scelti per cooptazione, studiosi, accademici, imprenditori, politici e artisti che sono stati e sono protagonisti delle vicende culturali e sociali della città e dell’intero Paese: da Daniele Manin a Nicolò Tommaseo, da Alessandro Manzoni ad Andrea Zanzotto, da Pietro Paleocapa a Carlo Rubbia, da Antonio Canova a Emilio Vedova, da Riccardo Selvatico a Tina Anselmi. Nell’intervista che segue la presidente Magaraggia racconta con passione le linee guida di un programma che vuole essere un percorso significativo per l’Ateneo e per la città verso un futuro possibile. L’Ateneo Veneto ha compiuto da poco 210 anni e prosegue con grande slancio l’attività di istituzione culturale veneziana toccando vari fronti, aprendosi a più fasce di pubblico. Come si programma un calendario così ricco e come intende l’Ateneo catturare nuovi pubblici che rappresentino anche un cambiamento generazionale in grado di garantirne la continuità? La programmazione avviene in vari modi. Alcune iniziative sono promosse dal Presidente e dal Comitato di presidenza, in attuazione del programma quadriennale. Altre vengono suggerite dai soci. Tra questi si trovano delle vere e pro-

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prie eccellenze del sapere, che, spesso, propongono delle attività e ne seguono l’organizzazione, divenendo essi stessi protagonisti di eventi e incontri, o invitano altri relatori in quanto possono contare su una rete di relazioni sociali e professionali molto ricca. In altri casi, persone estranee all’Ateneo chiedono di poter realizzare degli eventi nel nostro Istituto, visto il prestigio di cui gode. Quanto ai giovani, non penso sia percorribile un cambio generazionale tout court, certamente non per pregiudizio verso di loro, ma perché, essendo i soci cooptati in relazione alle loro alte competenze, è inevitabile che abbiano una certa età. Le esperienze si maturano e solidificano in un arco temporale lungo il corso della vita. Io, comunque, non ho preclusioni: se ci sono eccellenze tra i giovani, troveranno posto all’Ateneo! Quello che fin da ora vorrei fare è cercare di coinvolgerli, non solo organizzando iniziative a loro rivolte, ma rendendoli protagonisti delle stesse. Al fine di garantire la continuità dell’Istituzione, mi piacerebbe che vi fosse una fruizione degli eventi più diffusa, che si allargasse nella maniera più composita possibile la nostra platea, intercettando pubblici diversi, proponendo argomenti attuali e in grado di suscitare interesse nei più svariati settori della società. L’intento è sempre quello di stimolare il pubblico, coinvolgendolo attraverso il confronto di varie esperienze, superando barriere generazionali o di argomenti da trattare, e puntando, comunque, sempre sulla qualità. Lei è un magistrato e presiede il Tribunale di Verona, ma ha mantenuto sempre un legame forte con Venezia. Sono nata a Belluno, ma vivo a Venezia da quasi quarant’anni. Mi definisco “una montanara scesa a valle”. Quanto alla mia professione, ho iniziato come pretore ad Adria, ma poi ho svolto praticamente tutta la mia carriera a Venezia, in Pretura, in Tribunale e al Tribunale per i minorenni. Mi sono occupata sia del settore penale che di quello civile. Lavoro a Verona da circa sei anni, ma continuo a vivere a Venezia. Mi permetta la facile, date le sue origini, metafora: lei è come i tronchi degli alberi che dalle foreste del Cadore arrivarono in Laguna e che rappresentano la base fondante della città. Proprio così! Ho seguito il percorso dei tronchi che crearono le fondamenta di Venezia e sono fiera che il mio Cadore, i boschi e le amatissime montagne abbiano contribuito alla creazione della città in cui ho scelto di vivere.


Senza cadere nella trappola delle questioni di genere, come mai sono serviti 210 anni per avere una donna a capo di un’istituzione culturale che storicamente ha sempre avuto un tratto progressista nella propria azione civile? La risposta è semplice: anche l’Ateneo ha seguito il corso della storia che ha registrato la difficoltà per le donne di raggiungere posizioni di vertice. La lotta per l’emancipazione è stata lunga e parlo proprio di lotta perché tale è stata. Un lungo, faticoso percorso che non è ancora terminato: sono ancora molte, troppe le diseguaglianze. Va, inoltre, evidenziato che, se c’è voluto molto tempo per ottenere una serie di diritti, basta poco per vederli nuovamente negati. I diritti delle donne sono, tutto sommato, di recente acquisizione e di per sé, quindi, fragili. Basta vedere cosa succede in diverse aree del mondo, dove non sono ancora riconosciuti o dove si è registrato un arretramento. Dobbiamo pertanto essere molto vigili e continuare la lotta, con la consapevolezza della strada percorsa, dei traguardi raggiunti, ma anche di quelli che devono essere ancora conseguiti. Sono stata e rimango femminista e a questi temi presto sempre la massima attenzione. Più che una questione di genere, faccio una questione di dignità di persona: io non amo le quote rosa, non le condivido, anche se comprendo le ragioni di chi le sostiene. Sono convinta che le scelte vadano fatte in base alla competenza e voglio pensare di essere diventata Presidente dell’Ateneo per questo e non per il genere. All’assemblea che mi ha eletta ho voluto citare quanto ha detto la Vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Kamala Harris: «Sono la prima, spero di non essere l’ultima». Intorno a noi abbiamo molte donne competenti, quanto e alcune volte più degli uomini, che, tuttavia, non vengono valorizzate a sufficienza. Venezia, luogo del mondo, sta attraversando il periodo complicato della pandemia con maggiore affanno rispetto ad altre realtà. L’endemica crisi di identità e di scarsità di abitanti fanno qui la differenza in negativo. Posto che non esistono formule magiche, cosa potrebbe, o meglio, può fare in concreto l’Ateneo Veneto per incidere in maniera significativa sulla coscienza collettiva cittadina contribuendo quindi al cambiamento? Nel mio programma ho evidenziato che oggi nuovi sono i parametri del vivere sociale: la maggior consapevolezza ambientale, l’affermazione del mondo digitale, le nuove frontiere della comunicazione. Venezia, per la sua morfologia urbana e per l’ambiente naturale in cui è inserita, può diventare un formidabile luogo di sperimentazione (si pensi solo alla possibilità del telelavoro) e trovare, forse, una soluzione ad alcuni dei problemi che da anni la assillano (la residenzialità, la creazione di nuovi posti di lavoro, il turismo, i servizi pubblici). Ovviamente le scelte politiche ed economiche competono ai nostri governanti, per cui quello che l’Ateneo può fare è continuare a essere luogo di dibattito alto sulla polis, sede di confronto culturale serio su vari problemi, anche scottanti, contribuendo, così, ad alimentare quell’humus culturale che può aiutare le scelte politiche. A volte, infatti, si ha la sensazione che queste siano fatte senza una conoscenza storica delle situazioni su cui si incide, in un’ottica di breve o medio termine e, quindi, non risolutiva. Non voglio attribuire al nostro Istituto più importanza di quella che ha, ma ricordo che qui, ad esempio, si lanciò l’idea di istituire l’odierna Cà Foscari. Una precisazione è d’obbligo: l’Ateneo, essendo un istituto culturale, deve affrontare i problemi con la dovuta terzietà e rimanendo sempre fedele alla sua gloriosa storia. La mia idea di agorà cittadina è questa: non esistono argomenti, anche i più spinosi, di cui non si possa parlare, ma deve essere assicurata la pluralità delle idee (da magistrato io sono abituata a garantire il contraddittorio) e il confronto deve essere corretto, contrariamente a quanto accade spesso nei dibattiti di questi tempi.

La sua Venezia. Nel mio immaginario di non veneziana la città rappresentava il sogno. Io ho voluto che quel sogno divenisse realtà e ho scelto di venire a vivere qui, per puro amore della città, non avendo, all’epoca, alcun legame con Venezia. Il mio impegno oggi è quello di combattere perché continui a rimanere una città reale, concreta, vivibile, perché Venezia non può esistere soltanto nell’immaginario, nei sogni, quasi fosse un’entità virtuale alla mercé di selfie e quant’altro. Per questo motivo ho voluto impegnarmi con l’Ateneo, così come a suo tempo mi sono impegnata come magistrato. Ho nei confronti della città un atteggiamento molto fanciullesco: mi stupisco sempre al suo cospetto, allo stesso modo in cui rimasi folgorata, più di cinquanta anni fa, la prima volta, quando, venendo da Belluno in treno, uscii dalla stazione. Questa città mi emoziona sempre. Non riesco a trovare un luogo che mi piaccia più di altri: tutta Venezia è luogo di elezione. Ogni volta la guardo come se fosse la prima. Mi piacerebbe tuttavia che ci si riferisse a Venezia non solo nella parte insulare, ma nella sua complessa articolazione che comprende la terraferma, dove attualmente vivo. La sua grande esperienza nel mondo della giustizia la avrà portata ad affrontare mille emergenze quotidiane. Questo elemento potrà essere di grande aiuto nella gestione delle complessità dell’Ateneo Veneto, il cui mantenimento è particolarmente oneroso in termini di responsabilità anche e soprattutto economiche. Quale la sua visione per un futuro sostenibile? Il mondo della giustizia vive da tanto tempo il problema della scarsità delle risorse, che ho avuto modo di percepire in prima persona appena entrata in magistratura, 40 anni fa. Un trend che permane e non fa che aggravarsi. Da quando ho assunto funzioni direttive sono abituata a gestire realtà complesse con pochi mezzi, tentando di utilizzarli al meglio. Metterò al servizio dell’Ateneo questa mia esperienza. Purtroppo anche per il nostro Istituto le risorse economiche rappresentano un capitolo problematico. Nell’ultimo decennio le entrate su cui potevamo contare si sono ridotte o, peggio, non esistono più. Far quadrare il bilancio ogni anno non è compito facile e ricordo il recente grido di dolore lanciato dal mio predecessore, l’ambasciatore Scarante, in piena emergenza Covid, quando fummo costretti a tenere chiuso per un certo periodo l’Ateneo. È la parte economica a crearmi le maggiori preoccupazioni come Presidente: siamo sempre in una situazione di equilibrio instabile. Che fare? Si devono cercare canali di finanziamento auspicabilmente sicuri, in quanto la stabilità economica è la base su cui poter impostare qualsiasi progettualità. Per il 2022 speriamo in un’entrata abbastanza significativa che viene dall’affitto di alcune sale, contiamo poi su finanziamenti che vengono assegnati da Comune, Regione e Ministero, sulle quote dei soci, sugli eventi che vengono ospitati, ma è davvero una partita molto difficile. Va altresì detto che le attività legate all’affitto degli spazi devono essere sempre vagliate per poter ospitare eventi di qualità. Noi non siamo sul mercato come qualsiasi altro soggetto privato proprietario di immobili di pregio. Le attività dell’Ateneo, siano esse organizzate da noi o da altri, devono sempre rispondere all’identità culturale della nostra istituzione. Quale personaggio o quale evento vorrebbe poter ospitare a San Fantin nell’ambito del proprio mandato? Non ho un nome preciso in testa. Mi piacerebbe poter ospitare un giovane scienziato o una giovane scienziata, una grande figura politica internazionale, un attore o un’attrice di fama. Io ci metto il mio impegno e qualche sorpresa è certamente in cantiere... ateneoveneto.org

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Intervista Federico Buffa

OSTINATAMENTE FRAGILI Ci troviamo al cospetto di due autentiche icone del nostro Paese. Due liberi pensatori assoluti, che pur essendo simboli della propria epoca la trascendono con la propria inconfondibile forza espressiva di Massimo Bran

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na sola notte, sì, che altro? Che serve di più per fermare il tempo nella sua prospettiva pressoché eterna, quando a incontrarsi in quelle ore buie in una città di mare, in un porto aperto, sono due anime altre, per vocazione, professione, destino, eppure specchiate, e per questo reciprocamente attratte da un certo quid comune, da una disposizione pudica, guardinga che accomuna entrambi nel regolare il termometro della propria interiorità vulcanica? Gigi Riva e Fabrizio De André, che appena li nomini vai subito ai solchi vissuti dei loro volti, segnati da vite fragili, sì, e tenaci, timide e raggianti. Due persone, due icone, due leggende, diciamolo pure senza alcun eccesso retorico, che procedono entrambi esistenzialmente ad andatura alternata, seduti allo stesso tavolo per un lampo, in un raggio di luce notturna che ancora brilla, a intermittenza, negli anni. A rinfocolarla quella notte fonda e luminosa del 14 settembre 1969 sono oggi il nostro amatissimo Federico Buffa e Marco Caronna, che di questa imperdibile narrazione teatrale in scena il 18 marzo al Gran Teatro Geox di Padova, Amici Fragili, è il regista. Buffa, inutile ricordarlo, è colui il quale in questi ultimi 10, 15 anni ha saputo rinverdire e riattualizzare come nessun altro la grammatica della narrazione affabulatoria attorno alle gesta dello sport, fonte privilegiata per antonomasia a cui attinge da sempre l’universo emotivo popolare. In questi anni ha raccontato tutte le icone del Novecento e oltre, da Alì (nostra Guida Spirituale, non scordiamocelo mai…) a Diego, dall’immenso e visionario architetto cartesiano

Johan Cruyff alla di gran lunga più bella figura umana in movimento aereo che si sia mai avuto modo di vedere nel pianeta terra, Michael Jeffrey Jordan. Ma non solo gli imprescindibili ha saputo raccontare con quell’inconfondibile stile fatto di un mix tra calibrata costruzione narrativa, afflato epico, approfondimento delle fonti, tensione agiografica ai confini con la retorica, sempre gagliardamente domata, mirabile verve musicale. No, ha saputo guardare come pochi altri anche lateralmente, obliquamente, pescando storie, uomini, terre di sport magari non necessariamente epicentriche, ma sempre drammaturgicamente intriganti, emozionanti, sempre restituenti tensioni, suggestioni, tracce di vita oltre il mero dato sportivo. Ma soprattutto sempre connettendole allo zeitgeist, allo spirito dei tempi in cui queste storie si consumavano. Insomma, Federico Buffa ci strapiace proprio, sì, e lo diciamo senza alcuna remora enfatica. Ci piace perché solletica quella tensione a respirare le emozioni vivide di imprese e persone come se fossero il riflesso di ciò che mentalmente ci piace percorrere e vivere giorno per giorno, per combattere la arida prosa del quotidiano. E lo fa maledettamente bene. Poi Faber & Giggirrivvva!!! Ma chi se li perde?? A te Federico. Genesi narrativa di un incontro fragile e notturno Nel 2020 ho collaborato con Sky alla realizzazione di un documentario celebrativo dello scudetto del Cagliari, di cui ricorrevano i cinquant’anni, e ovviamente mi ero soffermato su uno dei protagonisti indiscussi di quella e


AMICI FRAGILI È il 14 settembre del 1969, dopo una partita a Marassi di un Cagliari che proprio quell’anno avrebbe vinto l’unico, storico scudetto. Gigi Riva va a trovare Fabrizio De André nella sua casa di Genova. Sembra un incontro tra due mondi lontanissimi e invece, nel silenzio che caratterizza la prima parte della serata, scorrono i pensieri di due randagi che, in campi e in modi diversi, hanno sempre scelto di stare dalla parte degli altri randagi. Amici fragili 18 marzo Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com

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tracce FEDERICO BUFFA AMICI FRAGILI

di altre imprese ancora: Gigi Riva. In quell’occasione accennai all’incontro avvenuto tra lui e Fabrizio De André, figura che aveva avuto un’enorme influenza sulla vita del calciatore, in particolare a causa di una canzone a dir poco sofferta di Faber, quella Preghiera in gennaio da lui scritta di getto di ritorno dal funerale di Luigi Tenco, cantautore che sin dal suo primo apparire aveva colpito profondamente la sensibilità di Riva, che poi sulla sua vicenda artistica ed esistenziale dall’esito drammatico raccolse materiale lungo tutto l’arco della propria vita. Così come sulla parabola breve ed emozionante di Lorenzo Bandini, grande pilota Ferrari di Formula 1 scomparso giovanissimo in un incidente di gara alla fine degli anni ’60. Del resto è nota la passione del bomber per i motori rombanti; da buon alfista fece correre brividi a più di un compagno, non ultimo al grande Bonimba (ndr. Boninsegna) nella sua breve permanenza a Cagliari a suo fianco al centro dell’attacco di quella leggendaria squadra. Tenco e Bandini, ossia due comete folgoranti e liminali, che dicono molto della disposizione del Nostro a correre sul filo esile della vita. Quando accennai a questo incontro con il grande cantautore genovese durante il documentario di Sky, Marco Caronna, regista dello spettacolo, rimase incredulo, per poi immediatamente rimanere rapito dalla teoria di suggestioni che un simile incrocio tra due icone così originali, uniche direi, suscitava. Decidemmo già da allora, quindi, che se fossimo riusciti a strutturare uno spettacolo credibile attorno a questo incrocio quasi epifanico non ci saremmo fatti sfuggire in nessun modo l’occasione di metterlo in scena. Le premesse peraltro erano più che buone alla luce della nostra oggettiva complementarietà sul tema: lui fan sfegatato e gran conoscitore di De André, io di Gigi Riva. I silenzi, il fumo, le parole che servono La pièce abbiamo deciso di dividerla in scena in 11 quadri, come quell’11 che il fuoriclasse lombardo fattosi sardo aveva stampato sul lato schiena della sua casacca rossoblù, in ciascuno dei quali dialogano tra loro una parte musicale ed una recitata. Lo spettacolo termina con la ‘gara’ tra la maglia di Riva e la chitarra di Faber. L’incontro avvenne nella tarda estate del 1969, dopo una partita che Riva giocò contro la Sampdoria a Marassi. Di quella notte in realtà non sappiamo molto, ma abbastanza da esserci potuti permettere di immaginare una storia. Viene facile pensare, e così pare sia andata per davvero, che all’inizio abbiano fumato e bevuto whisky di gran carriera, scrutandosi in lunghi e silenti piani sequenza introspettivi, studiandosi a dovere, per poi iniziare lentamente a sciogliersi pronunciando parole vere, materia solida, lontane mille miglia da qualsivoglia discorrere in fraseggi di circostanza. Si soffermarono in particolare su chi più avesse artisticamente ispirato De André, naturalmente su tutti Georges Brassens. L’essenza irriducibilmente comune di due sfingi palpitanti I punti di convergenza tra questi due caratteri, tra queste due persone vere e fonde sono assai maggiori di quanti ne potremmo anche solo superficialmente immaginare. Due personalità introverse con più tratti davvero affini che cercheremo di evidenziare nello spettacolo, non ultimo il fatto di essere a tutti gli effetti “sardi per elezione”, cosa di sicuro non comune per chi non lo è di nascita. Sia Riva che De André trovano infatti in Sardegna la propria dimensione ideale, sia dal punto di vista esistenziale che artistico; sì, perché anche il sinistro di Gigi era arte, mi pare dato inconfutabile. Sono entrambi chiusi verso l’esterno 16

ma allo stesso tempo dotati di una forza interiore fuori dal comune, che attraverso il proprio linguaggio espressivo si palesa, travolgente e inarrestabile. Riva è attratto terribilmente da Preghiera in gennaio, tanto da definirla “la più bella cosa mai scritta sull’amicizia”. Ascolta il pezzo in maniera quasi ossessiva e quando il suo ex compagno di squadra Ferrero, appena passato dopo una stagione in Sardegna al Genoa, di cui Faber era accesissimo tifoso, gli prospetta la possibilità di incontrare dal vivo l’autore del pezzo, beh, a Gigi non pare vero. Direzione nord-mare-sud, ostinata e contraria Tutto lo spettacolo ruota attorno a Preghiera in gennaio e al tema dell’acqua, assolutamente centrale; si tratta degli elementi che uniscono tutti gli 11 quadri della rappresentazione. Io e Marco Caronna ci siamo approcciati a questo spettacolo come due continentali che vanno a parlare della Sardegna ai sardi, il che non ditemi che non richieda un certo sfacciato coraggio, e però aiutati in questa temeraria sfida da una luce assoluta e contemporanea di questa magica isola, quel Paolo Fresu, senza se e senza ma tra i più grandi trombettisti jazz dell’universo mondo, che in scena ci regala uno dei suoi strepitosi assoli. Insomma, lo spettacolo cerca di restituire un’identità mediterranea dai tratti contrastanti esattamente come lo sono i personaggi che vi si raccontano: mari aperti e incroci quotidiani di vite e di destini, quindi disposizione naturale verso l’altro, ma al contempo anche pudore, introversione, una certa sana diffidenza verso le cose e le relazioni facili, decisamente tratti nordici questi. Credo che questo doppio binario caratteriale e di mentalità sia davvero il tratto che apparenta queste due straordinarie figure della cultura e del costume


Federico Buffa è un giornalista e telecronista sportivo. Oltre alla sua attività di telecronista di basket e commentatore sportivo, ha condotto alcune trasmissioni antologiche sempre a tema sportivo, nelle quali ha dimostrato – secondo Aldo Grasso – di «essere narratore straordinario, capace di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni» in possesso di uno stile avvolgente ed evocativo.

re, magari delle tanto amate sigarette… Una figura perfetta per una canzone di Fabrizio! Ci troviamo al cospetto di due autentiche icone del nostro Paese. Due liberi pensatori assoluti, che pur essendo simboli della propria epoca la trascendono con la propria inconfondibile forza espressiva.

del nostro Novecento. Per cui va da sé, di conseguenza, che in scena si respiri netto l’omaggio innanzitutto alla Sardegna, ma al contempo anche alle terre di origine dei due, in particolare Genova, che è davvero, forse con Trieste, la più nordica, al netto dell’evidente dato geografico, tra le città mediterranee. Tra l’altro, concedetemi la parentesi personale, un luogo a cui io stesso sono legatissimo, essendo la città di origine di mio padre. Assonanze e dissonanze con un’età livida e febbrile De André e Riva sono molto rappresentativi della loro epoca, però mai schiacciati sulla dimensione biecamente stereotipata degli anni ‘60-’70, quella collettivistica per intenderci, che per troppo tempo ha mal sopportato individualità fuori dal coro e “deviazioni”. Ecco, diciamo che, ovviamente fatte le debite distinzioni tra i rispettivi tragitti esistenziali, professionali ed espressivi, i due hanno anche qui vissuto un percorso contrastato: da un lato figli totali del loro giovane tempo, delle passioni e delle tensioni culturali, sociali e politiche di quegli anni, dall’altro lato l’insofferenza a conformarsi a qualsivoglia cliché, credo, etichetta. Insomma, Faber era un vero anarchico, si sa, Riva probabilmente altrettanto, pur senza apertamente dichiararlo. Ciò che di De André colpisce subito Riva è naturalmente la qualità dei suoi testi, poesie più che canzoni. Altro aspetto che Riva apprezza intimamente di De André è il suo parlare di chi staziona appena fuori dal cono di luce della storia. Un’attenzione, una disposizione affabulatoria che incontra in pieno la sua sensibilità, la sua propensione per i confini non necessariamente e meramente geografici della vita. Se solo pensiamo, del resto, che era davvero convinto che se non avesse fatto il calciatore il suo destino sarebbe stato quello di contrabbandie-

Il rapporto ‘educativo’ e sentimentale con due icone Parliamo di due figure imprescindibili, da far apprezzare anche e soprattutto a chi non li ha mai potuti vedere dal vivo. De André, così come un Lucio Dalla o un Pino Daniele o moltissimi altri protagonisti della canzone d’autore, gode ancora oggi di una visibilità, o meglio, di una ascoltabilità che non conosce davvero crisi, grazie sicuramente ai passaggi radio che non scendono mai di frequenza, anzi. Viceversa, purtroppo, tanti ragazzi italiani e stranieri non hanno idea di che giocatore fosse Gigi Riva. Stiamo parlando di colui il quale ancora oggi risulta essere il miglior marcatore della storia della Nazionale, con 35 gol in 42 presenze, assieme a Maldini e Valentino Mazzola a mio parere il giocatore più forte che il nostro Paese abbia mai avuto. A Riva sono, per affinità anche elettive certo, lo sport è il mio pane, ma direi soprattutto per ragioni geografiche, di heimat, più legato “educativamente”. La mia infanzia e la mia prima adolescenza sono state segnate vividamente dalle sue fisiche apparizioni… Ho passato le prime 13-14 estati della mia vita a Sangiano, paesino vicino al Lago Maggiore a due passi da Leggiuno, paese natale del fuoriclasse ‘cagliaritano’. Ricordo come fosse ora la gioia nel venire a sapere che Gigi sarebbe tornato alla sua casa natale per passare le vacanze estive! Inforcavo la mia bici Legnano e correvo sotto casa sua ad appostarmi, aspettando che si affacciasse al balcone, per poterlo vedere anche solo un secondo. Da incallito fumatore si affacciava spesso, non mi faceva mai aspettare troppo. Insomma, per noi ragazzini, e non solo, era davvero più di un mito. Quando abbiamo fatto lo spettacolo in Sardegna ci siamo indirettamente sentiti, tramite amici, e ho saputo che non era venuto a vederlo perché troppo coinvolto emotivamente dalla cosa. Si è però fatto recapitare la registrazione per non perderselo. Ho avuto la promessa di potergli parlare quest’estate, quando torneremo in Sardegna. Chissà che da questo incontro possa nascere qualche altro progetto, magari… Raccontare in scena, raccontare sul piccolo schermo. La scelta di Federico Scelgo il teatro, tutta la vita! La televisione è un medium per forza di cose più freddo, dove si lavora anche 6-7 ore per realizzare una ventina di minuti di programma. A teatro il pubblico sente il mio respiro ed io il suo; lo stato d’animo che di volta in volta porto sul palcoscenico rende ogni recita unica e irripetibile, per me di sicuro e spero anche per chi viene a vedermi. In questo spettacolo ho delle parti recitate piuttosto impegnative, la durata stessa non lo rende propriamente una passeggiata. Non sono sicuro di esserne all’altezza, ma sono certo di volerci mettere davvero tutto me stesso. Come e più di sempre! 17


NUOVOMONDO Il latte dei sogni descrive un mondo magico nel quale la vita è costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé

arte

Cecilia Alemani

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di Mariachiara Marzari

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mondo (2006) in cui i protagonisti vestiti di tutto punto si trovano immersi in un mare bianco, un mare di latte che li avvolge fino al collo, lasciando libere solo le loro facce stupite ma contente. Questa immagine mi è tornata in mente, fissandosi come una sensazione fisica e mentale, quando nella Sala delle Colonne a Ca’ Giustinian, sede della Biennale di Venezia, stavo ascoltando l’incontenibile energia profusa dalle parole e dai gesti di Cecilia Alemani, curatrice della 59. Mostra Internazionale d’Arte dal titolo Il latte dei sogni tratto dal libro di favole di Leonora Carrington (1917–2011), in cui l’artista surrealista descrive un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé. Ecco, Il latte dei sogni è stato un risveglio atteso, dolcissimo, e al contempo energizzante dal torpore dell’attesa di questi due anni: Biennale Arte ci sarà, aprirà il 22 aprile (dal 19 le vernici) e con essa innumerevoli altre incredibili mostre ‘occuperanno’ Venezia (vedi preview). Cecilia Alemani ha dato la scossa, ha raccontato punto per punto la sua Biennale, avvolgente proprio come un bicchiere di latte caldo prima di andare a letto, dicendo molto ma solo per lasciare alla nostra immaginazione la possibilità di volare tra le parole e le immagini, per prepararci a un viaggio che si sta definendo meraviglioso, sospeso tra passato (le tracce dei Maestri dall’Ottocento al Contemporaneo saranno capsule spazio-temporali in cui immergersi), il presente dell’inquietudine e dell’incertezza e il futuro, che viene immaginato alla Blade Runner (eccoci ancora con una citazione cinematografica), dove il corpo è un veicolo in trasformazione per la mente. La sua idea di mostra in effetti ha scatenato negli artisti un processo di metamorfosi, una consapevolezza da manifestare, un immaginario che definisce i corpi e le menti, traghettandoci verso il futuro. La mostra nasce infatti dalle numerose conversazioni intercorse tra la curatrice e molte artiste e artisti in questi ultimi mesi. Da questi dialoghi sono emerse con insistenza molte domande che evocano non solo questo preciso momento storico, in cui la sopravvivenza stessa dell’umanità è minacciata, ma riassumono anche molte altre questioni che hanno dominato le scienze, le arti e i miti del nostro tempo. Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il nonumano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del Pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi? Le risposte saranno offerte da 213 artiste e artisti provenienti da 58 Nazioni, di cui 26 italiani, 180 prime partecipazioni nella Mostra Internazionale, 1433 opere e oggetti esposti, 80 nuove produzioni. Il ricorso alle suggestioni surrealiste non è una cartina di tornasole, ma è più un manifesto; espressione dell’analisi lucida dell’Alemani della radice stessa del suo manifestarsi, quei tempi indecifrabili che offrono l’occasione per guardarsi alle spalle e dentro noi stessi per ridisegnare il “Nuovomondo” o, per essere più puntuali, per immergersi nel “reincantesimo del mondo”, condividendo la filosofa femminista di Silvia Federici, mescolando saperi indigeni e mitologie individuali, in modi non dissimili da quelli immaginati da Leonora Carrington. www.labiennale.org

Cecilia Alemani - © Catherine Cordasco | Illustration

’è una scena nel film di Emanuele Crialese Nuovo-

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here’s a scene in Emanuele Crialese’s film Nuovo-

mondo, “new world”, in which the protagonists find themselves immersed in a white sea of milk, which wraps them up leaving only their astonished and happy faces out. This image came back to my mind as a physical and mental sensation while attending the overwhelming energy released by the words of curator Cecilia Alemani during her presentation of The Milk of Dreams. The title she has chosen for the upcoming Art Biennale comes from Leonora Carrington’s fairytale book by the same name, in which the Surrealist artist describes a magical world where life can constantly be re-imagined and where people are allowed to change and transform themselves into someone or something else. In her very comprehensive presentation, Cecilia Alemani let us step into “her” Biennal just like into a glass of warm milk before going to bed. She said much and enough to let our imagination dive through words and images, preparing us for a journey full of wonders. Suspended between past and present, and definitely urging into a Blade Runner-like future (a cinematographic hint, once again), visitors will encounter constellations of nineteenth century artworks clustered together in five special time capsules, that will provide additional tools of investigation and a web of references to the pieces by contemporary artists in the surrounding space. The Milk of Dreams stems from the many conversations that have taken place between the curator and many artists in recent months. Many questions have insistently emerged from these dialogues, evoking not only our present, a time in which the very survival of humanity is threatened, but also highlighting a need to investigate some of the issues that have been dominating our attention in the fields of science, arts, and myths. How is the definition of the human changing? What constitutes life, and what differentiates plant and animal, human and non-human? What are our responsibilities towards the planet, other people, and other life forms? And what would life look like without us? Answers to these questions will be provided by 213 artists from 58 countries. More than 180 of these artists have never been in the International Art Exhibition until now, and a majority of them are women and gender non-conforming artists. 1433 pieces of art will be exhibited, 80 of which are new productions. Looking back at Surrealism is apparently not a mere litmus test. In a sort of fresh manifesto, the suggestions brought about by one of last-century’s most impressive and hard-to-decipher art movements offer the opportunity to look behind and within ourselves to redesign a brand new world.

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BIENNALE ARTE 2022

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a cura di Marisa Santin

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1. PADIGLIONE ITALIA / Gian Maria Tosatti

2. PADIGLIONE GERMANIA / Maria Eichhorn

3. PADIGLIONE ISRAELE / Ilit Azoulay

4. PADIGLIONE OLANDA / Melanie Bonajo

Per la prima volta un unico artista rappresenterà il nostro Paese alla Biennale di Venezia. Scelto dal curatore Eugenio Viola, Gian Maria Tosatti (1980; vive e lavora tra Napoli e New York) è anche giornalista e scrittore, editorialista fra gli altri per «Artribune» e «Il Corriere della Sera». Artista visivo e concettuale, il suo lavoro è incentrato sullo studio dell’identità dell’uomo e si sviluppa principalmente attraverso la costruzione di grandi installazioni ambientali che possono arrivare a coinvolgere un’intera città, come accaduto a Napoli fra il 2013 e il 2016 con il progetto Sette stagioni dello Spirito.

L’artista tedesca (Bamberga, 1962; vive a Berlino) definisce il progetto che presenterà a Venezia «un’opera accessibile, che può essere esperita sia a livello concettuale sia in loco, a livello fisico e in movimento». La sua produzione artistica sfida spesso le forme commerciali, impegnandosi in azioni dirette che sovvertono la logica delle istituzioni con un approccio quasi processuale. Sotto accusa sono le incongruità e le falle dei sistemi economicopolitici che controllano valori come il lavoro, il tempo, le libertà individuali e sociali.

Basate su ricerche e indagini rigorose, le composizioni di Ilit Azoulay (Jaffa–Tel Aviv, 1972; vive e lavora a Berlino) – un misto di fotografia, elementi architettonici, suono, video e performance – integrano dati acquisiti e narrazione, alterando prospettive fotografiche per svelare immagini invisibili e nuovi punti di osservazione per lo spettatore. Con Queendom, il progetto per la prossima Biennale, l’artista spinge la riflessione sul concetto di sovranità dell’arte, mentre già il titolo sembra indicare un rovesciamento di consuetudini prestabilite, a partire da quelle lessicali.

Il campo di attenzione di Melanie Bonajo (Herleen, 1978; vive e lavora tra Amsterdam e New York) è la mutevolezza delle relazioni fra esseri umani in rapporto all’ambiente circostante. Negli spazi sconsacrati della chiesetta della Misericordia (mentre il Padiglione olandese ai Giardini è temporaneamente affidato all’Estonia), l’artista realizzerà un’opera immersiva di video-arte che pone al centro i sensi, in particolare il tatto, per una riflessione sul significato di intimità. In un periodo in cui la pandemia ha negato la vicinanza, i sentimenti e il contatto fisico diventano forme di resistenza.

Based on rigorous research, Ilit Azoulay’s (b. 1972) art is a mix of photography, architecture, sound, video, and performance. It integrates data with narration and alters photographic perspectives to reveal formerly invisible images and new points of view for the audience. Queendom is a series on the concept of sovereignty in art.

For Melanie Bonajo (b. 1978), attention fields identify with the mutability of human relationships. With the main Dutch Pavilion at Giardini being rented to Estonia, Bonajo’s exhibit will be installed at Chiesetta della Misericordia, an immersive video art project that will use our senses, especially touch, to reflect on the meaning of intimacy.

For the first time, a single artist will represent Italy at the Art Biennale. Curator Eugenio Viola chose Gian Maria Tosatti (b. 1980), a journalist and author as well as visual and conceptual artist. His art focuses on human identity and consists mainly of large installations, some as big as a whole city (Sette stagioni dello Spirito, 2013-2016).

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The German artist (b. 1962) defines her Biennale project as “accessible art that can be experienced at conceptual and physical levels”. Her art challenges current commercial trends and are often in the form of direct actions that subvert extant institution in quasi-procedural fashion.


La Mostra propone un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano Cecilia Alemani

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5. PADIGLIONE SÁMI (Paesi Nordici)/ Pauliina Feodoroff, Máret Ánne Sara, Anders Sunna «La trasformazione del Padiglione dei Paesi Nordici nel Padiglione Sámi è un atto di sovranità indigena». Così l’OCA-Office for Contemporary Art Norway ha commentato la decisione di affidare il progetto per la prossima Biennale a tre artisti sámi, ovvero originari dello Sápmi, riconoscendo di fatto come un’entità unitaria la vasta area geografica che si estende tra Norvegia, Svezia, Finlandia e la penisola russa di Kola. Oltre a diffondere storia e cultura della popolazione nativa, l’esposizione tratterà temi urgenti quali l’impatto dei cambiamenti climatici e le prospettive di decolonizzazione. “The transformation of the Nordic Pavilion into the Sámi Pavilion is an act of indigenous sovereignty”, says the Office for Contemporary Art of Norway, who entrusted the Pavilion to Sámi artists (from the polar region of Norway, Sweden, Finland, and Russia) and their project on climate change and decolonization.

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6. MARLENE DUMAS open-end Palazzo Grassi 27 marzo-8 gennaio 2023

Curata da Caroline Bourgeois in collaborazione con l’artista stessa, open-end raccoglie oltre cento opere di Marlene Dumas (Città del Capo, 1953; vive e lavora ad Amsterdam) che includono dipinti e disegni dagli anni ‘80 ad oggi e realizzazioni più recenti. Ispirandosi a immagini tratte da giornali, riviste, fotogrammi cinematografici o polaroid scattate personalmente, Dumas si concentra sulla rappresentazione dell’essere umano alle prese con i paradossi delle emozioni più intense, toccando temi quali l’amore e la morte, le questioni di genere e razziali, l’innocenza e la colpa, la violenza e la tenerezza. Curated by Caroline Bourgois, open-end is a collection of over 100 pieces by Marlene Dumas, including paintings and drawings from the 1980s and more recent pieces. Dumas takes inspirations from newspapers, magazines, movie stills, and instant photographs to depict the paradoxes of human emotions.

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7. SURREALISMO E MAGIA La modernità incantata Peggy Guggenheim Collection 9 aprile-26 settembre

Il concetto di artista come alchimista, mago, visionario e il legame fra arte ed esoterismo sono al centro di questa ampia rassegna su uno dei movimenti artistici più emblematici del secolo scorso. L’immaginario potente e simbolico scandagliato dai surrealisti, qui raccontato attraverso una sessantina di opere, ci conduce nella dimensione dell’inconscio e dell’irrazionale, in un percorso che parte dall’approccio metafisico di Giorgio De Chirico per arrivare fino all’iconica Vestizione della sposa di Marx Ernst. La mostra include, fra gli altri, opere di Salvador Dalí, René Magritte, Paul Delvaux, Leonora Carrington e Yves Tanguy. The concept of the artist as an alchemist, a sorcerer, and a visionary and the relationship between art and exotericism are the focus of this large collection of art on one of the most important currents of the twentieth century. The powerful symbolism of surrealist art takes us to the dimensions of the unconscious and the irrational.

8. PERSONAL STRUCTURES Reflections ECC – Palazzo Bembo, Palazzo Mora, Giardini della Marinaressa 23 aprile-27 novembre

La sesta edizione della rassegna di arte contemporanea promossa da European Cultural Centre (ECC) ruoterà attorno all’idea di reflections, “riflessioni”, intese sia come immagini create da una superficie specchiata, sia come idee e pensieri derivati dalla meditazione. Allo stesso modo le opere proposte rifletteranno le opinioni dei circa 200 partecipanti – artisti e istituzioni accademiche – provenienti da diverse nazioni e background. Secondo la linea curatoriale, l’atto della riflessione apre al confronto e ad un’idea di arte fruibile da chiunque, portando con sé i presupposti per immaginare e progettare un futuro migliore. The sixth edition of the European Cultural Centre programme on contemporary art will be all about the idea of reflections, both as mirrored images and as ideas and thoughts. Accordingly, the art exhibited will reflect the opinions of about 200 participants – artists and academics – of different backgrounds.

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arte

DIRETTORE ACCADEMIA BELLE ARTI VENEZIA

L’esperienza del bello Intervista Riccardo Caldura L’Accademia di Belle Arti di Venezia ha una storia antichissima. Nasce il 24 settembre 1750 per volontà del Senato veneto come “Veneta academia di pittura, scultura e architettura”. Il suo primo Statuto risale al 1756. Diviene “Accademia Reale di Belle Arti” nel 1807 e si trasferisce nei locali, ormai non più adibiti al culto, del convento, chiesa e scuola di Santa Maria della Carità. Con i lasciti e le donazioni, nel tempo, alla Scuola si affianca un vero e proprio museo che viene scorporato nel 1879 per dar vita alla ricchissima collezione delle Gallerie. Un prezioso Fondo storico, nel tempo implementato, resta patrimonio dell’Accademia, accessibile al pubblico e oggetto di un complesso lavoro di riordino e catalogazione. Le esigenze della Scuola richiedono invece successivamente, pochi anni fa, un nuovo cambiamento di sede, con il trasferimento nel complesso sansoviniano dell’ex Ospedale degli Incurabili, grande edificio cinquecentesco (circa 8.000 mq) alle Zattere. Il primo Presidente dell’Accademia fu Giambattista Tiepolo. L’Istituzione si è poi negli anni sempre contraddistinta per il profondo legame con i grandi protagonisti dell’arte che qui hanno insegnato o che hanno esercitato il loro influsso. Tanti i nomi di prestigiosi artisti legati alla sua storia, come ad esempio Antonio Canova, Francesco Hayez, Luigi Nono, Guglielmo Ciardi e poi Ettore Tito, Guido Cadorin, Bruno Saetti, Virgilio Guidi, Arturo Martini, Alberto Viani, Carlo Scarpa, Afro, Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova. L’Accademia veneziana continua a confermare il suo prestigio nel panorama internazionale grazie alla sua secolare tradizione culturale e formativa, alle sue eccellenze, alla ricchezza degli ambiti disciplinari, rimanendo ancorata alla tradizione e al tempo stesso protesa verso tutte le novità legate alla ricerca artistica della modernità e della contemporaneità. Lo scorso anno è stato eletto direttore Riccardo Caldura, veneziano, che dal 1994 insegna qui Fenomenologia delle arti contemporanee e tiene il corso di Beni culturali dell’Età contemporanea. Laureato alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Venezia, Caldura ha affiancato la sua intensa attività di curatore e di critico d’arte a quella della ricerca e dell’insegnamento. Ha lavorato molto all’estero tra Salisburgo, Vienna e Monaco. Dal 1996 ha organizzato mostre, seminari, convegni per il Comune di Venezia, divenendo direttore artistico della Galleria del Contemporaneo di Mestre e seguendo anche il Centro Culturale Candiani, con più di trenta mostre all’attivo. Grazie alle sue competenze, alla sua conoscenza dell’arte, Caldura ha approfondito e analizzato il rapporto fra arte e tecnica, fra parola e immagine, addentrandosi nello studio di figure chiave dell’arte novecentesca, tra le quali quelle di Hugo Ball, Marcel Duchamp, Gerhard Richter. Ha pubblicato vari saggi e collaborato con riviste d’arte. Lo incontriamo in Accademia per tracciare un bilancio della sua attività e per conoscere i prossimi progetti a cui sta lavorando. Come si configura la sua nuova esperienza di Direttore? Lavoro in Accademia da diversi anni e ho svolto reiteratamente il ruolo di consigliere accademico, dunque anche prima di accingermi ad assumere l’incarico di Direttore avevo conoscenza dell’Istituzione per lo sviluppo e la crescita della quale mi sarei impegnato. Tuttavia una cosa è essere docente o ricoprire qualche incarico accademico, altra è svolgere l’attività di Direttore. È un lavoro particolarmente intenso che 22

richiede dedizione e tempo per esser svolto adeguatamente. Il periodo che stiamo attraversando e la sua eccezionalità ha significato e significa tuttora prestare particolare attenzione per come continuare a svolgere attività didattica in presenza, fra misure di sicurezza, controlli, capienza dimezzata degli spazi, ecc. Il mio obiettivo è fare il possibile per salvaguardare l’attività laboratoriale, la più difficilmente sostituibile da modalità online. Tale periodo è coinciso peraltro con una fase di cambiamenti profondi nel settore dell’Alta Formazione Artistico Musicale (AFAM), cui appartengono le Accademie, i Conservatori e le ISIA. Abbiamo chiuso da poco le fasi legate all’ampliamento degli organici, dopo decenni di completo immobilismo. Un ampliamento che per l’Accademia prevede diciannove nuovi docenti in organico, in particolare nel settore delle discipline delle Nuove Tecnologie dell’Arte, e otto posti nel settore tecnico-amministrativo, necessari per poter affrontare i diversi cambiamenti in atto. Altro grande tema caldo è la ricerca di nuove sedi dove svolgere e sviluppare la nostra didattica. In questo senso, per quel che mi riguarda, la strada è chiara: definire con più precisione la presenza dell’Accademia nell’area di Forte Marghera e puntare sulla ricerca di spazi nel centro storico possibilmente non distanti dalla sede centrale, per confermare e allargare ulteriormente la presenza dell’Accademia in città. Un nuovo, importante spazio si è reso disponibile alla Giudecca, una parte della città che ha grandi potenzialità per l’insediamento di attività creative, con presenze già significative di luoghi per le arti contemporanee. Quali sono gli obiettivi dell’Accademia per il futuro? Innanzitutto l’ulteriore ampliamento dell’offerta formativa con nuovi percorsi triennali, biennali e di master, per cercare di rendere ancor più completo e adeguato ai tempi e ai cambiamenti nell’ambito delle arti quanto già l’Accademia offre negli ambiti più classici della formazione artistica e nei quali ha una sua consolidata credibilità. È notizia recente che il sito di Artribune ha valutato quella di Venezia come la miglior accademia italiana proprio per il lavoro svolto nell’ambito della pittura contemporanea, ex-aequo con Sassari, dove è stata organizzata un’ottima edizione del Premio Nazionale delle Arti. Ciò a cui puntiamo è un maggior radicamento nel territorio, considerando la funzione che l’Accademia ha sempre apertamente svolto verso il Veneto, il Triveneto e l’Italia. A tal fine stiamo potenziando il servizio dell’orientamento per poter meglio rispondere alle richieste dell’utenza in entrata. Un successivo non meno importante impegno riguarderà il ripensamento e riposizionamento delle relazioni internazionali sia verso l’Europa, sia verso grandi paesi come la Cina, sia verso i nuovi paesi emergenti. Per questo stiamo partecipando con convinzio-


ne a diversi progetti interistituzionali che si stanno svolgendo in città, come la candidatura di Venezia a Capitale mondiale della sostenibilità, il New European Bauhaus entro il più ampio disegno di Next Generation EU e il progetto Bauhaus of the Seas, che si rivolge in particolare alle aree e alle città costiere europee. Un altro rilevante obiettivo è il riordino della Gipsoteca dell’Accademia con un nuovo percorso negli spazi dell’Istituzione che renda evidente il rapporto fra l’esempio degli antichi e lo sviluppo della formazione artistica nel tempo. Che cosa rende attrattiva oggi la vostra Scuola per gli studenti? Nei settori più ‘accademici’ i giovani interessati all’arte possono trovare una corrispondenza al loro bisogno di espressività e di ricerca personale, senza però precludersi percorsi nell’ambito dei new media, della comunicazione visiva, della intermedialità dei linguaggi. Svolge in tal senso un ruolo per nulla secondario, anche se con qualche limite di spazio, la sede degli ex Incurabili, un contesto di fatto unico per storia, bellezza e incredibile concentrazione di importantissime istituzioni per le arti nel cuore vivo della città. Basti pensare a cosa rappresenta la Biennale di Venezia in termini di stimoli continui e di informazioni aggiornatissime sulla scena globale dell’arte. Come riuscite a far convivere le nuove tecnologie con i corsi legati a forme d’arte più classiche? In realtà convivono piuttosto bene, avendo ognuna delle specificità tra di esse complementari senza in alcun modo collidere. Studiare Pittura a Venezia vuol dire mantenersi in un solco che si è da tempo ben delineato. Da quella scuola continuano ad uscire giovani di talento che intraprendono, pur nelle difficoltà di un ambito di lavoro estremamente selettivo, con successo questo percorso. I risultati sono facilmente osservabili: dalle partecipazioni alle mostre presso l’Opera Bevilacqua La Masa alle fiere di settore e alla presenza di giovani accademici nella programmazione di molte gallerie d’arte. La scuola di NTA con due distinti indirizzi di studio – Arti multimediali, Arti e linguaggi della comunicazione – offre uno spettro che ben corrisponde alla necessità generazionale di approfondire le nuove direzioni della produzione contemporanea. Credo però vada allargato un po’ lo sguardo, considerando come anche altri settori disciplinari, cosiddetti “tradizionali”, in realtà si confrontino senza alcuna timidezza con l’attualità: penso alla Scenografia, alla Decorazione (un ambito estremamente complesso di soluzioni intermedia, che possono interessare la produzione del vetro contemporaneo come l’installazione o la progettualità nello spazio pubblico), alla stessa Grafica d’Arte quando comincia a inserire

nei suoi indirizzi di studio discipline come Arte del Fumetto, Scrittura Creativa, Illustrazione, o ancora alla Scultura, che ha avuto di recente un profondo rinnovamento generazionale della docenza, portando in Accademia artisti di grande qualità. Avete un Archivio ricco di materiali interessantissimi: come pensate di valorizzarlo? La digitalizzazione è in corso da anni ed è avanzata per quel che riguarda i disegni e le stampe d’arte. Ma la vera miniera, ancor poco conosciuta, è la parte storico-amministrativa, dove si può comprendere come si sia articolata l’intera formazione artistica presso l’Accademia, in particolare dagli ultimi decenni del Settecento, per tutto l’Ottocento e fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento. È da queste carte e documenti, già in gran parte riordinati e pronti per una fase successiva di screening, che si può comprendere come si sia sviluppata la ricerca artistica e del professionismo legato all’arte (si pensi all’Architettura) a diversi livelli, dall’ambito regionale a quello nazionale. Per non parlare degli ‘incroci’ fra l’Istituto per la formazione artistica (l’Accademia) e la grande vetrina nazionale e internazionale rappresentata dalla Biennale. Qual è l’esperienza di cui va più fiero tra quelle che ha seguito qui in Accademia? La mostra e le due giornate di convegno dedicate al rapporto fra parola e immagine (Verbovisioni, 2016, due volumi pubblicati da Mimesis), perché si basavano sull’analisi della produzione artistica, entro la tematica data, di docenti, ex docenti, studenti ed ex-studenti, figure cioè legate non occasionalmente all’Accademia: lavori di Maria Lai o di Sara Campensan sono stati esposti insieme a quelli di giovanissimi talenti che stavano ancora studiando. Ho dato in qualche modo poi un seguito a questo processo con la mostra Between Space and Surface (21 maggio-3 ottobre 2021) al Magazzino del Sale 3, i cui protagonisti erano tre affermati artisti quali Bomben, Candeloro, Duff, accomunati da anni di studio presso l’Accademia veneziana. Penso sia molto importante indagare questo rapporto tra formazione e professione per capire come possa concretamente svolgere oggi un suo ruolo attivo, dinamico, un’istituzione per le arti quale è la nostra. Quali altre esposizioni ha in programma? La programmazione dipende dalla Direzione in sintonia con il Consiglio Accademico e con le Scuole. Il direttore di un’Accademia è da considerarsi più un primus inter pares che un dominus che decide unilateralmente. Nello specifico, dopo la mostra Stelle e Viaggi 2 inserita nell’ambito delle celebrazioni per i 1600 anni di Venezia, una stra23


Personal Structures

Reflections

23.4. 27.11.2022

Palazzo Mora Palazzo Bembo Giardini Marinaressa

Reflections 24

Personal Structures

www.ecc-italy.eu www.personalstructures.com European Cultural Centre Italy @europeanculturalcentre @ecc_italy


arte

INTERVISTA RICCARDO CALDURA

ordinaria ricerca pluriennale basata sugli studi di una nostra docente, Gloria Vallese, seguirà una mostra-evento nata dalla collaborazione fra la Scuola di Scenografia e Fabrizio Plessi. Trilogy, che aprirà il 5 marzo fino al 2 aprile al Magazzino del Sale 3, è un progetto a cui teniamo molto perché riguarda il lavoro nell’ambito scenografico di Fabrizio, una ricognizione nei dettagli della sua concezione per il teatro, con un allestimento studiato ad hoc e prodotto dalla Scuola di Scenografia e Nuove Tecnologie dell’Arte sulla base dei disegni progettuali (bellissimi!) dell’artista. A seguire ospiteremo sempre al Magazzino del Sale 3 la partecipazione nazionale della Costa d’Avorio nell’ambito della prossima Biennale Arte, collaborazione che nasce sia in un’ottica di pieno rispetto del progetto espositivo nella sua completa autonomia, sia come occasione per approfondire tematiche della produzione contemporanea provenienti da aree non occidentali, generando momenti di incontro e scambio culturale all’interno dell’Accademia. Lei ha scritto negli anni su alcune testate prestigiose. Purtroppo in tutti i settori culturali molte riviste specializzate hanno chiuso. È a suo avviso questo un problema esclusivamente da ricondurre alla profonda crisi che ha investito negli ultimi dieci anni almeno l’editoria al cospetto della rivoluzione digitale dei new media, oppure crede che questo tracollo sia anche, seppur in modo meno decisivamente rilevante, attribuibile al fatto che la critica, l’idea della critica a cui eravamo abituati da 50 anni e più, sia ormai definitivamente superata, forse proprio finita? Non penso che il mondo della critica sia superato, penso continui a essere un elemento di rilievo nell’ambito artistico. Semmai andrebbe affinato e anche meglio riconosciuto. Un punto di vista maturato attraverso lo studio e la frequentazione degli artisti è utile anche a questi ultimi, uscendo dal luogo comune che li vedrebbe contrapposti ai critici. La crisi dell’editoria nel settore delle riviste e periodici d’arte è anche dovuta alla dilagante nascita di nuovi strumenti di comunicazione online, inutile girarci intorno. Dunque andrebbe piuttosto capito se per editoria intendiamo essenzialmente il prodotto cartaceo. Un compito di mediazione, approfondimento e comunicazione quale è quello del critico ha ancora la sua ragion d’essere, semmai si rinnovano gli strumenti del comunicare. E questo è un dato direi ormai ineluttabile e acquisito. Qual è stato il suo primo incontro con l’arte? Quando ho comprato la prima macchina fotografica, una Yashica, e con amici abbiamo allestito un piccolo laboratorio di stampa per il bianco/nero: ci passavo delle ore! Ho partecipato anche a qualche collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa e ad un paio di altri appuntamenti espositivi. Non ho proseguito perché riflettere sull’arte mi interessava di più e l’influenza della filosofia è stata importante intorno ai vent’anni. Però è stato per me particolarmente utile essermi posto dei problemi formali nell’inquadrare le immagini, nel comprendere perché alcune tenevano e altre no. Questo è un consiglio che mi sentirei di dare a chi si volesse occupare di critica d’arte: provare in qualche modo a farla l’arte, per sentire da vicino quel che si muove dentro il bisogno di esprimersi, con qualsivoglia mezzo uno prediliga. Un artista del passato e uno contemporaneo che lei considera tra i più grandi, o comunque sia tra i suoi imprescindibili. Scelta difficilissima. La grandezza andrebbe considerata relativamente

© Fabrizio Plessi

al contesto, alla capacità di influenza successiva. A volte ci vuole del tempo per riconoscerla. Se devo fare dei nomi basandomi sull’impressione (aspetto importante certamente, quanto fuorviante se lasciato a sé stesso), mi vengono in mente Fra Angelico, Saerendam, Bellotto, Friedrich. Fra i moderni Duchamp, Laszlo Moholy-Nagy. Fra i contemporanei diventa ancora più difficile, perché gioca un ruolo per me rilevante la fotografia. Di primo acchito direi Gabriele Basilico, Thomas Struth. Lei è un fine cultore dell’arte moderna e contemporanea ed è anche un collezionista. A casa ha una sua ‘galleria’ personale? Ho una piccola galleria personale costruita negli anni grazie alla collaborazione con amici artisti, dunque in qualche modo rappresenta un itinerario di lavoro e di scambi fruttuosi, non occasionali. Comunque a proposito di innamoramenti iniziali, i primissimi lavori che ho acquistato erano dovuti al purissimo desiderio di avere con me qualcosa di due artisti che mi piacevano molto: Alberto Viani, Hans Hartung. Delle grafiche ovviamente. Che cos’è per lei Venezia? Un luogo straordinario per lavorare o forse proprio la città ideale per la trasformazione del passato in futuro. Non intendo una città futuristica o avveniristica, intendo una città dove il passato si fa futuro, dove quel che ci circonda si protende, direi per vocazione, verso una nuova condizione d’essere. Le istituzioni culturali, e quelle della formazione superiore, in primis l’Accademia, possono giocare in questo senso un ruolo primario. Elisabetta Gardin www.accademiavenezia.it

Un consiglio che mi sentirei di dare a chi si volesse occupare di critica d’arte: provare in qualche modo a farla, l’arte, per sentire da vicino quel che si muove dentro il bisogno di esprimersi 25


arte IN THE CITY EXHIBITIONS

LA STANZA DEL MAESTRO

Storia di due mondi Una mostra-viaggio di scoperta e bellezza Nato a San Vito al Tagliamento ma veneziano d’adozione, Toni Zuccheri (1936–2008) si forma alla scuola del padre Luigi, pittore animalista, e si laurea in Architettura a Venezia nel 1968. Ancora studente, alla fine del 1961 giunge alla Venini – in sostituzione del padre – per la progettazione di un bestiario in vetro che Ludovico de Santillana voleva realizzare dando corso a un’idea di Paolo Venini. Inizia così, in modo quasi fortuito, una collaborazione destinata a protrarsi nel tempo, seppur in maniera discontinua. Alla Venini Zuccheri si dedica con passione alla ricerca e alle sperimentazioni sulla materia vitrea, acquisendo nel tempo una notevole dimestichezza sia con le tecniche di lavorazione a caldo sia con quelle a freddo. La mostra che Le Stanze del Vetro gli dedicano lo pone in parallelo con Tapio Wirkkala, mettendone in risalto la straordinaria serie di volatili e animali da cortile, a cui presto si affiancarono vasi dalle intense colorazioni e dalla linea organica, ispirata al mondo vegetale. Curata da Marino Barovier, l’esposizione ci mette in contatto con un artista che, grazie alla propria forte personalità, contribuì a caratterizzare la produzione della vetreria in anni di grande trasformazione, proponendo nuovi modelli senza rinunciare all’uso del colore, rispondendo alle nuove esigenze di essenzialità provenienti dal mondo del design. Toni Zuccheri alla Venini Fino 23 marzo Le Stanze del Vetro-Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedelvetro.org

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Il fascino dell’archeologia sta nel mistero e nella scoperta. Mai una mostra di civiltà e culture antiche o remote è soltanto una mostra, storia, bellezza, fascino compongono un’alchimia che la rende unica. È quello che accade nello scoprire la bellezza scultorea di opere di civiltà lontane e il mistero dei simboli di cui questi oggetti sono ricoperti, che li pervade di un senso di magia e sacralità. Tutto questo è racchiuso perfettamente nella mostra Power & Prestige. Simboli del comando in Oceania in corso a Palazzo Franchetti fino al 13 marzo, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue con il Musée du quai Branly di Parigi. I 126 antichi bastoni del comando delle isole del Pacifico, prestati da musei e collezioni di tutta Europa a partire dal British Museum di Londra, e riuniti per la prima volta insieme, costituiscono un’incredibile esposizione assolutamente da visitare e al contempo offrono agli studiosi un’occasione di ricerca unica. In archeologia si procede per strati e quello che è visibile in superficie può nascondere altre scoperte. Il Presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue, Inti Ligabue non si è fatto sfuggire l’occasione e ha voluto avviare indagini che potessero aiutare a fare luce sul significato e la valenza di questi oggetti, al di là dei luoghi comuni e delle visioni stereotipate “occidentali” che li avevano relegati a mere armi di indigeni. Un test al radiocarbonio effettuato presso i laboratori di ricerca a Mannheim in Germania è stato utilizzato per datare un raro manufatto esposto in mostra. Documentato in una collezione privata inglese alla metà del secolo corso e probabilmente giunto in Europa dalle isole Fiji nella metà dell’Ottocento, questo Kinikini – un bastone di comando a pagaia insolitamente grande (134 cm) e ricoperto da una patina

scura – veniva datato tra gli inizi del XVIII e XIX secolo. I risultati del test mostrano invece, con una probabilità del 95,4%, che l’albero da cui è stato ottenuto il legno utilizzato per questo bastone è morto tra il 1491 e il 1638 d.C.. Un dato certamente relativo al materiale e non al manufatto, che tuttavia indica che il bastone potrebbe avere, con assoluta probabilità, un’età compresa tra i 380 e i 530 anni circa, quindi portando a retrodatare di due secoli la nascita di questi oggetti e avvalorando il significato di oggetti di culto. Si sa infatti, dalla pratica attuale degli intagliatori delle Fiji, che un albero caduto non può essere lasciato nella foresta generalmente più di dieci anni prima d’essere intagliato, poiché il legname in questi ambienti tropicali si deteriora rapidamente. Questo risultato sorprendente porta il curatore della mostra Steven Hooper, tra i massimi studiosi dell’arte oceanica, ad affermare che il bastone possa essere un’antica reliquia di importanza rituale. «Sappiamo dai resoconti scritti del XIX secolo – spiega Hooper – che questi oggetti erano fissati all’interno dei tetti di paglia dei templi come offerte dedicate agli dei delle Fiji. Nei templi si tenevano accese le lampade a olio di noce di candela e che gli oggetti importanti venivano periodicamente oliati e lucidati durante i rituali. Una probabile interpretazione per l’età e l’aspetto di questo oggetto è che dopo un uso attivo in combattimento sia stato dedicato in un tempio e vi sia rimasto per molti anni prima di essere ceduto a un visitatore europeo, probabilmente dopo che i figiani si convertirono in gran numero al cristianesimo nella metà del XIX secolo». Una mostra-viaggio per riscoprire “mondi” troppo a lungo relegati nei depositi dei musei. M.M.


