Selezione di Sapori | 2019 04

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A LUG | AGO 2019


SOMMARIO

EDITORIALE DI MARTINA ISEPPON

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Lodovico Giustiniani di Borgoluce Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Apriamo questo numero estivo del nostro magazine con una notizia (per noi) importante: abbiamo finalmente fissato la data in cui ci sposteremo nella nuova sede a Godega di Sant’Urbano. A metà luglio ci trasferiremo nella sede 3.0 di Valsana, come l’ha definita qualcuno dei nostri ragazzi. Un ulteriore passo avanti nella storia della nostra azienda, da affrontare con responsabilità e impegno. Ma abbiamo qualche novità da raccontarvi anche per quanto riguarda i prodotti: innanzitutto il ritorno del Signor G, pecorino fresco della Fattoria Il Lischeto, che avevamo abbandonato a malincuore a causa di alcune problematiche di produzione, ora risolte; due simpatiche caciottine, semplici ma non scontate, una di capra e una allo zafferano prodotte da Agricansiglio; e per finire la Bresaola di Scottona di Paganoni, morbida e leggermente marezzata. Visto il periodo abbiamo pensato di portarvi in Grecia, lontano però dalle strade del turismo di massa, con l’intervista di Giulia Basso a Nodas Papathanasiou, produttore di Feta con cui lavoriamo da alcuni anni.

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Facciamo poi una capatina in Puglia, per visitare il Caseificio Olanda e scoprire che si trova nel centro storico di Andria, in un bellissimo palazzo padronale di inizio ‘900 ristrutturato per poter ospitare su tre piani la produzione della burrata! La tappa successiva è in Calabria, con un omaggio alla ‘Nduja di Spilinga e alla sua sorella spagnola, la Sobresada de Mallorca. Ci piace l’approccio alla gastronomia di Vittorio Castellani, che ci aiuta a scoprire prodotti davvero simili in luoghi distanti: una cucina che viaggia e che può diventare elemento di unione piuttosto che di contrapposizione tra culture diverse. Rientriamo in Veneto con un’intervista a Lodovico Giustiniani di Borgoluce, un’azienda dove il modello dell’economia circolare, ora tanto di moda, viene praticato nel segno della continuità da oltre mille anni. E concludiamo come di consueto con le ricette di Anna Maria Pellegrino, con una bella riflessione sull’impatto delle nostre scelte di consumo... Buona estate! Martina Iseppon


SOMMARIO LUGLIO | AGOSTO 2019

VIAGGIO IN PUGLIA | VISITA AL CASEIFICIO OLANDA INTERVISTA AL PRODUTTORE | PAPATHANASIOU

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SOSTENIBILITA’ E AMBIENTE | ECONOMIA CIRCOLARE DA MILLE ANNI 10 NOVITA’ | LA SCOTTONA SI FA BRESAOLA

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NOVITA’ | ALLO ZAFFERANO O DI CAPRA?

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NOVITÀ | IL SIGNOR G E’ TORNATO!

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COME SI FA? | DISSALARE LE ACCIUGHE

GEOGRAFIA DEL GUSTO | BORGOGNA, OLTRE AL VINO C’E’ DI PIU’

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CIBO DAL MONDO | LA REGINA DI SPILINGA

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BOCCONI DI STORIA | BOTTARGA SARA’ LEI!

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OSIAMO L’ABBINAMENTO | PICCOLO MA BUONO: IL CAPPERO! 24 NOTIZIE DA VALSANA | PAESE CHE VAI... | LAVORI IN CORSO 26 LA CUCINA DI QB | MENÙ #VEGANO E CONSAPEVOLE VALSANA | 03

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VISITA AL CASEIFICIO OLANDA

VIAGGIO IN PUGLIA

Emozione, senso della storia, conferma. Questo è ciò che ci ritroviamo tra le mani al termine della visita al Caseificio Olanda ad Andria. E ci sembra di avere tra la mani un tesoro di cui essere riconoscenti

Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

BURRATA DI ANDRIA Formaggio a pasta filata ripieno di crema di latte e sfilacci di mozzarella. Dolce, dall’aroma di latte e panna cod 24901 | peso 250 g sacchetto cod 24899 | peso 250 g bicchiere cod 24904 | peso 125 g cod 24898 | peso 125 g s/nodo

CUOR DI BURRATA Straccetti di pasta filata in crema di latte, dal caratteristico aroma di latte e panna, dolce e fresco cod 24915 | peso 250 g

Michele Olanda e la moglie Carmela hanno inventato, passatemi il termine, questo caseificio nel 1988, quando ebbero voglia di valorizzare il latte prodotto dai bovini che allevavano. Ed è proprio Michele ad accogliermi come un vero padrone di casa dandomi un caloroso “Benvenuto! Come è bella la Puglia”. Benissimo, sono subito a mio agio. Inizio la visita ed entro in un bellissimo palazzo padronale di inizio Novecento nel centro di Andria: è l’ora di pranzo e quindi penso mi abbiano dato appuntamento a casa per offrirmi il generoso piatto di orecchiette che in un attimo mi trovo sotto gli occhi. Ma mi sbaglio, siamo proprio nel caseificio, all’interno del palazzo stesso. Produzione al piano terra accanto allo spaccio, confezionamento al primo piano, ufficio in quella che una volta era la vecchia camera dei proprietari, sala ricevimento al secondo piano insieme a un piccolo museo di strumentazioni del casaro di un tempo. L’equilibrio raggiunto ha dell’incredibile, tanto più se penso alla fatica che avranno fatto a integrare una struttura produttiva, con tutte le sue norme, all’interno di una costruzione quasi totalmente in tufo. Qualche numero ci è forse utile per avere la conferma che questo caseificio è l’essenza dell’artigianalità. Vengono lavorati ogni giorno in media 50 quintali di latte (l’industria ne lavora 30 volte tanto) proveniente VALSANA | 04

esclusivamente dalla Murgia, altopiano nell’entroterra pugliese particolarmente vocato al pascolo e all’allevamento di bovini da latte. I turni in produzione partono alle 2:30 del mattino e terminano verso le 14, coinvolgendo 6 persone guidate da Riccardo, figlio di Michele e futuro dell’azienda. Proprio con Riccardo mi fermo a chiacchierare e colgo tutto il valore di ciò che producono. La loro burrata è un sogno inseguito, l’espressione di un territorio, la tradizione che si perpetua. Lavorano solo latte di due stalle pugliesi, scelgono di stracciare ancora a mano i fogli di mozzarella che diventeranno cuore di burrata e volutamente tengono un punto di sale basso per poter apprezzare appieno dolcezza e burrosità. E il sogno? Lo leggo tra le righe, prendere l’eredità lasciata del padre e proiettarla nel futuro mantenendone identità, sostenibilità e livello di qualità, magari riuscendo a reintegrare in azienda l’allevamento come accadeva nei primi anni di attività. L’incontro con gli artigiani anticipa molto di ciò che si ritrova nel loro prodotto, sempre. E così accade anche quando assaggio la Burrata di Olanda: il dolce involucro di mozzarella bianco opaco racchiude un cuore cremoso, dolce, in cui si apprezza l’irregolarità e la tenacia degli sfilacci di mozzarella. Non è sempre perfetta perché a volte è forse nel complesso leggermente povera di sale e la panna troppo liquida, ma è sicuramente autentica e testimone di un livello di artigianalità che ha pochi eguali nella categoria. Come non menzionare poi la loro Mozzarella, anni fa premiata dal Gambero Rosso come miglior Fiordilatte d’Italia? Cito testualmente “la forza della delicatezza e della semplicità. Incredibile rotondità e perfezione di sapore” e non credo ci sia bisogno di aggiungere altro. Sicuramente un prodotto da riscoprire.


Nel corso della visita le Murge vengono citate più e più volte e mi vien la voglia di attraversarle, di allungare il tragitto che mi avrebbe riportato verso Altamura per rendermi conto di dove potesse esserci posto per pascoli e allevamenti, visto che attorno ad Andria avevo visto solo ulivi, ulivi e ulivi. La Burrata è stata creata la prima volta proprio sulle Murge dal sig. Bianchino nel 1924, mentre si trovava nel pieno della transumanza e venne bloccato da un’improvvisa nevicata. La voglia di vedere è troppo forte. Saluto tutti e parto. La curiosità lascia il posto nel giro di una quarantina di chilometri e 500 metri di dislivello alla bellezza di prati sterminati, punteggiati da papaveri in fiore, e mucche al pascolo. E’ come andare alle origini di questo formaggio, rivederne la storia in rewind e apprezzarne ancora di più l’evoluzione di questi anni. Ed è per tutto ciò che mi pare di aver tra le mani un tesoro, fatto di amore, passione e storia.

NODINI DEL CASEIFICIO OLANDA Morbidi nodini filati a mano, dal gusto rotondo e delicato, con le tipiche note di latte e panna cod 24905 | peso 250 g Mozzarella 125x8 (cod 24919) e 250x12 (cod 24918) solo su prenotazione VALSANA | 05

“Lavoriamo in modo artigianale, per questo siamo parchi di sale, così è più facile apprezzare le tipiche note dolci e burrose dei nostri prodotti“. Riccardo Olanda


PAPATHANASIOU

INTERVISTA AL PRODUTTORE

Nel cuore della Grecia peninsulare, lontano dal turismo di massa, nasce un formaggio di cui non riusciamo proprio a fare a meno durante l’estate: scopriamo il Feta DOP di Papathanasiou

Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

E’ il più celebre tra i formaggi greci e nel giro di alcuni decenni, grazie al suo sapore deciso e alla sua consistenza friabile, ha saputo farsi apprezzare in tutto il mondo. Anche in Italia, dove è molto utilizzato in alternativa alla mozzarella o ad altri formaggi per preparare sfiziose e fresche insalate da portare in tavola nelle calde giornate estive, o da solo, cucinato alla griglia e accompagnato con contorno di verdure. Con questa intervista vi portiamo alla scoperta di una piccola azienda a conduzione familiare specializzata nella produzione del Feta e di altri formaggi tipici

greci: si chiama Papathanasiou e si trova nella parte centro-occidentale della Grecia, vicino alla città di Agrinio, in una zona ancora estranea al turismo di massa, conosciuta per la presenza di molti parchi naturali e l’abbondanza di pascoli e allevamenti di pecore e capre. Il Feta Papathanasiou, ci spiega Nodas Papathanasiou, General Manager dell’azienda, deve la sua bontà ad almeno due caratteristiche peculiari. Il latte impiegato, per il 70% di pecora e per il 30% di capra, proviene da animali di razza autoctona abituati al pascolo libero e a cibarsi della vegetazione selvatica locale. A ciò si aggiunge una tecnica di maturazione antichissima, che prevede la stagionatura in botti di faggio e conferisce al Feta un aroma complesso, con note speziate.

