Selezione di Sapori |2020 02

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A MAR | APR 2020


Editoriale

DALLA QUARESIMA A PASQUETTA Stiamo attraversando un momento storico quasi surreale, tra eventi rinviati, fiere cancellate e locali semivuoti. Le misure precauzionali per il contenimento del contagio da Covid-19, sicuramente necessarie, stanno mettendo a dura prova anche il nostro settore. Proviamo come sempre, per quanto ci riguarda, a vedere il bicchiero mezzo pieno: con lo spostamento di tutte le fiere all’estate abbiamo a disposizione un po’ di settimane per concentrarci su alcuni progetti interni, per cercare di migliorare l’organizzazione della nostra azienda... Ma siamo anche fiduciosi, dopo la Quaresima arrivano sempre Pasqua e Pasquetta! A questo proposito ecco le nostre proposte per questo periodo di penitenza. Partiamo dalla fine, con le ricette di magro di Anna Maria Pellegrino: lo spaghettino con le alici fujite, un’alternativa ai classici bigoi in salsa dei venerdì di Quaresima. Abbiamo poi un paio di proposte che strizzano l’occhio alla Pasqua: la Coscia Cotta di Agnello di Karl Bernardi, declinata in vari abbinamenti e l’Uovo di Capra de LaVialattea, assolutamente irresistibile. Azzeccati per il periodo anche i timballi di Vittorio Castellani, soluzione perfetta per le gite fuori porta di Pasquetta. E nelle uova di Pasqua speriamo di ritrovare tutti un po’ di normalità…

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Elisa Magro, Anna Maria Pellegrino, Elisa Perillo Direttore: Giulia Basso In copertina: Valentina Canò de Lavialattea Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Che cosa ti piacerebbe leggere nel prossimo numero del magazine Selezione di Sapori? Scrivilo a marketing@valsana.it

Martina Iseppon VALSANA | 02


SOMMARIO MARZO | APRILE 2020

Viaggio in Gera d’Adda

LAVIALATTEA

Intervista Doppia

SALUMIFICIO DEI CASTELLI \ MEGGIO

Novità a catalogo

MEGGIOLARO | RISERVA S. MASSIMO | ALTRO 10

A proposito di filiere

LA FILIERA DEL PECORINO

Abbinamenti a quattro mani AGNELLO IN MASCHERA Come si fa

FUORI I COLTELLI

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16

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Letteratura tra i fornelli

PETRONILLA NON È SOLO UNA PENTOLA!

Cibo dal mondo

SI FRA PRESTO A DIRE TIMBALLO

Idee per il menù bambini

GNOCCHI DI RICOTTA DELLA PERI 24

Come si riconosce?

SENZA GLUTINE

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La cucina di qb

LA MANTECATURA

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20

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Viaggio in Gera d’Adda

LAVIALATTEA Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

Raffinati, eleganti, equilibrati: sono i formaggi di Valentina e Roberto. Un altro duro lavoro di selezione per il team di assortimento di Valsana, in trasferta a Brignano Gera d’Adda di Martina Iseppon

NOVITÀ

UOVO DI CAPRA ALLO ZAFFERANO Robiola di capra a forma di uovo che racchiude un soprendente cuore di caprino aromatizzato allo zafferano cod 21215 | vassoio da 6 x 150 g

NOVITÀ

CIALDINA A LA LOUCHE Robiola di capra fresca a latte crudo, di impronta decisamente francese. Il gusto è dolce, la consistenza leggermente allappante, con la maturazione sviluppa una leggera proteolisi cod 21214 | peso 200 g circa