Invito a Palazzo Aperture straordinarie al Ducale e al Correr Kinikini, bastone di comando a pagaia Figi, Collezione privata © photos by Hughes Dubois

A Story of two worlds

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What is fascinating about archaeology is the mix of mystery and discovery. An exhibition on ancient or remote civilizations is never an exhibition alone – it is history, it is beauty, it is charm, it is a concoction of many things that make it unique. Power & Prestige. The Art of Clubs in Oceania, at Palazzo Franchetti until March 13, is a perfect example. The exhibition is a collection of 126 maces from the Pacific islands, on loan from museums and collections, displayed together for the first time, which not only makes for a very interesting visit, but gives researchers the chance to further their studies. A very rare specimen on exhibit is a kinikini, an unusually large (134 cm) paddle-shaped mace that used to be part of an English private collection and probably comes from Fiji. The kinikini has been carbon-dated in Mannheim, Germany to around 1491-1638 CE – the date the tree it comes from was felled, to be certain, though the time the manufact was made cannot be too far off, for timber rots easily at those latitudes. What this means is that the manufact is a couple centuries older than what was previously thought. Oceanian art scholar Steven Hooper explains how the mace had probably seen battle days before being promoted to ritualistic item, testified by its oily shine, and ceded to a European visitor after the conversion of Fijians to Christianity. Power & Prestige. Simboli del comando in Oceania Fino 13 marzo Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Palazzo Franchetti www.fondazioneligabue.it

In questa apparente calma prima della ‘tempesta’ Biennale (da noi tutti attesa), Venezia offre la consapevolezza della storia, che nelle difficoltà o nei tempi incerti, è una forza e una sicurezza. Fatalmente anche la celebrazione dei suoi primi 1600 anni è rimasta sospesa, quasi non compiuta e dilatata nel tempo, aumentando quell'aura mitica e leggendaria che ammanta la datazione della sua fondazione nel 421. Spinti a cercare delle certezze, non possiamo da veneziani, o semplicemente da innamorati della città, che trovare rifugio nella bellezza e magnificenza della “casa madre”, Palazzo Ducale! Quello che si ergeva fiero alla vista dei viaggiatori di mare che giungevano a Venezia nei secoli scorsi, rimane immobile e imponente come un faro acceso anche oggi. Proprio qui, venne a costruirsi quella che oggi chiamiamo città-mondo, crocevia di popoli, culture e idee, orgogliosa ma aperta, pronta ad accogliere i “forestieri”, il DNA di Venezia e della sua sopravvivenza. L’invito è a riappropriarsi delle proprie radici e concedersi, magari con abiti del Settecento (siamo a Carnevale!), una visita serale alle stanze di Palazzo Ducale – da venerdì 18 febbraio a martedì 1 marzo sono in programma aperture straordinarie fino alle ore 22 di Palazzo Ducale e Museo Correr –, assaporando la bellezza intensa delle sue decorazioni, degli affreschi e dipinti, per poi immergersi nella Venetia 1600. Nascite e rinascite, la mostra che conduce per mano tra le pieghe della sua storia gloriosa. Sentirsi a casa è sempre il primo passo per un nuovo inizio! M.M.

The palace is open

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In this apparent calm before the Biennale ‘storm’, Venice offers its history – in times like these, our strength, and our security. As fate would have it, the celebration of the 1600 years since the foundation of Venice had been suspended, which played into the myth a bit, a myth dating back to the year 421 AD. As we look for some certainties, we cannot help but find solace in the beauty and magnificence of our ‘Mother House’, the Doge’s Palace. Immobile and imposing, a sort of metaphorical lighthouse welcoming visitors from afar as they made their way into the lagoon. Truly a symbol of Venice’s DNA. Our invitation is to appropriate our own roots and visit the Palace, maybe in eighteenth-century garb (it is Carnival season, after all!). From Friday, February 18 to Tuesday, March 1, a schedule of afterhours openings (until 10pm) will welcome visitors looking to enjoy the amazing décor and art and to feel, in an ancestral sort of way, home. Aperture Straordinarie 18 febbraio-1 marzo Palazzo Ducale e Museo Correr, Piazza San Marco www.visitmuve.it

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arte

IN THE CITY CONTEMPORARY

Presente fluido

Distopie volontarie A need for dystopia ENG

«Voglio che [la mia arte] sia impetuosa e aggressiva, perché questo costringe la gente a prestare attenzione». Bruce Nauman disorienta, destabilizza, perfino sconvolge lo spettatore, non lascia mai indifferenti perché la sua opera tocca temi universali, come la vita e la morte, il piacere e il dolore, il corpo, l’identità, il ruolo del linguaggio. Fin dagli esordi Nauman si è interrogato su una questione essenziale, sapere che cosa fa realmente un artista quando è da solo nel suo studio: «Mi sono risposto che in quanto artista tutto ciò che facevo lì doveva essere arte». Lo studio è diventato il «campo di sperimentazione» all’interno del quale l’artista americano ha potuto sviluppare il proprio linguaggio: usare il suo corpo come materiale di lavoro. Nauman ha dichiarato in particolare di essersi ispirato al musicista di be-bop Lennie Tristano, pianista noto per suonare senza introduzione né epilogo: «Fin da subito ho cercato di vedere se fosse possibile fare un’arte che suscitasse questo, che fosse semplicemente lì, improvvisamente. Come prendere un colpo in faccia con una mazza da baseball. O meglio, come essere colpito sulla nuca. Non si vede mai arrivare il colpo; ti butta a terra e basta [...] Il tipo di intensità che non fa capire se piacerà o no». Farsi sorprendere e sopraffare fisicamente e mentalmente dalle suggestioni dell’artista, iniziare un dialogo intenso e personale con quelle suggestioni, partecipare all’opera: ecco l’esperienza unica alla quale la mostra Contrapposto Studies invita il visitatore. 28

“I want [my art] to be vehement and aggressive, because that forces people to pay attention.” To disorient, destabilize, and even shake up the viewer: such is the aim of this artist who never fails to get a strong response, because his work touches on universal themes such as life and death, pleasure and pain, the body, identity, and the role of language. Bruce Nauman reflected on the key question of what it is that an artist actually does alone in the studio: “My conclusion was that [if] I was an artist and I was in the studio, then whatever I was doing in the studio must be art.” His studio thus became the ‘field of experimentation’ in which he was able to develop his own languages: using his body as material for his work. The artist acknowledged the influence of bebop pianist Lennie Tristano, a musician who never played an introduction or finale: “From the beginning, I was trying to see if I could make art that did that. Art that was just there all at once. Like getting hit in the face with a baseball bat. Or better, like getting hit in the back of the neck. You never see it coming, it just knocks you down. I like that idea very much: the kind of intensity that doesn’t give you any trace of whether you’re going to like it or not.” To be surprised and overwhelmed, physically and mentally, by the artist’s propositions; to enter an intense, personal dialogue with the work: that is the experience visitors are invited to partake of in the show. Bruce Nauman: Contrapposto Studies Fino 27 novembre Punta Della Dogana, Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it

L'immagine del museo come contenitore immobile che conserva la storia senza interagire con il presente è un'idea passata, anzi trapassata. Ora non solo i musei del contemporaneo ma anche quelli di arte antica e moderna sono diventati catalizzatori di fermenti e sollecitazioni, protagonisti della scena culturale e sociale delle città, territori che influenzano. Lo scarto dato dalla digital culture, che permette una velocissima e allargatissima distribuzione delle idee e informazioni a una platea vastissima, non corrisponde però ad una reale codificazione di queste inesorabili e velocissime (oltre che assolutamente necessarie) rivoluzioni. Che cosa si intende per diversità (di cultura, genere, orientamento sessuale, fisicità, abilità e così via)? Quali sfide pongono questi temi dal punto di vista della rappresentazione e dell’interpretazione? Come possono i musei farsi specchio dei cambiamenti della società attraverso la ricerca, l’attualizzazione del patrimonio, l’educazione? La Fondazione Querini Stampalia, fortemente sensibile alla lettura del nostro tempo, lancia un primo corso unico e attesissimo dal titolo Musei e trasformazioni sociali. Processi, pratiche e sfide per organizzazioni in ascolto: tre moduli distinti (12-13 febbraio, 12-13 marzo, 2-3 aprile) a cura di Maria Chiara Ciaccheri, Anna Chiara Cimoli e Nicole Moolhuijsen, in collaborazione con Viviana Gravano, che intende articolare più risposte a queste domande in una chiave aperta e plurale, intersecando ambiti, esperienze e saperi. Le sfide e le possibilità di azione nel contesto italiano vengono poste in relazione con i cambiamenti in atto su scala internazionale. L'iscrizione al corso, che si terrà online per un massimo di 30 iscritti, scade il 10 febbraio per il primo modulo, il 10 marzo per il secondo, il 31 marzo per il terzo. www.querinistampalia.org


L’ALBERO DELLA VITA

Visioni capovolte Torna a Teatrino Grassi Lo schermo dell’arte Appuntamento divenuto cult, torna a Venezia al Teatrino Grassi lo spin off de Lo schermo dell’arte, il Festival di cinema e di arte contemporanea di Firenze. Tre giorni fitti di screening dal 3 al 6 marzo che restituiscono il meglio della produzione di film d’artista e di documentari sull’arte contemporanea in versione originale con sottotitoli in italiano passati a Firenze lo scorso novembre. Se una linea netta segna la produzione dei film della rassegna è la lettura inedita e personalissima che questi artisti restituiscono della realtà, anzi delle realtà del nostro presente, un’esplorazione filtrata da un sentire amplificato con tutte le sfumature creative possibili. Protagonista a Firenze e ora a Venezia è certamente Renzo Martens, il discusso artista di White Cube (Paesi Bassi, Belgio, 2020) in programma giovedì 3 marzo alle ore 18.15, e di Enjoy Povery (2008, Paesi Bassi), proiettato venerdì 4 marzo alle 18, il primo un’enorme appendice del secondo. Nel 2008, Martens ha cercato di mostrare la disuguaglianza nel mondo: per due anni l’artista ha attraversato la Repubblica Democratica del Congo, riprendendo le drammatiche condizioni di vita della popolazione, osservando come la povertà sia diventata più redditizia dei mercati di materie prime quali il cacao e l’oro. Martens tenta di coinvolgere i fotografi locali in discussioni sulla natura dell’economia dei media internazionali e del mercato occidentale per immagini di sofferenza in altre parti del mondo. Mostrando i compensi che i fotoreporter occidentali ricevono in cambio di fotografie di cadaveri o di donne violentate, il filmmaker cerca di inserire i fotografi congolesi in un’economia che trae profitto dalla sofferenza. Il suo secondo film del 2020 è dedicato al Congo. Martens affronta la condizione di indigenza dei lavoratori delle piantagioni di palme da olio e la relazione tra colonialismo e mondo dell’arte. La collaborazione tra l’artista e una cooperativa di lavoratori congolesi ha permesso di costruire un centro d’arte contemporanea in un’ex piantagione Unilever, capace di generare valore sia sul piano economico che artistico per le comunità locali. Progettato dallo studio OMA di Rem Koolhaas, il centro d’arte prende l’essenziale forma del white cube, in cui gli operai realizzano sculture che vengono riprodotte in cioccolato e poi esposte con successo a New York. I profitti della vendita delle opere sono usati per riacquistare la terra che è stata loro sottratta. Programma completo su www.palazzograssi.it. Lo schermo dell’arte 3-6 marzo Teatrino di Palazzo Grassi, Campo San Samuele www.palazzograssi.it

È una difficile sfida quella affrontata da Giampaolo Babetto nel dare forma al trascendente. La sua raffinatissima mostra Segno e Luce, a cura di Andrea Nante e Carmelo Grasso, in corso a San Giorgio, ci fornisce una prova tangibile di questa ricerca portata avanti, a volte inconsapevolmente, per tutta la vita. Già a Venezia nel 2000 con una ampia mostra al Museo Correr, Babetto è conosciuto e apprezzato a livello internazionale principalmente per i suoi gioielli, quelle sculture da indossare che ritornano anche a San Giorgio, esposte nella sacrestia, in un percorso che vuole documentare l’evoluzione del suo pensiero spirituale. A questi piccoli oggetti si mescola una ricca produzione di contenitori in metallo, ciotole, piatti, bicchieri, candelabri, creati per ambienti domestici che entrano involontariamente nel mondo del Sacro grazie al dialogo con gli spazi che li circondano e non si discostano dalla produzione di veri e propri oggetti liturgici realizzati dallo scultore su commissione. La ricerca sul tema della croce, così personale ed essenziale, è ampiamente documentata grazie anche alla preziosa sezione di schizzi e disegni. Di grandissimo impatto è l’istallazione Jesse posta sul badalone del Coro Maggiore, proprio al centro di quell’avvolgente emiciclo intagliato dal fiammingo Van de Brule alla fine del Cinquecento, dove i monaci pregano attraverso il canto. Si tratta di un allusivo richiamo al tema dell’incarnazione: quel legno rivestito dalla foglia d’oro, che appoggia le radici su una superficie di pigmento blu Ercolano steso sul mobile antico, ricorda che Cristo è germoglio. Sugli altari della chiesa sono presenti alcune delle ultime opere di Babetto, sculture di vetro realizzate con la tecnica della cera persa, forme semplici contaminate da segni e ruvidità che per effetto della luce infondono luminescenza a ciò che le circonda. L’idea di far dialogare l’arte contemporanea con la basilica palladiana è oramai diventata una tradizione a San Giorgio: Segno e luce aggiunge una nuova e suggestiva voce a questo dialogo. Franca Lugato Giampaolo Babetto. Segno e Luce Fino 3 aprile Basilica di San Giorgio Maggiore, Isola di San Giorgio

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design Tomomot

LE TRE STELLE DI ROMANO Burano: arte e storia di un ristorante entrato nel mito

16.12.2021 6.03.2022 Santa Maria Formosa, Castello 5252, Venezia querinistampalia.org

CamerAnebbia

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Allestimenti Audio Video

Prospero Saramin


arte

PARTICELLE ELEMENTARI

IN THE CITY DIALOGUE

Dal ritratto alla materia Lorenzo Tiepolo e Bosco Sodi 'in residenza'

Palazzo Vendramin Grimani si rinnova grazie alla Fondazione dell’Albero d’Oro, mettendo in relazione passato e presente di opere d’arte, in un work in progress destinato a riservarci continue sorprese. Nasce una nuova collana editoriale, I Quaderni dell’Albero d’oro, associati al progetto Opera in studio che vede singole opere inedite o poco fruibili al pubblico, esposte nella Sala del Doge e oggetto di indagini storico-artistiche accurate da parte degli studiosi Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, la prima delle quali è il Ritratto di bambina di Lorenzo Tiepolo, secondogenito del più famoso Giambattista e di Cecilia Guardi, nonché fratello minore di Giandomenico. In mostra l’infanzia iconica di una bambina, il viso spaesato che preannuncia nella fissità e frontalità del “tipo d’infante” l’inquietudine di Goya. Inserita in un “seggiolone a pozzetto” con mascherone e zampe di grifone di ispirazione barocca o alla Brustolon, presumibilmente antenato dell’odierno girello, è adorna di amuleti per scacciare malattie e “spiriti maligni” (un rametto di corallo, un sonaglio d’argento e una zampetta di coniglio). Il verismo psicologico del ritratto si ricollega a una tradizione che va da Rosalba Carriera a Chardin. All’antico si accosta il contemporaneo, con L’artista in residenza, ovvero l’ospitalità

concessa all’artista messicano Bosco Sodi, per la prossima Biennale Arte: un progetto espositivo curato da Daniela Ferretti e Dakin Hart, in coproduzione con Axel Vervoordt Gallery (Anversa) e Kasmin Gallery (New York), che vedrà gli spazi al piano terreno della Fondazione trasformati parzialmente in atelier. Le opere di Bosco Sodi, emotive, ruvide o pregne di colore ad evocare la forza della madre Terra, prenderanno vita anche attraverso un processo performativo dovuto all’influsso della luce, dell’umidità e della temperatura dell’aria, producendo modifiche intrinseche ai materiali grezzi e pigmenti naturali, o ai “contenitori” utilizzati in partenza, occupando pareti e pavimenti. E così tele saranno ricoperte di miscele di segatura, pasta di cellulosa, colla e pigmento e lasciate esposte all’atmosfera lagunare per settimane, quindi portate al primo piano insieme alla collezione permanente, per evidenziarne i contrasti. Sodi posizionerà inoltre 195 piccole sfere di argilla o globi in miniatura, modellate dal suolo di Oaxaca e cotte in un forno sulla spiaggia, a identificare il numero attuale di stati-nazione sulla Terra, che i visitatori potranno spostare, e fotografare a testimonianza di nuovi e immaginari potenti equilibri che ogni uomo potrebbe creare con l’ausilio della sola mente. Luisa Turchi Opera in studio. Ritratto di Bambina di Lorenzo Tiepolo Fino 10 marzo Artista in residenza. Bosco Sodi a Palazzo Vendramin Grimani Fino 27 novembre Fondazione dell’Albero d’Oro, San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org

Gabriele Grones, bellunese classe 1983, è in scena a Ca’ Pesaro sino al 27 febbraio con le sue Conversazioni, sette momenti di dialogo site-specific posti in alcuni punti cruciali del percorso museale della Galleria Internazionale d’Arte Moderna. Con la curatela di Elisabetta Barisoni e Giovanna Nicoletti, la mostra riprende una lunga tradizione, iniziata nel 1902, di dialogo e relazione tra i grandi maestri del passato e nuovi artisti emergenti dell’arte contemporanea. Grones, pittore e artista visivo, si concentra sulla rappresentazione del dettaglio naturale che, molto ravvicinato, dà forma a ogni singola caratteristica che può evocare la complessità della realtà. Già nel 2020, Ca’ Pesaro aveva scelto per il programma Level 0 di Artverona il lavoro di Grones presentato dalla Galleria Boccanera di Trento. L’artista era già entrato nella selezione del Premio Mestre di Pittura dello stesso anno. Per lui, che ha studiato sia al Liceo Artistico Statale che all’Accademia di Belle Arti di Venezia, si tratta di un felice “ritorno a casa”. Grones ha lavorato per mesi in dialogo continuo con la collezione permanente del Museo, trascorrendo intere giornate nelle sale, riflettendo sulle opere e sugli autori. In particolare l’artista affianca due tele di piccole dimensioni, estremamente realistiche, a due sculture di cera di Medardo Rosso e al dipinto La Maschera Bianca di Fernand Khnopff, rielabora dei dettagli dell’opera di Joaquín Sorolla Cucendo la vela, per poi passare a Le Signorine di Felice Casorati, dialoga con i quadri di Umberto Moggioli Piccolo paesaggio di Burano e Autunno a Treporti, con la Natura morta di Giorgio Morandi e infine con Giovanni Anselmo e la sua scultura Senza titolo, celebre pezzo di Arte povera. Daniela Paties Montagner Gabriele Grones. Conversazioni Fino 27 febbraio Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna capesaro.visitmuve.it

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arte

IN THE CITY PHOTOGRAPHY

Minimale e passionale

Punti di vista

Una mostra essenziale, come essenziale è lo spazio che la ospita, una sintesi di minimalismo e passione: Canova/Scarpa raccontati dall’obbiettivo di Alessandra Chemollo. in luce è il titolo della mostra in corso alla Fondazione Querini Stampalia, tratta dal reportage che nell’estate del 2016 la fotografa veneziana ha realizzato a Possagno, destinato alla pubblicazione Carlo Scarpa. La Gipsoteca Canoviana di Possagno (Mondadori Electa, 2016). La curatrice, Maddalena Scimemi, ci guida così tra le cinquanta fotografie in mostra: «Alessandra Chemollo cede alle suggestioni di Scarpa esaltandone gli effetti, segue le provocazioni date dai tagli aperti nelle pareti, dai conci sottratti all’apparecchiatura muraria, dall’allineamento delle teche dei bozzetti perché sui vetri si moltiplichino i riflessi. Ha la sfrontatezza di appoggiarsi – così sembra – alle opere esposte. Le sue fotografie traducono in due dimensioni l’incantesimo di luce naturale creato da Scarpa, variando posizione e ampiezza dei lucernari, alla stregua di moderne meridiane: un gioco serissimo, che impone l’ombra ad alcune, mentre dispensa ad altre lunghi raggi di luce, quasi a segnare il tempo dell’arte. Ma non è solo questo. Alessandra Chemollo, sapientemente, fa recitare a Canova il ruolo di protagonista. L’invito a ritagliare quelli che Scarpa chiamava i “pezzi del cielo”, ovvero le vetrate prismatiche nella sala alta, viene accolto includendovi il gioco delicato delle mani di Amore e Psiche, mentre il cubo azzurro cerca umanità nella gravitas del monumento a George Washington, spostando l’obbiettivo come se l’osservatore fosse in ginocchio ai suoi piedi».

«Ho pensato di girovagare per Venezia immaginando di essere un uccello che sorvola a bassissima quota la città – ha dichiarato il fotografo Marco Sabadin – Un punto di vista che mi ha sempre affascinato e che nel corso del tempo ho cercato di rendere concreto attraverso gli strumenti che avevo a disposizione, ma purtroppo con scarsi risultati, fino all’avvento dei droni. Durante il lockdown ho avuto l’occasione e i permessi per far sorvolare un drone sulla città per documentare Venezia e ho così realizzato un sogno: guardare questa meravigliosa città da punti di vista inconsueti». Il viaggio di Marco Sabadin inizia dalla stazione fino all’Arsenale, passando per San Marco, Rialto, San Polo, toccando San Nicolò dei Mendicoli per risalire ancora fino alla Salute, giungendo finalmente attraverso la Giudecca all’isola di San Giorgio. L’arrivo non poteva che essere un punto di vista unico sulla città di Venezia: il Fondaco dei Tedeschi con l’Event Pavilion e la sua terrazza. Qui 52 pannelli fotografici di varie dimensioni, posti a diverse altezze rispetto al punto di ripresa, formano la mostra Sguardi di Pietra. Venezia vista dalle sue statue di Marco Sabadin, realizzata in collaborazione con il Fondaco stesso e con Agostini Group. Immagini incredibili e bellissime che emozionano perché sono le statue, i tetti, le cupole, i campanili, i capitelli, le guglie a ‘raccontare’ la città restituendone una super-visione. M.M.

in luce. Fotografie di Alessandra Chemollo nella Gypsotheca di Possagno Fino 27 marzo Fondazione Querini Stampalia Campo Santa Maria Formosa www.querinistampalia.org

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Marco Sabadin. Sguardi di Pietra Fino 30 marzo Fondaco dei Tedeschi, Event Pavilion (4 piano) www.dfs.com/it/venice

Memoria collettiva

La Fondazione Querini Stampalia è anche un luogo della fotografia: centro di documentazione su Venezia specialmente e di studio della storia stessa della fotografia, considerata come forma d’arte e come testimonianza. Proprio per questo Luigi Ferrigno e Mark Smith hanno da poco deciso di donare alla Fondazione un racconto del mondo e della città di Venezia, consegnando alla conservazione i loro specialissimi archivi, che andranno ad accrescere il patrimonio della Querini Stampalia, che già comprende l’Archivio di Graziano Arici e il Fondo Luigi Ghirri, oltre alle raccolte fotografiche della Fondazione. L’Archivio di Luigi Ferrigno raccoglie circa 26.000 immagini dal 1958 a oggi. Due sono i principali filoni di interesse del fotografo: il primo, che corrisponde agli inizi, vede protagonista Venezia e la sua società con particolare attenzione ai mestieri, alla vita quotidiana, agli usi e costumi. Il secondo, degli anni ‘90, ha come focus la Venezia monumentale con le sue chiese e le sue pietre. L’Archivio di Mark Smith conta più di 800.000 immagini, fotografie di archeologia, architettura, nudo artistico, reportage di viaggio, prodotti in più di 45 anni di lavoro. Ferrigno e Smith conserveranno i diritti commerciali sugli Archivi, continuando con i loro nuovi lavori ad arricchirli, ampliando la “memoria collettiva”. Un doppio appuntamento – 2 febbraio con Luigi Ferrigno e 9 febbraio con Mark Smith – è il primo atto di un programma di valorizzazione di queste collezioni e l’occasione di scoprire come hanno preso forma nel tempo attraverso il racconto dei protagonisti. Tra Venezia e il Mondo I fotografi Luigi Ferrigno e Mark Smith si raccontano 2, 9 febbraio h. 18 Auditorium, Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org


ESPERIENZE VISIVE

Il cielo sopra Parigi Sabine Weiss, obiettivo puntato sulle emozioni Unica fotografa donna del dopoguerra ad aver esercitato questa professione così a lungo e in tutti i campi della fotografia – dai reportage ai ritratti di artisti, dalla moda agli scatti di strada con particolare attenzione ai volti dei bambini, fino ai numerosi viaggi per il mondo – Sabine Weiss, fotografia umanista francese insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Edouard Boubat, Brassaï e Izis, apre con la più ampia retrospettiva mai realizzata finora, la prima in Italia, la nuova stagione di mostre alla Casa dei Tre Oci. Scomparsa all’età di 97 anni nella sua casa di Parigi lo scorso 28 dicembre, ha potuto partecipare attivamente alla costruzione di questo percorso espositivo, aprendo i suoi archivi personali, conservati a Parigi, per raccontare, per la prima volta in maniera ampia e strutturata, la sua straordinaria storia e il suo lavoro. Curata da Virginie Chardin, la retrospettiva inaugura l’11 marzo fino al 23 ottobre, promossa da Fondazione di Venezia, realizzata da Marsilio Arte in collaborazione con Berggruen Institute, prodotta dallo studio Sabine Weiss di Parigi e da Laure Delloye-Augustins, con il sostegno di Jeu de Paume e del Festival internazionale Les Rencontres de la photographie d’Arles. Gli scatti esposti ai Tre Oci, tra i quali diversi inediti – come la serie dedicata ai manicomi, realizzata durante l’inverno 1951-52 in Francia nel dipartimento dello Cher, e rimasta parzialmente inedita fino ad oggi – ripercorrono insieme a diverse pubblicazioni e riviste dell’epoca l’intera carriera di Weiss, dagli esordi nel 1935 agli anni ‘80. Fin dall’inizio, Sabine Weiss, come testimoniano in mostra le foto dei bambini e dei passanti, dirige il suo obiettivo sui corpi e sui gesti, immortalando emozioni e sentimenti, in linea con la fotografia umanista francese. È un approccio dal quale non si discosterà mai, come si evince dalle sue parole: «Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto». Sabine Weiss. La poesia dell’istante 11 marzo-23 ottobre Casa dei Tre Oci, Giudecca 43 www.treoci.org

All’interno di un contenitore totalmente nuovo, originalissimo e inatteso, materialmente il magazzino/deposito operativo di una libreria, si rinnova l’impegno culturale che ha sempre caratterizzato le attività della Libreria Toletta e di Giovanni Pellizzato con un filone diverso rispetto all’editoria, ma ad essa molto collegata, la fotografia d’autore. Con la direzione artistica di Michele Alassio, l’idea è di presentare esposizioni esclusivamente dedicate alla fotografia e alla grafica contemporanea e non, un fitto programma basato su una collaborazione internazionale con i migliori autori e sull’innovativo Venice Photo Prize, che ogni anno darà l’opportunità a un esordiente di comparire accanto ai più noti fotografi della scena mondiale. A pochi mesi dall’apertura, pur in un periodo incerto come quello attuale, laToletta SpazioEventi ha già mostrato la sua identità e il suo carattere: approfondire il potere comunicativo, le peculiarità stilistiche, il ruolo della fotografia, resi manifesti in particolare dalla nuova mostra Masters, dove sono esposte al pubblico 31 fotografie originali di maestri della fotografia contemporanea. Fino all’8 marzo, le immagini iconiche di grandi fotografi intramontabili come Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Martine Franck, Mario De Biasi, Paolo Monti, Wanda Wulz, Jan Saudek, Edward Steichen, Sebastião Salgado, Cecil Beaton, Andreas Feininger, Gianni Berengo Gardin, Horst. P. Horst, Willy Ronis, Depero, Carlo Wulz, Maurice Tabard, Yousuf Karsh, Jean Howard, Joe Rosenthal, André Kertész, Mario Giacomelli, Wilhelm Von Gloeden, George Hoyningen-Huene offrono la summa del fare fotografia, di rendere l’immagine opera d’arte unica. Un impatto visivo potente che cattura e trascina in un viaggio senza tempo ma attualissimo. «Fare una fotografia vuol dire allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere» (Henri Cartier-Bresson). Masters Fino 8 marzo laToletta SpazioEventi, Dorsoduro 1134 www.tolettaeventi.com

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arte IN THE CITY GALLERIES

PUNTA CONTERIE ART GALLERY DISCOVERING A GLASS LEGACY a cura di Luca Nichetto Fino 10 aprile

A PLUS A ROY CLAIRE POTTER Death to all pigs who enter here! 3 febbraio-26 marzo

Empathic mette in mostra l’innata capacità di generare coinvolgimento, immedesimazione, partecipazione attraverso installazioni e pezzi in edizione limitata di Ini Archibong, Noé Duchaufour-Lawrance, GamFratesi, Benjamin Hubert, Richard Hutten, Luca Nichetto, Elena Salmistraro, Marc Thorpe. Una mostra che fa leva sul potere attrattivo della materia e della forma in un dialogo fitto, libero da schemi e costrizioni seriali con il vetro di Murano. Nessun vincolo se non quello di ideare, progettare e sperimentare sotto la direzione di Alessandro Vecchiato con il coinvolgimento delle migliori vetrerie di Murano. Ini Archibong sceglie di trasferire la fascinazione per le tradizionali maschere di legno africane nell’installazione Africa. Noé Duchaufour-Lawrance trova nella sensibilità e nelle tonalità polverose della serie fotografica Down by the water della fotografa Lucie Jean, focalizzata su una piccola isola della laguna di Venezia chiamata Madonna del Monte, l’ispirazione per una serie di omonimi arredi/scultura dalla dimensioni contenute. GamFratesi guardano alle fondamenta dell’intera città e al mondo del vetro per Palafit, un piccolo paesaggio composto da differenti grandi forme in vetro soffiato adagiate su sezioni di legno ricavato dalle “bricole”. La materia, nella sua duttilità e versatilità è il motore della ricerca di Benjamin Hubert che osserva le abilità esecutive dei maestri vetrai muranesi per disegnare Granule, serie di oggetti in cui gradienti cromatici scandiscono differenti forme e consistenze. Sperimenta con le sovrapposizioni di colore in purezza Richard Hutten. La verticalità del totem Layered diventa così un inno. Luca Nichetto, che ha il vetro e Murano nel proprio DNA, gioca con la tradizione riprendendo i miti dell’infanzia — Goldrake su tutti — per dare vita a Mecha, tre piccoli moderni robot di vetro coloratissimo. Femminile, flessuoso, colorato lo specchio di Elena Salmistraro si ispira al movimento sinuoso delle serpi delle Gorgoni. Medusa è un inventario delle antiche tecniche e lavorazioni dello specchio Muranese ma in chiave contemporanea ed esuberante. Marc Thorpe, infine, riversa le sfumature e i bagliori della laguna in una collezione di oggetti in vetro soffiato, che per tecnica e soluzioni formali sembrano fluttuare nell’etere.

Una serie inedita di oltre cento disegni di grande e piccolo formato su plastica, polietilene biodegradabile e carta dell’artista Roy Claire Potter che formano un’immersiva installazione che invade la Galleria. La mostra unisce storie della brughiera del West Yorkshire lette nelle pergamene di corte medievali con le influenze cinematografiche e letterarie dell’artista: dal film cult inglese Threads (1984, regia di Mick Jackson), in cui si racconta la vita quotidiana di due famiglie inglesi durante un possibile inverno nucleare, a The Butcher Boy (1992), romanzo dell’irlandese Pat McCabe, nel quale lo sfortunato giovane protagonista, coltiva una violenta ed esilarante vita di fantasia nel tentativo di sopravvivere a una frustrante esclusione sociale – un riferimento chiave in tutta la pratica di Roy Claire Potter. Se la rappresentazione di eventi violenti ed esistenze travagliate, l’uso di personaggi o voci narranti sono elementi da sempre ricorrenti nella ricerca dell’artista, Death to all pigs who enter here! trasporta queste suggestioni in una dimensione più teatrale, in un mondo fittizio dove il visitatore si confronta con un’invadente struttura tubolare alternata a ripari precari che dal soffitto scendono fino al pavimento ostruendo la vista e il movimento. Numerosi piccoli disegni su carta fotografica mostrano piante ed elementi animali, zoccoli, maiali arrabbiati e poi sorridenti, figure colorate che sembrano pastori sperduti o tristi ospiti di una festa in maschera. Personaggi di un mazzo di carte o di un album di famiglia, un’ingenua tassonomia di dettagli di questa scenografia che può essere vista e inventata infinite volte da qualsiasi cosa o chiunque si addentri in questo percorso di storie.

InGalleria Art Gallery Punta Conterie (primo piano), Fondamenta Giustinian-Murano puntaconterie.com

A plus A Gallery San Marco 3073 aplusa.it

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GALLERIA ALBERTA PANE CHRISTIAN FOGAROLLI A Form of Delusion a cura di Pier Paolo Pancotto 12 febbraio-2 aprile

MARIGNANA ARTE fuse* Herbario Novo Dagli erbari antichi ad Artificial Botany A cura di Federica Patti 12 febbraio-2 aprile

Nel lavoro artistico di Christian Fogarolli (1983) passato e presente si compenetrano in opere fotografiche, installazioni, sculture e video: tracce e frammenti di un tempo indefinito si legano a materiali vitrei, specchianti, metallici, organici e tecnologici. Partendo da un’indagine storico-archivistica e attraverso collaborazioni dirette con centri di ricerca scientifica, l’artista lavora seguendo un approccio interdisciplinare, che guarda alla ricerca medica, psichiatrica, psicologica, antropologica e alle scienze naturali. Da quasi un decennio e con grande coerenza Fogarolli realizza opere in cui viene messa in discussione la separazione tra corpo e mente, tra sensi e intelletto, tra normalità e devianza, nell’intento di stimolare una riflessione sulle attribuzioni normative di malattia, emarginazione e categorizzazione nella società contemporanea. La mostra A Form of Delusion ne è una conferma. Essa si compone di una serie di lavori – installazioni ambientali, sculture e fotografie – ispirati al disagio conosciuto come “Glass delusion” (Delirio di vetro o Illusione del vetro), un disturbo psichiatrico diffuso in Europa soprattutto tra XV e XIX secolo, che induce chi ne è colpito a credere di essere composto di vetro e, quindi, suscettibile di frantumarsi. Un’allegoria del tempo presente, la metafora di un male che, alimentato dai rivolgimenti culturali che hanno segnato il volgere del Millennio come dalla cronaca quotidiana, tormenta i giorni nostri.

Il progetto Artificial Botany di fuse*, studio artistico che sviluppa l’uso creativo delle tecnologie digitali, esplora le potenzialità espressive delle illustrazioni botaniche attraverso l’utilizzo di algoritmi. Prima dell’invenzione della fotografia, le illustrazioni botaniche erano l’unico modo per archiviare visivamente le specie di piante esistenti al mondo. Queste immagini sono state usate da fisici, farmacisti e scienziati botanici per l’identificazione, l’analisi e la classificazione delle specie. Sebbene non siano più scientificamente rilevanti, sono comunque diventate fonte d’ispirazione per artisti che rendono omaggio alla vita e alla natura usando strumenti e metodologie contemporanee. Artificial Botany è un’opera – video installazione e serie di stampe – creata con questo spirito, attingendo da archivi di pubblico dominio contenenti illustrazioni dei più grandi artisti del genere, tra cui Maria Sibylla Merian, Pierre-Joseph Redouté, Anne Pratt, Mariann North ed Ernst Haeckel. Queste illustrazioni sono diventate il materiale di apprendimento per un sistema chiamato GAN (Generative Adversarial Network), che è in grado di ricreare nuove immagini artificiali con elementi morfologici quasi identici alle immagini originali, ma con dettagli e caratteristiche che sembrano creati da mani umane. La macchina in questo senso rielabora il contenuto creando un nuovo linguaggio, catturando le informazioni e le qualità artistiche tipiche dell’uomo e della natura e generando un cortocircuito fra permanente ed effimero, cangiante e duraturo, unico e plurale, naturale, culturale, artificiale e fantastico.

Galleria Alberta Pane Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/H albertapane.com

Marignana Arte/Project room Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro, 140A www.marignanaarte.it

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arte

NOT ONLY VENICE

Rinascimento capitale Vicenza scommette sull'immagine

Paolo Veronese, Ritratto di Livia Thiene e sua figlia Deidamia, The Walters Art Museum, Baltimora

È noto oramai a tutti che Andrea Palladio, Paolo Veronese, Jacopo Bassano e Alessandro Vittoria sono tra i giganti di una delle più strepitose e innovative stagioni dell’Arte Veneta, maturata verso la metà del Cinquecento, che ha lasciato un’incisiva e durevole eredità nei secoli a venire. Ricchi e preziosi sono gli studi sull’argomento, accresciuti negli ultimi quarant’anni, divulgati e resi fruibili al pubblico grazie all’organizzazione di grandi mostre sui singoli artisti, solo per citarne alcune su Palladio, Tiziano, Bassano, Veronese, Tintoretto …, sia grazie a importanti e più mirati eventi espositivi. La Fabbrica del Rinascimento. Processi creativi, mercato e produzione a Vicenza è un ulteriore e importantissimo tassello, una mostra di ricerca e un affondo tra i più innovativi e interessanti, un’indagine sui processi creativi e soprattutto sul mercato dell’arte di quegli anni, con esiti completamente inediti. I curatori Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Mattia Vico attraverso l’allestimento, in una Basilica Palladiana rimodellata per l’occasione (sobria, elegante e senza sprechi), e la narrazione efficacissima dell’audioguida (gratuita!), ci fanno riflettere (dibattere e meravigliare) sui meccanismi che stanno all’origine della creazione artistica, dove scultura, pittura e architettura sono messe a confronto in un dialogo continuo e serrato che va oltre l’analisi puramente stilistica del capolavoro artistico, oramai divenuta a dir poco riduttiva. È un viaggio nel tempo, dove fanno continuamente capolino i protagonisti di quella fortunata e dinamica congiuntura culturale ed economica. Donne, uomini e bambini vicentini, una classe di veri e propri imprenditori illuminati, che grazie anche alla fortuna della 36

Un architetto: Andrea Palladio. Due pittori: Paolo Veronese e Jacopo Bassano. Uno scultore: Alessandro Vittoria. Lavorano insieme per portare a Vicenza il Rinascimento di Raffaello e Michelangelo e mandare in pensione Tiziano e Sansovino produzione e al mercato della seta hanno saputo dare un imprinting – durevole e indelebile, monumentale e funzionale – alla Vicenza del secondo Cinquecento e al suo territorio circostante. Ne sono il primo esempio i ritratti a figura intera di Iseppo da Porto e la moglie Livia con i figlioletti, capolavori della ritrattistica veronesiana, che ci accolgono in mostra con grande efficacia, assieme ad altri ritratti di protagonisti vicentini dell’epoca. I dipinti sono presentati in dialogo con i modelli delle architetture palladiane, sempre belli da rivedere. Tra questi c’è anche il modello di Palazzo Porto, e non solo, perché dalla British Library è giunto il prezioso disegno che ne presenta il prospetto con due diverse soluzioni; forse fu proprio Livia a fare la scelta definitiva! Lo stesso Iseppo, che venne processato nel 1547 per eresia, ci introduce, grazie a un approfondito saggio in catalogo, alle inquietudini religiose che si diffondono a Vicenza: una città aperta alle nuove idee che provengono dal mondo protestante. Si parte, dunque, con una serie di intrecci narrativi che si snodano lungo tutto il percorso della mostra. Quattro capolavori dei protagonisti accostati – Palladio, Veronese, Bassano e Vittoria – offrono un’esperienza visiva estetizzante che induce a riflettere sul legame d’amicizia tra questi grandi maestri, un rapporto professionale di stima reciproca intensificatosi proprio tra i cantieri vicentini. La mostra continua per stimolanti focus tra opere finite, disegni preparatori, stampe, modelli, repliche. Ci sembra di comprendere veramente l’essenza del processo creativo di queste geniali menti, con alcune similitudini come quella tra Palladio e Veronese, forse presenti nel loro DNA. Il confronto inedito tra le due splendide Adorazioni di Jacopo Bassano (Birmingham e Vienna) ci fa apprezzare la grandezza di una personalità artistica che vive in provincia ma che è aggiornata sulla “maniera moderna”, quella elegante lezione parmigianinesca. Le due repliche sono così uguali e allo stesso tempo così diverse. La seconda parte della mostra è tutta nuova, arricchita dagli studi di Edoardo Demo, storico dell’economia, perché il valore delle opere d’arte a quell’epoca risulta essere assolutamente non scontato e soprattutto molto diverso dai nostri standard. Tra libri dei conti e note di spesa, tutte le opere esposte hanno trovato un valore che viene espresso in maiali (la sagoma del suino è posta a fianco della didascalia): quel “maiale mezzanotto” dal valore di tre ducati che facilita la comprensione del valore delle opere d’arte. La sorpresa è evidente e soprattutto davanti ai nostri occhi: un capolavoro di Bassano come il Ritratto dei due cani del Louvre vale 3/4 di maiale. Vale poco, anzi pochissimo! Franca Lugato La Fabbrica del Rinascimento Fino 18 aprile Basilica Palladiana-Vicenza www.mostreinbasilica.it


GEOGRAFIE CONTEMPORANEE

Obotong Nkanga

Carlo Levi, ritratto di Carlo Ragghianti

A proposito di Carlo Levi e Ragghianti per i 40 anni della Fondazione Una mostra identitaria per celebrare quattro decenni di continua, meticolosa e mai scontata ricerca nel panorama delle arti contemporanee seguendo e approfondendo l’acuta visione antesignana di uno dei più importanti storici e critici dell’arte del Novecento: Levi e Ragghianti. Un’amicizia tra pittura, politica e letteratura, fino al 20 marzo al primo piano del Centro Studi sull’Arte della Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, nel Complesso monumentale di San Micheletto a Lucca. Una scelta per niente casuale, dato il singolare sodalizio culturale di lunga data che caratterizzò il rapporto tra il critico d’arte lucchese e una delle personalità più eclettiche del Novecento, benché fino a oggi poco approfondito dagli studi accademici e dalla storiografia. La retrospettiva, realizzata in collaborazione con Fondazione Carlo Levi di Roma e curata da Paolo Bolpagni, Daniela Fonti e Antonella Lavorgna, conta circa cento opere dell’artista e si articola in sei sezioni che indagano l’evolversi del discorso artistico e politico di questa significativa amicizia. La mostra parte dagli anni di formazione del pittore tra Torino e Parigi, per poi passare al periodo fiorentino, condiviso con Ragghianti, nella Resistenza tra le fila del Partito d’Azione (Levi in Piazza Pitti, a partire dal 1941, scrisse, rifugiato nella casa di Anna Maria Ichino, il romanzo autobiografico Cristo si è fermato a Eboli), così da culminare con la produzione più matura dell’artista. L’interesse nei confronti di Levi pittore è individuabile già in un Ragghianti

ventiseienne che due anni dopo – è il 1938 – ne recensisce positivamente sulla rivista da lui fondata, «La Critica d’Arte», la partecipazione alla collettiva organizzata da Galleria della Cometa di New York, estensione statunitense della gemella romana fortemente voluta dalla contessa Mimì Pecci Blunt e diretta da Libero de Libero e Corrado Cagli. Negli anni Ragghianti continuerà a curare mostre su Levi fino a dopo la morte dell’artista con Levi si ferma a Firenze del 1977, ma è già del 1948 la prima monografia del critico dedicata a un artista a lui contemporaneo che segna, a sua volta, la prima storicizzazione dell’opera leviana; nello stesso anno, inoltre, Ragghianti inizia a insegnare presso l’Ateneo pisano, coniugando avanguardisticamente lo studio dell’arte allo spettacolo e al cinema. Proprio verso la settimana arte, lo studioso nutre un vivo interesse, condiviso da Levi, e questo aspetto originale e innovativo è messo in evidenza dalla mostra: Levi fu sceneggiatore e scenografo per alcuni film, disegnò il manifesto del pasoliniano Accattone e divenne ritrattista di molti personaggi del mondo del cinema. Esposti in mostra i volti di Anna Magnani, Silvana Mangano, Franco Citti ma pure quelli di Ragghianti stesso, e dei loro comuni amici come Montale, Calvino, Gadda e Frank Lloyd Wright. Federico Jonathan Cusin Levi e Ragghianti. Un’amicizia tra pittura, politica e letteratura Fino 20 marzo Fondazione Ragghianti-Lucca www.fondazioneragghianti.it

Una nuova piattaforma espositiva di azione in ambito contemporaneo vede Fondazione Benetton Studi Ricerche e Fondazione Imago Mundi unite nel segno di una progettualità coerente: nasce Treviso Contemporanea dal 5 febbraio al 29 maggio. Tre distinte mostre in tre diversi luoghi della città sviluppano un tema comune, quello della necessità attualissima di “mappare il mondo” nella percezione storica e contemporanea, dalle forme tradizionali della lettura cartografica dello spazio terrestre alla trascrizione artistica nel rapporto che intercorre tra esperienza e rappresentazione, fino al lavoro di artisti e comunità provenienti da mondi altri. Un itinerario comune che invita a riflettere sull’immagine del mondo, facendo esperienza, nel muoversi da una sede all’altra, della mappa stessa della città di Treviso. Dalle mappae mundi, custodite nei libri di preghiere del XIII secolo, alle straordinarie costruzioni cartografiche del mondo dei commerci oceanici, dai tappeti geografici contemporanei alla mappa del mondo di Google: Mind the Map! Disegnare il mondo dall’XI al XXI secolo a Ca’ Scarpa, curata da Massimo Rossi e organizzata da Fondazione Benetton Studi Ricerche, offre una riflessione sulle dinamiche di costruzione dell’immagine del mondo con la quale quotidianamente ci confrontiamo. Terra Incognita. Esplorazioni nell’arte aborigena nella Chiesa di San Teonisto, curata da D. Harding e organizzata da Fondazione Imago Mundi, parte dalla collezione di arte aborigena australiana della Luciano Benetton Collection per creare una grande installazione composta da oltre ottanta tele dipinte, un paesaggio vibrante di colori, sintesi attiva di diverse esperienze ed espressioni. Quattordici artisti internazionali sviluppano il significato tradizionale di mappa lungo strade non convenzionali – subconscio, corpo, pensieri, memorie – presentando un’idea di mappatura alternativa in Atlante Temporaneo. Cartografie del sé nell’arte di oggi alle Gallerie delle Prigioni, a cura di Alfredo Cramerotti e organizzata sempre da Fondazione Imago Mundi. Treviso Contemporanea Fino 29 maggio Ca’ Scarpa, Chiesa di San Teonisto Gallerie delle Prigioni-Treviso www.fbsr.it | www.fondazioneimagomundi.org

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NOT ONLY VENICE

Firenze-revolution Intervista a Caio Twombly Incontriamo Caio Twombly, alla mano, gentile e perspicace, co-fondatore e curatore di Spazio Amanita, una nuova realtà statunitense nel cuore rinascimentale di Firenze. Ne risulta una chiacchierata informale sul sistema dell’arte contemporanea con chi cerca, a venticinque anni, di promuovere e curare nuovi artisti, senza dimenticare il dono della leggerezza. L’Amanita è un genere di fungo a cui appartengono sia specie tra le più velenose che altre commestibili. Quale significato assume tale termine nello Spazio Amanita? Mi piace molto la parola. Mio padre è uno pseudo micologo, molto appassionato dello studio dei funghi e lo sono anch’io. L’amanita muscaria è quella a cui ci riferiamo, comunemente chiamata la “spia”, di colore rosso con screziature bianche. Lessi un libro dal titolo The Sacred Mushroom and the Cross di John M. Allegro (1970) che parlava di un mistico luogo in Grecia dove nell’antichità molti senatori, pure Marco Aurelio, partecipavano a riti sciamanici psichedelici durante i quali l’amanita muscaria veniva impiegata per trionfare sulla paura della morte. Lo Spazio prende, dunque, il nome da questo fungo perché sinonimo di coraggio. Quando e come nasce questo progetto? Spazio Amanita nasce circa un anno fa. Siamo in tre ad averlo fondato: Luca Zannoni, proprietario di Palazzo dello Strozzino, dove al secondo piano c’è la nostra sede, Tommaso Rositani Suckert, il businessman del gruppo che collabora anche con Gagosian, e io. Ci tengo a precisare che lo spazio fiorentino è in comodato d’uso e che, essendo la nostra una compagnia statunitense, stiamo aprendo una galleria anche a New York. È molto interessante per noi operare a Firenze, contornati da una scena artistica in evoluzione e da realtà importanti che attualmente propongono grandi retrospettive, penso a quelle di Jeff Koons a Palazzo Strozzi o di Jenny Saville al Museo Novecento. La prima mostra allo Spazio Amanita è stata organizzata tra febbraio e marzo 2021, compatibilmente con i disagi dovuti alla pandemia, in collaborazione con Avant Arte, uno dei primi blog dedicati alla promozione di giovani artisti, creato dal mio amico olandese Christian Luiten. È seguita la personale dedicata a Marco Scarpi, pittore ventitreenne di CavallinoTreporti, che stimo molto sia come persona che come artista. Come avviene la selezione delle nuove proposte e chi presentate attualmente in mostra? Il nostro obiettivo è creare un trampolino di lancio per artisti emergenti per poi farli conoscere in America. Non per forza devono essere giovani; abbiamo ad esempio esposto delle tele di Eva Beresin – sessantenne artista austriaca che da pochi anni ha iniziato a dipingere – durante la nostra penultima mostra Post Fata Resurgo. Cerchiamo forze fresche nel sistema dell’arte, indipendentemente dalla loro età. La mostra attuale, Cancellare senza permesso, è una personale dedicata a Leonardo Meoni (27 anni). Il titolo riflette su un possibile atto di sottrazione: è come togliere con l’indice della mano della polvere da una finestra disegnando una forma; è un atto di cancellazione da cui nasce altro, una piccola damnatio memoriae creativa. Leonardo si presentò 38

spontaneamente ai miei soci mentre stavamo organizzando lo Spazio un anno fa e iniziò a dare una mano durante i lavori di allestimento. Successivamente Edoardo Marabini, autore di un testo critico sulla mostra, mi portò a vistare il suo studio e rimasi molto colpito dalle tele di velluto di grandi dimensioni. Leonardo mi parlò anche della sua voglia di intervenire su questo tessuto con bombolette spray e l’intuizione dicotomica rispetto alla regalità del velluto veneziano mi affascinò. È un artista agguerrito, col fuoco negli occhi, pieno di idee. Gli abbiamo offerto di lavorare a Bassano in Teverina, dove stiamo creando una Fondazione in un palazzo acquistato da Cy Twombly nel 1975, che possa offrire residenze d’artista. Qui per due mesi si è in parte ‘ridimensionato’: una persona così forte ed estroversa si è trovata in una sorta di isolamento. I quadri sono diventanti per lui una salvezza rispetto alla solitudine e alla lentezza dello scorrere del tempo. È stato speciale per me che abbia creato queste opere nel viterbese, luogo esoterico, un po’ surreale e anarchico... Vicino a Bassano in Teverina si trova il Sacro Bosco di Bomarzo! Le sensazioni che evocano questi luoghi le ritrovo sulle tele che ha creato. Molto giovani siete anche voi che avete ideato e gestite lo Spazio: quale la sua opinione sul ‘ritardo’, molto italiano, con cui le nuove generazioni riescono ad avere un ruolo attivo nel sistema dell’arte? È una questione a cui penso poco. Sono cresciuto a New York, lì tutto accade più in fretta, si cresce più in fretta. A vent’anni c’è chi ha già degli


Personalmente voglio lavorare con artisti che mi eccitano, che osano e sperimentano, soprattutto italiani, ma non solo. Artisti, persone con cui sia possibile costruire un rapporto d’amicizia, oltre che condividere gli obiettivi della galleria

impiegati in proprie aziende in ascesa. Questa è la mentalità “americana” che contraddistingue anche noi; Tommaso, poi, è molto intrepido. Detto ciò, noi puntiamo molto anche sul divertimento. Per me le mostre devono essere celebrate, è essenziale il fatto che la gente possa venire qui anche a divertirsi. Questa energia forse manca a gallerie più strutturate. Nei ventuno precetti del Dokkōdō del grande Miyamoto Musashi si legge: «think lightly of yourself and deeply of the world» (pensa con leggerezza a te stesso e profondamente al mondo). Io abbraccio questa filosofia. Guardando al futuro, mi sento molto ispirato e in sintonia rispetto a come Carl Kostyál gestisce la sua galleria: quarant’anni di carriera, sempre molto legato ai suoi artisti. Una felice combinazione tra esperienza e continua energia da vendere. Sembra che lo Spazio sia orientato a promuovere in modo particolare la pittura, un interessante ritorno al materico quando il digitale incalza sempre più anche nella creazione artistica. In veste di curatore qual è la sua personale ricerca nel panorama contemporaneo? Personalmente voglio lavorare con artisti che mi eccitano, che osano e sperimentano, soprattutto italiani, ma non solo. Artisti, persone con cui sia possibile costruire un rapporto d’amicizia, oltre che condividere con loro gli obiettivi della galleria. Guardo molto all’innovazione anche dal punto di vista delle tecniche impiegate nell’atto di creazione artistica: Marco unisce acrilico a polvere di marmo, Leonardo Meoni, invece, ‘accarezza’ il velluto e così via.

