Selezione di Sapori | 2021 03

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A MAG | GIU 2021


EDITORIALE

Progettualità e voglia di misurarci in nuovi campi sono i due temi che attraversano questo nuovo numero del nostro magazine, ma è anche l’aria che si respira in azienda. Innanzitutto sul fronte dei prodotti e dell’assortimento: partiamo finalmente con il “progetto pasta”, con l’obiettivo di entrare gradualmente nel mercato della pasta secca. E partiamo dal granaio d’Italia, la Puglia, con un partner di fiducia con cui collaboriamo da diversi anni, I Contadini. Ma siamo anche orgogliosi di presentarvi il frutto di alcuni mesi di lavoro, assaggi e aggiustamenti di produzione, che ci ha portato a mettere a punto assieme a Guido de La Maremmana due nuovi prodotti: burrata e stracciatella di latte di bufala. Siamo curiosi di avere il vostro feedback!

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Dino Massignani di Riserva San Massimo - Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Ma stiamo lavorando anche su altri fronti. Internamente, ad esempio, con il rilancio della Politica per la Qualità, con l’obiettivo di rivedere alcuni processi, lavorare sulla formazione degli operatori e darci degli obiettivi di miglioramento dal punto di vista della gestione dei prodotti e del servizio al cliente. Proprio per questo vi invitiamo a partecipare, se non l’avete già fatto, al questionario di soddisfazione, che si propone di fotografare l’opinione dei nostri clienti e identificare le criticità su cui intervenire, per cercare di fare sempre meglio. E poi sul fronte della formazione, con un calendario di appuntamenti interni, dedicati alla nostra rete vendita e non solo, e con il nuovo progetto di una scuola, di cui siamo partner - Alte Imprese - dedicata allo sviluppo dell’imprenditorialità e alla produzione di formaggi in alpeggio. Il nostro primo amore. Martina Iseppon


SOMMARIO MAGGIO | GIUGNO 2021

Viaggio in Lomellina

RISERVA SAN MASSIMO 04

Intervista doppia

GRIGIO ALPINA O PIEMONTESE?

08

Spreco alimentare

TROPPO BUONO PER ESSERE BUTTATO 10

Il momento migliore per

IL FIORE SARDO DOP

Il mondo a tavola

MAGHREBIA, LA CUCINA DEL NORD AFRICA

14

Novità a catalogo

FILIERA PUGLIESE | e molto altro...

16

Dietro le quinte

FORMAZIONE@VALSANA 22

Abbinamenti a 4 mani

LA COLLINA DELLE OLIVE

L’Italia è servita

ALLA RICERCA DELLA CARBONARA

Il prodotto dimenticato

COPPA AL GINEPRO

28

Notizie da Valsana

UN SONDAGGIO | UN PROGETTO

30

Lacucinadiqb

LE FAVE 32

12

24 26


viaggio in lomellina

RISERVA SAN MASSIMO Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

44 risorgive disseminate in 400 ettari di foresta, a cui si alternano 200 ettari di campi, disseminati tra i boschi di ontani neri, caratterizzati da una maestosa biodiversità 4 minuti di lettura

RISO CARNAROLI SUPERFINO RISERVA SAN MASSIMO Riso 100% varietà carnaroli, coltivato in una riserva nel Parco del Ticino. E’ un riso adatto ai migliori risotti per le sue grandi doti gastronomiche, in particolare l’elevato contenuto di amido che consente una mantecatura naturale, la bassa collosità e l’ottima tenuta di cottura

“Chi acquista il nostro riso deve immaginarsi di portarsi a casa un pezzo di Riserva”. Così esordisce Massimo Bove, responsabile commerciale di Riserva San Massimo, facendoci vedere le nuove confezioni. Mi sembra un’affermazione un po’ forte, di quelle che usiamo noi commerciali per attirare l’attenzione del cliente, tuttavia una volta rientrati ho la sensazione sia il riassunto perfetto di una giornata passata lungo gli argini del Ticino. Vi voglio perciò raccontare il viaggio dal principio, compiere il tentativo virtuale di aiutarvi a entrare nel contesto naturale della Riserva San Massimo, dove si producono i risi Carnaroli, Vialone Nano e Rosa Marchetti.

Il primo è un classico Risotto alla Milanese e il secondo.. è ancora un primo, uno splendido Risotto con vongole, ostriche, limone e crescione. Inutile dire che il protagonista è il Carnaroli in purezza di casa. Questa tipologia di riso è considerata tra le più pregiate e, senza nessun dubbio, la migliore per i risotti, in quanto esalta la cremosità del piatto grazie a due importarti fattori, come ci viene spiegato: “Il primo è la tenuta in cottura, il secondo è l’alta percentuale di amilosio. Questo è molto importante perché più amido rilascia il chicco, più si ha un assorbimento dei sapori e un’omogeneità nel piatto”.

strada. Ci accolgono Dino Massignani, direttore responsabile della Riserva, e Massimo che vi ho già presentato. Il tempo è incerto, il sole si alterna a cumuli nembi pieni di pioggia. Prima di iniziare il tour dell’oasi decidiamo di fare un pranzo veloce, ovviamente a base di risotti.

Ora è Dino Massignani a essere protagonista: oltre a guidare il mezzo, guida anche noi tra i meandri della Riserva. La conosce come le sue tasche poiché ci lavora da oltre quindici anni. Ed è come se la sentisse sua. Questo ci aiuta a entrare subito nel contesto, a capire che qui

In bocca si annuncia pieno, rotondo, quasi crocSi parte finalmente per cante. Il rilascio dell’a“Chi acquista il nostro riso una trasferta fuori regiomido e la mantecatura deve immaginarsi di portarsi ne, destinazione Groppelgenerano una crema delo Cairoli (PV), in piena licata e suadente, che a casa un pezzo di Riserva”. Lomellina, una delle più avvolge il chicco e il paimportanti aree dediCosì Massimo Bove, lato. Fuoriclasse! Poi cafte alla coltivazione del fettino, un’occhiata alle responsabile commerciale riso. Lungo gli argini del nuove confezioni esposte di Riserva San Massimo, ci Ticino nasce la Riserva, nella sale, riflessioni sul inizialmente creata per tema di Massimo e chiacintroduce il nuovo packaging la caccia a inizio ‘900 e chierata di rito sul difficile di Carnaroli e Vialone Nano. poi negli anni convertita momento di mercato, prigradualmente in un’oasi ma di iniziare il tour con naturale di ripopolamenil Defender. Il meteo anto animale e di produzioni risicole e cerealicole. cora ci assiste e oltre a fornire una luce quasi perfetta per la fotografia offre la giusta suggeArriviamo per l’ora di pranzo dopo aver preso ovstione, guardare le foto di Beatrice per credere! viamente la strada sbagliata all’uscita dell’auto-

cod 93777 | confezione da 1 kg VALSANA | 04


l’uomo si è messo al servizio della natura, non l’ha manipolata, non l’ha sottomessa, ma l’ha addomesticata. Flora e fauna han creato il loro equilibrio, un presidio di biodiversità sostenuto e protetto dall’uomo che governa l’economia del dare e ricevere di ogni ciclo naturale. Gli Ontani Neri son gli alberi che caratterizzano il bosco, oltre 40 le risorgive che danno il via ai canali che si fanno strada tra i boschi e che poi a loro volta inonderanno le risaie. E ancora le felci, tra cui la rarissima e massiccia Osmunda Regalis, e la torba a vivificare il sottobosco. Centinaia le piante da frutto che costeggiano i campi al solo scopo di alimentare la biodiversità e concimare il terreno con i frutti caduti, ma questo va anche a discapito della produttività poiché le chiome degli alberi in estate ombreggiano le piante di riso e ne ostacolano la maturazione. Ogni volta si dà, ma anche si riceve.

E poi i fagiani, le anatre, le oche, gli aironi, i caprioli, i daini, le poiane: sono solo alcuni degli animali che abitano i 400 ettari di foresta e i 200 ettari di campi coltivati... sì, perché qui non ci sono recinzioni, non ci sono dissuasori elettrificati, ma esistono strategie che tengono gli animali lontani dal campo coltivato. Come si fa? Si dà da mangiare all’animale in zone lontane dalle zone coltivate, si coltivano alcuni campi a cereali al solo scopo di alimentare la fauna del posto, e inoltre anche ciò che viene scartato nei diversi passaggi di selezione del riso viene dato agli animali. In un contesto naturale sembra facile e scontato produrre un prodotto di qualità, ma in questo viaggio ci siamo resi conto che tanto facile non è. Il ciclo vegetativo del Carnaroli inizia nella seconda metà di aprile e dura circa 165 giorni, concludendosi quindi verso fine settembre. I campi, oltre alla concimazione naturale, ven-

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Dino Massignani è il direttore della Riserva. Legato da sempre al mondo del riso - la mamma era una mondina - a 20 anni diventa volontario per la tutela dell’ambiente. Oggi responsabile di questo sito di interesse comunitario a protezione speciale


gono concimati con la cornunghia, mix di corna e zoccoli macinati, una sostanza organica naturale che rilascia in modo graduale nel terreno azoto e, soprattutto, fosforo.

RISO CARNAROLI INTEGRALE RISERVA SAN MASSIMO Riso 100% varietà Carnaroli integrale. E’ un riso adatto ai migliori risotti freddi ed insalate di riso per le sue grandi doti gastronomiche, in particolare la bassa collosità e l’ottima tenuta di cottura cod 93776 | confezione da 1 kg

La semina avviene in asciutta, le risaie vengono sommerse solo successivamente, quando le piantine sono già nate, dopo circa 20/30 giorni, rigorosamente solo con l’acqua delle risorgive, che viene portata nei campi attraverso una complessa rete di canali.

Sappiate però che il risone viene raccolto con il 30% di umidità e poi essiccato con un impianto a gas metano che conDue i caposaldi di Riserva sente l’utilizzo di temSan Massimo: l’ossessione perature moderate, che per la qualità e la ricerca mantengono integro e compatto ogni singolo dell’equilibrio tra produzione chicco portandolo all’11% e rispetto per la natura. di umidità. Normalmente invece il riso viene Un inno alla sostenibilità, essiccato con impianti quella vera. a gasolio, esponendo il chicco ai fumi di combustione.

Le sementi, certificate e rilasciate dall’Ente Risi, vengono distribuite in oltre 100 ettari di campo, 11 kg di semi per ogni pertica (1 ettaro = 15,27

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pertiche) che daranno in media 430 kg di riso da fresco.

Dopo l’essiccazione il riso viene stoccato in silos arieggiati senza nessun tipo di trattamento di conservazione (di solito vengono spruzzati de-


gli insetticidi sui chicchi), viene pilato (cioè privato del tegumento e pericarpo) in modo artigianale, in un’azienda partecipata che si trova al di fuori della Riserva e che lavora a bassa intensità, in piccole quantità. Il prodotto viene poi ulteriormente verificato con un lettore ottico che scarta chicchi imperfetti o troppo piccoli, quindi confezionato in atmosfera protetta - la soluzione migliore per proteggere le qualità organolettiche del riso e preservarlo nel tempo, ci racconta Dino - e infine etichettato a mano. Alla fine di tutto il processo, la resa media è di circa 40 kg di riso ogni 100 kg di risone. Da qualche anno per aggiungere complessità all’offerta viene prodotto in Riserva con criteri simili anche il Vialone Nano. Nel corso degli anni sono stati studiati e selezionati i campi in cui la pianta del Vialone Nano poteva trovare il terreno più adatto alla sua crescita perfetta: infatti

la produzione del riso Vialone Nano in Riserva è limitata e circoscritta solo ad alcuni campi. Le sue caratteristiche lo rendono adatto a ogni tipo di preparazione e la sua unicità e delicatezza viene esaltata soprattutto nella realizzazione dei risotti, sia mantecati che sgranati. Il giusto contenuto di amilosio rende ottima la sua tenuta di cottura mantenendo sempre una media consistenza al dente e favorendo un’ottima assunzione di aromi e sapori. A prescindere dal tipo di riso, il risultato finale è frutto di due cose, una è l’ossessione per la qualità e l’altra è il tentativo, peraltro ben riuscito, di tenere in equilibrio ogni giorno produzioni e rispetto per la natura. Un inno alla sostenibilità, quella vera. Massimo aveva ragione, ora ne sono convinto: “Chi acquista il nostro riso deve immaginarsi di portarsi a casa un pezzo di Riserva”!

