Selezione di Sapori | 2021 06

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A NOV | DIC 2021


EDITORIALE

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Sara Mazzucco, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Donato Petitjacques Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Siamo arrivati all’ultimo numero del 2021, che quest’anno esce per la prima volta con un “inserto Natale”: le nostre proposte per le confezioni regalo e per i menù di fine anno. Abbiamo scelto di mantenere la nostra linea editoriale: il viaggio in Valle d’Aosta diventa l’occasione per raccontarvi la nuova campagna di Estrema d’Alpeggio Fontina DOP e l’intervista doppia un’opportunità per sottolineare le differenze tra due crudi di razza; la Melagrana, frutto di stagione benaugurante, è l’ingrediente delle ricette di Anna Maria Pellegrino; senza dimenticare la storia, anzi le storie, di Danilo Gasparini questa volta incentrate su un piatto natalizio per eccellenza, i tortellini in brodo. Abbiamo poi voluto dedicare qualche pagina a Sapori, il nostro più importante evento aziendale, che quest’anno ha cambiato format e location, senza cambiare però quella che è la sua essenza, l’incontro con i produttori. E poi il nostro inserto, che si apre con una super novità: il panettone, un mondo in cui entriamo in punta di piedi, con tre prodotti di Antonio Follador, solo su prenotazione. Ma le novità non finiscono qui. Oltre alla Nocciolata di Borgoluce, già presentata in anteprima a Sapori, vi proponiamo due formaggi pluripremiati: Fava Tonka e Vermouth di Perenzin, che ha vinto il prestigioso premio San Lucio e il Cacio di Venere del Caseificio Il Fiorino, medaglia d’oro al Mondial du Fromage a Tours. Ma ci aspettiamo grandi riscontri anche sul Tatie, un formaggio erborinato con Vermouth e mascarpone nato dalla collaborazione tra Moro Formaggi e il maître fromager Alberto Marcomini. Insomma, tante novità per un fine anno che ci auguriamo sia per tutti davvero con il botto! Martina Iseppon


SOMMARIO NOVEMBRE | DICEMBRE 2021

Viaggio in Valle d’Aosta

VOCAZIONE ESTREMA 04

Intervista doppia

ALLO STATO BRADO

Dietro le quinte

SAPORI 2021 10

PANETTONE | DOLCI | ABBINAMENTI 15

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PASTA E RISO | CONSERVE | SALSE

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PESCE | SALUMI | FOIE GRAS E FRANCESI 24

Il prodotto dimenticato

SPECIALITÀ AL TARTUFO | FORMAGGI PANCETTA CAMPAGNOLA

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39

Il mondo a tavola

LA CUCINA DELL’EST EUROPA 40

L’Italia è servita

TORTELLINI DI BOLOGNA... E BASTA!

Abbinamenti a 4 mani

SUA MAESTÀ LA REGINA 44

Chiedilo al macellaio

IL BOLLITO

Lacucinadiqb

MELAGRANA: 613 SEMI DI BONTÀ

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46 48


viaggio in valle d’aosta

VOCAZIONE ESTREMA Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

La visita all’alpeggio di Plan Vaion ci ha fatto capire il valore della scarsità, del limite, della radicalità di Estrema d’Alpeggio Fontina DOP: oltre la qualità organolettica, un presidio di cultura agricola da proteggere e diffondere 4 minuti di lettura

L’uomo che vedete in copertina è Donato Petitjacques, produttore di Estrema d’Alpeggio Fontina DOP che siam stati a visitare l’estate scorsa, e che per noi rappresenta l’essenza dell’artigianalità. Non c’è che dire, Donato la copertina se la merita tutta, per il prodotto che fa indubbiamente, ma soprattutto per la vita che conduce per poter fare un formaggio unico. Sveglia assai prima dell’alba tutte le mattine, mungitura, produzione del formaggio, accompagnamento degli animali al pascolo, primi rivoltamenti, sanificazione della stanza ove produce e pulizia della stalla, cura del formaggio in stagionatura e tante altre attività quotidiane inframezzate a queste e non meno importanti.

ESTREMA D’ALPEGGIO FONTINA DOP

Ah dimenticavo. Moltiplicate quasi tutto per due perchè la Fontina si fa due volte al giorno, con annessi e connessi.

Fontina DOP prodotta sull’alpeggio Plan Vaion a 2578 metri di altitudine.

E soprattutto d’estate ci si deve spostare da pascolo a pascolo, da alpeggio ad alpeggio fino a raggiungere i pascoli più estremi, chiamati “TSA”.

Al naso risaltano note di burro cotto e pascolo e una lieve nota affumicata; in bocca è dolce, calda e suadente, con note di nocciola, burro cotto, erbe di montagna e cantina; la sapidità è ben bilanciata

Certo Donato si avvale di un paio di collaboratori chiaramente, ma si sobbarca sulla schiena oneri e onori (e orari) del capo fila. Ed è per tutto questo che nel titolo ho voluto tirare in ballo il concetto di vocazione, perchè una vita così o ce l’hai dentro oppure non la conduci per così tante stagioni!

cod 31298 | peso 9 kg circa

A inizio luglio siam stati in Valle d’Aosta con la rete vendita, allo scopo di acquisire la consapevolezza e la sensibilità necessarie per

solo su prenotazione fino a esaurimento scorte

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raccontarvi Estrema d’Alpeggio Fontina Dop, un formaggio a disponibilità limitatissima, prodotto solo nelle 4 settimane centrali dell’estate, oltre i 2000 metri e utilizzando latte crudo di Pezzate Valdostane Rosse o Nere alimentate esclusivamente al pascolo, senza integrazione alcuna di mangime. Questo è un dettaglio non da poco e ci ritorneremo più avanti.

Un formaggio a disponibilità limitatissima, prodotto solo nelle 4 settimane centrali dell’estate, oltre i 2000 metri, con latte crudo di Pezzate Valdostane Rosse o Nere alimentate esclusivamente al pascolo, senza integrazioni Cerco quindi di portarvi con noi, in questa scarpinata di inizio luglio, che ci ha fatto compiere 600 metri di dislivello dalla Diga di Bionaz, dove siam arrivati in corriera, a 1968 metri, fino all’alpeggio di Plan Vaion a 2578 metri ove siam arrivati a piedi e ove Donato montica tra metà luglio e metà agosto per fare l’Estrema che tra qualche settimana avrete nei vostri locali. E’ corretto precisare che al Plan Vaion o si arriva a piedi o si arriva a piedi, c’è soltanto un piccolo montacarichi


a mezza valle che aiuta nel trasporto delle merci per la sussistenza di 4 settimane. Donato deve portar su paradossalmente anche la legna per accendere il fuoco per scaldare il latte, a quelle altezze non crescono già più piante a fusto. Arrivati in cima, dopo un paio d’ore di camminata tra sentieri pietrosi nel sottobosco e sentieri aperti su prati appena fioriti, ci siam goduti un panorama fantastico, anche se un po’ guastato dal maltempo. Pascoli aspri, ricchi di erba ma, al tempo stesso, anche di tanti sassi. Pensate che l’hobby di Donato quando sale a questa quota è quello di ammassare i sassi in piccoli cumuli per permettere a più erba di crescere per l’estate seguente, è un lavoro di cesello, che cura i particolari e cerca di “rubare” superficie di pascolo alla natura.

Ce lo racconta Grato Chatrian, promotore tra gli altri del progetto di Estrema d’Alpeggio e nostro accompagnatore nei giorni della visita. Addossati ai muri delle stalle e dei locali di ricovero ci gustiamo un ricco picnic a base di prodotti valdostani, Estrema d’Alpeggio 2020 compresa ovviamente. Prima di raffreddarci troppo decidiamo di scendere a valle, ma non riusciamo a rinunciare a qualche foto di gruppo, quando si arriva in cima è necessario sugellare il momento. L’unico rammarico è legato al fatto di essere saliti troppo presto per vedere Donato in produzione quassù, l’erba quest’anno era ancora troppo scarsa per monticare e non c’erano ancora le condizioni per far mangiare gli animali a sufficienza. Poco male, lo vedremo in un alpeggio più a valle più tardi, ma prima dobbiam

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Vi raccontiamo l’esperienza emozionante di degustare l’Estrema di Alpeggio Fontina DOP direttamente sull’alpeggio di Plan Vaion dove viene prodotta, a 2578 metri di altitudine


viaggio in valle d’aosta

Dopo la prima esperienza dello scorso anno, abbiamo deciso di adottare l’alpeggio di Donato Petitjacques e di acquistare l’intera produzione di Estrema di Alpeggio Fontina DOP dell’estate 2021, pari a circa 200 forme. Saranno disponibili dal 22 novembre, con 120 giorni di stagionatura solo su prenotazione, fino a esaurimento scorte.

ridiscendere alla diga. In ogni caso la visita all’alpeggio di Plan Vaion basta per capire il valore della scarsità, della limitatezza, della radicalità che questo formaggio porta in sé. E’ sì qualità organolettica, ma è anche un presidio di cultura agricola da proteggere e diffondere. Scendiamo a valle, la discesa come spesso accade è più sbarazzina e rilassata della salita, salvo per alcuni poco avvezzi alla montagna. Saliamo in corriera e ci dirigiamo poco più sotto la diga dove al momento Donato sta monticando un alpeggio a 1800 metri circa, la sua mandria è composta da una settantina di vacche che quando arriviamo sono in stalla per la seconda mungitura giornaliera (son circa le 17 del pomeriggio).