Credo che Spazio Amanita, in termini architettonici e di design, si presti meglio alla pittura, ai quadri: è un corridoio molto ampio con grandi finestre da un lato e un muro bianco dall’altro che culmina in due stanze più piccole. Nella mia carriera di curatore ho lavorato principalmente con pittori e ciò rappresenta il mio più grande interesse. Non riesco, almeno per il momento, a pensare a delle sculture nello Spazio fiorentino; devo ancora ‘accedere’ alla terza dimensione (ride). Poi di NFT non ne parliamo... Sono molto legato a Kenny Schachter, che è un pioniere della digital art, ma faccio fatica, mi sembra di vedere tante cose brutte più che belle. Oltretutto sono reticente a spendere tempo eccessivo davanti allo schermo e questa modalità che implica un supporto digitale per fruire di un’opera non mi aggrada. Tommaso pensa più di me a possibili future mostre NFT. Magari cambierò idea, il mio gusto è in evoluzione. Un vostro prossimo progetto si terrà in Engadina, a Saint Moritz. Di cosa si tratta? L’Engadina è un luogo davvero speciale, dove mi piacerebbe concretamente creare una nostra realtà. La Svizzera ha un’offerta culturale molto alta, grandi musei e grandi artisti. Un mio carissimo amico, l’artista Adrian Schachter, con cui condivido una grande passione per questo luogo sublime, ha creato molto lì. C’è un nuovo spazio chiamato The Stable S-Chanf con cui siamo in contatto. L’ambiente, essendo interamente di legno, non è apparentemente adatto all’istallazione di opere come quelle che trattiamo, ma mi intriga molto questa ‘sfida’: a marzo 2022 vi esporremo i nostri artisti. Nel futuro di Spazio Amanita vedi anche un possibile ‘sbarco’ a Venezia? Venezia, come canta Battiato, «mi ricorda istintivamente Istanbul, stessi palazzi addosso al mare». È un luogo di cui sono innamorato. È pure, dopo la Lazio, la mia squadra calcistica del cuore! Non la conosco ancora troppo bene per capire al meglio come approcciarla, ma ci arriveremo, un giorno non troppo lontano. Federico Jonathan Cusin Spazio Amanita Via dei Sassetti 1-Firenze spazioamanita.com

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NOT ONLY VENICE

Di luoghi e dell’anima Paesaggi e ritratti dai Romantici a Segantini

Primo capitolo del più vasto progetto espositivo Geografie dell’Europa. La trama della pittura tra Ottocento e Novecento, la mostra Dai Romantici a Segantini. Storie di lune e poi di sguardi e montagne, a cura di Marco Goldin, onora nell’allestimento delle sale, attraverso luci e ombre ben calibrate, alcuni capolavori europei della fine del XVIII all’inizio del XX secolo, mai esposti in Italia. Paesaggi lirici improntati su toni freddi, ritratti di figure del tempo fra i quali artisti e famigliari celebrati nelle loro identità nazionali. Una selezione di opere di area tedesca, austriaca e svizzera, del Kunst Museum Winterthur, facenti parte della collezione (600 dipinti e oltre 7000 opere su carta) di Oskar Reinhart (1885–1965), figlio di Theodor, anche lui collezionista e mecenate, a capo di un ricco gruppo mercantile, Gebrüder Volkart, che importava ed esportava merci, dal cotone al caffè al cacao, con filiali tra l’India e il Sud America. Si parte con i paesaggi svizzeri, Di acque, prati e montagne, prima sezione, fra ‘700 ed ‘800, tra profondo naturalismo e l’idea del Sublime da Kant a Schiller: dai gelidi bianchi, verde-azzurri dell’impervio Ghiacciaio di Grindelwald (1774) di Caspar Wolf, ai rassicuranti grigio verdi e ocra di coubertiana memoria di valli, boschi e rocce di Alexandre Calame, Barthélemy Menn e Rudolf Koller. Magistrale la 40

resa di infinite variazioni tonali di luce tra i fili d’erba, le foglie degli alberi e le ombre sui sentieri, nella quiete della campagna attraversata da un pastorello e da una contadina, il cesto al braccio, in Prato al sole (1856) di Robert Zünd. L’età romantica per antonomasia prende corpo nella seconda sezione, Il lume della luna e altre storie, in Germania, con dipinti dei primi decenni dell’Ottocento di Caspar David Friedrich, ove emerge lo spirito della natura e la finitezza dell’uomo assorto in contemplazione dell’infinito, come ne Le bianche scogliere di Rügen, aperte sulla vastità dell’orizzonte al tramonto e al vento degli alberi, e ancora, la metaforica solitudine di quel che resta del nostro ‘viaggio’ terreno, fatto non solo di alberi spettrali ma di ancore abbandonate in porti e città al chiaro di luna, quella stessa luna, «emanazione dell’anima del mondo, il ponte luminoso tra qui e l’Universo» su cui vegliano i due putti di Philipp Otto Runge ne Il sorgere della luna. La terza sezione, L’Italia, la mitologia e il viaggio, è sulla perdurante influenza del classicismo nel sublime di artisti come Arnold Böcklin, con i suoi fauni, satiri e ninfe, l’apollineo e il dionisiaco trasportato nei paesaggi. Realismo mitigato dalla poesia dei gesti e delle espressioni, nei ritratti sociali e borghesi che guardano ai francesi Courbet, Manet e Renoir, nella quarta sezione, Lo sguardo e il mistero del silenzio, che presenta due grandi artisti svizzeri, Albert Anker, con la muta tenerezza delle sue Piccole magliaie (1892) e la lucida compostezza ed empatia tra la maestra e i suoi bimbi in Asilo (1890), nonché il superbo ritratto della giovane Louise, la figlia dell’artista (1874) elegantemente vestita alla moda tanto quanto Louise Lardet (1878), figlia di un console, di Ferdinand Hodler. Il Racconto della vita, dal realismo all’impressionismo tra Austria e Germania rivive nella quinta sezione con Case a Berlino nella neve (1847) di Adolph von Menzel, o nell’intimità della stanza de La madre dell’artista (1871) assopita, la finestra spalancata sui tetti, di Hans Thoma, ne Il pittore nel giardino (1860 c.a.) di Carl Spitzweg, seduto all’ombra del suo immancabile ombrello, o nella dimessa Ragazza che legge di Fritz von Uhde, in cucina, con la sola compagnia del suo gatto. La strada verso La valle incantata, tra occhi, villaggi e montagne nella Svizzera che cambia colore da Segantini a Giacometti, nell’ultima sezione fa immergere lo spettatore nel modernismo di colori puri e giustapposti, con rimandi a Van Gogh e Gauguin, si veda L’Autoritratto di profilo (1909-10 c.a.) e La vecchia (1912) rugosa e baciata dal sole pieno, di Giovanni Giacometti, la visione interiore e panteistica di Paesaggio alpino con donna all’abbeveratoio (1893 c.a.) di Giovanni Segantini e l’emozionale e vorticoso Sole d’autunno (1913) di Cuno Amiet. E ancora, “oltre Cezanne”, le montagne di Hodler, e soprattutto il suo Sguardo verso l’Infinito (1916), che chiude idealmente l’esposizione, una sorta di allegoria di cinque donne in tunica azzurra che senza tenersi le mani, sono unite in contemplazione sulla riva del mare, come in mezzo ad una duna nel deserto: il simbolismo di un presente che è già passato ma che lascia presagire, non rivelandolo, un futuro, almeno in sogno. Luisa Turchi Dai Romantici a Segantini. Storie di lune e poi di sguardi e montagne. Capolavori dalla Fondazione Oskar Reinhart Fino 5 giugno Centro San Gaetano-Padova www.lineadombra.it


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Palazzo Franchetti Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti

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Venice October 16, 2021 March 13, 2022 41


spettacolo in francese con sovratitoli

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spettacolo in lingua originale con sovratitoli

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Carnevale, eppur si muove… Una nuova dimensione di una festa che è della città, per la città, nella città. Seguiteci per meglio entrare in una teoria di spettacoli, sapori, storie di una Festa che ciascuno può scomporre e ricomporre a proprio piacimento

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© Lucio Schiavon

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Intervista a Rita Chimetto Alajmo Galani, frittelle e tante torte

a cura di Fabio Marzari

BASTA UN POCO DI ZUCCHERO... Oltre alla cucina, quello che rende me e mio marito orgogliosi è l’essere riusciti a trasmettere ai nostri figli il senso della fatica, l'umiltà, il traguardo da raggiungere senza temere di sporcarsi le mani tutti i giorni

I

mpossibile far finta che non sia tempo di Carnevale. Da settimane ogni pasticceria, bar, fornaio hanno in vendita le frittelle nelle differenti varianti: veneziana, alle mele, con crema, pistacchio, ricotta, cioccolato e quant’altro. Venezia d’altronde è la patria delle fritole e la tradizione sembra reggere bene, nonostante le onde d’urto salutiste sempre in agguato a ricordare le troppe calorie ingurgitate. Altro dolce tipico del periodo sono i galani, o crostoli, o denominati con svariati altri sostantivi ancora a seconda della parte d'Italia in cui sono preparati. Anche per i galani, così come per le frittelle, ci sono assolute eccellenze e altrettante mediocrità; noi abbiamo la fortuna qui di poter raccontare la storia dei galani più buoni del mondo – l’iperbole è doverosa –, una scoperta fatta quasi per caso durante uno degli ultimi giorni di Carnevale un po’ di anni fa, al Caffè Quadri in piazza San Marco. La ricetta e l’esecuzione sono affidate alle mani abilissime della signora Rita Chimetto Alajmo, madre di Laura, Raffaele e Massimiliano, che per chi anche solo superficialmente conosce la cucina di primo livello internazionale non hanno certo bisogno di alcuna presentazione. Come le madeleine per Proust, chiedo venia per il paragone tanto illustre, i galani della Signora Rita hanno riportato al mio cuore e al mio palato un gusto familiare, magnifico, che pensavo non avrei mai più potuto ritrovare, ovvero i galani che faceva mia madre. Doveroso quindi chiedere direttamente alla signora Rita Caffè Quadri | Piazza San Marco Amo | T Fondaco dei Tedeschi, Rialto alajmo.it

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Alajmo come riesca a realizzare questi piccoli splendori per il palato. Ne è scaturita una piacevole conversazione sull’onda dei ricordi, il racconto di una famiglia iconica nel mondo della ristorazione che non è certo arrivata in vetta senza fatica e spirito di sacrificio. Talento certo, ma altrettanta abnegazione e profonda passione. Come dire, non basta nascere Alajmo per diventare Alajmo. Signora Alajmo, come riesce a fare questi galani a dir poco sublimi? Anche se il periodo è ancora incerto per la pandemia, non dobbiamo in alcun modo scordare le nostre tradizioni; galani e frittelle si possono prendere e poi mangiare in tutta sicurezza a casa! I galani ho imparato a farli così da mia madre che, come capitava allora, non seguiva una particolare ricetta; anche quando preparava il classico dolcetto per casa in quattro e quattr’otto gli ingredienti erano messi ad arte, con casualità solo apparente. Ho provato quindi a scopiazzare la sua ricetta non codificata e nello stesso tempo ho iniziato a segnare i pesi e le giuste quantità degli ingredienti, in modo da ricavare delle dosi ottimali. Così un po’ alla volta sono riuscita a ricostruire la ricetta di famiglia, mettendoci poi anche del mio. Fondamentale per i galani è la cottura nell’olio tenuto alla giusta temperatura, come altrettanto fondamentale è cambiare l’olio, rigorosamente di oliva, alla fine di ogni cottura. Usando l’olio di oliva la resa è decisamente superiore, vietato l’olio di semi. I crostoli (la signora non è veneziana, quindi per lei sono “crostoli”) hanno una


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carnivaltaste INTERVISTA RITA CHIMETTO ALAJMO

cottura veloce, devono essere adagiati nell’olio bollente, subito girati e tirati fuori. Per evitare che si creino bolle che potrebbero riempirsi d’olio, la pasta va forata prima della cottura e lo spessore della pasta deve essere sottile, al punto da rendere quasi impalpabile il tutto, ma senza che si spezzino appena li si prende in mano. In superficie devono rimanere solo quelle piccole bolle che sono piacevoli anche alla vista; l’aria al loro interno li fa sembrare ancora più croccanti. La morbidezza, la sofficità e il sentore di piacevolezza al palato devono essere una caratteristica irrinunciabile dei crostoli. Sono stata sempre attenta a tutte le fasi di preparazione; ho provato e riprovato finché non ho ottenuto quello che desideravo. Ho infine messo a punto la ricetta e la ho insegnata ai ragazzi. Fino a due anni fa ero io a farli; ora ho delegato, ma sempre sotto il mio vigile controllo! È un lavoro faticoso: vanno preparati uno ad uno, tagliati, fritti, asciugati. Una volta adagiati sul vassoio a completare il tutto vanno cosparsi di zucchero granulato, non quello a velo, proprio come faceva mia mamma. Le frittelle invece risultano un po’ più semplici da realizzare: una volta preparato l’impasto si utilizza una friggitrice più grande, non vanno gestite una alla volta come i galani. Si cuociono più lentamente, ma nel complesso risulta più semplice la loro realizzazione, stante il fatto che l’impasto va preparato con cura meticolosa e ogni ingrediente deve essere dosato in maniera precisa. Non le chiedo la ricetta esatta, meglio gustarli già fatti, senza il rischio di commettere errori. Essere madre di Massimiliano, uno tra gli chef più talentuosi al mondo, immagino sia motivo di giusto orgoglio. È lei ad aver trasmesso la passione per la cucina a suo figlio? Va detto che Massimiliano da bambino non mi abbandonava mai. Ricordo quando aveva cinque anni e abbiamo deciso di iscriverlo alla “primina”, iniziando un anno prima del previsto la scuola elementare. Avevamo appena rilevato il locale che allora si chiamava Aurora, le odierne Calandre; abitavamo a Ponte di Brenta, dove mio marito dirigeva Le Padovanelle, e io dovevo gestire tre bambini al meglio, non facendo loro mancare le attenzioni necessarie. A Massimiliano non piaceva andare all’asilo, quindi lo abbiamo iscritto in una scuola privata per fare la prima anticipata, mentre i suoi fratelli più grandi, Laura e Raffaele, andavano a scuola vicino a casa. Prima di andare all’Aurora portavo il piccolo a scuola, a Santa Rita, facendo il giro di Padova, visto che abitavamo dalla parte opposta rispetto al locale che si trova a Sarmeola. Per fortuna la maestra di Massimiliano, che abitava vicino a noi, lo riportava a casa. Nello spazio della mattina dovevo organizzare la gestione della cucina, cambiando quello che non mi andava bene e rimodulando il tutto secondo le mie idee. Un tempo il sabato era il giorno di chiusura e ne approfittavo per preparare una marea di torte con l’aiuto di mia mamma, senza macchinari, senza niente, una cosa spettacolare. Con solo un frullatore – non so come riuscissimo! –, facevamo anche trenta o quaranta torte per volta da mettere in vendita la mattina successiva. Non c’erano tutte le attrezzature di oggi, solo dei normali frigoriferi, ma puntualmente ogni domenica non ne rimaneva neppure una, vendute tutte!

L’Aurora era anche un albergo, molti nostri clienti erano agenti di commercio e spesso chiedevano al mattino per colazione di poter avere le stesse torte che la sera precedente avevano trovato nel carrello dei dolci. Queste insistenti richieste mi hanno portata a cercare dei piccoli stampi per preparare delle paste per la colazione, delle monoporzioni, così come ho anche capito che era giunto il momento di fare dei corsi, che non potevano però durare più di un giorno e mezzo perché non potevo staccarmi dagli impegni familiari. Così le torte via via sono diventate più decorate, presentate sempre meglio; non bastava più offrire dei dolci come quelli fatti a casa. Tornando a Massimiliano, quando il sabato portavo con me i bambini all’Aurora, Laura e Raffaele giocavano fuori, invece lui stava sempre al mio fianco mentre preparavo tutte quelle torte per la domenica. Non c’era verso che si distraesse giocando o facendo altro, lui voleva stare con me. Aveva cinque anni e mi diceva che voleva fare i biscotti. Allora preparavo l’impasto e glielo davo, gli insegnavo come lavorarlo e lui apprendeva molto in fretta. È partito così. Sto scoprendo dal suo racconto che lei ha saputo innovare molto in cucina. È chiaro da chi i suoi figli abbiano imparato al meglio la lezione di una cucina di alta qualità da curare in ogni minimo suo dettaglio… Qualche idea buona credo di averla avuta. Sono partita, come mi pare si sia ben capito, dai dolci. Oltre che farli adoro mangiarli, anche se sono attenta a non esagerare come invece vorrei poter fare! In cucina ho iniziato a proporre piatti vegetariani più di quarant’anni fa, quando si può dire neppure si sapeva cosa fossero o quasi. Malgrado la tartare di carne che prepara mio marito sia a detta di molti straordinaria (ndr: lo è!!), sono più di quarant’anni che non mangio carne, solo un po’ di pesce e sono felice della mia scelta. Io preparavo i piatti per i clienti e devo dire che erano molto apprezzati; mio marito faceva da cavia nei miei esperimenti. Ci siamo sempre aiutati e siamo felici di essere arrivati fin qui. Quanti ricordi… Mi sovviene ora l’immagine di Massimiliano piccolino, avrà avuto un anno circa, seduto nel seggiolone che si arrampica sul tavolo della cucina e guarda il piatto di suo fratello Raffaele, che ha sei anni più di lui, inevitabilmente più ricco e abbondante. Vedendolo si disperava, anche lui voleva il piatto stracolmo, impossibile placarlo fino a quando il suo piatto diventava come quello del fratello. Oltre alla cucina, quello che rende me e mio marito orgogliosi è l’essere riusciti a trasmettere ai nostri figli il senso della fatica, l'umiltà, il traguardo da raggiungere senza temere di sporcarsi le mani tutti i giorni. Lavorare con amore, con gioia. Penso stia un po’ anche in questa eredità che abbiamo saputo trasmettergli il segreto del loro successo. 47


carnivalface

Intervista a Massimo Checchetto Direttore del Carnevale di Venezia 2022

a cura di Elisabetta Gardin

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REMEMBER THE FUTURE Camminando per Venezia si è costretti a continui cambi di direzione, le calli terminano in una svolta; dietro ad una svolta una sorpresa, spesso una meraviglia, quasi sempre un futuro...

D

a tempi lontanissimi il Carnevale è caratterizzato dal rovesciamento dei ruoli per lasciar posto alla voglia di trasgressione anche un po’ dissoluta; forse proprio questo senso di libertà, il potere della fantasia e della leggerezza sono la chiave per capire il grande successo che questa Festa riscuote ancora oggi. In Italia i riti carnevaleschi sono molti ed estremamente diversi da città a città, dalla Battaglia delle arance di Ivrea ai carri allegorici di Viareggio, alla Sartiglia di Oristano, ogni regione ha le sue maschere tipiche, i suoi dolci, le sue tradizioni, tuttavia senza dubbio il più famoso e amato nel mondo rimane il Carnevale di Venezia. Il primo documento relativo a questa “festa pubblica” è un editto del Senato veneziano del 1296. Il suo massimo splendore lo raggiunge però nel 1700, quando la città fa da sfondo alle improvvisazioni di attori e saltimbanchi, alle feste, alle occasioni mondane. I teatri si riempiono, così come i ridotti, si gioca d’azzardo e soprattutto ci si maschera: tutti sfoggiano baute, tricorni, tabarri, morette. Impossibile non ripensare alle opere di Pietro Longhi che ci riportano a quelle atmosfere gioiose. Venezia offriva ai suoi abitanti e ai foresti spettacoli straordinari come le corse dei tori, le piramidi umane, il volo del turco, poi diventato volo della Colombina. Il Carnevale di Venezia 2022, dal titolo emblematico Remember the Future, si svolgerà dal 12 febbraio al primo marzo. Questa edizione punterà soprattutto sui teatri al fine di garantire la sicurezza di tutti, in linea con le disposizioni imposte dalla pandemia. Vietati i grandi eventi a favore di intrattenimenti disseminati in tutta la città, senza affollamenti. Rimandati al prossimo anno il Volo dell’Angelo e quello dell’Aquila, Piazza San Marco non offrirà né musica né sfila-

te e il concorso della Maschera più Bella anche quest’anno si svolgerà online. Tuttavia svariate rimangono le occasioni di divertimento che questa edizione di transizione saprà offrire. Oltre al ricco cartellone presentato dai teatri, verranno organizzati spettacoli in tutti i sestieri e persino nei musei, con aperture serali. Non mancheranno inoltre le cene al Casinò e le feste esclusive nei palazzi, a partire dall’imperdibile Ballo del Doge. Direttore artistico del Carnevale, riconfermato dopo l’edizione 2020, Il Gioco, l’Amore e la Follia, sospesa a causa della pandemia, è Massimo Checchetto. Scenografo e direttore degli allestimenti scenici del Teatro La Fenice, Checchetto ha firmato le scenografie di importanti eventi, tra cui la Regata Storica. Attualmente sta collaborando all’opera pop Casanova di Red Canzian. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il ‘suo’ Carnevale. Ci parli dell’edizione 2022, cominciando naturalmente dalla scelta del titolo. Quest’anno il Carnevale coincide con il compleanno della città, rientrando quindi nelle manifestazioni per i 1600 anni di Venezia. Tuttavia non potrà essere né organizzato né vissuto pienamente in libertà, perché in tema di sicurezza bisogna essere ancora molto cauti. Sarà comunque un segno di ripresa verso un futuro migliore. Per questo motivo, per stimolare l’immaginazione, la creatività e soprattutto la ripresa, abbiamo deciso di intitolare questa particolare edizione del Carnevale Remember the Future, dove il futuro è inteso come un viaggio interiore e immaginifico nella bellezza e nella creatività della nostra Venezia.


Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato, e che ancora immagino incontrerete, nell’organizzazione di un evento che fa della partecipazione, della condivisione in strada la sua cifra costitutiva? La prima difficoltà è stata operare in un clima di incertezza legato ovviamente all’andamento della pandemia, da cui conseguentemente abbiamo dovuto cercare di individuare delle soluzioni che si adattassero al cambiamento sociale imposto dal virus. Il Carnevale di Venezia è esserci, condividere la città, viverla con vivacità, “in presenza”, come si direbbe ora, tutte cose al momento molto complicate da conciliare con la persistenza seppur in fase calante del virus. Ci siamo sforzati di non perdere queste caratteristiche di socialità, adattandole alle esigenze del momento difficile che stiamo vivendo, pensando per esempio a più eventi diffusi capillarmente sul territorio. Nel 1979 a Venezia riesplode il Carnevale. Siamo nel pieno del crepuscolo degli Anni di piombo, per quanto ancora niente affatto archiviati. L’Italia vuole divertirsi, probabilmente dimenticare anche troppo in fretta quel grigiore, quella scia infinita di sangue. Che differenza sostanziale vede tra quei primi Carnevali all’insegna dell’improvvisazione, della spontaneità dettate da una straordinaria carica vitale e gli attuali, dove tutto è prestabilito, deciso a tavolino? Credo che tutti sentiamo il bisogno di divertirci e dimenticare, non solo, anche di sprofondare in un sogno di bellezza e serenità. Ricordo naturalmente come fosse oggi i primi carnevali veneziani: sono stati memorabili, una moltitudine di persone festanti. Ero molto giovane e trovavo quel delirio fantastico. A distanza di tempo però penso che la strada dell’improvvisazione non sia più percorribile, la delicatezza di questa città e il rispetto che le dobbiamo ce lo impone. Qual è il suo più bel ricordo del Carnevale? Da bambino si mascherava? In realtà il mio primo ricordo del carnevale non è del tutto piacevole. Ricordo che ero molto eccitato. Mia madre mi aveva promesso un costume per una festa in maschera; quando lo vidi

ci rimasi malissimo: era un costume da indiano “pellerossa”, quelli che nei film finivano sempre malissimo! Avrei preferito essere un cowboy e in particolare uno sceriffo, ma alla fine mi divertii lo stesso, essendo l’unico indiano della festa! Cinquant’anni dopo sul palco di San Marco ho avuto il mio costume stile Far West, uno sceriffo con tanto di pistole ad acqua (caricate a spritz!). Restando in tema travestimento, la maschera mostra un nuovo volto, mente, altera la realtà. Le piace essere coperto da questa sorta di anonimato e al tempo stesso poter sperimentare differenti personificazioni? Si, moltissimo, per tutti questi motivi! Lei è scenografo alla Fenice. Da cosa nasce la sua creatività? Cosa l’ha spinta in questa direzione? Ho sempre avuto una propensione per il disegno e la creatività. In qualche modo, quindi, la mia strada era già segnata fin da bambino. Una passione che ho coltivato negli anni fino ad arrivare all’Accademia di Belle Arti e poi al mondo dei teatri e della scenografia. In questo percorso ho avuto buoni maestri che ringrazierò sempre; poi mi ha aiutato la fortuna, che un po’ ci vuole sempre, e un pizzico di incosciente follia. La pandemia ha imposto pesanti limitazioni nel mondo dello spettacolo e della cultura. Si è avuto quindi un fiorire di eventi virtuali, di concerti in streaming. Le tecnologie sperimentano continuamente nuove formule per coinvolgere il pubblico da remoto. Di fronte a questo radicale cambiamento nelle modalità di fruizione culturale, come vede il futuro dei grandi eventi dal vivo? Viva la tecnologia che ci permette di immaginare mondi! È vero, recentemente si è sperimentato di tutto e con approcci molto diversi pur di arrivare a spettatori che altrimenti non avrebbero potuto godere del teatro e dell’arte, ma se parliamo di spettacolo dal vivo e delle emozioni che regala, mi spiace ma non c’è altra possibilità che quella di esserci, fisicamente! Niente può pareggiare questa dimensione. www.carnevale.venezia.it

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carnivalagenda

Carnevale in città Spettacoli, feste in maschera e aperture straordinarie

sabato

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lunedì

12/02 -

14/02 -

circo-teatro, acrobatica e clownerie

Fino 1 marzo

VENEZIA WONDER TIME! DONNE, DEE, MUSE ED ALTRI SGUARDI Spettacoli diffusi di musica, danza, Campo Santa Margherita, Campo San Giacomo, Esedra-Castello, San Geremia, San Cassiano, Campo dei Gesuiti, Campo Santa Maria Formosa, Sant’Elena | h. 11-13/15-19 [13, 18, 19-20 febbraio; 24 febbraio-1 marzo h. 11-13/15-19]

VISITE GUIDATE ALLA SCUOLA GRANDE DI SAN ROCCO Fino 1 marzo

Sede storica di una delle più importanti confraternite laiche di Venezia e del patto d’arte che la lega a Jacopo Tintoretto per quasi 30 anni (chiuso il lunedì; prenotazioniscuolasr@gmail.com) San Polo 3052 | h. 14.30/16

L’ARTE DI INDOSSARE L’ARTE Fino 1 marzo

In mostra una selezione di opere dell’artista Rossana Molinatti. A partire da Il bacio, citazione ed elaborazione del celebre dipinto di Klimt (1987) si arriva fino al 2020, ultimo Carnevale in presenza, con un omaggio a Tiepolo Chiostro, M9 – Museo del ‘900 via Poerio-Mestre | h. 10-18 www.m9museum.it

domenica

13/02 -

U NA GIORNATA SPECIALE P. 61

Laboratorio/concerto per bambini dai 4 ai 7 anni. Musiche di Viardot, Saint-Saëns, Fauré, Boulanger, Debussy Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 h. 15.30-16 | bru-zane.com

VENEZIA IMMORTALE

Nicolao Atelier presenta una cena di gala in costume per festeggiare in un’unica notte l’inizio del Carnevale e la Festa degli innamorati, con musica e balli veneziani Hotel Ca’ Sagredo, Campo Santa Sofia Cannaregio | h. 20-23 www.nicolao.com

LET THE CARNIVAL BEGIN! Dj night e live show

Hard Rock Café, Bacino Orseolo | h. 22 [14, 17, 24, 25, 27, 28 febbraio h. 22]

Mostra di maschere e sculture in cuoio

OFFICINA LABORATORIO

Laboratori di creazione di maschere neutre con tecniche di garza gessata con il Maestro Giorgio de Marchi e incontri con l’attrice Eleonora Fuser sull’uso della maschera al femminile: streghe, ruffiane, cortigiane e favole del Basile (info@scuolasangiovanni.it)

Scuola Grande San Giovanni Evangelista, San Polo 2454 h. 9.30-13/14-17.30 www.scuolasangiovanni.it

Scuola Grande San Giovanni Evangelista, San Polo 2454 h. 9.30-17.30 [19, 20, 25, 26, 27 febbraio]

giovedì

REMEMBER THE FUTURE Nebula Solaris

17/02 -

I BACI DI DAMA

Cioccolata spettacolo con degustazione di dolci tipici e danze veneziane Hotel Ca’ Sagredo, Campo Santa Sofia Cannaregio | h. 16.30 [22, 24 febbraio h. 16.30] www.nicolao.com

Opera Fiammae e Viorica danno vita a una memorabile serata di giochi di acqua e fuoco nello splendido scenario del Bacino dell’Arsenale di Venezia Arsenale, Castello | h. 18.45-21.15 [19, 20 febbraio; 24 febbraio-1 marzo h. 18.45-21.15]

sabato

ALTRO, ALTROVE. SPAESAMENTI MUSICALI P. 53

19/02 -

Fondazione Querini Stampalia Castello 2454 | h. 18-21 www.querinistampalia.org

Fino 27 febbraio

Visita guidata alle collezioni, concerto e aperitivo

venerdì

18/02 -

U NA CASETTA POP-UP

Nell’ambito della mostra Due mesi di carta in corso a Ca’ Pesaro, un laboratorio artistico per ragazzi dai 6 ai 14 anni sulle infinite possibilità creative della carta, in particolare con la creazione di pop-up. Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076 h. 11/14.30

CARNEVALE AL MUSEO P. 27

Da venerdì 18 febbraio a martedì 1 marzo aperture serali straordinarie fino alle ore 22 dei Musei di Piazza San Marco (Palazzo Ducale e Museo Correr) e del circuito con biglietto cumulativo dei Musei del Settecento Veneziano (Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano, Museo di Palazzo Mocenigo – Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo, Casa di Carlo Goldoni) www.visitmuve.it

13. CARNEVALE INTERNAZIONALE DEI RAGAZZI P. 61 Laboratori dedicati alle scuole da lunedì a venerdì e alle famiglie nel weekend (prenotazioni promozione@labiennale.org) Ca' Giustinian, San Marco 1364/A www.labiennale.org

domenica

20/02 -

STORIE DI MODA Il Carnevale della Serenissima Fino 1 marzo

Esposizione di costumi d’epoca dal primo rinascimento al Carnevale del ‘700, fedelmente riprodotti dal sarto Francesco Briggi dell’Atelier Pietro Longhi (visite guidate h. 11/15) Scuola Grande dei Carmini Dorsoduro 2617 | h. 11-17 www.pietrolonghi.com

CLAUDIO BAGLIONI Dodici note solo

Teatro Malibran, Cannaregio 5873 h. 21 | www.teatrolafenice.it

P. 52


lunedì

21/02 -

V IVALDI, IL MAESTRO DELLE QUATTRO STAGIONI

Proiezione del documentario di Eike Schmitz (2021); a seguire visita alle collezioni di Palazzo Grimani (prenotazioni: drm-ven.grimani@beniculturali.it) Palazzo Grimani, San Marco 4858 h. 15/17

ECHI DEL CARNEVALE DI VENEZIA NELLA STORIA E NEL MONDO

Presentazione del volume di Alessandro Norsa (Verona, Karyon editrice 2021). Nota biografica e introduzione di Piero Rosa Salva Ateneo Veneto, Campo San Fantin h. 17.30 | ateneoveneto.org

martedì

22/02 L E BARUFFE

P. 84

Dall’opera di Goldoni. Musica di Giorgio Battistelli. Libretto di Giorgio Battistelli e Damiano Michieletto. Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, diretti dal maestro Enrico Calesso Teatro La Fenice, Campo San Fantin | h. 19 [24 febbraio h. 19; 26 febbraio h. 15.30] www.teatrolafenice.it

mercoledì

23/02 R AMONA

P. 52

Spettacolo di marionette del Gabriadze Theatre

Teatro Goldoni, San Marco 4650/B | h. 20.30 [24 febbraio h. 20.30] www.teatrostabileveneto.it

giovedì

24/02 -

V ISITE GUIDATE A PALAZZETTO BRU ZANE Fino 1 marzo

Visite guidate gratuite in italiano, inglese e francese (prenotazioni: contact@bru-zane. com) Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 h. 14.30/15/15.30 | bru-zane.com

CARLO&GIORGIO Special Edition

venerdì

25/02 -

Teatro Corso, Corso del Popolo-Mestre h. 21 [27 febbraio h. 18] www.dalvivoeventi.it

SMANIE PER LA MODA

La Compagnia teatrale la Bautta presenta la moda del 1700 raccontata con le parole di Carlo Goldoni. Una commedia scritta e diretta da Raffaele Dessì; costumi di Francesco Briggi per Atelier Pietro Longhi Scuola Grande San Giovanni Evangelista San Polo 2454 | h. 17 www.pietrolonghi.com

UN CARNEVALE LUNGO 1600 ANNI

Conferenza spettacolo di Alberto Toso Fei Ateneo Veneto, Campo San Fantin | h. 18.30 ateneoveneto.org

ALFREDO E VIOLETTA

P. 52

Spettacolo di marionette del Gabriadze Theatre Teatro Goldoni, San Marco 4650/B | h. 19 [26 febbraio h. 20.30; 27 febbraio h. 16]

LE 66!

P. 53

Operetta in un atto di Jacques Offenbach su libretto di Auguste Pittaud de Forges e di Laurencin

Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 | h. 19.30 [26 febbraio h. 19.30; 27 febbraio h. 17] bru-zane.com

sabato

26/02 -

27/02 -

F RANCESCO LANZILLOTTA direttore

Musiche di Rossini, Strauss, Dvořák, Offenbach, Lehár, Bernstein e Kálmán Ekaterina Bakanova, soprano

Sale Apollinee, Teatro La Fenice Campo San Fantin | h. 19 [1 marzo h. 19] www.teatrolafenice.it

lunedì

28/02 -

L A RINASCITA DEL RINASCIMENTO

Cioccolata animata con intrattenimento musicale e visita guidata al complesso ricostruito nel ‘500 da Jacopo Sansovino Hotel Ca’ di Dio, Castello 2183 | h. 17 www.pietrolonghi.com

M ARGHERITA E IL DRAGO CON ARLECCHINO SERVO FEDELE

Spettacolo di burattini di Maurizio Gioco Scuola Grande San Giovanni Evangelista San Polo 2454 | h. 16 www.scuolasangiovanni.it

in luce – FOTOGRAFIE DI ALESSANDRA CHEMOLLO Visita guidata a cura di Barchetta Blu

Fondazione Querini Stampalia, Castello 2454 h. 16 | www.querinistampalia.org

UNA NOTTE AL MUSEO

domenica

P. 61

Nella notte tra sabato e domenica (fino alle 9 del mattino seguente), M9 apre le porte ai bambini dagli 8 agli 11 anni per una speciale festa in maschera in compagnia dei grandi personaggi del ’900! In programma tanti giochi e attività, compresa una caccia al tesoro tra le sale del museo chiuso M9 – Museo del ‘900, via Pascoli-Mestre h. 18.30 | www.m9museum.it

XXIX BALLO DEL DOGE Time for a New Renaissance

VENEZIA – 1600 ANNI DI PAROLE, NOTE, IMMAGINI

Sedici secoli di storia ripercorsi attraverso testi, musica e canzoni, animato dagli abitanti della Casa della Poesia dell’Ateneo Veneto Ateneo Veneto, Campo San Fantin h. 17.30 ateneoveneto.org

martedì

01/03 -

I L RACCONTO DEI RACCONTI LE FAVOLE DEL BASILE Spettacolo di e con Nora Fuser Scuola Grande San Giovanni Evangelista San Polo 2454 | h. 18 www.scuolasangiovanni.it

Aggiornamenti e programma completo su www.carnevale.venezia.it

Palazzo Pisani Moretta, San Polo 2766 | h. 20 www.antoniasautter.it

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Concerti, operette, burattini, giochi e mascheramenti

carnivalbestof

È musica, la mia

Cuor di legno

Ci sono artisti che durante la propria carriera hanno tracciato una linea temporale che attraversando le generazioni ha fatto crescere, riflettere, amare, piangere e sorridere uno sterminato pubblico. Esattamente come quello che da decenni segue con affetto e ammirazione Claudio Baglioni. Baglioni, che come i Pooh si ama o si odia, non si discute. Perchè la sua musica è così diretta e sincera che, un po’ come quella di Lucio Battisti, non si può contestare, non manda messaggi, è fatta della vita di tutti i giorni, di sensazioni che prima o poi tutti abbiamo avuto, e che si ripetono per i nostri figli e i nostri nipoti. Mezzo secolo di storie personali in cui sono cambiate moltissime cose, forse tutto, ma non il racconto quotidiano di Claudio. E quindi basta una nota, un incipit di uno dei suoi più noti brani ed ecco arrivare inconfondibile l’immancabile pelle d’oca, il brivido. Le spiagge d'estate, la ragazzina con la maglietta fina che ascolta le canzoni cantate a squarciagola di notte attorno a un falò. Emozioni pure, ricordi che tornano come se piovesse, circostanze e situazioni che Claudio ha sempre saputo fermare nel tempo, con leggera maestria, con malinconica gioia. Perché Baglioni è Baglioni, suvvia: alzi la mano chi non ha in casa almeno un suo disco in vinile o qualche musicassetta. Claudio Baglioni è come un classico senza tempo, un album di ‘fotografie’ o di cartoline che è sempre bello sfogliare, ricordi, colori e sapori che riaffiorano all’improvviso e ci riportano, magicamente, quasi fossero una macchina del tempo, esattamente dove vorremmo tornare, almeno per un attimo. Per rivedere un luogo, per ritrovare un amore perduto nel tempo, per riscoprire il senso di un'amicizia semplice e vera. Parole in musica, sentimenti in musica, ricordi in musica; luoghi, città, tramonti, sensazioni, aspirazioni, tentazioni. E se cercate un messaggio impegnato nelle sue canzoni, guardate altrove, guardate a casa dei cantautori impegnati. Tenetevi e assaporate gli ingredienti delle sue canzoni, il 20 febbraio al Teatro Malibran per Dodici Note Solo, e portateli sempre con voi, come si faceva con un disco, con una musicassetta, con una piccola radio. Tutto è cambiato, ma forse non poi così tanto. Le opportunità dell’era digitale offrono innegabilmente nuovi orizzonti anche nella fruizione della musica, ma il senso, anzi la morale è sempre quella: la qualità dura nel tempo. E la musica, e le parole, di Claudio Baglioni ne sono un esempio lampante. Massimo Macaluso

Non somigliano ai nostri Arlecchino, Pulcinella, Pantalone o Colombina, le marionette misteriosamente umane del maestro georgiano Rezo Gabriadze, celebratissimo e poliedrico artista scomparso lo scorso giugno all’età di 84 anni. Quelle forgiate una per una da Rezo sono piccole e fantastiche opere d’arte, capaci di prendere vita sul palcoscenico. Animando suggestivi personaggi, Gabriadze ha conquistato platee di ogni età e lingua, immaginando storie ricche di umorismo e velate di malinconia, legate anche al suo vissuto e alla memoria georgiana. Un modo di narrare favole che supera i confini, geografici e culturali, diverso da quello occidentale, dove anche la morte o la tragedia amorosa sono affrontante con poesia, delicatezza e un tocco di humor. Racconti che, proprio per la loro commovente sensibilità, arrivano dritti al cuore del pubblico. Ospite del Teatro Goldoni dal 23 al 27 febbraio, il Gabriadze Theatre, oggi diretto dal figlio di Rezo, il regista Leo Gabriadze, presenta due spettacoli che raccontano altrettante vicende cariche di emozione e sentimento. Ramona è la lacerante storia d’amore tra due locomotive separate dal destino, in cui nostalgia, ironia e tenerezza si amalgamano in un soave gioco di immagini, ombre e musiche. Violetta e Alfredo riprende invece l’opera di Dumas e Verdi trasponendola nella Tbilisi degli anni ’90, dove Alfredo è un astrofisico rifiutato dalla sua Violetta.

Claudio Baglioni. Dodici Note Solo 20 febbraio Teatro Malibran www.teatrolafenice.it

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Ramona 23, 24 febbraio Violetta e Alfredo 25-27 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it


STORIE VERE E VEROSIMILI La lotteria di Offenbach

© Jacinthe Nguyen

«Signore e signori, avvicinatevi! Venite a scoprire le sorprese della sorte. Niente sarà possibile senza di voi, caro pubblico!». È un Carnevale di tanta musica e allegria, ma soprattutto dal vivo quello di Palazzetto Bru Zane, sede veneziana del Centre de Musique Romantique Française. Tutto ruota attorno a Le 66!, operetta in un atto del compositore Jacques Offenbach, su libretto di Auguste Pittaud de Forges e di Laurencin, scritta nel 1856 per il teatro des Bouffes-Parisiens, fondato dallo stesso compositore a Parigi. Lo spettacolo per tutte le età – dai 9 ai 99 anni –, che arriva a Venezia dopo una tournée di grande successo in Francia, va in scena a Palazzetto Bru Zane dal 25 al 27 febbraio. Un’esperienza unica, sia per i veneziani che per il pubblico internazionale che sarà in città per il Carnevale – lo spettacolo infatti è in francese con sopratitoli in italiano e inglese; un’opera che la regista Victoria Duhamel descrive come: «un gioiellino, un divertissement che presenta personaggi tanto commoventi quanto realistici, dotato di una musica vivace e spumeggiante, che abbina inventiva e riferimenti al grand opéra, e di una trama delle più classiche, addirittura edificante». Sulla strada per Strasburgo, Frantz e Grittly, due viaggiatori tirolesi, raggiungono la periferia di Stoccarda pensando a tutto ciò che potrebbero permettersi se il biglietto della lotteria che hanno in tasca risultasse vincente. Il sogno sembra avverarsi quando appare il venditore ambulante Berthold, che conosce l’esito della lotteria. Il numero 66 fa guadagnare al vincitore centomila fiorini ed è proprio quello che Frantz pensa di possedere. Invece di utilizzare la vincita per aiutare Grittly e sua sorella, da poco rimasta vedova, Frantz si fa prestare l’equivalente della somma e va in città a dilapidarla. L’ebbrezza dovuta all’improvvisa ricchezza lascia il posto alla disperazione quando si rende conto di aver letto il numero alla rovescia: il suo biglietto è il 99… La morale – il denaro non fa la felicità – piacque moltissimo al pubblico borghese degli Champs-Élysées. Alla stampa l’opera parve soprattutto una dimostrazione di forza da parte di un Offenbach deciso a esibire il proprio talento di compositore: vuole chiaramente inserirsi nella tradizione dell’opéra-comique francese e propone brani che fanno centro sin dalla prima rappresentazione. L’arrangiamento originale di François Bernard per pianoforte, clarinetto e trombone e la partecipe regia di Victoria Duhamel mettono in luce tutta la finezza e la dimensione parodistica di questa operetta. Daniela Paties Montagner Le 66! di Jacques Offenbach 25, 26, 27 febbraio Palazzetto Bru Zane bru-zane.com

Il museo diventa palcoscenico di un fitto dialogo tra le arti, storie e declinazioni sonore, fra antico e contemporaneo, per uscire dai confini conosciuti, per ritrovare e ritornare. La Fondazione Querini Stampalia propone il 17 febbraio la seconda tappa di Altro, Altrove. Spaesamenti musicali, un itinerario ideale ispirato da alcune opere delle collezioni: in particolare un dipinto, una porcellana, un libro antico. Cambiare identità, nasconderla, fingerla, subirla, rivendicarla, rintracciarla nelle trasmutazioni del mito, del sogno o nel gioco anche carnevalesco del travestimento. Cercare la fuga, l’avventura, la salvezza in esotiche geografie, attraversate realmente o immaginate solamente. Il filo conduttore di questo secondo appuntamento è Giochi e mascheramenti, inedite suggestioni tratte da opere delle collezioni della Fondazione Querini Stampalia dedicate al Carnevale, in particolare quelle dipinte da Gabriel Bella, Pietro Longhi, Ippolito Caffi, puntualmente descritte dai conservatori del Museo e poi evocate dall’ascolto di brani musicali tratti dal repertorio storico e contemporaneo, improvvisazioni jazz e composizioni inedite. Appuntamento, dunque, alle 18 con un'apertura straordinaria delle collezioni, visita guidata e concerto con intervento musicale inedito a cura di Cecilia Vendrasco (flauti), Pietro Tonolo (sassofoni) e Giancarlo Bianchetti (chitarra). L'aperitivo finale garantisce la possibilità di condividere l'esperienza con tutti gli altri partecipanti per assaporare l'istante esatto della ‘contaminazione’. Su prenotazione a: manifestazioni@querinistampalia.org Altro, Altrove. Spaesamenti musicali 17 febbraio Fondazione Querini Stampalia Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org

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Sulle storie di alcuni teatri veneziani incendiati o demoliti, a volte ricostruiti...

a cura di Camillo Tonini

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IL SIPARIO STRAPPATO

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l titolo dell’intrigante thriller di Alfred Hitchcock, interpretato da Paul Newman e Julie Andrews, torna utile per introdurre questa breve nota sulle storie di alcuni teatri veneziani incendiati o demoliti, a volte ricostruiti, e sulla sorte dei loro sipari. I complessi edifici che li ospitavano, utilizzati sia per opere in musica sia di teatro drammatico e di commedie, erano progettati con tecniche sperimentate ad esaltare la migliore resa acustica, per stupire il pubblico con complicate macchine di scena e per accogliere un maggior numero di spettatori su più ordini di palchetti sovrapposti attorno a una sala a ferro di cavallo, in modo da consentire la perfetta visibilità del palcoscenico e per garantire la sostenibilità economica dell’impresa. Era questo il modello del teatro all’italiana. Fastosi decori a pittura e a rilievo a tinte vivaci, dove prevalevano argento e oro, erano affidati ad affermati artisti e artigiani per attirare pubblico, autori e musicisti di fama e le migliori compagnie di canto e teatrali. A volerli e sostenerli tra Seicento e Settecento erano i robusti capitali di antiche nobili famiglie veneziane, quali i Vendramin, Giustinian, Grimani, Tron, Marcello e Cappello che, lasciate le tradizionali attività commerciali per mare sulle quali si erano cimentati fino al secolo precedente, avevano preferito lanciarsi in continua competizione tra loro anche nella lucrosa, ma non meno rischiosa, imprenditoria dello spettacolo. Quelli più famosi e in voga erano raggruppati nel Sestiere di San Marco, nell’area compresa tra la Piazza e il Canal Grande verso Rialto e, anche se vi si rappresentavano opere buffe e addirittura licenziose, erano intitolati ai nomi dei santi delle chiese accanto alle quali sorgevano, come adesso ancora le fermate dei vaporetti lungo il Canal Grande. I materiali con i quali erano costruiti – spesso il solo legno –, gli apparati effimeri di scena in tela e cartapesta, la necessità di una fastosa illuminazione a candele, li rendevano però molto vulnerabili al fuoco. Così il loro successo, altalenante nel seguire mode e interpreti famosi, spesso si esauriva in un tragico rogo dal quale non tutti riuscirono a sollevarsi.