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Reportage fotografico di Beatrice Mancini

RISO VIALONE NANO RISERVA SAN MASSIMO Riso 100% varietà Vialone. Il contenuto di amilosio rende ottima la sua tenuta di cottura. Ideale nella preparazione di risotti sia mantecati che sgranati, soprattutto di pesce; ottimo anche per minestre in brodo, insalate di riso e arancini cod 93778 | confezione da 1 kg


intervista doppia

Giulia Basso giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste

Pio Corrà

Luca Varetto

GRIGIO ALPINA O PIEMONTESE? Grigio alpina o Piemontese? Che bontà la Bresaola di razza, dal Trentino al Piemonte 3 minuti di lettura

Fassona Piemontese Sono il salumificio più antico del Trentino e uno dei più antichi d’Italia. Dal 1850 i Fratelli Corrà, seguendo la tradizione tramandata di padre in figlio, lavorano le carni dei territorio affidandosi alle ricette messe a punto dai propri antenati, riadattate però alle esigenze contemporanee. La lavorazione, portata avanti nello stabilimento di Smarano, in Val di Non, è “completamente artigianale”, racconta Pio Corrà, che assieme al fratello Luca e al cugino Federico porta avanti la tradizione di famiglia, una storia che dura ormai da quattro generazioni. Sono i nonni Rita e Giacomo Corrà, a insegnare tutto ai figli e ai nipoti: le ricette e i segreti per una produzione d’alta qualità, ma anche l’attenzione al cliente, che si riflette nell’etichettatura, pensata per far capire il lavoro certosino che c’è dietro a ciascun prodotto. “Lavoriamo le nostre carni a circa mille metri d’altezza, sopra i meli della valle, facendo ancora molto uso del coltello e del lavoro manuale”. Le carni impiegate sono tutte rigorosamente locali. I bovini sono di razza Grigio Alpina, coperta da presidio Slow Food e allevata in Trentino Alto Adige: si tratta di una razza autoctona molto adatta al pascolo, rustica e frugale, che si utilizza sia per la tradizione familiare Grigio Alpina produzione di carne sia per il latte. TRENTO I suini arrivano da Trento o dalle bresaola 1850 province limitrofe, la cacciagione è razza autoctona una tradizione di lungo corso in valle. Pio Corrà Tra i prodotti più noti una linea di würstel completamente naturali, gli Slow Food Smarano speck, la bresaola di montagna e la carne salada trentina di Smaranina. VALSANA | 08

1984

Quando tracciabilità CUNEO bresaola era un termine tracciabilità ancora sconosciuto Luca Varetto ai più, nel 1984 a Carrù (Cuneo) è 1500 allevamenti consorzio nato Coalvi, un Consorzio di tutela con l’obiettivo di distinguere nei punti vendita la carne proveniente da bovini di razza Piemontese. E’ un consorzio di allevatori che ha messo a punto un sistema per tracciare i capi di Piemontese, la razza bovina autoctona da carne più rappresentata sul territorio italiano. “Un tempo il tracciamento avveniva con carta e penna, oggi invece abbiamo un’anagrafe nazionale e gli animali sono marchiati elettronicamente alla nascita - spiega Luca Varetto, referente scientifico del Consorzio. Nell’etichetta possiamo indicare al consumatore addirittura il nome e cognome dell’allevatore, quello del macello, del laboratorio dove è stata lavorata la carne e tutti i dati sul bovino”. Il Consorzio conta 1500 allevamenti e certifica circa 17mila bovini l’anno: gli allevamenti di Fassone Piemontese sono prevalentemente piccoli, a conduzione familiare e a ciclo chiuso, ovvero con l’allevamento delle fattrici e l’ingrasso dei vitelli. “Il gestore di solito è il proprietario dell’azienda, che è anche l’operaio, l’ostetrico, il dietologo dei bovini e l’agricoltore, perché produce il foraggio con cui poi alimenta i propri animali”, racconta Luca. Da questa filiera fortemente sostenibile dal punto di vista ambientale, nasce la produzione della Bresaola La Grande Razza Piemontese, che si caratterizza per la carne magra, tenera e saporita.


“Abbiamo intervistato Pio Corrà e Luca Varetto, per capire le differenze tra i loro due prodotti” BRESAOLA DI MONTAGNA

BRESAOLA LA GRANDE FASSONA RAZZA PIEMONTESE

cod 82334 | peso 2 kg

cod 82022 | peso 3 kg

1) Nome del prodotto?

Bresaola di Montagna.

La Grande Fassona Razza Piemontese.

2) Origine della materia prima?

Carne di bovini di razza Grigio Alpina allevati al pascolo in Trentino Alto Adige, presidio Slow Food.

Carne di bovino di razza Piemontese, certificata all’origine da Coalvi ai sensi del disciplinare di etichettatura.

3) Perchè avete scelto questa razza?

E’ una delle più vecchie abitanti delle Alpi: Perché la carne è magra, compatta e morbida robusta e ideale per la montagna, la sua nonostante sia priva di marezzatura. carne è di ottima qualità.

4) Quali tagli anatomici utilizzate?

La fesa di bovino.

Usiamo la fesa di bovino di Razza Piemontese, chiamata anche punta d’anca.

5) Come avviene la salatura?

Per immersione nella salamoia.

In salamoia, ci affidiamo ai maestri della Valtellina, che sanno esattamente come lavorare le nostre carni.

6) Quali spezie utilizzate per la concia?

Con una miscela di pepe, ginepro, cannella, Una miscela segreta di erbe, tra cui noce chiodi di garofano e altre spezie dell’antica moscata e pepe, e altri aromi naturali. ricetta di famiglia

7) Che tipo di budello?

Non usiamo un budello, ma la avvolgiamo Un budello commestibile ricomposto, in una rete naturale che poi viene tolta. ovvero ricostruito da tessuto naturale per potergli conferire il calibro giusto per le nostre bresaole, che pesano anche più di 10 kg.

8) Quale è la stagionatura ideale?

Di 90 giorni minimo. Ma prima la giriamo Intorno ai 40 giorni, dopo una ventina di a mano due volte alla settimana e giorni passati in ammollo con il sale e gli la massaggiamo per 21 giorni, quindi aromi. l’affumichiamo leggermente a freddo con legno di faggio e bacche di ginepro e infine la lasciamo stagionare a temperatura e umidità controllata.

9) Perché è diversa dalle altre?

Per la materia prima, locale e presidio Slow Food, la lavorazione manuale e l’affumicatura molto leggera con fumo naturale.

10) Consigli per la conservazione?

L’ideale è mantenerla sottovuoto a quattro Sottovuoto e tra gli zero e i quattro gradi gradi circa. Una volta aperta, avvolta in uno si conserva per quattro mesi. Consiglio di strofinaccio o rimessa sottovuoto. rimetterla sottovuoto anche una volta aperta per non farle perdere umidità e quindi peso.

11) ) Quale abbinamento suggerite?

E’ perfetta da consumare con sopra un filo d’olio dolce, come quello del Garda, o Ligure di Taggiasca. Se piace si può accompagnare anche con scaglie di Stravecchio di Malga.

12) Quale vino in abbinamento?

Un Müller Thurgau della Val di Cembra o un E’ una carne magra e dal gusto delicato, Pinot Grigio trentino. perciò consiglierei un rosso o un bianco leggero.

A colpo d’occhio per le dimensioni, perché con due fette riempie il piatto, e per l’assenza di marezzatura, che se per le altre carni è una caratteristica di pregio nel caso della Piemontese è superflua, vista la morbidezza del prodotto.

Visto il sapore delicato e la consistenza della fetta, che si scioglie in bocca, per accompagnarla basta un filo d’olio extravergine leggero.


spreco alimentare

TROPPO BUONO PER ESSERE BUTTATO Giulia Bassetto Marketing e Comunicazione

Combattere lo spreco con un'app? Si può! Cos'è e come funziona Too Good To Go 3 minuti di lettura

2,6 mln di Magic Box vendute in Italia fino ad ora

6 mln di kg di CO2 salvata in Italia fino ad ora

3,5 mln di utenti registrati in Italia

Continuiamo a parlare di sprechi e per farlo vorrei ricordare di nuovo un numero molto significativo: 30%. Questa è la percentuale di cibo prodotto e buttato senza essere consumato, a livello mondiale. Una cifra incredibile. Quasi un terzo del totale. In questo numero strizziamo l'occhio alla tecnologia e vi raccontiamo un progetto secondo noi molto valido: Too Good To Go, un'app creata per combattere lo spreco. Abbiamo iniziato a familiarizzare con questa realtà leggendo diversi articoli che ne raccontavano il successo e anche i valori. L'idea ci è subito piaciuta e ci siamo decisi ad approfondire la questione. Era Natale 2020, stavamo iniziando a raccogliere le idee per la nuova edizione del magazine ed ecco, la rubrica sullo spreco cadeva a pennello. Abbiamo scaricato l'app, abbiamo provato a fare qualche esperienza e abbiamo cercato i contatti: la nostra persona era Claudia Bertolin, giovane donna incaricata dello sviluppo della rete di Too Good To Go in Veneto e in Friuli. Ci siamo conosciuti su zoom (a proposito di strizzare l'occhio alla tecnologia!) e abbiamo chiacchierato un po' insieme: Claudia è preparata e trasmette

con passione i valori di Too Good To Go, valori che anche noi condividiamo. Indaghiamo un altro po' sul progetto, la chiacchierata continua e il tempo vola... Insomma, ci siamo piaciuti! Crediamo che l'idea sia innovativa e interessante, e per questo vogliamo dedicare qualche riga per raccontarvi come funziona! COS'È TOO GOOD TO GO? Too Good To Go, letteralmente "troppo buono per essere buttato via" è un'app, disponibile sia per i sistemi iOS che per Android, ideata nel 2015 in Danimarca per combattere lo spreco di cibo. In Italia è arrivata nel 2019 e ha riscosso subito un grande successo. L'idea di fondo è quella di combattere lo spreco mettendo in contatto gli esercizi commerciali che hanno dei prodotti invenduti a fine giornata, con i consumatori. Gli esercizi mettono a disposizione l'invenduto sotto forma di Magic Box, cioè una selezione di prodotti a sorpresa che il consumatore prenota e acquista a circa un terzo del prezzo. L'app e è diffusa in 15 paesi e conta circa 30 milioni di utenti e 50 mila esercizi partner a livello globale. E in Italia? Gli utenti sono circa 3,5 milioni e i partner circa 9 mila; in totale


sono state vendute finora 2,6 milioni di Magic Box che hanno contribuito a salvare 6 milioni di kg di CO2, cioè emissioni generate per la produzione di cibo che altrimenti sarebbero state riversate nell'atmosfera inutilmente. Un gran risultato che dimostra che, se sommati insieme, tanti piccoli gesti riescono a fare davvero la differenza. CONSUMATORI: COME FUNZIONA? Basta scaricare l'app, iscriversi e indicare la zona di interesse per la ricerca dei punti vendita. Navigando nell'app si possono individuare le offerte disponibili e quelle perse per un pelo ma che potrebbero interessare in futuro, così come inserire alcuni locali tra i preferiti e attivare le notifiche per essere avvisati in caso di offerte disponibili. Una volta prenotato, si prosegue con il pagamento online e si ottiene la conferma di prenotazione da esibire in negozio. Non resta che ritirare la Magic Box e scoprire cosa contiene! ESERCIZI COMMERCIALI: COME FUNZIONA? E' il punto vendita a decidere quante Magic Box mettere a disposizione, in quali giorni, a quali orari e di quali dimensioni. E' possibile scegliere tra le tipologie "piccola", "media" e "grande", le quali si differenziano per il valore commerciale crescente del contenuto e che sono messe in vendita sulla piattaforma dell'app a un terzo del prezzo. Tutto è facilmente gestibile da un'interfaccia dedicata da dove poter gestire tutte le proprie offerte con estrema facilità (foto 2). Gli utenti prenotano la Magic Box direttamente dall'app senza conoscerne il contenuto, evitando così di dover dedicare tempo a descrivere il contenuto dettagliato della box e permettendo invece di inserire ciò che davvero resta invenduto. Anche il pagamento avviene direttamente dall'app così che il negozio non si debba preoccupare di dover gestire i pagamenti in loco. Nella fascia oraria stabilita, il cliente si presenterà con la prenotazione che il negozio si premurerà di verificare e convalidare, prima di consegnare la Magic Box. Too Good To Go incassa i pagamenti e versa poi gli importi al negozio al netto di una piccola commissione su ogni Magic Box venduta. E l'iscrizione? Il pagamento avviene solo dopo un periodo di prova ed è scontato direttamente dalle vendite. Per iscriversi basta andare sul sito di Too Good To Go, alla sezione "hai un negozio?" e inserire i dati richiesti (foto 1). Completata l'iscrizione segue il contatto da parte di un referente che spiegherà nel dettaglio il funzionamento del servizio. Esatto, un referente, perché la

relazione avviene sempre con delle persone, così come è sempre disponibile un servizio customer care a cui rivolgersi per ottenere risposte e risolvere i problemi. E se iscriversi è facile, è semplicissimo anche disiscriversi senza alcun costo di uscita qualora il servizio non fosse nelle corde del partner. L'app non si rivolge solo ai negozi con vendita al dettaglio, ma anche a ristoranti, bar, hotel, cantine e birrifici: secondo le stime di Too Good To Go si è registrata sempre un'ottima risposta per tutti i punti vendita attivi, infatti giornalmente vengono vendute 8 Magic Box su 10. CHI CI GUADAGNA? Too Good To Go ha messo in piedi un sistema "win-win-win", cioè in cui tutti vincono. Cosa vuol dire? Per gli esercizi partner i pro sono la possibilità di ridurre gli sprechi all'interno della propria attività e aiutare l'ambiente con un gesto piccolo ma significativo. Inoltre essere sulla piattaforma Too Good To Go permette di mostrarsi in una vetrina "positiva" in cui sono condivisi valori importanti, l'attenzione all'ambiente e la sensibilità verso lo spreco appunto. Proprio grazie a questa vetrina è possibile attrarre nuova clientela a cui far conoscere i propri prodotti e che potrebbe trasformarsi in una clientela normale, che non fa più dipendere i propri acquisti dalla disponibilità di Magic Box.