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Qualcuno di noi si cimenta subito con la mungitura manuale, giusto un attimo per capire quanto sia facile, ma allo stesso tempo stancante per la mano. E’ anche un modo per ingannare l’attesa perchè ci vogliono ben due ore prima di completare il ciclo e riempire, un secchio dopo l’altro, la caldaia di rame. A breve inizierà il rito della caseificazione (ore 19 circa). Mentre viene acceso il fuoco, rigorosamente a legna, Franco Reboulaz, consigliere dell’associazione dei proprietari degli alpeggi, ci ricorda che la Fontina Dop è un formaggio a latte crudo intero, a pasta semicotta e crosta lavata. Ci siamo, arriva Donato giusto giusto per la caseificazione, pulizia veloce del pavimento del locale di produzione e si parte con il


leggero riscaldamento del latte e l’aggiunta del caglio e dei fermenti selezionati forniti dal Consorzio e sulla cui necessità di utilizzo ci confrontiamo un attimo al volo. Donato li utilizza per avere maggior tranquillità rispetto al risultato finale. E’ forse l’unico coadiuvante tecnologico che utilizza. Dopo 40 minuti il caglio ha fatto effetto e si inizia la rottura con lo spino, delicatamente, guidata da gesti ritmati e lenti. Poi ancora per mezzo di una scodella, favorendo la risalita delle masse di cagliata più pesanti che stanno in fondo e cercando di romperle in modo omogeneo. La cagliata viene poi cotta tra i 46 e i 48°C prima di riposare e venire versata all’interno delle fascere. Ogni giorno si fanno dalle 6 alle 8 forme, la quantità varia a seconda del momento

stagionale. Seguirà la pressatura per circa 12 ore, la salatura e il lavaggio in crosta che sarà giornaliero inizialmente e poi via via più rado. Quella che abbiam visto non è la produzione di Estrema (siam sotto i 2000 metri), ma i passaggi di produzione sono i medesimi, cambia solo il contesto produttivo. Per l’Estrema d’Alpeggio 2021 dovete aspettare ancora qualche settimana, fino a metà novembre. Vista l’importanza del prodotto vorremmo che vi arrivasse con una stagionatura idonea e in tempo per la campagna natalizia. Avrà quindi circa 120 giorni di stagionatura e... di estremo piacere! Reportage fotografico di Beatrice Mancini

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Chiedi al tuo agente di riferimento di partecipare all’iniziativa promozionale “Un Viaggio Estremo”: i tre clienti che sapranno raccontare meglio il progetto, sia online che nel punto vendita, avranno la possibilità di trascorrere un week end in Valle d’Aosta per visitare i luoghi dove nasce l’Estrema d’Alpeggio Fontina DOP


intervista doppia

Giulia Basso giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste

Luisa Imbrogio

David Orlandi

ALLO STATO BRADO Suino Nero dei Nebrodi o Grigio del Casentino? A confronto due prodotti bandiera dell’allevamento allo stato brado 3 minuti di lettura

Con la loro attività hanno salvato dall’estinzione il suino Nero dei Nebrodi, una delle razze più pregiate della Sicilia. E ora che il loro prosciutto si è guadagnato notorietà grazie alla salubrità e alle qualità organolettiche delle carni, Luisa e Sebastiano Agostino Ninone hanno passato il testimone al figlio ventiquattrenne, Vincenzo. “Questo passaggio generazionale ci permetterà di portare avanti ciò che abbiamo fatto negli ultimi 25 anni”, spiega Luisa. “Per noi lavorare il suino nero dei Nebrodi è stato da sempre un progetto per favorire la biodiversità e la sostenibilità, per valorizzare il cibo con cui siamo cresciuti e il territorio dove siamo nati, per sostenerne l’economia facendo rete”. Nei suoi 70 ettari di bosco, all’interno del Parco dei monti Nebrodi, l’azienda Agostino alleva al massimo sei capi per ettaro, ma la richiesta in questi anni è cresciuta e così il sapere accumulato con l’esperienza e fissato nel disciplinare è stato trasferito ad altri otto allevatori della zona. L’attenzione alla salute dell’animale qui è massima, fin dallo svezzamento, a 90 giorni anziché a 30 per incrementare le difese immunitarie ed evitare mangimi di svezzamento e antibiotici. Massima è anche la cura nella maturazione: il prosciutto riposa in cantine di pietra naturali e la sugna, raschiata e sostituita ogni tre-quattro mesi, viene preparata con la farina di riso, adatta anche ai Slow Food celiaci. Perfino dalla pandemia si è 70 ettari riusciti a ricavare lezioni importanti, SICILIA sperimentando con successo Agostino biodiversità stagionature più lunghe. Il risultato è un prodotto di altissima qualità, “che Luisa Imbrogio per gli aromi che sprigiona andrebbe conservato come una preziosa Suino nero dei Nebrodi boccetta di profumo”. VALSANA | 08

Slow Food

Le Selve di Vallolmo

Siamo in Toscana, all’interno del TOSCANA Parco Nazionale Grigio del Casentino delle Foreste Casentinesi, una David Orlandi zona montuosa filiera corta 180-200 chili e ricca di boschi. Qui pascolano liberi i suini Grigi del Casentino di Le Selve di Vallolmo, azienda agricola fondata da Claudio Orlandi in cui ora lavora tutta la sua famiglia. Il Grigio del Casentino è una razza antica, scomparsa nell’ultimo secolo, che Claudio ha voluto recuperare, aderendo a un progetto di Slow Food e della locale Comunità montana. Per ottenerlo s’incrocia una femmina di Large White, razza moderna, e un verro di Cinta senese, antica razza autoctona geneticamente più debole. “Alleviamo i nostri maiali allo stato brado, liberi di circolare nei boschi all’interno del Parco Nazionale”, racconta David, l’ultimo dei tre figli di Claudio a essere entrato in azienda dopo alcuni anni di lavoro d’ufficio. “Io mi occupo dell’allevamento e della stagionatura dei prosciutti: un’attività che adoro, perché sono immerso nella natura, a 850 metri sul livello del mare, a stretto contatto con il territorio dove sono nato. Insieme ai miei genitori, a mio fratello Matteo e a mia sorella Serena seguiamo tutti gli anelli della filiera, che è cortissima: nel giro di pochi chilometri tra i boschi e il fondovalle ci sono l’allevamento, il laboratorio di produzione e le cantine di stagionatura”. Gli animali della famiglia Orlandi sono liberi di grufolare e correre nel bosco: si nutrono di ciò che trovano sotto gli alberi, dalle ghiande alla ciliegie in primavera. Diventano suini possenti, con un peso di 180-200 chili, e sviluppano un’ottima percentuale di grassi nobili, che conferiscono al prosciutto di Grigio del Casentino una caratteristica scioglievolezza e note di ghianda, frutta tostata e cantina.


“Abbiamo intervistato Luisa Imbrogio e David Orlandi per capire le differenze tra i loro due prosciutti”

PROSCIUTTO DI SUINO NERO DEI NEBRODI

PROSCIUTTO DEL CASENTINO

cod 80224 | peso 6 kg

cod 78350 | peso 11 kg

1) Nome del prodotto?

Prosciutto di Suino Nero dei Nebrodi.

Prosciutto del Casentino.

2) È tutelato da certificazioni?

La razza di Suino Nero dei Nebrodi è registrata all’Associazione nazionale allevatori suini ed è presidio Slow Food.

È presidio Slow Food, con un doppio disciplinare in allevamento e in trasformazione.