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Qual è l’origine del formaggio Feta? Il Feta è nato per far fronte alle esigenze dei pastori e dei contadini greci, che avevano bisogno di produrre un formaggio che potesse maturare in salamoia ed essere conservato in grotte naturali, senza la necessità di prendersene cura costantemente e senza il timore che il prodotto potesse andare a male durante la stagione calda. La parola greca “feta” deriva dall’italiano “fetta”. Fu introdotta nella lingua greca nel XVII secolo, a partire dalle Cicladi, come risultato del crescente commercio con gli italiani. Perché è fatto con latte di pecora e capra? La Grecia è la terra delle pecore e di solito i pastori, insieme alle pecore, allevano anche alcune capre: questo è il motivo per cui quasi ogni singolo formaggio greco ha una piccola percentuale di latte di capra. Quali sono le caratteristiche e la storia del caseificio Papathanasiou? E’ nato come piccola produzione artigianale più di trent’anni fa, da un’idea di mio zio e di mio padre, che crearono una mini azienda nel loro paese di montagna. Nel 1999 decisero di ampliare l’attività e costruirono una nuova fabbrica, più grande e dotata delle ultime tecnologie di produzione. Grazie a queste innovazioni, su cui investiamo di anno in anno, il lavoro per i dipendenti è diventato più semplice e il prodotto ci ha guadagnato sotto l’aspetto qualitativo. Ma la ricetta che usiamo per produrre il nostro Feta è sempre la stessa: così combiniamo artigianalità ed evoluzione tecnologica. Oggi quanti dipendenti avete? Papathanasiou continua a essere un’azienda a conduzione familiare: oggi ci lavoriamo io e i miei due cugini, ma anche mio padre e mio zio, che hanno 77

e 75 anni, continuano a venire in azienda a trovarci e a controllare la situazione. Ora che siamo in piena attività abbiamo circa 25 dipendenti, suddivisi nei vari settori, dalla produzione all’amministrazione al trasporto. Alcuni di loro però sono stagionali, perché la produzione avviene da novembre alla fine di giugno, interrompendosi nei mesi estivi per mancanza di latte, quando le pecore vanno in asciutta. Quali sono le caratteristiche del territorio in cui avete sede e come si riflettono nei vostri formaggi? Siamo immersi in un ecosistema unico, costituito dal lago Trichonida, dal monte Panaitoliko e dal fiume Acheloos. Questa parte della Grecia non è considerata destinazione turistica, ma è un posto molto speciale per chi è alla ricerca di spiritualità e solitudine. Le persone che vivono in quest’area sono orgogliose, hanno un profondo senso di dignità e una forte ammirazione per la bellezza della natura. La fauna e la flora della nostra zona sono di grande importanza ecologica e ospitano un numero considerevole di specie animali e vegetali rare o in via di estinzione. La vegetazione che circonda il Trichonida in particolare è estremamente varia: ai lati del lago cresce un’enorme varietà di alberi, cespugli ed erbe aromatiche. Il gusto del nostro Feta rispecchia questa straordinaria varietà ambientale: al palato sono rintracciabili i sentori di erbe e fiori del posto. Avete un rapporto molto stretto con gli allevatori che vi forniscono il latte. Perché è così importante? Le giornate della nostra infanzia le abbiamo trascorse a contatto con la natura, parlando con i pastori e sviluppando un amore eterno per pecore e capre. Nel

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“Siamo molto sensibili al benessere dei nostri pastori: stiamo loro accanto, li conosciamo personalmente, li aiutiamo” Nodas Papathanasiou


INTERVISTA AL PRODUTTORE

corso degli anni abbiamo costruito la nostra filosofia sul benessere dei nostri pastori e delle loro anime. Stiamo loro accanto, li conosciamo personalmente così come le loro famiglie e li aiutiamo. In cambio loro ci danno sostegno, apprezzamento e la massima qualità del latte: è questa la materia prima che usiamo nella produzione del nostro Feta. Il Feta Papathanasiou viene stagionato per almeno 3-4 mesi in botti di legno. Perché è un passaggio essenziale per la qualità del prodotto? Il Feta invecchiato in botte è unico, con un gusto molto diverso rispetto al normale Feta. Nella botte, che è fatta di un legno particolare proveniente dalle montagne dell’Epiro, il formaggio sviluppa aromi di legno e foresta umida, mentre il retrogusto diventa persistente e speziato. Per ottenere quegli aromi maturiamo il nostro prodotto per almeno 4 mesi in barile. Nei prossimi mesi introdurremo nel mercato un Feta stagionato in botte ben 9 mesi, sarà una nuova esperienza gastronomica! Quali sono le principali fasi di lavorazione del prodotto? Il Feta è prodotto come qualsiasi altro formaggio: c’è bisogno di latte, caglio, cultura e tempo. Una delle maggiori differenze rispetto agli altri formaggi è che matura in salamoia. Per padroneggiare il gusto del Feta si deve saper controllare perfettamente il processo di produzione e la stagionatura in salamoia: è questa la sfida. Quanti sono gli allevatori da cui acquistate il latte e quanto ne lavorate ogni anno? Ci affidiamo a circa 400 allevatori, da cui raccogliamo quotidianamente il latte. Sono grandi e piccoli e ci forniscono da cinque a cento tonnellate l’anno di latte ciascuno. Ogni anno lavoriamo circa 7 milioni di chilogrammi di latte di pecora e 1 milione di chili di latte di capra.

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FETA DOP Il più famoso formaggio greco che al palato svela sensazioni lattiche, buona sapidità, note citriche e leggermente speziate codice 42091 | peso 1 kg circa codice 42090 | peso 200 g

FETA DOP STAGIONATA IN LEGNO DI FAGGIO Particolare selezione di Feta stagionato in barrique di faggio; rispetto alla versione classica ha un aroma più complesso e speziato codice 42093 | peso 1 kg circa


Che tipo di controlli fate sul latte che lavorate? I controlli effettuati sul latte che riceviamo riguardano l’individuazione di antibiotici e tossine, per cui in caso di rilevamento il latte viene scartato. Effettuiamo anche controlli chimici e microbiologici e test d’individuazione delle frodi con acqua o altro latte rispetto a quello che c’interessa. Ha qualche suggerimento per gli abbinamenti con il vostro Feta? Il Feta è molto versatile in cucina e funziona eccezionalmente bene nelle degustazioni verticali, con: · olio d’oliva; · pomodori maturi di tipo Cuore di bue, San Marzano, Nero francese; · pane casereccio, dalla pagnotta al pane di Altamura; · frutta secca come prugne, albicocche, mango; · vini bianchi medio-corposi con retrogusto profumato come Gavi, Franciacorta, Gewürztraminer e Muller Thurgau. Quand’è che il Feta ha iniziato a farsi conoscere al di fuori della Grecia? E in quali paesi lo vendete oggi? Il Feta fu portato in Europa e nelle Americhe dai migranti greci, di cui si trova traccia all’inizio del XX secolo. Noi oggi lo esportiamo in centro Europa, in Scandinavia, in Australia, negli Stati Uniti e in Giappone.

La Ricetta... SAGANAKI DI COZZE CON FETA INGREDIENTI 500 g cozze 1 cipolla tritata finemente 2 spicchi d’aglio 2 peperoncini piccanti 250 g Feta DOP 4-5 pomodori maturi 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro sale, pepe, origano menta o basilico per guarnire Versate l’olio in una padella e soffriggete aglio, cipolla e peperoncino. Aggiungete la salsa di pomodoro e il concentrato, lasciate bollire finché la salsa non si sarà rappresa. Aggiungete le cozze e insaporite con sale, pepe e origano, quindi cuocete a fuoco vivace per circa 3 minuti. Allontanate dal fuoco e aggiungete la feta sbriciolata. Guarnite con qualche foglia di basilico o menta e servite ancora caldo. NOTA: potete usare le cozze sgusciate o nel guscio (in questo caso dopo averle ripulite e controllato per vedere se sono adatte), così come i gamberi.

Un video che racconta in immagini l’azienda Papathasiou: valsana.link/feta-papathanasiou

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SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE

ECONOMIA CIRCOLARE... DA MILLE ANNI “Ho scoperto che i miei figli non sono Millennials ma appartengono alla generazione Z”. La chiacchierata con Lodovico Giustiniani di Borgoluce inizia con una discussione sulle differenze tra Millennials, ragazzi che hanno raggiunto la maturità nel nuovo millennio, e la generazione Z, a volte definita anche come la generazione dei “nativi digitali”: ragazzi nati dopo il 1995, che non hanno mai vissuto senza Internet. Potrebbe sembrare fuori tema, in realtà non è così: la generazione Z è una generazione che non si accontenta, che ricerca l’autenticità ed è molto sensibile ai temi della salvaguardia dell’ambiente e dei diritti civili. Ragazzi capaci di influenzare le scelte di acquisto, che “vivono” in rete e hanno le idee chiare rispetto a quali sono i valori premianti in un brand, in primis l’attenzione all’ambiente. “Sul tema della sostenibilità Borgoluce ha una bella visione, ha sposato questo modello quando ancora non era così di tendenza come oggi”, dico a Lodovico, chiedendogli di raccontarmi come è nata l’idea della Tenuta. Mi spiega che in realtà è stata più una scelta di “continuità storica” che di innovazione.