Lei è un vulcano di energia e creatività, lui è preciso e riflessivo: sono Valentina Canò e Roberto Facchetti, compagni nella vita e nel lavoro. In entrambi si completano e si compensano, o almeno questa è la sensazione che provo osservandoli lavorare e chiacchierare, mente ci raccontano la loro avventura. Siamo nella Gera d’Adda, 32 comuni in una lingua di terra tra l’Adda e il Serio, un territorio ricco di fontanili e risorgive, nella pianura bergamasca. Più precisamente siamo a Brignano, in visita al piccolissimo caseificio Lavialattea, dove Roberto e Valentina danno vita, tra affinamenti e aromatizzazioni vari, a più di 130 diversi formaggi. Le basi, prodotte da Roberto, sono circa una trentina di formaggi. Le ricette sono poi ultimate da Valentina, che farcisce e decora queste basi di formaggio con gli ingredienti più inusuali, dai frutti rossi al cioccolato, dai fiori alla verdura candita. Gli abbinamenti sono il parco giochi di Valentina: una passione sicuramente, ma c’è anche tanto talento, creatività, esperienza e formazione. Il banco del loro punto vendita sembra quasi quello di una pasticceria, per forme, colori e ingredienti. Tutto questo in un caseificio davvero piccolissimo, così come lo spaccio. Siamo affascinati. Il team di assortimento di Valsana oggi è quasi al completo: acquisti, qualità, marketing, commerciale e l’immancabile fotografa. L’obiettivo è quello di dare nuova linfa al rapporto con questa bellissima realtà che negli anni abbiamo un po’ perso per strada, limitandoci a vendere uno dei loro prodotti di punta, l’Ol Sciur, un erborinato di capra aromatizzato con piccoli frutti rossi. Un vero peccato, vista la gamma così interessante di formaggi.. Ma siamo qui apposta per rimediare! Ci infiliamo grembiule, cuffia e copriscarpe ed entriamo in caseificio, per assistere a una parte VALSANA | 04

della lavorazione e per farci raccontare per bene la storia della famiglia Facchetti. L’avventura inizia nel 1997: al tempo lavoravano entrambi nell’azienda di famiglia che produceva selvaggina, ma dopo il terzo figlio Roberto decide di cambiare vita: sistema le stalle della cascina di Arcene di proprietà della famiglia di Valentina e inizia ad allevare le capre. In quegli anni Lavialattea era un’azienda agricola con una decina capre, la produzione di formaggi veniva fatta quasi per gioco, per il consumo della famiglia e degli amici. Con un susseguirsi di prove ed errori, Valentina e Roberto imparano sulla loro pelle a lavorare il latte di capra. Seguono un corso per tecnici casari a Bergamo, poi decidono di comprare una quarantina capre da un allevamento in Francia e così la passione diventa un vero e proprio lavoro. Al tempo la produzione di caprini in Italia era praticamente inesistente, se si esclude Roccaverano - racconta Valentina - tanto che si ritrovano a dover acquistare in Francia anche le griglie e gli stampi, perchè 22 anni fa, in Italia, non se ne trovavano di adatti alla lavorazione del latte di capra. Dopo alcune sperimentazioni e qualche primo risultato incoraggiante decidono di fare un passo ulteriore: un viaggio in Francia, patria dell’arte casearia, in particolare per i caprini. “Il terroir in Francia è un sistema ben organizzato e remunerativo, capace di mettere assieme e valorizzare arte, cultura, storia, paesaggi, artigianalità - ci dice Roberto. Anche qui, nella Gera d’Adda, un tempo ogni paese aveva il suo caseificio e ogni caseificio faceva tanti prodotti diversi: stracchino, gorgonzola, taleggio, crescenza. Una varietà che si è persa negli anni, un substrato su cui vogliamo ricostruire una tradizione casearia di qualità, ispirandoci al modello francese”. Dalla Francia si portano a casa un patrimonio di


tecniche casearie, uno stile e un’eleganza inconfondibili nella produzione dei caprini e tanta ispirazione. Ma anche una filosofia di allevamento e lavorazione a latte crudo che la famiglia Facchetti vuole trapiantare nella pianura bergamasca. Nel 2001 Valentina e Roberto decidono di trasferirsi a Brignano, abbandonando l’allevamento per dedicarsi alla loro vera vocazione: la produzione di formaggi. Le 120 femmine in lattazione vengono vendute a tre diversi allevamenti, con l’impegno di comprare il latte di quelle che erano le loro capre per continuare a produrre i formaggi con lo stesso latte. A uno degli allevamenti vengono però rubati 50/60 capi e così, ritrovandosi senza latte, iniziano ad acquistarlo dallo stesso allevamento da cui avevano inizialmente acquistato i primi capi. Negli anni arrivano ad avere anche 4/5 conferenti. “Nei nostri formaggi ogni lotto riporta l’allevamento, ancora da prima che entrasse in vigore