3) Origine della materia prima?

Suini allevati nei Nebrodi, la principale catena All’interno del Consorzio siamo gli unici montuosa siciliana. ad avere tutta la filiera in azienda, dall’allevamento alla trasformazione.

4) Perché questa razza?

È una razza indigena e resistente, con carni di Perché è una razza antica, poi scomparsa, qualità eccellente. caratterizzata dal manto grigiastro e dalla carne pregiata. Per ricrearla incrociamo due razze pure, la Large White e la Cinta senese, razza autoctona toscana.

5) Come allevate i vostri animali?

Allo stato brado, liberi di muoversi nei boschi. Si nutrono di ciò che trovano nel sottobosco: ghiande, castagne, radici, che integriamo con fava o orzo germinato durante l’inverno.

Allo stato brado, liberi di pascolare nelle foreste del Casentino, dove si nutrono di ghiande, castagne, tuberi. D’inverno integriamo l’alimentazione con orzo, favino e mais, tutto non Ogm.

6) Come viene salato e speziato?

La salatura la facciamo a secco e non usiamo spezie. Dopo tre mesi di asciugatura in celle termocontrollate portiamo le cosce in cantine di pietre naturali a 850 metri sul livello del mare.

Usiamo sale di Cervia, pepe e un mix di spezie. Lo teniamo in salagione per circa 21 giorni, massaggiandolo ogni settimana, quindi si passa all’asciugatura per circa tre mesi.

7) Qual é la stagionatura ideale?

Siamo partiti con 24 mesi ma durante il Covid Fino al ventiquattresimo mese in cantina siamo arrivati a 36: così il prosciutto guadagna naturale in pietra. profumi più intensi, con note di fungo porcino e frutta secca.

8) Come influisce il clima locale?

È un microclima fresco e secco, ideale per una La qualità dell’aria è ottima e all’interno maturazione a regola d’arte. della cantina di stagionatura temperatura e umidità sono costanti per quasi tutto l’anno.

9) Perché è diverso dagli altri?

Per il rapporto tra muscolo, circa il 30% e massa È una carne con una notevole quantità di grassi grassa, circa il 70%, di cui il 53% di acidi grassi buoni, in cui anche la parte magra è molto polinsaturi. marezzata.

10) Qual è il ruolo del grasso?

Grazie all’importante marezzatura le carni sono È salutare, ricco di omega 3, e trasmette succose e gustose, assorbono meno sale e sentori di ghiande, castagne, nocciole, ciò di cui possono essere stagionate per periodi molto si è nutrito l’animale. lunghi, guadagnandoci in intensità dei profumi.

11) Consigli per la conservazione?

Meglio conservarlo e consumarlo a temperatura Fino ai 10-12 gradi si può tenere fuori dal ambiente e tagliarlo a mano. frigo. Va gustato a temperatura ambiente, affettandolo a mano.

12) Abbinamenti da suggerire?

Suggerirei di consumarlo in purezza, abbinandolo Sta benissimo con delle bollicine, magari magari a un calice di bollicine. accompagnato da pane toscano.


dietro le quinte

SAPORI 2021 Un nuovo format, con l’obiettivo di sempre: l’incontro con i produttori 4 minuti di lettura

A inizio anno, quando abbiamo pianificato tutte le attività di comunicazione, e in particolare le fiere e gli eventi, tra i vari interrogativi ci siamo chiesti: “che facciamo con Sapori?” Eravamo ancora in lockdown, la campagna di vaccinazione era agli inizi, con una grande incertezza su cosa sarebbe successo nei mesi successivi.

Abbiamo chiuso gli occhi, trattenuto il respiro e deciso di cambiare location e format di un appuntamento che per noi ormai è un’istituzione. Ci siamo immaginati un evento un po’ più esclusivo, con una gestione rigorosa degli inviti e degli accrediti, per poter garantire la sicurezza dei partecipanti.

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Abbiamo voluto fare un blend tra l’esperienza delle degustazioni guidate con piccoli numeri, che abbiamo sperimentato nel corso dell’ultimo anno e un percorso libero di degustazione e dialogo con i produttori che ha sempre caratterizzato Sapori. E, proprio per questo motivo, abbiamo scelto una location che ci permettesse di avere degli spazi sia all’interno per gestire i laboratori, sia all’esterno per il percorso libero, per essere un po’ più sereni dal punto di vista sanitario: la cantina Borgoluce. E’ stata una scommessa ma, dai primi commenti a caldo di chi ha partecipato, questa nuova proposta sembra essere piaciuta. All’arrivo gli ospiti sono stati accompagnati in Vineria, dove è stato loro servito un piccolo aperitivo di benvenuto: un crostino con il burro montato, accompagnato da un prosecco di


Borgoluce. Gli ingredienti: Panpolenta di Antonio Follador, che ancora non abbiamo in assortimento ma con cui stiamo facendo alcuni test, e Burro Brussino, montato semplicemente con dell’acqua fredda frizzante, nella proporzione di 60 g di acqua su 250 g di burro.

BURRO BRUSSINO Burro artigianale prodotto con panna fresca centrifugata; ha un gusto dolce e delicato, una consistenza vellutata e un profumo di panna che ci riporta al burro di un tempo conchiglia da 125 g | cod 2090 panetto da 250 g | cod 2091

Valeria Brussino, che oggi gestisce assieme al marito e ai due figli il burrificio fondato dal papà alla fine degli anni ‘40, ha raccontato le specificità del loro burro. Innanzitutto la materia prima, panna da latte prodotto senza insilati: viene utilizzata esclusivamente panna proveniente da allevamenti del Nord Europa, da animali alimentati al pascolo. In secondo luogo la tecnologia di produzione: è un burro di centrifuga, che permette di conservare le proprietà organolettiche del latte e di ottenere una struttura versatile in cucina.

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Sapori per noi è una sfida. Il tentativo di stupirvi ogni anno con qualche novità, non solo di prodotto. L’occasione per raccontarvi i valori in cui crediamo e i progetti che abbiamo scelto di condividere.


dietro le quinte Infine la manualità nel confezionamento: i panetti vengono realizzati a mano, per non surriscaldare il burro, molto sensibile al calore, utilizzando calchi intagliati in pregiato legno dei boschi alpini, dalla forma particolarmente riconoscibile, in particolare quello a conchiglia. Dopo l’aperitivo il programma proseguiva al primo piano, in “sala conferenze”, con la presentazione di tre progetti.

PEPE BOTELLA BIO

MAHÓN CURADO DOP

Caprino a latte crudo da capre di razza Payoya allevate in modo biologico in Andalusia e affinato nelle cantine di Cultivo cod 40218 | peso 2 kg

Formaggio a latte vaccino crudo prodotto nelle isole Baleari, trattato in crosta con olio di oliva e paprika cod 40216 | peso 2 kg

HUMO

PICÓN BEJES DE TRESVISO DOP

Formaggio a latte crudo di pecora dalla regione della Castilla y León, affumicato e stagionato circa 9 mesi cod 40215 | peso 2,5 kg

Formaggio erborinato a latte vaccino crudo, prodotto in Cantabria cod 40217 | peso 2,5 kg

Terre del Giarolo, unico produttore del Montebore, Presìdio Slow Food, che continua a sopravvivere grazie alla famiglia Grattone. Estrema d’Alpeggio Fontina DOP, un progetto che vi abbiamo raccontato più volte, ma di cui siamo davvero innamorati. E, infine, Quesería Cultivo, una nuova scommessa, ma che ci sta già dando grandi soddisfazioni. Produttore, selezionatore, affinatore e formaggeria, Cultivo è una realtà molto dinamica e con una filosofia che ci è piaciuta fin da subito: raccontare il

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formaggio e la sua cultura, promuoverne il consumo, difendere il patrimonio caseario spagnolo con i suoi valori e far nascere curiosità verso i formaggi internazionali. Rubén Valbuena e Begoña Medio Zorrilla ci hanno raccontato la loro selezione di formaggi spagnoli di piccoli produttori artigiani, ubicati in diverse zone della Spagna.