Il mondo agricolo è sempre stato orientato come si dice oggi all’economia circolare, un’economia capace di rigenerarsi, riducendo gli sprechi e favorendo l’utilizzo di tutto cià che viene prodotto: la rotazione delle colture, l’alternanza di campi coltivati, prati e pascoli, il riutilizzo delle sottocolture e dei sottoprodotti per l’allevamento sono concetti che appartengono da sempre al mondo contadino.

Oggi va di moda parlare di economia circolare, ma in Borgoluce il modello dell’agricoltura circolare viene praticato da mille anni Possiamo anche dire che non ci sono state grandi innovazioni fino al secondo dopoguerra, quando l’agricoltura ha “copiato” il modello industriale, introducendo il concetto di specializzazione, che ha portato a colture e allevamenti intensivi, anche grazie all’introduzione di una meccanizzazione spinta e all’uso della chimica.

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Martina Iseppon Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

“In Borgoluce abbiamo di fatto portato avanti un modello agricolo che nella nostra tenuta e nella storia della nostra famiglia veniva praticato da sempre”. Borgoluce è una tenuta di 1200 ettari di proprietà della famiglia Collalto dal XII secolo, oggi gestita da Ninni e Caterina di Collalto, insieme alla madre Trinidad e al marito di Caterina, Lodovico Giustiniani. Pascoli, boschi, allevamenti, campi coltivati, vigneti, frutteti, canali, mulini, caseifici: nei secoli passati questa varietà consentiva di produrre all´interno della tenuta tutti i prodotti necessari alla vita quotidiana, una tradizione che è stata semplicemente mantenuta. Oggi prende il nome di agricoltura sostenibile, economia circolare, rispetto della biodiversità: di fatto è il modo più naturale di mantenere il terreno ricco e fertile, proteggendo la vita di ogni specie dell´ecosistema. Mi piace questa lettura storica, credo però sia innegabile che oltre a un tema di continuità ci sia stata anche la capacità dell’azienda di avere una visione di lungo periodo. “Focalizzarsi sui risultati economici di breve periodo non sempre è la scelta migliore”.


“Specializzare le colture sicuramente porta a dei risultati economici significativi nel breve periodo, ma nel lungo termine impoverisce la terra. I vigneti, ad esempio, da noi rappresentano il 10% della superficie coltivata: un dato in controtendenza rispetto a ciò che accade nel nostro territorio, dove spesso il 100% dei terreni viene destinato alla monocoltura della vite, a discapito di prati e pascoli, che stanno scomparendo”. “In Borgoluce ecosostenibilità significa attenzione, cura, rispetto delle risorse naturali. Ma significa soprattutto ricchezza: per la nostra terra, che rispettiamo e valorizziamo ogni giorno; per i nostri clienti, che hanno la sicurezza di scegliere prodotti sani e gustosi; ma soprattutto per le generazioni future, a cui insegniamo a conoscere e ad amare la campagna, e a cui vogliamo consegnare, un giorno, un posto migliore in cui vivere”.

negli anni ‘50 o la coltivazione dei kiwi negli anni ‘70 o l’impianto di biogas nel 2010.

GALLETTE DI MAIS MARANO E BIANCOPERLA Croccanti gallette di mais di varietà Marano e Biancoperla coltivate nella Tenuta Borgoluce. Deliziose a colazione con la marmellata. 93788 Marano | 93789 Biancoperla peso 120 g in cartoni da 12 pezzi

E’ il recupero di una saggezza antica, che non significa chiudere le porte all’innovazione, pensando di dover vivere come si viveva nei secoli scorsi. Al contrario, impone di saper anticipare il mercato e valorizzare le risorse naturali senza sfruttarle con una logica speculativa. Un esempio che mi colpisce è il noceto: anche questo piantato diversi anni fa, impiega infatti ben 7 anni prima di diventare produttivo. Oggi sappiamo che la frutta secca è fonte di nutrienti essenziali per la dieta quotidiana e una piccola razione è consigliata in quasi tutte le diete, ma piantarlo anni fa al posto di altre colture più redditizie nell’immediato è stata sicuramente una bella sfida. Vinta. Così come lo sono stati l’allevamento dei bachi da seta

FARINA DI MAIS BIANCOPERLA Antica varietà di mais Biancoperla, Presìdio Slow Food, da cui si ottiene la tipica polenta bianca trevigiana cod 93705 | confezione da 1 kg

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Anche per quanto riguarda l’energia Borgoluce è infatti un’azienda all’avanguardia: oltre a un impianto fotovoltaico da 60 kW, ha due impianti che generano l’energia necessaria per l’autoconsumo delle due sedi produttive: una caldaia a biomassa, che produce energia bruciando il legno, sottoprodotto dei boschi, e delle coltivazioni; un biodigestore che trasforma le deiezioni degli animali e l´insilato dei cereali in biogas, generando energia elettrica ed energia termica, per riscaldare la stalla e le sedi aziendali. Il biogas è composto da metano per il 50%: viene aspirato da un motore e utilizzato per produrre energia elettrica; il motore viene raffreddato ad acqua utilizzata per il riscaldamento delle sedi aziendali. Biodiversità per Borgoluce significa rinunciare alla logica speculativa della specializzazione per favorire un modello di agricoltura multifunzionale, che fa coesistere nella stessa azienda agricola vigneti, seminativi, prati, pascoli, boschi, oliveti e, naturalmente, l’allevamento: non solo di bufale ma anche di bovini di razza Limousine, suini di razza Duroc e ovini da carne di razza Alpagota, per un totale di circa 1300 animali. L’allevamento è da sempre funzionale all’agricoltura: favorisce la rotazione colturale per la produzione di foraggere ed erba medica, di paglia da usare come lettiera, di mais e frumento da usare come integrazione nell’alimentazione degli animali, mentre le deiezioni vengono utilizzate per la produzione di biogas e per fertilizzare il terreno.


SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE

Sostenibilità significa anche saper gestire il limite, rispettando le scelte di un’azienda che rimane coerente ai propri valori

RICOTTA DI LATTE DI BUFALA

PANNA COTTA DI LATTE DI BUFALA

MOZZARELLA DI LATTE DI BUFALA

Soffice ricotta dal gusto dolce prodotta con il siero del latte di bufala ottenuto dalla lavorazione della mozzarella

Panna cotta prodotta da Borgoluce esclusivamente con il latte ottenuto dalla bufale allevate in azienda

Mozzarella dal gusto delicato prodotta nel caseificio aziendale con il latte delle bufale allevate nella tenuta Borgoluce

cod 21065 | box da 3 pezzi x 280 g

cod 21069 | peso 150 g

cod 21060 | peso 250 g

Nei primi anni duemila il latte vaccino aveva raggiunto un valore bassissimo, tanto che si era deciso di chiudere la stalla. L’allevamento era però necessario nell’ambito del modello agricolo della tenuta e si era pensato di sostituire l’allevamento vaccino con le capre, oppure con le bufale. A partire dalla fine degli anni ‘90 la mozzarella di bufala già aveva iniziato la sua ascesa, tuttora in corso. A ciò si aggiunga una storicità degli allevamenti di bufali nella pianura padana, che venivano usati come animali da lavoro nelle risaie. Due fattori che hanno fatto ricadere la scelta su questi animali. Per dare valore all’allevamento, fin da subito si è deciso di non fermarsi soltanto alla produzione di latte, ma anche di trasformarlo, realizzando un piccolo caseificio di fianco alla stalla.

Attualmente Borgoluce ha circa 400 capi in stalla tra maschi e femmine, di cui 100-110 in lattazione, ed è già al limite della sua capacità produttiva. Le bufale vivono libere in una stalla e a rotazione vengono mandate al pascolo all’aperto. Una modalità di allevamento che garantisce il benessere animale, ma che richiede spazi importanti. Una scelta che Borgoluce ha deciso di difendere, senza spostarsi verso alternative di allevamento intensivo e continuando a lavorare esclusivamente il proprio latte, pur a fronte di una domanda crescente. “Stiamo comunque valutando altre strade per riuscire a soddisfare la richiesta dei nostri clienti, che d’estate raggiunge oltre il doppio VALSANA | 12

della nostra capacità produttiva”. E’ curioso ricordare infatti che le bufale raggiungono il picco di produzione (11/12 litri al giorno) d’inverno, mentre d’estate la produzione arriva a circa 8 litri al giorno - in questi giorni in cui tutti gli ordini di mozzarella di bufala sono “contingentati” sembra proprio una beffa. E nonostante le difficoltà di questo periodo, in cui riceviamo le mozzarelle anche più volte al giorno nel tentativo di soddisfare il maggior numero possibile di richieste, purtroppo spesso senza riuscire ad accontentare i nostri clienti, non possiamo che condividere e rispettare la coerenza di quest’azienda. Perché sostenibilità significa anche saper gestire e accettare i limiti di produzione.


LA SCOTTONA SI FA BRESAOLA Una carne pregiata, conosciuta per la cottura alla griglia ma che esprime il meglio di sè anche nella nuova bresaola di Paganoni CHE COS’E’ LA SCOTTONA?

tanto amate nella cottura alla griglia, sono qui preziosissime per ottenere una bresaola dolce, anche dopo stagionatura, e dalla piacevole solubilità.

La Scottona, questa sconosciuta... o forse no?

Si tratta quindi di una carne matura, infatti l’animale a quell’età raggiunge un buon sviluppo muscolare, ma molto morbida, sia perché il bovino è di sesso femminile (caratteristica che di per sé assicura sempre una carne più tenera), ma anche perché non ha ancora partorito. Quest’ultimo aspetto concorre in maniera sostanziale alla caratteristica marezzatura e al famoso gusto raffinato e succoso. E’ una carne perfetta per essere grigliata, perché in cottura le venature di grasso si sciolgono e la rendono ancora più gustosa... E sull’onda della moda dell’american style barbecue ormai è richiestissima!