Per gli utenti invece rappresentano una leva importante la consapevolezza di fare qualcosa di concreto per salvare l'ambiente e la possibilità di acquistare ottimo cibo che altrimenti verrebbe gettato, a un terzo del prezzo. L'effetto sorpresa rende tutto più intrigante e quasi divertente! Tutti gli iscritti a Too Good To Go entrano a far parte di una comunità internazionale di waste warriors (guerrieri contro lo spreco) che condivide informazioni, sensibilità e valori positivi. Infine, da tutto questo sistema trae vantaggio l'ambiente: ridurre sprechi significa contribuire a ridurre le emissioni di CO2 responsabili dell'aumento della temperatura terrestre. PER CONCLUDERE Abbiamo deciso di favorire la conoscenza di quest'iniziativa, secondo noi molto valida, così da aggiungere un altro piccolo tassello al nostro impegno nella sensibilizzazione allo spreco alimentare. Ci sono tantissimi utenti interessati e un terreno che localmente è ben lontano dall'essere saturo di proposte. Insomma, un invito a fare tutti insieme gioco di squadra! VALSANA | 11


il momento migliore per...

IL FIORE SARDO DOP La versione giovane prodotta con il ricco latte invernale raggiunge la stagionatura ottimale di circa 5 mesi: il periodo migliore per il Fiore Sardo Dop è ora! Giorgia Barbaresco Responsabile Qualità

3 minuti di lettura

Se c’è una cosa che questo lungo periodo di difficoltà mi ha insegnato è proprio di aggrapparmi ai sogni e non perdere la speranza. Mai come ora sogno di viaggiare, prendere l’aereo e raggiungere luoghi mai visitati prima oppure posti in cui sono stata e che mi riportano alle piacevoli emozioni vissute durante il soggiorno. Uno di questi luoghi è la Sardegna.

IL MOMENTO E’ ORA Ed è questo il momento migliore per assaggiare il Fiore Sardo, un pecorino che ha un legame strettissimo con la terra da cui proviene. Stessa connessione che sente Gianfranco Bussu, che fin da bambino frequentava “l’ambiente” con il padre.

FIORE SARDO DOP BIOLOGICO cod 31432 | peso 3 kg circa

🔎 IDENTIKIT

In questo periodo le forme prodotte a dicembre e gennaio con il latte più grasso raggiungono la stagionatura di 4/5 mesi, ovvero quella ideale per apprezzare un prodotto dolce nonostante la sapidità, suadente, con note di latte, burro e miele arricchito con sentori di affumicato che abbracciano la complessità di questo magnifico formaggio.

CROSTA: bruna, affumicata

In realtà c’è un altro momento dell’anno ideale per l’acquisto del Fiore Sardo, sono i mesi di settembre e ottobre, per la versione stagionata 10 mesi: il grasso mantiene morbida la pasta permettendo al formaggio di conservarsi al meglio anche dopo molti mesi, senza diventare mai troppo asciutto.

PRESSATURA: no

LA PRODUZIONE

STAGIONATURA: almeno 4 mesi

Il Fiore Sardo di Gianfranco è prodotto solo con latte crudo delle sue pecore di Razza Sarda, caglio di agnello in pasta e sale. Un rinforzo con siero-innesto (il siero della lavorazione precedente ricco di fermenti lattici) è previsto solo a partire dal mese di maggio quando il latte è meno ricco.

LATTE: crudo ovino LATTE PER FORMA: 25 l (20 pecore) PASTA: dura, cruda

ROTTURA CAGLIATA: chicco di miglio

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Il latte viene coagulato a una temperatura bassa e questo fa sì che i microrganismi chiamati in causa in questa fase lavorino lentamente e abbiano bisogno di più tempo per la maturazione. Appena uscite dalla salamoia le forme vengono trasferite nell’affumicatoio dove la temperatura è più alta e fa “risvegliare” altri microrganismi che secondo Gianfranco sono essenziali per completare l’opera e rendere unico questo formaggio. L’affumicatura viene dosata a seconda della stagione, nei mesi invernali, freddi e umidi dura 15-20 giorni, nel periodo primaverile ed estivo invece dura circa 10 giorni, per non asciugare eccessivamente un prodotto che è già tendenzialmente più asciutto a causa del latte meno grasso. IL CICLO DEL LATTE Tutto dipende dal latte: le pecore vengono fecondate all’inizio del mese di maggio, partoriscono tra ottobre e novembre, e all’inizio di dicembre si comincia ad avere una maggiore quantità di latte disponibile. Nella prima fase una parte del latte è destinata al nutrimento degli agnelli che vengono lasciati con la madre (un mese i maschi e 40/45 giorni le femmine). Il latte è ottimo da dicembre a maggio quando le pecore pascolano a Macomer, a 650 m di altitudine dove possono nutrirsi dell’erba fresca abbondantemente disponibile. Successivamente ripartono le fecondazioni e si ha un calo fisiologico di produzione di latte, inoltre le temperature si alzano, l’erba fresca è sempre meno disponibile, fino a luglio quando le pecore vanno in asciutta. Le 1400 pecore di Gianfranco sono fortunate perché hanno a disposizione 150 ettari di pascolo con più di 100 tipi di essenze erbacee!


RICCHEZZA LATTE

LATTE DISPONIBILE

asciutta GEN

FEB

MAR

APR

MAG

GIU

LUG

AGO

parto SET

OTT

NOV

DIC

CICLO DI LATTAZIONE Il ciclo di lattazione delle pecore influisce non solo sulla disponibilità ma anche sulla qualità del latte

BUSSU GIANFRANCO caseificazione. Per riscaldare il latte- veniva Volendo essere precisi però, questo periodo CAMPO la A CONCORSO: LOCALITÀ BARA - 620 SPECIE RILEVATE 54 acceso ilN. fuoco, il cui calore agevolava la di “latte buono” può essere ulteriormente dicui una leggera buccia, suddiviso in base alla stagione: SUPERFICIEformazione TOTALE: 60 ettari di 50 a pascolo e 10 coltivati a erbaio mentre TIPO DI ALLEVAMENTO: ovino (530 capi di cui 450 in lattazione), suini (2 capi) il fumo che invadeva il ricovero preservava PRODUZIONE AZIENDALE: Formaggi (fiore sardo DOP, pecorino DOP, caciotte, · latte invernale (dicembre-febbraio): l’erba è frue, ricotte) il formaggio dagli insetti e dall’eccessiva molto rigogliosa e le pecore sono in forma; CARATTERISTICHE DEL CAMPO Adi CONCORSO: formazione muffa. Durante il periodo Il campo a concorso è un pascolo aperto, della superficie complessiva di 2.5 ettari, siamo all’inizio della lattazione quindi il latte utilizzato per il pascolo naturale del bestiame ad aprile quando lasciato a invernale, quando lefinoforme eranovieneasciutte è grasso e il formaggio ha una pastariposo piùper lo sfalcio. abbastanza da poter essere trasportate (2/3 morbida e dolce che trattiene di più l’umidità CARATTERIZZAZIONE DEL PAESAGGIO Il campo scelto, in base alla Direttivatrasferite Habitat (43/92/EEC), ricade nell’habitat di mesi), venivano in montagna, nelle e si presta alla stagionatura, rallentata anche interesse comunitario 6220*: Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei cantine delle abitazioni dei pastori, dove le Thero-Brachypodietea dalla temperatura bassa; donne se ne prendevano cura durante la · latte primaverile (marzo-maggio): i prati si stagionatura fino a novembre, quando era ora L’esperienza di Gianfranco Gianfranco gestisce il caseificio aziendale insieme al fratello Salvatore. L’attività coinvolge anche le ricoprono di fiori ma il latte è meno grasso di riprendere la strada verso il mare. In questo rispettive mogli. Loro hanno piena e fa sì che il formaggio tenda ad asciugarsi periodo i commercianti salivano e in un’unica consapevolezza che la complessità più rapidamente mal sopportando le lunghe volta acquistavano tutta la produzione. aromatica e la stagionature; il pecorino però diventa qualità più dei formaggi Il pecorino era quindi molto stagionato, sono correlate con il complesso e spiccano le note erbacee; pascolo e la salato varietà e affumicato, ideale per affrontare di erbe che l’animale la commercializzazione fuori dall’isola ma ingerisce. · latte estivo (giugno-luglio): siamo ormai a La salvaguardia del assolutamente troppo forte per essere sistema pastorale fine lattazione e il formaggio che si ottiene tradizionale, con animali al pascolo con questo latte ha una pasta piuttosto consumato dai sardi.

- AZIENDA AGRICOLA - Macomer

M SLM

e l’utilizzo limitato dei mezzi tecnici di produzione, viene visto come un sistema sostenibile che

conserva in equlibrio il rapporto tra animale, uomo e ambiente. asciutta tanto da non poter più essere preso ... FINO A OGGI in considerazione per la versione “stagionata”. Gianfranco racconta emozionato di come la Un tempo i pastori riuscivano a fare questa tosatura delle pecore fosse un rito e una festa, distinzione semplicemente guardando le iniziava a giugno e durava un mese e mezzo, forme e questo ci fa capire come il Fiore Sardo tutti si aiutavano ed era l’occasione per stare fosse legato alla stagionalità, aspetto a cui insieme. Oggi le cose sono molto cambiate, Gianfranco tiene moltissimo e sottolinea che Gianfranco continua fare la tosatura da solo, se venisse prodotto pastorizzando il latte e ma alcuni chiamano squadre di tosatori che aggiungendo fermenti selezionati, questa arrivano dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, caratteristica verrebbe meno. e la gestione della lana è sempre più un problema: fino a vent’anni fa era una fonte di DAL PASSATO... reddito, oggi invece vale 10 centesimi al chilo Ma lo sapevate che il Fiore Sardo un tempo ed è un problema anche solo farla ritirare. veniva esclusivamente commercializzato in continente perché in Sardegna non veniva Durante la chiacchierata con Gianfranco ho apprezzato? In origine veniva prodotto dai percepito tutto l’amore che ha nei confronti pastori durante il periodo di pascolo estivo, del suo lavoro, forse è riduttivo chiamarlo a 1000 m di altitudine nelle zone circostanti lavoro: è la sua esistenza, la sua storia e Ollolai, capitale della Barbagia, la zona quella della sua famiglia, della sua terra e montuosa centrale della Sardegna per poi della tradizione di un popolo. Ho maggiore scendere verso il mare da novembre ad aprile, consapevolezza di quanto possa essere contenuto in un assaggio del suo formaggio: e quindi risalire con la bella stagione. nostalgia, coerenza, coraggio e speranza. Il pecorino veniva prodotto nelle pinnettas o Buona degustazione! pinnettu, ricoveri a base circolare in pietra e con il tetto di rami e tronchi dove si svolgeva Asphodelus ramosus