MONTEBORE

BIRBA BLU

Formaggio a latte crudo misto vaccino, caprino e ovino, dalla forma di torta nuziale, Presidio Slow Food cod 31263 | peso 750 g

Erborinato a latte vaccino pastorizzato e pasta semidura, affinato con birra artigianale ‘Margot’ cod 31279 | peso 2,5 kg

CAPRA BLU

TOMA DA POLENTA

Caprino erborinato a pasta semidura cod 31271 | peso 2 kg

Formaggio a pasta morbida ottenuto da lunga maturazione cod 31278 | peso 4,5 kg

La tappa successiva era la “sala ristorante”, dove abbiamo chiesto allo Chef Paolo Cappuccio di servire tre primi: ciceri e tria, orecchiette alle cime di rapa e un risotto alla milanese. L’assaggio è stato accompagnato dalla presentazione di Edoardo Trentin sulla linea di pasta di semola di grano duro de I Contadini e dal racconto di Massimo Bove sulle qualità del riso Carnaroli di Riserva San Massimo.

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dietro le quinte Ultima tappa: degustazione libera nel “portico dei produttori”, dove ogni azienda aveva un suo desk e faceva assaggiare alcune novità. Ad esempio: Capra Fava Tonka e Vermouth di Perenzin, che ha vinto di recente il prestigioso trofeo San Lucio; la tartare di Le Capanne così come il kefir di White&Seeds, che abbiamo da qualche mese in assortimento ma che, finora, non avevamo ancora avuto l’occasione di farvi assaggiare.

GUANCIALE AFFUMICATO

PANCETTA PEPATA

Guanciale delicatamente affumicato con legno di faggio dal gusto dolce e fondente, con leggere note di fumo, profumi di cannella, pepe e carne matura cod 81152 | peso 1,2 kg

Pancetta tesa ottenuta da suini italiani affinata al pepe nero dal gusto dolce e pulito, con una nota aromatica del pepe ben equilibrata cod 81153 | peso 2 kg

LA SPESSA

LA STIRATA

Versione spessa della piadina della tradizione romagnola, prodotta nelle province di Ravenna, ForlìCesena e Rimini cod 95022 | 2 x 180g in box da 5 confezioni

Versione sottile della piadina della tradizione romagnola, più simile alla piada, prodotta nella zona di Rimini e Riccione cod 95021 | 2 x 140g in box da 5 confezioni

O ancora: il guanciale affumicato e la pancetta pepata del Salumificio Zahre, o ancora la Birba Blu del Caseificio Rosso, e le cipolle borettane di Delsanto; le piadine di Mambelli; e, dulcis in fundo, la Nocciolata di Borgoluce. Giusto per citare solo alcune delle proposte in degustazione. Lasciamo il commento ai nostri clienti. Da dietro le quinte, possiamo solo dire che siamo soddisfatti di questa esperienza.

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il prodotto dimenticato

PANCETTA CAMPAGNOLA Una città, tre salumi a denominazione di origine protetta e una cultura norcina secolare Gianluca Di Lello Export Manager

3 minuti di lettura

Siamo a Piacenza, unica provincia a poter vantare tre prodotti di origine protetta: Coppa Piacentina, Pancetta Piacentina e Salame Piacentino. È proprio in questo territorio che la famiglia Grossetti porta avanti la tradizione norcina locale, dal 1875. Ancora oggi, come un tempo, le fasi salienti della lavorazione sono svolte manualmente; parliamo di legature, cuciture e massaggi che solo con le mani possono riuscire bene. Ogni pezzo è diverso e il trattamento deve essere dedicato.

Il salume che vi presentiamo oggi è il fiore all’occhiello del Salumificio Grossetti: La Pancetta Campagnola. La pancetta che più rispecchia la tradizione piacentina, sia per la scelta delle carni, che devono provenire da animali particolarmente pesanti, che per la lavorazione e i tempi lunghi di stagionatura. Le caratteristiche rispecchiano appieno le aspettative di chi cerca una pancetta “d’autore”: dimensioni importanti, grasso bianco ambrato e dolcezza disarmante.

4 cose da ricordare

1. PRODUTTORE

Il Salumificio Grossetti nasce nel 1875 in un piccolo comune della Val Tidone, precisamente a Pianello. Negli ultimi anni l’azienda ha adottato tecniche avanzate di produzione per garantire la massima salubrità dei prodotti, ma la cura e l’attenzione nella preparazione, il tempo e la pazienza nel ricercare la perfezione in ogni singolo gesto sono rimaste quelle di una volta. Grazie al costante lavoro e alla qualità dei propri salumi, rimasta invariata nel tempo, il Salumificio Grossetti porta oggi le sue eccellenze in Italia e nel mondo.

2. RAZZA

I suini provengono dagli allevamenti di Emilia Romagna e Lombardia, si utilizzano pezzi anatomici dei maiali allevati per le lavorazioni del Prosciutto di Parma e San Daniele. I suini selezionati sono caratterizzati da un peso importante che va dai 180 ai 185 kg.

3. CURIOSITÀ

Ci troviamo precisamente in Val Tidone, terra di confine. Questa zona fu la fortuna per la tradizione norcina emiliana: trovarsi sulle rotte commerciali del porto di Genova garantiva l’approvvigionamento di ingredienti preziosi, come il sale che ha consentito di creare i salumi che conosciamo oggi.

4. IN CUCINA

La pancetta viene chiamata in causa in tantissime ricette italiane ma io vorrei stuzzicare la vostra curiosità con una proposta originale. Quattro ingredienti: pecorino, zucca, cannella e pancetta campagnola. Create un cestino di pecorino, riempitelo con una spuma di zucca alla cannella e infine adagiate una fettina sottile di pancetta Campagnola scottata, giusto il tempo di far fondere il grasso e far diventare la parte magra croccante. Un’esplosione di sapore per un antipasto natalizio.

PANCETTA CAMPAGNOLA Pancetta arrotolata rustica prodotta con carne di suini italiani allevati in Lombardia ed Emilia Romagna; viene stagionata almeno 90 giorni, ha un sapore dolce, con caratteristico sentore di burro e aroma di spezie cod 78248 | 13 kg circa cod 78249 | 6,5 kg circa


il mondo a tavola

LA CUCINA DELL’EST EUROPA Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

La Cortina di Ferro che segnava l’Europa divisa in due blocchi di diversa influenza politica ha avuto anche l’effetto di impedire l’incontro delle differenti culture gastronomiche dell’Europa Centrale e dei Paesi dell’Est 3 minuti di lettura

Non dimenticherò mai uno dei miei primi approcci con la cucina dei Paesi dell’Est, quando mi trovai a Berlino per contribuire allo smantellamento del muro, nel novembre del 1989. Scavalcate le macerie del Berlin Wall al varco di Mitte, io e alcuni amici venimmo accolti da un gruppo di giovani della capitale della DDR per gustare nelle loro case una tomatosuppe preparata facendo sciogliere nell’acqua calda della conserva di pomodoro in tubetto, con pezzi di pane nero raffermo! Fu in quel momento che mi accorsi che esistevano due mondi diversi nel cuore dell’Europa e cercando di far luce sulla parte che non conoscevo, ho voluto approfondirne la conoscenza. Prima di parlare delle diverse aree nelle quali oggi possiamo suddividere i Paesi dell’Est, dobbiamo sapere che negli anni in cui le 15 Repubbliche Socialiste facevano parte dell’URSS, ha preso forma la cucina sovietica. Il suo repertorio era costituito da un “distillato” di alcune delle migliori ricette originarie delle aree geografiche più disparate, che spaziavano VALSANA | 40

dalla Georgia alla Lituania, dall’Ucraina alla Polonia. Qualcosa di molto diverso quindi dalla semplice cucina russa. Se dovessimo provare oggi a identificare delle tradizioni più circoscritte dovremmo distinguere la gastronomia dei Paesi Baltici di Lettonia, Lituania ed Estonia, da quella di Russia, Polonia e Ucraina, a quella Ungherese, Ceca e Slovacca d’influenza austro-germanica per concludere con quella Balcanica, d’influenza turco-ottomana che abbraccia i Paesi dell’ex Jugoslavia, la Bulgaria e la Romania, della quale abbiamo già parlato nel numero scorso. TRA I PAESI BALTICI Le cucine baltiche fanno un uso generoso di ortaggi: patate, cavoli, radici, barbabietole e funghi, spesso proposti sotto forma di zuppe; mentre i cereali come il grano, l’orzo e la segale vengono utilizzati per preparare ottimi pani di farine integrali, birre e vodka. Con i frutti di bosco si preparano composte e curiosi “vini” fermentati. La carne la fa da padrone, specie quella di maiale, mentre il consumo di pesce, sia fresco che affumicato, è più tipico delle coste del mar Baltico (aringhe, spratti, salmone) e delle aree lacustri. In Lituania l’influenza della cucina orientale (karaite) è particolarmente evidente in piatti come il fagottino kibinai, così come tradizionalmente è evidente quella della cucina polacca.