la normativa sulla rintracciabilità. Anche questo l’abbiamo imparato sulla nostra pelle - racconta Valentina - : diversi anni fa ci siamo improvvisamente trovati con il latte di tre conferenti che non caseificava; proveniente da stalle situate in luoghi diversi, sembrava non ci fosse nessuna connessione, eppure il risultato era lo stesso. Dopo diverse domande siamo riusciti a scoprire che tutti tre utilizzavano lo stesso mangime, che conteneva bicarbonato, impiegato per aiutare le vacche a digerire il trinciato di mais ma che in realtà “sterilizzava” il latte di capra. Da quell’anno abbiamo iniziato a lavorare separatamente il latte di ciascun allevamento e a identificare ciascun allevamento con un lotto specifico”. Nello stesso periodo viene avviata una collaborazione con alcune scuole e realtà istituzionali francesi, dove Valentina e Roberto ritornano periodicamente per confrontarsi sulle tecniche di produzione. Lavialattea viene iscritta all’albo VALSANA | 05

La lavorazione, a latte crudo, viene fatta interamente a mano: il latte di capra viene riscaldato gradualmente a bagnomaria e lavorato senza strumenti meccanici, perchè ha una struttura dei grassi molto delicata Valentina Canò


dei “technicien fermier” dell’Istitute de elevage di Lione quale caseificio artigianale più piccolo d’Europa.

NOVITÀ

EGLE Formaggetta a crosta fiorita dalla forma quadrata prodotta con 100% latte crudo di pecora e caglio di agnello. Ha un gusto dolce, con note di crosta di pane e fungo cod 21216 | peso 200 g circa

Alzo gli occhi dall’agenda, dove sto prendendo appunti, e mi accorgo che Giorgia, la nostra responsabile qualità, si è avvicinata alla caldaia e sta tagliando la cagliata sotto l’occhio vigile di Roberto. “In realtà lo fa ogni volta che ne ha la possibilità, l’esperienza del lavoro in caseificio se la porta nel cuore” - scherziamo con Roberto, che ci rassicura, invitandoci a tornare quando vogliamo per aiutarlo nel lavoro. Riprendo l’intervista con Valentina. “Oggi lavoriamo circa 700/800 litri di latte di capra al giorno e 200/220 litri di latte di pecora a settimana, una novità che abbiamo introdotto di recente”. Da cinque anni il latte di capra viene acquistato da un unico allevamento che conta 800 capre di razza Saanen e soddisfa tutti i requisiti di igiene, grassi e proteine per poter lavorare a crudo il latte con buoni risultati, la cui stalla si trova a circa 4 km dal caseificio. VALSANA | 06

“Il nostro primo valore è quello di conoscere l’animale che ci fornisce la materia prima, essendo stati innanzitutto allevatori. Le capre partoriscono una sola volta all’anno e vanno in asciutta tutte nello stesso periodo. Con le moderne tecniche di allevamento, per garantire una produzione continua, il gregge viene diviso in diversi gruppi suddividendo così i periodi di asciutta, senza l’utilizzo di ormoni. Per lo stesso motivo abbiamo scelto di adottare un approccio etico con l’allevatore: il prezzo del latte di capra viene fissato annualmente a un prezzo del 30% più alto rispetto alla media del mercato e resta invariato sia d’estate che d’inverno, nonostante le oscillazioni importanti del prezzo del latte di capra a causa della stagionalità della produzione. La stessa politica è stata adottata anche per il latte di pecora, che viene pagato circa il doppio rispetto alla media del mercato. In questo modo cerchiamo di incentivare la qualità del latte, oltre a riconoscere all’allevatore una remunerazione equa per il suo lavoro, di cui conosciamo i sacrifici”.