La carne, lavorata a fresco, proviene da bovine di origine austriaca che trascorrono buona parte della loro vita al pascolo, da cui viene ricavato il cuore della punta d’anca per ottenere la bresaola. Per esaltare il gusto della carne, la speziatura prevede una ricetta non troppo invadente, che regala al naso note di pepe e cantina, dovute anche alla stagionatura in calza, con sensazioni ferrose mitigate. Infine, anche l’occhio vuole la sua parte, così per sottolineare la naturale bellezza della carne, questa viene appesa senza essere sottoposta a pressatura, ottenendo così una bresaola dalla forma a goccia. Per garantire la corretta marezzatura la bresaola viene proposta tagliata a metà e quindi visionata pezzo per pezzo. Al tempo stesso, per assicurare di poter apprezzare le diverse parti del prodotto l’ordine minimo è di due metà. CI È PIACIUTA PERCHÈ...

LA BRESAOLA DI SCOTTONA Paganoni sfrutta proprio le caratteristiche di questa carne per creare una bresaola particolarmente tenera e gustosa. Le stesse venature di grasso

NOVITÀ

LA SCOTTONA Bresaola dal gusto intenso e dalla piacevole solubilità, ottenuta dalla punta d’anca di scottona cod 82009 | peso 3 kg circa a metà ordine minimo: 2 metà

Il gusto intenso e persistente regala un finale vagamente speziato. La fetta di colore rosso vivo e con leggera marezzatura conquista subito anche alla vista!

Suggerimenti d’utilizzo Una bresaola ottima per essere usata negli abbinamenti meno classici, come un risotto o un insalata fresca estiva. Ma per i più tradizionalisti, come non citare l’intramontabile abbinamento bresaola, rucola e grana? Per quanto riguarda la gestione a banco, suggeriamo di tenere il prodotto coperto con pellicola, così da evitare la rapida ossidazione.

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NOVITÀ

Molto spesso il termine Scottona si crede faccia riferimento a una razza o un taglio di carne. In realtà si riferisce a due caratteristiche dell’animale al momento della macellazione, parliamo di una femmina di bovino che non abbia superato i 16 mesi di età e che non abbia ancora partorito.


ALLO ZAFFERANO O DI CAPRA?

NOVITÀ

Agricansiglio non si ferma, e per l’estate propone due nuove caciotte che ci hanno trovato subito tutti d’accordo CACIOTTA ALLA ZAFFERANO

CAPROSETTA

Una caciottina stagionata almeno 10 giorni, realizzata con latte vaccino raccolto, come ormai ben sappiamo, nelle montagne circostanti il caseificio. E sempre dalle montagne, più precisamente dalla zona dell’Alpago, nelle Prealpi Bellunesi, proviene anche lo zafferano, la pregiata spezia ricavata dagli stimmi del fiore crocus sativus.

Dopo la ricotta di capra che ormai conosciamo bene, Agricansiglio passa anche alla caciotta: 100% latte caprino proveniente dalla aziende consociate delle province di Treviso, Belluno e Pordenone, e stagionatura di almeno 20 giorni.

Come ci si aspetta lo zafferano regala un colore dorato alla crosta e alla pasta, rivelando qua e là anche qualche piccolo stimma. Avvicinandolo al naso e poi durante l’assaggio, lo zafferano regala una sensazione di dolcezza avvolgente che ben si sposa con le note lattiche tipiche della caciotta. Ottima come formaggio da tavola, ma provatela anche abbinata a un primo piatto o, perché no, anche al pesce!

Il risultato: una caciotta dalla pasta fondente, che al naso lascia intuire dolcezza e rotondità. In bocca non delude, risulta solubile e con un gusto dolce con note di nocciola, un finale pulito e leggermente astringente. Le note ircine sono delicate. Deliziosa in purezza come formaggio da tavola, oppure in abbinamento a verdure, nelle insalate o semplicemente con del miele, magari di castagno.

NOVITÀ

NOVITÀ

CACIOTTA ALLO ZAFFERANO AGRICANSIGLIO

CAPROSETTA - CACIOTTA DI CAPRA AGRICANSIGLIO

Caciotta vaccina arricchita dalla presenza di zafferano coltivato in Alpago codice 30101 | peso 400 g circa

Piccola caciotta a latte caprino, stagionata circa 20 giorni, dolce e fondente codice 30112 | peso 500 g circa

CI È PIACIUTA PERCHÈ...

CI È PIACIUTA PERCHÈ... Una caciotta fresca che convince per la sua dolcezza e per solubilità

Le note di zafferano sono riconoscibili, sia alla vista che al palato VALSANA | 14


SIGNORE E SIGNORI... IL SIGNOR G È TORNATO! Finalmente, dopo due anni di stop, siamo pronti a reintrodurre il tanto amato pecorino fresco della Fattoria Lischeto Quando ci troviamo a dover interrompere la fornitura di qualche prodotto, ci sentiamo sempre un po’ abbattuti: non sono decisioni semplici e spesso le prendiamo a malincuore.

La pasta continua a essere piacevolmente fondente, caratteristica per cui si è sempre distinto questo pecorino; il gusto è dolce e delicato, con piacevolissime note di latte e di yogurt.

NOVITÀ

I problemi che ci avevano obbligati allo “stop” sono stati risolti grazie all’utilizzo di un nuovo stampo durante la produzione che garantisce l’omogeneità delle pezzature. La pasta è leggermente più sostenuta e la crosta è canestrata, più robusta, in grado di non cedere a rotture.

PECORINO SIGNOR G BIOLOGICO

Il Signor G torna con qualche modifica “strutturale”, ma mantiene il suo carattere unico

Pecorino fresco, prodotto a Volterra con latte crudo biologico di pecore di razza Sarda codice 30999 | peso 1,3 kg circa

Quindi non ci resta che riprendere da dove eravamo rimasti e riportare alla mente un po’ di informazioni utili. Partiamo dal nome: un omaggio a Giorgio Gaber? Sicuramente, ma non solo, “G” è l’iniziale di Giovanni Cannas, il proprietario della Fattoria Lischeto che ha inventato questo formaggio a pasta cruda per sbaglio, durante una giornata nevosa del 2012 in cui un blackout gli impedì di riscaldare la cagliata. Un formaggio che più volte abbiamo definito fermier, ossia prodotto in modo artigianale dalla Fattoria Lischeto con il latte del proprio gregge. E in questo caso non parliamo di un latte ovino generico, ma biologico, ottenuto esclusivamente da pecore di razza Sarda e lavorato a crudo.

Suggerimenti d’utilizzo Ideale assaporato da solo su una fetta di pane tostato, per completare un piatto di verdure o per arricchire una crema. Dolce e suadente, da provare anche in un crostino con un filetto di acciuga. Acciughe Cantabriche in olio evo cod 93697 | vasetto da 100 g

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NOVITÀ

Nel caso del Signor G ancora di più, eravamo molto affezionati a questo formaggio, ma purtroppo le soventi rotture della crosta e il formato un po’ incostante non ci hanno lasciato scelta. Ma eccoci di nuovo, pronti assieme a Fattoria Lischeto a reintrodurre questa chicca nel nostro assortimento.


DISSALARE LE ACCIUGHE Dalle fredde acque del Golfo di Vizcaya, alla latta sotto sale: la pulizia e la dissalatura delle Acciughe Cantabriche di Yurrita

NOTIZIESIDA COME FA?VALSANA

Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

Un’esperienza lunga 150 anni nel settore delle conserve di pesce e tramandata da cinque generazioni, iniziando con la produzione e distribuzione di pesce sotto sale e in salamoia per arrivare alla grande gamma di prodotti proposti oggi. Da Mutriku, piccolo paesino affacciato sul Mar Cantabrico, al resto della Spagna e poi in tutto il mondo.

I pesci resteranno nei barili a temperatura ambiente almeno 12 mesi. Le acciughe destinate alla vendita sotto sale, una volta mature, vengono confezionate nella latta e ricoperte dal proprio strato di sale; le acciughe destinate alla vendita a filetti, vengono invece pulite e dissalate adeguatamente, quindi sfilettate, direttamente negli stabilimenti di Yurrita, con un procedimento manuale e minuzioso di cui si occupa un gruppo di sole donne. Le acciughe sotto sale rappresentano la soluzione ideale per le trasformazioni e l’utilizzo in ristorazione, o semplicemente per chi preferisce preparare in autonomia i filetti.

Questo il curriculum vitae di Yurrita, la più antica azienda conservaturiera dei Paesi Baschi e una delle più antiche della Spagna. Delle ottime referenze (qualora aveste ancora qualche dubbio!) per introdurre il tema di questo nuovo numero di Selezione di Sapori: come pulire e dissalare le Acciughe Cantabriche sotto sale. Quindi, per redigere il nostro piccolo manuale del “Come si fa?” ci siamo rivolti direttamente a Yurrita e abbiamo affrontato l’argomento prendendolo un po’ alla larga, partendo non dalla latta di acciughe sotto sale, ma dalle acque del mare. Le acciughe vengono pescate nel Golfo di Vizcaya, nel Mar Cantabrico, a nord della Spagna, dove arrivano le acque fredde e ben ossigenate dall’Oceano Atlantico; per questo motivo le Acciughe Cantabriche possono nutrirsi con maggiore abbondanza, sviluppando carni più grasse e carnose rispetto delle sorelle del Mediterraneo. Queste caratteristiche concorrono a conferire un gusto e una consistenza unici, tanto da sono valer loro l’appellativo di acciughe più buone del mondo.

“Tre fattori fondamentali: maturazione prolungata, lavaggio e sfiletattura”

Yurrita le acquista direttamente al porto dai pescherecci, scegliendo quelle con le dimensioni più adatte e poi le porta nello stabilimento dove vengono eviscerate e private della testa, rigorosamente a mano. Quindi vengono disposte nei barili per la maturazione alternando uno strato di acciughe e uno strato di sale.