CLIMA FREDDO, TAVOLA CALDA

IN UNGHERIA E NON SOLO...

La cucina di Russia, Polonia e Ucraina, è caratterizzata da piatti di origine contadina, dai sapori spesso agri dei cibi fermentati come il pane di segale, e i pickles di verdure in salamoia (cavoli, cetrioli, carote) la tecnica di conservazione più diffusa, insieme all’affumicatura, nei Paesi dai climi rigidi e non particolarmente soleggiati. Ritroviamo le zuppe (shchi, solyanka), spesso arricchite di panna acida (smetana). Alcune, come il borscht ucraino, sono considerate un’icona della cucina russa. Ottimi anche i ravioli e i fagottini ripieni come i pierogi o i pirozhki, le numerosissime insalate, dalla olivier (la nostra insalata russa) alla shuba, le aringhe in pelliccia, sempre generose di maionese, per l’influenza della scuola francese. Molte di queste specialità facevano parte dei zakuska del banchetto degli Zar, che, come quello ottomano, si componeva di tanti piccoli amouse-bouche, compresi i pancakes di blinis con il caviale, da gustare sorseggiando vodka. Una menzione particolarmente sentita va ai dolci, un paio molto importanti come il kulich o il paskha, legati alle festività della Pasqua ortodossa, che secondo alcuni studiosi avrebbero ispirato la creazione di dolci italiani come il babà e il panettone.

Come in molti altri Paesi di quest’area, l’influenza della cucina ebraico-aschenazita è molto importante, specie nei piatti rituali legati alle diverse festività, come il gefilte fisch a Pesach, il cholent di Shabbat o le frittelle di latkes a Hanukkah. Agli ingredienti sopra citati si aggiungono alcune verdure mediterranee come i pomodori, le cipolle e i peperoni che trovarono ampi consensi a corte, specie dopo il matrimonio del re ungherese Mattia il Giusto con la figlia de Re di Napoli, avvenuto nel XV sec. L’aneto lascia lo spazio alla maggiorana, compaiono il carvi e il cumino, la senape, ma soprattutto la paprika che segna in modo indelebile il sapore e il colore di molte pietanze, a cominciare dal gulash, il piatto simbolo dell’intera regione. Anche se siamo in un’area tra le più importanti al mondo per la tradizione brassicola, oltre a cucinare con la birra, si stufano le carni con vino bianco o rosso, portati dall’influenza tedesca. Particolarmente ricca la proposta d’insaccati di chiara ispirazione germanica, quasi sempre affumicati, di pollame e di carne di manzo, che si affiancano a quelli di maiale. Un capitolo di tutto rispetto meritano i dolci grazie all’influenza della scuola austriaca.

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l’italia è servita

TORTELLINI DI BOLOGNA... E BASTA! La cucina è in continuo divenire: così come il tortellino, le sue origini e le sue tradizioni

Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova

3 minuti di lettura

Vero e Autentico Tortellino L’Accademia Italiana della cucina, sezione di Bologna, assieme alla Confraternita del Tortellino, ha registrato, e depositato presso la Camera di Commercio, il 7 dicembre del 1974, con atto notarile, gli ingredienti e le dosi del “vero e autentico” tortellino. Ecco le dosi per mille tortellini: 300 g di lombo di maiale rosolato nel burro, 300 g di prosciutto crudo, 300 g di vera mortadella di Bologna, 450 g di parmigiano reggiano, 3 uova di gallina, una noce moscata

Il Prodotto

Rigorosamente di Bologna Lo so che mi avventuro su un terreno minato! Tutti ricorderete le recenti polemiche, anche politiche, nel 2019, quando venne proposto il tortellino dell’accoglienza con il ripieno di pollo per incontrare i consumatori che per ragioni religiose non possono consumare mortadella, quindi maiale. Generale fu la levata di scudi in nome del rispetto della tradizione, dell’identità, della storia. Succede spesso con il cibo, con un piatto, con la cucina, interpretando la tradizione come qualcosa di fisso, di statico, di immobile nel tempo, dimenticando che la cucina non ha confini, è contaminata e contamina… è in continuo divenire. Per far questo l’Accademia Italiana della cucina, sezione di Bologna, assieme alla Confraternita del Tortellino, ha registrato, e depositato presso la Camera di Commercio, il 7 dicembre del 1974, con atto notarile, gli ingredienti e le dosi del “vero e autentico” tortellino. Così e basta e non si discute, con buona pace dei modenesi che ne rivendicano l’origine.

Origine modenese?

MORTADELLA ARTIGIANQUALITY Mortadella classica prodotta secondo la ricetta tradizionale bolognese con carni di suini di provenienza nazionale

I modenesi dalla loro hanno il monumento (a Castelfranco dell’Emilia oggi sotto Modena ma al tempo sotto Bologna) e la leggenda che narra di un oste invaghito dalla bellezza dell’ombelico di una marchesina di passaggio.

codice 78763 - peso 7 kg circa VALSANA | 42

Le sfogline Leggenda a parte spetta poi alle abili mani delle sfogline tirare sulla spianatoia con il mattarello una sfoglia sottilissima dalla quale ricavare dei quadratini di circa due cm di lato per poi riempirli con una nocciolina di ripieno, e chiusi a triangolo sigillando bene i bordi. Vengono poi piegati facendoli girare attorno alla punta del dito, a formare “l’ombelico di Venere” come si sottolinea con compiaciuta e gaudente contezza, prima di cuocerli in brodo di carne. Quanto alle sfogline, costituitesi in Associazione dal 2011, va detto che la loro è un’arte antica: dalle loro mani sono uscite nel corso dei secoli tutte le paste all’uovo che hanno resa famosa la cucina bolognese nel mondo, come la sfoglia, i tortellini, i passatelli, le lasagne…

Il mondo delle paste fresche E quello delle paste fresche ripiene è veramente un mondo: pensiamo ai ravioli, ai Wonton asiatici, ai Maultaschen tedeschi, ai Pelmeni russi, ai Manti Turchi… agli Schlutzkrapfen tirolesi. La pasta, patrimonio universale, e poi ognuno mette quello che la natura offre. Ma torniamo ai tortellini.


La Ricetta

Tortellini alla bolognese Pellegrino Artusi “La Scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” a cura di Piero Camporesi (15a ed. 1911) Torino 1970, p.30 Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, chè se la merita. E’ un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perchè il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove. I seguenti tortellini, benchè più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono per bontà inferiori, e ve ne convicerete alla prova. Presciutto grasso e magro, 30 grammi. Mortadella di Bologna, 20 grammi. Midollo di bue, 60 grammi. Parmigiano grattato, 60 grammi. Uova, n.1. Odore di noce moscata. Sale e pepe, niente. Tritate ben fini con la lunetta il presciutto e la mortadella, tritate egualmente il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed intridete il tutto coll’ovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d’uovo come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del N.7. Non patiscono conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di tre uova.

La storia

Dal midollo... alla mortadella

La voce turtellinorum emerge dalla documentazione medievale. Ma le codifiche scritte della ricetta sono di età rinascimentale.

Fino a inizi ‘800, nella tradizione il midollo di bue era alla base del ripieno sostituito poi dalla più appetibile mortadella.

Il più volte ricordato Bartolomeo Scappi al capitolo CLXXVIII della sua Opera ci propone una ricetta “per far tortelletti con pancia di porco, e altre materie, dal vulgo chiamati annolini”. Il ripieno è goloso: pancetta fresca lessata, mammella di vitella ben cotta, carne magra di porco giovane… e poi spezie, uva passa, radici di enula, parmigiano, zafferano...

Ed è proprio Pellegrino Artusi a codificare l’uso della mortadella, prodotto della nascente industria alimentare. Solo da qualche decennio è invalso l’uso di prepararli asciutti o in pasticcio, di cui il più sontuoso è certamente quello di Reggio Emilia, al sugo di piccione. Il mito legato al tortellino cresce subito, dalla seconda metà dell’Ottocento e, assieme a lasagne e tagliatelle, ha reso la cucina bolognese rinomata in tutto il mondo.