Il più famoso, ma anche il più recente e drammatico avvenuto sotto gli occhi dei veneziani e della platea mediatica internazionale, è stato l’incendio del Teatro La Fenice nella notte del 29 gennaio 1996. Il sipario originario, progettato da Giambattista Meduna tra il 1852 e il 1854, andò completamente distrutto. Il teatro ha riaperto al pubblico dopo la ricostruzione dell’edificio “dov’era e com’era”, nella serata inaugurale del 14 dicembre 2003 con un nuovo monumentale sipario uguale all’originale in velluto verde (foto 1) e con lo stesso decoro a fiori di perle realizzato grazie al generoso contributo della stilista italiana Laura Biagiotti. Simile attenzione è stata dedicata dagli Amici della Fenice per il restauro del sipario ideato da Giuseppe Cherubini nel 1919 e riproposto al pubblico dopo la riapertura dell’intera struttura teatrale nel 2001. Del Teatro di San Moisè, costruito nel 1620, oltre all’indicazione toponomastica iscritta nel nizioleto della corte dove si trovava, rimangono due lapidi lì affisse (foto 2): una si riferisce alla prima felice esecuzione nel 1810 dell’opera buffa la Cambiale di matrimonio di Gioacchino Rossini, allora giovanissimo; l’altra commemora la data del 9 luglio del 1896, quando il teatro, rinominato nell’Ottocento Teatro Minerva, ospitò la prima proiezione pubblica cinematografica a Venezia, utilizzo che divenne esclusivo di questa sala dal 1906 fino alla sua completa demolizione, avvenuta qualche anno dopo, per lasciar posto alla costruzione di abitazioni private. Poco distante, il Teatro di San Samuele, sorto nel 1656, del quale rimane memoria in una tela di Gabriel Bella conservata nella pinacoteca della Querini Stampalia (foto 3), era dedicato prevalentemente a drammi seri composti da autori affermati come Apostolo Zeno e Metastasio e con le partiture di Albinoni, Hasse, Vivaldi, Galuppi e Gluck. La notte del 30 settembre 1747 un violento incendio lo distrusse completamente, ma solo qualche mese dopo, con il nome di Nuovo Teatro di San Samuele, venne riaperto al pubblico. Come tutti gli altri teatri veneziani all’inizio dell’Ottocento subì una grave crisi economica che rispecchiava quella generale della città. Fu acquistato nel 1853 dall’impresario


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5 veronese Giuseppe Camploy e da questo prese il nome di Teatro Camploy. Passò quindi di proprietà del Comune di Venezia che lo demolì nel 1894 per costruire sull’area un imponente edificio scolastico ancora in uso, da prima intitolato al martire risorgimentale Angelo Scarsellini, ed ora a Dante Alighieri. Il Teatro Sant’Angelo ebbe sorte affine. Fu edificato nel 1676 in Corte dell’albero dall’imprenditore Francesco Santurini, cittadino comune con una ragguardevole esperienza tecnica e artistica. Questi dovette sempre sostenere l’ostilità e la competizione dei vicini teatri di proprietà di famiglie appartenenti all’aristocrazia veneziana, fino a essere costretto a cedere loro la proprietà. Con una gestione sempre molto commerciale, ospitò opere di musica e di teatro legate ai più noti artisti del Settecento: da Vivaldi a Galuppi, da Goldoni a Gozzi. Tra le ultime rappresentazioni quella del Tieste di Ugo Foscolo, che ottenne grande successo. Pur non essendo funestato da incendi o gravi danni, alla fine dell’Ottocento fu demolito e sulla sua area prospiciente il Canal Grande – come ancora ricorda l’indicazione toponomastica – venne poi costruita la Palazzina Barocci su progetto dell’architetto Pellegrino Orefice, ora riconvertita in albergo. Il vicino Teatro di San Beneto (foto 4) venne ideato nel 1755 dall’eclettico scenografo e architetto teatrale Giovanni Francesco Costa, più noto come autore della serie di stampe raccolte sotto il titolo di Le delizie del Brenta. Un incendio lo distrusse il 5 febbraio del 1774, ma già il 26 dicembre dello stesso anno il teatro riapriva con L’Olimpiade di Metastasio, musica di Pasquale Anfossi. Nel gennaio del 1782 la Serenissima Repubblica vi organizzò fastosi festeggiamenti teatrali e gastronomici in onore dei Duchi del Nord, ovvero Paolo Petrovic e Maria Feodorovna di Russia. Il sontuoso evento è anch’esso immortalato in una tela di Gabriel Bella conservata alla Querini Stampalia (foto 5). Dopo un lungo periodo di declino, il teatro riaprì restaurato nel 1810 con il nome di Teatro Gallo per volontà di Giovanni Gallo, capostipite di un’altra nota famiglia d’imprenditori teatrali. Al suo decoro e a molte scenografie di spettacoli lirici che qui si tennero lavorò Giuseppe Bertoja, del quale rimangono i disegni preparatori in un album al Museo Correr di Venezia. Durante il biennio rivoluzionario del 1848-49, il teatro ospitò manifestazioni patriottiche e nel 1858, una cronaca giornalistica riporta l’inaugurazione di un nuovo sipario, ora andato perduto, opera di Giacoma Casa, pittore che era stato uno dei “testimoni oculari” di quegli eroici episodi da lui fissati in una serie litografie popolari. Vi era rappresentata l’Apoteosi di Venezia, dove comparivano, come in una sorta di Pan-

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6 theon, i ritratti dei più famosi protagonisti della storia veneziana. In seguito, nel 1868 il teatro venne rinominato Teatro Rossini per ricordare che aveva ospitato due “prime” rappresentazioni del celebre musicista pesarese: Edoardo e Cristina (1819) e L’italiana in Algeri (1813), la cui aria Di tanti palpiti cantata da Tancredi divenne popolarissima in laguna e conosciuta meglio come l’aria dei “risi e bisi”, perché Rossini l’avrebbe composta in un’osteria veneziana mentre mangiava questa tradizionale minestra. Nel Novecento, il sipario venne sostituito dallo schermo cinematografico e da allora il teatro cambiò la sua programmazione solo a favore delle opere della nuova Musa. L’edificio fu quindi acquistato dal Comune di Venezia nel 2006 e riaperto nel 2012 con una nuova distribuzione multisala, sacrificando una parte dello spazio originale a favore di un supermercato. Alla densa concentrazione di teatri attorno all’area marciana, oltre il Canal Grande se ne aggiungeva un altro poco distante dal mercato di Rialto nella parrocchia di San Cassiano, da cui prendeva il nome. Ricostruito su un teatro precedente distrutto da un incendio, per volontà della famiglia Tron, il Teatro San Cassiano (foto 6) fu inaugurato nel 1637 con la rappresentazione di opere in musica offerte non più solo al godimento delle famiglie nobili, ma a chiunque avesse comprato il biglietto d’ingresso. Ampliato nel 1763, il Teatro San Cassiano con alterne fortune ospitò spettacoli di vario genere, compreso nel 1797, la farsa intitolata La fiera della libertà, il primo spettacolo di teatro patriottico veneziano durante il periodo della Municipalità provvisoria. Ebbe la sua ultima stagione nel 1798. Dopo la demolizione avvenuta nel 1812, rimangono poche tracce rinvenibili nella vasta area verde attigua a Palazzo Albrizzi, nel sestiere di San Polo. Di questo teatro, poco rimane se non alcuni rilievi e disegni progettuali ai quali si è voluto riconoscere la prerogativa di costituire gli ideali modelli degli antichi teatri veneziani, tanto imitati in tutto il mondo. Per questo il Teatro San Cassiano è ora diventato il focus di un appassionato progetto dell’imprenditore e musicologo inglese Paul Atkin che prevede la ricostruzione filologica sia dell’edificio sia delle macchine e degli apparati scenici originali per la riproposta integrale di opere liriche del repertorio barocco. L’ambizioso programma vede coinvolte anche importanti istituzioni cittadine e internazionali come il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, l’Istituto di Studi vivaldiani della Fondazione Cini, il Globe Theatre di Londra e il Teatro del Castello di Český Krumlov. Un obiettivo visionario sul quale presto, ci si augura, potrà aprirsi a Venezia un nuovo sipario. 55


carnivaltrekking

Un itinerario favoloso tra grandi e piccoli palcoscenici di Venezia

a cura di Franca Lugato

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I tempi della festa e della rappresentazione si sono sempre intrecciati, trasformando i teatri stessi nei protagonisti assoluti del Carnevale. A Venezia la storia dei teatri, grandi e piccoli, privati o pubblici, si collega profondamente alla vita civile e culturale della città che, sebbene in maniera ridotta, rimane ancora oggi vitale e vivace 1. CASA GOLDONI Nella casa natale di Carlo Goldoni si può ammirare un divertente e prezioso Teatrino di marionette che originariamente si trovava nel palazzo dei Grimani ai Servi nel Sestiere di Cannaregio. Era d’uso nel Settecento, specialmente nelle case patrizie, praticare il “teatro da camera” utilizzando una varietà incredibile di “attori di legno”. Le marionette assumevano ruoli disparati con un repertorio che andava sempre più arricchendosi con melodrammi, pantomime, farse, tragedie fino a gustosissimi balli. I numerosi spettacoli spesso venivano allestiti anche per l’intrattenimento di ospiti illustri, come nel caso della visita dell’Elettore di Sassonia nel 1714 a Ca’ Mocenigo a San Samuele. Il teatro marionettistico era il risvolto raffinato del “teatro da piazza” dove i protagonisti erano i burattini che spuntavano dai “casotti” con spettacoli più semplici e popolari, come si può ammirare nei dipinti dei vedutisti veneziani. La collezione di marionette esposta ci introduce al ricco e variegato mondo in miniatura di nobili, servitori, arlecchini e pantaloni, cavalieri, turchi e militari, vestiti con abiti preziosi e tagliati alla moda. Uno spettacolo che vuole imitare la vita reale e che nel proscenio originale del teatrino settecentesco di casa Goldoni viene allestito. San Polo 2797 2. TEATRO LA FENICE Tra i teatri più prestigiosi ed eleganti d’Italia, La Fenice venne inaugurata nel 1792 su progetto dell’architetto Gian Antonio Selva in stile neoclassico, su commissione della Nobile Società dei palchettisti. Fu chiamato Gran Teatro La Fenice a simboleggiare la capacità della Società di rinascere e continuare la propria attività; mai un nome fu così azzeccato perché intitolato all’uccello mitico che risorge dalle proprie ceneri in un ciclo continuo. Il terribile destino del teatro sarà quello di essere completamente distrutto a causa di due incendi nel 1836 e di nuovo nel 1996. Ricostruito entrambe le volte si trova oggi nella sua sede originale, “com’era, dov’era”. Gli architetti Tommaso e Gian Battista Meduna si incaricarono del restauro con un riadattamento del progetto originale. Dalla monumentale facciata neoclassica, con statue e busti che evocano personaggi illustri, si raggiunge l’interno del teatro, la cui sala grande, dalla capienza di millecinquecento spettatori,

è ornata fastosamente da stucchi, intagli d’oro e dipinti. Raffinatissime sono anche le Sale Apollinee, luogo adatto alla stagione cameristica. Alla Fenice sono andate in scena prime assolute dal Rigoletto e La Traviata di Verdi al Tancredi e Sigismondo di Rossini, dai Capuleti e i Montecchi di Bellini al Belisario e Pia de’ Tolomei di Donizzetti, per citarne solo alcune. Sono moltissime le celebrità che hanno assistito alle opere e a spettacoli in questo favoloso Teatro: oltre a Napoleone, per il quale venne ricavato il palco reale, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e la sua consorte Sissi, durante i loro soggiorni a Venezia, e Vittorio Emanuele III che qui incontrò per la prima volta la sua futura moglie, Elena del Montenegro. Campo San Fantin, San Marco 1965 3. TEATRO GOLDONI Il Goldoni è il più antico dei teatri veneziani ancora esistenti, inaugurato nel 1622 fu per molti decenni di proprietà della famiglia Vendramin. Era conosciuto come Teatro San Salvador e si contendeva il primato con il Teatro San Samuele dei Grimani, era dedicato soprattutto alla prosa e agli spettacoli comici. Grande fu la sua fama nel Settecento, soprattutto quando nel 1752 venne ingaggiato il grande Carlo Goldoni che per il Teatro San Luca, come allora veniva chiamato, scrisse delle commedie indimenticabili come il Sior Todero brontolon e Le baruffe chiozzotte. Dopo pause di chiusura, incendi e importanti restauri, nel 1833 il teatro si adeguava alla moda classicheggiante diventando Teatro Apollo. Primo in Italia ad avere l’illuminazione della sala alimentata a gas, fu per iniziativa dell’imprenditore teatrale Angelo Moro Lin che il teatro venne intitolato nel 1875 a Carlo Goldoni. L’aspetto neogotico delle decorazioni, anche se ripulite in vari interventi successivi, è di gusto ottocentesco, mentre la sobria facciata fu realizzata nel 1909. Il Teatro Goldoni passò per differenti fortune durante il secolo scorso, ma non va dimenticato il ritorno di Eleonora Duse sulle scene a Venezia nel marzo 1922 dopo vent’anni di assenza. La Divina si presentò sul palco del Goldoni con recite straordinarie come La donna del mare di Ibsen. Chiuso nel dopoguerra ed espropriato nel 1957, il Teatro venne inaugurato nel 1979 con La Locandiera di Carlo Goldoni, dopo aver assunto l’aspetto attuale a seguito di una completa ristrutturazione per migliorarne capienza e servizi. San Marco 4650/B


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carnivaltrekking TEATRI IN CITTÀ

4. TEATRO MALIBRAN Il Teatro di San Giovanni Grisostomo venne inaugurato durante il Carnevale 1678 e sorse per conto della famiglia Grimani di Santa Maria Formosa, che aveva già due teatri in città, nell’area dove la casata di Marco Polo aveva le proprie abitazioni. Fu progettato da Tommaso Bezzi, architetto, pittore e ingegnere delle macchine dei Grimani. Nella prima metà del Settecento, quando a Venezia si contavano diciotto teatri, si tennero al San Grisostomo delle importanti premiere di opere liriche e melodrammi di fama internazionale come quelle di Scarlatti, Metastasio e Handel. Seguì un periodo di decadenza protrattosi fino a quando il nuovo proprietario Giovanni Gallo, riuscì ad ingaggiare Maria de la Felicidad Malibran, il soprano più famoso dell’epoca, che l’8 aprile del 1835 cantò nel ruolo di Sonnambula di Bellini. La mitica Malibran aveva trascinato le folle, rinunciando anche al suo compenso. Da Teatro Emeronitto, il nome che aveva acquisito perché aperto di giorno e di notte, venne definitivamente intitolato a Maria Malibran. Chiuso durante la Grande Guerra, venne riaperto nel 1919, ospitando un repertorio molto variegato che andava dalle opere liriche alla danza, dalla musica sinfonica alle operette. Nel 1992 venne acquistato dal Comune di Venezia e riaperto nel 2001, affiancando il Teatro La Fenice nella programmazione di eventi. Grazie al restauro il Teatro ha nuovamente riacquistato i suoi colori originali, con le sfumature dorate, marroni e arancioni del soffitto decorato da Giuseppe Cherubini. Cannaregio 5873 5. TEATRINO DI PALAZZO GRASSI Nel 1951 il Centro Internazionale delle Arti e del costume che aveva sede a Palazzo Grassi diede vita a un piccolo teatro all’aperto nello spazio che in precedenza era stato dedicato a un ampio e sontuoso giardino con serre, fontane, scenografie, colonne e pergolati, voluto dal ricco finanziere greco Barone Simeone De Sina, proprietario del palazzo nella seconda metà dell’Ottocento. Era un teatro da 550 posti, con pareti smontabili e decorate con motivi settecenteschi. Veniva coperto negli anni Sessanta per ospitare ricevimenti, sfilate di moda e rappresentazioni teatrali come La dodicesima notte di Shakespeare nella regia di Strehler, allestita per l’inaugurazione. Nel 1983, con la chiusura del Centro, il teatro termina la sua ricca attività per essere riaperto trent’anni dopo grazie al recupero voluto da François Pinault. Concepito da Tadao Andō, il nuovo Teatrino di Palazzo Grassi è dotato di un auditorium di 225 posti che ospita una programmazione culturale ricca e articolata con proiezioni, concerti e conferenze. Campo San Samuele, San Marco 3231

6. LO SQUERO Nell'Isola di San Giorgio Maggiore, la struttura ottocentesca dal grande fascino, utilizzata in origine per la riparazione delle imbarcazioni, segue lo schema delle importanti strutture arsenalizie. Nel 2016 l’antico squero è stato trasformato dagli architetti Cattaruzza e Millosevich in una moderna sala da concerto con 200 posti a sedere pur preservando la struttura architettonica dell’officina originaria. Di fronte alla platea e alle spalle dei musicisti le ampie pareti di vetro si aprono sulla laguna offrendo un panorama a 360 gradi, e lo spettatore può godere di un ascolto che sembra a bordo d’acqua. Isola di San Giorgio

7. TEATRINO GROGGIA Immerso nel Parco di Villa Groggia, nelle immediate vicinanze della Chiesa di Sant’Alvise, era in origine un magazzino dalla facciata in mattoni, sulla quale vennero inseriti elementi architettonici marmorei del cinquecentesco palazzo Donà, smantellato nel 1823. Portale, finestroni alti, oculo nel timpano, archi, stipiti, capitelli, colonne e statue fanno assomigliare il magazzino a una piccola chiesa. La sistemazione attuale dell’edificio è tuttavia successiva al 1913, quando probabilmente si decise di trasformare il magazzino in teatrino. Attualmente è gestito dalla Municipalità di Venezia. Fondamenta dei Riformati, Cannaregio 3161 8. TEATRO A L'AVOGARIA Giovanni Poli, affermando un procedimento artistico basato sul recupero dei classici antichi e moderni, sulla riscoperta della grande tradizione veneta e sulla valorizzazione della drammaturgia contemporanea, considerava assolutamente necessario affiancare all’attività di produzione di spettacoli, l’attività didattica per la formazione di giovani attori: così nel 1969 decide di fondare a Venezia il piccolo Teatro a l’Avogaria. Qui ha dato vita al Seminario Teatrale che, sotto la sua direzione, è diventato l’officina di un metodo originale che attinge alle sorgenti dell’espressività teatrale. La Scuola del Teatro a l’Avogaria è diventata così un punto di riferimento per la formazione e ricerca. Dal 2009 la Scuola è diretta dal figlio Stefano Poli. Corte Zappa, Dorsoduro 1617 9. AUDITORIUM SANTA MARGHERITA L’ex chiesa dedicata a Santa Margherita, risalente al IX secolo – fondata nell’anno 853 e soppressa nel 1810 –, poi magazzino, studio d’artista, ufficio e infine cinematografo (detto popolarmente “el vecio”), è stata adibita ad auditorium con una capienza di 237 persone e un ampio palco. Accoglie conferenze accademiche, congressi, concerti, proiezioni, incontri, presentazioni, spettacoli teatrali promossi dall’Università Ca’ Foscari, che ha acquistato lo spazio nel 1987. Della basilica a tre navate, poi accorciate per fare spazio al foyer, rimane il presbiterio diventato palcoscenico e il pregiato dipinto affrescato del soffitto raffigurante il martirio della Santa. Campo Santa Margherita, Dorsoduro 3689 10. TEATRO CA' FOSCARI Ambiente ampio e moderno, frutto del restauro di una parte del complesso architettonico di Santa Marta, il Teatro è uno splendido esempio di archeologia industriale in laterizio, che fino agli anni ‘60 ospitava un cotonificio. Un tempo adibito a sala teatrale per i dipendenti del cotonificio, oggi è un classico teatro all’italiana capace di ospitare sino a 186 persone, e dotato di moderne attrezzature multimediali. Ospita numerose iniziative, principalmente dell’Università Ca’ Foscari: spettacoli, workshop e laboratori di teatro, danza e musica, e proiezioni cinematografiche. Santa Marta, Dorsoduro 2137

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Mascherarsi a Venezia Gli artisti e artigiani più raffinati e originali

a cura di Chiara Sciascia

Creativa o tradizionale, di cartapesta o pelle, la maschera è protagonista indiscussa del Carnevale fin dalle sue origini. L’uso della maschera nella Serenissima era frequente per diverse ricorrenze e i primi documenti ufficiali che regolamentavano l’arte dei mascareri e dei targheri (fabbricanti di maschere e di scudi di cartapesta) risalgono al 1268, anno in cui si riunirono in “arte” insieme ai pittori Rialto

CARNEVALE DELLE ILLUSIONI FONDACO DEI TEDESCHI

Anche il Fondaco dei Tedeschi tira su la maschera e celebra il proprio Carnevale delle Illusioni, con un ammiccante gioco tra realtà e apparenza, tra ciò che sembra e ciò che in realtà è. Le vetrine dello store, firmate dall’illustratore e graphic designer veneziano Lucio Schiavon – che questo numero omaggia “occupando” la copertina e l’inserto con le sue coloratissime grafiche a tema –, si ‘animano’ con una miriade di occhi, maschere e coriandoli, in un caleidoscopio ipnotico di colori e giochi di parole che svelano messaggi nascosti. Ispirandosi all’autentico spirito del Carnevale veneziano, Schiavon ne ha scomposto e reinventato le maschere, i luoghi e i simboli iconici, dando vita a suggestioni cubiste e sorprendenti immagini astratte, «Quest’anno per il Carnevale ho avuto l’occasione di improvvisare nuove maschere – ha dichiarato l’artista – di prendere la carta e ritagliare nuove forme per un diverso modo di intendere il travestimento». Un Carnevale da immortalare con un selfie da condividere sui social e da ricordare portando a casa un souvenir a scelta tra t-shirt, shopping bag, quaderni e grafiche. Dal 12 febbraio all’1 marzo al Fondaco, acquistando almeno 30 euro di prodotti gourmet o souvenir artigianali, si riceveranno in omaggio maschere e coriandoli dalle forme bizzarre, firmati sempre da Lucio Schiavon e composti in un originalissimo kit. Info su app MyFondaco o t. 3489182180. Ai piedi del Ponte di Rialto | www.dfs.com/it/venice

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UNA GIORNATA SPECIALE

Cannaregio

13 febbraio h. 15.30

NICOLAO ATELIER

Come sono i suoni e i rumori quando si vola liberi tra le nuvole? È un mistero che sarà svelato durante il laboratorio-concerto Una giornata speciale, presentato da Palazzetto Bru Zane. La storia è quella di Bora, un vento molto potente, e del suo amico Martino, un tram che sogna di vedere il mare. Un bel mattino Bora decide di esaudire il desiderio del suo amico e lo solleva in alto, sopra il mare aperto, dove i gabbiani giocano e scherzano. Sulle musiche di Viardot, Saint-Saëns, Fauré, Boulanger e Debussy, Cristina Santin al pianoforte e Valentina Danelon al violino guideranno i piccoli partecipanti in un mirabolante viaggio. Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 | www.bru-zane.com

13. CARNEVALE INTERNAZIONALE DEI RAGAZZI Fino 27 febbraio

Una speciale pre-apertura con la presentazione dell’installazione sonora I see the cloud in the water di Chonglian Yu, prodotta da Biennale College Musica, introduce la 13. edizione del Carnevale Internazionale dei Ragazzi a Ca’ Giustinian, il 14 febbraio. Creatività, danza, musica e scienza sono le discipline che ispirano il variegato programma di laboratori, giochi e attività didattiche rivolto nei giorni feriali alle scuole e nei weekend alle famiglie. Gran finale domenica 27 febbraio con il gioco a squadre The Game of Venice 421-2021 e la sfida continua…, per ragazzi e adulti dai 6 ai 99 anni. Ca’ Giustinian, San Marco 1364/B | www.labiennale.org

UNA NOTTE AL MUSEO 26 febbraio h. 18.30

Dall’uscita del film Disney del 2006, quella di passare una Notte al museo è una fantasia che ci siamo concessi tutti, grandi e piccini. Una fantasia che M9 trasforma ora in realtà, aprendo le proprie porte a 40 bambini e bambine, dagli 8 agli 11 anni, che potranno trascorrere per l’appunto l’intera notte nelle sale del museo, e fare colazione insieme domenica mattina. In compagnia dei grandi personaggi del ‘900 i bambini parteciperanno a una speciale festa in maschera, che culminerà in un’avvincente caccia al tesoro. Occorrente: cena al sacco, costume di carnevale, stuoino, sacco a pelo, torcia e spazzolino! M9 – Museo del ‘900, Mestre | www.m9museum.it

Esiste un solo luogo a Venezia in cui è possibile viaggiare nel tempo tra enormi scaffali ricolmi di costumi ispirati alla moda dei secoli passati, entrando nei panni di questo o quel personaggio storico con grande facilità. Un atelier dove con l’aiuto di un nucleo di bravissimi artigiani, si lavora senza sosta per riportare in vita costumi meravigliosi con criterio filologico e con grande attenzione ai dettagli, per offrire a chi ha la fortuna di indossare una delle fantastiche creazioni di Stefano Nicolao e del suo Atelier l’emozione di vestire un passato lontano e magnificente. Fondamenta della Misericordia, Cannaregio 2590 | nicolao.com

San Polo ATELIER PIETRO LONGHI

Luogo d’ispirazione del sarto artigiano Francesco Brizzi, l’Atelier Pietro Longhi, ospitato in un edificio romanico affacciato sulla Basilica dei Frari, è visitabile su appuntamento. Distintosi per la ricerca scientifica e punto di riferimento per docenti, studenti e professori italiani ed europei, l’Atelier ha collaborato con diversi enti annoverando ben sette esibizioni permanenti in musei italiani. Alle porte di Venezia, fra le ville del Palladio e i vigneti del Prosecco, si trovano invece i laboratori di Pietro Longhi. Centinaia di metri quadri immersi in un lussureggiante giardino accolgono la sartoria, la cappelleria, e il magazzino dei costumi prodotti in oltre 25 anni di lavoro. Campo dei Frari, San Polo 2454 | www.pietrolonghi.com

ATELIER MAREGA

Vasta gamma di maschere artigianali colorate e ricche di particolari, che spazia da quelle più classiche tipicamente veneziane alle più fantastiche e colorate, fino a quelle di grandi dimensioni da utilizzare come raffinati complementi d’arredo. Le maschere sono realizzate in cartapesta, secondo i dogmi dell’antica tradizione dall’artigiano Carlo Marega, che propone nel suo laboratorio anche interessanti dimostrazioni e workshop di decorazione. A noleggio e in vendita inoltre costumi teatrali e d’epoca, accessori di ogni sorta, tricorni, mantelli e smoking. Campo San Rocco, San Polo 2940/B | marega.it

LA BAUTA

L’antico laboratorio artigianale prende il nome dalla celebre tradizionale maschera da uomo, dotata di un particolare mento sporgente che consente a chi la indossa di parlare, mangiare e bere mantenendo il più completo anonimato. Da oltre vent’anni, all’Atelier La Bauta le maschere vengono ogni giorno create, dipinte a mano e arricchite di pizzi, piume, perle, foglia d’oro e d’argento. Oltre 500 modelli, ogni esemplare è unico. L’Atelier offre anche la possibilità di noleggiare dei sontuosi costumi d’epoca. Campo San Tomà, San Polo 2867 | www.labauta.com

San Marco BOUTIQUE VENETIA

Tessitrice di sogni, conosciuta in tutto il mondo per aver ideato il Ballo del Doge, festa per antonomasia del Carnevale veneziano, Antonia Sautter, oltre al suo atelier, dove crea e custodisce gli incredibili costumi diventanti iconici delle diverse edizioni del Ballo, dirige una boutique di alta sartoria. Da sete e velluti lavorati, reinterpretando antiche tecniche di tintura e di stampa a mano, nascono le collezioni di moda firmate da Antonia Sautter. Non solo Carnevale! Frezzeria, San Marco 1286 | antoniasautter.boutique

61


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

05

:musica

FebFeb

sabatoSaturday

CESARE MALFATTI

La storia è adesso

P. 72

Musica d’autore

Auditorium Cesare De Michelis M9 – Museo del ‘900-Mestre h. 21

06

domenicaSunday

JETHRO TULL

Prog rock

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

10

giovedìThursday

CECILIA VENDRASCO flauto P.53 PIETRO TONOLO sax GIANCARLO BIANCHETTI chitarra

“Altro, Altrove. Spaesamenti musicali” Fondazione Querini Stampalia h. 18

18

giovedìThursday

RAF / TOZZI

Pop

HOBBY HORSE

Experimental jazz

Al Vapore-Marghera h. 19.15/21.30

Al Vapore-Marghera h. 19.15/21.30

CIMINI Karaoke Tour

UNCLE MUFF

Pop

Al Vapore-Marghera h. 19.15/21.30

20

New Age Club-Roncade h. 21

Indie rock

MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA

Dodici note solo

Beatles’ tribute band

Teatro Malibran h. 21

sabatoSaturday

HAMILTON DE HOLANDA & CHANO DOMINGUEZ P. 76

“Jazz&”

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h.19.30

TOMMASO GENOVESI QUARTET

Jazz

Al Vapore-Marghera h. 19.15/21.30

martedìTuesday

EUGENIO BENNATO

W chi non conta niente tour

Musica d’autore

Teatro Corso-Mestre h. 21.15 Tempo di Chet

Jazz

P. 52

Musica d’autore

Teatro Corso-Mestre h. 21

PAOLO FRESU TRIO

domenicaSunday

CLAUDIO BAGLIONI

Let it Be 50th Anniversary

15

sabatoSaturday

Rock

venerdìFriday

P.82

Teatro Mario Dal Monaco-Treviso h. 20.45

22

New Age Club-Roncade h. 21

25

venerdìFriday

martedìTuesday

CASANOVA OPERA POP

Musiche di Red Canzian Regia di Michele Gamba Coreografie di Roberto Carrozzino, Martina Nadalini

RENZO ARBORE E L’ORCHESTRA ITALIANA

Musica d’autore

(vedi martedì 22 febbraio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

26

ERMAL META

Pop rock

PalaInvent-Jesolo h. 21

27

24

giovedìThursday

DISNEY CAFÈ QUINTET

Jazz

Al Vapore-Marghera h. 19.15/21.30

CASANOVA OPERA POP

(vedi martedì 22 febbraio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

venerdìFriday

THE ROSE

Al Vapore-Marghera h. 19.15/21.30

12 VEIN

sabatoSaturday P. 76

Modern jazz “Jazz&”

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h.19.30

FIORELLA MANNOIA

sabatoSaturday

Pop

Palabassano2-Bassano del Grappa h. 21

LITTLE PIECES OF MARMELADE

Indie rock

New Age Club-Roncade h. 21

Ci vuole orecchio

17

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

Indie pop

MarMar

18

ELIO

domenicaSunday

P. 81

Tributo a Enzo Jannacci

04

venerdìFriday

ZOE PIA

Shardana

Laguna Libre h.18.15/20.45

AVRIL LAVIGNE

P. 83

Arena Spettacoli Padova Fiere h. 21.15

MOTTA

P. 83

New Age Club-Roncade h. 21

07

giovedìThursday

ARIETE

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

venerdìFriday

KYLA BROX

Pain & Glory

P. 78

Blues - rock “Candiani Groove”

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21

“Jazz&”

Acoustic rock

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

Janis Jopline’s tribute

23

(vedi martedì 22 febbraio)

Pop rock

Teatro al Parco-Mestre h. 21

Pop rock

CASANOVA OPERA POP

giovedìThursday

ERMAL META

11

Indie rock “youTHeater”

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

mercoledìWednesday

10

NEW CANDYS PHILL REYNOLDS

CASANOVA OPERA POP

Teatro Corso-Mestre h. 21.15

19

THE PINEAPPLE THIEF

Prog rock

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30

I MUSICI DI FRANCESCOGUCCINI

TOLO SOLO ONE MAN BAND

PalaInvent-Jesolo h. 21

12

venerdìFriday

Musica d’autore

Due – La nostra storia

11

17

lunedìMonday

ALVARO SOLER

GIANCANE

Punk rock

New Age Club-Roncade h. 21

19

sabatoSaturday

FRANCK VIGROUX

P. 77

Elettronica sperimentale “Nu Fest 2022”

Teatrino di Palazzo Grassi h. 20

DAVID VAN DE SFROOS

Magia European Tour 2022

Maader Tour

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

Teatro Corso-Mestre h. 21.15

Pop

08

Indie folk

TIROMANCINO

martedìTuesday

JIMMY SAX & SYMPHONIC DANCE ORCHESTRA

Dance elettronica pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

Indie pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30

22

martedìTuesday

JAMES BLUNT

Pop rock

P. 81

Kione Arena-Padova h. 21.30

62


mercoledìWed

BRUNORI SAS

P. 77

Microchip Temporale Tour

Indie pop

Elettronica - Alternative rock

PalaInven-Jesolo h. 21 P. 82

Post punk

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

25

sabatoSaturday

SUBSONICA

P. 83

FRANZ FERDINAND

26

Centro Sociale RivoltaMarghera h. 22

TOMMASO PARADISO P. 83

Indie pop

venerdìFriday

PAOLO CONTE

P. 78

Musica d’autore

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

PalaInven-Jesolo h. 21

31

giovedìThursday

SALMO

MOBRICI

Flop Tour

New Age Club-Roncade h. 21

Kione Arena-Padova h. 21

Pop d’autore

Hip hop

MINISTRI

Alternative rock

New Age Club-Roncade h. 21

INDIRIZZI AL VAPORE

Via Fratelli Bandiera 8 Marghera www.alvapore.it

ARENA SPETTACOLI

PALABASSANO2

Via Ca’ Dolfin 60 Bassano del Grappa www.duepuntieventi.com

PALAINVENT

Padova Fiere zedlive.com

Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it

CENTRO CANDIANI

TEATRINO DI PALAZZO GRASSI

Piazzale Candiani 7-Mestre www.culturavenezia.it/ candiani

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA

Campo Santa Maria Formosa www.querinstampalia.org

Campo San Samuele San Marco 3231 www.venetojazz.com

TEATRO AL PARCO

GRAN TEATRO GEOX

Parco Albanese via Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it

LAGUNA LIBRE

Corso del Popolo 30-Mestre www.dalvivoeventi.it

Via Tassinari 1-Padova zedlive.com

Fondamenta di Cannaregio www.lagunalibre.it

KIONE ARENA

Via San Marco 53-Padova zedlive.com

M9 – MUSEO DEL ‘900

Via G. Pascoli-Mestre www.m9museum.it

NEW AGE CLUB

Via Tintoretto 14-Roncade www.newageclub.it

TEATRO CORSO

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com

TEATRO MALIBRAN

Campiello del Teatro Cannaregio 5873 www.teatrolafenice.it

TEATRO MARIO DEL MONACO

Corso del Popolo-Treviso www.teatrostabileveneto.it

FebFeb

01

:classical

23

martedìTuesday

QUARTETTO WERTHER P. 87

Misia Jannoni Sebastianini violino Martina Santarone viola Vladimir Bogdanovic violoncello Antonino Fiumara pianoforte Musiche di Mahler, Schumann, Strauss “Musikàmera“

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

02

mercoledìWed

QUARTETTO WERTHER

(vedi martedì 1 febbraio)

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

05

sabatoSaturday

RICCARDO FRIZZA direttore

Elia Cecino pianoforte Musiche di Chopin, Schumann “Stagione Sinfonica 2021/22“ Ingresso/Ticket € 66/25 Teatro Malibran h. 20

06

domenicaSunday

RICCARDO FRIZZA direttore

13

domenicaSunday

ILARIO GREGOLETTO

clavicembalo

Composizioni di Bach, Vivaldi e Alessandro Marcello “Musikàmera“

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

UNA GIORNATA SPECIALE P. 61

Cristina Santin pianoforte Valentina Danelon violino Laboratorio-concerto per bambini “Carnevale 2022” Ingresso/Ticket € 5 Palazzetto Bru Zane h. 15.30

VIRTUOSISSIMO!

Una voce per cinque star del Barocco

Raffaele Pe controtenore e direttore Ensemble barocco La Lira di Orfeo “Stagione Sinfonica 2021/22“ Ingresso/Ticket € 25/11 Teatro Verdi-Pordenone h. 20.30

15

martedìTuesday

JULIA HAGEN violoncello ANNIKA TREUTLER

pianoforte

Musiche di Schumann e Mendelssohn “Stagione Concerti 2021/22“

Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Elia Cecino pianoforte Musiche di Chopin, Schumann “Stagione Sinfonica 2021/22“

17

07

Conferenza di Paolo Da Col “Carnevale 2022”

Ingresso/Ticket € 66/25 Teatro Malibran h. 17

lunedìMonday

ARBOR MUSICA

P. 87

Sergio Balestracci flauto e direzione Musiche di Nicola Porpora, Alessandro Scarlatti, Domenico Sarro, Giuseppe Avitrano, Nicola Fiorenza, Francesco Mancini “Musikàmera“ Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

08

martedìTuesday

ARBOR MUSICA

(vedi lunedì 7 febbraio)

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

P. 86

giovedìThursday

À LA FIN DU SECOND BALLET NOUS SOMMES ALLÉS AU RIDOTTO

Ingresso libero/Free entry Palazzetto Bru Zane h. 18

ANTONI WIT direttore FILIPPO GORINI pianoforte

Composizioni di Johannes Brahms, Franz Schubert, Carl Maria von Weber “OPV – 56ª Stagione Concertistica“ Ingresso/Ticket € 22/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

18

venerdìFriday

ANDREA BACCHETTI

pianoforte

Composizioni di J ohann Sebastian Bach “Musikàmera“

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

63


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

:classical

SIGNUM SAXOPHONE QUARTET

Danze sinfoniche su musiche di Jean Sibelius, Antonin Dvořák, Béla Bartók, George Gershwin, Leonard Bernstein “Stagione Lirica e concertistica 2021/22” Ingresso/Ticket € 32/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

22

martedìTuesday

LE BARUFFE

P. 84

Teatro di musica Musica di Giorgio Battistelli Libretto di Giorgio Battistelli e Damiano Michieletto Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Direttore Enrico Calesso Regia di Damiano Michieletto “Stagione Lirica 2021-2022“ Ingresso/Ticket € 240/88 Teatro La Fenice h. 19

24

giovedìThursday

LE BARUFFE

(vedi martedì 22 febbraio) Ingresso/Ticket € 230/77 Teatro La Fenice h. 19

25 LE 66!

venerdìFriday P. 53

Operetta in un atto di Jacques Offenbach Libretto di Auguste Pittaud de Forges e di Laurencin Rozenn Le Trionnaire clarinetto Regia di Victoria Duhamel “Carnevale 2022” Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

26

sabatoSaturday

LE BARUFFE

(vedi martedì 22 febbraio) Ingresso/Ticket € 230/77 Teatro La Fenice h. 15.30

LE 66!

(vedi venerdì 25 febbraio)

Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

27

domenicaSunday

LE 66!

(vedi venerdì 25 febbraio) Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 17

FRANCESCO P. 86 LANZILLOTTA direttore

Ekaterina Bakanova soprano Composizioni di Rossini, Strauss, Dvořák, Offenbach, Lehár, Bernstein e Kálmán “Stagione Sinfonica 2021/22“ Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 19

64

07

MarMar

01

martedìTuesday

(vedi domenica 27 febbraio)

Ingresso/Ticket € 22/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 19

mercoledìWednesday

LE BARUFFE

(vedi martedì 22 febbraio)

La Messa ritrovata: Giovanni Legrenzi Messa a 4 cori Scuola di Musica Antica del Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia Francesco Erle direttore Ingresso libero/Free entry Chiesa dei Carmini h. 21

Ingresso/Ticket € 230/45 Teatro La Fenice h. 19

05

P. 87

Elle. Da Vivaldi a Einaudi

Musiche di Vivaldi, Einaudi, Dalal, PhilipGlass, Max Richter, Caroline Shaw e altri Chiesa della Pietà h. 20

06

P. 89

Marie Vermeulin pianoforte Composizioni di Morel, Sohy, Jaëll, Bonis Nell’ambito della Giornata internazionale dei diritti delle donne Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

giovedìThursday

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

sabatoSaturday

ANGÈLE DUBEAU violino ENSEMBLE LA PIETÀ

IL CAMPO DEL POSSIBILE

Mauro Loguercio violino Francesco Pepicelli violoncello Angelo Pepicelli pianoforte Composizioni di Haydn e Beethoven “Musikàmera“

(vedi martedì 22 febbraio)

domenicaSunday

ANGÈLE DUBEAU violino ENSEMBLE LA PIETÀ

Elle. Da Vivaldi a Einaudi

(vedi sabato 5 marzo)

Chiesa della Pietà h. 17

VENETHOS ENSEMBLE

Giacomo Catana, Mauro Spinazzè violini Francesco Lovato viola Massimo Raccanelli violoncello Composizioni di Mozart e Haydn “Musikàmera“

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

11

venerdìFriday

MONICA BACELLI soprano TRIO METAMORPHOSI

(vedi giovedì 10 marzo)

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

12

venerdìFriday P. 86

Ingresso/Ticket € 99/35 Teatro Malibran h. 20

MONICA BACELLI soprano TRIO METAMORPHOSI

venerdìFriday

LE BARUFFE

18

Composizioni di Mozart, Beethoven “Stagione Sinfonica 2021/22“

QUANDO LE DONNE SI MISERO A COMPORRE

10

Ingresso/Ticket € 66/25 Teatro Malibran h. 17

MYUNG-WHUN CHUNG

Ingresso libero/Free entry Palazzetto Bru Zane h. 17.30

XVII CONCERTO PER IL MERCOLEDÌ DELLE CENERI

(vedi sabato 12 marzo)

direzione e pianoforte

martedìTuesday

Conferenza di Monique Ciola

Ingresso/Ticket € 230/45 Teatro La Fenice h. 19

04

08

domenicaSunday

MARKUS STENZ direttore

Composizioni di Robert Schumann, Johannes Brahms “OPV – 56ª Stagione Concertistica“

FRANCESCO LANZILLOTTA direttore

02

13

lunedìMonday

JACEK KASPSZYK direttore CAROLIN WIDMANN violino

sabatoSaturday

MARKUS STENZ direttore

Composizioni di Mendelssohn Bartholdy, Mozart, Schumann “Stagione Sinfonica 2021/22“ Ingresso/Ticket € 66/25 Teatro Malibran h. 20

GIOVANNI ZANON violino LEONORA ARMELLINI

19

sabatoSaturday

MYUNG-WHUN CHUNG

direzione e pianoforte

(vedi venerdì 18 marzo) Ingresso/Ticket € 99/35 Teatro Malibran h. 17

20

domenicaSunday

I TEATRINI DELLE ORE

Laboratorio-concerto per bambini Emanuela Bussolati ideazione testo, realizzazione teatrini e marionette Elisabetta Garilli ideazione testo e pianoforte Susi Danesin voce recitante Atelier Elisabetta Garilli sonorizzazione Ingresso/Ticket € 5 Palazzetto Bru Zane h. 15.30

22

martedìTuesday

ELIA CECINO pianoforte QUARTETTO DAFNE

Composizioni di Respighi e Fano in collaborazione con Archivio Musicale Guido Alberto Fano Onlus “Musikàmera“ Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

23

mercoledìWednesday

GIUSEPPE GIBBONI violino CARLOTTA DALIA chitarra

Composizioni di Nicolò Paganini, Francisco Tárrega, Mario CastelnuovoTedesco, Manuel De Falla “Musikàmera“

pianoforte

Ingresso/Ticket € 25/15 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

29

Musiche di Beethoven, Franck, Ravel “Stagione Concerti 2021/22“

martedìTuesday

ANNA TIFU TANGO QUARTET

Anna Tifu violino Massimiliano Pitocco bandoneon Romeo Scaccia pianoforte


Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

30

02

mercoledìWed

TROIANE

mercoledìWed

I SOLISTI AQUILANI

Il Carnevale degli animai

Carlo Guaitoli pianoforte William Belpassi pianoforte Musiche di Mozart, Camille SaintSaëns “Stagione Sinfonica 2021/22“ Ingresso/Ticket € 28/10 Teatro Verdi-Pordenone h. 20.30

31

FebFeb

giovedìThursday

HANSJÖRG SCHELLENBERGER

direttore

PAOLO BRUNELLO oboe

Composizioni di Richard Strauss, Mozart “OPV – 56ª Stagione Concertistica“ Ingresso/Ticket € 22/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

INDIRIZZI CHIESA DEI CARMINI

Campo dei Carmini, Dorsoduro www.teatrolafenice.it

CHIESA DELLA PIETÀ

Riva degli Schiavoni, Castello events.veneziaunica.it

PALAZZETTO BRU ZANE

San Polo 2368 www.bru-zane.com

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN

Campiello del Teatro Cannaregio 5873 www.teatrolafenice.it

TEATRO MARIO DEL MONACO

Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

TEATRO TONIOLO

P.tta Cesare Battisti-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO VERDI

Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it

TEATRO VERDI

Viale Martelli 2-Pordenone teatroverdipordenone.it

:theatro

Gianluigi Pennino contrabbasso Musiche di Scaccia, Sarasade, Bizet, Piazzolla “Stagione Concerti 2021/22“

da Euripide Adattamento di Angela Demattè Con Elisabetta Pozzi Regia di Andrea Chiodi “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

03

giovedìThursday

SPETTRI

di Henrik Ibsen Adattamento di Fausto Paravidino Regia di Rimas Tuminas Con Andrea Jonasson “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/6 Teatro Goldoni h. 20.30

I DUE GEMELLI VENEZIANI

di Carlo Goldoni Con Marco Foschi, Danilo Nigrelli Regia di Valter Malosti “Stagione di Prosa 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

TROIANE

(vedi mercoledì 2 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 19

04

venerdìFriday

SPETTRI

(vedi giovedì 3 febbraio) Teatro Goldoni h. 19

I DUE GEMELLI VENEZIANI

(vedi giovedì 3 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

TROIANE

(vedi mercoledì 2 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

L’OMBRA DI TOTÒ

di Emilia Costantini Adattamento e regia di Stefano Reali Con Yari Gugliucci, Sara Ricci “Scenari senza confini 2021/22”

Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

05

sabatoSaturday

SPETTRI

(vedi giovedì 3 febbraio) Teatro Goldoni h. 19

I DUE GEMELLI VENEZIANI

(vedi giovedì 3 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

ATLANTE LINGUISTICO DELLA PANGEA

Adattamento e regia di Peter Brook, Marie-Hélène Estienne Con Sylvain Levitte, Paula Luna (Spettacolo in francese con sovratitoli) “Scenari senza confini 2021/22”

Concept e regia Sotterraneo “youTHeater” Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21

Ingresso/Ticket € 45/11 Teatro Goldoni h. 20.30

TROIANE

(vedi mercoledì 2 febbraio)

LA VITA DAVANTI A SÉ

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

(vedi martedì 8 febbraio)

L’OMBRA DI TOTÒ

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

(vedi venerdì 4 febbraio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

06

domenicaSunday

SPETTRI

Teatro Goldoni h. 16

CON VIVA VOCE

La Baracca Testoni Ragazzi “A pesca di sogni – Domeniche da favola” Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16.30

I DUE GEMELLI VENEZIANI

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

TROIANE

Teatro Verdi-Padova h. 16

Teatro Verdi-Padova h. 19

11

venerdìFriday

(vedi giovedì 10 febbraio)

L’OMBRA DI TOTÒ

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

martedìTuesday

LA VITA DAVANTI A SÉ

P. 95

dal testo La Vie Devant a soi di Roman Gary Emile Ajar Riduzione e regia di Silvio Orlando “Stagione di Prosa 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

mercoledìWed

LA VITA DAVANTI A SÉ

(vedi martedì 8 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

LA COSCENZA DI ZENO

Drammaturgia di Stefano Cordella, Dario Merlini, Noemi Radice Con Livia Castiglioni, Daniele Crasti Regia di Stefano Cordella, Noemi Radice “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/6 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

giovedìThursday

da La tempesta di William Shakespeare

(vedi mercoledì 9 febbraio)

Teatro Goldoni h. 19

(vedi venerdì 4 febbraio)

TEMPEST PROJECT

Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro di Mirano h. 21

TEMPEST PROJECT

(vedi mercoledì 2 febbraio)

10

Coreografie di Mauro Astolfi Musiche di Vivaldi Spellbound Contemporary Ballet “La città a Teatro 2021/22”

LA COSCENZA DI ZENO

(vedi giovedì 3 marzo)

09

Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21

VIVALDIANA

(vedi giovedì 3 febbraio)

08

PASSI

Farmacia Zoo:È “youTHeater – Giornata del Ricordo”

P. 90

LA VITA DAVANTI A SÉ

(vedi martedì 8 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

MIO PADRE

di e con Andrea Pennacchi Teatro Boxer “Mira. Il teatro fa centro 2021/22” Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

LA COSCENZA DI ZENO

(vedi mercoledì 9 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

I DUE GEMELLI VENEZIANI

di Carlo Goldoni Con Marco Foschi, Danilo Nigrelli Regia di Valter Malosti “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

12

sabatoSaturday

TEMPEST PROJECT

(vedi giovedì 10 febbraio)

Teatro Goldoni h. 19

ENNIO MARCHETTO

The Living Paper Cartoon

“Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

65


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

:theatro

LA COSCENZA DI ZENO

(vedi mercoledì 9 febbraio)

I DUE GEMELLI VENEZIANI

(vedi venerdì 11 febbraio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

13

domenicaSunday

TEMPEST PROJECT

(vedi giovedì 10 febbraio)

Teatro Goldoni h. 16

LA COSCENZA DI ZENO

(vedi mercoledì 9 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 16

I DUE GEMELLI VENEZIANI

(vedi venerdì 11 febbraio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

17

giovedìThursday

GHOST – IL MUSICAL

“Domenica a Teatro 2021/22” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

(vedi martedì 22 febbraio)

PARADISO

26

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

P. 98

Regia, coreografia, spazio, luci di Virgilio Sieni Compagnia Virgilio Sieni “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/9 Teatro Verdi-Padova h. 16

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

22

martedìTuesday

GHOST – IL MUSICAL

“Stagione Comici 2021/22”

Libretto e testi di Bruce Joel Rubin Con Giulia Sol, Mirko Ranù Regia di Federico Bellone “Stagione di Prosa 2021/22”

IL MERCANTE DI VENEZIA RACCONTATO DAI COMICI

23

FRANCESCA REGGIANI

Gatta morta

Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

Compagnia TeatroImmagine “La città a Teatro 2021/22” Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro di Mirano h. 21

18

venerdìFriday

SCUSA SONO IN RIUNIONE... TI POSSO RICHIAMARE?

Scritto e diretto da Gabriele Pignotta Con Vanessa Encontrada, Fabio Avaro, Siddhartha Prestinari, Nick Nicolosi “Stagione di Prosa 2021/22”

Ingresso/Ticket € 35/32 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

P. 52

La storia tragica di due treni innamorati Testo, regia, direzione

artistica di Rezo Gabriadze (spettacolo in lingua originale con sovratitoli)

Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30

GHOST – IL MUSICAL

Teatro Goldoni h. 20.30

(vedi venerdì 18 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

domenicaSunday

SCUSA SONO IN RIUNIONE... TI POSSO RICHIAMARE?

(vedi venerdì 18 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

RACCONTO ALLA ROVESCIA

Momom Teatro / Claudio Milani

66

RAMONA

L’AVARO

27

ALFREDO E VIOLETTA

(vedi venerdì 25 febbraio) Teatro Goldoni h. 16

GHOST – IL MUSICAL

(vedi martedì 22 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

ALFREDO E VIOLETTA

da La Traviata di Giuseppe Verdi Testo, regia, direzione artistica di Rezo Gabriadze (spettacolo in lingua originale con sovratitoli) “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 19

(vedi mercoledì 2 marzo)

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

di William Shakespeare Versione italiana e regia di Giorgio Sangati “Scenari senza confini 2021/22”

Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

05

MarMar

di Niccolò Fettarappa Sandri “youTHeater”

02

mercoledìWednesday P. 102

di e con Drusilla Foer con Loris di Leo, pianoforte Nico Gori, clarinetto, sax “Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

giovedìThursday

(vedi mercoledì 2 marzo) P. 52

LA PESTE DI CAMUS

Il tentativo di essere uomini

Teatro Corso-Mestre h. 18

DRUSILLA FOER

venerdìFriday

“Stagione Comici 2021/22”

(vedi sabato 26 febbraio)

03

Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro di Mirano h. 21

ANTONIO ORNANO

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

domenicaSunday

Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

Il Portico Teatro Club “La città a Teatro 2021/22”

25

Special Edition Carnevale Ingresso/Ticket € 20/18 Teatro Corso-Mestre h. 21.15

da La peste di Albert Camus Adattamento di Emanuele Aldrovandi Regia di Serena Sinigaglia Con Marco Brinzi, Alvise Camozzi “Scenari senza confini 2021/22”

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

venerdìFriday

Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

Il tentativo di essere uomini

GHOST – IL MUSICAL

04

CARLO & GIORGIO

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

LA PESTE DI CAMUS

(vedi mercoledì 23 febbraio)

(vedi martedì 22 febbraio)

SCUSA SONO IN RIUNIONE... TI POSSO RICHIAMARE?