Il latte viene lavorato subito a crudo appena arriva al caseificio, con un procedimento del tutto manuale: non vengono utilizzati strumenti meccanici e pompe perchè il latte di capra ha una struttura dei grassi particolare, molto delicata, che si rovina facilmente. Per lo stesso motivo bisogna fare molta attenzione anche con la temperatura: nel caseificio vengono utilizzate esclusivamente tre caldaie a bagnomaria che portano il latte a temperatura in modo lento e graduale. L’unico macchinario utilizzato è un chiller, usato per raffreddare l’acqua del bagnomaria, al fine di recuperarla per le successive lavorazioni, riducendo gli sprechi. Un’altra curiosità è il tipo di caglio utilizzato, sempre abbinato al tipo di latte: capretto per i caprini e agnello per i formaggi di pecora. I formaggi de Lavialattea hanno ottenuto diversi riconoscimenti in alcuni dei più prestigiosi concorsi internazionali, come il World Cheese Award e il Mondial du Fromage: la Morla, ad esempio, un formaggio a pasta molle simile al Brie de Coulommiers, ha vinto nel 2013 la

medaglia d’oro proprio in Francia: davvero una grande soddisfazione. Finita la visita al caseificio ci trasferiamo allo spaccio, dove abbiamo la possibilità di degustare diversi formaggi con la guida esperta di Valentina, che è anche Maestro Assaggiatore Onaf. “La formazione per noi è molto importante: non solo la tecnica casearia ma anche come proporre e abbinare i formaggi; il corso Onaf è stata un’esperienza molto utile, che ci ha aiutato a lavorare meglio sugli abbinamenti”. L’equilibrio che si ritrova nei loro affinamenti nasce forse anche da questo. Dopo una ventina di assaggi (che sacrificio!) torniamo a casa con una bella selezione di formaggi. Alcuni ce li teniamo per l’autunno, quattro ve li presentiamo ora: la Cialdina, una robiola fresca di capra; il Baciodilatte, un formaggio molle a crosta fiorita; una formaggetta quadrata di pecora, Egle; e il mitico Uovo di Capra, con un cuore di zafferano: meraviglioso da vedere ma anche delizioso al palato! VALSANA | 07

Reportage fotografico di Beatrice Mancini NOVITÀ

BACIODILATTE Stracchino di capra a crosta fiorita, dalla pasta morbida e cremosa, dolce, delicato e leggermente acidulo, con piacevoli sensazioni lattiche e leggere sensazioni caprine cod 21207 | peso 300 g circa


Intervista doppia

MEGGIO ROBERTO

SALUMIFICIO DEI CASTELLI MONTECCHIO MAGGIORE (VI) Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

GRIGNO (TN)

Veneta o trentina? Due diverse declinazioni della sopressa, un prodotto della tradizione che ha saputo adattarsi al gusto contemporaneo di Giulia Basso

LE RECENSIONI DEI CLIENTI

Monica Busolin Casa del Parmigiano | Treviso La sopressa dei Castelli è un prodotto che uso da tempo: la qualità è ottima e non mi ha mai deluso. Nel mio negozio ne tengo sempre una più grande da affettare al momento e alcune più piccole, molto apprezzate dai turisti che vogliono portarsi a casa un prodotto tipico dei luoghi visitati.

Matteo Cattai | Prosecco Privee San Vendemiano (TV) Ho scelto la sopressa Meggio per i miei taglieri di affettati e formaggi per la costanza nel gusto del prodotto e la sua delicatezza, data dal perfetto equilibrio tra la speziatura e il sapore della carne. Si sposa benissimo con il prosecco e ne apprezzo anche la pezzatura ridotta, che la rende estremamente gestibile.

SALUMIFICIO DEI CASTELLI Siamo nella patria della sopressa vicentina, a Montecchio Maggiore. Qui il salumificio dei Castelli, azienda artigiana a gestione familiare, produce dal 1998 insaccati tipici della tradizione contadina veneta, come salami, sopresse, salsicce e musetti, secondo le ricette secolari dei locali mazzolini (norcini). “In verità lavoriamo nel mondo della norcineria da quattro generazioni - racconta Marco Fantin, il più giovane della famiglia -. Ha iniziato il mio bisnonno con una macelleria e un laboratorio di produzione aperti in zona nell’immediato dopoguerra, poi il testimone è passato a mio nonno e quindi a mio padre e a mio zio, che 21 anni fa hanno aperto questo salumificio”. Il cavallo di battaglia dell’azienda è appunto la sopressa, che viene prodotta in numerose declinazioni diverse: vicentina Dop, al vino Breganze Torcolato Doc, classica con e senza aglio, con filetto. “E’ un prodotto che continua a essere molto apprezzato dai nostri clienti: oggi è un po’ meno grassa rispetto ai tempi delle produzioni casalinghe, ma non troppo, perché il grasso è fondamentale per conferirle morbidezza e dolcezza”, spiega Marco, evidenziando come la sopressa sia un prodotto talmente radicato nell’immaginario dei veneti che ciascuno ha i propri gusti in merito. “Come realtà artigianale a conduzione familiare cerchiamo di adattare il prodotto alle esigenze del cliente e anche nella preparazione dell’impasto combiniamo rigore ed esperienza: è sempre l’occhio che valuta come mantenere il corretto rapporto tra parte grassa e magra”. VALSANA | 08