Golfo di Vizcaya

MUTRIKU

ACCIUGHE CANTABRICHE SOTTO SALE Acciughe Cantabriche private della testa e delle viscere, conservate sotto sale. Una volta dissalate e pulite, si presentano in filetti dalla tipica consistenza morbida ma con buona struttura. La sapidità dipende dalla meticolosità del risciacquo e dal processo di dissalatura. cod 93673 | peso 1 kg circa | 30 acciughe

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1 | PER INIZIARE Acqua corrente, olio extra vergine di oliva, panno e mani: nessun attrezzo oltre alle mani, perché i passaggi sono semplici seppur minuziosi. Come accade in Yurrita i passaggi devono essere svolti manualmente, e soprattutto un’acciuga alla volta. 2 | LAVAGGIO E DISSALATURA Una volta estratta l’acciuga dalla latta, sciacquarla abbondantemente per qualche minuto sotto acqua corrente non fredda, preferibilmente a temperatura ambiente. Questo passaggio permette di eliminare il sale in eccesso depositato sulla superficie del pesce. 3 | PULIZIA Sempre sotto l’acqua corrente, frizionare delicatamente la superficie dell’acciuga così da eliminare quanto più possibile le squame, facendo attenzione a non rovinare il pesce. Indicativamente dovrebbe essere visibile la carne sottostante. Con le dita aprire ogni acciuga dalla pancia fino alla coda ed eliminare con delicatezza la lisca centrale e la coda, verificando di non aver tralasciato spine residue. La pulizia è una parte fondamentale, perché se fatta a regola d’arte i residui di spine o squame non rovineranno il momento dell’assaggio. 4 | SFILETTATURA Separare con delicatezza i due filetti facendo attenzione e non rovinarne le estremità, mantenendo i filetti il più possibile interi e compatti, sia per una questione visiva sia per esaltare al meglio il gusto della carne. Sciacquare un’ultima volta così da controllare nuovamente di non aver tralasciato spine. 5 | ASCIUGATURA E ULTERIORE DISSALATURA Asciugare dall’acqua i filetti appena ottenuti con un panno di stoffa o con della carta assorbente spessa, quindi cospargerli di olio extravergine di oliva e lasciare riposare per almeno 10 minuti. Quest’ultimo passaggio renderà le carni dei filetti meno sapide, con un gusto più delicato, pur mantenendo tutte le caratteristiche tipiche di gusto e consistenza che distinguono le acciughe Cantabriche da tutte le altre. Alcuni preferiscono usare una soluzione di acqua e aceto al posto dell’olio, lasciando “agire” per circa 5 minuti; lo scopo è il medesimo. Lasciamo che ognuno trovi la soluzione più adatta alle proprie esigenze di gestione o di utilizzo.

E la lisca? Un’idea dal Salón de Gourmets di Madrid: le lische fritte diventano degli stuzzichini croccanti per un aperitivo originale!


BORGOGNA, OLTRE AL VINO C’E’ DI PIU’

GEOGRAFIA DEL GUSTO

“Un pasto senza formaggio è come una bella donna senza un occhio”, partiamo dalla citazione di A. Brillat Savarin per scoprire le delizie casearie della Borgogna Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

Il binomio vino e formaggio risiede in ciascuna regione francese. Tra le pieghe dei fasti antichi e della moderna gastronomia, entrambi questi prodotti hanno saputo guadagnare fama e successo a livello mondiale, creando un modello di rete e connessioni commerciali invidiabili. La Borgogna non è esente da tutto ciò, anzi insieme alla Loira è tra le regioni che offrono di più. Situata all’interno del territorio del Franche-Comté, nella parte centro-orientale del paese, ha come città simbolo Dijon e Troyes. Paesaggi dall’orografia appena movimentata e fondo argilloso, vengono costellati da vigneti impeccabili e mitici, contenuti in mur, i perimetrali a secco, confini dei famosi Climats, patrimonio dell’umanità per l’Unesco. Mai sentito parlare di Domaine de la Romanée Conti, Pouligny Montrachet, Pommard 1er cru, Cote de Beaune ecc..? Ma normalmente noi non ci occupiamo di vino, bensì di formaggio e in questa rubrica parleremo di Epoisses Aoc, Langres Aoc, Brillat Savarin, Troyes aux herbes...

formaggio ci sono i monaci, che furono i padri di tutti i formaggi a crosta lavata della Francia orientale, Belgio e Svizzera. Perchè vi chiederete... Beh, avevano sia gran abbondanza di latte, sia le cantine umide per stagionare il formaggio, sia la materia alcolica per lavorare e igienizzare la crosta. Crosta che presenta un colore via via più aranciato nel corso delle 4 settimane di affinamento e che sprigiona il caratteristico e intenso profumo di cantina umida, fieno bagnato e sottobosco. La pasta è fondente e invitante, dolce e scioglievole al palato, con note delicate di burro e mandorla che si alternano a note più importanti di legno umido e fossa. Che dire, se misurassi la qualità di un formaggio con il metro dell’emozione l’Epoisses sarebbe veramente tra i primi in classifica. BRILLAT SAVARIN Ci spostiamo ora 150 km a nord-ovest, in direzione Parigi, dove la Fromagerie Lincet produce un formaggio vaccino pastorizzato a tripla panna intitolato a uno dei gastronomi più famosi in senso assoluto: Anthelme Brillat Savarin. Creato nel 1890 venne inizialmente chiamato Delice de Cremiers (il Delice de Bourgogne è infatti molto simile a questo), ma poi chiamato Brillat Savarin dal famoso fromager parigino Henri Androuet negli anni ‘30. Noi ve lo proponiamo nella versione fresca, ancora ricca di note di yogurt e scorza di limone che smorzano la grassezza e lussuriosità del prodotto, ma molto più conosciuto nella versione affinata che lo avvicina di fatto ad un Brie. A questo stadio iniziale di stagionatura si presta bene ad abbinamenti fantasiosi con frutti rossi, confetture di frutta esotica, chutney lievemente piccanti, o ancora farce a base di tartufo e mascarpone. Vi suggeriamo

Come la storia insegna, dietro alla genesi dei formaggi ci sono spesso i monaci

EPOISSES AOC Se dovessi citare il formaggio più profumato che abbia mai avuto il piacere di assaggiare direi Epoisses Aoc. Piccola tometta da 250 g (disponibile in Francia anche da 1kg), a latte vaccino termizzato a coagulazione prevalentemente lattica che si compie in circa 12 ore di riposo. Alla salatura seguono poi insistenti lavaggi con Marc de Bourgogne (grappa) come insegnarono i monaci stabilitisi a Epoisses 5 secoli fa. Ancora una volta dietro alla genesi di un

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inoltre di provarlo anche nella versione alle erbe, con aglio, prezzemolo ed erba cipollina che molto assomiglia per altro al più grande Troyes alle erbe. LANGRES AOC Pur essendo la Borgogna fonte inesauribile di prodotti gastronomici la lasciamo ora alle spalle salendo verso nord ed entrando nel dipartimento dello Champagne. Incontriamo qui un formaggio che mancava da qualche tempo, si tratta di un dejavù: il Langres Aoc. Piccolo vaccino termizzato a crosta lavata e denominazione protetta dal 2014 sostenuta da 3 soli produttori. Il Langres prende ancora il nome dal paese ove venne prodotto e la storia delle sue origini risale fino al 1750 circa, quando si produceva solo in piccole quantità per autosostentamento delle fattorie. Caratterizzato da una buccia rugosa e aranciata, lavata con una soluzione di Marc de Bourgogne e annatto

(colorante vegetale), presenta l’unicità di avere la faccia superiore concava. Infatti tradizione vuole che il Langres non venga mai rivoltato nel corso del suo affinamento, allo scopo, si dice, di creare un contenitore per un goccio di Marc de Bourgogne o Marc de Champagne che penetra lentamente all’interno del formaggio. Che dire del sapore? Beh è tra i più intensi e penetranti del panorama francese: a naso note animali e vegetali e in bocca è scioglievole e grasso, ma ancora robusto con sentori di cantina umida, legno e fondo animale. Divertitevi nella preparazione dell’assaggio, riempite la concavità di grappa o vino bianco secco e attendete che venga assorbita. Poi sarà pronto al servizio. E’ venuto il momento di assaggiarli, assicuratevi che la temperatura di assaggio sia ideale, mettete i formaggi nell’ordine giusto e... Buon divertimento!

Bourgogne e Champagne

LANGRES AOC

BRILLAT SAVARIN

cod 44211 | peso 180 g

cod 46703 | peso 500 g

TROYES ALLE ERBE cod 46720 | peso 2,5 Kg

EPOISSES AOC cod 44066 | peso 250 g

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LA REGINA DI SPILINGA E’ nato prima l’uovo o la gallina? Prima la ‘Nduja o la Sobrasada maiorchina? Una provocazione per portarci alla scoperta del famoso insaccato calabrese

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

CIBO DAL MONDO

La ‘Nduja: la regina degli insaccati calabri e il suo cugino maiorchino Autentico orgoglio calabro, la ‘nduja celebra ogni anno il suo momento di gloria l’8 agosto in occasione della Sagra a lei dedicata dal Comune di Spilinga, in provincia di Vibo Valentia. Più che una semplice manifestazione gastronomico-folkloristica, è un rito che si ripete fin dal 1975, molto atteso dalla popolazione locale, che tra una sfilata di pupazzi “Giganti” e musica popolare, offre la possibilità di degustare questo particolare insaccato spalmabile in decine di ricette. E’ là che ho avuto modo di assaggiarla in intriganti sughi piccanti, servita con svariati formati di pasta: tagliatelle, farfalle, fusilli, gnocchi, rigatoni, ziti... ma anche semplicemente strapazzata con le uova, usata per insaporire un polpo con le patate lesse o come ingrediente di farce per torte salate e panzerotti... financo rotoli di mozzarella! Nel corso del tempo la popolarità della ‘nduja si è estesa in ogni angolo della Calabria, originando curiose ricette di “frontiera”, come le arancine che ricordo di aver mangiato in alcuni chioschi dello Stretto di Messina o le parmigiana di melanzane alla ‘nduja sul limite con la Campania. Da quando poi la Regina di Spilinga ha varcato i confini regionali, conquistando anche il Nord, non posso non ricordare i crostoni di polenta con fontina fusa o le polpettine di zucca e parmigiano, entrambe le ricette colorate per l’aggiunta di ‘nduja. Ciò che rende unico questo salume dalla consistenza morbida, preparato con le parti grasse del maiale e alcune frattaglie che vengono insaccate all’interno del budello cieco, detto “orba”, del suino stesso e, successivamente affumicate e stagionate, è l’uso generoso del peperoncino calabrese. E’ per questo motivo che la ‘nduja non manca mai come ospite d’onore al Festival del Peperoncino di Diamante, un popolare evento che si tiene molto più a nord di Spilinga, lungo la Riviera dei Cedri e dove, nelle scorse edizioni, celebrammo insieme al presidente dell’Accademia del Peperoncino Enzo Monaco un gemellaggio con il suo parente spagnolo più stretto: la sobrasada de Mallorca. VALSANA | 20