Eryngium campestre

Carlina corymbosa

ELENCO SPECIE RILEVATE: FAMIGLIA

SPECIE

Graminaceae

Agrostis pourretii

SUBSPECIE

Graminaceae

Aira caryophyllea

Primulaceae

Anagallis parviflora

Compositae

Anthemis arvensis

subsp. arvensis

Sitzia pudasci

Graminaceae

Anthoxantum aristatum

Graminaceae

Avena barbata

SUBSP. BARBATA

Ena murra / E

Compositae

Bellis annua

subsp. annua

Graminaceae

Bromus hordeaceus

subsp. hordeaceus

Cruciferae

Calepina irregularis

Compositae

Carlina corymbosa

Compositae

Carthamus lanatus

Caryophyllaceae

Cerastium glomeratum

Compositae

Cichorium intybus

subsp. caryophyllea

Ardu candela

Convolvulaceae

Convolvulus arvensis

Compositae

Crepis vesicaria

subsp. vesicaria

Apiaceae

Daucus carota

subp. carota

Fustinaga

Geraniaceae

Erodium ciconium

Geraniaceae

Erodium cicutarium

Apiaceae

Eryngium campestre subsp. cupanii

Lua / Lattorig

subsp. rigidum

Lozzu areste

Euphorbiaceae

Euphorbia pithyusa

Rubiaceae

Galium parisiense

Geraniaceae

Geranium molle

Compositae

Hedypnois cretica

Compositae

Hypochoeris achyrophorus

Compositae

Hypochoeris radicata

Compositae

Leontodon tuberosus

Linaceae

Linum bienne

Graminaceae

Lolium rigidum

Leguminosae

Lotus conimbricensis

Leguminosae

Lotus edulis

Caryophyllaceae

Moenchia erecta

Borraginaceae

Myosotis pusilla

Leguminosae

Ornithopus compressus

Scrophulariaceae

Parentucellia latifolia

Plantaginaceae

Plantago lagopus

Plantaginaceae

Plantago lanceolata

Graminaceae

Poa annua

Ranunculaceae

Ranunculus paludosus

Compositae

Reichardia picroides

Iridaceae

Romulea ligustica

Apiaceae

Scandix pecten-veneris

Rubiaceae

Sherardia arvensis

Caryophyllaceae

Silene gallica

Compositae

Liadorza / Alig

subsp. pecten-veneris

Taraxacum officinale

Apiaceae

Thapsia garganica

subsp. garganica

Leguminosae

Trifolium incarnatum

subsp. molinerii

Leguminosae

Trifolium micranthum

Leguminosae

Trifolium nigrescens

Leguminosae

Trifolium subterraneum

Compositae

Urospermum dalechampii

Valerianaceae

Valerianella microcarpa

Plantaginaceae

Eruledda / Fe

subsp. nigrescens

Veronica peregrina

Graminaceae

Vulpia ligustica

Graminaceae

Vulpia myuros

Fenu leperinu subsp. myuros

Hypochoeris radicata

I PASCOLI DI GIANFRANCO

Elenco delle essenze seminativefloreali rilevate dall’Università di 2 identità rurali - arrivano i gialli” PSR Sardegna 2007-2013. Misura 421 Cooperazione transnazionale e interterritoriale. Progetto nuove di pascolo Sassari in soli“Verso 4m

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NOME SARD


il mondo a tavola

MAGHREBIA, LA CUCINA DEL NORD AFRICA Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

Couscous, tajine e té con la menta… sono le tre specialità maghrebine conosciute e apprezzate nel mondo intero. Ma quali altri cibi e tradizioni si celano al di là delle sponde di questo angolo di Mediterraneo orientale? Scopriamolo insieme tra i sapori del Suq! 3 minuti di lettura

Il couscous compare nella lista dei dieci piatti più cercati e conosciuti in rete e rappresenta senz’ombra di dubbio il cibo più popolare della cucina nord africana. Se però chiedessimo a chiunque di elencare i nomi di altri cinque piatti maghrebini, difficilmente riusciremmo ad ottenere una risposta. Accade spesso purtroppo che dietro la fama dei piatti iconici si celi il vuoto. Fino a qualche anno fa questo limite rappresentava un problema serio per l’hotellerie e per il mondo della ristorazione nei paesi del Maghreb, specie per il Marocco, poiché i turisti che visitavano il Paese conoscendo solo il couscous, non osavano ordinare altro e lamentavano una certa monotonia nell’offerta gastronomica. Nel tempo erano sparite buona parte di quelle delizie che fanno della cucina maghrebina, specie di quella marocchina, una delle espressioni più raffinate della cultura gastronomica araba, insieme alla libanese. I menù dei ristoranti si erano appiattiti sui

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classici della western cuisine, come la caesar salad o il filet mignon. LA SCOPERTA DI UNA CUCINA VARIEGATA Consapevole di questo limite, Abderrahim Bargache, il “guru” dell’Academie de la Gastronomie Marocaine riuscì a convincere il re del Marocco Mohammed VI a organizzare un evento rivolto a cento giornalisti della stampa internazionale per portare alla luce i tesori della cucina di questo Paese. Ebbi l’onore di partecipare a questo ricevimento che si svolgeva nei saloni della residenza del Palazzo Reale di Rabat, come unico giornalista italiano invitato. Per l’occasione Bargache aveva radunato decine e decine di cuoche di ogni angolo del Marocco che proponevano ogni giorno 50 diversi piatti a pranzo e altrettanti a cena, per un totale di 300 squisitezze servite nella tre giorni della gastronomia maghrebina, spaziando dalle entrées ai dolci! Scoprii così che oltre ai couscous, ai tajine e al tè con la menta c’era ben altro di cui andare fieri… Se poi dal Marocco volgessimo lo sguardo all’Algeria e alla Tunisia fino a comprendere i Paesi del “Grand Maghreb” come la Libia, la Mauritania e la Regione Sahariana potremmo compilare un’enciclopedia.


A TAVOLA IN MAGHREB L’arte del ricevere e l’ospitalità sono una delle caratteristiche che affascinano maggiormente tra le tradizioni del nord Africa. Dai salotti dei riad arabo andalusi più lussuriosi, fino ai cortili delle modeste case berbere dell’Altlante, l’ospite è considerato sacro e la tavola è il luogo dove si consuma il rito dell’accoglienza. Un pasto che si rispetti inizia di solito con una serie d’insalate e di amuse bouche. Le prime sono solitamente a base di verdure cotte che spesso vengono aromatizzate con acqua di fiori d’arancio, erbe aromatiche come il coriandolo e spezie preziose come lo zafferano o il cumino, spesso addolcite da zucchero o miele. Il salé-sucré più che l’agrodolce è un tratto distintivo di quella cucina di Ziryab che lasciarono in eredità gli arabo-andalusi cacciati dalla Spagna dopo la riconquista, così come l’uso generoso della frutta secca dai couscous ai tajines di carni e verdure. Oltre all’influenza della cucina araba classica di Damasco e Baghdad è importante sottolineare l’impronta cinese. Si narra che l’esploratore maghrebino Ibn Battuta giunse in Cina prima di Marco Polo portando tante innovazioni, anche in cucina, come l’uso cerimoniale del tè, l’adozione delle sfoglie di brik (warqa) e degli spaghettini cinesi, indispensabile per la versione marinera della bastela, uno dei piatti di mare più raffinati. La diaspora ebraica ha poi ulteriormente raffinato i piatti di questo angolo di Mediterraneo, generando un intero filone della cuisine juive nord africana.

Come in altri paesi islamici la carne la fa da padrone, stufata o cucinata alla griglia sotto forma di brochettes speziate o di mechoui, nei giorni di festa, il montone cotto in un enorme forno di argilla. Anche le zuppe rappresentano un vanto locale, dalla harira marocchina alle chorba d’impronta ottomana, ricche di legumi e spezie. L’arte del ricevere passa comunque attraverso il tè, che apre e chiude ogni raduno amicale e familiare, sempre aromatizzato con qualcosa, in osservanza al proverbio berbero che recita: ”Un tè senza la menta è come una notte senza la luna”. TORNIAMO AL COUSCOUS Il couscous è il piatto delle feste della tradizione maghrebina. Da molti considerato come il piatto più diffuso del Maghreb, si tratta in realtà di un cibo rituale che accompagna i momenti importanti: dal venerdì, giorno di festa nel mondo islamico, ai banchetti che celebrano le nascite, le circoncisioni o i matrimoni. Esistono centinaia di versioni di questo piatto unico a base di semola di grano duro o d’orzo, cotto a vapore e servito con carni, legumi o verdure stufate in un denso bouillon aromatico, ricco di spezie. Ogni Regione e stagione vanta una sua ricetta esclusiva. Secondo Bargache il nome del piatto, deriverebbe dal suono che i braccialetti metallici delle donne emettevano quando “incocciavano” la semola: kes kes kes… che con una traslitterazione i francesi trasformarono in couscous.

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novità a catalogo

FILIERA PUGLIESE Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

NOVITÀ

Il primo passo verso il mondo dellla Pasta abbiamo deciso di farlo con un partner di fiducia: I Contadini 3 minuti di lettura

PROGETTO PASTA E’ risaputo che la Puglia sia il “granaio d’Italia”. Potevamo forse partire da un’altra regione per dare inizio al nostro progetto di selezione legato alla pasta secca? Ci eravamo proposti di partire nell’ultimo trimestre del 2020, tuttavia la situazione sanitaria e di mercato non ci permetteva di presentare il progetto come avremmo voluto. Ora ci dovremmo essere, certo, è solo un inizio. Procederemo per gradi, con il nostro stile e la nostra identità, ora vi posso solo anticipare che sono già in cantiere altri approfondimenti sul tema pasta secca e vi verranno raccontati dopo l’estate. La pasta è uno dei pilastri della gastronomia italiana e pensiamo si coniughi naturalmente con la nostra selezione di prodotti. Cercheremo di presentarvi già in questo numero le infinite possibilità creative che una pasta può offrire, a seconda del formato, del profilo gustativo e dell’origine. GRANO DURO PUGLIESE Cominciamo dalla Puglia quindi, da una filiera produttiva che già conosciamo bene. Stiamo parlando de I Contadini, vi avevo anticipato nel primo numero dell’anno che altre sorprese sarebbero presto arrivate. E’ un’iniziativa ambiziosa, che si pone l’obiettivo di far arrivare sulle nostre tavole una pasta di filiera corta, prodotta con i sacri crismi. Intendiamoci. I fratelli Trentin si occupano di coltivare grano duro pugliese nei loro campi, con un approccio attento alla terra, al cereale e al contesto.

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ORECCHIETTE 500 G La pasta più rappresentativa della Puglia, da provare nel classico abbinamento con le cime di rapa ma non solo cod 98407 | box da 10 x 500 g

MACCHERONI 500 G I “minchiareddi”, se fatti in casa, si arrotolano uno a uno con l’aiuto di uno spiedo in legno. Da provare con il Pesto di Pomodori Secchi. cod 98405 | box da 10 x 500 g

MARITATI 500 G Si narra che, nei matrimoni, la nonna dello sposo preparasse i maccheroni e quella della sposa le orecchiette: uniti nel pranzo nuziale diventavano “i maritati” cod 98406 | box da 10 x 500 g

FOGLIE 500 G Pasta dalla forma che ricorda le foglie dell’ulivo, in omaggio al tradizionale albero secolare. Perfetta con il Pesto dei Contadini cod 98404 | box da 10 x 500 g


LA MOLITURA Il grano viene molito in un mulino salentino, solo prima di andare in produzione, in modo da preservarne tutte le caratteristiche nutrizionali e organolettiche.

100%

semola di grano duro pugliese

48

ore di essicazione a bassa temperatura

CALAMARATA 250 G Calamarata rustica, ruvida e grossolana, perfetta per sughi di pesce, da provare con il Sugo al Tonnetto cod 98400 | box da 10 x 250 g

CASERECCE 250 G Una pasta dalla forma “arricciata” e dalla superficie delicatamente porosa, che raccoglie ogni condimento, esaltandone il sapore cod 98401 | box da 10 x 250 g

SAGNE TORTE 250 G In Salento le “sagne ncannulate” vengono arrotolate a mano una per una dalle donne. Perfette con il pomodoro e il cacioricotta cod 98402 | box da 10 x 250 g

TRIA 250 G Nella cucina tradizionale salentina, c’è un piatto che non può mai mancare: la tria. Perfetta con i ceci, per un piatto completo cod 98403 | box da 10 x 250 g

Rispetto alla maggior parte delle semole presenti sul mercato, il tipo di molitura adottata dal mulino, consente di conservare anche una parte del cruschello, e di ottenere quindi una semola che si caratterizza per un colore più scuro e quindi meno raffinata. IL LABORATORIO E L’ESSICAZIONE La produzione della pasta avviene infine in un laboratorio pastaio piccolissimo, dove lavorano poche persone. Tutte le operazioni sono eseguite manualmente, il prodotto viene prelevato all’uscita dalle trafile (in bronzo per alcuni formati, in teflon per altri, per scelta) e viene appoggiato sui telai di essiccazione che vengono poi inseriti negli essiccatori statici per più di 48 ore di essiccazione a bassa temperatura. Alcuni formati come la Tria e le Sagne Torte vengono addirittura rifiniti a mano prima di andare in essicazione. Questo tempo prolungato e la bassa temperatura conferiscono alla pasta le sue particolari caratteristiche: ruvidità, consistenza, gusto e tenuta in cottura. PACKAGING E FORMATI Anche il confezionamento è molto curato: è eseguito manualmente con un packaging innovativo e unico sul mercato che consente di rendere integralmente visibile il prodotto, di comunicarne tutte le caratteristiche peculiari e di avere una confezione stabile sullo scaffale, facilitando l’esposizione. La scelta dei formati parla una lingua molto chiara, il pugliese. Le orecchiette, i maritati, le sagne torte, la tria, ci ricollegano immediatamente alla tradizione pugliese: formati di pasta che spesso, in Salento, vengono prodotti in casa a mano, ma che con questo progetto possono facilmente viaggiare per essere abbinati a diversi ingredienti anche nelle nostre case. Come? Nella presentazione dei vari formati cerchiamo di darvi alcuni suggerimenti di utilizzo, tenete a bada l’acquolina!