MEGGIO ROBERTO Al salumificio Meggio, nel piccolo paese di Grigno, in Valsugana, la norcineria è un sapere antico, che si tramanda da generazioni di padre in figlio. Il laboratorio di Roberto Meggio, storico produttore di salumi trentini, è immerso nel verde, tra prati e boschi, e i figli Ezio e Nicoletta proseguono con passione l’attività di famiglia. La filosofia è quella di una volta, secondo cui del maiale non si butta nulla: perciò la produzione spazia dallo speck alla carne affumicata, dal salame alla sopressa. Senza dimenticare la luganega, il salume più diffuso del Trentino e fiore all’occhiello del salumificio Meggio, e il pastin, altro prodotto tipico della zona. Ezio, che dal padre Roberto ha imparato tutti i trucchi del mestiere, pone la massima attenzione nel conciliare la ricetta tradizionale della sopressa, che prevede l’utilizzo di tutte le parti del maiale, dalla coscia alla spalla, dalla pancetta al carrè, con i gusti contemporanei. E la passione per questo lavoro è tale che a volte anche i litigi in famiglia avvengono per questioni meramente “gastronomiche”: “Quando ho deciso di cambiare la piastra per ottenere una macinatura più fine ho avuto una discussione accesa con mio padre, che invece la preferiva più grossa, come i buongustai di un tempo che volevano che i pezzetti di grasso fossero molto evidenti - racconta Ezio -. Per questo motivo non è più venuto in laboratorio per un paio di mesi, finché non si è convinto della bontà di questa scelta”.


Marco Fantin

Ezio Meggio

Che carne utilizzate per la vostra sopressa e quali ingredienti per la concia?

Che carne utilizzate per la vostra sopressa e quali ingredienti per la concia?

E’ carne della filiera del Parma e del San Daniele: del maiale usiamo il maggior numero possibile di tagli differenti, per conferire complessità di sapore. All’impasto aggiungiamo soltanto sale, pepe spezzato, una piccola quantità di spezie per conferire una nota di fondo e un pizzico di conservante.

E’ carne di suini nazionali che usiamo anche per i prosciutti crudi, di cui impieghiamo tutte le parti, in quantità ben definite. Per renderla delicata usiamo solo sale, pepe e un minimo di aromi e conservanti.

Quali sono le caratteristiche lavorazione legate al territorio?

della

E’ la tipica sopressa veneta, con macinatura a grana media. Il sezionamento delle carni e l’insaccatura avvengono a freddo, per ottenere un impasto più omogeneo e meno umido. La preparazione dell’impasto mira a mantenere un equilibrio definito tra la parte grassa, circa il 35%, e quella magra, circa il 65%: il risultato è un salume che si scioglie in bocca. Come avvengono stagionatura?

l’asciugatura

SOPRESSA DEI CASTELLI

e

Dolce e delicata con tipico aroma di carne, non troppo speziata; buona solubilità al palato codice 80107 peso 3 kg circa

Come va servita? E’ ottima con il pan biscotto e con la polenta. Ma si può provare anche con i fichi, o sopra la pizza o il risotto a fine cottura.

SOPRESSA MEGGIO Dolce ed equilibrata, ben bilanciato l’uso delle spezie che non sovrasta la carne; la texture è compatta codice 80122 peso 1,5 kg circa VALSANA | 09

della

La sopressa trentina è un po’ meno grassa rispetto alla veneta e più compatta come consistenza. La macinatura avviene a freddo, a un grado di temperatura. In questi anni abbiamo ridotto ulteriormente la grana e siamo passati all’utilizzo di pepe macinato più fino, che la clientela gradisce maggiormente. Come avvengono stagionatura?