Le origini della ‘nduja Secondo alcuni la ‘nduja fu introdotta in Italia dagli spagnoli, insieme al peperoncino, intorno al 1500 e fu una vera rivoluzione, perché permise di sostituire il pepe, come spezia conservante nella confezione degli insaccati. Nel Medio Evo il Piper nigrum aveva raggiunto cifre proibitive, un chilo di bacche valeva come un cavallo, poiché occorreva importarlo dal sud dell’India e non era coltivabile in Occidente, a differenza del Diavolillo rosso. Per altri, invece, la presenza di questo insaccato è da ricondurre al re di Napoli Gioacchino Murat, quando importò in Italia una specie di salame di trippa francese, l’andouille che fece distribuire gratuitamente per accattivarsi le simpatie dei Lazzari partenopei durante la dominazione francese del regno di Napoli. Il nome stesso ‘nduja pare collegato anche a un altro prodotto norcino, il piemontese salam dla doja che, come il suo cugino francese, l’andouille, deriverebbe dal latino “inductilia” ossia «cose pronte per essere

introdotte», per trasformarsi in forme dialettali come: anduja,’ndugghia,’nduda. Ancora oggi in Spagna la maggior parte dei salumi è aromatizzata con diversi tipi di peperoncino o paprica (pimenton), dal Chorizo del Teror canario alle Chistorras di Navarra, dalla Androlla galiziana alla Sobrasada di Maiorca. Curiosamente è proprio quest’ultima specialità delle Baleari ad assomigliare incredibilmente alla ‘nduja calabrese, per forma e sapore, anche se la sua denominazione potrebbe trarre in inganno, per l’assonanza con la soppressata calabrese. Difficile dire con certezza chi ha influenzato chi, il bello delle diverse culture gastronomiche che ci accomunano è la possibilità di compartir, di condividere cioè tanti prodotti simili che si traducono in ricette diverse. Secondo questa logica può essere divertente allora attingere dal repertorio della tradizione gastronomica spagnola per declinare la ‘nduja calabrese in tante nuove ricette, a cominciare da una delle tapas più popolari: il mallorquino.

Ricette dal mondo MALLORQUINO | ORIGINE: SPAGNA

TAPA CALDA CON ‘NDUJA E FORMAGGIO FUSO INGREDIENTI: 4 fette di pane di campagna con la crosta (tipo baguette), 4 cucchiai colmi di ‘Nduja di Spilinga; 4 cucchiai colmi di formaggio fondente in rapée, tipo provola silana o ragusano Tagliate le fette di pane in modo obliquo, così da ricavare dei tranci dello spessore di un dito. Stendete su ogni trancio un cucchiaio generoso di ‘nduja che tartinerete per fare aderire al pane. Spolverate con una cucchiaiata di rapée di formaggio e infornate sotto un grill a 180° finché il formaggio sarà fuso. Servite come tapa, ancora calda.

‘NDUJA DI SPILINGA Insaccato spalmabile aromatizzato con peperoncino, dal gusto piccante e intenso orba 82546 | peso 2 kg ca. crespone 82545 | peso 500 g ca. vasetto 82544 | peso 180 g


BOCCONI DI STORIA Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

BOTTARGA SARA’ LEI! C’è uovo e uovo… e poi ci sono il caviale e la bottarga Potremmo partire dalla base dell’origine del mondo: prima l’uovo o prima la gallina? Oggi lo sappiamo…prima i dinosauri. E attorno all’uovo Dio solo sa quanta simbologia si è accumulata nel corso della storia: condensato della vita con un fragile involucro rimanda all’idea del ritorno nell’utero materno. È il cibo fra i cibi. I Romani erano grandi consumatori di uova, non solo di gallina, ma anche di oca, d’anatra e di uccelli selvatici. E Leonardo, viste le celebrazioni in corso per i 500 anni dalla sua morte, amava i piatti semplici, le uova appena bollite, sode o strapazzate. La medicina rinascimentale era convinta che le migliori fossero quelle di galline grasse “calcate dai galli”, ossia fecondate. E in una sorta di hit parade, a seguire quelle dei fagiani, delle oche, delle anatre… QUALI UOVA? Per dimensioni possiamo partire dall’uovo di struzzo, fino alle migliaia di uova di ogni specie di pesce. Di tutti i cibi provenienti del mare, i più costosi e lussuosi sono le uova di pesce. Il caviale, uova di storione salate, “è il tartufo del regno animale”. Le ovaie del pesce contengono un gran numero di uova, in vista della riproduzione; fino a 20.000 nel salmone e a svariati milioni nello storione e nella carpa. Le uova del pesce contengono tutte le sostanze nutritive di cui la cellula avrà bisogno fino alla schiusa e quindi sono un nutrimento più concentrato del pesce stesso: grassi, amminoacidi e acidi nucleici sapidi. VALSANA | 22

Le migliori da cucinare o salare non sono né troppo immature né pronte per la riproduzione. Le ovaie sono piene di uova separate, tenute assieme da una soluzione proteica diluita all’interno di una membrana sottile e fragile. In cucina è più facile maneggiarle se sono state brevemente lessate per coagulare la soluzione proteica e dare consistenza. LA BOTTARGA... Le uova di pesce per secoli si sono mangiate più spesso salate che fresche. In origine la salatura era solo un mezzo di conservazione. Per millenni, nell’area mediterranea, ovaie di muggine (cefalo o volpina) e di tonno intere sono state salate a secco, pressate e seccate per ottenere quella che oggi è nota come bottarga. La salatura e l’essiccazione provocano una concentrazione di amminoacidi, materie grasse e zuccheri che caramellizzano e danno alle uova un colore rosso scuro, generando sapori ricchi e accattivanti. Tanto che si grattugia sopra la pasta come il parmigiano, e anche sui frutti tropicali. È un boccone prelibato, che si affetta sottilissimo. Viene considerato il caviale del Mediterraneo ed è una specialità di alcune regioni: Sardegna, quella dello stagno di Cabras, Sicilia a Favignana, in Toscana a Orbetello e nella Maremma Grossetana, e in Calabria. ... DI TONNO È la meno pregiata, il suo colore spesso varia da rosa chiaro a marroncino. Ha un sapore molto più intenso rispetto alla bottarga di Muggine e una consistenza decisamente più dura. La bottarga di Tonno viene prodotta principalmente in Sicilia, Calabria e Sardegna.


... DI MUGGINE É la più pregiata e costosa e presenta un colore ambratodorato. Ha un sapore deciso e allo stesso tempo molto delicato. Per essere sicuri che la bottarga di Muggine sia di qualità elevata basterà osservare il colore e la consistenza. La consistenza deve essere compatta e il colore uniforme. La bottarga di Muggine è senza ombra di dubbio la più ricercata. Viene prodotta principalmente in Sardegna, Campania e in Toscana. IL CAVIALE Molto più pregiato è il caviale, ricavato dalle uova di storione e ottenuto con una salatura più moderata applicata alle uova separate e umide. La salatura leggera trasforma le uova di storione esaltandone il gusto e il sapore: sembra di assaggiare una sorta di salamoia primordiale in cui si concentrano le molecole da cui nasce la vita. Per questo è il lusso assoluto che ha il sapore del mare. E le testimonianze storiche ce lo attestano presente in età egizia, presso i Cartaginesi e poi in tutta l’epoca classica. Gli antichi Greci erano grandi estimatori del caviale, che amavano servire decorato con fiori abbinato a formaggi e olive, accompagnato da vino e da …poesie che ne decantavano il gusto. Pur prevedendo la regola benedettina il consumo di pesce sostituto della carne, tuttavia tale era il piacere e la raffinatezza che l’abate Guido di Pomposa nel XII secolo dovrà proibire ai suoi monaci di cibarsi di storione per tre giorni alla settimana. Ma questa è un’altra storia, che ci porta nella lontana Russia… ma anche lungo il fiume Sile. E a segnalare come siano cambiati i tempi, bottarga è anche diventato sinonimo di un modo di preparazione e si dà il caso che si possa assaggiare, è successo, una bottarga di lepre… non le uova di sicuro, ma il filetto. Chiudiamo con una curiosa e interessante tabella di sintesi (Fig. 1) che ci racconta come ovunque, a tutte le latitudini, da secoli si usi consumare le uova di pesce. Siamo venuti dal mare e al mare torniamo sempre a nutrirci anche di uova, quell’uovo da cui siamo partiti e che concentra in sé l’origine della vita.