20

giovedìThursday

Teatro Verdi-Padova h. 19

L’Ornano Furioso

Eleganzissima

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

FIORELLO PRESENTA: P. 102 PADOVA!

sabatoSaturday

GHOST – IL MUSICAL

(vedi mercoledì 2 marzo)

(vedi martedì 22 febbraio)

DRUSILLA FOER

(vedi martedì 22 febbraio)

24

19

(vedi venerdì 25 febbraio)

CARLO & GIORGIO

mercoledìWednesday

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

Ingresso/Ticket € 65 Gran Teatro Geox-Padova h. 21

ALFREDO E VIOLETTA

Special Edition Carnevale

RAMONA

Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro di Mirano h. 21

LA PESTE DI CAMUS

sabatoSaturday

Teatro Goldoni h. 19

Balletto d’azione Coreografia, scene, luci di Monica Casadei Compagnia Artemis Danza “Scenari senza confini 2021/22”

“La città a Teatro 2021/22”

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

DON CHISCIOTTE TRAGICOMMEDIA DELL’ARTE

di Marco Zoppello Interpretazione e regia di Marco Zoppello e Michele Mori Stivalaccio Teatro

sabatoSaturday

APOCALISSE TASCABILE

Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21

DIZIONARIO BALASSO

P. 103

di e con Natalino Balasso

Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 21.15

LA PESTE DI CAMUS

(vedi mercoledì 2 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

(vedi venerdì 4 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

06

domenicaSunday

DIZIONARIO BALASSO

di e con Natalino Balasso Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 18

LA PESTE DI CAMUS

(vedi mercoledì 2 marzo) Teatro Verdi-Padova h. 16

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

(vedi venerdì 4 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16


09

“Mira. Il teatro fa centro 2021/22”

mercoledìWed

Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

di Stefano Massini Con Ottavia Piccolo, Paolo Pierobon Regia di Mauro Avogadro “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

10

LA PESTE DI CAMUS

P. 92

da La peste di Albert Camus Adattamento di Emanuele Aldrovandi Regia di Serena Sinigaglia Con Marco Brinzi, Alvise Camozzi “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

(vedi mercoledì 9 marzo) Teatro Verdi-Padova h. 19

11

venerdìFriday

LA PESTE DI CAMUS

(vedi giovedì 10 marzo) Teatro Goldoni h. 19

PAOLO CEVOLI

P. 103

La Sagra Famiglia

“Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

(vedi mercoledì 9 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

L’ATTESA

di Remo Binosi Con Anna Foglietta, Paola Minaccioni Regia di Michela Cescon “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

12

sabatoSaturday

LA PESTE DI CAMUS

Il tentativo di essere uomini

(vedi giovedì 10 marzo) Teatro Goldoni h. 19

GIORGIO PANARIELLO

La favola mia

di e con Giorgio Panariello

Ingresso/Ticket € 46/34,5 Teatro Corso-Mestre h. 21.15

LOVE POEMS

MM Contemporary Dance Company

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

L’ATTESA

(vedi venerdì 11 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

giovedìThursday

Il tentativo di essere uomini

(vedi mercoledì 9 marzo)

13

domenicaSunday

LA PESTE DI CAMUS

(vedi venerdì 18 marzo)

SE NON POSSO BALLARE... NON È LA MIA RIVOLUZIONE P. 103

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

P. 101

di e con Valentina Dal Mas “A pesca di sogni – Domeniche da favola” Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16.30

SONOSOLO

di e con Michele Cafaggi “Domenica a Teatro 2021/22” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro di Mirano h. 21

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

20

18

venerdìFriday

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

(vedi giovedì 17 marzo) Teatro Goldoni h. 19

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO P. 95

di Tennessee Williams Con Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci Regia e scene di Pier Luigi Pizzi “Stagione Teatrale 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

NON È COME SEMBRA

50 MINUTI DI RITARDO

di e con Angelo Pintus

Ingresso/Ticket € 40/40 Gran Teatro Geox-Padova h. 16

L’ATTESA

(vedi venerdì 11 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

16

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

di William Shakespeare Versione italiana e regia di Giorgio Sangati “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

17

Malmadur “youTHeater”

Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

(vedi mercoledì 16 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

mercoledìWed

giovedìThursday

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE P. 93

di Stefano Massini Con Ottavia Piccolo, Paolo Pierobon Regia di Mauro Avogadro “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30

(vedi mercoledì 16 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

Teatro Verdi-Padova h. 16

(vedi mercoledì 9 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Con Lella Costa Progetto drammaturgico e regia di Serena Sinigaglia “La città a Teatro 2021/22”

Teatro Verdi-Padova h. 19

Teatro Goldoni h. 16

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO

Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

(vedi mercoledì 16 marzo)

(vedi giovedì 10 marzo)

MOSTROGIRAMONDO

OBLIVION

“Stagione Comici 2021/22”

AMICI FRAGILI

P. 14

di e con Federico Buffa Regia di Marco Caronna Musiche dal vivo di Alessandro Nidi Ingresso/Ticket € 39/26 Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

LA PESTE DI CAMUS

(vedi venerdì 18 marzo)

domenicaSunday

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

(vedi giovedì 17 marzo) Teatro Goldoni h. 16

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO

(vedi venerdì 18 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

L’ARCA DI NOÈ

Testo, regia e figure Gianni Franceschini “Domeniche a teatro 2021/22” Ingresso/Ticket € 6/5 Teatro di Mirano h. 15.30

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

(vedi mercoledì 16 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 16

LA PESTE DI CAMUS

(vedi venerdì 18 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

23

mercoledìWed

L’ATTESA

di Remo Binosi Con Anna Foglietta, Paola Minaccioni Regia di Michela Cescon “Scenari senza confini 2021/22”

LA PESTE DI CAMUS

Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

da La peste di Albert Camus Adattamento di Emanuele Aldrovandi Regia di Serena Sinigaglia Con Marco Brinzi, Alvise Camozzi “Scenari senza confini 2021/22”

24

Il tentativo di essere uomini

Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

19

giovedìThursday

GIUSEPPE GIACOBAZZI

Noi. Mille volti e una bugia P. 103

“Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 38/25 Teatro Goldoni h. 20.30

L’ATTESA

sabatoSaturday

(vedi mercoledì 23 marzo) Teatro Verdi-Padova h. 19

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

(vedi giovedì 17 marzo) Teatro Goldoni h. 19

67


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

KATIA FOLLESA E ANGELO PISANI

P. 103

Finché social non ci separi

“Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

L’ATTESA

(vedi mercoledì 23 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

di Stefano Massini Con Ottavia Piccolo, Paolo Pierobon Regia di Mauro Avogadro “Scenari senza confini 2021/22”

31

giovedìThursday

RIVELAZIONE

P. 98

Sette meditazioni intorno a Giorgione

Uno spettacolo di Anagoor Regia Simone Derai “A pesca di sogni - Avventure a teatro” Ingresso/Ticket € 10/7 Teatrino Groggia h. 21

INDIRIZZI GRAN TEATRO GEOX

Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it

TEATRINO GROGGIA

Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it

26

Corso del Popolo-Mestre www.dalvivoeventi.it

TEATRO CORSO

sabatoSaturday

KATIA FOLLESA E ANGELO PISANI

TEATRO DI MIRANO

Finché social non ci separi

“Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

IL DIO BAMBINO

P. 98

Testo e musiche di Giorgio Gaber e Sandro Luporini Con Fabio Troiano Regia di Giorgio Gallione “Mira. Il teatro fa centro 2021/22” Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

Via della Vittoria 75-Mirano teatrodimirano.wordpress.com

Rialto, San Marco 4659 www.teatrostabileveneto.it

TEATRO MARIO DEL MONACO

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

TEATRO MOMO

Via Dante 81-Mestre www.comune.venezia.it

domenicaSunday

(vedi mercoledì 23 marzo) Teatro Verdi-Padova h. 16

EICHMANN DOVE INIZIA LA NOTTE

(vedi venerdì 25 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

30

mercoledìWednesday

FIORELLO PRESENTA: PADOVA!

Con Rosario Fiorello

Ingresso/Ticket € 65 Gran Teatro Geox-Padova h. 21

68

Videoteca Pasinetti h. 17

10

giovedìThursday

FILM D’AMORE E D’ANARCHIA

Regia di Lina Wertmüller (1973) “Lina Wertmüller: l’amore e l’anarchia” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE P. 106

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO VERDI

Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it

TEATRO VILLA DEI LEONI

Riviera S. Trentin 3-Mira www.piccionaia.org

15

23

mercoledìWednesday

SENZA FINE

Regia di Elisa Fuksas (2022) “Documentari - Eventi” IMG Candiani-Mestre

24

giovedìThursday

PASQUALINO SETTEBELLEZZE

Regia di Lina Wertmüller (1975) “Lina Wertmüller: l’amore e l’anarchia” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

DIES IRAE

P. 106

Regia di Carl Theodor Dreyer (1943) Presenta Carmelo Marabello “Classici Fuori Mostra”

03

martedìTuesday

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

TUTTO A POSTO E NIENTE IN ORDINE

giovedìThursday

IRIS, FIORE DEL NORD

Multisala Rossini h. 19

venerdìFriday

THE BATMAN

Regia di Lina Wertmüller (1974) “Lina Wertmüller: l’amore e l’anarchia” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

P. 106

Regia di Jean Renoir (1936) Presenta Marco Dalla Gassa “Classici Fuori Mostra”

Regia di Matt Reeves (2022) “Dolby Atmos” IMG Candiani-Mestre

07

lunedìMonday

THE ALPINIST

Multisala Rossini h. 19

Uno spirito libero

21

IMG Candiani-Mestre

lunedìMonday

SENZA FINE

Regia di Elisa Fuksas (2022) “Documentari - Eventi” IMG Candiani-Mestre

22

P. 106

Regia di Alf Sjöberg (1946) Presenta Elena Pollacchi “Classici Fuori Mostra”

04

giovedìThursday

LA REGOLA DEL GIOCO

IMG Candiani-Mestre

MarMar

Regia di Ralph Nelson (1963) “Sidney Poitier, un giglio che splende nel fango”

17

SENZA FINE

Regia di Elisa Fuksas (2022) “Documentari - Eventi”

Multisala Rossini h. 19

Regia di William Friedkin (1971) Presenta Michele Gottardi “Classici Fuori Mostra”

TEATRO GOLDONI

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

L’ATTESA

Regia di Franco Giraldi (1977) Precede la proiezione la presentazione del libro di La trilogia istriana nel cinema di Franco Giraldi (Alcione, 2021) di Alessandro Cuk. Conversa con l’autore Paolo Lughi “Giorno del Ricordo 2022”

I GIGLI DEL CAMPO

L’ATTESA

27

martedìTuesday

UN ANNO DI SCUOLA

Multisala Rossini h. 19

(vedi mercoledì 23 marzo)

(vedi venerdì 25 marzo)

08

TEATRO DEL PARCO

Parco Albanese via Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it

Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

FebFeb

:cinema

venerdìFriday

:theatro

25

Regia di Nick Rosen (2022) “Documentari – Film Evento”

08

martedìTuesday

THE ALPINIST

Uno spirito libero

(vedi lunedì 7 marzo)

martedìTuesday

INDOVINA CHI VIENE A CENA?

Regia di Stanley Kramer (1967) “Sidney Poitier, un giglio che splende nel fango” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

IMG Candiani-Mestre


09

mercoledìWed

THE ALPINIST

Uno spirito libero

(vedi lunedì 7 marzo) IMG Candiani-Mestre

LA CITTÀ DELLE SIRENE P. 108

Regia di Giovanni Pellegrini (2020) “Paesaggi che cambiano” Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30

10

SIRÉNA

Multisala Rossini h. 19

giovedìThursday

SANGUE AL KM. 148

Regia di Nikola Tanhofer (1947) Presenta Dunja Jelenković “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19

21

P. 108

Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30

24

giovedìThursday

DUKE BLUEBEARD’S CASTLE

Regia di Michael Powell (1963) Presenta Carmelo Marabello “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19

giovedìThursday

Regia di Karel Steklý (1947) Presenta Federico Gironi “Classici Fuori Mostra”

17

SEI VENEZIA

Regia di Carlo Mazzacurati (2010) “Paesaggi che cambiano”

lunedìMonday

IL PADRINO

50° Anniversario

(vedi martedì 22 marzo) IMG Candiani-Mestre

31

giovedìThursday

UCCELLACCI E UCCELLINI P. 106

Regia di Pier Paolo Pasolini (1966) Presenta Michele Gottardi “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19

MORBIUS

Regia di Daniel Espinosa (2022) “Dolby Atmos” IMG Candiani-Mestre

LEONARDO IL CAPOLAVORO PERDUTO

INDIRIZZI

IMG Candiani-Mestre

AUDITORIUM SPAZI BOMBEN

Regia di Andreas Koefoed (2022) “La grande Arte al cinema”

22

martedìTuesday

IL PADRINO

50° Anniversario

Regia di Francis Ford Coppola (1972) “IMG Cult” IMG Candiani-Mestre

LEONARDO IL CAPOLAVORO PERDUTO

(vedi lunedì 21 marzo) IMG Candiani-Mestre

23

Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it

IMG CANDIANI

Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it

MULTISALA ROSSINI

Salizzada del Teatro San Marco 3997 www.labiennale.org

VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA

San Stae 1990 www.comune.venezia.it

mercoledìWed

IL PADRINO

50° Anniversario

(vedi martedì 22 marzo) IMG Candiani-Mestre

LEONARDO IL CAPOLAVORO PERDUTO

(vedi lunedì 21 marzo) IMG Candiani-Mestre

69


ASSASSINIO SUL NILO

screenings

I film da non perdere al cinema

a cura di Davide Carbone

70

Se ti affidi troppo alla luce, sembrerai completamente ridicolo, uno con addosso un costume di Halloween. Ma col giusto tono, diventi una sorta di totem. Eppure per capire qual è quel tono, quel tono perfetto, ci vuole un'eternità Robert Pattinson

di Kenneth Branagh (USA, 2022) Film basato sull'omonimo romanzo di Agatha Christie, già portato sul grande schermo nel 1978, con Peter Ustinov nei panni di Hercule Poirot. La storia originale vede Linnet Ridgeway, bella e ricca ereditiera, che ha appena sposato il fidanzato della sua migliore amica Jacqueline de Bellefort. Per la loro luna di miele, gli sposi decidono di fare una crociera sul Nilo. Tra i passeggeri del battello si trova, ovviamente, il celebre detective belga. Una sera, Jacqueline fa irruzione sulla barca e spara al suo ex fidanzato… Dal 10 febbraio

CYRANO

di Joe Wright (UK, Italia, Canada, 2021) Cyrano de Bergerac è un abile paroliere capace di ammaliare chiunque lo ascolti con brillanti giochi di parole, che gli sono valsi diverse vittorie nelle sfide verbali. Nonostante il suo favellare e il suo ingegno, Cyrano non è mai riuscito a dichiarare il suo amore alla bella Roxanne. L'uomo, infatti, è certo che la sua mancata avvenenza sia uno dei motivi per cui lui non meriti di essere ricambiato da Roxanne. Peccato che quest'ultima finisca con l'innamorasi di Christian, che povero di dialettica e di poesia, verrà aiutato da Cyrano a trovare le giuste parole d'amore... Dal 3 marzo

MORBIUS

THE BATMAN

di Matt Reeves (USA, 2022) In principio, furono Michael Keaton, Jack Nicholson e Kim Basinger in quel capolavoro diretto da Tim Burton, inarrivabile nel tracciare il profilo dell’eroe dark per eccellenza. Era il 1989 e prendeva il via una delle storie più prolifiche e tormentate tra un fumetto ed il cinema: Batman della DC Comics ha poi avuto volti e storie più o meno convincenti o fortunate, su cui spicca per distacco la trilogia firmata Christopher Nolan, meccanismo perfetto impeccabilmente interpretato da Christian Bale. In questo ultimo capitolo, un cast composto da Robert Pattinson, Zoë Kravitz, Colin Farrell e Paul Dano è diretto da Matt Reeves per portarci tra i vicoli più bui e sudici di Gotham, dove Bruce Wayne si è calato nei panni del suo alter ego ormai da due anni, lottando contro i criminali. Ma un nemico più minaccioso dei precedenti lo attende, dimostrando di conoscere quasi tutti i suoi segreti. Dal 3 marzo

di Daniel Espinosa (USA, 2022) Interpretato da Jared Leto, Morbius è un biochimico affetto da una rarissima malattia ematologica. Quando prova a inventare una cura per il suo disturbo, qualcosa nel suo esperimento va storto e il dottore si infetta con una forma di vampirismo, assumendo l'aspetto e le abilità soprannaturali di queste oscure creature. Accanto a Leto nel cast del cinecomic anche Adria Arjona nei panni di Martine Bancroft, fidanzata del protagonista, e Matt Smith, che ricopre il ruolo di Loxias Crown, amico di Morbius che soffre della sua stessa malattia. Dal 31 marzo

MAIGRET

di Patrice Leconte (Francia, 2021) Una giovane ragazza una mattina di marzo viene trovata morta in Place Vintimille a Parigi, con indosso un abito da sera e una borsetta. Nessun elemento identifica il cadavere. A indagare sul caso sarà il commissario Maigret, che grazie al suo metodo e alla sua attenzione per i dettagli riesce a poco a poco a ricostruire la storia della vittima. Si tratta di Louise Laboine, una ragazza di 16 anni di origine nizzarda, trasferitasi qualche anno prima a Parigi nel tentativo di dare una svolta alla sua vita. Dal 31 marzo


THE BEATLES: GET BACK THE ROOFTOP CONCERT di Peter Jackson, Michael Lindsay-Hogg (UK, Nuova Zelanda, USA, 2022)

Un avvenimento storico: l'indimenticabile concerto dei Beatles sul tetto della sede di Apple Corps di Savile Row del 30 gennaio 1969. Il concerto, che appare nella sua interezza nella docuserie originale di Peter Jackson The Beatles: Get back disponibile su Disney+, sarà ottimizzato per gli schermi Imax, rimasterizzato in digitale nella qualità dell'immagine e del suono di The Imax Experience con la tecnologia proprietaria Imax Dmr (Digital Remastering). La docuserie è il risultato dello studio di quasi 60 ore di filmati inediti, girati in 21 giorni da Michael Lindsay-Hogg nel 1969, e di più di 150 ore di registrazioni audio mai ascoltate, la maggior parte delle quali sono rimaste conservate in un caveau per oltre mezzo secolo. Jackson è l’unica persona in 50 anni ad aver avuto accesso a questo tesoro dei Beatles, che oggi è stato magistralmente restaurato. Dal 9 febbraio

LICORICE PIZZA

di Paul Thomas Anderson (USA, 2021) Ambientato nella San Fernando Valley degli anni ’70, racconta la storia di un giovane liceale, il quindicenne Gary Valentine, con una carriera avviata come attore sin dall'infanzia. Il giorno in cui a scuola si scatta la foto per l'annuario Gary incontra Alana Kane, una ragazza di diversi anni più grande di lui, da cui rimane fortemente colpito. I due iniziano a frequentarsi e a passare diverso tempo insieme, stringendo sempre più amicizia, tanto che finiscono per avviare un'azienda di letti ad acqua, gestita da Gary, ma con Alana come dipendente. Siamo nel 1973 e questi due giovani vivono diverse avventure, correndo da una parte all'altra della città, crescendo giorno dopo giorno e innamorandosi, ma non manca di certo anche qualche litigio. Dal 17 marzo

AMBULANCE

THE LOST DAUGHTER

Will e Danny sono due fratelli molto diversi tra loro. Il primo è un veterano di guerra, che ha bisogno di una grossa cifra per pagare un importante intervento a sua moglie; il secondo, invece, è un criminale affermato. Quando Will chiede aiuto economico a Danny, quest'ultimo non gli propone un prestito, ma una rapina, la più grande mai fatta alla banca di Los Angeles, che permetterebbe loro di tornare a casa con 32 milioni di dollari. Will si convince ad accettare, soprattutto perché non ha altre alternative per pagare le spese mediche della moglie. Durante il colpo, qualcosa va storto. Un ufficiale di polizia, infatti, arriva nella banca per questioni personali, mandando all'aria il piano. Il poliziotto viene gravemente ferito e Will e Danny non hanno altra scelta se non la fuga col bottino. Quando s'imbattono in un'ambulanza, i due ne prendono il controllo… Dal 23 marzo

Leda è una donna di mezza età, divorziata, che lavora come professoressa di inglese e si occupa delle sue figlie. Quest'ultime, però, decidono di partire per il Canada, dove risiede il padre, e Leda si ritrova a trascorrere un periodo di completa solitudine, durante il quale, contrariamente a quanto si aspettasse, si sente libera e leggera. È così che decide di partire per una vacanza al mare da sola. Qui si imbatte in una famiglia molto chiassosa e si concentra soprattutto sulla madre e sulla figlia, che sembrano essere legate da un profondo rapporto, che turba molto Leda. La visione della famiglia, infatti, porta la donna ad abbandonarsi ai ricordi: a quando ha dovuto affrontare per la prima volta la maternità, la paura, i timori e le scelte non convenzionali che ha compiuto nella sua vita come madre. Dal 24 marzo

di Michael Bay (USA, 2022)

di Maggie Gyllenhaal (Grecia, USA, UK, Israele, 2021)

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Intervista Cesare Malfatti

STORIA DA RACCONTARE

musica

Noi, oggi, non ci rendiamo conto di come i giorni nostri saranno valutati dalla storia di domani...

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© Nicola Lott


di Davide Carbone

C

osa succede quando un momento diventa storia?

A questo e ad altri interrogativi cerca di rispondere il musicista Cesare Malfatti, sperimentalista della prima ora con Afterhours e La Crus, con lo spettacolo La storia è adesso, titolo del suo album-concept incentrato sulla figura di Valeriano Malfatti, podestà di Rovereto negli anni precedenti alla Grande guerra e nel periodo di transizione del territorio trentino dall’Austria all’Italia, di cui Cesare è discendente. Un progetto che il 5 febbraio Malfatti porta in scena all’M9 - Museo del ‘900 sotto forma di spettacolo musical-teatrale, con le voci di Chiara Castello e Alessandro Grazian, la drammaturgia di Francesco Frongia, la grafica video di Stefania Giarlotta e la proiezione di immagini tratte da alcuni film prodotti dal Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto e dalla Fondazione Museo Storico del Trentino, segnatamente Oh! Uomo (2004), Prigionieri della Guerra (1995) e Su tutte le vette è pace (1998). Cesare Malfatti ci racconta la nascita e lo sviluppo di un progetto che spazia oltre i confini della musica, materializzandosi in un concerto che conclude gli eventi dedicati da M9 al Giorno della Memoria. Come la storia del suo avo Valeriano Malfatti ha informato la sua ispirazione, tanto da trasformarla in un progetto/concerto? Sono entrato in contatto con questa storia in maniera piuttosto particolare, nel senso che in famiglia non se ne parlava in maniera molto approfondita. La famiglia di mio padre è sempre stata molto importante nella storia di Rovereto; il mio bisnonno e il mio trisnonno sono stati sindaci della città. Eppure solo grazie ad alcune mie ricerche sull’Enciclopedia Treccani ho potuto scoprire la storia di Valeriano Malfatti, mio padre non mi aveva mai parlato di lui. Nel periodo in cui ho concentrato le mie ricerche, quello cioè subito precedente alla Prima Guerra Mondiale, la città si trovava in una fase di passaggio tra l’Impero asburgico e l’Italia. Valeriano Malfatti allora era al contempo deputato nel Parlamento austriaco e in quello italiano. Andando avanti poi con altre ricerche ho potuto trovare altro materiale conservato in casa Malfatti, dove mia zia ancora abita. Aprendo il ‘classico’ cassetto ho recuperato praticamente tutte le informazioni di cui mi sono servito per lavorare a questo progetto, ricostruendo tutta la sua storia. Le vicende più significative della vita di Valerino sono poi così diventate i capitoli di questo progetto e le tracce dell’album, di cui ho curato, come faccio di solito, quasi esclusivamente la parte musicale. Per i testi mi sono affidato ad autori che conosco e a

cui ho fatto avere la biografia del mio antenato, facendoli lavorare sulle musiche che avevo composto. Ci sono state tracce dalla genesi più immediata e altre invece dalla nascita più travagliata? Si è trattato di un processo che ha vissuto fasi profondamente differenti a seconda dell’autore coinvolto. Alcuni hanno preso alla lettera dei tratti della biografia di Valeriano, descrivendo nei particolari il contesto storico in cui le sue vicende si svolgevano, un contesto caratterizzato da avvenimenti molto complicati e sfaccettati. Altri brani si sono invece caratterizzati da un afflato assai più poetico, si approcciandosi alla storia e ai suoi personaggi in maniera meno dettagliata e più idealizzata. Credo ad ogni modo che il pezzo più emblematico sia proprio la traccia che dà il titolo all’album, La storia è adesso, con testo di Alessandro Cremonesi, mio compagno di viaggio nei La Crus, che descrive forse il momento più particolare vissuto da Valeriano Malfatti, vale a dire quando ha dovuto gestire lo sgombero immediato della città di Rovereto, all’epoca punto più a sud dell’Impero asburgico, abitata quasi esclusivamente da austriaci di lingua italiana. Quando l’Italia dichiara guerra all’Impero asburgico, quest’ultimo decreta che tutta la popolazione di lingua italiana debba lasciare le proprie abitazioni a Rovereto: Valeriano Malfatti si attiva conseguentemente subito per fare in modo che lo sgombero potesse avvenire in maniera veloce e soprattutto pacifica, in un momento in cui la tensione era comprensibilmente a livelli altissimi. La storia è adesso vuole descrivere le sue sensazioni e i suoi pensieri nel momento in cui si trova ad affrontare quella delicatissima situazione: traspare il ritratto di una persona che ha impegnato tutte le proprie risorse per fare questa cosa al meglio, senza delegarla ad altri, che probabilmente non avrebbero avuto gli stessi suoi attenti e partecipati riguardi nei confronti della popolazione. Le stesse attenzioni e riguardo con i quali poi si adopererà in seguito per organizzare il ritorno della popolazione in città, facendo in modo che tutti gli sfollati potessero recuperare i propri effetti personali, spesso abbandonati in fretta e furia in quei momenti concitati. Si trattava spesso di persone poi costrette ad emigrare in zone situate molto più a nord di Rovereto, di esclusiva lingua tedesca, nonostante molti di esse non conoscessero questo idioma. Non pochi, Valeriano Malfatti compreso, furono poi internati nei primi campi di prigionia che già all’epoca si stavano rapidamente impiantando. È proprio questo l’aspetto che collega tali vicende al Giorno della Memoria; il titolo La storia è adesso serve proprio a rendere evidente il legame che si instaura tra periodi storici che possono sembrare diversi, lontani, ma che tuttavia sempre ritornano nella loro drammatica “consonanza”. Noi, anche ora, oggi, non ci rendiamo propriamente conto di come i giorni nostri saranno considerati, valutati dalla storia di domani, al di là di gusti o divisioni. Esistono moltissime persone attorno a noi, infatti, che affrontano problemi simili a quelli affrontati dal mio antenato e dalle popolazioni che lui cercò di tutelare. Come è entrato in contatto con le Macchine Intonarumori e con le loro campionature? Ritorna in questa storia ancora una volta il Mart di Rovereto: questo museo ne ospita infatti 4 esemplari, in realtà riproduzioni di quelle ideate da Russolo, i cui originali andarono tutti distrutti nel corso La storia è adesso 5 febbraio M9 -Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it

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Alberi! 30 frammenti di storia d’Italia

11.03 − 10.08 2022

a cura di Annalisa Metta, Giovanni Morelli e Daniele Zovi disegni di Guido Scarabottolo

M9 è un progetto di

M9 - Museo del ’900 via G. Pascoli 11 Venezia Mestre www.m9museum.it 74

Mostra organizzata e prodotta da


musica INTERVISTA CESARE MALFATTI

di un incendio dopo un concerto. Visto che tutto il mio percorso è partito proprio da Rovereto ho avuto la possibilità di lavorare su queste macchine, registrandole e realizzando delle campionature grazie al programma che utilizzo abitualmente, che si chiama Ableton Live, intonando tutti i rumori prodotto da queste macchine su una tastiera, facendo quindi in modo che il suono potesse essere più preciso e governabile. È nata così una Macchina Intonarumori moderna, attraverso la quale creare delle vere e proprie melodie. Uno strumento oltretutto molto più affidabile delle originali Macchine di Russolo, che avevano sì una leva in grado appunto di “intonare il rumore”, ma naturalmente attraverso un processo di tipo meccanico, non sensibile come può essere il mezzo digitale. Oggi invece, attraverso il posizionamento delle note su una tastiera, posso modulare una nota il più vicina possibile a quelle che conosciamo noi. Dopo aver lavorato con queste 4 riproduzioni ho realizzato delle campionature che sono diventate l’intelaiatura di tutto il disco, suggestive anche per il particolare processo che le ha fatte nascere: queste macchine sono state inventate da Russolo, futurista, come futurista era Fortunato Depero, strettamente legato come sappiamo alla città di Rovereto. È stato molto bello legare la mia ricerca storica ad un’altra ricerca, di segno artistico naturalmente, quale fu il Futurismo che proprio in quegli anni nasceva e si sviluppava. La sua esperienza con Afterhours e La Crus negli anni ‘90 e 2000 la colloca al centro delle radici del rock di ricerca italiano. Quale il suo pensiero sull’attuale scena sperimentale del nostro Paese e sui suoi confini, sempre più labili e immateriali? Si ritrova nelle definizioni di generi musicali adottate oggi, tra indie e ‘musica alternativa’? Negli anni ’90 abbiamo lavorato molto in ambito sperimentale e di quel periodo ancora oggi rimangono diverse tracce, soprattutto per quel che riguarda gli Afterhours, anche grazie al momento importante che Manuel Agnelli sta vivendo soprattutto negli ultimi anni, con la partecipazione a X Factor. Nella musica di oggi non percepisco molta sperimentalità così come la intendevamo noi, anche se diversi musicisti, me compreso, stanno cercando di portare avanti il discorso musicale intrapreso in quegli anni, ovviamente secondo declinazioni personali, compatibili con i tempi che stiamo vivendo. Penso ad esempio al progetto Iosonouncane, nome d’arte del cantautore, produttore e compositore Jacopo Incani, che di sicuro sente e vive fortemente l’influenza di quel periodo; oppure a Motta, altro cantautore che a me piace molto e che penso possa essere collegato senza sforzi a quello che è stato il nostro serbatoio espressivo. Pure l’universo rap, hip-hop e trap è all’avanguardia in termini di sperimentazione, anche se non sempre compreso e seguito dal grande pubblico. Per quel che riguarda le definizioni, ammetto di andare spesso in difficoltà: ai nostri tempi noi stessi non potevamo essere definiti indie, cioè indipendenti dalle grosse case discografiche, visto che gli stessi La Crus hanno sviluppato la propria carriera grazie ad un contratto stipulato con la Warner. Di sicuro essere sperimentali vuol dire però, oggi come allora, non rientrare nelle rigide regole del pop, non fare esattamente il compitino mainstream che rappresenta di sicuro la via più veloce verso il successo, tradotto in maggiori vendite e concerti davanti a audience più ampie.

Venezia è una città a lei molto cara. Quale è la natura del suo rapporto con il centro lagunare e quale il suo sentimento nei confronti di questa città unica, soprattutto in chiave futura? I futuristi volevano asfaltare il Canal Grande… Sono legatissimo a Venezia. Pur essendo nato a Milano, l’unico dialetto esistente in casa mia è il veneziano. Mia nonna è nata ai Frari, quindi una veneziana doc, e mia madre parlava con lei quasi esclusivamente in dialetto; lei stessa è nata al Lido, salvo poi trasferirsi tutti a Ivrea per seguire mio nonno e il suo lavoro alla Olivetti. Venezia poi ritorna nella mia vita proprio oggi, visto che ho una figlia che si sta laureando all’Università Ca’ Foscari. Il rapporto con il Futurismo è sempre stato ambiguo quanto affascinante. Nel nostro spettacolo cerchiamo proprio di far emergere tutto ciò che di bello e sperimentale questa corrente di pensiero ha saputo produrre, anche per far capire quale secondo noi possa essere l’eredità lasciata da quel vento di innovazione nato poco più di un secolo fa. Ideali come quelli che informavano pulsioni vitali quali il progresso, la velocità, la forza, purtroppo anche nella brutale declinazione bellica, erano portatori di una concezione rivoluzionaria che scardinava ogni tipo di valore dominante all’epoca, spesso restituendo i lineamenti culturali, morali, politici anche delle figure chiave di quel movimento in maniera non esattamente lusinghiera. Noi vogliamo mettere in risalto la potenza premonitrice di questa corrente, spogliandola dai preconcetti di stampo politico per concentrarci sull’ambito puramente artistico ed espressivo, non ultimo il ‘rumore intonato’ che troviamo ancora oggi nella musica contemporanea. Gli archivi italiani custodiscono tesori straordinari, spesso troppo poco conosciuti. Progetti come il suo La storia è adesso o istituzioni come M9 - Museo del ’900 intendono avvicinare un pubblico sempre più ampio a questo patrimonio inestimabile. Quale secondo lei la chiave ideale per portare a termine questa missione? Credo che lo snodo cruciale sia senza dubbio quello della divulgazione. Il titolo dell’album, La storia è adesso, intende proprio mettere l’accento sulla necessità di riattualizzare il più possibile questa storia e tante altre ad essa prossime, raccontandole ad un pubblico sempre più ampio e trasversale. Nel 2015 ho realizzato un progetto a Milano legato all’Expo in cui a diverse personalità veniva richiesto di indicare un quadro, un’opera d’arte emblematica della città, cercando di far conoscere ai turisti particolari in più su queste stesse opere, a volte poco conosciute perché fuori dai classici itinerari culturali. Ecco, coinvolgere per esempio, che so, Francesco Bianconi dei Baustelle chiedendogli di descrivere un quadro in una canzone sarebbe un procedimento in grado di aprire ad un nuovo pubblico il nostro patrimonio artistico. In quest’ottica la tecnologia potrebbe svolgere un ruolo assolutamente fondamentale, come M9 ha perfettamente intuito. 75


musica LIVE

Storie di confine Tra avanguardia e jazz

«Jazz& sta a significare tutte le congiunzioni del jazz contemporaneo con le sonorità del mondo – spiega il direttore artistico di Veneto Jazz Giuseppe Mormile –, una rassegna che esplora generi diversi, in un luogo, il Teatro La Fenice, che nel tempo ha dato spazio ai grandi nomi che hanno scritto la storia della musica, ma anche alle espressioni più all’avanguardia». Arriva alla quinta edizione il cartellone curato da Veneto Jazz, uno degli appuntamenti più ricercati della scena italiana, con tutta la raffinatezza della musica di influenza brasiliana, israeliana, indiana e del Nord Europa, e un evento speciale, al Laguna Libre, di musica contemporanea e soundscape composition. Hamilton De Holanda & Chano Dominguez sono protagonisti il 12 febbraio di un concerto dove le tradizioni spagnole e brasiliane incontrano la modernità interpretativa e il gusto per l’improvvisazione. Lo spagnolo Chano Dominguez, in oltre 40 anni di carriera, ha suonato con Paco De Lucia, Wynton Marsalis, Paquito D’Rivera, Jack DeJohnette, Herbie Hancock, Gonzalo Rubalcaba, Chucho Valdés, Joe Lovano, Stefano Bollani. Solista di enorme capacità comunicativa, ha portato ai più alti livelli il connubio tra jazz e flamenco. Nel 2016 è stato nominato per il suo quarto Grammy, questa volta in Latin Grammy, per il suo album Bendito. Hamilton de Holanda, brasiliano, col suo personale e virtuosistico intreccio di choro e jazz ha creato una musica spumeggiante, segnalatasi più volte nelle nomination ai Latin Grammy. Ha collaborato con Yamandu Costa, Mike Marshall, Joel Nascimento, ma in Italia è celebre soprattutto per il duo formato con Stefano Bollani, immortalato anche su disco (O que será, 2013, ECM). La sua tecnica trasgressiva e rivoluzionaria, su uno strumento a 10 corde, gli è valsa l’appellativo di “Jimi Hendrix del mandolino”. Il 4 marzo ci si sposta al Laguna Libre in Fondamenta di Cannaregio per Shardana, debutto discografico della clarinettista e compositrice sarda Zoe Pia, che racchiude in sé le tradizioni, le leggende e i misteri della Sardegna. La tecnica del soundscape composition unita al linguaggio contemporaneo ha permesso di raccontare in musica le energie nascoste nella tomba dei giganti di Sa Dom ‘e S’Orcu, i personaggi misteriosi come S’Accabadora, la forte tradizione processionale di Mogoro, la storia della terra e dei popoli del Mediterraneo, l’omaggio al grande cantautore Andrea Parodi, le mistiche Domus de Janas, e il tradizionale riecheggiare del ballo sardo. Il 12 marzo in scena il trio svizzero VEIN, con i gemelli Michael al pianoforte e Florian Arbenz alla batteria e con Thomas Lähns al contrabbasso. I tre musicisti coltivano da anni un jazz ricercato e moderno, che si pone come intermediazione tra la classica e il camerale. 76

Border stories

ENG

“Jazz& is all about the different instances of modern jazz and world sound – says Veneto Jazz arti director Giuseppe Mormile – a programme that explores different genres in a place, the Fenice Theatre, that saw the history of music being made.” At its fifth edition, Jazz& is one of the best musical programmes in the country, with all the refinement of influences from Brasil, Israel, India, and Northern Europe. Hamilton De Holanda & Chano Dominguez will perform on February 12 in a concert where Spanish and Brasilian traditions meet modern interpretation and a taste for improvisation. Dominguez is an accomplished soloist who took a jazz and flamenco mix to the highest level. He has been nominated for his fourth Grammy in 2016 for his album Bendito. De Holanda is a Brazilian musician who plays a mix of choro and jazz – a bubbly sound Latin Grammy aficionados know well. De Holanda, a ‘mandolin-playing Jimi Hendrix’, worked with many world-renowned performers, though is known in Italy for his cooperation with Stefano Bollani. More great concerts to follow on March 4 and March 12. Jazz& 12 febbraio, 12 marzo Teatro La Fenice; 4 marzo Laguna Libre www.venetojazz.com


LA RAGAZZA CON LA PISTOLA Dove nessuno prima Sperimentare è una cosa seria

Nu Fest, il festival di musica elettronica e contemporanea organizzato da Veneto Jazz, porta al Teatrino di Palazzo Grassi e al Fondaco dei Tedeschi importanti artisti creativi e sovversivi del panorama sperimentale contemporaneo francese e norvegese, capaci di fondere tra loro folk, rock, jazz e contemporanea con arte ed elettronica. Ad aprire la manifestazione, sabato 5 febbraio al Teatrino di Palazzo Grassi, il duo composto dal poeta, vocalist e producer francese Anne-James Chaton e da Andy Moor, chitarrista inglese della band di rock sperimentale The Ex, con il progetto multimediale Heretics, che fonde pittura, musica e poesia. Grandi personalità eretiche della storia, come Caravaggio, William Burroughs, Jose Mujica, il Marchese de Sade o Johnny Rotten sono le fonti di ispirazione del progetto, che affronta questo tema mescolando testi e musica. Franck Vigroux, al Teatrino il 19 marzo, è artista poliedrico le cui opere spaziano dalla musica elettronica sperimentale alla composizione moderna e al teatro musicale. Prolifico come solista, ha lavorato con musicisti come Elliott Sharp, Mika Vainio, Reinhold Friedl, Ars Nova e artisti visivi come Antoine Schmitt e Kurt d’Haeseleer. Ospite del Fondaco dei Tedeschi, lifestyle department store di DFS Group in Europa, è il Trio di Erlend Apneseth, sabato 9 aprile, per la sezione Nørdic Frames, dedicata alle sonorità nordiche. Apneseth è uno dei più famosi suonatori di violino di Hardanger, caratteristico violino appartenente alla tradizione norvegese, che reinventa nella scena musicale contemporanea in quello che si potrebbe definire “folk jazz”. Il suo trio, che comprende il batterista Øyvind Hegg-Lunde e il chitarrista Stephan Meidell, con il primo album, Det Andre Rommet, ha ottenuto brillanti elogi e ora torna con un disco poetico e sorprendente, dal titolo Frangmentarium. Nu Fest 5 febbraio, 19 marzo Teatrino di Palazzo Grassi; 9 aprile Fondaco dei Tedeschi www.venetojazz.com

Where no one before

ENG

Nu Fest, the electronic and contemporary music festival produced by Veneto Jazz, will open on February 5 at Teatrino di Palazzo Grassi with a concert by French poet, vocalist, and producer Anne-James Chaton and English guitarist Andy Moor. Heretics will be a fusion of visual art, music, and poetry that claims Caravaggio, William Burroughs, Jose Mujica, the Marquis de Sade, and Johnny Rotten as inspiration. Franck Vigroux will perform at Teatrino on March 19. A versatile artist, Vigroux’s creations range from experimental electronic music to modern composition and musical theatre, At Fondaco dei Tedeschi, we will see Erlend Apneseth on April 9, part of the Nørdic Frames programme. Apneseth is a virtuoso of the Hardanger fiddle, a traditional Norwegian instrument. His trio, which includes drummer Øyvind Hegg-Lunde and guitarist Stephan Meidell, was praised by critics and recently released a poetic, surprising album: Fragmentarium.

Arrivano delle vibrazioni autentiche da Torino fino al Centro Sociale Rivolta. Si tratta di un ricordo di qualcosa di familiare, ma un po' cambiato. Microchip Emozionale, l’album più famoso dei Subsonica, ha accompagnato e influenzato gli animi di tutti gli adolescenti dei primi Duemila, ed è stato riproposto dopo vent’anni con un nuovo titolo, ma non solo. Ritorna la ragazza della copertina, sempre con la pistola in mano, ma stavolta la vediamo di spalle, con l’arma abbassata e con lo sguardo rivolto al nuovo mondo musicale, perché è a quello che i Subsonica vogliono puntare. Nasce nel 2019 e presentato ora in tour, Microchip Temporale. Un album remix, con voci del tutto nuove, caratterizzato dalla collaborazione con musicisti come Coez, Myss Keta, Coma Cose, Achille Lauro, Cosmo e altri, artisti che hanno la stessa attitudine e lo stesso sguardo che aveva la band torinese nel 1999, all’epoca definita “indie”. Spesso succede che un adolescente si riconosca nell’attività artistica di qualcuno della stessa età. Infatti con Microchip Emozionale molti giovani hanno seguito l’esempio salendo sui palchi con i propri piedi, proponendo musica inedita, condividendo spazio ed emozioni con altri coetanei. E questo è un invito che i Subsonica vogliono estendere ancora, soprattutto dopo due anni di pandemia mondiale e periodi di reclusione forzata. È un messaggio che vogliono leggere attraverso gli occhi di chi sta parlando adesso alle nuove generazioni, per riscoprire il piacere di prendere in mano uno strumento e uscire dalla propria cameretta per scoprire il mondo. Consigliano quindi di non essere davvero fan di nessuno, se non prima di noi stessi. Silvia Gobbo Subsonica 26 marzo Centro Sociale Rivolta-Marghera Fb: Centro Sociale Rivolta

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musica LIVE

Antifona blues

Credo che per diventare un’autentica blues woman si debba avere un mondo interiore profondo, un po' segreto, ma serve anche aver sofferto nella vita. L’esperienza artistica e spirituale di Kyla Brox, confermate dalla sua voce calda e armonica ci traghettano, percorrendo il “ponte del diavolo” (che è anche il titolo del settimo brano dell’album Pain & Glory del 2019, che porta ora in tour), al Candiani Groove, di Mestre. Per chi ancora non la conoscesse, si tratta della sezione dedicata alle musiche dal mondo, al jazz e alla contaminazione dei linguaggi del Centro Culturale Candiani. Kyla è figlia del famoso cantante blues Victor Brox, con il quale ha sempre avuto un rapporto particolare, che le ha procurato sofferenze e mancanze. La cantante britannica blues e soul ha alimentato fin da piccola il suo interesse per il canto e la musica per potersi sentire più vicina al suo carismatico ma distante papà, che divorziò presto dalla madre. Un papà tuttavia desideroso di incoraggiare i talenti musicali della figlia: quando era bambina le regalò alcuni strumenti musicali e tra questi un flauto traverso, che lei usa ancora oggi sui palchi di tutto il mondo. Il sound personale e l’originalità innata, hanno fatto sì che venisse definita “la Regina del blues britannico”. Strumenti musicali, talento, dolore: et voit-là, un’autentica musicista blues. Silvia Gobbo Kyla Brox 18 marzo Centro Culturale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it

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In una nuvola di fumo Testi e musiche di Paolo Conte

Finalmente! Il concerto di Paolo Conte al Gran Teatro Geox di Padova si terrà il 25 marzo. Lo dico perché esaminare la sequenza delle date precedenti originariamente previste per questo concerto e poi cancellate causa pandemia (21 marzo 2020, poi spostata al 17 ottobre 2020, poi spostata al 17 aprile 2021, poi spostata al 5 novembre 2021) equivale ad immergersi in due anni di sofferenza, di crisi della vita di tutti noi e della vita del nostro Paese e del mondo, ma anche ritrovare un po’ di motivata fiducia in una ripresa del sistema culturale che ci restituisca la gioia di entrare in un teatro. Come prima, più di prima. In occasione del 50esimo anniversario di una delle canzoni italiane più grandi, Azzurro, e del suo 85esimo compleanno compiuto il 6 gennaio scorso, Paolo Conte arriva al concerto di Padova con un’orchestra da camera di undici elementi, molti dei quali poli-strumentisti, con l’obiettivo di rivisitare la sua incredibile carriera di grande chansonnier dell’Italia del dopoguerra. E dello chansonnier di matrice francese Conte ha le stimmate fondamentali: l’unione miracolosa tra testo e musica, tra poesia e suono. La musica delle canzoni di Conte, sospesa tra jazz tradizionale, tra un Sudamerica aurorale e un’Africa circense, tra balere e jukebox di periferia, trova proprio in queste mitologie musicali materia per testi sognanti e inesorabili che dipingono un’Italia velleitaria, nostalgica, sognatrice, provinciale. «L’oracolo che sta a Delfi non dice né nasconde, fa cenni», diceva

Eraclito… Ecco, questo è Paolo Conte: il re sublime degli accennatori, di coloro che disprezzano l’uso della parola come descrizione e rappresentazione, e si divertono invece ad usarla come elemento pittorico, che con un cenno folgorante di verità illumina la scena molto di più che con cento frasi oggettive. La sua voce, certamente la meno addestrata tra tutte quelle dei suoi colleghi, fa venire in mente notti insonni, di night consumati dalla storia, di whiskey e sigarette, eppure è la voce ideale per i racconti di allucinata tristezza, di vocazione ad un’esistenza grigia ed oscura che popolano le sue canzoni. Una galleria di personaggi sconfitti, di sparring partner votati alla resistenza, di silenziose figure di piccoli eroi del quotidiano che accettano in silenzio il mestiere di vivere oppure decidono di sparire nelle giungle salgariane o nelle onde dell’Oceano. Figura del tutto isolata nel panorama della grande canzone italiana, lontano sia dalla matrice generazionale ed autobiografica dei cantautori degli anni ‘70, sia dal tragitto di forte evoluzione di consapevolezza artistica che segnò il percorso musicale di un Battisti o di un Battiato, Paolo Conte nasce già Paolo Conte, 50 anni fa, con quell’Azzurro che nel focoso 1968 italiano diventò l’inno nazionale di un Paese sospeso tra parrocchie e spiagge popolari. F.D.S. Paolo Conte 25 marzo Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com


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Disruptively Exquisite Proposing modern Venetian and Italian dishes crafted with integrity, Gio’s Restaurant and Terrace is an unexpected haven in the midst of Venice’s contemporary art scene. Between meals, stop by for a bespoke selecton of contemporary serves with unrivaled views. Gio’s welcomes visitors 7 days from morning until late.

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For reservations, please visit giosrestaurantvenice.com or call +39 041 240 0001 San Marco 2159, 30124, Venice, Italy

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musica

IL DOTTORE DELLA MUSICA

LIVE

Tu chiamami James Blunt a Padova torna alle origini

Per il nuovo disco Once Upon a Mind James Blunt ha fatto marcia indietro, come lui stesso ha raccontato, è ricorso allo stile delle origini per recuperare l’onestà che ha caratterizzato la scrittura delle canzoni del suo lavoro in studio di debutto, Back to Bedlam. Nel lavoro appena uscito infatti Blunt canta di situazioni personali, riflette sulla sua carriera d’artista e affronta vicissitudini legate alla propria famiglia. Il cantante racconta del suo rapporto con la moglie e le dedica i pezzi The Truth – la prima canzone dell’album caratterizzata da sonorità pop e dance con elementi folk – e Cold, il singolo con riferimenti al video della celebre You’re Beautiful. James Hillier Blunt nasce nell’ospedale militare di Tidworth, cittadina nei pressi di Salisbury in Inghilterra, il 22 febbraio 1974. La una famiglia serve le forze armate inglesi da generazioni e il piccolo James cresce in una casa, dove non possiede neppure uno stereo. La passione per la musica si manifesta quando James si sposta alla Harrow School, appena fuori Londra, a ‘sufficiente’ distanza dalla casa paterna. Lì impara a suonare il piano, poi partecipa a un musical allestito dalla scuola. Da quel giorno la musica inizia a fargli compagnia assiduamente: arrivano così le prime infatuazioni per Queen e Dire Straits. Come primo ufficiale britannico entra a Pristina, in Kosovo, alla testa di una colonna di 30.000 soldati inviati con il solo scopo di mantenere la pace. No Bravery, la canzone che chiude il suo album di debutto viene scritta nel 1999 proprio in un campo militare in Kosovo, dove James si trovava in avanscoperta. Nel 2002 James lascia l’esercito per diventare un musicista a tempo pieno, pubblicando nel 2003 Back to Bedlam.

Call me James

ENG

For his latest album, Once Upon a Mind, James Blunt went back to his origins – his words – and to the candour that inspired his first studio album, Back to Bedlam. In his new album, Blunt sings of personal situations, reflects on his career as a songwriter, and confronts family situations. He also sings of his wife in The Truth – his first pop/dance/folk song – and Cold, a song that explicitly recalls his famous You’re Beautiful. James Blunt was born into a British military family, and it was only once he left home that he was able to explore his passion for music. As an official in the British Army, he was commissioned to Pristina, Kosovo, as part of a peacekeeping force. In 2002, he left the army to embrace a full-time career as a singer-songwriter, which culminated in the 2003 release of Back to Bedlam. James Blunt 22 marzo Kioene Arena-Padova www.zedlive.com

La scena musicale italiana deve molto a Milano; una delle voci più interessanti e originali della città ambrosiana è stata quella di Enzo Jannacci, l’artista che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare la Milano delle periferie degli anni ‘60 e ‘70, trasfigurandola in una sorta di teatro dell’assurdo realissimo e toccante, dove agiscono una miriade di personaggi picareschi e borderline, ai confini del surreale. «Roba minima»», diceva Jannacci: barboni, tossici, prostitute coi calzett de seda, ma anche cani coi capelli o telegrafisti dal cuore urgente. Enzo Jannacci, il poetastro come amava definirsi, è stato l’eccentrico cantautore in grado di intrecciare temi e stili apparentemente inconciliabili: allegria e tristezza, tragedia e farsa, gioia e malinconia. E ogni volta il suo sguardo, poetico e bizzarro, è riuscito a spiazzare, a stupire. Un altro artista milanese, Stefano “Elio” Belisari, che per sua stessa ammissione è «cresciuto a pane e Jannacci», il cui padre era compagno di scuola dell’artista, ha avuto come riferimento da sempre i lavori di questo Buster Keaton della canzone, nato dalle parti di Lambrate, che viene da lui rivisitato e reinterpretato nello spettacolo Ci vuole orecchio. Sul palco si incontrano con Elio cinque musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, che formano un’insolita e bizzarra carovana sonora. A loro spetta il compito di accompagnare lo scoppiettante confronto tra due saltimbanchi della musica alle prese con un repertorio umano e musicale sconfinato e irripetibile, arricchito da scritti e pensieri di compagni di strada, reali o ideali, da Beppe Viola a Cesare Zavattini, da Franco Loi a Michele Serra, da Umberto Eco a Fo o Gadda. Uno spettacolo giocoso e profondo, perché «chi non ride non è una persona seria». F.M. Ci vuole orecchio: Elio canta e recita Jannacci 27 febbraio Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com

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musica LIVE

A denti stretti

C’è qualcosa di evocativo e quasi spirituale in un trio che sfrutta la grande capacità empatica dei propri componenti per comporre musica. Paolo Fresu, Dino Rubino e Marco Bardoscia formano un trio inedito che si confronta con le reciproche esperienze dirette (Paolo e Marco suonano insieme nel progetto cameristico Altissima Luce, spesso in trio con Daniele Di Bonaventura quando il duo di Paolo con il celebre bandoneonista diventa, appunto, un trio) e con i diversi stili che caratterizzano i singoli musicisti. Un dialogo a tre voci raffinato, assimilabile e complementare, di grande impatto emotivo che si compone del suono caldo e corposo della tromba di Fresu, delle linee potenti e coinvolgenti del contrabbasso di Bardoscia e del piano elegante e vibrante di Rubino. Il trio è stato ideato in questa forma dalla mente vivida e creativa di Fresu per l’avventura teatrale del progetto Tempo di Chet – La versione di Chet Baker prodotto dallo Stabile di Bolzano. La regia di Leo Muscato, attenta a modulare l’incessante oscillare tra passato e presente, lascia affiorare avvenimenti ed episodi disseminati lungo tutto l’arco dell’esistenza di Chet Baker: da quando bambino suo padre gli regalò la prima tromba, fino all’istante prima di volare giù dalla finestra di un albergo di Amsterdam. Le scene sono di Andrea Belli, i costumi della grande Silvia Aymonino (da noi intervistata nel 2018) e disegno e luci di Alessandro Verazzi. Paolo Fresu Trio 15 febbraio Teatro Mario Del Monaco-Treviso www.venetojazz.com

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Cara, vecchia scuola Quando il rock ha nome e cognome

Iniziando a parlare dei Franz Ferdinand mi rendo conto di come siano ormai in giro da tempo immemore, quindi Hits to the Head, l’album greatest hits, in uscita a marzo, ha un senso eccome. All’alba dell’ennesimo revival delle sonorità new wave/post punk proveniente da oltremanica (Fontaines dc, Shame, Idles…) i ragazzi di Glasgow non perdono colpi per niente. Era il 2004 quando con l’album omonimo fecero il botto, oltre 3 milioni di copie vendute, quota impensabile oggi in tempi di musica liquida. Stilosi come il Bowie berlinese, il piglio dei primi Talking Heads, danzerecci il giusto (Take me out l’abbiamo ballata tutti), sono e sono stati, assieme agli Arctic Monkeys, forse la band più interessante uscita dal quel periodo d’oro (considero Blur e Oasis appartenenti al decennio precedente). «Facciamo musica che le ragazze possano ballare, ma suonata da una rock band», dicono, e nonostante ogni tanto l’elettronica abbia fatto capolino, le chitarre hanno sempre dominato. 5 album in studio in 18 anni non sono poi moltissimi (6, se si considera la parentesi della collaborazione con gli Sparks) ma per sopravvivere come progetto invece sì, anche se la formazione qualche rimescolamento l’ha avuto. Non è quindi un caso che il primo singolo Billy Goodbye (uno dei due inediti) tratto dalla raccolta parli proprio di amicizia e dell’importanza delle esperienze passate, proprio nel momento in cui Paul Thomson, batterista e membro fondatore assieme ad Alex Kapranos, lascia la band, senza rancori. Kapranos racconta come da ragazzino, non potendo permettersi molti dischi, collezionasse proprio best of delle band che amava. Un’occasione ghiotta dunque per i più giovani di conoscere una grande band e magari ritrovarsi sotto al palco con noi boomers il 23 marzo al Gran teatro Geox a Padova. Sergio Collavini

Dear old school ENG

Just talking about Franz Ferdinand, one can feel how quickly time has passed… Hits to the head, due out in March, makes total sense. At a moment when new wave/ post punk sound makes it back from Britain (Fontaines dc, Shame, Idles…), Franz Ferdinand still have an ace up their sleeve. Their heyday was 2004, when they sold over three million copies of their self-titled album. Stylish, jaunty, with just the right amount of dance vibe to their beats, they are and have been, together with Arctic Monkeys, maybe the most interesting band of those golden times (Blur and Oasis belong to the earlier one, IMO). Five studio albums in 18 years are not many, though a project surviving this long is a lot. It is no chance that their Billy Goodbye is about friendship and the importance of past experience, released when drummer and founding member Paul Thomson left. Kids, join us boomers at Geox Theatre in Padova on March 23! Franz Ferdinand 23 marzo Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com


SO COMPLICATED! Nel 2002, a 17 anni, Avril Lavigne debutta con Let go: quasi 15 milioni di copie vendute e 8 nomination ai Grammy Awards. Segue un lungo e fortunato tour mondiale e a distanza di nemmeno due anni, nella primavera del 2004, è la volta di Under My Skin, composto con l’aiuto della cantautrice canadese Chantal Kreviazuk. Dopo aver debuttato come attrice, e dopo essersi sposata, Avril torna sulle scene musicali nel 2007 con The Best Damn Thing, il suo terzo lavoro di studio: l’album vende più di 4 milioni di copie e anche i successivi singoli When You’re Gone e Hot si rivelano un grande successo.