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novità a catalogo

LA BURRATA DI BUFALA Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

Alla Mozzarella di latte bufala si aggiungono anche Burrata e Stracciatella: due novità prodotte con il latte della bufale allevate in Maremma 3 minuti di lettura

La Toscana non è propriamente nota per le produzioni di mozzarella, ma la gastronomia non ha confini! Lì dove c’è qualità andiamo senza remore. Abbiamo iniziato a conoscere la mozzarella con latte di bufala de La Maremmana circa un anno fa, è stata una scommessa per vari motivi, ma siamo felici di averla fatta. LA MAREMMANA Per chi non la conoscesse possiamo dire che si tratta di un prodotto a latte crudo, fatto esclusivamente con il latte delle bufale di proprietà (400 capi, di cui 150 circa

NOVITÀ

in lattazione), tutta la filiera è contenuta in azienda, ma non solo. Guido Pallini, titolare dell’azienda, è un ragazzo giovane, che ha sulle spalle anni di esperienza nel settore economico finanziario e che ha deciso di dare un’impronta sostenibile alle produzioni casearie, all’insegna dell’economia circolare. Ad esempio nei terreni di proprietà vengono prodotti i foraggi per gli animali, i cui reflui vengono usati per alimentare un impianto a biogas, insieme a scarti di lavorazione e siero. A sua volta ciò che viene espulso dall’impianto, chiamato “digestato”, viene usato per fertilizzare i campi.

NOVITÀ

BURRATA DI LATTE DI BUFALA LA MAREMMANA

STRACCIATELLA DI LATTE DI BUFALA LA MAREMMANA

Burrata prodotta con latte di bufalino crudo, dal cuore molto morbido composto da sfilacci di mozzarella e un’aggiunta di panna vaccina. La pasta è bianca e lucida, dal sapore dolce e bilanciato. Si percepiscono note di yogurt e muschio addentando la sfoglia, tipica caratteristica conferita del latte bufalino

Dolcissima stracciatella a base di panna vaccina e sfilacci di mozzarella di latte di bufala. Lucida e brillante all’aspetto, la dolcezza e cedevolezza della panna ben si sposa con l’irregolarità degli sfilacci che rimandano a note di latte bufalino, rendendo particolarmente gradevole l’assaggio

cod 21084 | peso 125 g cod 21085 | secchiello 8 x 125 g (on reservation)

cod 21083 | peso 250 g


L’EVOLUZIONE DEL PROGETTO Guido è una ragazzo a cui piace sviluppare progetti nuovi e che si mette in discussione facilmente, questo per un produttore è un grande pregio. Dopo aver assaggiato per la prima volta la sua Burrata di Bufala a ottobre, gli abbiamo sollevato una serie di

MOZZARELLA DI LATTE DI BUFALA - LA MAREMMANA Mozzarella prodotta con latte bufalino crudo ottenuto dalle bufale di proprietà allevate in Maremma, dal sapore dolce e molto pulito cod 21080 | peso 200 g

BOCCONCINI DI LATTE DI BUFALA - LA MAREMMANA Bocconcini di latte di bufala, dal gusto dolce e delicato, privo di note animali e con intense sensazioni lattiche cod 21081 | peso 250 g (10 bocconcini x 25 g)

osservazioni che a nostro avviso avrebbero potuto migliorare il prodotto. Lui ci ha ascoltato, ha incassato e ha incominciato a lavorarci. In primis lo spessore del guscio di mozzarella risultava disomogeneo, da 1 cm di spessore a pochi mm in alcuni punti, poi la stracciatella era sbriciolata con un cutter e al morso si sentiva nettamente una durezza, oltre a percepirsi a vista un approccio poco artigianale. Infine il tipo di panna aggiunta necessitava di un cambio di tono, bisognava salire di qualità perché a naso i sentori erano quelli della panna da cucina. Abbiamo iniziato così un percorso di “prova e correggi”, fatto di diversi assaggi e feedback continui che ci ha portati per passi successivi fino alla fine di marzo, quando ci siamo detti: ora ci siamo! E siamo soddisfatti di aver fatto questo percorso di sviluppo insieme al produttore. LA BURRATA DI BUFALA Vi presentiamo quindi oggi la burrata di bufala da 125 g de La Maremmana, un formaggio fatto con latte di bufala crudo dell’azienda agricola di proprietà e con l’aggiunta di panna vaccina per la stracciatella. In questi anni abbiamo assaggiato diverse campionature di burrata di bufala da diversi produttori, ma abbiamo sempre incontrato formaggi forzati, costruiti, che mancavano di identità e qualità, con panna rappresa o stracciatella inesistente. La burrata de La Maremmana invece di personalità ne ha da vendere, innanzitutto è un formaggio bello da vedere, con una sfoglia bianca e una stracciatella lucida e brillante. Gli sfilacci hanno dimensioni irregolari e regalano al morso quei salti di consistenza che rendono ancor più gradevole il risultato complessivo. Al palato poi il sapore è dolce, ben bilanciato. La panna è giustamente liquida e armonizza i sapori della mozzarella. E’ evidente peraltro il contributo di yogurt e muschio dato dal latte bufalino, soprattutto quando si addenta la sfoglia e qualche pezzo più grande di stracciatella.

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novità a catalogo

IL GHINALDO Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

NOVITÀ

Un Prosciutto di Parma DOP stagionato 16-18 mesi, con la garanzia di qualità firmata Casa Graziano 2 minuti di lettura

GARANZIA “CASA GRAZIANO” Lavoriamo con Casa Graziano da una decina d’anni, li abbiamo conosciuti per la loro proposta altamente qualitativa di Prosciutto di Parma Dop e per i continui passi avanti fatti negli anni per mirare sempre all’eccellenza del prodotto, ma anche del servizio. Ed è proprio nell’ottica del servizio che abbiamo deciso di aggiungere a catalogo il loro Prosciutto di Parma DOP Ghinaldo 16-18 mesi.

PROSCIUTTO DI PARMA DOP “GHINALDO” Prosciutto di Parma DOP stagionato 16-18 mesi. Viene prodotto da Casa Graziano con cosce di suini nazionali del circuito Parma-San Daniele, da allevamenti selezionati. La salatura è manuale e la stagionatura naturale, “all’aria”, aprendo le finestre dei locali di stagionatura come un tempo. Una curiosità: Ghinaldo, termine che indica una persona tenace e forte, era il soprannome del nonno di Graziano, riportato in foto in etichetta cod 79157 | addobbo da 7 kg circa cod 79154 | pressato da 7 kg circa disponibile anche con osso cod 79153, da 9 kg circa, solo su prenotazione

MATERIA PRIMA E CALIBRO Si tratta di una coscia di dimensione più piccola - si parte da un calibro 9, 9+ con osso - rispetto a quelle che vediamo nelle alte stagionature, che assicura quindi una percentuale di grasso inferiore rispetto alla media e una resa più alta in lavorazione. Tuttavia non dobbiamo pensare sia un prodotto di seconda scelta, la materia prima proviene dagli stessi allevamenti e viene sottoposta alla stessa cura, allo stesso trattamento dei prosciutti che già conosciamo.

PERCHÈ IL GHINALDO La mano di Casa Graziano si riconosce, ci siamo immaginati che questo prodotto possa essere una buona soluzione per chi ha bisogno di concretezza e praticità, senza rinunciare alla qualità. Inoltre anche chi ha affettatrici a lama piccola, inferiore a 30 cm, trova in questo prosciutto dimensioni più compatte e più facili da gestire a taglio. Tenete presente che il disossato pesa circa 7 kg contro i 9 kg dei prodotti più stagionati. Il colore della fetta è omogeneo e di un prosciutto ben stagionato, poche le infiltrazioni di grasso. AL PALATO E IN CUCINA Il Ghinaldo è un prosciutto di tutto rispetto anche al palato, nonostante la massa grassa sia contenuta, la carne ha una buona dolcezza, solubilità e persistenza. Inoltre non riporta sentori sgradevoli di rancido o carne fresca (meglio conosciuto dalle nostre parti con il termine “maialino”). Ideale per la farcitura di panini e tramezzini, per essere utilizzato sulla pizza o altre preparazioni in cucina.


RICOTTA PER TUTTI Abbiamo completato la nostra gamma di ricotta fresca, in vari formati, per soddisfare tutte le esigenze: dalle farciture ai dessert 2 minuti di lettura

CAP RA

VAC

NUOVO FORMATO

CA

RICOTTA DI CAPRA “QUALITÀ ORO” NOVITÀ

RICOTTA PICCOLA “QUALITÀ ORO”

BU

F

AL

Ricotta fresca prodotta dal Caseificio Castellan con latte vaccino 100% veneto, dalla consistenza soffice e con i fiocchi tipici della lavorazione tradizionale per affioramento. Ottima al naturale, si presta anche come ripieno di paste fresche o nei dolci cod 20849 | confezione da 300 g

Un nuovo formato per la ricotta di capra prodotta dal Caseificio Castellan con siero e latte di capra 100% di origine veneta. Dolce e delicata, con lievi sentori ircini appena percettibili, è ottima al naturale e come ripieno di paste fresche, torte salate e dolci cod 20841 | confezione da 300 g

A

P E CO

RA

RICOTTA DI LATTE DI BUFALA FIOR DI RICOTTA DI PECORA Ricotta ovina dal gusto delicato, prodotta in Maremma con siero di latte e latte ovino di provenienza 100% italiana. Ottima in pasticceria per preparare creme di ricotta, deliziosa nella pastiera napoletana cod 31353 | confezione da 250 g

Ricotta morbida e delicata, prodotta da Borgoluce con il siero di latte di bufala ottenuto dalla lavorazione della mozzarella. Perfetta nella preparazione di dolci al cucchiaio. Deliziosa anche in versione salata, farcita con pesto di basilico e pomodorini confit cod 21065 | box da 3 x 280 g


dietro le quinte

FORMAZIONE@VALSANA Chi, cosa, come, quando, dove e perchè: i nostri appuntamenti di formazione in 6 punti Martina Iseppon Responsabile Marketing

3 minuti di lettura

La conoscenza dei prodotti e la capacità di raccontarli da diverse prospettive è un aspetto fondamentale su cui chiediamo ai nostri commerciali di investire tempo e risorse. E su cui investiamo anche noi, allo stesso modo, come azienda. Per questo motivo, da un paio d'anni, abbiamo avviato un programma di incontri di formazione dedicati alla rete vendita, ma non solo, per cercare di sviluppare assieme la conoscenza dei prodotti, da varie prospettive.

9.543 minuti passati su zoom da aprile 2020

14 gli appuntamenti di formazione per il 2021

2.500 prodotti in assortimento "da studiare"

☛ PERCHÈ 1

"Più un cliente è preparato, più apprezza il valore della nostra selezione": è questo quello che raccontiamo ai ragazzi che iniziano a lavorare con noi quando facciamo i primi incontri di presentazione e di inserimento. Confrontarsi con clienti preparati è d'altra parte una bella sfida: richiede a chi lavora con noi la capacità di mettersi a studiare un catalogo impegnativo, con oltre 2.500 referenze, ciascuna delle quali ha una storia da raccontare, fatta di territorio, persone, tecniche, tradizioni, ricette, abbinamenti, contaminazioni storiche e culturali, dinamiche di mercato. Un po' l'approccio che cerchiamo di avere in questo magazine, dove ogni rubrica si propone di dedicare uno spazio alle diverse sfaccettature del mondo affascinante della gastronomia.

☛ QUANDO 2

Abbiamo iniziato un paio di anni fa con degli incontri in sede dedicati ai nuovi agenti, ma anche alcuni "dei vecchi" hanno iniziato a chiedere di partecipare, per avere la possibilità di "ripassare" e riassaggiare alcuni prodotti. Abbiamo così un po' per volta aperto gli appuntamenti a tutta la rete vendita e anche

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ai collaboratori internie siamo arrivati ad avere un programma di formazione che prevede circa un appuntamento al mese, di un paio d'ore, dedicato di volta in volta all'approfondimento di uno specifico argomento.

☛ DOVE 3

Almeno un paio di volte l'anno cerchiamo di portare la nostra rete vendita in visita presso i produttori. La trasferta estiva, che solitamente prevede un paio di giornate di visita fuori regione, è sempre molto gettonata, e non possiamo nasconderlo, è anche sempre molto divertente. In questi anni siamo stati in Puglia, da I Contadini e da Santoro, in Piemonte da Cascina Oschiena e da Fiandino e andando indietro negli anni in Toscana da Il Fiorino, Cugusi e Lischeto, in Lombardia da Carozzi e Val Gerola, a vedere la produzione dello Storico Ribelle (una "gita" memorabile che è diventata una leggenda in azienda). Lo scorso anno, per cause di forza maggiore, siamo dovuti rimanere in zona, ma siamo comunque riusciti ad organizzare due appuntamenti interessanti: la visita presso Le Capanne, a vedere l'allevamento delle Limousine, e presso il Panificio Follador, per una degustazione di focacce e panciotti. La maggior parte degli incontri sono organizzati tuttavia in sede da noi, qualche volta invitando i produttori a partecipare: quando abbiamo iniziato a progettare la nuova sede, ci siamo subito immaginati una sala degustazione dedicata agli appuntamenti di formazione. Poi è arrivato il Covid e abbiamo dovuto rivedere i nostri programmi, come è successo un po' per tutti. In compenso abbiamo imparato a gestire gli appuntamenti di formazione prima con Zoom e poi in modalità mista, con un po' di persone in presenza e un po' di persone a distanza.