PESCE

QUALITÀ DELLE UOVA

NOMI

Carpa

Molto piccole, rosa chiaro, a volte salate

Grecia: tarama

Merluzzo

Molto piccole, rosa, a volte salate, pressate

Giappone: ajitsuki, tarako, momijiko

Pesce Rondine

Piccole, gialle, spesso tinte di arancione o nero, croccanti

Giappone: tobiko

Cefalo

Piccole, spesso salate, pressate ed essiccate

Italia: bottarga Grecia: trama Giappone: karasumi

Aringa

Medie, giallo dorate, a volte sotto sale; apprezzate in Giappone quando sono legate ad alghe laminariali

Giappone: kazunoko

Salmone

Grandi, rosso aranciato, principalmente da Salmone Keta, in genere in salamoia leggera e vendute fresche

Giappone: suijiko (ovaia intera); ikura (uova separate)

Storione

Medie, salate delicatamente per farne caviale

-

Tonno

Piccole, spesso salate, pressate ed essiccate

Italia: bottarga

Alosa

Piccole, da una parente dell’aringa

-

Coregone

Piccole, dorate, croccanti, della famiglia dei salmonidi d’acqua dolce, spesso insaporite o affumicate

-

Fig. 1 Caratteristiche delle uova di pesce più comunemente mangiate

BOTTARGA DI MUGGINE DI CABRAS

BOTTARGA DI MUGGINE DI IMPORTAZIONE

BOTTARGA DI TONNO ROSSO

Bottarga prodotta a Cabras con uova di muggini pescati nello stagno di S’Ena Arrubia cod 94017 | baffa intera | 200 g cod 94018 | baffa metà | 100 g

Uova di muggini pescati sulle coste della Mauritania, salate ed essiccate come da tradizione a Cabras cod 94015 | baffe da 80/110 g cod 94016 | baffe da 150/180 g cod 94019 | grattugiata in vaso 40 g cod 94020 | grattugiata in busta 100 g

Uova di tonno rosso pescati nel bacino del Mediterraneo, salate ed essiccate; disponibili in tranci cod 94021 | peso 200 g circa


PICCOLO MA BUONO: IL CAPPERO!

OSIAMO L’ABBINAMENTO

Un fiore che non ce l’ha fatta? No, il cappero è molto di più, un piccolo concentrato di sapore A seguire lo scorso numero posso rimanere in Sardegna visto che l’estate pare meno timida, il mare è sempre bello e parleremo di capperi! Se provo a ricordare le prime uscite per fare la spesa con mia mamma mi vengono in mente verdura e frutta, pasta, il pane, qualcosa dalla gastronomia, e poi c’erano spesso i capperi. Pensavo non fosse un acquisto fondamentale, ma quando chiedevo “perché?” mi sentivo dire “ma sì qualcosa ci facciamo”. A volte non ci pensiamo, ma i capperi possono essere usati in tantissime ricette: col pesce, con la carne, sulla pizza, nei sughi, nelle salse e nelle insalate. Davvero mille usi... Per forza! Il cappero è un concentrato di profumo e sapidità, riconoscibile sia nel gusto che nella consistenza. Da non confondere però con i cucunci, che vengono dalla stessa pianta, ma che, invece di essere il bocciolo come i capperi, ne sono il frutto.

Matteo De Santi è Laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Verso la fine di maggio, come per gli scorsi numeri del magazine, organizzavo un mio ordine con un vaso di capperi da portare a casa per provare gli abbinamenti. Quando vado a prendere il pacchetto mi accorgo che i vasi sono due. I miei colleghi generosi forse volevano un invito a cena, ma sapevo che era stato un errore. Due sono troppi per me, allora ho pensato di attivare i colleghi e vedere cosa avrebbero proposto. Dopo aver regalato qualche bicchiere da caffè colmo di capperi ecco cosa vi proponiamo:

A Selargius viene coltivata una varietà di capperi tipici della zona diventati noti per l’alta qualità dovuta ad un sapore genuino e intenso. Marco Maxia che lavora questa varietà da diversi anni, unicamente raccolta a mano, ha aggiunto un altro elemento di distinzione sulla qualità, il calibro. Infatti ne propone due tipi: medi ed élite. Facendo la raccolta a mano l’idea è quasi venuta spontanea: visto che il cappero più piccolo è migliore su tutti i fronti perché non distinguerlo? Quindi soltanto con l’aggiunta di sale marino sardo la lavorazione è terminata. Dal campo al vaso.

CAPPERO SELARGINO SOTTO SALE - MEDIO Capperi conservati con sale marino sardo, dolci e vegetali, leggermente sapidi medi | 94495 vaso 200 g | 94496 vaso 1 kg élite | 94491 vaso 200 g | 94490 vaso 80 g

Il produttore Il Cappero Selargino nasce per far riscoprire una coltura tradizionale, quasi scomparsa a causa dell’abbandono delle campagne sarde: fondata nel 1999, l’azienda si specializza nella coltivazione del cappero recuperando piante secolari e applicando metodi di coltivazione naturali. Marco Maxia, ha dedicato molti anni allo studio della coltivazione del Cappero Selargino per riqualificarlo e valorizzarlo.

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om rra. c

fermen tobi

NEL BICCHIERE Qui non è stato facile l’abbinamento, non perché ci siano poche alternative anzi, ce ne sono troppe! La declinazione della scelta è fatta in base alla ricetta in cui viene utilizzato il cappero, quindi essendo flessibile nell’utilizzo lo è allo stesso modo nell’abbinamento. Io suggerisco una birra bianca, fresca con note agrumate e di fiori... A brevissimo capirete perché.

NEL PIATTO Le ricette sono tantissime come dicevo, lo abbiamo provato saltando del pesce in padella con pomodori datterini, in una tartare di ricciola con arancia e finocchio oppure nelle polpette. Tutte ottime scelte, ma alla fine mi sono fatto prendere dall’estate finalmente arrivata e ve li propongo con cous cous, basilico, cipolla di Tropea e peperoncino del Sichuan... Tanto semplice quanto buono.

DAL CAMPO L’abbinamento qui sembrerà un po’ azzardato, ma vi sfido a provarli con qualche fragola in un’insalata fresca, magari con un carpaccio di finocchio tagliato sottile, fresco e appagante.

UN CONSIGLIO IN PIÙ oros ber m ga

so.it

Il consiglio che vorrei dare non è tanto sull’utilizzo quanto sulla scelta e conservazione. Se vi trovate davanti alla scelta di un cappero sapete che potete trovarlo sotto sale oppure sotto aceto, ma non fatevi venire dubbi, sotto sale è la sola risposta che garantisce la qualità. L’aceto infatti, come la salamoia, viene utilizzato per nascondere il gusto forte quindi anche eventuali difetti. Riguardo la gestione invece vi consiglio, una volta dissalati, di bagnarli con un filo d’olio per far riprendere consistenza e ravvivare il sapore! VALSANA | 25


NOTIZIE DA VALSANA

PAESE CHE VAI... Da Faenza a Göteborg, due esperienze per due eventi organizzati dai nostri clienti... e come sempre il gusto la fa da padrone! Non potevamo non raccontare questi due appuntamenti, che ci rendono tanto orgogliosi di fare il nostro lavoro... Partiamo da dietro casa, da Faenza, dove a fine marzo è stata inaugurato ‘O Fiore Mio Hub, un laboratorio del pane e della pizza, ideato da Davide Fiorentini, già creatore di diversi locali sotto la stessa insegna, come una pizzeria gourmet sempre a Faenza (RA), e altri tre punti di vendita di pizza in teglia a Bologna e Milano. Il nuovo spazio è stato inaugurato alla presenza del re della pizza in teglia alla romana, Gabriele Bonci, insieme ad Andrea Casa di Casa Graziano, una garanzia per il Prosciutto di Parma DOP. Noi non potevamo mancare, così Riccardo è partito senza indugi per la Romagna. Dalla pizza al produttore della materia prima,

un’inaugurazione che ha reincarnato il concetto di filiera corta a noi tanto caro e che, a detta degli ospiti, è stata un vero successo! Stefano invece è volato in Svezia, a Göteborg, dove i ragazzi della formaggeria Hilda Nilsson Ost hanno organizzato un evento molto originale: una degustazione di pecorini sulle note musicali di un bravissimo gruppo jazz che suonava dal vivo. Qui il filo conduttore è stato la commistione di due differenti arti, quella musicale e quella casearia. Vi sembra un azzardo? Vi garantiamo che non lo è stato, anzi, l’idea ho convinto tutti i presenti. Le suggestioni create dalla musica e dal cibo si sposano alla perfezione... Chissà, magari la prossima volta organizzeranno qualcosa a suon di rock!

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LAVORI IN CORSO... Sono passati due anni da quando abbiamo preso atto che non saremmo potuti rimanere ancora a lungo nella nostra attuale sede a Santa Lucia di Piave.

Lo spazio è diventato in questi ultimi mesi un collo di bottiglia importante per il nostro lavoro, che non ci permette di lavorare come vorremmo La mancanza di spazio ci costringe a limitare i nuovi inserimenti, a riordinare settimanalmente anche prodotti che hanno una shelflife lunga e aumentare quindi il rischio di rimanere senza scorte, perché non abbiamo lo spazio sufficiente per gestirle. Gestiamo infatti a scorta la maggior parte dei prodotti che abbiamo a catalogo: il 97% delle referenze sono immediatamente disponibili all’ordine. Nell’attuale magazzino siamo entrati nel novembre del 2005 e sembrava enorme. Diversi ragazzi che lavorano con noi ancora si ricordano il trasloco che abbiamo fatto al tempo e la sensazione che fosse molto grande... In realtà lo abbiamo riempito in fretta e ora ci ritroviamo con la stessa sensazione: un trasloco da fare e l’impressione di un magazzino VALSANA | 27

davvero ampio, un’opportunità ulteriore di crescita e la responsabilità di un investimento importante. Ora stiamo vivendo un tempo “sospeso”, quello che ci separa dal trasloco, una sensazione di attesa nel più schietto e genuino significato del termine che è insieme preparazione, aspettativa, desiderio, emozione, pazienza (assai), e ammettiamolo dai, anche un po’ di ansia, come è normale che sia... Ci siamo quasi.. Siamo finalmente riusciti a fissare la data...