Dario di tutti i giorni Cronache al gusto di ironia

Avril Lavigne 4 marzo Arena Spettacoli-Padova www.zedlive.com

CANTA L’AUTORE

Dario Brunori o Brunori Sas è una delle voci più originali e colte della musica italiana. Dal suo esordio ad oggi, un pubblico sempre più vasto e ammirato ha raccolto l'ironia e l'intelligenza dei testi, che in maniera leggera e parimenti profonda raccontano i nostri giorni, complicati e talvolta allegri, tra disimpegno e coscienza collettiva. Dopo Cip! e Baby Cip! – pubblicato dopo la nascita della figlia Fiammetta – è arrivata la terza versione dell'ultimo album di Brunori Sas, ovvero Cheap, acronimo di Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk, che lo riporta in un territorio di gioco e ironia. In una discografia sempre più invasa da singoli, Brunori sceglie la forma di Ep per cercare di pubblicare canzoni che necessitavano di immediatezza, così in poche settimane Cheap è stato scritto, registrato e pubblicato. All'interno c'è l'intero campionario ‘brunoriano’, con l'ironia a raccontare patriarcato, fascismi contemporanei, i tic cantautorali, fino alla borghesia di cui siamo figli. Un album veloce, che anche nei momenti più scanzonati a livello musicale non perde mai di vista la scrittura e che chiude con Figli della borghesia, forse è il momento che più si avvicina agli ultimi suoi lavori. Dice Brunori: «Da quando è uscito Cip! è stato tutto così strano, penso che tra le varie cose che questo periodo e questa pandemia hanno stravolto c'è sicuramente il modo in cui avevamo concepito il nostro mestiere. Eravamo tutti pronti a fare un tour, a pensare alle dinamiche discografiche classiche e invece anche quello alla fine è diventata una variabile aleatoria. Erano passati due anni e mi dispiaceva che quell'album fosse rimasto un po' lì e mi dispiaceva pensarlo come un disco finito – in questo senso c'è una resistenza alla dinamica discografica attuale –, questo pettirosso che aveva spiccato solo mezzo volo e non un volo totale, così ci siamo chiesti come avremmo fatto a farlo rivivere stando nei tempi». Dal vivo, finalmente, a Jesolo, il 23 marzo al PalaInvent. F.M.

Not cheap at all

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Dario Brunori, a.k.a. Brunori Sas, is an original, cultivated voice of Italian song. Ever since his debut, a growing audience has been appreciating the irony in his clever lyrics and in his stories of disenchantment and collective conscience. After Cip! And Baby Cip!, his two latest albums, he is now out with Cheap (Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk – or, Five Impromptu Seemingly Punk Hits). While the market moves generally towards a single-after-single mechanic, Brunori Sas chose the EP form to publish songs that needed immediacy. “Before the pandemic, we were all ready to set off on tour, as we always did, but it turned out that touring won’t be a given in the future. These were two long years and I was sorry for my album to just lay there, barely able to jump into flight.” Brunori Sas 23 marzo PalaInvent-Jesolo www.azalea.it

Motta torna in tour nei club a partire da marzo per presentare dal vivo il suo ultimo album, Semplice, ed i classici dei dischi precedenti. Lo spettacolo dal vivo di Motta è senza ombra di dubbio uno degli show live più acclamati da pubblico e critica. «A marzo ritorneremo a suonare nei posti che ho sempre vissuto come casa mia – spiega Motta –, ho davvero voglia di portare in giro quelle che per me non sono solo canzoni, ma gran parte della mia vita. Saranno i locali dove non torno da un po’, e abbiamo deciso di tornarci anche perché è la cosa che più mi è mancata in questi mesi». Motta 4 marzo New Age Club-Roncade www.newageclub.it

LA VERSIONE DI TOMMASO Tommaso Paradiso propone uno spettacolo basato sull’ultimo lavoro, Space Cowboy, in uscita proprio in questo momento: un’esperienza coinvolgente e imperdibile per gli amanti dell’apprezzatissimo cantautore, che porterà live il nuovo progetto discografico oltre a una scaletta dove, naturalmente, non mancheranno tutti i suoi più grandi successi, da Completamente e Riccione e i singoli Non avere paura (certificato doppio disco di platino) a I nostri anni (certificato disco d’oro) e il più recente Ma lo vuoi capire?. Tommaso Paradiso 26 marzo PalaInvent-Jesolo www.azalea.it

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VESTIVAMO ALLA MARINARA

classical

Visto che siamo in presenza di una lingua così particolare, inventata da Goldoni, la cui musicalità è già insita nella scrittura, la sfida è stata provare a ‘mettere in musica’, per così dire, quella musicalità già presente Damiano Michieletto

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T

here was once the Venice Carni-

di Fabio Marzari

C

'era una volta il Carnevale di Venezia e c'era una volta il teatro a Carnevale,

vero momento clou della festa. Poi non solo a causa della pandemia, la crisi è iniziata ben prima, sono state spazzate via le velleità di poter vivere il periodo godendo anche di spettacoli di qualità offerti nei teatri, al chiuso o all'aperto, con aggregazioni quasi spontanee tra la gente. Serviva la lungimiranza di un Sovrintendente, Fortunato Ortombina e importanti collaborazioni con solide istituzioni culturali, Marsilio Editori, in occasione dei suoi 60 anni di attività e V-A-C Foundation, oltre al supporto di Regione Veneto, per commissionare un nuovo spettacolo alla Fenice che prende come spunto uno dei testi più conosciuti di Carlo Goldoni, Le baruffe chiozzotte del 1762, un affresco sociale ancora di grande attualità in cui si ritrovano emozioni ritenute primordiali come la gelosia o l'esclusività dei sentimenti. Ci sono i pescatori, che vanno per mare senza certezza di ritorno e ci sono le donne di Chioggia, popolane, però capaci di farsi rispettare, si mancano di rispetto tra loro, si punzecchiano di continuo, sono invidiose e pettegole, per il gusto di esserlo, mentre gli uomini sono aggressivi, ma in maniera infantile, gelosi per piccole banalità... Il libretto è stato scritto dal regista di culto Damiano Michieletto e dal compositore Giorgio Battistelli. Per il musicista è un ritorno in Fenice, dopo aver vinto con Richard III il premio Abbiati nel 2018, per Michieletto, di casa nei teatri più importanti del mondo, la Fenice è probabilmente la casa più casa di tutte e in questo lavoro si è avvalso della collaborazione con il suo staff creativo composto da Paolo Fantin per le scene, Carla Teti per i costumi, Alessandro Carletti per il light design e Thomas Wilhelm per i movimenti coreografici. Già negli anni '20 del Novecento Franco Leoni e Gian Francesco Malipiero avevano messo in musica la commedia goldoniana col suo mondo semplice, di arguzie, intrighi e inganni. La versione del duo Battistelli/Michieletto avrebbe dovuto andare in scena nel 2020, poi la pandemia ne ha fatto slittare la realizzazione. Dice Battistelli del lavoro: «Lo stimolo me lo ha dato Ortombina: c’è Marsilio da una parte, c’è il nostro teatro, c’è Venezia... Sono partito dall’idea di creare un affresco, perché volevo fare qualcosa che riguardasse il territorio nel suo aspetto collettivo. Le baruffe chiozzotte era il testo più idoneo, il più simbolico, quello che davvero rappresenta una parte importante del teatro goldoniano, e soprattutto fra i più significativi se collegato a un luogo e alla sua voce». Aggiunge Michieletto: «Si tratta di un adattamento del testo originale cui è stato aggiunto un prologo ex novo, che potrebbe essere una specie di rap, o una cantilena dove vengono elencati i termini più tecnici presenti in Goldoni, i pesci, la frutta, i venti… Tutti gli elementi cioè che rendono caratteristico quel testo. C’è un’inquietudine di fondo, perché la lettura che abbiamo voluto dare di queste Baruffe non è quella tipica di una commedia: ci troviamo di fronte a un’umanità povera, e nel colore di fondo si annida una certa drammaticità. L’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di non costringere Goldoni in una sintesi estrema, come succede spesso nei libretti d’opera che partono da testi teatrali, dove c’è il rischio fondato di perdere la naturalezza e la freschezza dell’originale. In questo caso, visto che siamo in presenza di una lingua così particolare, inventata da Goldoni, la cui musicalità è già insita nella scrittura, la sfida è stata provare a ‘mettere in musica’, per così dire, quella musicalità già presente». Una sfida ulteriore è stata la scelta di mantenere il dialetto chioggiotto come in Goldoni, per determinare la struttura musicale. Il direttore d'orchestra Enrico Calesso parla del «dialetto che riveste una funzione non più mimetica, ma espressiva e talora espressionistica riverberandosi nella struttura delle scene. La miscela drammaturgica di distensione e tensione, pausa e concitazione, resa espressivamente dalla coloritura dialettale comporta una struttura drammaturgica e musicale caratterizzata da estrema variabilità e immediatezza espressiva». Oltre a Calesso a dirigere l'Orchestra e il Coro della Fenice, i ruoli principali sono affidati ad Alessandro Luongo nel ruolo di padron Toni; Valeria Girardello in quello di madonna Pasqua; Francesca Sorteni (Lucietta); Enrico Casari (Titta-Nane); Marcello Nardis (Beppo); Rocco Cavalluzzi (padron Fortunato); Loriana Castellano (madonna Libera); Francesca Lombardi Mazzulli (Orsetta); Silvia Frigato (Checca); Pietro Di Bianco (padron Vicenzo); Leonardo Cortellazzi (Toffolo) e Federico Longhi (Isidoro). Nei ruoli comprimari del comandador e di Canocchia, rispettivamente Emanuele Pedrini e Safa Korkmaz. Maestro del Coro Alfonso Caiani.

val, and there once was Carnival theatre, the peak of the celebration. Then (much before the pandemic came along, mind you) any longing for enjoyment of quality shows at theatre, whether indoors or outdoors, has been thoroughly disappointed. What was needed was a capable superintendent, Fortunato Ortombina, and important cooperation with solid cultural institutions, to commission a new show at the Fenice Theatre based on one of historic playwright Carlo Goldoni’s most famous pieces: the Bartuffe chiozzotte of 1762. As a piece of human tapestry, the Baruffe are very relevant to today’s world. You have the primal emotions of jealousy; rugged fishermen who don’t know when (or if) they’ll be back home and constantly fighting over nothing; their wives, always teasing one another and jealous of every little thing… The libretto has been written by director Damiano Michieletto and composer Giorgio Battistelli. Michieletto was last at Fenice in 2018 with his Richard III, and even though he’s at ease in nearly any theatre worldwide, the Fenice is the one he calls home. Back in last century’s Twenties, Franco Leoni and Gian Francesco Malipiero staged the Baruffe chiozzotte and its simple world of cons, tricks, and fraud. This Battistelli/Michieletto version was due 2020, but we know what happened. Says Battistelli: “It all started with Ortombina’s prompt, with help from publisher Marsilio. The play has it all: our theatre, Venice… I wanted to paint a fresco, something that was all about Venice, collectively. The Baruffe chiozzotte was the most obvious choice, given how strongly symbolic it is and how strongly it represents Goldoni’s oeuvre overall.” Michieletto adds: “It will be an adaptation of the original text. We added an original prologue to it, a sort of rap or singsong where we list all terms in Goldoni’s lexicon: fish, fruit, winds… all words that are characteristic of the play. There’s a feeling of disquiet, also, for we didn’t want our Baruffe to be merely a comedy. What we are looking at is lower-class people, and there is something dramatic to it. The goal we had was to keep the freshness of the original text alive, which often doesn’t happen in opera adaptation of prose work. Goldoni’s language is very musical to begin with, and our challenge was to build on that musicality.” The local dialect is to be kept, too, and it must determine melody. Conductor Enrico Calesso explains how “dialect doesn’t conceal anymore, rather, it carries an expressive, almost expressionist, character that echoes about the scene. The dramatic mix of tension and distention, pause and confusion, makes the opera very diverse in its expressive immediacy.” Le baruffe 22, 24, 26 febbraio; 2, 4 marzo Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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classical CONCERTS

SUONI DI PRESTIGIO

Nel segno dei giovani talenti prosegue la Stagione di musica da camera e sinfonica di Mestre. Il 15 febbraio, per la prima volta al Teatro Toniolo, si esibisce il duo costituito dalla violoncellista Julia Hagen e dalla pianista Annika Trautler. Nata a Salisburgo, Julia Hagen si è esibita nelle sale da concerto più prestigiose tra cui Konzerthaus di Vienna, Barbican Center di Londra e Festival di Salisburgo. Annika Trautler ha ricevuto nel 2020 il rinomato premio della critica tedesca Opus Klassik. Il duo propone un programma all’insegna del romanticismo tedesco con musiche di Schumann e Mendelssohn. Sabato 12 marzo è il turno del violinista Giovanni Andrea Zanon e della pianista Leonora Armellini. I due giovani talenti, entrambi veneti, suonano musiche di Beethoven, Franck e Ravel. Giovanni Andrea Zanon, vincitore di oltre 30 concorsi nazionali ed internazionali, si è esibito come solista in Italia, Svizzera, Germania, Russia, Austria, Canada e Stati Uniti. Leonora Armellini ha vinto il Premio Janina Nawrocka al Concorso Chopin di Varsavia, unica italiana premiata nella storia del prestigioso concorso. Infine il 29 marzo, in occasione del 100° anniversario della nascita di Astor Piazzolla, l’Anna Tifu Tango Quartet celebra il compositore argentino in un viaggio musicale nel genere del tango: dalla tradizione fino alle influenze jazz e d’avanguardia. La talentuosa violinista cagliaritana suona insieme a Massimiliano Pitocco (bandoneon), Romeo Scaccia (pianoforte) e Gianluigi Pennino (contrabbasso). Katia Amoroso Stagione 2021-2022 15 febbraio, 12 marzo, 29 marzo Teatro Toniolo-Mestre - www.comune.venezia.it

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Bacchette incrociate Grandi direttori alla Fenice e al Malibran

Oltre all’attesissima opera Le baruffe di Giorgio Battistelli per la regia di Damiano Michieletto (autore anche del libretto insieme al maestro), il programma febbraio-marzo della Fenice annovera tre appuntamenti molto interessanti, ciascuno a suo modo dotato di una specificità che lo impreziosisce all’interno di un classico programma sinfonico. Il primo (27 febbraio e 1 marzo) è il classico recital orchestrale in cui Francesco Lanzillotta dirigerà l’orchestra della Fenice per la voce di Ekaterina Bakanova, in un programma di arie che vede nella grande tradizione dell’operetta danubiana il principale centro di interesse (Il pipistrello di Johann Strauss figlio, La principessa della ciarda di Kalmàn, Leahr). Il secondo appuntamento (12 e 13 marzo) trova il proprio appeal nel confronto tra l’ultima sinfonia di Mozart, la Jupiter (composta nell’estate del 1788 in uno dei periodi più tristi della vita del musicista, reduce da lutti familiari, crisi finanziarie e insuccessi professionali, che tuttavia portò ad una sinfonia di solare maestà e di olimpica grandezza, come se il febbrile lavoro di quell’estate avesse fatto dimenticare a Mozart tutte le pene della vita) e la Sinfonia n. 2 di Schumann, anch’essa frutto di anni duri e tormentati, nei quali Schumann soffriva di ossessioni e pulsioni depressive. Dirige Markus Stenz, direttore principale della Netherlands Radio Philharmonic Orchestra, e direttore ospite principale della Baltimore Symphony. Infine, il 18 e 19 marzo al Malibran appuntamento in compagnia del direttore coreano Myung-Whun Chung, regolare ospite della Fenice, nelle inedite vesti di Kapellmeister contemporaneo a dirigere l’orchestra della Fenice e, nello stesso tempo, suonare il pianoforte nel Concerto per pianoforte e orchestra K 488 di Mozart e nell’Eroica di Beethoven. F.D.S.

Auteur dates

ENG

The February and March programme at Fenice Theatre lists three very special appointments. The first one (February 27 and March 1) is an orchestra recital: Francesco Lanzillotta will conduct the Fenice resident orchestra to accompany soprano Ekaterina Bakanova in an aria programme. The second concert (March 12 and 13) is all about Mozart’s last symphony, the Jupiter, composed in the summer of 1788 as he faced one of the saddest moments of his life due to losing family members, financial instability, and professional woes. The piece, however, is majestically great. Following Mozart is Schumann’s Second Symphony, also the tormented fruit of difficult years. The conductor for both will be Markus Stenz of the Netherlands Radio Philharmonic Orchestra. Lastly, Myung-Whun Chung, who usually works at Fenice, will be at Malibran Theatre on March 18 and 19 both as a conductor and as a pianist, with pieces by Mozart and Beethoven. Stagione Sinfonica 2021-2022 27 febbraio, 1, 12, 13, 18, 19 marzo Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it


Segno del tempo

Photo L. Labat

Quattro passi tra le note Ricco calendario di concerti per Musikàmera Pensando alla musica da camera la prima immagine che viene in mente è legata al pieno Settecento, epoca di velluti e dorature, parrucche e crinoline. Invece occorre portare molto più indietro l'orologio della storia, partendo addirittura dall'antico Egitto in cui questa tipologia di musica con un numero limitato di strumenti accompagnava uffici sacri, rituali nei quali erano comprese danze e intonazione di canti. Ai tempi dell'antica Roma c'erano le pantomime destinate ad un pubblico ristretto, in cui si narravano gesta mitologiche attraverso scene mimico-orchestrali. Nella Provenza medioevale erano i giullari itineranti a realizzare spettacoli per pochi intimi all’interno della corte di un signore. Si arriva dunque nel Cinquecento, quando nasce l'idioma strumentale e la musica inizia ad essere scritta nel pentagramma come ancora lo intendiamo oggi, ma è nel Settecento che si afferma la distinzione definitiva tra musica orchestrale e musica da camera, per merito soprattutto di Haydn, Boccherini, Brahms e Mozart. Quella che un tempo si definiva “sonata” diventa musica da camera, con un numero limitato di esecutori e con strumenti ad arco e a fiato; solo più tardi sarà il grande Muzio Clementi ad aggiungere il pianoforte, che diventerà protagonista assoluto nell'età romantica. La composizione musicale per eccellenza nella musica da camera resta il quartetto soprattutto d'archi, e questo misto di sonate sintetizzava in modo esemplare le quattro voci principali del coro: soprano, tenore, contralto e basso. Fu Beethoven a comporre musiche da camera che comprendevano pianoforte e voce. Questo breve excursus è volto ad enfatizzare ancora una volta la nobile missione di Musikàmera, fondata nel 2016, che offre un vasto repertorio di concerti tra febbraio e marzo secondo la propria missione statutaria di contribuire ad “accrescere la cultura musicale nella popolazione con particolare attenzione ai giovani, promuovere, incoraggiare e diffondere in Venezia la conoscenza della musica da camera e più in generale della musica classica, organizzando concerti, lezioni-concerto, conferenze e altre iniziative musicali pubbliche e private...”. F.M.

A stroll down music lane

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When you think of chamber music, you think of full 1700era regalia: velour, gildings, wigs, crinoline… but music for small orchestras is much older than that: private concerts were common in ancient Egypt and ancient Rome, and in medieval Provence travelling performers would visit courts and entertain seigneurs and their guests. In the 1500s, musical compositions are formalized in modern fashion, and in the 1700s, the split between symphony and chamber music is well-defined thanks to, among others, Haydn, Boccherini, Brahms, and Mozart. With Clementi, the piano would enter the scene, too, ushering the Romantic age. Thanks to Musikàmera, we can enjoy today a large programme of concerts in February and March and, in their words, “foster musical culture in the general public, especially younger people, and promote chamber music and classical music in Venice”. Musikàmera 1, 2, 7, 8, 13, 18 febbraio, 6, 10, 11, 22, 23 marzo Teatro La Fenice www.musikamera.org

Con il suo Stradivari da oltre 40 anni la canadese Angèle Dubeau è una violinista nota a livello internazionale. Il suo profilo di virtuosa musicista, che ha dato il primo concerto a cinque anni, si compenetra con quello di donna, cittadina del mondo, impegnata e appassionata, amata dal pubblico per la capacità di superare ogni barriera attraverso il linguaggio universale della musica. La Pietà è il nome dell’ensemble d’archi, composto di sole donne, che 25 anni fa la violinista ha fondato dopo una sua visita a Venezia nella chiesa di Vivaldi, dove la Dubeau torna il 5 e 6 marzo per il concerto Elle. Da Vivaldi a Einaudi, con un programma aperto da un omaggio al compositore barocco per spaziare poi da Ludovico Einaudi a Rebecca Dale, Armand Amar e Philip Glass. Da sola, con l’ensemble La Pietà o con altre orchestre, la Dubeau ha suonato non solo nelle grandi città del mondo ma anche in luoghi lontani e sconosciuti, dove mai prima si era svolto un concerto, proprio per ampliare la vocazione di trasmettere a tutti la musica come linguaggio di fratellanza globale. «La scuola italiana, i suoi liutai, i suoi compositori, hanno segnato quella che è stata l’epoca d'oro del violino. Il mio Stradivari è stato creato a Cremona e 25 anni fa ho dato nome al mio ensemble dopo la memorabile visita all’Ospedale della Pietà. Il programma che ho scelto per il concerto del 5 e 6 marzo è un viaggio nel tempo e nello spazio, da Vivaldi a Einaudi. Una musica che segna il nostro tempo, con un focus speciale sulle compositrici donne. Un programma variegato di firme uniche, un repertorio che aderisce totalmente al mio approccio artistico». Elle. Da Vivaldi a Einaudi 5, 6 marzo Chiesa della Pietà events.veneziaunica.it/it/content/ elle-da-vivaldi-einaudi

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BLESSING IN

DISGUISE by Valentine and Didier Guillon 23.04.22 26.02.23 Belonging to the Contemporary Art Exhibition

PETER PAN La nécessité du rêve Palazzo Bonvicini Calle Agnello, 2161/A, Venice

www.fondationvalmont.com 88


classical

REVIEW

CONCERTS

Donna con tastiera L’8 marzo del Palazzetto Bru Zane

© Alain Hanel

Sebbene nel corso dei secoli i loro lavori abbiano presentato caratteristiche differenti e proposto scelte estetiche diverse, le compositrici condividono la medesima esperienza del mondo musicale, il che consente di considerarle un gruppo coerente. In tale esperienza, le limitazioni hanno un ruolo cruciale: i generi più nobili sono pressoché inaccessibili alle donne, relegate spesso ad ambiti domestici o didattici. Il pianoforte, strumento privilegiato della musica eseguita nei salotti e dell’istruzione delle ragazze, è dunque allo stesso tempo simbolo della loro sottomissione e opportunità di emancipazione per condurre carriere di virtuose, ascendere socialmente oppure, semplicemente, esprimere la propria sensibilità musicale. In una giornata non casuale come l’8 marzo, Palazzetto Bru Zane mette in risalto questo tema nella maniera più congeniale ad un polo musicale della sua autorevolezza, ossia con un concerto: protagonista la pianista Marie Vermeulin, impegnata in brani di pianoforte solo di Morel, Sohy, Jaëll, Bonis. Classe 1983, Marie Vermeulin si è formata con personalità musicali come Marie-Paule Siruguet al CRR di Boulogne, o Hortense Cartier-Bresson al CNSMD di Lione. Parallelamente, ha perfezionato le sue abilità con Lazar Berman e con Roger Muraro, beneficiando così della profonda conoscenza del pianista del lavoro francese del XX secolo. Nonostante la giovane età, Marie si impegna con disinvoltura in opere impegnative come Trois mouvements de Petrouchka di Stravinsky, Wanderer-Fantaisie di Schubert, Gaspard de la nuit di Ravel, oltre che in grandi opere contemporanee (Boulez, Murail, Messiaen), rivelando una vorace curiosità verso il più ampio repertorio possibile. Il suo tocco originale e poetico e il suo gusto per l'espressione teatrale contribuiscono a creare un temperamento artistico che si distingue sin dalle prime note.

A woman and her keys ENG

While over the course of the centuries, their works have embraced different aesthetic canons, female composers share a common experience and it makes sense to consider them as one group. The experience is one of limitations: the most noble genres have traditionally been inaccessible to women. The piano, the privileged instrument for a girl’s musical education, is at once a symbol of submission and an opportunity of emancipation, as well as a tool to express one’s musical proclivity. At Palazzetto Bru Zane, pianist Marie Vermeulin will highlight these themes using piano pieces by Morel, Sohy, Jaëll, Bonis. Vermeulin (b. 1983) studied music with Marie-Paule Siruguet at the CRR in Boulogne, Hortense Cartier-Bresson at the CNSMD in Lyon, Lazar Berman, and Roger Muraro. Her original, poetic touch, and a taste for theatrical expression make her artistic temperament very clear as she strikes the very first note. Il campo del possibile 8 marzo Palazzetto Bru Zane bru-zane.com

In occasione del centenario della morte di Camille Saint-Saëns, Palazzetto Bru Zane propone la riscoperta di una versione rarissima di Phryné, opera tra le più eseguite e apprezzate in vita del compositore, in una registrazione realizzata all’Opéra de Rouen Normandie dal 31 marzo al 2 aprile 2021 e racchiusa in un libro-cd in uscita il 25 febbraio ma disponibile in anteprima al Palazzetto. Phryné narra con umorismo gli amori di Nicias e Phryné, la quale inganna il vecchio arconte Dicéphile per vendicarsi della sua crudeltà. L’opera, ricca di melodie spirituali e brillantemente orchestrata, conobbe un immediato successo a Parigi e poi in tutta la Francia. Nel 1896 si arricchisce di recitativi composti da André Messager per conquistare i teatri stranieri. L’interpretazione appassionata del direttore Hervé Niquet mette in risalto le capacità degli orchestrali dell’Opéra di Rouen Normandie e dei coristi del Concert Spirituel, permettendo così al soprano Florie Valiquette di far valere tutto il suo virtuosismo di fronte al lirismo raffinato del tenore Cyrille Dubois e all’autorevolezza vocale del baritono Thomas Dolié. «Per resuscitare oggi questa partitura e permettere di apprezzarne pienamente le qualità – spiega Alexandre Dratwicki, direttore artistico del Palazzetto –, è stato necessario, come sempre, coinvolgere cantanti esperti del suo stile e un direttore determinato e innamorato della voce umana, che privilegiasse lo slancio teatrale rispetto al pathos sinfonico e fosse attento a rendere omogenee le prestazioni dei solisti e quella del coro, nonché un’orchestra duttile, curiosa e impegnata e una collaborazione di qualità ineccepibile come quella che abbiamo trovato all’Opéra di Rouen Normandie. Ringraziamo tutti, nel momento in cui Phryné può nuovamente entrare in scena per rivelare bellezze che si dicevano più allettanti di quelle della stessa Venere». Phryné (1893) Edizioni musicali Durand bru-zane.com/pubblicazione/phryne

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ENIGMA SHAKESPEARE

theatro

La tempesta è un enigma, è una favola in cui nulla sembra poter essere preso alla lettera e se rimani in superficie la sua qualità nascosta ti sfugge Peter Brook

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di Marisa Santin

C

onsiderata una sorta di consapevole addio alle scene

di Shakespeare, La tempesta racchiude in sé, in un magnifico turbinio evocato fin dal titolo, tutto il mondo del genio di Stratford: la magia, l’amore, la colpa e l’espiazione, la lealtà e il tradimento, le forze contrastanti del bene e del male, le pulsioni umane e le loro dirompenti conseguenze nelle vite degli uomini, la potenza distruttiva e inarrestabile della natura e la condizione umana di tensione e impotenza di fronte a essa. Prospero, il legittimo Duca di Milano, e la figlia Miranda vivono da dodici anni esiliati su un’isola sperduta, abitata da Calibano e Ariel, che rappresentano due degli elementi primari della tradizione, la Terra e l’Aria. Aiutato dai due spiriti nativi, ridotti a servitori, Prospero userà i suoi poteri soprannaturali per scatenare una tempesta e far approdare sull’isola l’usurpatore Antonio e il giovane Ferdinando, figlio del re di Napoli. La vicenda si risolverà secondo l’ordine stabilito: il potere tornerà nelle mani del legittimo Duca e il giovane amore fra Miranda e Ferdinando placherà gli animi e i desideri di vendetta. Nonostante sia fra le opere più conosciute e maggiormente rappresentate del grande drammaturgo inglese, «La tempesta rimane un enigma». E se a dirlo è una persona che ‘frequenta’ Shakespeare da decenni, appare chiaro che questa sua nuova rivisitazione può svelare livelli di lettura inediti. A 96 anni Peter Brook ritorna sulla storia del mago Prospero, alla quale aveva lavorato più volte in precedenza a partire dagli anni ‘50. Ad accompagnarlo nel progetto è la drammaturga e sceneggiatrice francese Marie-Hélène Estienne, sua collaboratrice storica. Oltre ad affiancarlo nelle attività dell’International Centre for Theatre Creation, fondato dallo stesso Brook nel 1970 negli spazi dello storico Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi, da oltre quarant’anni Estienne porta avanti con il regista inglese un’incessante analisi dei testi shakespeariani. La nuova produzione, Tempest Project, introduce un lavoro di ‘riduzione’ con l’obiettivo dichiarato di sbrigliare la commedia (l’opera in realtà fa parte del gruppo delle storie d’amore, avventure e magia a lieto fine che la critica shakespeariana chiama romances) dai luoghi comuni, sottraendo lo spettatore dalla tentazione di relazionarsi a essa unicamente come a un’allegoria politica, a uno spettacolo sul colonialismo e sulla natura del potere e dell’autorità. Limitando il testo a una interpretazione univoca, dice Brook, «ci rifiutiamo di vedere che quello che porta all’ultima parola, free (libero), riguarda la libertà in tutte le sue dimensioni e in tutte le sue implicazioni». Per ‘liberare’ dunque La tempesta, il regista riduce la scenografia a pochi elementi (un drappo, delle panche, alcuni oggetti in legno), sottrae luce, aggiunge silenzio. Anche la scelta degli attori è funzionale allo scopo. Prospero, figura centrale dell’opera, è interpretato da Ery Nzaramba, un attore formatosi nella tradizione del teatro inglese ma di origini africane. E questo perché, almeno secondo Brook, un attore occidentale avrebbe un approccio meno immediato al mondo nascosto e spirituale racchiuso nell’opera, rispetto a un attore nato in un ambiente dove le nozioni di invisibile, di magia e di stregoneria sono percepite in modo più reale e naturale. Tutti gli interpreti, inoltre, appartengono a nazionalità diverse e recitano in francese (lo spettacolo è sovratitolato). E proprio l’aver sostituito l’inglese, la cui musicalità in Shakespeare è di per sé espressione di significato, con una lingua così diversa e perciò, in questo contesto, fortemente estraniante, è forse l’innovazione più audace operata da Brook: una scelta che provoca una sorta di shock semantico, un azzeramento ricettivo che predispone lo spettatore ad accogliere nuovi significati.

F

amously interpreted as a farewell to the stage

on Shakespeare’s part, the Tempest is the summa of the Bard’s genius, an amazing whirlwind of magic, love, guilt, atonement, loyalty, betrayal, good and evil, human passion, life, the destructive power of nature, and the impotence of the human condition before it. Prospero, the rightful Duke of Milan, and his daughter Miranda live twelve years in exile in a remote island, where the embodiment of the spirits of Earth and Air – named Caliban and Ariel – also live, and will be turned into servants by Prospero. Thanks to magic, Prospero will cause a storm and drive the throne’s usurper, his brother Antonio, to the island. The story ends up with power being reinstated to the rightful Duke. Even though the Tempest is one of Shakespeare’s most popular works, it is still “an enigma” in the opinion of a scholar who has devoted his life to Shakespeare. At age 96, Peter Brook is still at work on the play, together with his longtime aide, French playwright Marie-Hélène Estienne. This new production, Tempest Project, will be on stage at Goldoni Theatre on February 10 to 13, with a declared goal to separate the play (part of Shakespeare’s romance cycle) from clichés and prevent the audience’s to resort to a commonplace political interpretation, a story on colonialism, power, and authority. By limiting the play to a one-way interpretation, says Brook, “we reject the notion that what ultimately takes us to the word free is about freedom in all its meanings and implications”. To set the Tempest free, the director strips the stage down to few elements (a curtain, benches, and some wooden props), takes light away, and brings silence in. Casting also played an essential role: Prospero, the central figure of the play, will be interpreted by Ery Nzaramba, an African-born actor who worked extensively in England. According to Brook, a western actor would portray a more detached attitude to the hidden, spiritual world of the play compared to an actor born in a region where the notions of invisibility, magic, and witchcraft are perceived as more real and natural. All interpreters are of different nationalities and speak French (the show will be captioned) and maybe precisely the choice to replace the English language – whose musicality is, for Shakespeare, rich in meaning – with such a different language is, in its alienation effect, Brook’s most daring innovation: a choice that will bring about some sort of semantic shock, a resetting of perception that readies the audience to understand new and different meanings.

Tempest Project 10-13 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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theatro ON STAGE

Che si muoia di quello che si ama Serena Sinigaglia porta in scena il capolavoro di Camus You die of what you loved ENG

Un faro di bellezza. Queste le parole usate dalla regista Serena Sinigaglia per spiegare la sua scelta di portare in scena il romanzo La peste di Albert Camus. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, dal Teatro Stabile di Bolzano e dal Teatro Carcano di Milano, è in scena dal 10 al 13 marzo al Teatro Goldoni di Venezia, dal 2 all 6 marzo al Verdi di Padova e dal 18 al 20 al Mario Del Monaco di Treviso. Per la Sinigaglia, durante lo smarrimento del primo lockdown, la lettura della Peste di Camus è stata una vera e propria folgorazione. «Mi sentivo smarrita […] Così mi sono detta: prova a leggere Camus, prova a leggere La peste. Non ero sicura fosse l’idea giusta: c’è “la peste” e io mi metto a leggere proprio La peste? Avevo paura che mi avrebbe spaventata o magari appesantita. Eppure sentivo un richiamo istintivo, qualcosa che mi spingeva verso quel romanzo e non altri. E dunque ho cominciato. L’ho divorato e quando ho chiuso l’ultima pagina… ero felice e commossa! Provavo come non provavo da tempo una sensazione tangibile di lieto benessere. Una leggerezza che credevo persa per sempre». Così, partendo dall’adattamento di Emanuele Aldrovandi che ha come sottotitolo Il tentativo di essere uomini la regista trasferisce sul palcoscenico il romanzo dello scrittore francese che forse scandaglia più a fondo l’animo umano. L’amore laico e terreno è il 92

protagonista di questa storia. Le vicende si svolgono ad Orano, in Algeria, in un periodo imprecisato degli anni ’40, e raccontano le vicissitudini del protagonista Rieux durante lo scoppio della peste bubbonica nella città algerina che subisce l’ordine da Parigi di chiudersi in un cordone sanitario al fine di contenere il propagarsi del contagio. Tante le analogie di questa storia con il presente che stiamo vivendo. Appena pubblicata l’opera, che rientra nel cosiddetto Ciclo della rivolta, riscosse un grande successo arrivando a vendere nei primi due anni oltre 160 mila copie e aggiudicandosi il Prix des Critiques. Il processo di portare quest’opera sul palcoscenico è avvenuto rimanendo fedeli al romanzo quindi «riportando i discorsi diretti di Camus e poi giocando su scenari narrativi che sono assolutamente potenti e teatrali. I protagonisti dunque parlano in prima persona e poi si girano verso il pubblico e si raccontano in terza persona». In questo modo emerge tutta l’umanità di Camus. E oggi, particolarmente toccante in tempi di pandemia, quest’opera esprime perfettamente l’idea che in momenti di smarrimento e disorientamento c’è bisogno, come afferma la Sinigaglia, «di opere di umanisti, ovvero che riescono a entrare nell’umano e a tirarlo fuori». Katia Amoroso

A shining light of beauty. With these words, director Serena Sinigaglia explains her choice to stage Albert Camus’s novel The Plague. The show, a production of Teatro Stabile del Veneto, Teatro Stabile di Bolzano, and Teatro Carcano, will be at Goldoni Theatre in Venice on March 10 to 13, at Verdi Theatre in Padova on March 2 to 6, and at Mario Del Monaco Theatre in Treviso on March 18 to 20. Sinigaglia noted how strongly she was impressed by The Plague: “I was feeling lost, so I said to myself: let’s read some Camus, let’s read The Plague. I wasn’t sure it was the right thing to do, what with an actual ‘plage’ going on right now. I feared it would make me scared or despondent. Instinctively, though, I felt a calling. And so I started reading it. I breezed through the pages and by the end of the novel, I was so happy and moved. I felt fine. I felt lightness I hadn’t felt in a long time.” Working on an earlier adaptation by Emanuele Aldrovandi, Sinigaglia brings on stage the novel by Camus which more than any other sounds out the human psyche. Mundane love is the real protagonist of the story, which takes place in Orano, Algeria, in the 1940s. The French authorities establish a cordon sanitaire around plague-infested Algiers, where Dr. Bernard Rieux resides. The way to make a play out of a novel adhered strictly to the novel itself, resorting to the very dialogues penned by Camus and playing on narrational sceneries that are absolutely powerful and very theatre-like. Protagonists speak in first person and then address the audience, switching to the third person. Using this technique, Camus’s humanity stands out, and today, this work, which is particularly relevant as the pandemic makes waves, perfectly express the idea that in moments of bewilderment and uncertainty, we need the work of humanists, of people who can enter the condition of humanity and make it stand out. La peste di Camus 10-13 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it


VERITÀ NASCOSTE

La banalità del male Ottavia Piccolo interroga Eichmann

Un potentissimo dialogo teatrale, portato in scena da due straordinari attori. Nell’ultimo lavoro di Stefano Massini diretto da Mauro Avogadro, Paolo Pierobon e Ottavia Piccolo sono il gerarca nazista Adolf Eichmann e la filosofa ebrea Hannah Arendt e si fronteggiano in un dialogo intenso e terribile che nella realtà non è mai avvenuto, ma che Massini costruisce a partire dagli scritti della Arendt, dai verbali degli interrogatori, dagli atti del processo – avvenuto a Gerusalemme (solo!) sessant’anni fa. Incalzato dalla Arendt, Eichmann ricostruisce tutti i passaggi della sua carriera travolgente: in un crescendo di prestigio e denaro, si delinea, lento ma inesorabile, il quadro della Soluzione Finale dello sterminio di sei milioni di ebrei, qui descritto nel suo aspetto basilare di immane macchina organizzativa, di traduzione della violenza in calcolo. Come si sperimentò il gas? Quando fu deciso l’inizio dello sterminio? Come si gestiva in concreto l’orrore di Auschwitz? Quella che prende forma è una prospettiva angosciante nella sua semplicità: non siamo di fronte a un mostro, ma a un uomo spaventosamente normale, capace di stupire più per la bassezza che per il genio. È davvero possibile che uno dei massimi carnefici della Shoah fosse così… medio? Così simile a un uomo qualunque? E però sì, è proprio qui che prende forma il male: nella più comune e insospettabile piccolezza umana. Già richiesto nei teatri di tutto il mondo, Eichmann – dove inizia la notte è un atto unico di squassante semplicità ed è anche la conferma del felice sodalizio Piccolo-Massini, nuovamente insieme dopo Donna non rieducabile sulla figura di Anna Politkovskaja, Sette minuti sul mondo del lavoro e Occident Express, il racconto della fuga di una nonna irachena lungo la rotta balcanica. Livia Sartori di Borgoricco

The banality of evil

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A powerful stage conversation by two amazing actors. In playwright Stefano Massini’s latest piece, director Mauro Avogadro has Nazi party official Adolf Eichmann (played by Paolo Pierobon) and Jewish philosopher Hannah Arendt (played by Ottavia Piccolo) face up in an intense, toilsome conversation that never took place historically, but that Massini reconstructed based on Arendt’s essays, on questioning minutes, on legal acts of trials that took place in Jerusalem a mere sixty years ago. Pressed by Arendt, Eichmann retraces all the milestones of his incredible career: a crescendo of prestige and money that fast-forwards to the Final Solution, the extermination of six million Jews. How was the gas chamber experiment conducted? When was the extermination decided? How was Auschwitz managed in dayto-day operations? What will take place before our eyes is a distressing point of view in its simplicity: we are not looking at a monster, but at a man who is scaringly normal. If anything, his shallowness strikes us more than his intelligence. Is it really possible that the man behind the Shoah was this… average? such an everyman? Yes, it is, in fact, right there that evil grows: in the most common, unsuspected human shallowness. Eichmann – dove inizia la notte will tour the world’s theatres and is a single act of disarming simplicity. Eichmann dove inizia la notte 9-13 marzo Teatro Verdi-Padova 17-20 marzo Teatro Goldoni 25-27 marzo Teatro Mario Del Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it

Quella che racconta Spettri, testo di Ibsen datato 1881 (già produzione del TSV nel lontano 1992 con Giulio Bosetti e Marina Bonfigli), è una storia di ipocrisie, perbenismi, segreti taciuti – di ombre del passato che colpiscono il dramma esistenziale del presente: spettri, appunto. In un piccolo villaggio della Norvegia la vedova Helen Alving e il Pastore Manders stanno ultimando i preparativi per l’inaugurazione del nuovo asilo che sarà intitolato alla memoria del capitano Alving, uomo dai saldi valori morali. Per l’occasione è arrivato da Parigi anche il figlio, Osvald. Sai che c’è, figlio mio? Non era mica tanto irreprensibile, il papà. Io avevo provato a scappare e rifugiarmi tra le braccia del Pastore, che però mi ha respinta, e sono rimasta per salvare le apparenze. Tu stai andando fuori di testa perché ti ha trasmesso la sifilide e Regine, la cameriera della quale ti sei innamorato, è la tua sorellastra. Dramma borghese allo stato puro, insomma. Quello che va in scena al Goldoni in prima nazionale è un adattamento del regista lituano e direttore del Teatro Vakhtangov di Mosca Rimas Tuminas nella versione riscritta da Fausto Paravidino, che sposta l’azione scenica avanti negli anni e dentro la testa della vedova Alving. La dimensione onirica è molto carica, ciò che avviene sullo sfondo di un’allucinata campagna norvegese è un continuo passaggio tra passato e presente in cui personaggi reali e fantasmi si fondono come in un sogno. A vestire i panni di Helen Alving c’è Andrea Jonasson, affiancata da Gianluca Merolli (Osvald), Fabio Sartor (Pastore Manders), Giancarlo Previati (Jakob Engstrand) ed Eleonora Panizzo (Regine Engstrand). «Riconquistare la propria indipendenza attraverso il superamento delle illusioni, come donna e come madre, diventa l’unica strada possibile verso la libertà – spiega Tuminas – Siamo di fronte ad una donna che vede chiaramente, agisce con coraggio, svela menzogne ed è infallibile nel suo giudizio. È capace di sacrificare tutto in nome della verità». Livia Sartori di Borgoricco Spettri 3- 6 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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theatro ON STAGE

L’arte di voler bene Pubblicato nel 1975 e adattato per il cinema nel 1977 – ripreso nel 2020 dalla produzione Netflix di Edoardo Ponti con Sophia Loren –, La vita davanti a sé di Romain Gary è la storia di Momò, bimbo arabo di dieci anni che vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Un romanzo che racconta di vite sgangherate che vanno alla rovescia, ma anche di un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia. Silvio Orlando ci conduce dentro le pagine del libro con la leggerezza e l’ironia di Momò diventando, con naturalezza, quel bambino nel suo dramma. «Ho sentito nel testo di Gary la mia storia – ha dichiarato in una recente intervista l’attore – il riflesso remoto e personale di un’immagine che mi interpellava […] Per me è stato molto difficile poter raccontare la morte di mia madre. Ma non tanto la morte quanto i tre anni di malattia. Ciò che provavo mi è sembrato di riviverlo

con il testo di Gary […] ho capito che attraverso Madame Rosa potevo rivedere mia madre. È stato un modo per superare un interdetto». Il lungo monologo di Silvio Orlando, intenso, commovente, a tratti graffiante, avvolge il pubblico e delicatamente lo accompagna su, lungo sei rampe di faticosissime scale, fin tra le mura dell’appartamento di Madame Rosa, dove vivono i ‘suoi’ sei bambini di “tutte le razze”, e poi giù, tra le vie di Belleville, tra i negozi, tra gli sguardi di quelle donne in cui Momò cerca di ritrovare la madre. Di un’attualità bruciante, il romanzo di Gary ha anticipato senza facili ideologie e sbrigative soluzioni il “tema dei temi” contemporaneo, ovvero la convivenza tra culture religioni e stili di vita diversi. Raccontare oggi la storia di Momò e Madame Rosa nel loro disperato abbraccio contro tutto e tutti è utile, quanto necessario. Le ultime parole del romanzo dovrebbero essere per noi tutti una bussola in quest’epoca dove la compassione rischia di diventare un lusso per pochi: «Bisogna voler bene».

© Laila Pozzo

La vita davanti a sé 8-11 febbraio Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

Un frammento d’eternità A 75 anni dalla sua stesura, che valse all’autore il Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1948, l’imprescindibile opera di Tennessee Williams, Un tram che si chiama desiderio, continua a riflettersi nostro malgrado nel presente, nonostante quella ritratta, o meglio, smascherata con duro realismo da Willliams fosse la società americana del secondo dopoguerra. Era la prima volta che l’America veniva messa allo specchio, faccia a faccia con temi come l’omosessualità, la malattia mentale, la violenza domestica e di genere, il sesso, la repressione del femminile, l’ipocrisia sociale. Temi che continuano, nonostante una faticosamente conquistata benché minima ‘evoluzione’, a pungolare la società odierna, rendendo il capolavoro di Williams estremamente attuale e oggetto di nuove messe in scena di altissimo livello. È il caso dell’ultima versione italiana firmata da Pier Luigi Pizzi per Gitiesse Artisti Uniti, della quale il Maestro cura sia le scenografie che la regia, dirigendo Mariangela D’Abbraccio nel ruolo di Blanche e Daniele Pecci nei panni del bruto Stanley.

La vicenda è più che nota, immortalata eternamente anche su pellicola da Elia Kazan che dopo averne curato il debutto teatrale a Broadway (855 repliche in due anni) la portò a Hollywood con Vivien Leigh e Marlon Brando, aggiudicandosi quattro Premi Oscar e tra gli altri anche il Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia del 1951. Nella New Orleans degli anni ‘40, Blanche Du Bois si trasferisce dalla sorella Stella, sposata con un uomo rozzo e volgare di origini polacche, Stanley Kowalsky. Blanche è ormai una donna provata dalla vita, alcolizzata, vedova di un

giovane omosessuale, e cerca di ricostruirsi un futuro vedendo in Mitch, un amico di Stanley, una possibile salvezza, ma il violento conflitto che si innesca tra lei e il cognato porterà il suo disagio mentale a deflagrare in una follia conclamata. «Chiunque lei sia, ho sempre confidato nella gentilezza degli sconosciuti», dice Blanche all’uomo che la accompagna verso il manicomio nell’ultima, indimenticabile scena. Un tram che si chiama desiderio 18-20 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

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theatro BIENNALE DANZA LEONI 2022

Coraggioso, straordinario, sensibile ed elettrizzante Wayne McGregor

PREVIEW a cura di Loris Casadei Della luce e dell’oblio Occidente e Oriente si con-fondono nella danza di Saburo Teshigawara (Tokyo, 1953), movimento, performance e arte convivono. La radice sanscrita della parola “Tan”, da cui l’italiano “danza”, emerge nel suo significato originario di tensione. Dice Saburo: «il moto delle mani, delle spalle, della testa, del busto crea scie piene di gesti non contabili, di dettagli innumerevoli, come nella realtà». Come in Glass Tooth, portato in scena a Roma nel 2006, dove i due danzatori perdono continuamente l’equilibrio su un piano scivoloso in vetro pieno di cocci taglienti. Docente alla prestigiosa Tana Art University, nei pressi di Tokyo, insegna scenografia e danza in quella che è definita a tutti gli effetti una “Bauhaus orientale”, vero epicentro di sperimentazione nel campo delle arti. Già nel lontano 1985, Saburo si fece seppellire per un’intera giornata nella sabbia sino alla testa in riva a un fiume per poter comprendere la relazione tra corpo, terra e aria. In tutte le sue rappresentazioni è presente l’esplorazione del corpo come “sostenitore del vuoto”, animato da continue e variegate correnti esterne. I suoi non sono eventi teatrali, ma reali esperienze sensoriali, in cui il simbolismo conta più della narrazione. Nel 1985 fonda con Key Miyata la compagnia Karas (corvo), che nella cultura giapponese è il messaggero divino che simboleggia il buon auspicio, ma anche la gratitudine e l’amore familiare. In tutte le scenografie di Saburo la luce e la musica svolgono un ruolo vitale, dando forma per prime allo spazio della rappresentazione. Il movimento dei danzatori sembra riflettere e dipendere, infatti, dalla stessa percezione che i loro corpi hanno della luce e della musica. Nel corso di una giornata di studio nel 2013 a Padova, in occasione della presentazione di Sculture d’aria al Comunale di Ferrara, uno dei relatori, riferendosi a come Saburo spiegava il suo amore per il fumo, per il vapore, per «l’effusione del corpo nell’aria, una sorta di corpo celeste che appare e scompare, come in un ciclo di morte e rinascita», ha accostato il performer giapponese a Bob Wilson per l’uso della luce. Cristina Grazioli dell’Università di Padova, tra le massime studiose della luce in scena, pose una domanda proprio su questo tema e il maestro Teshigawara le rispose: «creare con la luce e con il buio significa per me contemplare molteplici procedimenti… Si tratta essenzialmente dello stato fondamentale dell’espressione: cioè di pensare l’apparizione di qualcosa dal nulla, dell’occultamento di ciò che esiste e di come rivelare tale apparizione. Svelare ciò che si vuol far apparire, come uno scultore che scava una forma da una materia». Di Saburo va ricordata in particolar modo l’attività di coreografo per i grandi teatri internazionali, dall’Opera de Paris, al Bayerisches Staatsballet di Monaco, alla Fenice – suo è Dido and Aeneas del 2010 –, o ancora alla Triennale di Milano con un originalissimo Tristano e Isotta nel 2020, dove i due corpi dei danzatori si avvicinano continuamente, pur non facendosi mai un’entità unica, «senza separazione, teneramente soli», ‘immersi’ nel mare simbolico della scenografia a rappresentare la profondità dell’animo umano. Alla Biennale Danza lo avevamo visto nel 2004: Bones in Pages ci aveva affascinato con i suoi movimenti minimali, dita che vibravano come tremolii, come piccole onde che si creano nell’acqua, gli sprazzi di luce che rivelano gli oggetti in scena, la voce del vento che regna nel silenzio e l’apparire e scomparire degli oggetti manovrati dalla luce. Premiato con il Leone d’Oro alla carriera dal direttore del settore Danza Wayne McGregor, Saburo inaugurerà il prossimo Festival il 22 luglio al Teatro Malibran con la prima assoluta della sua Petrouchka, rivisitazione dell’opera di Michel Fokine per i Ballets Russes, in cui danzerà con la sua compagna di sempre, Rihoko Sato. 96

© Akihito Abe

Light and absence

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The 2022 Golden Lion for Lifetime Achievement in Dance will be awarded to Saburo Teshigawara (Tokyo, 1953). The Sanskrit root of the word ‘dance’ – tan – emerges in its original meaning of ‘tension’ in Teshigawara’s interpretation, exemplified in Glass Tooth, where two dancers show how they lose their balance as they stand on a slippery slope disseminated with glass shards. Teshigawara is a professor at the Tana Art University and teaches scenography and dance in what has been hold the ‘Bauhaus of the East’. In all his shows, we can appreciate the exploration of the body as a ‘support for the void’, animated by continuous, rapidly changing external currents. At a conference in 2013, one of the discussants referenced Teshigawara’s love for smoke and steam to compare him to Bob Wilson in his use of light. He answered thus: “to create with light and darkness means to contemplate different procedures… essentially, the essential state of expression, something appearing out of nothing, the concealment of what exists and the way we can reveal its apparition, reveal what we want to be revealed, much like a sculptor digging a shape out of solid matter.” We saw Teshigawara at the Dance Biennale in 2004 with Bones in Pages, and he will open this year’s Biennale at Malibran Theatre on July 22 with the premiere of Petrouchka, a reinterpretation of Michel Fokine’s piece.


Sembra divorare il libro delle ‘regole’ classiche per costruire i propri volumi Wayne McGregor

All in her eyes

ENG

© Pablo Guidali

Todo en su mirada Non posso scrivere di Flamenco senza menzionare García Lorca. In una conferenza a Buenos Aires nel 1933 il poeta diede a questo ballo, ritenuto sino ad allora un genere di manifestazione “popolare”, un posto nell’estetica moderna. Sostenne che esiste un legame genetico tra questa forma artistica e uno stato d’animo dell’artista di invasamento dionisiaco, scomodando Socrate, Cartesio e la filosofia di Nietzsche. García Lorca la definì “duende”, che il nostro Treccani spiega come «fascino ammaliatore, venato di tristezza e inquietudine, estro ispiratore, creativo». Ma è già del 1921 lo scritto Poema del Cante Jondo e l’istituzione di un Concurso de Cante Jondo per accrescere prestigio e raffinatezza al flamenco. Va chiarito che gli schemi musicali del flamenco non sono i nostri abituali della musica occidentale, ad iniziare dalla tecnicalità della voce del cantaor, gutturale ed emessa dal naso. Gli “ole” non sono improvvisati e dettati dall’entusiasmo del pubblico, ma parte integrante del flamenco nella sua origine di danza rituale, rappresentando l’adesione al rito dei partecipanti. Anche il battere dei tacchi, il taconéo, ha un probabile riferimento alla terra e al carattere nomade dei gitani, primi importatori del flamenco dalla madre India. Un suo primo apparire nella storia ufficiale il flamenco lo deve a José Cadalso, che lo elevò a soggetto letterario nel 1774. Subì un declino nella Spagna franchista, dove veniva venduto nei bar di periferia ad uso dei turisti alternativamente con il bolero, ritornando poi in auge nell’elettrica età del ritorno alla democrazia anche grazie a Pedro Almodóvar, che con il suo film Volver rende omaggio alla famosa Estrella Morente. Rocío Molina, alla quale è stato assegnato il Leone d’Argento per le nuove realtà della danza, è di qualche anno più giovane ed è lei a portare avanti il rinnovamento del flamenco sui palcoscenici, anzi, per essere più precisi, sui tablaos internazionali. Tentiamo di individuare le caratteristiche innovative e di successo di questo profondo lavoro di “svecchiamento”. Certamente nella danza di Molina c’è l’inserimento di vasti tratti di pura danza, con una cura particolare per i movimenti minimali, una forte attenzione all’equilibrio e alle cadute del corpo, l’introduzione di ostacoli, maschere che impediscono una piena visione, forse ripresa dal teatro nō giapponese o, come alla Flamenco Biennale di Utrecht, quando danza su un manifesto cartaceo che progressivamente viene distrutto e che sembra inibire anche i movimenti più semplici. Rocío ha ideato anche vere e proprie forme di performance, tra queste lo scorrere su un tavolato ripieno di vernice. Di tutte queste tecniche Molina è maestra assoluta, ai massimi vertici della danza, e i pezzi di flamenco puro tradizionale ne esaltano la plasticità. Ma non dimentichiamo che Molina è anche un’esperta e accorta coreografa. Cinema (da non perdere almeno Impulso del regista Emilio Belmonte, con protagonista Rocío – la locandina della versione tedesca la cita come colei che ha portato il flamenco nella modernità), letteratura, pittura sono tutti linguaggi che rappresentano fonti di ispirazione e di virtuosa contaminazione per il suo lavoro. Le scenografie dei suoi spettacoli ricordano talvolta muri diroccati à la West Side Story o intere pareti formate da sedie alla Pina Bausch; in alcuni addirittura indossa un kimono Karaori danzando in uno spazio minimalista come per un ballo in un atelier giapponese. Ma quando è flamenco, flamenco è e flamenco rimane.