Tortelletti che poi, anche nell’opera del bolognese Vincenzo Tanara, del 1654, diventano anellini che, in una sorta di gioco linguistico, diventano tortellini: tortelletti + annolini = tortellini. “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” è l’opera di Pellegrino Artusi in cui rielabora la tradizione gastronomica borghese; è stata pubblicata per la prima volta nel 1891

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ti n e m a n i Abb piatto nel

abbinamenti a 4 mani

SUA MAESTÀ LA REGINA

BURRO, MA AL PEPE

Il rispetto per i tempi naturali di crescita, la pesca sostenibile e la lavorazione manuale sono i segreti per una trota senza eguali: God save the queen...from San Daniele 3 minuti di lettura

Il burro è un po’ come il gelato, nel senso che assorbe molto gli odori e gli umori di tutto quello con cui è a contatto. Allora mi sono divertito lasciando una notte un burro Brussino a riposare insieme a del pepe (attenti alle quantità, altrimenti diventa intenso) e il giorno dopo mi sono goduto una bella fetta di pane caldo tostato con il più classico degli abbinamenti: Regina e burro, ma al pepe.

ti n e am n i b Ab calice nel

REGINA DI SAN DANIELE

FRIULI ISONZO DOC Friuli Venezia Giulia

Trota di varietà iridea, allevata nelle risorgive del Friuli e delicatamente affumicata.

Vitigno internazionale, molto diffuso in Friuli. Viene vinificato in diversi modi, ma io vi suggerirei un vino fermentato e affinato in acciaio. Cercherei di rispettare al massimo la complessità della Regina, senza sovrastarla con intensità aromatiche spinte. Aspettatevi un vino con note fresche, di frutta tropicale, dal sorso slanciato e dalla sapidità ben percepibile. Quest’ultima caratteristica poi vi aiuterà a bilanciare la dolcezza della trota.

Presenta una carne di colore rosso arancio, compatta, soda e particolarmente magra. Il sapore è dolce e leggermente affumicato, con le note tipiche del legno e del fumo. Le trote vengono alimentate in mado naturale con mangimi selezionati, senza conservanti nè coloranti; la lavorazione è invece manuale, dalla salatura alla spinatura del prodotto. L’affumicatura viene effettuata a freddo, a temperatura inferiore ai 27°C , per mantenere la materia prima integra e senza alterazioni. cod 94095 | busta 100 g circa cod 94090 | baffa intera 1 kg circa cod 94091 | baffa preaffettata 1 kg circa VALSANA | 44


Friultrota è un’azienda che da 40 anni lavora col desiderio di accostare innovazione e artigianalità attraverso i prodotti ittici. La Regina di San Daniele, una trota salmonata allevata e lavorata in Friuli, è riuscita a far conoscere l’azienda negli anni, grazie alla sua genuinità e alta qualità, sia organolettica che di lavorazione. Le baffe, di un rosso incredibilmente vivo, sono di circa 800/1000g e sono prodotte mediante salatura a secco, affumicatura a freddo con legno e bacche e infine spinatura a mano. Un grande lavoro che si rende necessario quando si ha una materia prima che per essere ottenuta ne chiede altrettanto. Il livello di attenzione va di pari passo al livello di intenzione.

Matteo De Santi Export Manager

Un prodotto ittico italiano unico, senza conservanti né coloranti, con un apporto incredibile di omega 3. Proviamo a divertirci con qualche abbinamento:

MOSTARDA DI AGRUMI L’agrume e il pesce normalmente vanno sempre d’accordo, difficilmente si stanno antipatici. In questo caso abbiamo la trota con la sua leggera affumicatura e un gusto che è ben delineato. L’accostamento è con la mostarda, dolcemente piccante, che se dosata ne esalta ancora di più il sapore rendendolo un boccone dal profilo pieno e avvolgente.

ROBIOLA DI ROCCAVERANO DOP FRESCA Ok, qui vi propongo un abbinamento puro e crudo. Avete una bella bottiglia di qualità da aprire e la Regina a disposizione? Allora vi serve un formaggio all’altezza, e in quanto a caprini la Robiola di Roccaverano di Stutz è più che all’altezza della situazione. La nota di zeste di limone sarà sorprendente unita a quella affumicata e “grassa” della Regina.

Suggerimento librario: Paradiso e Inferno – John Kalman Stefánson La degustazione alla cieca viene generalmente collegata alla degustazione di vini, ma provate a farlo con il pesce inserendo la Regina di San Daniele in un’orizzontale di salmoni, effetto sorpresa assicurato!

MELA VERDE Sappiamo che non c’è veramente una stagione specifica per le mele, ma se vogliamo ricordarle perché il periodo della raccolta è appena terminato allora prendetene una bella verde a pasta non farinosa e tagliatela a spicchi sottili. Sovrapponete gli spicchi su una fetta di pane alternandoli a fette di Regina. Oltre a un filo d’olio d’oliva, si può finire il tutto con del timo limonato per una nota più fine oppure con dell’erba cipollina per una più decisa.

Enrico De Conto Ufficio Acquisti

GRILLO METODO CLASSICO BRUT

POUILLY-FUMÈ AOC

PENICILLIN

Sicilia

Francia

Cocktail

Quest’isola magica non è solo terra di vini fermi, ma anche di ottimi produttori di spumanti. Sempre di più il Grillo va affermandosi come una varietà estremamente poliedrica, niente di più meritato! Aspettatevi un vino solare, maturo e complesso al naso. In questo caso le bolle aiuteranno la bocca a prepararsi a un nuovo boccone di pane, burro pepato e Regina! Chapeau!

Parliamo di un vino a base Sauvignon Blanc, proveniente principalmente dalla riva destra del fiume Loira. Credo questo vino sia un ottimo compagno di viaggio per la Regina di San Daniele. Al naso sono spesso percettibili note erbacee, di pietra focaia e foglia di pomodoro. Il sorso poi, grazie ad acidità e morbidezza, equilibrerà in maniera completa la grassezza del pesce e le lievi note di fumo che lo caratterizzano.

No, non parliamo di un medicinale, ma di un cocktail intenso dal retrogusto fresco e lievemente pungente. La miscela prevede una dose di Scotch Whisky e di Islay Single Malt Scotch, a cui vanno uniti il limone, miele e zenzero. Il grasso nobile della trota non è eccessivo, ma necessita sicuramente di essere contrastato. Siate parsimoniosi con lo zenzero e con il miele, non dobbiamo peccare di pungenza e rotondità del cocktail.

ALTRO IN CANTINA?

Direi che con la bollicina difficilmente si sbaglia, senza però forzare la mano con vinificazioni “estreme”. Il vino deve essere pulito e senza deviazioni, si rischierebbe di rovinare la trota. Provate l’abbinamento anche con un rosato, magari un Cerasuolo d’Abruzzo, la lieve trama tannica del vino terminerà il sorso in maniera delicata.


chiedilo al macellaio

IL BOLLITO Campanello, Coda, Lingua o Muscolo? Noi ve li suggeriamo tutti e quattro per arricchire il bollito delle feste! Sara Mazzucco Ufficio Qualità

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E tu, quale bagnetto preferisci? • Salsa verde (bagnèt verd): trita finemente prezzemolo, aglio e acciughe dissalate assieme a mollica di pane imbevuta in aceto di vino bianco e olio evo.

• Salsa rossa (bagnèt ross): con un sapore agrodolce ma allo stesso tempo piccante, si ottiene cuocendo a fuoco basso pomodoro, carota, cipolla, aglio e peperoncino da unire a zucchero e aceto. • Salsa al miele: piacevolmente agrodolce, si ottiene mescolando senape, miele (millefiori o acacia), aceto balsamico, sale e pepe. • Salsa Cugna: simile alla mostarda e con note speziate, si prepara con mosto d’uva cotto mescolato con mele cotogne, uva, pere e fichi assieme a senape, cannella e chiodi di garofano. A piacimento è possibile grattugiare scorza d’arancia o di limone e aggiungere gherigli di noce sminuzzati.