la

L’asciugatura, di una settimana circa, è la fase più delicata, perché bisogna far perdere umidità al prodotto in maniera uniforme: usiamo processi discontinui, partendo da temperature più alte. Nella stagionatura invece, che dura come minimo 80 giorni, temperatura e umidità sono costanti

Quali sono le caratteristiche lavorazione legate al territorio?

l’asciugatura

e

la

Sono le fasi più complesse, perché devono garantire un risultato uniforme: la stagionatura è come una cottura lenta, che deve arrivare fino al centro del salume. Partiamo da temperature più elevate, di circa 23 gradi, per poi scendere fino a 13. I primi 20 giorni sono i più critici, poi si tratta solo di lasciar maturare il prodotto. Come va servita? E’ il classico salume da accompagnare con il pane, o da servire come antipasto in un tagliere misto di formaggi e affettati.


Novità a catalogo

L’ARROGANZA DI MEGGIOLARO Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana

NOVITÀ

L’ARROGANZA MINI Versione piccola del cotto L’Arroganza, disponibile sia al naturale che affinato su braci di legno di faggio. Ideale per la ristorazione veloce e per le enoteche. Viste le dimensioni può essere utilizzato anche da chi ha piccole affettatrici cod 80869 | al naturale 3 Kg ca cod 80871 | affinato 3 Kg ca

Ci è piaciuto perchè Come tutti i prodotti Meggiolaro, ha un basso contenuto di sale, arrogante nell’intenzione ma rispettoso della salute dei consumatori, con un buon rapporto qualità prezzo

L’avete mai assaggiato un prosciutto cotto arrogante? Noi sì, e vi raccontiamo perchè ci è piaciuto... di Elisa Magro Conosciamo e collaboriamo con Meggiolaro da quasi ormai dieci anni. Dopo esserci “annusati” per un po’ alle fiere di settore, ci siamo consapevolmente scelti per iniziare un bel percorso insieme che sta dando buoni frutti. D’altra parte quello che ci ha colpiti fin da subito e che distingue la famiglia Meggiolaro, sono la ricerca della qualità nella selezione delle carni, i tempi lunghi di lavorazione, la cottura “naturale”, tutti fattori che li portano a ottenere un prodotto di nicchia. PERCHÈ “L’ARROGANZA”? Nella nostra selezione di cotti, uno “arrogante” ci mancava decisamente. L’Arroganza fa parte della nuova linea “Capricci di Meggiolaro”, una serie di prodotti particolarmente sfiziosi che si caratterizzano

per l’alta qualità e la semplicità di utilizzo. E’ un prosciutto cotto raffinato, originale e delicatissimo al palato. Dove sta allora l’arroganza? L’ho chiesto ad Alessandro Meggiolaro che oggi porta avanti l’azienda di famiglia insieme alla sorella Gessica. “L’Arroganza - mi racconta Alessandro - nasce come idea per descrivere tutte quelle situazioni e atteggiamenti un po’ sfrontati che sono un po’ nel mio stile, quando sono in compagnia tra amici. Da qui lo spunto per sfogare l’ambizione e il desiderio di fare un prodotto che ancora nel mercato non c’era. Diciamo che sono partito arrogante nelle intenzioni...” racconta divertito Alessandro. E conoscendolo non mi stupisco, anzi trovo l’idea creativa e sembra che abbia


già preso piede anche in altre declinazioni, perchè qualcuno ha inaugurato l’aperitivo arrogante, qualcun altro ha messo nel menù il panino arrogante o la pizza arrogante, dove il cotto di Meggiolaro è diventato protagonista indiscusso di un momento conviviale e di gusto.

fonte:facebook.com/ProseccoPrivee

RICETTA PER L’ARROGANZA

NOVITÀ

L’ARROGANZA PROSCIUTTO COTTO ALTA QUALITÀ Coscia di suino di prima qualità cotta a bassa temperatura, metà a secco e metà a vapore. A naso si avvertono note di umami. In bocca è leggermente sapido con piacevolissimi sentori di carne cod 80865 | intero 11 Kg circa cod 80866 | a metà 5,5 Kg circa

Per ottenere L’Arroganza si parte da una coscia di suino olandese di prima qualità, ben marezzata, a cui vengono aggiunti sale, spezie, aromi naturali e conservanti in bassissime dosi, introdotti con la tecnica della “siringatura multi aghi” che permette una diffusione uniforme dei sapori, seguita da un lungo massaggio per favorirne l’assorbimento ed esaltarne la tenerezza. Si passa poi alla cottura con un procedimento unico per un prosciutto cotto, che prevede una prima fase di arrostitura della durata di tre ore, per poi passare alla cottura a vapore classica a bassa temperatura. Per la versione fumè a questo punto, si preparano le braci di legno di faggio e si inizia l’affinamento in forno della coscia per un’ora. Il risultato è un cotto dall’altissima qualità, dai profumi e sapori eleganti nella versione naturale, più accattivanti nella versione affinata.