☛ COME 4

E' Alessandro De Conto, nostro responsabile commerciale, a programmare e gestire gli incontri di formazione, a volte con il supporto di Giorgia Barbaresco, responsabile qualità, per gli aspetti più tecnici. Solitamente si parte con la storia, per passare poi alla presentazione del produttore, del suo territorio e delle sue specificità, e arrivare alla descrizione delle caratteristiche del prodotto e dei suoi elementi distintivi. E, ovviamente, è sempre prevista anche una parte di degustazione: anche se da remoto, non possiamo rinunciare agli assaggi, motivo per cui ogni volta viene spedita una campionatura di assaggio a tutti i nostri venditori che si iscrivono alla formazione.

☛ COSA 5

I temi che vengono affrontati negli appuntamenti di formazione sono i più svariati: si va dalla presentazione di un produttore, come è stato ad esempio l'incontro con Eggemoa. Oppure una degustazione a confronto tra diversi prodotti di una stessa linea, per capire la profondità della nostra selezione e le differenze tra i diversi prodotti in assortimento: lo abbiamo fatto ad esempio con i prosciutti cotti, con le mortadelle, con i formaggi erborinati o con quelli a crosta lavata (quest'ultimo in collaborazione con l'Onaf); in questo caso a volte ci divertiamo organizzando degli assaggi alla cieca, in cui il nome del prodotto viene dichiarato solo alla fine della degustazione. Ma ci sono anche degli incontri più tecnici, come è stato quello della settimana scorsa, condotto da Giorgia e dedicato ai principali difetti: quali sono, come riconoscerli e gestirli. In questo caso l'assaggio è stato un po' meno piacevole del solito!!

☛ CHI 6

Il mezzo bicchiere pieno degli incontri di formazione su Zoom è che ci hanno permesso di coinvolgere sistematicamente tutta la rete vendita, anche quella più distante, che solitamente era esclusa dalla maggior parte degli appuntamenti. Ora con l'invio delle campionature e gli incontri in modalità mista, anche loro sono sempre dei nostri. Ma non sono solo gli agenti "distanti" le persone che siamo riusciti solo più di recente a coinvolgere nella formazione. Da un paio di mesi abbiamo iniziato a invitare agli incontri anche i ragazzi che lavorano con noi in magazzino. L'obiettivo è che tutte le persone coinvolte nel processo di vendita, da chi inserisce l'ordine a chi lo prepara fisicamente, siano in grado di conoscere i prodotti che abbiamo in assortimento e soprattutto di riconoscere e intercettare eventuali difetti. E, prossimamente, speriamo di riuscire ad allargare ancora di più il nostro pubblico, programmando un calendario di appuntamenti aperti anche ai nostri clienti. Per quest'anno magari potremmo provare con un webinar... stay tuned!

Alessandro & Giorgia sono loro i "depositari della conoscenza sui prodotti" in Valsana. O, meglio, i "sapiens" come li chiamiamo scherzosamente ;-) Grazie a loro siamo riusciti ad attuare un bel calendario di formazione per la nostra rete vendita e non solo..


abbinamenti a 4 mani

LA COLLINA DELLE OLIVE Battisti cantava quella dei ciliegi di collina, ma per una vita luminosa e più fragrante noi andiamo su quella delle olive, in Basilicata

ti n e m a n i Abb piatto nel CANESTRATO DI MOLITERNO IGP Come originali sono le olive altrettanto lo è il Canestrato di Moliterno, quello vero, quello IGP. Noterete all’assaggio come questi due compaesani parlino lo stesso dialetto. Due gusti decisi che raccontano un terroir e che vi chiedono giusto un minimo di umidità vinicola per coesistere felici, per quest’ultima parte però lascio decidere a Enrico.

4 minuti di lettura

ti n e am n i b Ab calice nel

OLIVA INFORNATA DI FERRANDINA

AGLIANICO DEL VULTURE ROSATO DOC | Basilicata Olive al forno lavorate artigianalmente partendo da olive mature esclusivamente di varietà Majatica. Il risultato è un’oliva nera e grinzosa, con un intenso profumo e con gusto leggermente sapido pur mantenendo la dolcezza caratteristica della Majatica arricchito da note di liquirizia.

L’abbinamento regionale è una mia fissazione ma sono convinto che spesso andare lontano serva solo per tornare al punto di partenza. Vero che in questo caso il vitigno può spaventare, ma non fermiamoci alle prime apparenze. L’Aglianico, in versione rosata, diventa più accessibile e poliedrico. Lo sento affine all’oliva infornata per il suo carattere fumoso, la vena sapida proveniente dai terreni vulcanici in cui cresce e per la morbidezza necessaria a smorzare le spigolosità dell’oliva.

Oggi i produttori sono rimasti in pochi e non tutte le infornate sul mercato sono di Majatica come vuole la tradizione: ecco perché l’Oliva Infornata di Ferrandina è oggi tutelata dal Presìdio Slow Food. Oroverde Lucano è uno dei produttori del presidio: seleziona manualmente le olive da infornare e le lavora in modo artigianale secondo l’antichissima ricetta della tradizione ferrandinese. codice 93479 | peso 250 g VALSANA | 24


80% è la parte della collina Materana coltivata solo ad olive, con la Majatica come cultivar più diffusa. Per la produzione delle Olive infornate di Ferrandina la Majatica è l’unica cultivar ammessa proprio perché storicamente è la più adatta grazie alla sua molta polpa e poco nocciolo. La lavorazione avviene così: si parte con una scottatura in acqua a 90°C per pochi minuti per togliere l’amaro, poi sale a secco per un paio di giorni. A seguire le olive semidisidratate sono poste su graticci per la messa in essiccatoio a 50°C fino a completamento della “cottura”. Questa tecnica permette all’oliva di accentuare il gusto, mantenendo allo stesso tempo le note delicate della Majatica.

Matteo De Santi Export Manager

FINOCCHIO

FAI UN BATTUTO

PASTA FREDDA BENTORNATA

Onora il sole e le stagioni. Il tempismo è sempre decisivo e la natura è sempre la prima a ricordarcelo restituendoci un valore in gusto insostituibile. Siamo diventati impazienti, spesso avari con la natura e non senza pagare un prezzo. Ma proviamo a ripartire col finocchio visto che è il suo momento. Tagliatelo fino, tipo carpaccio, e scottatelo solo con succo di limone per due minuti contati, giusto il tempo di ingentilirlo. Raffreddato, unitelo a fragole, noci, menta, miele e ovviamente le olive. Lo sentite adesso il sole sulla faccia?

Avete una ciotolina di olive di Ferrandina e le volete impreziosire? Bene, tagliate a julienne un paio di strisce di scorza d’arancia evitando la parte bianca. Fate un trito al coltello di capperi, aglio e alloro, percentuali a piacere. Aggiungete scorza e trito ad un’emulsione di succo di limone e olio d’oliva serio. Cospargete il composto sulle olive e buon aperitivo!

Partite ordinando per voi stessi un chilo e mezzo di pazienza, una volta ottenuta mettetevi a denocciolare le olive una per una. Se vi avanza ancora un po’ di pazienza passate al coltello o ancora meglio al mortaio: olive, aglio, pinoli (tostati è meglio), basilico, prezzemolo e peperoncino, sale pochissimo. Condite la pasta fredda aiutandovi con olio d’oliva per incorporare il tutto. Se non vi sentite pronti per la pasta fredda potete provare così: quando la pasta ha quasi raggiunto la cottura finite di cuocerla risottandola in padella, aiutandovi con l’acqua di cottura. Io devo ammettere che in entrambe le versioni mi sono concesso qualche goccia di colatura di alici, ci stava bene!

Non vi nascondo che all’inizio l’abbinamento con questo prodotto tanto intenso di gusto quanto difficile da reperire mi ha un po’ spaventato. Tuttavia dopo un sacchetto di olive in compagnia, le idee sono uscite: qui sotto ve ne propongo un riassunto. Buon viaggio!!

Enrico De Conto Acquisti Formaggi

ABRUZZO PECORINO DOC

RIESLING TROCKEN

RUSTY NAIL

Abruzzo

Germania

Cocktail

In questo caso invece cerchiamo di guardare le cose da un altro punto di vista, cercando però di tenere la morbidezza come guida: l’oliva in bocca è spiccatamente sapida e necessita di essere tenuta a freno. I sentori balsamici e di macchia mediterranea poi accompagneranno in maniera armoniosa l’oliva. Mi immagino bene questo vino in abbinamento alla pasta fredda proposta da Matteo, qualcuno non avrà mica voglia d’estate?

Spero di non far venire i capelli dritti a qualcuno, ma ho pensato a questo abbinamento subito, prima di tutti gli altri. Dopo una prima masticazione, l’oliva sprigiona aromi idrocarburici, e quale miglior compagno se non un Riesling della Mosella per enfatizzare questi sentori? L’untuosità e la sapidità dell’oliva verranno controbilanciate dall’acidità e dalla morbidezza che solitamente caratterizza questi vini. Azzarderei anche l’accoppiata con versioni con un lieve residuo zuccherino.

Come di consueto ho chiesto aiuto a Stefano per un suggerimento dalle alte gradazioni e in questa puntata ha deciso di portarmi in Scozia. Cocktail a base di Whisky Scozzese e Drambuie, troverà un matrimonio felice con l’oliva infornata per il suo gusto rotondo e intenso, gli aromi di spezie e miele. Compatibile sia per l’aperitivo che per il dopocena, così come l’oliva. Ah, quasi dimenticavo, torbatura o meno a piacere, e ricordatevi il ghiaccio!

ALTRO IN CANTINA?

Siccome l’abbinamento con l’oliva infornata penso possa suscitare più di un dibattito, sono certo che i vini qui sopra suggeriti possano non convincervi. In linea di massima cercherei comunque vini dotati di buona morbidezza, con una discreta spalla acida e perché no, un lieve residuo zuccherino.


l’italia è servita

ALLA RICERCA DELLA CARBONARA Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova

Guanciale o pancetta? Pecorino o Parmigiano? Panna sì o panna no? Una ricerca sulle prime testimonianze storiche di una ricetta che appartiene alla tradizione 3 minuti di lettura

Prima Congettura Partiamo da un dato: non esiste nessuna attestazione del piatto, di supposta origine romanesca, prima della Seconda Guerra Mondiale, in alcun ricettario a stampa.

Le Origini Capita spesso di cercare le origini di un piatto o, perlomeno, di attribuirne a qualcuno la creazione. Oggi si va facile: tutti sappiamo che si deve a Massimiliano Alajmo il “Cappuccino di seppie al nero” o il “Raviolo aperto” a Gualtiero Marchesi. Ci aveva provato nel 1548 Ortensio Lando, inventando gli “inventori” di certi piatti: “Meluzza Comasca fu l’inventrice di mangiar lasagne, macheroni con l’aglio, spezie e cacio…”. Ma se oggi è abbastanza semplice per i piatti d’autore, i capolavori, chefs-d’œuvre, di chef a la page, più difficile per i piatti popolari tipo risotto alla sbiraglia…o seppie in umido. Appartengono si dice alla “tradizione”. Un caso particolare, che ha acceso gli animi e i… palati investigativi sono gli spaghetti alla carbonara. È quel carbonara che ha intrigato i nostri Indiana Jones gastronomici.

La prima ipotesi fa capo all’arrivo delle truppe di liberazione americane in Italia. Si dice che, causa la penuria alimentare, venivano distribuite alla popolazione civile affamata razioni militari, tipo razione K, che contenevano uova in polvere e bacon (pancetta affumicata). A qualcuno - domanda destinata a non avere risposta - venne l’idea di condire la pasta con questi due ingredienti. Il nome: una semplice antifrasi, cioè è talmente diffusa che non ha niente di carbonaro, di nascosto.

Seconda Congettura Questa seconda ipotesi, molto più lineare, ci racconta che la carbonara verrebbe dal pasto tipico di legnaioli e carbonai della Ciociaria e dell’Abruzzo, i quali mescolavano alla pasta uova, lardo e pecorino. Gli sfollati da Roma verso le montagne avrebbero appreso questo piatto e dopo la liberazione lo avrebbero diffuso in città. Non più la città all’origine ma la montagna, per palati, quelli borghesi, abituati ad altre finezze. Piatto simile ai maccheroni, conditi con uova e lardo fritto di stampo napoletano o, con lo stesso condimento, agli stringozzi abruzzesi.