L’estate è ormai un lontano ricordo e l’inverno è dietro l’angolo, le giornate si sono accorciate e le foglie hanno iniziato a cadere dagli alberi: il freddo bussa alla nostra porta e non possiamo farci trovare impreparati. Vi proponiamo quindi un piatto tradizionale della stagione fredda: il bollito. LA STORIA Tipica pietanza simbolo delle cene conviviali, sembra essere nata nei mercati di bestiame piemontese, dove, in tempi di povertà, era concepita prettamente come piatto di recupero. In seguito si diffuse in più parti d’Italia, suscitando un forte interesse, verso la fine del 1800, da parte del Re Vittorio Emanuele II, noto buongustaio e uno dei suoi primi estimatori. Nei momenti privati infatti, contrapponeva all’austero formalismo di corte tipico dell’epoca, la passione sfrenata per il buon cibo tra cui appunto il bollito. Anche Camillo Benso Conte di Cavour ne fu un grande sostenitore; oltre a essere uno dei suoi piatti preferiti, sembra che lo stesso gli avesse attribuito anche delle virtù diplomatiche. Poco più tardi, nel 1887, il bollito fece il suo ingresso ufficiale nella letteratura

gastronomica nel libro "Cucina Borghese. Semplice ed economica". di Giovanni Vailardi, celebre cuoco. Da allora, il bollito è diventato uno dei più grandi piatti della cucina italiana: nonostante sembri avere una preparazione semplice e banale, nasconde numerosi accorgimenti da rispettare, indispensabili per la sua buona riuscita. La lunga attesa, fatta di ore e ore a osservare la schiuma che sale, quel profumo di verdure che rimanda a un clima di festa e di condivisione sono elementi di una ricetta d’antan, se così possiamo definirla, che continua a fare la storia della cucina italiana e che è tornata alla ribalta. LA TRADIZIONE Certamente il bollito non trova casa solo in Piemonte, dove affonda le radici, ma un po’ in tutte le regioni del nord Italia, dove si sono elaborate ricette diverse durante i decenni. Quella maggiormente conosciuta è però quella del Gran Bollito Piemontese la cui tradizione prevede di utilizzare 7 tagli di polpa e 7 tipi di ammenicoli, o frattaglie di carne, il tutto accompagnato da un servizio completo di verdure e salse.

• Salsa al Cren: dal sapore deciso

e pungente; viene prodotta con il cren, una radice simile al rafano che viene grattugiata e mescolata assieme ad aceto, sale e zucchero. Possono essere aggiunte pere o mele a dadini per conferire dolcezza o della mollica di pane messa a bagno in aceto per compattarla.

CAMPANELLO DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

CODA DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

cod 84729 | 2,5 kg circa su prenotazione

cod 84717 | circa 1,3 kg a pezzo box da 3 pezzi su prenotazione

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Bollito o lesso? L’elemento fondamentale per un risultato eccellente è sicuramente la scelta della materia prima, ossia la carne. Oggi vogliamo proporvi alcuni tagli di carne, forniti dal nostro macellaio di fiducia "Corte Scaligera", che secondo noi non possono mancare nella preparazione di un bollito classico tradizionale. IL CAMPANELLO

delle cucine contadine. La coda si presta molto bene a lunghe cotture perché la fibra della carne si mantiene tenera e succulenta grazie al perfetto bilanciamento tra parte grassa e magra. La coda si può tagliare a tocchetti, finendo per avere un aspetto molto simile all’ossobuco, oppure farla sobbollire intera per alcune ore.

Iniziamo con il campanello, taglio magro proveniente dal posteriore del bovino, più precisamente dietro la tibia; questo nome potrebbe non dirvi nulla perché tende ad assumere una denominazione diversa a seconda del luogo geografico in cui viene gustato: ad esempio a Venezia viene definito ‘Pesce’ mentre a Palermo ‘Imperatore’. Il suo curioso nome tuttavia è da attribuirsi alla forma anatomica che assume una volta disossato: nella parte superiore infatti rimane attaccato il tendine che gli conferisce una forma che ricorda un ‘campanello’.

LA LINGUA Merita una menzione anche la lingua, facente parte anch’essa del quinto quarto: una parte meno nobile ma ugualmente tenera e gustosa, dal sapore incredibilmente avvolgente e persistente, elemento fondamentale del Bollito Misto all’Emiliana. Vi consigliamo di togliere la pellicola che avvolge il muscolo, quando ancora il pezzo è caldo. Se volete stupire i vostri commensali potete portare in tavola la lingua con un delizioso bagnetto verde; è la ricetta ideale per chi ama rivivere a tavola i sapori di un tempo.

I muscoli che lo compongono sono 4: quello principale è situato al centro ed ha forma affusolata. È molto ricco di tessuto connettivo dovuto alla presenza di tendini abbastanza spessi costituiti principalmente da collagene che, sciogliendosi durante la cottura, si trasforma in gelatina e conferisce estrema morbidezza e scioglievolezza alla carne e trattiene allo stesso tempo tutti i suoi succhi. Alternativamente a questo taglio un degno sostituto è la famosa copertina, di più largo utilizzo nella preparazione del bollito tradizionale.

IL MUSCOLO

LA CODA Un altro elemento che non può mancare è sicuramente la coda, taglio magro e gustoso, facente parte del cosiddetto quinto quarto, ossia dei tagli più poveri dell’animale, come le frattaglie, il fegato o il rognone, che negli ultimi anni stanno tornando alla ribalta nei ristoranti di alto livello mentre una volta erano tipici solo

Ultimo taglio di carne perfetto per arricchire il bollito delle feste è il muscolo. È d’obbligo precisare che esistono due tipologie di muscolo bovino: il muscolo anteriore e il muscolo di coscia. Corte Scaligera in questo caso ci propone di usare il muscolo anteriore, che si trova appunto nella parte superiore della coscia anteriore ed è anche uno dei tagli classici utilizzati per il Gran Bollito Piemontese. Questo taglio è ideale per le cotture lente e prolungate perchè caratterizzato da una massa magra ben distribuita e da fibre di collagene che in cottura si ammorbidiscono conferendo alla carne estrema tenerezza. Che dire quindi: il freddo è arrivato, accendete i fornelli e, dopo aver radunato un po' di amici, gustatevi un intramontabile bollito riscaldando così le rigide serate invernali.

LINGUA DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

MUSCOLO DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

cod 84716 | 1,5 kg al pezzo box da 3 su prenotazione

cod 84723 | 500 g in bustabox da 6 pezzi su prenotazione

• Il bollito si ottiene quando la carne viene messa in pentola e l’acqua già bolle. • Il lesso invece prevede che la carne venga immersa nel pentolone quando ancora l’acqua è fredda, assieme alle verdure, e poi il tutto venga portato ad ebollizione.


la cucina di qb

MELAGRANA: 613 SEMI DI BONTÀ È la melagrana profumata / un cielo cristallizzato / Ogni grana è una stella / ogni velo è un tramonto Anna Maria Pellegrino Cuoca e foodblogger

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UN PO’ DI STORIA

Preparando il menù di questo mese faremo un viaggio nella gastronomia mediorientale dove il melograno è conosciuto e utilizzato, non solo come elemento coreografico, e un passaggio in Piemonte, per un dessert che ci è stato così tanto propinato negli anni ’80 che ne siamo venuti a noia. In realtà la panna cotta ha ancora molto da raccontare (se confezionata con ingredienti di qualità). Avrete sottomano un ricettario per la realizzazione di un brunch leggero per le giornate festive un po’ pigre o per una cena degli auguri in piedi (senza impazzire).

“Il melograno dai bei vermigli fior” come scrisse Giosuè Carducci, è un frutto dalle origini assai remote geolocalizzate nel lontano Oriente. Studi più accurati ci portano nei Paesi dell’Asia, ma si discute se si tratta dell’Oriente estremo (Cina) oppure dell’Oriente Medio (Persia). Quest’ultima zona sembra essere la più accreditata: la pianta si sarebbe da qui diffusa nel Caucaso e nell’Asia Minore, da dove sarebbe giunta alla conoscenza dei Fenici che le attribuirono un duplice significato: religioso e curativo. Sarebbe poi approdata nelle civiltà greche e romane le quali, però, non la ritennero provenire dall’Asia, bensì dall’Africa settentrionale, da cui il suo nome latino malum punicum che richiamava l’antica Cartagine, un nome dato da Plinio e che Linneo modificò in punica granatum. Troviamo il frutto nell’antico Testamento, come simbolo di fecondità e prosperità della Terra Promessa. Anche Eva, su suggerimento del serpente, la offrì ad Adamo: non erano mica nella Val di Non! UN FRUTTO MIRACOLOSO Molti sono i miti arcaici che circondano questo frutto che sarebbe nato dal sangue di Dionisio e numerose le narrazioni che sostenevano fosse miracoloso. La melagrana è nota come il frutto della medicina. Ogni parte della pianta (radici, corteccia, fiori, foglie) è usata nella medicina Ayurveda. Le numerose proprietà benefiche attribuite dalla tradizione popolare al melograno sono confermate dalla medicina ufficiale, che ne ha individuato interessanti potenzialità terapeutiche: la presenza dei preziosi agenti antiossidanti, come polifenoli, tannini e antocianine, favorisce lo stato di salute generale del nostro organismo. I tannini presenti nel succo di questo frutto sono dotati di proprietà astringenti e diuretiche, l’ottimo contenuto di vitamine A, B e C ne fa un VALSANA | 48