One cannot write about flamenco and make no reference to García Lorca. In a 1933 conference in Buenos Aires, the poet gave flamenco – until then considered a kind of folk dance – the dignity of modern aesthetics. García Lorca maintained that there is a genetic connection between this form of art and the state of Dionysian craze which he called duende. It must be said that the musical frameworks of flamenco are different from what we are used to, starting with the cantaor’s peculiar voice technique. The ole are not improvised, but are an integral part of flamenco in its nature of ritual dance – the act of participation to the ritual. The tapping of heels, taconéo, is probably a nod to earth and to the nomadic character of Gitanos, who imported the dance from India. We owe José Cadalso one of the first appearances of flamenco in official history: Cadalso elevated it to literary subject in 1774. In Francoist Spain, flamenco was relegated to second-rate establishments catering mainly to tourists. More recently, Pedro Almodóvar paid homage to the electric age of restoration of democracy and to Estrella Morente in his Volver. Rocío Molina, who will be awarded the Silver Lion at the 2022 Dance Biennale, is a few years younger that Morente, and works on the renovation of flamenco in international tablaos. In Molina’s work, we can appreciate her attention to minimal gestures, to balance, to falls. Molina is a master of several techniques, and pure, traditional flamenco highlights her plasticity, though she is also an expert choreographer and actress: Impulso by Emilio Belmonte shows Molina as the dancer who brought flamenco into modernity.

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theatro ON STAGE

Il colore oltre la nebbia

Virgilio in Paradiso

Photo Renato Esposito

La riflessione, stilema del lavoro di Anagoor, compagnia già Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2018, è al centro dello spettacolo Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione, in scena al Teatrino Groggia il 31 marzo. Le sette meditazioni, nate nel 2009, rivelano attraverso versi poetici e frammenti iconografici le sfaccettature nascoste di un artista enigmatico, in perpetuo conflitto con la natura, la storia e la cultura. Anagoor restituisce così il ritratto inedito di un Giorgione tormentato che riuscirà a dare vita alla rivoluzione coloristica, una delle più incisive nella storia della rappresentazione. Cercare di mettere a fuoco la figura del pittore di Castelfranco è come osservare la costellazione delle sette sorelle, le Pleiadi: riesce meglio se uno non la fissa direttamente. In una scena essenziale, accompagnato da un percorso video ideato da Simone Derai e Moreno Callegari, Marco Mengoni, interprete unico di una lectio performativa, dipana le nebbie attorno alla figura dell’artista, svela i segreti di quell’epoca, il respiro delle sue opere, il clima che le pervade: «Volgiamo lo sguardo verso questa ideale costellazione. Per ciascun astro una meditazione. Silenzio, natura umana, desiderio, giustizia, battaglia, diluvio e tempo sono i temi che nutrono le sette contemplazioni di altrettante opere di Giorgione: la Pala, i Ritratti, la Venere Dormiente, la Giuditta, i Tre Filosofi, la Tempesta, il Fregio». Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione 31 marzo Teatrino Groggia www.comune.venezia.it

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Incarnazione della ragione umana, il buon Virgilio dovette congedarsi da Dante sulla soglia del Paradiso, lasciando il ruolo di guida a Beatrice, per tornare nel Limbo in cui era relegata la sua anima. Ma l’anima e la potenza creativa di un altro Virgilio – il visionario coreografo Sieni –, spalancano oggi le porte celesti per portare in scena il Paradiso Terrestre, nella creazione della Compagnia Virgilio Sieni, ideata nel 2021 in occasione del settimo centenario della morte del Sommo Poeta. Il Paradiso di Dante traccia il cammino dall’umano al divino, dal tempo all’eternità. In questo spazio senza tempo, il corpo è definito dal movimento, dall’intervallo invisibile che separa e connette un corpo all’altro. Nello spettacolo di Sieni, con le musiche di Salvatore Sciarrino, il movimento non traduce la parola della Divina Commedia, la coreografia materializza corpi fuori dal corpo, esplorando la sospensione spazio-temporale dell’aura. Un giardino immaginario è costruito attraverso architetture fisiche di gesti, in cui le piante diventano la misura del respiro della danza e dei giochi di luci e ombre. I cinque danzatori creano una tessitura di vicinanze e di prossimità, stabilendo una nuova forma di contatto, dove il tocco non sfiora la pelle ma lo spazio auratico dei corpi. Nel Paradiso di Virgilio Sieni, il cammino di Dante è reso attraverso l’incanto di movimenti sospesi e luminosità improvvise, «Quello che rimane alla fine – dichiara Sieni – è un giardino come traccia della coreografia e fioritura dei gesti passati». Paradiso 20 febbraio Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it

L’età del Signor G

Frequenta assiduamente e felicemente Gaber dal 2007, il regista Giorgio Gallione che ha già portato in scena Quello che non ho con Neri Marcorè, Io quella volta lì avevo 25 anni con Claudio Bisio, un applauditissimo Il Grigio con Elio, e, prima con Eugenio Allegri ed oggi con Fabio Troiano, Il dio bambino, spettacolo che chiude la stagione del Teatro Villa dei Leoni di Mira, sabato 26 marzo. Il dio bambino è un testo del 1993, un monologo tipico del periodo autorale di Gaber e Luporini – forse meno conosciuto di altri perché portato in scena solo per una stagione e solo a Milano – ed emblematico esempio del “teatro d’evocazione” dei due autori. Protagonista della vicenda è un intellettuale, un artista, molto à la “Signor G”, compiaciuto di sé stesso, del suo essere diverso, ma al contempo afflitto da zoppie, fragilità e frustrazioni per non riuscire a diventare in realtà ciò che desidera. È il racconto di una normale storia d’amore, che fornisce agli autori il pretesto per mettere sotto la lente l’Uomo, conducendo un’indagine lucida, mai autoassolutoria, spietata e affettuosa allo stesso tempo, per cercare di capire se è per lui giunta l’età adulta o è rimasto irrimediabilmente bambino. «È proprio questo il gioco – racconta Gallione –, noi intellettuali compiaciuti, con l’eterna sindrome di Peter Pan, forse tentiamo di raggiungere la maturità quando ci rapportiamo con qualcosa di infantile, in questo caso la nascita di un bambino, che ci fa diventare altri, mettendoci di fronte ad un grande mistero e una grande magia». Il dio bambino 26 marzo Teatro Villa dei Leoni-Mira www.piccionaia.org/teatro-villa-dei-leoni-di-mira


Bruce Nauman, Walk with Contrapposto, 1968. Courtesy of the artist and Electronic Arts Intermix. © Bruce Nauman by IAE 2021

Bruce Nauman, Walk with Contrapposto, 1968. Courtesy of the artist and Electronic Arts Intermix. © Bruce Nauman by IAE 2021

BRUCE BRUCENAUMAN NAUMAN CONTRAPPOSTO STUDIES CONTRAPPOSTO STUDIES PUNTA DOGANA PUNTADELLA DELLA DOGANA VENEZIA VENEZIA 23.05.21––27.11.22 27.11.22 23.05.21 CURATED BY CARLOS BASUALDO

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theatro ON STAGE

KIDS

Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, vivevano un re e la sua graziosa regina… RACCONTO ALLA ROVESCIA

Il conto alla rovescia è la fine di un’attesa. L’attesa è tutta la vita che c’è tra un conto alla rovescia e l’altro. Claudio Milani ci svela la vita come un succedersi di attese, ovvero di tanti conti alla rovescia. E per rappresentarla in scena crea una storia che diventa un racconto alla rovescia. Un percorso di ricerca sulla fiaba con nuovi linguaggi narrativi e scenici adatti per parole e contenuti a un pubblico di piccoli spettatori, dai tre anni in su. 20 febbraio h. 16.30 | Teatro Momo-Mestre

MOSTROGIRAMONDO

Luna è una bambina che vive in una casa-famiglia e incontra una notte il MOstrOgiraMOndO. Dapprima la piccola ingaggia con lui una lotta furibonda ma poi, quando lui le svela la sua paura più intima, Luna lo scopre più vicino a sé di quanto potesse immaginare, tanto che giorno dopo giorno diventano amici. Luna si confida con il suo Mostro e gli racconta della nonna che trovava sempre le parole giuste, dei papaveri che sono i suoi fiori preferiti, e piano piano sente spuntare dentro di sé nuovi colori che, in una danza a tutto tondo, dipingono morbida la mappa di lei e del suo MOstrOgiraMOndO. 13 marzo h. 11/16.30 | Teatrino Groggia

LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO

Dentro alle maglie della nota fiaba si dipana una storia parallela, un’altra versione. La settima fata, narratrice e testimone della vicenda, come una sarta laboriosa, allaccia i fili dei ricordi e cuce una mappa di sentimenti belli e brutti, paurosi e necessari, capaci di rivelare tutta la complessità che ognuno deve affrontare per vivere. Cadere, rialzarsi e continuare a correre. Senza cattivi, senza inciampi e sbagli, non ci sarebbe questa storia, e non ci sarebbe la vita con le sue meraviglie. 13 marzo h. 15.30/18 | Auditorium, Centro Culturale Candiani-Mestre

SONOSOLO

Cosa succederebbe se il vostro incubo peggiore diventasse realtà? E se a guardarla bene fosse una grande occasione per affrontare innocui mostri schiumosi e apparenti fragilità? A volte lo stupore è dietro l’angolo o nascosto in una vecchia valigia di cartone e frugando bene nelle tasche capita di trovare un pensiero smarrito o semplicemente un sorriso. Il mirabolante spettacolo di Michele Cafaggi, mago delle bolle di sapone, chiude la stagione dedicata ai più piccoli del Teatro Momo. 13 marzo h. 16.50 | Teatro Momo-Mestre

L’ARCA DI NOÈ

Un Noè nostrano, di fronte ad un disastro ecologico, alla guerra, all’inquinamento causato dall’uomo, costruisce un’immaginabile arca con cui viaggiare verso un mondo non inquinato, pacifico, sereno e sano. Porta con sé gli animali che vivono vicino a lui e nell’accoglierli li presenta e racconta di loro, delle loro abitudini e caratteristiche con filastrocche e giochi di parole. Con sé porta anche i due giovani, Maria e Giovanni, a rappresentare il futuro dell’umanità e la continuità della vita. 20 marzo h. 15.30 | Teatro di Mirano

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theatro ON STAGE

La scala del successo

L’imperfezione delle sirene

Rosario Fiorello in queste settimane è finito involontariamente nelle cronache dei giornali locali e non solo, non per meriti artistici, ma per liti condominiali circa l’installazione di un ascensore nel palazzo veneziano in cui ha casa. Al momento non è dato sapere come andrà a finire, ascensore a parte è del Rosario artista che si deve parlare e dello spettacolo che a cadenza non regolare porta in giro per l’Italia, riuscendo sempre a fare il tutto esaurito, raccogliendo un pubblico trasversale che è in gran parte cresciuto di età con lui. Strano personaggio Fiorello, nato nei villaggi turistici con quel carico di totale leggerezza per non dire vacuità, di cui quelle atmosfere vacanziere sono pregne, via via è riuscito a conquistarsi uno spazio definito nel panorama nazionale dello spettacolo con la sua comicità semplice, accattivante, mai volgare, da amico simpatico in grado di rendere una festa anche un semplice aperitivo tra amici. Apparentemente lontano distanze siderali dal mondo intellettuale, egli ha saputo a colpi di sorriso e senza essere politicamente troppo scorretto conquistare estimatori inaspettati da Andrea Camilleri a Carlo Azeglio Ciampi, per citare due tra i tanti nomi. Sono passati cinque anni dal suo ultimo viaggio attraverso l’Italia, e anche stavolta il suo show è uno spettacolo coinvolgente, in continua evoluzione e – di serata in serata – mai uguale a sé stesso. Improvvisazioni ed esperimenti scenici, invenzioni mimiche, interazione con il pubblico in sala e incursioni di ospiti a sorpresa, una scaletta musicale fluida con la consolidata band di sempre guidata dal fido Enrico Cremonesi, con musicisti che strizzano l’occhio al varietà, accompagnando Fiorello nelle sue mille improvvisazioni. Per usare un termine che presterebbe immediatamente il destro, facendo scattare la presa in giro, la sua cifra stilistica è data dall’innesto di momenti di spettacolo fuori copione, legati alla città di cui è ospite, portando in teatro uno show che mai andrà in scena così come è stato scritto, a partire dal titolo che varia di città in città. “Padova!” nel caso de quo. Fabio Marzari

Un giorno sei lì che fai zapping tra i canali (non quelli veneziani) e incappi in una figura che ti risveglia di colpo. Immediatamente sussulti e sei galvanizzato, stupito, incuriosito. Sai perché? La risposta è semplice: sullo schermo è apparsa come d’incanto Drusilla Foer. Subito non realizzi se davanti a te si è palesata una donna androgina oppure una drag queen o un crossdresser o forse una nobile zia un po’ stravagante. Allora ti concentri bene, la osservi attentamente, l’ascolti, cerchi di capire come mai ti affascina e ti interroghi: ma chi è Lei? Cantante, vedette, attrice, star del web? Certo! Gianluca Gori, fotografo, attore, drammaturgo, è tutto ciò ma soprattutto è autore e inventore di questa donna dalle mille sfaccettature. Drusilla Foer ha un portamento austero e anticonformista allo stesso tempo, un fare elegante vagamente trasognato ma repentinamente trasgressivo. Quando parla (e lo fa di tutto e su tutti) non ha peli sulla lingua. È una donna colta che attraverso le sue osservazioni colpisce sagacemente con stoccate ironiche qualunque cosa le capiti a tiro. Conversa di moda, musica, politica con una dialettica impeccabile, trasformando qualsiasi argomento in parodia. Divertentissime le sue telefonate pubblicate su Instagram con le quali tratteggia e ridicolizza i personaggi al di là della cornetta. Ha il dono di una voce melodiosa e intonata alla quale si abbina un grandissimo talento interpretativo. Lei non canta, lei soffre (o s’offre, come sicuramente puntualizzerebbe). Durante i suoi spettacoli sale sul palco con tracotanza, entrando in scena da navigata star hollywoodiana. Quando canta la sua voce tuona con toni bassi e vibranti, ma impenna d’improvviso volteggiando in falsetti fino a diventare femmina. L’incedere elegante, quasi di maniera sterza con violenza e la vedi scivolare in corsa sul pianoforte a coda quasi a schiantarsi. Ed è lì che fa di sé stessa una caricatura, forse solo per prendere in giro gli attori che si prendono invece troppo sul serio. Questa adorabile altalena tra serio e faceto, non è solo intrattenimento, non è solo divertissement, ma provocazione illuminante sulla nostra vita, che Drusilla con le sue performance, ci invita a prendere con ironia! Abra Smersu

Fiorello presenta: Padova! 18 febbraio; 30 marzo Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com

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Drusilla Foer – Eleganzissima 2, 3 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it


COMICI NATALINO BALASSO Dizionario Balasso

Il sorriso di lei…

«C’è un grande libro al centro del palco, al suo interno troviamo oltre 250 lemmi incolonnati come in un dizionario. È un libro che consulteremo col pubblico, pieno di parole in cerca di definizione. Ma non cercheremo le parole, saranno le parole a trovare noi». A partire dalla parola scelta, Balasso improvvisa il suo monologo, incentrato sulla “definizione”; questo termine sarà disinnescato e raccontato perché la definizione è ciò che ci fa vedere il mondo in maniera distorta, ci fa credere che la Verità sia una sentenza “definitiva”. Nel mondo contemporaneo le parole diventano “tag”, qualcosa di definitivo per definizione, la modalità tranciante in cui rientra la nostra comprensione della società. «Ogni concetto è una scatola chiusa di cui leggiamo solo l’etichetta: il tag. Cosa c’è nella scatola? Perché ci ostiniamo a tenerle chiuse quelle scatole?». È qui che Balasso si produrrà nell’arte in cui è ormai specializzato: rompere le scatole. 5 marzo h. 21.15; 6 marzo h. 18 | Teatro Corso-Mestre | www.dalvivoeventi.it

PAOLO CEVOLI La Sagra famiglia

Prende in prestito per il titolo una frase della pensatrice anarchica Emma Goldman, Se non posso ballare non è la mia rivoluzione, lo spettacolo tratto da Il catalogo delle donne valorose di Serena Dandini, diretto da Serena Sinigaglia e interpretato da una vulcanica Lella Costa, in scena al Teatro di Mirano il 17 marzo. Cento donne in cento minuti, più o meno uno ciascuna, calcano la scena danzando e muovendo le vesti, richiamate da una citazione, un verso, una smorfia, una canzone, una risata… Ballano Ingrid Bètancourt, Hannah Arendt, Annie Besant, Grazia Deledda, Iolanda D’Aragona, Anna Frank, Artemisia Gentileschi, Marie Curie, Tina Anselmi, Angela Davis, Virginia Woolf, Emily Dickinson, Maria Callas, Olympe De Gouges, Martha Graham, Pina Bausch e moltissime altre. Si aggirano gioiose, finalmente felici tutte per dirla come Elsa Morante, che è lì con loro. Uno spettacolo intenso e coinvolgente che vuol trasmettere al pubblico «la ricchezza, la quantità straordinaria di talenti diversissimi tra di loro, che non hanno fatto solo la storia delle donne, ma hanno fatto la storia del mondo, facendo del bene al mondo. È importante che si conosca il valore delle persone in generale, in particolare delle donne che sono state un po’ neglette – sottolinea Lella Costa –, e che si forniscano alle persone più giovani gli strumenti per conoscerle e anche per trovarne e riconoscerne altre intorno a loro». C.S. Se non posso ballare non è la mia rivoluzione 17 marzo Teatro di Mirano www.piccionaia.org/teatrodimirano

Genitori e figli: dramma della nostra e di ogni epoca, dai cavernicoli agli antichi romani, dai greci agli ebrei in Egitto… chissà se facevano i compiti per i loro figli? Mattatore irresistibile Paolo Cevoli paragona con ironia e leggerezza la propria esperienza di padre e di figlio ai grandi classici. Edipo, Ulisse, Achille, Enea, fino ad arrivare a Dio in persona con Mosè e il popolo ebraico. E il figliol prodigo che, nonostante tutto, il Padre ha riaccolto a braccia aperte, uccidendo addirittura il vitello grasso, il quale, poverino, che colpa ne aveva? Per dire cose serie senza prendersi sul serio. Per raccontare la Sagra famiglia. Che come tutte le Sagre di paese, soprattutto in Romagna, finiscono sempre in ridere. 11 marzo h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre | www.dalvivoeventi.it

GIUSEPPE GIACOBAZZI Noi, mille volti e una bugia

Andrea Sasdelli porta in scena Giuseppe Giacobazzi, ovvero l’uomo e la sua maschera. Un racconto intimo ed esilarante di 25 anni di convivenza spesso forzata. L'uomo Andrea raccontato dal comico Giacobazzi, come in uno specchio, o meglio come in un ritratto – l’omaggio a Dorian Gray è più che voluto –, dove questa volta a invecchiare è il soggetto e non il ritratto. Sono proprio questi i Noi che vediamo riflessi nei nostri mille volti convivendo, spesso a fatica, con la bugia del compiacerci e del voler piacere a chi ci sta di fronte. Uno spettacolo che con brillante ironia cerca di rispondere alla domanda: «Dove finisce la maschera e dove inizia l’uomo?», un quesito che ci poniamo tutti, da dietro le nostre maschere quotidiane. 24 marzo h. 20.30 | Teatro Goldoni | www.teatrostabileveneto.it

KATIA FOLLESA E ANGELO PISANI Finché social non ci separi

Angelo e Katia, coppia sul palco ma soprattutto nella vita, hanno scelto di dirsi tutto, anche le cose meno belle, e per farlo si sono affidati all’ironia che smorza i toni senza sminuire l’importanza di ciò che ci si dice. Si parte da una lista di difetti: Katia scrive quelli di Angelo e lui fa altrettanto con quelli di lei. La lista viene mostrata al pubblico che sarà chiamato a dire la propria attraverso il meccanismo dei bigliettini anonimi e dei social. Un percorso comico a tappe nella convivenza tra l’uomo e la donna per sottolineare che la bellezza sta appunto nella diversità dei due emisferi a confronto: quello maschile dove calcio, birra e sesso la fanno da padroni, e quello femminile con le sue infinite e – per lui – incomprensibili, sfumature. 25, 26 marzo h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre | www.comune.venezia.it

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theatro BIENNALE TEATRO LEONI 2022

PREVIEW a cura di Loris Casadei

Unisce la forza radicale della sua dimensione poetica con il contrappunto di un mordace pensiero politico ricci/forte

Il gioco dello specchio Curioso come a distanza di duecento anni i temi poetici degli artisti della nuova America Latina non siano poi di tanto cambiati. Nel 1884 Eduardo Gutiérrez scrisse una celebre pantomima, poi pezzo teatrale, un sainete, che con grande successo mise in rilievo i contrasti tra popolazione locale preesistente e nuovi immigrati. «Un patio di un conventillo/un italiano affittavolo/uno spagnolo sornione/una donna, un uomo/due bulli dal coltello facile». Gaucho, indio, immigrati e una rappresentazione artistica che non aveva confini, mescolando letteratura, poesia, teatro, danza, racconto orale. Anche allora dai musei di New York alla selva dell’Orinoco (Passi perduti, 1953 di Alejo Carpentier). Christiane Jatahy non rinnega nulla di queste radici, muovendosi con disinvoltura tra cinema, saggi, spettacoli teatrali, installazioni. Il suo riferimento, il suo punto focale è il mondo: Jean Renoir, Omero, Shakespeare, Čechov, Strindberg sono appigli per misurarsi con i grandi temi che affliggono l’umanità. In Ithaca – Our Odyssey (2018) mescola eroi omerici con odierni fuggitivi da guerre, carestie, soprusi, alla ricerca di una terra che sembra promessa attraverso il Mediterraneo. A Venezia ne porterà la seconda parte, The Lingering Now (2019), nel quale la componente filmica è stata girata nei luoghi di nuova sofferenza inattesa causa pandemia, che ben si offre come rinnovata occasione di dittatura e repressione, passando tra Palestina, Libano, Sudafrica, Amazzonia. Un altro suo lavoro recente di grande rilievo è Entre chien et loup (2021), con un rimando a Dogville di Lars von Trier, prima parte di una trilogia dedicata al totalitarismo, al machismo (Before the Sky), alla schiavitù e al razzismo (After the Silence). Con lei la parola “teatro” abbandona definitivamente non solo gli ambienti all’italiana, ma rende indefinibile la definizione stessa di teatro, in qualche modo tornando alle sue origini, prima ancora dei grandi drammaturghi greci, prima di Eschilo, cantore della potenza e della democrazia della gloriosa Atene. Recupera un teatro che è per gli attori un prendersi gioco di sé stessi, per gli spettatori un rinunciare al confortevole buio dei palchi scendendo in lizza, un teatro in cui la parola si fa frammentaria, un cinema che si auto-riprende e, riprendendosi, diviene esso stesso attore, e con esso tecnici, elettricisti o cameramen, figure solitamente anonime e invisibili, salvo un formale ringraziamento finale del capo compagnia, che invece sono ora costretti ad entrare nella mischia. Il gioco dello specchio tra figure viventi – chiamiamolo per comodità “teatro” in attesa di una nuova definizione – e cinema è particolarmente evidente in What if they went to Moscow (2014), dove servendosi del montaggio in diretta le scene girate vengono integrate istantaneamente nello spazio teatrale. Stili differenti caratterizzano le tre sorelle protagoniste con un continuo andirivieni di tecnici delle luci e incursioni tra il pubblico, che in parte è posto direttamente nello spazio deputato all’azione degli attori. In Dogville (film, Christiane ci tiene a rilevarlo, ispirato da Brecht) la sfida di Lars von Trier era far vivere il teatro nel cinema. Jatahy capovolge la ricerca, ovvero come far vivere il cinema nel teatro, con l’idea di fondo di far emergere i temi sotterranei della nascita del capitalismo. Christiane Jatahy è già stata a Venezia nel 2015 con La signorina Julia, segnando il passaggio dalla società puritana e classista di fine ‘800 al Brasile di oggi, e nel 2016 con What if they went to Moscow. Nata a Rio e innamorata del suo Paese, ma nient’affatto dei suoi politici, ha scelto la Francia come sua patria d’adozione. Eletta dai direttori Stefano Ricci e Gianni Forte Leone d’Oro 2022, è attesissima da tutti noi alla 50. Biennale Teatro con la prima nazionale di The Lingering Now. www.labiennale.org

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The game of the mirror

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It is peculiar how, for over two centuries, the main poetic themes of Latin American artists haven’t changed much. In 1884, Eduardo Gutiérrez wrote a famous pantomime-turned-theatre piece, a sainete, that successfully portrayed the contrast between what was the local populace then and new immigrants. Christiane Jatahy does nothing to deny these roots, and moves easily between cinema, essay, theatre, installation art. Her reference point is the world itself: Jean Renoir, Homer, Shakespeare, Chekhov, Strindberg are the footholds to confront, as an artist, the afflictions of humanity. In Ithaca – Our Odyssey (2018), Jatahy mixes Homeric heroes with modern-day war, drought, and abuse refugees, looking for a land that seems to have been promised to them on the other side of the Mediterranean. A second act, The Lingering Now (2019) will be shown in Venice. The film part of the piece has been shot in Palestine, Lebanon, South Africa, Amazonia. Another important artwork of hers if Entre chien et loup (2021), the first part of a trilogy dedicated to totalitarianism, machoism (Before the Sky), slavery, and racism (After the Silence). With her, the word ‘theatre’ loses its current definition and somehow goes back to its origins, before the great Greek playwrights themselves. The game of the mirror between living beings – let’s call it theatre for simplicity’s sake – and cinema is all the more apparent in What if they went to Moscow (2014), where she uses live editing to integrate footage into the theatre. In Dogville, Lars von Trier’s challenge was to make theatre live in cinema – Jatahy goes the other way around, and wants cinema to live in theatre, over the background on the subtext of the history of the birth of capitalism. Christiane Jatahy was in Venice in 2015 with La signorina Julia, a play on the evolution of Brazilian classist, late-1800s society into the Brazilians of today, and in 2016 with What if they went to Moscow.


Un marchio unico di performancereportage, di multimedia happening e di docu-fiction ricci/forte

Shock therapy Terapia d’urto Useremo il maschile. Samira ce lo ha permesso dato che si dichiara “transmasculine con un passato dall’alto contenuto femminile”; il noi plurale è troppo complicato per la scrittura e comprensione del testo. Il primo incontro con il Leone d’Argento Samira Elagoz (Helsinki, 1989) risale al 2017 al Festival di Santarcangelo. Il suo spettacolo, che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo con oltre cinque anni di presenza sulle scene, era Cock Cock...Who’s There?, con un doppio rimando nel titolo, uno allusivo ad una nota applicazione social, l’altro…credo non occorra tradurre. La performance era un ibrido tra documentario di storia personale vissuta, racconto teatrale e spettacolo puro. Nella produzione Samira utilizzò diverse piattaforme di incontro come strumento per stabilire un primo contatto con sconosciuti casuali e indagare, riprendendo sé stesso e l’interlocutore, il tema del desiderio, della relazione uomo-donna, dell’intimità e della violenza nel rapporto. Sul palco al contempo si svolgeva la ricostruzione e la denuncia di uno stupro subito. Un vero pugno nello stomaco, anche se con qualche divagazione ironica. La presenza del performer in scena allora era quella candida e pulita di una giovane donna. Decisi di abbassare gli occhi non sopportando la scena finale: il video si riempiva del suo viso e dalla bocca defluivano saliva e sperma, gli occhi rivolti allo spettatore. Come Samira poi spiegò, scelse quell’immagine perché la bocca è il luogo più intimo di un essere umano, forse anche di un mammifero; il sesso è lontano e lo si può dimenticare, immaginare come qualcosa che non fa parte di sé, ma non la bocca. La sua affermazione come performer si consolidò a Impulstanz, dove nel 2017 vinse il Prix Jardin d’Europe con il sopracitato Cock Cock... Who’s There?. I temi dell’artista finno-egiziano si muovono costantemente tra l’esplorazione dei sessi, dei generi, dei desideri in una archeologia sociale che indaga gli esseri umani impietosamente, pur senza trascurare un certo romanticismo digitale sui generis. Il tono non è quello di una denuncia: tutto, a partire dal racconto degli stupri subiti, è raccontato in modo asettico. Il narratore non si identifica nella vittima, ma come parte del mondo che viene raccontato. Nel 2016 esce anche un suo film, Craigslist All Stars, di nuovo una piattaforma molto usata negli Stati Uniti per ogni genere di scambio, dove Samira posta ad esempio un messaggio di questo genere: «Voglio fare l’amore con un uomo sposato nella sua casa mentre sua moglie è presente. Qualche interessato?». E dichiara: «la prima volta che ho avuto l’idea di filmare degli sconosciuti è stato perché volevo scappare dal lavoro in studio e dalla collaborazione con professionisti, volevo lavorare su un progetto improvvisato e senza copione, con persone che non avevo mai incontrato prima». A Venezia il Leone d’Argento presenterà alla Biennale Teatro a Seek Bromance, pièce concentrata stavolta su un unico soggetto, Cade Moga, un artista trans. La pandemia ha impedito lo sviluppo di altri incontri, ma Samira non rimpiange la scelta. L’occasione è di demolire un falso mito sui trans, che spesso li vuole soli e problematici. Quest’opera vuole affermare che i «trans protagonisti sono complessi e tormentati, progressisti e ammirevoli…», ma soprattutto ribelli, pieni di amore e creativi.

ENG

We first met Samira Elagoz (born in Helsinki in 1989) at the Santarcangelo Festival in 2017. Their show Cock Cock… Who’s There? Was a documentary/personal history hybrid, a theatre recital, and a straight-up show performance. Elagoz used several meeting platforms to establish contact with random people and investigate the themes of lust, man-woman relationships, intimacy, and violence. On stage, they showed a dramatization of rape. A punch to the guts, with a splash of irony thrown in. The performer’s presence on stage was candid and clean – a young woman’s presence. I remember lowering my gaze as the performance drew to its end: the video closed in on their face, ravaged by the assaulter. Elagoz explains that the mouth is the most intimate organ of a human, or of a mammal in general. We may sometimes overlook our sex, feel detached from it, though never the mouth. Elagoz’s affirmation as a performer consolidated at Impulstanz, where in 2017 they were awarded the Prix Jardin d’Europe with Cock Cock… Who’s There?. The Egyptian-Finnish artist’s themes move continually between sex, gender, lust – a form of social archaeology that mercilessly investigates human beings. Everything is depicted very coldly, even rape. The narrator does not identify as the victim, but as part of the world the story takes place in. At the Theatre Biennale, Elagoz will present Seek Bromance, a piece on trans artist Cade Moga. The pandemic halted the development of part of their projects, but they are not unhappy with the result. The goal is to show trans people in their complexity, beauty, and lovability.

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IL NOSTRO POSTO E proprio quando il cinema si vorrebbe fosse un fatto domestico e privato, uno sguardo lungo la sua storia ce ne restituisce la statura. E ci restituisce il ruolo di spettatori

cinema

di Riccardo Triolo

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ell’era del metaverso, il cinema è la

nostra carne. Richiede presenza spettatoriale, non simulata come vogliono le arti immersive, ancora lontane dall’ottenere una significatività estetica a tutto tondo. E proprio quando il cinema si vorrebbe fosse un fatto domestico e privato, uno sguardo lungo la sua storia ce ne restituisce la statura. E ci restituisce il ruolo di spettatori. Terza edizione della rassegna-studio targata Biennale e realizzata con la collaborazione di Ca’ Foscari, Classici fuori Mostra riporta in auge una formula che si credeva estinta e che invece vive ancora, guadagnando nuovi consensi tra le giovani generazioni. La formula del cineforum - ma Q&A suona più smart - riporta lo spettatore al centro dell’esperienza estetica e l’esperto a orchestrare il dibattito in sala. Mica poco, considerati i tempi di piattaforme indifferenziate dove i prodotti – per lo più seriali – si affastellano e critici sono tutti, coi loro sterili pollicioni all’insù. Si comincia il 10 febbraio con uno dei migliori polizieschi di sempre, Il braccio violento della legge di William Friedkin, presentato da Michele Gottardi, pellicola libera da ogni pruderie di correttezza o di conformità, storia di criminali di città degradate, poliziotti bastardi e inseguimenti di elegantissima e robusta costruzione formale. E poi il 17, La regola del gioco di Jean Renoir, un classico “maledetto”, ignorato nel 1939 e mai distribuito in Italia fino agli anni Settanta, che mette in scena lo sdegno morale per il potere e per la guerra in un gioco di specchi tra servi e padroni. A cercare la carne, la presenza fisica nel cinema, arte che per prima cercò la disincarnazione, po-

nendosi come simulacro della realtà fisica e fenomenica, si passa certamente per la spiritualità intensa, plastica, carnale di Carl Theodor Dryer, il 24 febbraio con Dies Irae presentato da Carmelo Mirabello. Da connubi teorico-estetici irripetibili, come quello che generò il film-opera Il castello di Barbablù, diretto da Michael Powell su musiche di Béla Bartók e libretto del teorico del cinema Béla Balázs, vere e proprie perle da riscoprire, a capolavori di cinema allegorico-poetico, libero e personalissimo, come fu Pasolini in Uccellacci e uccellini, in sala il 31 marzo. Ancora Italia il 21 aprile in rassegna: una delle gemme del nostro poliziesco letterario, Il giorno della civetta, tratto da Sciascia e diretto magistralmente da Damiano Damiani, esemplare e paradigmatico film-denuncia della mafia e della sua matrice culturale. Altre latitudini, altra criminalità è quella messa in scena da Don Siegel nel poliziesco eastwoodiano L’uomo dalla cravatta di cuoio, presentato il 28 aprile da Adriano De Grandis. E se di corpo del cinema parliamo, allora The Oldest Profession, film erotico surreale e minimalista di Noboru Tanaka, presentato il 12 maggio da Roberta Novielli, è un’interessante variazione sul tema. Si chiude il 26 maggio con un teen movie russo girato ai tempi della perestrojka, Il corriere di Karen Shakhnazarov (ce ne parlerà Miriam De Rosa). Quattordici titoli, tutti in lingua originale, quattordici occasioni per ripensare il cinema, il suo ruolo, il nostro posto al centro della scena. In sala. Classici fuori Mostra 10, 17, 24 febbraio; 3, 10, 17, 24, 31 marzo Cinema Multisala Rossini www.labiennale.org


LA RÈGLE DU JEU di Jean Renoir

«Film mimetico e maledetto, film compatto ma aperto a più letture, film renoiriano come nessun altro ma unico nella sua opera, La regola del gioco appare una sorta di nitida fusione di tanti elementi che si stratificano e si dissolvono in un sublime marivaudage di servi e padroni. Un film di guerra senza nessuna allusione alla guerra, una società in decomposizione i cui principi appaiono già sfatti, un tragico balletto di servi e padroni che produce morte». (Gianni Volpi) 17 febbraio

UCCELLACCI E UCCELLINI di Pier Paolo Pasolini

«[...] Il film contiene alcune tra le cose più belle dell’autore; ed è probabilmente il più pasoliniano tra tutti i suoi film, quello, cioè, nel quale il regista si è più avvicinato al discorso libero e pieno di imprevisti che, almeno per ora, sembra essere lo scopo al quale mira il suo cinema. Quello che Pasolini non era riuscito a fare con Anna Magnani in Mamma Roma, cioè inserire il mondo dell’attore in quello del regista, qui gli è riuscito perfettamente con Totò che nella parte del padre ci ha dato une delle sue migliori interpretazioni». (Alberto Moravia) 31 marzo

IL GIORNO DELLA CIVETTA di Damiano Damiani

«Nei primi dieci minuti del film vengono esposti alcuni elementi fondativi del mafia movie: la supremazia del paesaggio siciliano, con il paesone dell’interno (il film è girato a Partinico), le voci dei doppiatori con un pesante e fittizio accento, la contrapposizione mafia vecchia/mafia nuova con una lunga spiegazione sui soldi che arrivano per i nuovi appalti; la saggezza del boss; il tema dell’omertà invincibile; la visita al cantiere; la figura della vedova; la ‘linea comica’ affidata a Tano Cimarosa nel ruolo di Zecchinetta. Un film che esplicitamente si presenta come ‘novella esemplare’ di una situazione criminale e politica». (Emiliano Morreale) 21 aprile

L’UOMO DALLA CRAVATTA DI CUOIO di Don Siegel

«Rivisitazione di uno dei più antichi temi americani: il puro ragazzo di campagna arriva nella grande città e mette alla prova i suoi valori di frontiera contro la corruzione della civiltà. Questa volta l’eroe è un forte e silenzioso vicesceriffo dell’Arizona, inviato a New York per estradare un assassino. [...] Don Siegel è completamente a suo agio in questo tipo di film. Incoraggia l’ostilità laconica e ottusa di Eastwood, esalta l’umanesimo frustrato di Lee J. Cobb e si diverte molto con un inseguimento in moto su e giù per i gradini e intorno ai marciapiedi di un parco». (Roger Ebert) 28 aprile 107


cinema RASSEGNE

Stile libero

Già la sua opera prima I basilischi del 1963 contiene al suo interno le basi della critica sociale che la Wertmüller ha portato avanti nella sua lunga carriera registica con opere che, nonostante il viraggio costante su toni della commedia, sembrano dei laboratori di studio della società italiana della seconda metà del secolo scorso. Prima aiuto regista di Fellini, poi candidata all’Oscar come miglior regista, prima donna nella storia dei premi, per Pasqualino Settebellezze nel 1977, la Wertmüller ha sempre seguito il suo spirito artistico e la sua passione professionale andando contro tutti i preconcetti e la misoginia diffusa nel mondo dello spettacolo dell’epoca. Lo stile della regista romana si consolida con il film Mimì metallurgico ferito nell'onore del 1972 dove il grottesco ed il comico servono a portare avanti una rappresentazione spietata del mondo del lavoro, con personaggi sopra le righe che delineano un racconto originale e vincente. Giancarlo Giannini, istrionico attore feticcio della regista, tornerà più volte nei suoi film, anche in accoppiata con la straordinaria Mariangela Melato: film dai titoli lunghissimi come Film d'amore e d'anarchia - Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza...” del 1973 e Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto del 1974 rimangono nell’immaginario collettivo come opere senza tempo. Andrea Zennaro Lina Wertmüller: l'amore e l'anarchia 3, 10, 17, 24 febbraio Casa del Cinema www.comune.venezia.it

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Una seconda pelle

Venezia, forse

Il problema razziale che da sempre permea la società statunitense spesso trova nel mondo dell’arte una sorta di antidoto capace di neutralizzare l’odio e di aprire le menti più radicalizzate. Sidney Poitier, con la sua alta caratura attoriale, ha azzerato le disparità e i pregiudizi sugli artisti neri all’interno dell’establishment culturale hollywoodiano: fu il primo afroamericano ad aver vinto l’Oscar come miglior attore protagonista per il film I gigli del campo nel 1964, in una roccaforte da sempre bianca. Ricordiamo che, nel periodo del muto, i volti degli attori bianchi venivano truccati di nero per interpretare i malvagi “di colore” mentre gli attori neri erano relegati in ridicole scenette di ballo e che, più tardi, un grande regista afroamericano come Oscar Micheaux poteva realizzare le sue opere su tematiche razziali solo per la fruizione di un pubblico nero. La figura di Poitier risulta dirompente nel panorama cinematografico dell’epoca anche nella declinazione della commedia raffinata di Kramer Indovina di viene a cena? del 1967: in questo film tutto il substrato ipocrita e razzista affiora di tanto in tanto a farci ricordare quanto l’integrazione fosse solo una parola rimasta in sospeso. Nel poliziesco ad alta tensione La calda notte dell'ispettore Tibbs viene ribaltato con maestria il punto di vista dello spettatore che si trova di fronte ad una storia avvincente con un protagonista insolito per l’epoca. Andrea Zennaro

Riprendono le proiezioni della rassegna cinematografica Paesaggi che cambiano della Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso, con un programma dedicato a Venezia e alla laguna. Nel solco delle parole di Andrea Zanzotto, cui la rassegna è dedicata fin dalla sua prima edizione, i cinque titoli proposti da marzo a maggio offrono prospettive diverse su luoghi che sono fra i più noti, ammirati, visitati, fotografati del mondo. Dal racconto in presa diretta dell’acqua granda del 2019 (La città delle sirene), alla ricerca del sentimento autentico di una città troppo spesso vissuta e consumata come un luna park (Sei Venezia), dalla rappresentazione visionaria, dalla parte degli adolescenti, di un paesaggio solo apparentemente immobile e senza tempo, preda del degrado dell’ambiente e delle relazioni (Atlantide), e, per finire, dallo scenario post-apocalittico che incombe come un futuro possibile anche in questi paesaggi familiari (La terra dei figli), accanto alla loro bellezza emerge prepotentemente la fragilità di questi luoghi, avamposti di prossimità di una crisi planetaria che richiede tutte le nostre energie per essere, almeno in parte, ricomposta. Magari immaginando nuovi modelli di coesistenza degli esseri viventi, possibili solo con la rinuncia definitiva al punto di vista esclusivamente antropocentrico, e sperimentando le straordinarie opportunità offerte dal dialogo tra visione artistica, consapevolezza ecologica, cura e progetto del paesaggio e dei luoghi. Simonetta Zanon

Sidney Poitier, un giglio che splende nel fango 1, 15, 22 febbraio Casa del Cinema www.comune.venezia.it

10. Paesaggi che cambiano 9, 23 marzo Fondazione Benetton-Treviso www.fbsr.it


New York, USA 1955 © Sabine Weiss

SABINE WEISS LA POESIA DELL’ISTANTE VENEZIA / TRE OCI 11.03.22 > 23.10.22 Mostra promossa da / Exhibition promoted by

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cinema RITRATTI

Senza voce

A’ Monica, se casca er pavimento, qui more tutto er cinema italiano! Alberto Sordi a una festa in casa di Monica Vitti

In una manciata d’anni, dal 1927 di Gina Lollobrigida al 1938 di Claudia Cardinale, nacque la più formidabile generazione di attrici che dai ‘60 in poi, per due decenni, fecero famoso il cinema italiano in tutto il mondo. Alcune di loro erano le magiche espressioni del nostro terroir: Sophia, Gina, Giovanna erano le bellissime popolane che esprimevano le più intime caratteristiche dell’anima nazionale, un mix di semplicità, istintualità, furbizia, durezza. Altre rappresentavano le pulsioni innovative dell’Italia, il suo tentativo di legittimazione politica europeista e di affermazione imprenditoriale nel mondo: Virna, Silvana, Lucia, ovvero le bellezze algide e distaccate della nostra borghesia alla conquista dei mercati. E poi, ci fu lei, Monica, l’inafferrabile Ariel del nostro cinema: la bellezza bionda, sofisticata, anti-italiana, l’attrice attraversata dai fantasmi, dalle paure, dai dubbi, una aura magica di predestinata sempre portata con consapevole riluttanza e ironica distanza. Era lei la più brava, non ci sono dubbi su questo. Mentre le altre provenivano tutte o quasi dai concorsi di bellezza (solo la Cardinale, altra anima inquieta, frequentò il Centro Sperimentale di Cinematografia, ma solo per un trimestre), Monica era uscita dall’Accademia di Arte Drammatica e aveva iniziato la carriera calcando i palcoscenici teatrali, con Sergio Tofano e Orazio Costa come maestri. E fu proprio Tofano a preconizzarle una grande carriera come attrice brillante.

mento smussandone un po’ il lato auto-ironico e caricando invece su altre tonalità essenziali (lo straniamento dell’impaccio erotico nell’Avventura, l’algida solitudine della ricca borghese ne La notte, la sconfitta dei sentimenti ne L’eclisse, la depressione senza speranza di Deserto rosso). E questa continuità sembra confermata dalla stessa Vitti quando nella sua autobiografia Sette sottane (era il suo nomignolo quando viveva da ragazzina a Messina, in una casa dove non c’era il riscaldamento e la madre la ricopriva di magliette, sottane, grembiuli) dice testualmente «Io ho sempre portato gli occhiali, mai però in scena. Quando me li tolgo, ho un attimo di smarrimento, e questo mi è servito con Antonioni». A leggerla, questa sua autobiografia, viene da chiedersi quanto approfondimento interiore, quanta introspezione psicologica siano stati necessari a Monica per definire quella sua recitazione così depurata, così femminilmente indipendente, così curiosa. I primi aneddoti vengono rievocati dopo pagine e pagine di ferrea auto-analisi come se si trovasse sul lettino dello psicanalista: i difficili rapporti con la madre che ostacola la sua vocazione, i rapporti con gli oggetti che popolano la sua casa, gli uomini, i ricordi della sua casa bruciata da un incendio con tutti i mobili e le cose dentro. Frasi stupefacenti come questa «Forse, se avessi una certezza, starei tranquillamente a contemplare il tragitto di questa certezza, come fosse una meteora» ricorrono a decine tra le

Ora, la carriera della Vitti sembra come suddivisa schizofrenicamente in due fasi diverse e fortemente squilibrate tra loro: i quattro film con Antonioni (dal 1960 de L’avventura al 1964 di Deserto rosso), e tutto il resto, cioè una cinquantina di film fino ai primi anni degli Ottanta e appartenenti al genere della commedia italiana. In realtà, la vena comica della Vitti si era manifestata già con successo anni prima della sua affermazione con la quadrilogia della incomunicabilità. Abbiamo in mente un piccolo delizioso film di Mario Amendola, Le dritte del 1958, ove lei capitanava un terzetto di svitate (le altre due erano Sandra Mondaini e Bice Valori), alle prese con l’obiettivo di farsi portare all’altare da un corrispettivo terzetto di farfalloni maschi. E già in questo film, prodotto assoluto del cinema di genere allora imperante, Monica Vitti appariva in tutta la sua siderale bravura. Mentre le altre due interpretavano egregiamente dall’inizio alla fine un tipo specifico di comicità e un unico modulo recitativo, Vitti sfoderava un’intera gamma di sfumature, che andavano dalla seduzione impacciata alla grazia interiore, dal signorile distacco al sentimento vero. Monica era già allora un mostro di bravura perché sapeva far trapelare al momento giusto quella fragilità, quella liquida complessità, quel leggero distacco tra lei e la storia raccontata nel film, che sono sempre state le cifre della sua recitazione, e che la trasformavano in una magnifica aliena che, ogni tanto, si distaccava dal film e si concedeva un momento di verità, rivelando la sua vera natura. Vitti non ha affatto cambiato il suo modo di recitare quando è passata ai film di Antonioni: semplicemente, ha mantenuto quel suo smarri-

pagine della auto-biografia, tutte esprimenti un inalienabile diritto al dubbio, all’ incertezza, alla perdita come riscatto di senso. Monica Vitti è stata il quinto colonnello del cinema italiano come dice Goffredo Fofi (gli altri quattro erano uomini… e non occorre dire chi erano...), la donna che ha rivoluzionato la commedia italiana trasformandola da espressione dei difetti del maschio in celebrazione della indipendenza che la donna si andava conquistando ai tempi. E lo è stata riversando nel cinema, che fosse quello di Michelangelo Antonioni o quello di Marcello Fondato o Luciano Salce, il suo carisma di mattatrice suo malgrado, la sua vibrazione interiore di fragile consapevolezza che toglieva al suo corpo ogni connotazione di libido propria a molte sue colleghe (da questo punto di vista, Vitti è stata davvero l’anti Lollo…). La sua voce roca, ideale per i ruoli volatili, liquidi, soggetti a continui cambiamenti espressivi; il suo corpo bello ed agile ma in continua sottrazione erotica; la sua capacità di interpretare gran borghesi impegnate in continue scaramucce conversazionali con il partner (ricordiamo tra tutti Ti ho sposato con allegria di Luciano Salce del 1967, con Giorgio Albertazzi) oppure popolane responsabili però di un percorso di crescita esistenziale e politica (anche qui un film tra tutti, un capolavoro che parte dalla classica commedia italiana e finisce a lambire i territori del free cinema inglese, La ragazza con la pistola di Monicelli del 1968): ce li porteremo dentro come l’espressione di un talento unico che, attraverso il genere della commedia brillante, seppe accompagnare la crescita di consapevolezza sociale del nostro Paese sul ruolo della donna. F.D.S. 111


cinema FESTIVAL

CINEFACTS a cura di Marisa Santin LA PAROLA AI GIURATI di Sidney Lumet (1957)

Dodici giurati devono esprimersi all’unanimità riguardo al caso di un uomo accusato di omicidio. Le prove di colpevolezza sembrano schiaccianti, ma esiste un ragionevole dubbio che infine rovescerà la sentenza. Mantenendo l’unità di spazio e tempo (tutto si risolve nella stanza dove i giurati si riuniscono per il tempo della discussione, senza l’ausilio di flashback), Sidney Lumet dirige una pietra miliare del genere processuale, giocando anche sulla profondità di campo, che parte dalla distanza per stringere sui primi piani man mano che il confronto fra i giurati volge alla fine. Grande interpretazione di Henry Fonda.

LA NOTTE

di Michelangelo Antonioni (1961)

Ambientato nella Milano anni ’60, il film segue la giornata di una coppia di intellettuali borghesi in crisi, uno scrittore di successo e la moglie, interpretati da Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau. La visita ad un amico in ospedale, la presentazione di un nuovo libro, il nightclub e una festa in casa di un ricco industriale: momenti privati e mondani si alternano dalla mattina all’alba del giorno dopo, mentre cresce fra i due un senso di impalpabile alienazione e incomunicabilità. Co-protagonista una bravissima Monica Vitti nel ruolo di Valentina, una giovane donna che tenta di scalfire l’impermeabilità del loro isolamento.

SORGO ROSSO di Zhang Yimou (1988)

Un’epopea che si inoltra nelle sconfinate campagne cinesi, fra le coltivazioni di sorgo della regione del Gaomi che in autunno si accendono di un vibrante colore rosso sangue. Al suo esordio alla macchina da presa, Zhang Yimou allinea le sue competenze di direttore della fotografia per comporre un luminoso affresco della Cina fra gli anni ’30 e ’70 del secolo scorso. Tratto dall’omonimo romanzo storico del premio Nobel Mo Yan, Sorgo Rosso esprime le contraddizioni e la complessità di un mondo drammaticamente sospeso fra i retaggi di una cultura millenaria e le spinte, spesso cruenti e sanguinarie, verso la modernità. Protagonista una giovane Gong Li alla sua prima prova da attrice.

MAGNOLIA

di Paul Thomas Anderson (2000)

Il fiore della magnolia ha petali carnosi e appariscenti dal profumo intenso e gradevole, petali talmente ben delineati da sembrare solitari, ciascuno per sé, come le storie e i personaggi del film che ha consacrato Paul Thomas Anderson nel gotha del cinema mondiale. Le vicende apparentemente sconnesse che compongono la narrazione corale di Magnolia poco alla volta prendono direzioni e forme che rivelano intrecci e connessioni impreviste. Surreale, sorprendente e a tratti grottesco, Magnolia mette insieme un cast indimenticabile: Philip Seymour Hoffman, Tom Cruise, Julianne Moore, John C. Reilly, Alfred Molina, William H. Macy, Jason Robards…

LA CITTÀ INCANTATA di Hayao Miyazaki (2002)

(parimerito con Bloody Sunday di Paul Greengrass) Una storia di formazione raccontata, disegnata e diretta dal grande poeta del cinema di animazione. Con La città incantata Hayao Miyazaki segna una tappa fondamentale di un genere che da questo momento in poi non potrà che confrontarsi con la sua arte. A dieci anni la piccola Chihiro si allontana dai genitori, intenti ad abbuffarsi come maiali, per entrare in un regno pieno di personaggi stravaganti, creature bizzarre, esseri mostruosi e meravigliosi. Visionario e immaginifico, il film è l’incanto dell’infanzia che scopre il mondo in quell’incredibile e irripetibile avventura che è il diventare grandi. 112


SUPERVISIONI

Il cinema sopra Berlino

Photo Umberto Montiroli

Sono 18 i film in concorso alla 72ma Berlinale che torna in presenza dopo 2 anni. 17 prime mondiali, 7 le opere dirette da donne, 11 i registi che sono già stati al Festival, 8 in concorso, 5 hanno già vinto un Orso d’oro. Tra le istantanee da consegnare ai posteri di sicuro troviamo l’Orso d’oro alla carriera per Isabelle Huppert. «È proprio una bella notizia che il Festival di Berlino si farà in presenza. Sì, è una bella sfida ai virus che ci perseguitano. È il cinema che combatte e Berlino è un Festival che non si scoraggia e cerca sempre il nuovo del cinema nel mondo» ha dichiarato Paolo Taviani apprendendo la selezione di Leonora Addio – unico film italiano – in corsa verso l’Orso d’oro, che ricordiamo avere già vinto insieme al fratello con Cesare deve morire nel 2012. Interpretato da Fabrizio Ferracane con Matteo Pittiruti, Dania Marino, Dora Becker e Claudio Bigagli, e prodotto dalla sodale Donatella Palermo con Rai Cinema, in associazione a Luce Cinecittà e Cinemaundici, Leonora Addio è il racconto della rocambolesca avventura delle ceneri di Pirandello e del movimentato viaggio dell’urna da Roma ad Agrigento, fino alla tribolata sepoltura avvenuta dopo quindici anni dalla morte. Diverso ma ugualmente maestro nella Storia del nostro cinema, Dario Argento presenta in premiere mondiale il suo attesissimo lavoro, Occhiali neri, in Berlinale Special Gala. Di scena una giovane che perde la vista a seguito di un incidente in macchina mentre fuggiva da un’aggressione. Il tutto nell’oscurità di un’eclissi solare di una torrida giornata d’estate. A interpretare l’opera, che percorre le tracce del thriller a tinte horror che lo stesso Argento ha contribuito a formulare, sono Ilenia Pastorelli, la figlia Asia Argento e il giovanissimo Xinyu Zhang. Festival di Berlino 2022 10-20 febbraio www.berlinale.de

Il successo di Parasite (2019), vincitore di due premi Oscar, ha puntato i riflettori sulla carriera e i lavori del regista sud coreano Bong Joon-ho. Se la lotta di classe è una delle tematiche evidenti sia in Snowpiercer (2013) che in Parasite, la varietà dei temi affrontati in molti dei suoi lavori rende la scoperta di questo regista molto interessante e piena di sorprese. Bong Joon-ho si è dedicato infatti a generi e tematiche differenti, anche se l’attrazione verso il poliziesco tesse in qualche modo un filo comune, come dimostrano Peullandaseu-ui gae (2000), Memorie di un assassino (2003) e The Host (2006). A primo impatto Memorie di un assassino è caotico e rumoroso, pieno di parole, gesti e personalità che si ammassano e si disturbano a vicenda. Sono ben poche le scene riflessive e senza dialoghi, molto spazio viene invece dato alla storia, ai ritratti di campagna e al racconto della vita di provincia sud-coreana. Nei primi minuti del film si è immediatamente catapultati in un campo di grano, dove viene rinvenuto il corpo della prima vittima del serial killer che turba la vita tranquilla della piccola cittadina di campagna. Il film è un giallo di altri tempi la cui storia non viene calata in un’ambientazione tetra o angosciosa come siamo abituati oggi, ma anzi, la realtà viene trattata con leggerezza e spesso sdrammatizzata dai commenti e dalle osservazioni dei poliziotti locali che si occupano di risolvere il caso. Ironici e grotteschi, i personaggi di Bong Joon-ho sono molto caricaturali, rimanendo comunque realistici e perfettamente coerenti con l’ambientazione e il contesto campagnolo dove si svolge la vicenda. Il ritmo tende ad assumere un tono più grave a partire della seconda metà della pellicola, quando comincia ad emergere il lato più serio, fragile e triste dei personaggi principali. Il film è un’eterna caccia all’assassino, un tentativo esasperato di scovare il serial killer, mentre ci si imbatte in pervertiti e disabili del luogo che hanno poco o nulla a che fare con i delitti. Una serie di interrogatori poco ortodossi fatti in uno scantinato a suon di botte, nel quale qualsiasi sospettato viene fatto confessare per reati che in realtà non ha commesso. Da qui il titolo Memorie di un assassino: tutte le testimonianze sono infatti raccolte da un vecchio registratore a cassette. Il caso sembra prendere finalmente una svolta all’arrivo di un investigatore di Seoul, figura molto riservata e inizialmente poco amata dal resto del corpo locale. Il numero delle vittime continua a salire e gli indizi allontanano pian piano i poliziotti dallo scoprire la vera identità dell’assassino. Verso la fine del film inizia a farsi strada un sentimento, un inspiegabile senso di amicizia e vicinanza nei confronti di Park Doo-Man, il poliziotto locale, e del suo scagnozzo, Cho Yong-koo, entrambi devastati da una solitudine profonda. A causa di questo caso, la vita di tutti i personaggi cambia in maniera irreversibile. Se all’inizio il film è quasi divertente e scatena una certa ilarità, con il passare del tempo si fa sempre più impegnativo e noir, soprattutto dal momento in cui emergono i dettagli raccapriccianti sulla morte delle giovani vittime. Questa transizione di genere è inaspettata e destabilizzante, ma sicuramente vincente per tenere gli occhi dello spettatore incollati allo schermo. Maria Casadei 113


Intervista Jacopo De Michelis

ATTORNO A MEZZANOTTE La Stazione Centrale, all’ombra della quale sono nato e cresciuto, mi affascinava fin da bambino. La sua storia è indissolubilmente legata a quella di Milano di Elisabetta Gardin

etcc...