Ci sposteremo nella nuova sede di Godega di Sant’Urbano nei giorni 11-12-13-14 luglio. Cercheremo di fare tutto in un week end (lungo) per garantire la continuità del servizio E ci scusiamo fin d’ora per eventuali inconvenienti che potranno verificarsi durante e nei primi giorni dopo il “trapasso”... E’ un ulteriore importante passo avanti nella storia di Valsana, cercheremo di gestirlo con responsabilità e impegno. E confidiamo di potervi invitare presto nella nuova sede a Godedg di Sant’Urbano per l’inaugurazione!

NOVITÀ

A partire da giovedì 11 luglio inizieremo il trasloco nella nuova sede di Godega di Sant’Urbano, dove saremo operativi a partire da lunedì 15 luglio


MENÙ #VEGANO E CONSAPEVOLE Tre ricette dallo stile vegan per ritrovare nuova consapevolezza e etica in cucina

NOTIZIE LA CUCINA DA DI VALSANA QB

Avete mai visto l’espressione di uno chef che nel bel mezzo del servizio riceve una comanda dal maître con scritto “vegano”? Potete immaginarla, in quanto sono davvero pochi i ristoranti o bistrò lungimiranti nelle proposte del menù che non sia la solita insalatona, privata per l’occasione di gamberetti e uova. Ma chi è il vegano (o vegetaliano)? “Si tratta di una persona che ha abbracciato la concezione dietetica che rappresenta la forma più radicale del vegetarianismo, che esclude dall’alimentazione umana qualsiasi alimento di provenienza animale (e quindi anche latte e derivati, uova e miele)”. L’enciclopedia Treccani è molto precisa in merito e lo è anche circa i rischi per la salute, se la dieta vegana non venisse completata con integratori per evitare la carenza di ferro e di calcio, di amminoacidi essenziali, di vitamina B12. Etichettati fino a qualche tempo fa come nostalgici frichettoni che erano stati in India a scoprire sé stessi, essere vegani non significa solo alimentarsi esclusivamente con verdura, legumi e cereali, ma sposare una “dieta”, intesa come stile di vita, rispettoso non solo degli animali che si salvarono come noi dal Diluvio Universale, ma anche del pianeta che ci ospita. COP21, la grande conferenza mondiale sul cambiamento climatico, organizzata a Parigi nel novembre 2015, denunciò quanto gli economisti sottolineavano da tempo, ossia che se nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 10 miliardi di individui non ci basteranno due Terre per sfamarli tutti. Solo la consapevolezza del nostro “carico antropico”, cioè del ruolo della presenza dell’essere umano, e la relativa assunzione di responsabilità, potrà convincerci a cambiare stile di vita, a partire dall’alimentazione. Ma non solo, perché essere “consapevole e rispettoso” è un upgrade che dovrebbe coinvolgerci in processi più ampi. E’ meno etico nutrirsi di un animale da cortile che è cresciuto spensierato in campagna o nutrirsi di verdure raccolte dagli schiavi 2.0? Dalle campagne dell’agro-pontino alla pianura padana il lavoro massacrante di braccianti provenienti da tutto il mondo, pagato meno di quattro euro all’ora, consente di acquistare 500 ml di passata di pomodoro bio a meno di 80 centesimi. Coltivare un chilogrammo di avocado richiede dieci volte la quantità d’acqua necessaria a coltivare un chilogrammo di pomodoro. Ma siccome è diventato un cibo #figo, in quanto elevato al rango di superfood, viene utilizzato anche per confezionare il Tiramisù. Non sarebbe il caso quindi di riflettere su tutti i nostri comportamenti, dall’uso della bicicletta al packaging delle banane?

POMODORI SECCHI READY TO EAT

Pomodori pugliesi essiccati al sole, pronti da gustare cod 93997 | peso 250 g circa in box da 8 pezzi

Per aiutarvi a pensare, e per una nuova etica in cucina, ecco un menù tutto vegano, che sembra realizzato dallo chef Germidi Soia (magistralmente interpretato da Maurizio Crozza) in cui tradizione e contaminazione diventano protagonisti di piatti decisamente buoni. E giusti. VALSANA | 28

Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo


Grazie al pomodoro, l’hummus si veste di novità!

HUMMUS DI POMODORI SECCHI L’hummus è una salsa conosciuta in tutto il Medio Oriente che vede i ceci e la pasta di sesamo protagonisti assoluti, unitamente a dell’ottimo olio evo, abbondante aglio e un pizzico di summacco, spezia dai sentori aspri. Una salsa vegetale per eccellenza che nella versione proposta in questo numero si arricchisce della presenza elegante del pomodorino essiccato. Servitela con qualche oliva nera cotta in forno e grissini al sesamo per completare il tutto TEMPO: 15’ INGREDIENTI PER 6 PERSONE

240 g di ceci lessati 50 g di pomodoro secco “I Contadini” 1 spicchio d’aglio, privato dell’anima 50 g di tahina (pasta di sesamo) 50 ml di olio evo delicato 2 limoni bio, il succo e zeste 1/2 cucchiaio di cumino 1/2 cucchiaio di paprika in polvere aneto essiccato sale 1 cucchiaio di olive nere al forno e dei grissini al sesamo per il servizio Lasciare in ammollo i ceci VALSANA | 29per un’intera notte,

sciacquarli sotto acqua corrente e cuocerli per 30’, o fino a quando saranno morbidi, in abbondante acqua salata. Scolarli, trattenendo l’acqua di cottura e trasferirli nella ciotola di un mixer con tutti gli altri ingredienti lavorandoli fino a ottenere una crema liscia e vellutata, aggiungendo, se necessario, qualche cucchiaio dell’acqua di cottura. Regolare di sale. Servire la salsa con un filo di olio evo, aneto essiccato, uno spolvero di paprika, se gradito, e qualche oliva nera cotta al forno.


PIZZA IN PALA CON CAPONATA DESTRUTTURATA Negli ultimi anni la pizza, piatto associato indissolubilmente all’italica cucina, è diventata grande, indossando abiti gourmet che nei congressi gastronomici diventano sempre più sofisticati. Questa ricetta si ispira al piatto più semplice che la tradizione napoletana ha saputo esprimere e sposa gli ingredienti cari ai foodies vegani. In attesa di una stampante 3D che produca mozzarelle senza latte! TEMPO 30’ INGREDIENTI PER 4 PERSONE

LA CUCINA QB NOTIZIE DA DI VALSANA

1 pizza in pala o una focaccia già pronte 1 panetto di tofu 50 g falde di pomodoro 1 cucchiaino di zucchero di canna 2 melanzane lunghe 2 cipolle di tropea 1/2 gamba di sedano 40 g olive verdi denocciolate 40 g capperi piccoli mazzetto di erbette fresche basilico fresco olio di semi (girasole, mais o vinacciolo) aceto di mele olio evo sale, pepe nero macinato al momento grue di cacao per il servizio Tagliate a julienne le falde di pomodoro. Sbollentate il panetto di tofu per 2/3’ in acqua non salata, sbriciolatelo e lasciatelo marinare per 30’ in una vinaigrette preparata con olio evo, aceto di mele, erbette fresche tritate e un cucchiaino di zucchero di canna. Unite anche la julienne di pomodoro. Affettate con una mandolina le melanzane (fette di 3/4 mm) e tuffatele in abbondante olio di semi, doratele e fate assorbire l’olio in eccesso in carta assorbente non trattata. Mettete da parte. Mondate e tagliate a spicchi abbastanza spessi le cipolle, sbollentatele in una soluzione acidulata (100 ml di aceto di mele in 1 litro d’acqua) per tre volte consecutive, lasciandole cuocere per 1’ dopo la ripresa del bollore. Scolatele e mettetele da parte. Sbollentate in acqua bollente le olive e poi il sedano mondato e tagliato a cubetti. Unite le verdure ai capperi e mescolate con un filo d’olio e qualche fogliolina di basilico.

Vegano non è sciapo: provate questa pizza ricca e golosa!

Scaldate per qualche minuto nel forno già caldo la pizza in pala, sfornate e farcite: prima il tofu marinato con le falde di pomodoro, poi le rondelle di melanzana, le verdurine al basilico e infine le falde di cipolla. VALSANA | 30 VALSANA | 30

Terminate con qualche fogliolina di basilico e un sospetto di grue di cacao.


PESTO DI POMODORI SECCHI AL PROFUMO DI PROVENZA (PER DEGLI SPAGHETTI BUONI BUONI) Il pesto alla genovese è la salsa regina della cucina ligure, prodotta con ingredienti nobili come i delicati pinoli e il profumato basilico. Quindi un seme ed un’erba aromatica. E se provassimo a declinare diversamente gli ingredienti con quanto ci offre l’estate? Avremo la possibilità di realizzare mille pesti (anche con le foglie del broccolo o delle carote novelle) con i quali farcire tartine, impreziosire sandwich e, perché no, condire insoliti piatti di pasta. Che la fantasia sia con voi! TEMPO 20’ + RAFFREDDAMENTO INGREDIENTI PER 4 PERSONE

110 g pomodori secchi 110 ml di olio extravergine d’oliva 15 g noci di macadamia 15 g anacardi salati 30 g cipollotto, parte bianca e verde 30 g mix provenzale secco (timo, rosmarino secco tritato, fiori di lavanda, maggiorana, origano, menta, alloro, basilico) 1 limone bio sale pepe nero macinato al momento farina di mandorle o pistacchio per il servizio Tostate i semi nel forno statico a 180° per 15’. Fate raffreddare. Ottenete dal limone succo e zeste. Tritate grossolanamente le falde di pomodoro. Nel mixer inserite i semi e lavorateli per qualche secondo, aggiungente i restanti ingredienti e l’olio a filo, azionando il mixer con la funzione “pulse” o fino a quanto si otterrà un composto omogeneo ma non omogeneizzato. Terminate aggiungendo a mano il succo di limone e le zeste. Regolate di sale e pepe. Utilizzate questo pesto, appena diluito dall’acqua di cottura di una buona pasta, lunga o corta, anche integrale o confezionata con farina di legumi, per un primo piatto gustoso e completo. Una spolverata di farina di mandorle o di pistacchio e voilà.

Pesto gustoso declinato in una versione “rossa”

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