Terza Congettura Questa è un po’ più debole e non regge più di tanto. Si tratterebbe in realtà di un piatto molto diffuso e tradizionale, di famiglia o di osteria, che, come un po’ tutta la cucina romana, non aveva stampa. Luigi Carnacina sosteneva di averla vista nascere quando lavorava nelle trattorie romane. Ma autori di peso, proprio sulla cucina romana, Adolfo Gianquinto e Ada Boni (Talismano della felicità) non ne fanno cenno.

La copertina del numero di Agosto 1954 di La Cucina Italiana

Perché alla carbonara? VALSANA | 26

Rimangono le prime due piste, ricordando, di passaggio, che l’aggettivo carbonara, veniva applicata ad esempio alla polenta.


La Ricetta

Spaghetti alla Carbonara “Il grande libro della cucina” Carlo Santi e Rosino Brera Roma, 1966 Per 4 persone: 500 grammi di spaghetti, 100 grammi di guanciale, 50 grammi di burro, 4 tuorli d’uova, sale, pepe, 50 grammi di pecorino grattugiato. Fate soffriggere il burro e il guanciale tagliato a dadino, fino a quando sarà ben tostato. Cuocete in abbondante acqua salata gli spaghetti, scolateli al dente, versateli in una zuppiera e conditeli con il burro e il guanciale, mescolando accuratamente. Suddividete la pasta in quattro fondine, pepate abbondantemente e lasciate cadere nel centro un tuorlo d’uovo. Mescolate rapidamente e condite con il pecorino grattugiato.

La prima attestazione certa Una prima attestazione certa la troviamo nel numero di agosto del 1954 de “La Cucina Italiana”. Poi, a seguire, altre attestazioni in diversi ricettari, con disparati ingredienti: maccheroni e non spaghetti, pancetta e non guanciale, formaggio parmigiano e non pecorino… ma troviamo anche la margarina, il burro e la panna, il pepe in abbondanza. E questo è terreno fertile per i puristi… della serie guai sostituire il guanciale con la pancetta! “Orrore” direbbe Gianpiero Mughini!

Insomma, è un piatto che caratterizza gli anni Cinquanta, dell’Italia di Carosello e di San Remo. Comunque sia… è un piatto di sostanza, dai sapori forti… e di sicuro, buono.

La sacra Triade E’ quasi comico notare che, prima degli anni duemila, l’unica ricetta che si attiene strettamente alla presenza della triade guanciale-pecorino-uova, senza possibilità di varianti - la stessa che oggi viene proposta da molte parti come la carbonara “originale” è quella che appartiene al SantiBrera del 1966.

Il Prodotto

La ricetta pubblicata nel numero di Agosto 1954 di La Cucina Italiana

GUANCIALE AL PEPE codice 78218 - peso 1,8 kg circa

La consacrazione a ricetta nazionale Riportiamo anche la ricetta tratta da “Il Carnacina” a cura di Luigi Veronelli, Milano 1961, che non rispetta del tutto la presunta origine. Secondo Arthur Le Caisne “fare la carbonara con panna e pancetta è come fare la pizza con l’Emmental o il Gruyére: un’eresia!” Spaghetti alla carbonara [per sei persone]: 600 g spaghetti, 150 g guanciale (ganascia di maiale) tagliato a pezzi, una cucchiaiata d’olio, 50 g burro, 4 uova intere, 50 g parmigiano grattugiato, qualche cucchiaiata di panna liquida freschissima e molto cremosa, pepe. Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua bollente, leggermente salata e sgocciolarli al dente. Nel medesimo tempo rosolare il guanciale in un casseruolino con l’olio; battere le uova in una terrina mescolandovi il formaggio, un pizzico di sale, un poco di pepe appena macinato e la panna liquida. Sciogliere in un tegame abbastanza grande il burro; appena prende color nocciola, versare le uova, farle rapprendere leggermente, gettare gli spaghetti e il guanciale; mescolare rapidamente e fare le porzioni immediatamente. È importante avere gli spaghetti cotti nel momento in cui le uova cominciano a rapprendersi.


il prodotto dimenticato

COPPA AL GINEPRO Gianluca Di Lello Export Manager

A ognuno la sua coppa, alla Valle d’Aosta quella al ginepro! Scopriamo insieme uno dei salumi più tipici e rappresentativi della Valle 3 minuti di lettura

In questo numero del magazine, continuando a parlare di prodotti “dimenticati”, lasciamo la Lombardia dove lo scorso numero abbiamo ricordato il Formaggio Tipico Branzi, per spostarci nella regione più piccola d’ Italia, la Valle d’ Aosta. Nonostante il suo territorio sia poco esteso la Vallée ha molto da raccontare riguardo al suo patrimonio gastronomico, oggi infatti parleremo di uno dei suoi salumi più caratteristici in termini di territorio e tradizione: la Coppa al ginepro.

🔎 IDENTIKIT

DELLA COPPA REGIONE: Valle d’Aosta CARNE: suini italiani TAGLIO: capocollo CONCIA: ginepro e altre erbe STAGIONATURA: almeno 3 mesi

L’AZIENDA Ci troviamo nel piccolo comune di Arnad, che tutti noi appassionati di gastronomia conosciamo per la produzione del pregiatissimo Lardo d’Arnad DOP. Qui nel 1957, nonostante i territori rurali fossero ancora afflitti dalle difficoltà caratterizzanti il secondo dopoguerra, Guido Bertolin assieme a sua moglie Osvalda aprì la prima macelleria di paese. L’attività viene prematuramente ereditata dal figlio Rinaldo a causa della scomparsa di Guido, ed è proprio in questa fase, grazie alla dedizione, il lavoro e il periodo storico favorevole, che l’azienda si specializza nella produzione di salumi tipici Valdostani, cresce e diventa un punto di riferimento della norcineria della Valle d’Aosta. Oggi la Maison Bertolin è gestita dalla terza generazione: Guido, Alexandre e la loro mamma Marilena continuano a produrre salumi e a investire nell’azienda di famiglia che oggi produce una vasta gamma di salumi tipici, tra cui proprio la rinomata Coppa al Ginepro. LAVORAZIONE Dopo aver selezionato i tagli di suini da filiera italiana, allevati senza l’utilizzo di antibiotici, i norcini di casa Bertolin rifilano i pezzi con estrema accuratezza e li consegnano alla concia di spezie, che li coccolerà dando loro profumi e aromi capaci di raccontare il territorio. La concia, come si può immaginare, è composta soprattutto da bacche di ginepro

e altre erbe che contribuiscono a donare freschezza al prodotto. Questa fase dura circa 45 giorni prima di passare alla stagionatura che durerà non meno di tre mesi. Il risultato è un salume dolce, morbido e molto profumato. IL GINEPRO Il ginepro è da sempre una delle piante più diffuse nella macchia mediterranea, in Italia è presente sia lungo l’arco alpino che nelle regioni appenniniche. Già in epoca romana l’uso di questa pianta era molto frequente. Le bacche venivano utilizzate per insaporire piatti e pietanze a base di selvaggina, mentre i rami erano spesso utilizzati per affumicare e cucinare allo spiedo, perché capaci di insaporire e profumare le carni. Durante il medioevo grazie alle sue foglie pungenti veniva impiegata come repellente contro le streghe, a quei tempi non era difficile trovare un ramo di ginepro all’entrata delle case o sul tetto delle stalle. Nel corso dei secoli la pianta venne impiegata anche a scopi curativi grazie alle proprietà toniche, digestive, stimolanti, diuretiche e sudorifere: si alimentava il fuoco quando in casa c’era un malato, distribuendo le foglie appena raccolte su piastre incandescenti del camino, così che gli effluvi aromatici e medicamentosi inondassero la stanza. Negli anni questa spezia dalle mille proprietà è stata utilizzata anche per creare bevande: in Olanda nel XVII secolo distillando le bacche venne creato il famosissimo Gin, in Valle d’Aosta si produce un’ottima grappa al ginepro, da non confondere con il loro liquore tipico Genepì, realizzato con l’Artemisia Glacialis. Possiamo affermare che questa spezia fa parte della nostra storia ma anche della nostra quotidianità, non solo della Valle d’Aosta. Ad esempio, chi di voi non ha affogato un sabato sera di quarantena in un bicchiere di Gin Tonic? Non barate!


4 cose da ricordare su questo prodotto 1. PRODUTTORE Maison Bertolin è stata fondata nel 1957 da Guido Bertolin come piccola macelleria di paese, ad Arnad. Con il passare degli anni l’azienda è cresciuta e si è specializzata nella produzione di salumi tipici valdostani. Oggi Masion Bertolin è gestita da Guido e Alexandre, terza generazione della famiglia.

COPPA AL GINEPRO Coppa di suino aromatizzata al ginepro, secondo la tradizione valdostana. La fetta è leggermente schiacciata e presenta un colore rosso intenso, con evidenti venature bianche e una consistenza morbida ma compatta. Al palato è dolce e fresca, al taglio sprigiona un inconfondibile profumo di ginepro che si ritrova anche nell’assaggio

2. IN CUCINA Essendo un prodotto abbastanza profumato e dall’aroma particolare non è molto indicato per le preparazioni in cucina. Utilizzatelo per comporre dei taglieri o in un panino semplice ed estivo: pane casereccio farcito con Coppa al Ginepro, Burrata affumicata e pomodoro insalataro, condite il tutto con un filo di olio extravergine di oliva e les jeux sont faits!!

cod 82515 | peso 1,3 kg circa

4. CURIOSITÀ 3. GEOGRAFIA Situato sulle rive della Dora Baltea, il piccolo e accogliente borgo di Arnad è caratterizzato dalla presenza di case medievali, chiese e il bellissimo Chateau Vallaise. Il borgo è circondato da natura incontaminata, se vi piace passeggiare potete percorrere la via Francigena che attraversa il piccolo comune.

VALSANA | 29

Durante l’ultima settimana di agosto, ad Arnad si tiene la Festa del Lardo d’Arnad DOP. La kermesse è nata più di 50 anni fa e oggi ospita circa 50.000 persone. La festa si svolge in una radura con piccoli chalet in legno, decorati per l’evento con fiori e panni di canapa ricamati. Si svolgono anche dei laboratori del gusto che consentono ai visitatori di approfondire la conoscenza dei prodotti.


notizie da valsana

UN SONDAGGIO Martina Iseppon Responsabile Marketing

Da qualche settimana abbiamo iniziato a raccogliere le vostre opinioni sul nostro servizio: un passo importante, per cercare di migliorare 2 minuti di lettura

Quanto sei soddisfatto dei tempi di consegna? Come valuti la cortesia del personale di Valsana? Consiglieresti Valsana a un amico/collega? Questi sono alcuni dei quesiti che troverete nel questionario: una quindicina di domande in cui vi chiediamo di dare una valutazione al nostro servizio, su diversi aspetti: dalla raccolta dell’ordine, all’imballaggio, al trasporto. In questi mesi difficili per tutti, in cui c’è stato un calo importante del lavoro, abbiamo cercato di sfruttare i “tempi vuoti” per rivedere i nostri processi interni, con l’obiettivo di migliorare il servizio ed essere pronti per ripartire al meglio. Abbiamo riscritto la nostra Politica per la Qualità e ci siamo dati degli obiettivi concreti da raggiungere, che abbiamo iniziato a monitorare attraverso una serie di parametri definiti nel Piano di Miglioramento.

La soddisfazione dei nostri clienti è uno di questi indicatori, che vogliamo monitorare nel tempo, per capire quali sono le criticità su cui dobbiamo lavorare. Per questo motivo ti chiediamo di dedicarci 5-10 minuti del tuo tempo per compilare il questionario e aiutarci a capire quali sono gli aspetti su cui possiamo migliorare. Se sei iscritto alla nostra Newsletter dovresti già aver ricevuto la mail con l’invito a partecipare al questionario, ma puoi compilarlo anche collegandoti al link valsana.link/soddisfazione-clienti oppure inquadrando il QRcode che trovi riportato di seguito, nel fac-simile di cartolina che abbiamo distribuito nei giorni scorsi. In alternativa, puoi richiedere al tuo agente o commerciale di riferimento che ti venga inviato un whatsapp con il link al questionario. Grazie fin d’ora per la tua collaborazione!

SEI SODDISFATTO DEL NOSTRO SERVIZIO? Ti chiediamo di dedicarci 5-10 minuti per rispondere a 15-20 domande. Grazie fin d’ora per il tuo feedback, ci aiuterà a fare meglio.