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l critico Antonio D’Orrico si è speso in gran-

di elogi, definendolo un capolavoro, scomodando persino Umberto Eco e Il nome della rosa. Chiaro che con tali premesse le aspettative per La stazione, romanzo d’esordio di Jacopo De Michelis, siano altissime, ma vi assicuro che non rimarranno deluse. Il thriller, e allo stesso tempo romanzo d’avventura, edito da Giunti, è davvero avvincente; un noir dalla trama articolata che si legge tutto d’un fiato. Fa da sfondo alle sue intricate vicende la Stazione Centrale di Milano, con tutta la sua lunga storia e i suoi segreti. Un sito maestoso e al tempo stesso oscuro, misterioso, luogo per antonomasia di viaggi, incontri, di vite che si intrecciano. Nella ricca galleria di commissari che i lettori tanto amano, fa qui ora il suo ingresso Riccardo Mezzanotte: è giovane, da poco approdato alla Polfer di Milano, molto restio a piegarsi di fronte alle gerarchie, alla burocrazia e a tutte le regole troppo rigide. L’ispettore inizia a indagare su un caso apparentemente banale e poco interessante – da qualche tempo alla stazione di Milano si assiste al ritrovamento di cadaveri di animali mutilati –, ma da lì si approderà a un mistero inquietante e pericoloso. Nel racconto la vita dell’ispettore si intreccerà con quella di un altro personaggio fondamentale, Laura Cordero, bella, ricca, dotata di uno speciale ‘dono’. L’autore, Jacopo De Michelis, è nato nel 1968 a Milano e qui si è laureato in filosofia teoretica. Ha fatto il traduttore dal francese, è stato curatore di collane e antologie, consulente editoriale e ha insegnato narratologia presso la Nuova Ac-

cademia di Belle Arti di Milano. Oggi vive a Venezia, dove è editor e coordinatore della narrativa di Marsilio Editori. L’abbiamo incontrato per cercare di indagare sulla radice, tra le maglie, di questo intrigante esordio narrativo. Come è nata l’idea di scrivere il suo primo romanzo? La prima idea l’ho avuta negli stessi anni in cui è ambientato – ossia circa vent’anni fa – leggendo un articolo su quello che sarebbe poi divenuto noto come il “binario 21”, il binario sotterraneo da cui durante la Seconda guerra mondiale partivano in segreto i convogli carichi di deportati diretti verso i lager nazisti. Da lì è scaturita la prima immagine del romanzo: due bambini che ogni sera, al crepuscolo, una ragazza vede aggirarsi nei dintorni della stazione, apparentemente soli e abbandonati, di cui nessuno tranne lei sembra essersi accorto. Per anni quell’immagine mi ha ronzato in testa, trasformandosi a poco a poco in un abbozzo di storia, finché, circa otto anni fa, siccome non la smetteva di ossessionarmi, ho capito che dovevo provare a scriverla. La stazione è un luogo di transito, uno spazio di ‘sospensione’, quasi un non-luogo. Che cosa simboleggia davvero per lei? La Stazione Centrale, all’ombra della quale sono nato e cresciuto, mi ha sempre affascinato sin da bambino. È uno La Stazione di Jacopo De Michelis (Firenze, Giunti Editore, 2022) Presentazione del volume: 3 febbraio h. 18 Sala Tommaseo, Ateneo Veneto, Campo San Fantin


SESSANTA PIÙ UNO

© Filippo Romano

degli edifici simbolo di Milano e una delle sue principali porte d’accesso. La sua storia è indissolubilmente legata a quella della città, anche in alcuni dei suoi risvolti più drammatici e oscuri, e può essere utilizzata come una sorta di cartina di tornasole capace di rivelarne il livello di degrado sociale. Tutti aspetti che ho affrontato nel libro, inserendoli in una cornice romanzesca che ha trasformato la stazione in una via di mezzo tra una casa infestata e una “isola misteriosa” – quella di Verne, ma anche quella di Lost –, un luogo abitato dai fantasmi del passato, teatro di avvenimenti inspiegabili che i protagonisti cercano affannosamente di decifrare. Molta letteratura è legata alle stazioni, ai treni. Pensandoci mi vengono subito in mente due romanzi bellissimi di autori che hanno segnato la letteratura del’900: Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie e Il treno di George Simenon. Quali le sue eventuali fonti di ispirazione letterarie? C’è un autore in prticolare che l’ha avvicinata al genere noir? Ben più d’uno: da Giorgio Scerbanenco a Jean-Patrick Manchette, da James Ellroy a David Peace, da Don Winslow a Stieg Larsson. Per quanto riguarda specificamente La stazione, oltre che dallo stesso Scerbanenco con il suo racconto Stazione centrale: ammazzare subito, ho tratto ispirazione da uno splendido racconto-reportage sulla stazione contenuto in Silenzio a Milano di Anna Maria Ortese e da Giuseppe Genna, nei cui romanzi e racconti la Centrale si affaccia spesso. Immagina già una possibile trasposizione cinematografica o televisiva del suo romanzo? Gli ispettori, i commissari - a partire da Montalbano - sono ormai da anni i personaggi più amati del piccolo schermo. Chi vedrebbe bene nel ruolo di Riccardo Mezzanotte? Sarebbe fantastico se davvero accadesse, ma è ancora quantomeno prematuro parlarne. Io posso dire che durante la stesura del romanzo mi immaginavo Mezzanotte con le fattezze dell’Edward Norton di Fight Club… Lei è anche un grande appassionato di fotografia; fotografare e scrivere, due modi diversi di raccontare la realtà, forse il primo più diretto, immediato, il secondo più mediato, spesso frutto di labor limae. In quale dei due linguaggi ritiene di riuscire ad esprimersi al suo meglio? La fotografia è una semplice passione, anche se la prendo piuttosto sul serio. Esprimermi per immagini per me è molto rilassante e rigenerante. Mettere temporaneamente da parte le parole, con cui ho costantemente a che fare sia nel mio mestiere di editor che mentre scrivo, mi aiuta a rinfrescarmi le idee. Le due attività comunque non mancano di influenzarsi a vicenda: cerco anche di raccontare storie con le mie foto e di catturare immagini della realtà attraverso la mia scrittura. Lei lavora alla Marsilio Editori. Ci regala un ricordo di suo zio Cesare, grande protagonista della vita culturale del nostro Paese, tra i fondatori e Presidente storico della casa editrice? Ho dedicato il romanzo anche a Cesare perché molto di quello che so sull’editoria e la letteratura l’ho imparato lavorando accanto a lui qui alla Marsilio. Era un grande intellettuale e un grande editore. Posso citare una delle sue massime editoriali a cui, nel mio lavoro, faccio riferimento come a un faro che illumina costantemente la rotta: «È più importante vendere i libri che si fanno che fare i libri che si vendono».

«Far libri, stamparli, leggerli, scriverli, raccoglierli, venderli, recensirli, nella mia vita mi sembra di non aver fatto altro, come se un’ossessiva passione mi avesse travolto appena ragazzo. Eppure, da sempre mi è sembrato non privo di significato farli qua, dov’ero cresciuto, nella nostra terra, magari a Venezia. Quando cominciai lo sapevo e non lo sapevo che la Serenissima era stata la patria del libro, che proprio nell’isola aveva preso forma e si era definito, all’alba del Cinquecento, quello strano mestiere che è far l’editore, grazie a Aldo Manuzio, il principe e il principio di tutta la storia dei libri. Per questo continuo a fare libri a Venezia, come se il tempo che intanto è passato non sia bastato a cancellare una storia che ha ormai cinque secoli e più». Le parole di Cesare De Michelis, scomparso nel 2018, sono un manifesto attualissimo e racchiudono in poche righe il pensieroguida dei sessant’anni più uno della Marsilio Editori, che saranno festeggiati il 23 febbraio 2022 con un evento privato al Teatro La Fenice, un omaggio alla straordinaria storia della casa editrice così radicata nel cuore di Venezia. Un progetto infatti nato il 23 febbraio 1961 – il suo nome deriva da Marsilio da Padova, filosofo del XIV secolo, pensatore e giurista ghibellino – da un gruppo di amici appena laureati che decidono di continuare a svolgere attività culturale con il comune intento di individuare e offrire gli strumenti necessari a definire quel progetto politico di riforme che l’Italia sembra decisa ad affrontare. Nel 1969 Cesare De Michelis, che già da anni collabora alla casa editrice, assume la direzione della casa editrice, guidata poi ininterrottamente dalla famiglia De Michelis e oggi nella galassia Feltrinelli, pur in posizione autonoma. Sessant’anni più uno, dunque, in cui tra narrativa contemporanea italiana e straniera, saggistica accademica e d’attualità politico-sociale, libri a carattere testimoniale, classici, cataloghi di mostre e libri illustrati, Marsilio ha pubblicato più di 8.000 titoli, di cui 3.000 ancora in listino e circa 250 novità all’anno, dimostrando quotidianamente nei fatti di essere una delle più importanti case editrici italiane. Guidata ora da Emanuela Bassetti, con oltre 40 addetti tra grafici, editor, redattori, promotori e altre figure professionali e con un fatturato medio annuo di 12 milioni, Marsilio rappresenta uno dei maggiori insediamenti culturali del Triveneto, una vera e propria risorsa da salvaguardare e certamente da festeggiare. Buon compleanno! www.marsilioeditori.it

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INTERVISTA PRESIDENTE REGIONE VENETO

RAGIONE E SENTIMENTO Il Coronavirus è un “big bang” come lo sono stati le guerre mondiali, il ‘68, il crollo del Muro di Berlino o l’attentato alle Torri Gemelle di Elisabetta Gardin

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uca Zaia nel 2020 è stato confermato Presidente della Regione del Veneto per il terzo mandato, ottenendo il 76,8% dei voti, una percentuale schiacciante quasi da “maggioranza bulgara”, che ha evidenziato l’enorme gradimento di cui gode nella sua terra, basti pensare che prima di lui nessun presidente di Regione aveva mai superato la soglia del 70%. Zaia nasce a Conegliano nel 1968. Diplomatosi alla Scuola Enologica di Conegliano, si è poi laureato in Scienze della Produzione Animale presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Udine. A 25 anni diventa consigliere comunale della Lega Nord-Liga Veneta a Godega di Sant’Urbano, il paese della Marca trevigiana dove viveva con la sua famiglia; da lì in poi la sua carriera politica decolla, passando da Presidente della Provincia di Treviso a Vicepresidente della Giunta Regionale del Veneto, fino a ricoprire l’incarico di Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali nel Governo Berlusconi del 2008 e infine, e a tutt’oggi, quella di Presidente della Regione. Ha il profilo e un percorso da classico selfmade man: fin da piccolo aiuta il padre nell’officina meccanica, durante gli studi universitari si mantiene facendo il PR in varie discoteche, senza per questo mai disdegnare lavori faticosi. Molto legato al suo Veneto, è considerato “un uomo del fare”, pragmatico e diretto; più che politico preferisce essere definito amministratore. Soffre da sempre d’insonnia, dorme forse tre ore per notte, e proprio nelle notti senza pace del periodo della pandemia, in cui tutto viene ingigantito dall’ansia, dalla preoccupazione, inizia a ripensare alla sua storia, a fare bilanci. Da qui prende vita il libro Ragioniamoci sopra. Dalla pandemia all’autonomia uscito per Marsilio lo scorso novembre, una narrazione che si snoda tra le diverse varie fasi della sua vita, una sorta di viaggio tra passato e presente, partendo naturalmente dalle proprie

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radici. Racconta così dei nonni emigranti, della sua infanzia nel paesino di Bibano, del suo primo viaggio in Due Cavalli dalla Pianura Padana fino a Marbella, del servizio civile e poi gli inizi con la Liga Veneta, il matrimonio, le sue passioni, soprattutto quella per i cavalli – iniziata a 14 anni con la sua prima cavalla, Mary. Ovviamente grande spazio è dato alla politica e a tutte le sfide da affrontare, da quella digitale, a quella della pandemia fino alla speranza sempre viva dell’autonomia per il Veneto. La carriera politica lo porta a grandissimi traguardi; si sente fiero oggi che, anche grazie a lui, il Veneto sia diventato uno dei motori del nostro Paese. Il suo valore e la sua autorevolezza sono ormai indiscutibili a livello non solo territoriale, ma anche nazionale. Una parte fondamentale del libro è legata alla pandemia. Ritroviamo la cronaca di un periodo drammatico, una sorta di bollettino di guerra: Vo’ trincerata, sospeso il Carnevale di Venezia, tutte le attività produttive ferme «in una terra dove il lavoro è una sorta di religione». Dopo la tragica esperienza di questa epidemia, ancora non del tutto debellata, è più che mai orgoglioso della Sanità veneta, una macchina a suo dire eccezionale, un modello da seguire e imitare, «fatta di professionisti formidabili». Parole di elogio non solo rivolte alla competenza e alla generosità del personale sanitario, ma alla straordinaria abnegazione altruistica di tutti i volontari, moltissimi, che hanno deciso di mettere a disposizione il loro tempo e il loro impegno per un’altissima causa comune. Alla luce di questo biennio drammatico, che ha messo alla prova le qualità effettive di chi ha l’onere di dover governare territori e collettività, incontrare Luca Zaia per approfondire almeno alcuni temi trattati da questo suo libro autobiografico è stata quindi per noi ben più di un’ordinaria curiosità che si riserva in tempi normali a una figura autorevole delle istituzioni.


Impossibile non elogiare l’efficienza della Sanità veneta durante la pandemia, che lei ha definito come un nuovo “big bang”. È stata anche molto apprezzata la sua chiarezza, il suo quotidiano impegno nell’informare i cittadini. Come ha vissuto questo lungo periodo? Si è sentito solo? Non potrò mai scordare quel 21 febbraio 2020, quando mi hanno avvertito che, anche a “casa nostra”, a Vo’ Euganeo, era stato individuato il primo caso di Covid-19. È stato come se fossimo entrati in guerra. È per questo motivo che anche il Coronavirus è un “big bang” come lo sono stati i conflitti mondiali, il ‘68, il crollo del Muro di Berlino o l’attentato alle Torri Gemelle. Da quel giorno, infatti, la vita di tutti noi è cambiata: basti pensare che un semplice abbraccio o una stretta di mano, che prima venivano dispensati con naturalezza e trasporto, ora, invece, sembrano gesti di un passato lontano. Il sorriso? Lo leggi negli occhi e non più sulle labbra nascoste dalla mascherina. Non è stato facile quando è scoppiata la pandemia e non lo è nemmeno ora, ma non mi sono mai sentito solo, perché ho avvertito i veneti sempre al mio fianco, a partire dai bambini che, con la forza che li contraddistingue, hanno preso in mano le loro armi, fogli e pennarelli colorati, per creare bellissimi disegni, per regalarci messaggi indelebili che ancora oggi portiamo stampati nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Senza scordare gli uomini e le donne della Sanità veneta che si sono rimboccati le maniche, rinunciando alle ferie e al riposo a casa per accudire e fornire una parola di conforto a quei pazienti che venivano attaccati dal virus. Vede all’orizzonte una reale e duratura ripresa economica dopo la profonda crisi che questa emergenza pandemica ha generato ovunque nel mondo? Anche se il virus non sembra volerci fornire una tregua, il nostro lavoro continua imperterrito pancia a terra. Nello specifico la Regione del Veneto ha approvato il bilancio di previsione regionale 2022-2024, un bilancio che vale 17 miliardi e 178 milioni di euro in cui solo il Covid-19 incide per 1 miliardo e 300mila euro. La strategia adottata è sempre quella che punta su una cosiddetta “free tax” per non pesare sui cittadini e sulle imprese venete: ricordo che la Regione del Veneto è l’unica in Italia a non imporre da 11 anni l’addizionale regionale Irpef, stiamo parlando di circa 1 miliardo e 270 milioni di potenziali tasse che restano nelle tasche dei cittadini. Per quanto riguarda le imprese, stanno già mostrando una timida ma ottimistica ripresa economica che ci inorgoglisce assai, poiché mette in luce l’identità e l’indole venete votate al lavoro, la caparbietà e lo spirito di abnegazione insofferenti a ogni qualsivoglia forma di resa. Il titolo del libro è un omaggio a Maurizio Crozza, a uno dei tormentoni della sua imitazione. È riuscito quindi serenamente a riderci su? Cosa pensa di questo “pezzo” graffiante del comico genovese? Il titolo del libro nasce proprio da lì, sì. Ognuno di noi, se si ascolta, scopre di usare delle frasi ricorrenti: la mia è appunto «ragioniamoci sopra», che, alla fine, è un’italianizzazione del veneto pensemoghe sora. Crozza durante la pandemia riesce a fare satira ma anche informazione: infatti si ispira sempre a una solida rassegna stampa. La sua satira, pertanto, è una sorta di satira “informata” che è risultata molto utile anche ai cittadini che lo seguivano. Sempre più spesso si parla e si scrive di una sua presunta rivalità con Salvini. In molti guardano a lei come la vera guida della Lega. È fantapolitica? L’ho scritto nero su bianco, l’ho esplicitato in quarta di copertina: chi pensa di trovare in questo libro un manifesto politico rimarrà deluso. Alla fine sono coerente con quanto sempre affermo, ossia che sono un amministratore e in quanto tale agisco.

È stato un grande sostenitore delle Olimpiadi invernali MilanoCortina 2026. Crede davvero che porteranno una grande ricaduta su tutta la Regione? Si farà in tempo a creare le infrastrutture necessarie? I Mondiali di Cortina ci hanno permesso di metterci alla prova e di lavorare sodo per fornire già un’immagine delle Dolomiti più moderna e tecnologica, ma sempre con un occhio di riguardo al paesaggio e all’ambiente. Un territorio sulle cui vette si fondono meravigliosamente insieme il turismo e lo sport grazie alle opere infrastrutturali già realizzate. Si possono infatti oggi toccare con mano alcuni importanti interventi di riqualificazione recentemente conclusi in particolare a Cortina, vedi ad esempio quelli in zona Rumerlo e in località Gilardon, sulle piste Vertigine, Olympia, A-B Col Drusciè e Lacedelli Cinque Torri. Efficaci anche i bypass di attraversamento che troviamo nella nuova finish area, in prossimità dell’impianto funiviario Freccia nel Cielo, la nuova cabinovia Cortina-Col Drusciè e quella di Son dei Prade-Bai de Dones. Senza dimenticare la realizzazione del nuovo sistema di protezione anti valanghe e della ristrutturazione della piscina comunale di Guargnè. Opere che dimostrano come sappiamo utilizzare bene le risorse economiche che ci vengono assegnate: se sommiamo i 100 milioni dei Mondiali di Cortina coi 527 milioni destinati alle Olimpiadi (325 solamente per il Veneto), è evidente che molte altre opere, molti nuovi sogni, potranno concretamente tramutarsi in realtà. Lei è molto schivo, molto geloso della sua vita privata. Non sempre per un personaggio pubblico è facile proteggere la propria privacy. Come ci riesce? Credo derivi molto da quanto mi ha trasmesso la mia famiglia. Un nonno, nato in Brasile da emigranti che, dopo che la famiglia è rientrata in Italia, è stato costretto a emigrare a New York per lavorare e che ha dovuto rimboccarsi le maniche, giorno dopo giorno, per farcela. Un padre meccanico che, quando era tempo di revisioni, stava anche in fila ore, di notte, al gelo in inverno, al caldo torrido in estate, per attendere il via libera dell’ingegnere. Una famiglia che non si è mai arresa, come è iscritto nel DNA dei veneti, e che mi ha insegnato come solo i pessimisti non fanno fortuna e non ce la fanno; una famiglia che mi ha insegnato che l’umiltà, la semplicità e la discrezione sono valori intramontabili. Ogni giorno lavora a Palazzo Balbi qui a Venezia. Che rapporto ha con questa città? Come vede il futuro di Venezia tra acqua alta, spopolamento e un turismo di massa che ormai pressoché quotidianamente la invade senza troppo rispetto? La Regione del Veneto recentemente ha promosso, insieme ad altri partner, lo sviluppo del progetto “Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità”, ovvero un piano di interventi funzionali per lo sviluppo sostenibile del territorio con al centro proprio la città capoluogo. Tra le azioni previste emergono la transizione energetica e la sostenibilità ambientale, che tra i vari interventi comprendono anche la creazione di un Polo dell’Idrogeno, che, con sede a Marghera, potrà innescare una filiera con ricadute innovative ed esportabili per il contrasto agli effetti del cambiamento climatico, per un approccio green ai trasporti e alla mobilità oltre che per il contenimento del consumo energetico. Il Piano punta poi a rilanciare l’offerta formativa, servizi e residenzialità per gli studenti, ma anche per i lavoratori e i residenti della città storica. Inoltre prevede un impegno vivace e concreto per il commercio e il contrasto delle attività illegali fino alla realizzazione di un nuovo modello turistico più sostenibile, con l’impiego del digitale nella gestione dei flussi e nell’erogazione dei servizi. Un programma ambizioso che può contare su risorse economiche per un ammontare tra i 2,5 ai 4 miliardi di euro (fondi e finanziamenti sia pubblici sia privati), risorse fondamentali per proiettare il nostro territorio e Venezia nel futuro. 117


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etcc... PAROLE a cura di Renato Jona

CAPO P

unto e a capo!

Quante volte abbiamo sentito questa espressione usata per terminare un pensiero, per mettere fine a una discussione, per far cessare una diatriba. In forma “elegante” sostituisce il più volgare: basta! È un inequivocabile invito ad abbandonare la strada intrapresa, ritenuta vacua, dannosa, inutile; in fin dei conti potrebbe anche essere un’espressione spontanea che indica la perdita della pazienza che può non riguardare soltanto l’argomento trattato, quanto anche per il modo con cui è stato trattato. Come mai per perseguire quest’esigenza, utilizziamo un preciso riferimento alla testa? Si tratta di un espediente variamente utilizzato che volta a volta, può contenere in sé un significato di “inizio”, oppure di “particolare rilievo” che si vuol attribuire ai nostri concetti, ai nostri modi di dire. Merita soffermarci qualche attimo a riflettere, considerare l’uso che ne facciamo, così tanto frequente, che quasi non ce ne accorgiamo più. Per partire da lontano, analizziamo un vocabolo che nell’era del computer è quasi desueto: capolettera. È un sostantivo che si riferisce alla prima lettera della prima riga di uno scritto. Prima lettera che merita un riguardo particolare, che va messa in rilievo per sottolineare l’importanza e talvolta la preziosità di tutto lo scritto successivo. Nel Medioevo, ad esempio, la prima lettera di brani particolari, veniva non soltanto scritta con un carattere più grande di quello utilizzato per tutte quelle che seguono, ma talvolta veniva decorata, colorata, addirittura, in casi speciali, miniata, rendendo degno di attenzione, ammirazione e rispetto tutto lo scritto successivo che ne veniva in tal modo impreziosito. Senza risalire così tanto indietro nel tempo, ma limitando lo sguardo semplicemente all’inizio del secolo scorso, quando gli scritti erano ancora manuali e curati anche esteticamente, tante persone avevano la propria carta distinta mediante un semplice capolettera, per lo più consistente nella lettera iniziale del proprio nome, più grande delle altre, posizionata spesso al centro, all’inizio del foglio. Qualche volta si trattava anche di due lettere, intrecciate tra loro e colorate, che consentivano di riconoscere il mittente della missiva senza dover ricorrere al simbolico stemma della casata (ove esistesse…). Volgendo invece lo sguardo a momenti conviviali di vita quotidiana incontriamo nuovamente l’espressione, assai comune: capo tavola. Anche in questo caso ci si riferisce al posto di maggior rilievo, spesso unico, o al massimo condiviso, attorno al desco, considerato posto d’onore, riservato alla persona più ragguardevole, che merita rispetto anche soltanto per la sua posizione, età, autorevolezza, che merita di essere distinto dagli altri, evidenziato, al quale nessuno sta accanto…, colui che può vedere bene dalla sua posizione tutti gli altri commensali ed essere visto, senza interferenze. Insomma, potrebbe essere il… capo famiglia (ed ecco che siamo nuovamente “cascati” nel campo della nostra parola!). Anche nell’ambito dell’abbigliamento ritroviamo un rifermento al nostro

termine: quante volte sentiamo parlare di capospalla. Con l’uso frequente il termine ha assunto svariati significati: ad esempio nelle collezioni donna, i capi di vestiario dotati di spalle devono essere lavorati con maggior cura: tailleur, soprabito, paletot o cappotto. Nella collezione maschile, cappotto o giacche. Ma ritroviamo anche in uso soltanto: capo di vestiario che probabilmente all’origine aveva il significato di manufatto importante adatto per quella persona (e questo prima che gli abiti venissero prodotti in serie, con taglie prestabilite, convenzionali). Oggi invece, significa soltanto un elemento da indossare. Pian piano, il termine capo ha assunto anche il significato di unità, di pezzo. Ma il senso più comune attribuito alla parola capo è quella che è riferita al significato di massimo potere. Il capo di un esercito è colui che, senza discussione, è al vertice della gerarchia militare e ha il massimo potere di comando. Anche nelle organizzazioni civili, nella burocrazia, il capo è colui che ha maggior potere, maggior possibilità di comando, che è all’apice della gerarchia. I velisti non pensino che li abbia dimenticati nel mio sguardo sull’uso della parola capo! Tutti ricordiamo di cosa si tratta: in senso geografico il termine si riferisce ad un promontorio, al punto estremo di una penisola, sempre probabilmente riferendosi al corpo umano di cui la testa costituisce il punto estremo. È incredibile quante espressioni derivano proprio da questa parte, privilegiata, valutata come la più importante, sede del pensiero, della sensibilità, dei sentimenti, del ragionamento! Una cosa che capita tra capo e collo è una cosa che non concede tempi per scelte alternative. Viceversa, una cosa senza senso è detta: senza capo né coda! Ancora. L’umiliazione, l’accettazione si esprime con il comune chinare il capo. Ma, in questo momento il posto… d’onore dell’uso della parola capo, non può che essere dedicato alla ricerca, alla individuazione ed elezione della persona giusta per ricoprire la funzione di Capo dello Stato, di Presidente della Repubblica. A proposito di quest’ultima abbiamo utilizzato il termine: persona giusta! Infatti, quali sono i requisiti di questo essere straordinario, apparentemente forse… sovrannaturale? Per renderci conto della difficoltà di reperimento riflettiamo sui requisiti che deve possedere: deve essere una persona onesta, intelligente, in salute (l’attività del Presidente della Repubblica è poco visibile, ma è continua e massacrante), non troppo giovane, quindi di non scarsa esperienza, né troppo anziano, per reggere agevolmente il carico di lavoro, capace di spogliarsi delle proprie idee e di agire soltanto nell’interesse generale dello Stato, che goda della simpatia e della stima e della fiducia di tutti i Cittadini, nonché quella delle altre Nazioni, coraggioso, coerente, autorevole, diplomatico, di carattere paziente, ma fermo, lavoratore instancabile e sorridente, preparato, in grado di parlare varie lingue, di presiedere il Consiglio Superiore della Magistrature e il Consiglio Supremo di Difesa. Mi rendo conto che il mio elenco delle qualità necessarie è riduttivo, ma volevo citare soltanto i principali requisiti indispensabili per un buon Capo di Stato, evitando che gli “addetti ai lavori” di ricerca del personaggio adatto possano scoraggiarsi… Trovate davvero il compito difficile? Suvvia. Una soluzione si trova. Occorre essere ottimisti, non abbandonarsi mai allo sconforto, non disperarsi e soprattutto non sbattere il capo nei muri! Un pensiero incoraggiante: quando queste righe verranno stampate, probabilmente le riflessioni fatte saranno già superate e il Presidente della Repubblica sarà già stato eletto. Il che confermerebbe ancor più il detto: «Cosa fatta, CAPO ha!» 119


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etcc... Corrispondenze attive

BIG LITTLE LAGOON

Educazione emozionale

Il Vajont, Foto Archivio Dolomiti Contemporaneo

Lo sguardo sulle forme attuali di abbandono degli spazi, dal mondo rurale alla montagna, dall’abitare ai grandi complessi industriali, necessita di un approfondimento che la cultura del paesaggio e del giardino può affinare con attitudine e strumentazione diverse, trasformando questa condizione in valore, in condizione di crescita, e immaginando ogni azione non come misura riparatoria ma come preziosa vitalità progettuale. Non più teatri della memoria o spazi in attesa di processi di sostituzione, ma una sfida da cogliere e “coltivare” in chiave fattiva e condivisa. Abbandoni. Il paesaggio e la pienezza del vuoto, a cura di Luigi Latini e Simonetta Zanon, è il tema cardine della diciottesima edizione delle Giornate Internazionali di Studio sul Paesaggio promosse da Fondazione Benetton Studi Ricerche, a febbraio, il 18 (ore 15-19), 24 e 25 (ore 16.30-19), e a marzo, l’11 (ore 18), online su piattaforma Zoom. Studiosi, esperti e professionisti di diverse discipline sono invitati a partecipare per riflettere e discutere sull’argomento in tre diverse sessioni che propongono i temi dell’abbandono della montagna, delle foreste, della campagna coltivata, dei borghi, affrontati da sguardi plurali come quello geografico, antropologico o paesaggistico, agronomico e forestale (prima sessione), dell’evoluzione del paesaggio urbano contemporaneo e del destino degli spazi dedicati al “loisir”, che hanno visto l’abbandono di grandi strutture dedicate al tempo libero (seconda e terza sessione). Programma completo su www.fbsr.it Abbandoni. Il paesaggio e la pienezza del vuoto 18, 24, 25 febbraio; 11 marzo online sulla piattaforma Zoom - www.fbsr.it

Educazione e formazione di qualità sono i valori su cui si fonda la missione della Collezione Peggy Guggenheim e sono la leva da cui nasce il nuovo dialogo con il CUOA, la Business School di più antica tradizione in Italia, con sede ad Altavilla Vicentina, nata per formare la classe dirigente necessaria per lo sviluppo del sistema imprenditoriale. Una collaborazione che rafforza il legame tra il Museo veneziano e il mondo dell’alta formazione manageriale e imprenditoriale, insieme per divulgare il valore del binomio museo-impresa attraverso la formazione. Intraprendere questo nuovo percorso con il CUOA nel 2022 ha un valore speciale, poiché quest’anno Guggenheim Intrapresæ festeggia proprio il suo trentesimo anniversario. È dal 1992 infatti che la Collezione, grazie a Guggenheim Intrapresæ, primo progetto di corporate membership di un museo in Italia, lavora accanto all’imprenditoria più innovativa e illuminata per sensibilizzare e avvicinare il mondo dell’impresa e della cultura, promuovendo progetti virtuosi e sostenibili che un’azienda può intraprendere per valorizzare sé stessa sostenendo l’arte e la cultura. Un traguardo significativo che racconta, concretamente, l’importanza del contributo privato allo sviluppo del mondo culturale, un percorso di crescita della Collezione Peggy Guggenheim che negli ultimi trent’anni ha collaborato con aziende che hanno scelto la cultura come veicolo di responsabilità sociale d’impresa e come impegno concreto per le generazioni future. guggenheim-venice.it

Otto nuovi episodi della serie Nowtilus. Storie da una laguna urbana del 21esimo secolo sono disponibili su TBA21–Academy Radio su Ocean Archive, SoundCloud, Spotify, Apple Podcast e Google Podcast. La seconda ‘stagione’, commissionata e prodotta da TBA21–Academy e realizzata da Ocean Space, guida puntata dopo puntata gli ascoltatori in un viaggio di scoperta e discussione sulla sostenibilità della laguna oggi e sulle azioni creative che i suoi abitanti compiono ogni giorno per mantenerla viva e straordinaria secondo logiche virtuose. Il percorso di podcast, curato e condotto anche in questa seconda edizione da Enrico Bettinello e Alice Ongaro Sartori, offre non solo interessanti riflessioni, ma anche analisi articolate e incrociate di fenomeni socio-economici attivi che Venezia sta attraversando senza la lucidità di chiamarli “problemi” o ancora meglio “urgenze” contro un presente incerto e un futuro molto segnato. Nowtilus, tuttavia, registra tutte quelle azioni, anche semplici o minime, che determinano e connotano una laguna urbana e attiva, consapevole e determinata al cambiamento possibile. Ne sono esempio i podcast Arrivi e partenze. Piccola mappa di migrazioni, esodi e desideri sulle dinamiche delle migrazioni sociali, storiche e contemporanee a Venezia, sfatando alcuni luoghi comuni su tempi, modi e cause dello spopolamento della città, e Contro/correnti. Grandi navi, rampe da skate e attivismo rinnovato dedicato alle azioni di rigenerazione culturale e difesa dell’ambiente lagunare, pratiche ed esperienze di cura, difesa e re-immaginazione della città sorte da dinamiche cittadine spontanee, fuori dagli schemi istituzionali. Gli ultimi due episodi della stagione, il 9 e 23 febbraio, saranno dedicati rispettivamente a Come si nutre una città? In giro per cucine, campi e cantine e un ultimo episodio speciale, scritto e condotto da Abiba Coulibaly e Ella Navot, borsiste del programma di Ocean Fellowship 2021. Da ascoltare! www.ocean-space.org

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IL GIORNO DEL RICORDO 10 FEBBRAIO

REVIEW a cura di Mariachiara Marzari

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er anni ho avuto paura di diventare mia madre.

Non appena mi fu possibile, andai via di casa, in direzione opposta, viaggiai molto. Per volontà o semplicemente per natura diventai la donna che sono, molto diversa da lei. Rimasi tuttavia vigile, controllavo le risposte che davo alle mie figlie, e il tono che usavo con mio marito. Avevo paura che se non fossi stata razionale e composta, se non avessi represso la mia rabbia e le mie emozioni, sarei diventata esattamente come lei. È una vecchia storia. Ciò che mi fece cambiare direzione e tornare indietro fu il senso di una perdita incipiente. Mentre osservavo mia madre deperire mentalmente e fisicamente, nacque in me la voglia di conoscerla, di conoscere realmente chi era Rosa Pia Pagan Edwards. Al suo funerale, nel 2001, il prete confuse più volte il suo nome con il mio: «Nel Battesimo, Caterina, ricevette il segno della croce…». Non si trattava della solita storia del celebrante che non sa nulla del defunto. La nostra famiglia era stata tra le prime a frequentare quella parrocchia, quasi quarant’anni prima. «Preghiamo per nostra sorella, Caterina…». Negli ultimi tempi avevo portato mia madre a messa quando potevo. E dopo la celebrazione, di solito, padre John si fermava davanti alla carrozzina di mia madre per salutarla: «La terribile Rosina» sorrideva, quindi le faceva il segno della croce sulla fronte o le accarezzava la guancia. E allora perché adesso era confuso? Guardai mia sorella Corinna in piedi alla mia destra. Cercava di trattenere una risata. Pensai di attirare l’attenzione di padre John, sì… ma come?! Non mi guardava mai, gli occhi fissi sulla bara. Continuò a sbagliare. Ancora e ancora. «La tua serva, Caterina…», «L’anima di Caterina…». Mi guardai dietro. La morte, gli spostamenti, e la demenza senile di mia madre avevano fatto diminuire il numero dei suoi amici. Oltre ai familiari più stretti, quasi tutti i partecipanti al funerale, ed erano veramente pochi, erano lì solo per sostenere me, mio marito o le nostre ragazze. Sospettai che tra il forte accento italiano di padre John e la poca familiarità con il servizio funebre di rito cattolico, molti di loro non stessero seguendo bene la funzione. Nonostante questo, però due mie amiche alzarono gli occhi al cielo sorridendomi. Stavo per iniziare a ridacchiare anche io. Per caso anche il prete stava perdendo la memoria come mia madre? Il cieco che conduce un altro cieco… Oppure, e mi sentii inquieta al solo pensiero, l’uso del nome sbagliato voleva forse dire che la benedizione e la deposizione sarebbero stati mal indirizzati ricadendo sulla persona sbagliata? Corinna mi prese la mano stringendola. Mio marito mormorò «Non importa». Ma io mi sentii all’improvviso ansiosa. Che fosse un segno? Un avvertimento che ero io la prossima? Gli ultimi quattro anni con mia madre erano stati così pesanti che mi ero domandata spesso chi avrebbe seppellito chi. E ora mi sentivo come se fosse arrivato il mio turno. «Oh Dio, al quale appartengono misericordia e perdono… ti prego affinché Caterina arrivi sana e salva a casa, in Paradiso…». Non io… non ancora. Stavo ancora cercando la verità sulla vita di mia madre. Proprio ora che stavo cominciando a farmi strada attraverso le bugie e le leggende. E ricostruendo la memoria perduta ero giunta alla storia perduta. Stavo arrivando alla storia dimenticata, repressa, negata della sua patria e della sua gente. Non io, per favore, non ancora. Tratto dal Prologo di Riscoprendo mia madre. Una figlia alla ricerca del passato di Caterina Edwards, Les Flâneurs Edizioni, Roma, 2021

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nizia così il libro di Caterina Edwards, scrittrice nata in Inghilterra da mamma italiana e papà inglese e poi trasferitasi da bambina in Canada con un forte legame con Venezia. Caterina ha avuto paura di diventare come sua madre Rosa, rigida, cocciuta e irriverente. Lasciata la ‘prigione’ familiare viaggia, studia e coltiva la passione per la scrittura ma neanche la distanza riesce a mutare l’atteggiamento di Rosa, così come la sua innata propensione a criticarla e giudicarla. Le cose cambiano quando, dopo aver per lungo tempo ignorato i segnali della malattia di sua madre, Caterina è costretta a fare i conti con la diagnosi tanto temuta: Alzheimer. Le decisioni da prendere sono tante, così come le conseguenze da affrontare. Il lento e progressivo decadimento di Rosa mostra a Caterina il lato fragile di sua madre e fa luce sul suo passato, su quelle radici istriane involontariamente dimenticate o coscientemente rimosse. Così, pazientemente, tra ostacoli e sorprese, Caterina intraprende un lungo viaggio nel tempo e nell’anima, consapevole che solo la memoria del passato conferisce un senso al presente. Riscoprendo mia madre è un romanzo autobiografico che diventa una confessione sincera e una lenta scoperta, capace di cambiare in modo sensibile i fattori della storia e far emergere la verità di una vita, in cui la migrazione diventa ricordo privato e al contempo storia pubblica, rimossa e forzatamente dimenticata. La memoria, la sua negazione e la lenta perdita sono narrate come in una spirale che sembra far svanire tutto ma che invece offre la chiave per un ritrovarsi e riconciliarsi definitivamente.

Canto di tempo passato è il tuo sibilare giocando sopra il mio capo; sei venuta da tanto lontano, come me, o Bora, per più non tornare alla culla Bora, Gian Mauro Siercovich 123


SOSTE DA CAPOGIRO

menu

Un giorno venne a pranzo la regina d'Olanda, Luciano, storico cameriere, le servì la specialità della casa e le sussurrò: «dai dai Regina un fiantin che ti finissi el risottin!»

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di Fabio Marzari

«L

a trattoria da Romano , a Burano, è

un ristorante di pesce dove ricette di una volta vengono tramandate di generazione in generazione. Trasmesse dai nonni Romano Barbaro e Gigia, ora dalle figlie Anna e Rossella con i rispettivi mariti e figli, il ristorante ha mantenuto un obiettivo preciso per più di un secolo: diventare la tappa fissa per quelle persone che si pongono la domanda dove mangiare bene il pesce a Venezia?». Queste poche parole, riportate nel loro sito web sanno sintetizzare al meglio il significato di eccellenza nella cucina semplice e tradizionale della Laguna veneziana. Pochi locali hanno il vanto di poter essere nel contempo delle gallerie d'arte site specific, totalmente aderenti al territorio che rappresentano, si potrebbe dire che “Romano” è un tableau vivant in cui la cucina è l'elemento fondamentale, attorno a cui ruota un sapere secolare fatto di ammirato rispetto per la Laguna e i suoi elementi, sapendo ancora tradurre nei piatti quelle sensazioni percettive, un misto di vista, udito, olfatto, che rappresentano la sintesi ideale di un microcosmo unico, racchiuso negli spazi definiti di una piccola isola. È sempre più difficile raccontare il cibo, contagiati da migliaia di informazioni di ogni genere, tutto pare sia stato già scritto e allora con grande rispetto ed ammirazione è affascinante poter tornare indietro negli anni e leggere le parole di Orio Vergani, grandissimo giornalista che sulle pagine del «Corriere della Sera» seppe raccontare i suoi viaggi con uno stile unico e ineguagliabile. Queste le sue parole sul pesse in saòr che lo fecero sognare, datate 29 settembre 1936, pubblicate nel Corriere col titolo: “Tavolozza della cucina lagunare”, e la cucina nello specifico era proprio quella di Romano, anzi della Gigia. «Nei miei occhi passano forse, come stanchi gabbiani, molli e muti pensieri. No. Penso che questa notte, quando batteva lugubre sul paese addormentato il tocco dell'una, una donna si è alzata per me, ha lasciato per me il letto nuziale, è scesa in pianelle per la scala buia, ha acceso furtivamente la lampada e, trattenendo il respiro, ha sollevato il coperchio sotto cui, con lungo travaglio notturno, si macerava, per me, il pesse in saòr. Essa ha sorriso di compiacenza, nella cucina solitaria, tra lo splendore dei rami: ha fiutato l'aroma che esalava, lento, dal piccolo altare del focolare spento, ha assaggiato col dito la grave salsa che richiede tutta una notte di veglia, è tornata su e ha detto a bassa voce al trattore, maldestro nel letto tormentato, “Va bene, sai...mi pare che vada proprio benino...Vedremo fra un'ora, vedremo fra un'ora...”. Il marito non chiede neppure se è sicura, fra un'ora, di svegliarsi. Chi può dubitarlo? (…) Ma mi son dimenticato forse del pesse in saòr? No. Il miracolo della lunga macerazione - dodici ore almeno, sotto un velo d'olio, cipolla, sale, zucchero e droghe – ha trasformato le sogliole fritte in un compendio di sapori marinari e orientali, in un'enciclopedia di essenze dove la fantasia trova gli appoggi più impensati. È un piatto - dice l'esperto – che esige la fedeltà, nato per occupare le notti deserte delle spose che hanno il marito sul mare: e il marito che torna riconosce al sentore perfetto, la fedele attesa, la veglia attentissima». Trattoria da Romano Via San Martino Destra 221-Burano daromano.it

T

he Trattoria da Romano, in the island of Burano, is a

fish menu restaurant that belonged to the same family for generation. Patriarch Romano is the father of the current owners, daughters Anna and Rossella, who manage the eatery with their husbands and children. The raison-d’être of this restaurant is answering a simple question: where to eat great seafood in Venice? Da Romano is so perfectly integrated in its context that looks like a site-specific art gallery, a tableau built upon culinary tradition and respect for the geographical elements around it, a translation into food of what the senses perceive in this corner of Venetian Lagoon – sight, sound, and smell. It became so hard to write about food with the amount of information going around. It almost seems everything has been said already. That’s why we chose to go back in time to the much-revered words of journalist Orio Vergani, who in 1936, said of Romano: “I like to think that last night, as the bell stroke one above the sleepy village, a maid got up just for me, travelled down the stairs in her night robe, and, holding her breath, lifted the lid under which my pesse in saór was steeping. She smiled, alone in the kitchen, and got back to bed, commenting to her husband how the food was coming about real nice, and how she shall check again in an hour or so. The man is quite sure she would wake again in an hour. I have no doubt myself. How can I forget her amazing pesse in saór? The miracle of lengthy steeping – a minimum of twelve hours under a veil of oil, onion, salt, sugar, and spices – turns fried sole into a compendium of sea-born, Oriental fragrance, an encyclopaedia of essences where fantasy finds most unexpected inspiration. It is a preparation that demands fealty, for night after night, as the husband is out to sea fishing, the wife must occupy lonely nights: and when he is back, he shall recognize the perfect aroma, sign of faithful wait and devoted attention.” The pesse in saór is a typical Venetian preparation (saór meaning savour in local dialect) where fish, usually sardines though not exclusively, is steeped with what can be described as a condiment, seasoning, or preserve – a mix of onion, dried fruit, and spice. A delicacy still very popular today.

LE TRE STELLE DI ROMANO Alla Fondazione Querini Stampalia una piccola mostra straordinaria offre un viaggio suggestivo nella storia centenaria del ristorante “Da Romano” di Burano, luogo di primo piano nelle vicende artistiche e culturali del Novecento. Le tre stelle di Romano. Burano: arte e storia di un ristorante entrato nel mito, curata da Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin e promossa da Fondazione Berengo, Berengo Studio e Lineadacqua, attraverso più di cento dipinti, tra cui opere di Felice Carena, Umberto Moggioli, Gino Rossi, Mario Vellani Marchi, Filippo de Pisis, Emilio Vedova, Vittorio Basaglia e ancora Semeghini, Dalla Zorza, Seibezzi, Novello, Guidi, Bucci, ci trasporta nelle sale dello storico ristorante, in piazza Galuppi, per farci immergere nell'atmosfera e nel gusto di una delle fucine artistiche più importanti in Italia e forse in Europa; un luogo che richiamò per tutto il secolo scorso e continua a richiamare personalità, artisti e designer dal mondo intero. Per molti di loro e anche per noi, “Da Romano” è soprattutto un posto in cui tornare! Fino 6 marzo Fondazione Querini Stampalia, Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 www.querinistampalia.org

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menu PLACES & STORIES

FAME DI RICORDI

Di questi tempi, sfogliare un album fotografico vuol dire spesso strisciare il dito su uno schermo freddo, passando in rassegna immagini praticamente identiche tra loro, che tanto scattare una foto ormai non costa niente, nel dubbio meglio averne 10 tutte uguali. Beh, sfogliando un album alla vecchia maniera crediamo sia francamente impossibile non trovare l’immagine di una tavolata con amici e parenti: un compleanno, un Natale, un battesimo o una cresima, un matrimonio, celebrato finendo a tavola. M9 si conferma antenna attenta a ricevere ogni impulso proveniente dalla società con GUSTO! Gli italiani a tavola. 1970-2050, prima di una trilogia di mostre dedicate ai luoghi comuni italiani per confrontarci con il nostro presente e futuro, tra ricerca scientifica, esperienza pop, gioco e indagine critica. L'esposizione racconta come la relazione tra gli italiani e il cibo si sia profondamente trasformata in questi ultimi decenni, con un cambio di paradigma decisivo tra l’immagine tradizionale della nostra cucina nazionale moderna e una relazione sempre più complessa, segmentata e contraddittoria di un Paese che stava profondamente cambiando nelle sue abitudini, consumi e composizione sociale. M9 chiama inoltre la sua comunità a diventare parte della mostra temporanea mettendo a disposizione foto scattate tra gli anni ‘70 e ‘90 che abbiano come soggetto questi momenti di convivialità. GUSTO! Gli italiani a tavola. 1970-2050 Dal 25 marzo M9 - Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it

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Colline incantate

Storie di accoglienza

Non me ne vogliano i prosecco addicted, occorre talvolta portare lo sguardo oltre gli angusti confini della Marca Gioiosa, accostandosi senza alcuna presunzione narrativa, ad altri importanti vini che nobilitano il vastissimo campionario delle eccellenze italiane. Siamo in Piemonte, terra di vini gloriosi e il Barbaresco è un vino che ha segnato la storia delle Langhe, colline prealpine che si trovano nel sud della Regione e presentano un terreno argilloso, ricco di calcare in cui la diversa percentuale di calcio ed alcune vene di sabbia più o meno estese, donano ad ogni pendio caratteri peculiari, che si rispecchiano nei vini prodotti. Il Barbaresco ha un colore rosso granato, un profumo intenso e caratteristico e un sapore asciutto, pieno e armonico. Risulta perfetto per i piatti della cucina piemontese: tagliolini al tartufo, brasato, arrosto, inclusi i meravigliosi formaggi. L’antico borgo di Barbaresco sorge in cima a una collina vicino ad Alba in provincia di Cuneo, considerata fin dai tempi dell’Impero romano un valido punto di osservazione. La zona di origine in cui è consentita la produzione del Barbaresco è piuttosto limitata: la superficie vitata si estende infatti per 690 ettari nei comuni di Barbaresco, Neive, Treiso e parte della frazione di Alba San Rocco Seno d’Elvio. A testimonianza dell’importanza del vino, già nel 1934 fu fondato un consorzio di tutela e il Barbaresco fu tra i primi vini italiani a ottenere la denominazione DOC nel 1966 e la DOCG nel 1980. Il disciplinare di produzione prevede che il Barbaresco deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento di almeno due anni e conservato per almeno un anno in botti di rovere o di castagno. Se sottoposto a un periodo non inferiore a quattro anni, il Barbaresco può portare in etichetta la dizione “Riserva”. F.M.

Come già abbiamo avuto modo di scrivere, l’Hotel Danieli festeggia i suoi primi 200 anni di ininterrotta attività e questo traguardo così importante per uno degli alberghi più conosciuti al mondo ha suscitato un forte interesse anche da parte degli abitanti di Venezia e dintorni, che numerosi si sono avvicinati al ciclo di conferenze promosse dall’Albergo Oltre la storia, l’Hotel Danieli si racconta: la storia e l’arte dell’Hotel raccontate da Giacomo Caruso, giornalista e docente di lingua inglese presso il Liceo Artistico di Venezia. Questa prima iniziativa per il bicentenario offre l’opportunità di indagare la storia fatta di mille differenti storie che compongono le trame di vita del Danieli, con i personaggi celebri e non di ogni provenienza geografica, che in due secoli hanno soggiornato in albergo. Ad esempio il Danieli fu anche una ‘caserma’, forse la più lussuosa di cui si possa avere contezza, infatti a fine aprile 1945 il generale neozelandese Bernard Freyberg, comandante dei reparti della VIII Armata britannica che liberarono Venezia, vi soggiornò con tutti i suoi uomini compresi i soldati semplici. Gli incontri, iniziati lo scorso gennaio e raddoppiati nel numero, termineranno nel mese di giugno. Prossimi appuntamenti a febbraio il 15 e il 22, proseguendo il 7 e il 22 marzo, il 12 e 26 aprile, il 10 e 30 maggio e il 7 e il 21 giugno. Naturalmente trattandosi di un compleanno così importante, per celebrarne il ricordo è stato ideato un cocktail ad hoc, il Rosso Danieli”che alla fine di ogni conferenza accompagna il momento conviviale. Per info e prenotazioni: banqueting.danieli@luxurycollection.com Fabio Marzari


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BE MY VA LE N T IN E AT RESTAURANT T E RRA ZZA DA N IE LI Celebrate love in a setting of romance and magical panoramas over Venice, your senses indulged as Executive Chef Alberto Fol sparks your passion with an exquisitely crafted culinary journey. FOR RESERVATIONS, PLEASE CALL +39 041 522 6480 OR VISIT TERRAZZADAIELI.COM

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staff

Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 260-261 - Anno XXVI Venezia, 1 Febbraio 2022 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin Grafica Luca Zanatta Distribuzione Michele Negrisolo

Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Loris Casadei, Sergio Collavini, Federico Jonathan Cusin, Elisabetta Gardin, Silvia Gobbo, Renato Jona, Franca Lugato, Massimo Macaluso, Daniela Paties Montagner, Livia Sartori di Borgoricco, Abra Smersu, Fabio Di Spirito, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Luisa Turchi, Simonetta Zanon, Andrea Zennaro Si ringraziano Sylvia Ferino, Federico Buffa, Luca Zaia, Antonella Magaraggia, Anna Zemella, Riccardo Caldura, Jacopo De Michelis, Marisa Huff, Silva Menetto, Francesca Del Torre, Michela Furlanetto, Silvia Pellizzeri, Marta Moretti Traduzioni Andrea Falco Foto di copertina © Lucio Schiavon, Il Carnevale delle illusioni per T Fondaco dei Tedeschi, Venezia lo trovi qui: Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città. Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it venezianews.magazine

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