buon antinfiammatorio e anche un valido aiuto per distruggere diversi parassiti intestinali. Alte le proprietà terapeutiche e antitumorali, perché è ricco di flavonoidi, antiossidanti piuttosto potenti nel combattere l’azione nociva dei radicali liberi. Toccasana per la salute cardiovascolare: riduce il rischio di arteriosclerosi, abbassa la pressione sanguigna sistolica, diminuisce il colesterolo cattivo. Il suo succo ha effetti positivi anche nella prevenzione del morbo di Alzheimer, grazie alla vitamina B e infine ha un contenuto di antiossidanti tre volte superiore a quello del vino rosso o del thé verde e apporta fino al 100% dei livelli di assunzione consigliati di acido folico. LA MELAGRANA IN CUCINA Cominciamo con il dire che è frutto “femminile”: i Greci la dedicarono a Era, moglie del capo e i Romani a Giunone: una sorta di assicurazione per la lunga vita del matrimonio. È anche un simbolo mariano in quanto simboleggia la bellezza della Madonna e le sue numerose virtù: una per ogni chicco che, secondo la tradizione ebraica sono 613. Proprio questa tradizione ci insegna che la melagrana è un simbolo per la giustizia, in quanto i 613 semi corrispondono ai 613 comandamenti della Torah: non potrà mancare nella tavola del Rosh Hashana, il capodanno ebraico. Ma come si lavora? Incidete la “corona” del frutto ed eliminatela: nello spazio ricavato fate forza per aprire il frutto a metà e, all’interno di una ciotola o dentro il lavandino, sgranate i chicchi, eliminando la spessa buccia che li protegge. Coprite con acqua ed eliminerete facilmente la bianca e amara pellicina che li ricopre. E non vestitevi di bianco! Il succo colora e macchia. Sia i semi che il succo si possono conservare in congelatore così da averne sempre a disposizione per arricchire e guarnire tutto l’anno insalate e dessert ma anche carni, come quella di maiale. Nella cucina palestinese si usa moltissimo la melassa di melagrana: un gusto agrodolce per arricchire moltissime pietanze.


STUFATO DI LENTICCHIE, MELANZANE E MELAGRANA

LENTICCHIE LESSATE codice 96208 | peso 300 g

Questo piatto vegetariano ci racconta i colori e i sapori della Palestina mettendo in evidenza la melassa di melagrana che, come quella di dattero e di fichi, non manca mai nelle cucine mediorientali, indispensabile per creare un gusto agrodolce delicato e non stucchevole. L’unione con il riso Apollo restituisce un piatto completo, leggero e “ramman” ovvero “melogranoso”. DOSI per 4 persone PORTATA: secondo piatto o piatto unico DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 30’ INGREDIENTI 200 g di lenticchie lessate DelSanto 500 g di melanzane cubettate 80 ml di melassa 1 arancio, il succo 1 cucchiaio di foglie di prezzemolo 1 cucchiaio di foglie di menta olio evo sale in fiocchi e pepe nero macinato al momento spezie: cumino e coriandolo, a gusto chicchi di melagrana per il servizio 200 g di riso Apollo cotto a vapore PER LA MELASSA: 600 ml di succo spremuto di melagrana 100 g di zucchero 50 ml di succo di limone PROCEDIMENTO Prepara la melassa: versa tutti gli ingredienti in una casseruola e mescolando porta a ebollizione. Continua la cottura per un’ora a fuoco dolce, trasferisci poi il liquido sciropposo in un vasetto di vetro e conservalo in frigorifero. Lava e monda le melanzane, tagliale a metà nel senso della lunghezza e cubettale, senza sbucciarle. In una casseruola versa tre cucchiai di olio evo, rosola i cubetti e continua la cottura aggiungendo il succo d’arancia e la melassa. Dopo 15’-20’ aggiungi le lenticchie scolate, le spezie, regola di sale e di pepe e continua la cottura per altri 5’. Nel frattempo lessa il riso, oppure cucinalo al vapore, e condiscilo con un cucchiaio di olio evo. Trita il prezzemolo e la menta freschi. Servi in singole ciotole distribuendo prima il riso, poi lo stufato di melanzane e lenticchie e termina decorando con un filo d’olio, i chicchi di melagrana e il trito di prezzemolo e menta.


la cucina di qb

COME UN HALLOUMI A Cipro l’Halloumi è un formaggio che si serve cotto alla piastra e accompagnato a verdura e frutta. Con il Chevre Buche de Lucay, un formaggio caprino a crosta fiorita, vi faccio fare un salto in Francia e infine accomodare in riva al Mediterraneo: la morbidezza del formaggio, l’asprezza elegante dell’arancia, la dolcezza confortante del dattero fresco e la croccantezza dei semi di melagrana (che sono ricchissimi di Omega3). Un viaggio nel gusto! DOSI per 4 persone PORTATA: secondo piatto DIFFICOLTA’: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 10’ INGREDIENTI 300 g di Chevre Buche de Lucay 50 g di datteri morbidi e freschi 2 arance 2 cucchiai di semi di melagrana 1 cucchiaio di erbe di Provenza essicate 1 cucchiaio di melassa di melagrana olio evo sale in fiocchi pepe nero macinato al momento PER LA MELASSA: 600 ml di succo spremuto di melagrana 100 g di zucchero 50 ml di succo di limone

PROCEDIMENTO Prepara la melassa: versa tutti gli ingredienti in una casseruola e mescolando porta a ebollizione. Continua la cottura per un’ora a fuoco dolce, trasferisci poi il liquido sciropposo in un vasetto di vetro, riponilo in frigorifero (Ricorda che per questa ricetta te ne servirà un cucchiaio, il restante puoi conservarlo per due mesi in frigorifero). Ottieni dal formaggio fette di 1 cm. Pela a vivo l’arancio e metti da parte il succo. In una ciotola mescola la melassa, il succo d’arancio, l’olio evo sale e pepe nero macinato al momento e le erbette aromatiche: otterrai una citronette profumatissima.

CHEVRE BUCHE DE LUCAY codice 46716 | peso 1 kg

In una padella antiaderente cucina il formaggio per qualche secondo, così da rosolarlo appena e non scioglierlo. Distribuisci sul piatto con le fette di arancia e condisci il tutto con la citronette. Servi con falde di dattero, semi di melagrana e sfoglie di pane o pane carasau.


PANNA COTTA ALLA MELAGRANA

FAVA TONKA codice 94826 | peso 30 g

Un ritorno agli anni ’80, anche se in Piemonte la panna cotta è un dessert che si serve sin dalla fine dell’800 (come il blasonato cugino, il Blanc manger). Niente vaniglia ma un mondo aromatico diverso grazie alla presenza della Fava Tonka, adorata dai pasticceri e usata anche in profumeria. La Fava Tonka è meno dolce della vaniglia, molto più complessa e possiede un’anima dolce ma speziata che in bocca si traduce in un sapore mandorlato con tocchi di caramello. Che con l’asprezza della gelatina di melagrana andrà a nozze! DOSI per 4 persone PORTATA: dessert DIFFICOLTA’: minima PREPARAZIONE: 40’ più il riposo in frigorifero COTTURA: 5’ INGREDIENTI PER LA PANNA COTTA: 350 ml di panna Dobbiaco 150 ml di latte intero fava tonka 4 cucchiai di miele d’acacia 4 g di colla di pesce PER LA GELATINA: 250 ml di succo di melagrana 1 cucchiaio di miele di acacia 2 g di colla di pesce Qualche cucchiaio di melograno per il servizio PROCEDIMENTO Metti in ammollo in acqua fredda, in una ciotola, la colla di pesce per la panna cotta, e in un’altra distinta la colla di pesce per la gelatina, così da ammorbidirla. In un pentolino porta a ebollizione panna, latte e miele, aggiungi la colla di pesce e profuma con abbondante macinata di fava tonka, passa al colino e distribuisci in quattro bicchieri singoli. Trasferisci in frigo. Nel frattempo sbuccia, sgrana, frulla e passa al colino la melagrana, così da ottenere 250 ml di succo, addolcisci con il miele, scalda appena, aggiungi e sciogli la colla di pesce restante, passa al colino, unisci un paio di cucchiai di semi di melagrana e distribuisci sui bicchieri, sopra la panna rassodata. Trasferisci nuovamente in frigorifero per un’ora e servi la panna cotta ben fresca.


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