Per compilare il questionario usa questo link: valsana.link/soddisfazione-clienti


UN PROGETTO Sta prendendo forma Alte Imprese, la Scuola Internazionale dei Formaggi della Montagna e dell’Appennino di cui siamo partner 2 minuti di lettura

LA SCUOLA L’idea della scuola nasce da una duplice riflessione: 1) dalla consapevolezza che malgari e pastori sono “custodi della montagna”: tengono in vita i pascoli, arginando l’espansione dei boschi; favoriscono la reintroduzione di razze locali adatte ai pascoli, garantendo la conservazione della biodiversità e dei paesaggi; 2) dall’aver preso atto che, negli ultimi anni, la professione del “malgaro” sta scomparendo: in tutto l’arco alpino, così come sugli Appennini è difficile trovare persone disposte a fare i pastori o i casari. Allo stesso tempo però la pandemia ha innescato nuove dinamiche: il bisogno di riavvicinarsi alla natura, la volontà di cambiare vita, ritrovando dei ritmi più legati alle stagioni, una riscoperta del patrimonio naturalistico montano. Alte Imprese - Scuola Internazionale del Formaggio di Montagna e dell’Appennino si propone di conciliare questi due trend, aiutando chi vuole cambiare vita a sviluppare un approccio imprenditoriale alla gestione dell’alpeggio, tutelando la montagna e restituendo un riconoscimento sociale alla professione del malgaro e del pastore. IL PROGETTO Il progetto nasce da un’idea di Danilo Gasparini, docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova, che per primo ha proposto la costituzione della Scuola, assieme a Dario Mariotti, giornalista pubblicista, amministratore di Magazzino Alimentare srl, già direttore di ISFOR 2000 – Istituto Superiore di Formazione e ricerca di Brescia. Alle spalle, una rete di partner, tra cui il Comune di Segusino (TV), il

Caseificio Cugusi di Montepulciano (SI) e noi. Il progetto sarà inoltre patrocinato da Veneto Agricoltura. LE MASTERCLASS L’obiettivo è quello di proporre delle masterclass che sappiano innescare una visione imprenditoriale, moderna e multifunzionale della gestione di una malga e delle greggi, coniugando diverse competenze: la conoscenza del pascolo e degli animali, la lavorazione del latte ma anche il quadro normativo, alcune competenze di management e di comunicazione, per raccontare il territorio e i prodotti, il tema dell’accoglienza e la capacità di fare rete, includendo le diverse figure di questa filiera, guardando anche a quello che succede al di fuori dei nostri confini nazionali. I corsi avranno tre componenti: una parte teorica di approfondimento dei contenuti, gestita prevalentemente online; una parte di testimonianze, anche internazionali, coinvolgendo chi questo mestiere lo fa ogni giorno; una parte pratica presso le sedi di alcuni partner per sperimentare la vita in alpeggio. La prima masterclass partirà il 22 giugno: 40 ore di formazione suddivise in 14 appuntamenti serali online - due appuntamenti a settimana, dalle 20 alle 22 e si concluderà a settembre a Segusino (TV) con due giornate in presenza, a numero chiuso, per sperimentare la vita in alpeggio. La segreteria didattica e organizzativa del corso sarà gestita da Magazzino Alimentare srl. Le iscrizioni si chiuderanno il 4 giugno. Per maggiori informazioni: www.alteimprese.it - info@alteimprese.it


la cucina di qb

LE FAVE “L’aspettativa di vita aumenterebbe enormemente se le verdure avessero un odore buono come il bacon.” 3 minuti di lettura

Anna Maria Pellegrino Cuoca e foodblogger

Le ricette di questo numero sono un omaggio ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo: un purè salentino, un’insalata che, dall’entroterra laziale, fa una capatina in Grecia, e una libera interpretazione della Fabada, un piatto asturiano che vede nella presenza della luganega una golosa contaminazione gastronomica. Buon appetito!

UN PO’ DI STORIA

UN LEGUME PER TUTTE LE STAGIONI

Dall’origine incerta, forse proveniente dall’Africa settentrionale o dall’Asia, la Vicia Faba era conosciuta in Cina già nel 3000 a.C. Un legume che fece innamorare anche gli Egizi, i Greci e i Romani che l’apprezzavano perfino cruda, come prelibata primizia primaverile. Le fave divennero così popolari che una delle famiglie più importanti di Roma, quella dei Fabi appunto, pare abbia preso nome proprio da questa pianta. Era molto apprezzata soprattutto tra le classi più povere, grazie al suo carico proteico e nutritivo e al basso costo, ma venne poi soppiantata dal più versatile fagiolo, legume straniero proveniente dai bottini dei conquistatori spagnoli e portoghesi.

In commercio si trovano sia fave fresche, nelle stagioni calde, sia fave secche, durante tutto l’anno. Quelle fresche vengono vendute ancora racchiuse nel loro baccello, di un bel colore verde vivo e lucido, che deve presentarsi intatto, senza macchie vistose e croccante quando viene rotto.

FABA, VICIA FABA La Vicia Faba è una pianta erbacea annuale appartenete alla famiglia delle Papillonaceae, che predilige le temperature fresche e cresce in regioni temperate, motivo per cui ha trovato fortuna nei Pesi cosiddetti mediterranei. Cresce in baccelli lunghi 15-25 cm e, all’interno del baccello, in un comodo strato spugnoso, fa bella mostra di sé. Le fave sono semi grandi, avvolti da uno strato di pelle che può assumere colorazioni diverse e che, a seconda della varietà, può essere verde, rossastro o violaceo. GRAZIE DEI FIOR Il fiore delle fave è molto particolare: reso unico dalle striature nere sui petali bianchi che, secondo una leggenda, sarebbero un mezzo di comunicazione con l’Ade, il mondo dei morti. Nell’Antica Grecia infatti i semi delle fave trasmigravano le anime dei morti mentre per i Romani erano segno di buon auspicio e venivano offerte alle divinità durante le celebrazioni delle calende di luglio. In Francia nel dolce “Galette des Rois” mani amorevoli nascondono una fava nell’impasto e chi la troverà avrà un anno fortunato. Nelle regioni del centro Italia, infine, è considerato segno di fortuna trovare sette semi nel baccello.

Per essere consumata, la fava fresca va sgranata accuratamente dal baccello e poi mondata eliminando il cosiddetto “occhio”, un’escrescenza ben evidente posta a lato del seme. La fava secca, invece, al momento dell’acquisto si può trovare sia con la buccia che ricopre ogni seme, che senza. Quelle sbucciate si distinguono soprattutto per il colore che, in questo caso, è di un giallo molto chiaro quasi tendente al bianco: la differenza sta nel fatto che quelle con la buccia hanno bisogno di un ammollo di almeno 20 ore. I più importanti paesi produttori sono Italia, Germania, Cina e Marocco e le varietà più preziose si trovano facilmente in commercio: la precoce di Acquitania, l’Aguadulce contenente fino a dieci semi mentre l’altrettanto preziosa Siviglia ne contiene solo sei. ALLACCIATE I GREMBIULI Le fave fresche sono molto delicate e si conservano in frigorifero per 2-3 giorni. Vanno sbollentate in acqua salata per 5’, scolate e private della pellicina che le ricopre, e se lo si desidera, congelate per goderne anche durante l’autunno e l’inverno. Danno il meglio di sé negli abbinamenti più semplici, accompagnate da pane e cipolle, salumi e formaggi dove, il classico pecorino romano, è il compagno più consueto. Possono essere consumate come contorno e diventare protagoniste di fresche insalate ma anche in morbidi purè e confortanti zuppe e minestre.


PURE’ DI FAVE La fava, un legume sempre presente nella gastronomia salentina, si fa morbida e piccante nello stesso tempo in un piatto antico da servire con un contorno o, perché no, anche come “merenda” proteica vegetariana, e piatto completo se abbinato a un po’ di pane o focaccia appena sfornati. Se avete tanta fame e poca pazienza la pentola a pressione potrà venirvi in aiuto!

PECORINO DI PIENZA ROSSO codice 31511 | peso 1,3 kg ca

PORTATA: contorno, vegetariano DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 40’ HOME ECONOMIST: tagliere, coltello, tegame, casseruola in coccio o pentola a pressione, passaverdure o mixer e colino INGREDIENTI 700 g fave fresche o congelate (peso sgranato) 300 g patata farinosa o di montagna 50 g Pecorino di Pienza Rosso 150 ml Olio Extravergine di Oliva Scirinda sale pepe nero di mulinello PROCEDIMENTO Lava le fave già sgranate. Porta a ebollizione dell’acqua salata, sbollenta le fave per 5’ ed elimina la pellicola esterna. Lava, sbuccia e taglia a tocchetti regolari le patate. Trasferisci fave e patate nella casseruola di coccio, copri la verdura con acqua fredda, porta a ebollizione, regola di sale e continua la cottura per 30’, a tegame coperto. Passa le verdure cotte nel passaverdura ed emulsiona la purea con un cucchiaio di legno, aggiungendo a filo 100 ml di olio evo. Puoi accelerare i tempi usando la pentola a pressione per la cottura, ti basteranno 15’; usando un frullatore a immersione per emulsionare il tutto l’operazione sarà velocissima. Regola di sale e servi il purè di fave con un filo di olio evo, pepe nero macinato al momento e abbondante pecorino tagliato a lamelle (usa un pelapatate o un affetta tartufi).


VIGNAROLA VEG La vignarola è un piatto tipico del centro Italia e prende il nome dal termine “vignarolo” parola romanesca per indicare l’ortolano. Un piatto che saluta la primavera: un tripudio di primizie che vede nel guanciale il giusto arricchimento. Abbiamo giocato con gli ingredienti sostituendolo con la feta, come fosse un’insalata che ricorda un’isola greca, quella che preferite, dove giocare a fare Ulisse. PORTATA: piatto unico, vegetariano DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 30’ COTTURA: 40’ HOME ECONOMIST: tagliere, coltello, casseruola, colino, tegame antiaderente, ciotole INGREDIENTI 400 g fave fresche sgranate 400 g pisellini freschi sgranati 200 g Feta DOP Papathanasiou 1/2 cespo di lattuga romana 2 carciofi mammole (o 8 carciofi piccoli novelli) 2 cipollotti 2 limoni bio un po’ di prezzemolo tritato, brodo vegetale, olio evo, sale, pepe nero di mulinello

FETA DOP codice 42094 | peso 200 g

PROCEDIMENTO Lava le fave e i piselli già sgranati. Porta a bollore dell’acqua salata e sbollenta i legumi per 5’. Scola, elimina dalle fave la pellicina esterna e metti da parte. Elimina dai carciofi le foglie esterne più coriacee, monda e accorcia il gambo, taglia le punte delle foglie, elimina la barba interna e taglia il carciofo in 8 spicchi. Trasferiscili in una ciotola con acqua fredda acidulata dal succo di un limone e in compagnia del secondo tagliato a spicchi. Monda la lattuga e taglia a julienne le foglie. I cipollotti: a spicchi sottili la parte bianca, a rondelle quella verde. In un’ampia padella scalda un po’ di olio evo e fai appassire i cipollotti, aggiungi le fave, i piselli, i carciofi scolati, fai insaporire e cucina a fuoco moderato per 10’, aggiungendo un mestolo di brodo vegetale o acqua. Aggiungi il prezzemolo tritato. Togli dal fuoco e aggiungi la lattuga, mescolando velocemente così che non appassisca completamente. Regola di sale.

VALSANA | 34

Servi in ampie ciotole o tegami in coccio sbriciolando la feta, profumando con il pepe di mulinello e terminando con un filo di olio evo a crudo.


FABATA TRENTINA

LUGANEGA MEGGIO codice 80118 | 150 g x 2

Le Asturie sono un paradiso naturale tra mare, montagna e campagna, e gli abitanti non sono da meno, sempre pronti ad accogliere turisti curiosi e soprattutto, golosi. La Fabada è un piatto che ogni ristorante che si rispetti saprà offrirvi: un tripudio di carne di maiale, del quale si utilizzano tutte le parti, e legumi. Vi propongo questo stufato in una versione più locale, più leggera, più veloce e ugualmente buona. Come il Trentino. PORTATA: secondo piatto DOSI: per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 40’ HOME ECONOMIST: tagliere, coltello, tegame, casseruola INGREDIENTI 400 g fave fresche sgranate 200 g Luganega Meggio 200 g prosciutto crudo 100 g lardo 100 g pancetta 6 pistilli di zafferano un po’ di peperoncino o paprika forte brodo di pollo sale (poco)

PROCEDIMENTO Lava le fave già sgranate. Porta a bollore dell’acqua salata e sbollenta le fave per 5’, elimina la pellicina esterna e metti da parte. Cubetta il prosciutto e la pancetta, taglia a julienne il lardo. Elimina dalla luganega la pelle e tagliala a tocchetti. In una casseruola ampia e bassa rosola il lardo e la pancetta per qualche minuto, aggiungi il prosciutto e infine la luganega, dorandola per bene. Unisci le fave, profuma con il peperoncino o la paprika, e aggiungi un mestolo di brodo caldo nel quale hai sciolto lo zafferano. Mescola bene, aggiungi altri due mestoli di brodo, porta a bollore e cucina per 30’ a fuoco dolce. Lascia riposare per mezz’ora prima di servire.


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