NOVITÀ

I “senza” in etichetta • •

glutine

lattosio e caseinati • glutammato

polifosfati aggiunti •

ingredienti OGM •

allergeni

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L’ARROGANZA AFFINATO SU BRACI DI FAGGIO PROSCIUTTO COTTO ALTA QUALITÀ Coscia di suino di prima qualità cotta a bassa temperatura metà a secco e metà a vapore, affinato su braci di legno di faggio. A naso si avvertono note molto delicate di affumicatura e braci cod 80867 | intero 12 Kg circa cod 80868 | a metà 6 Kg circa


Novità a catalogo

CARNAROLI O VIALONE? Sono due eccellenze italiane che possono sembrare molto simili, ma invece no: uno non vale l’altro... di Elisa Magro RISERVA SAN MASSIMO

A OGNI PIATTO IL SUO RISO

In Italia vengono prodotte alcune varietà di riso molto diffuse e importanti. Due di queste sono sinonimo di qualità ed eccellenza: Carnaroli e Vialone Nano.

Il Riso Superfino Carnaroli è caratterizzato da un chicco allungato e sottile. È una varietà molto versatile perchè può dare il meglio di sè in risotti meno cremosi e più delicati, come quelli di pesce. ma anche per insalate di riso, arancini, supplì, cotture pilaf e paella.

L’Azienda Agricola San Massimo, in un’area naturale di oltre 800 ettari nel parco lombardo della Valle del Ticino, coltiva in modo tradizionale e con tecniche sostenibili per la salute e per l’ambiente, tre varietà di riso: l’autentico Carnaroli, il Rosa Marchetti, il Vialone Nano. La Riserva è un luogo dove viene mantenuta inalterata la biodiversità, un ambiente particolarmente ricco di zone umide grazie alla presenza di corsi d’acqua e risorgive, luogo ideale per la coltivazione di questo cereale.

Leggermente meno diffuso del Carnaroli, anche se più “nobile” nelle origini è il Vialone Nano, che ne differisce prima di tutto nella forma: i suoi chicchi sono tondi e piccoli. È dotato di una grande capacità di crescita in cottura che favorisce un ottimo assorbimento dei condimenti. Provatelo per preparare risotti all’onda, minestre e per cotture particolari come ad esempio il sushi. NOVITÀ

RISO CARNAROLI SUPERFINO

RISO VIALONE NANO

Riso 100% varietà carnaroli, adatto per risotti delicati, insalate di riso, arancini, cotture pilaf e paella cod 93777 | confezione da 1 kg

VALSANA | 12

Grazie alla sua grande capacità di crescita in cottura, è adatto per risotti all’onda, minestre e sushi cod 93778 | confezione da 1 kg


Novità a catalogo

COCKTAIL DI NOVITÀ Con la primavera alle porte ecco una selezione di prodotti già noti che indosseranno nuove confezioni e formati di Elisa Magro NOVITÀ

NOVITÀ

NOVITÀ

PESTO DI PRA

GRANA PADANO DOP IN SCAGLIE

GRANA PADANO DOP

Preparato nel rispetto della tipica ricetta genovese, è di grana media, verde brillante come il colore del basilico fresco. Non pastorizzato

Appetitose scaglie di Grana Padano DOP pronte all’uso, una soluzione ideale per arricchire ogni tipo di piatto a base di carne e verdure

Prodotto con latte vaccino crudo parzialmente scremato. Stagionato 16 mesi ha un sapore dolce e delicato, mai piccante

cod 93424 | con aglio 150 g cod 93429 | senz’aglio 150 g

cod 34317 | vaschetta da 500 g

cod 34105A | peso 1 kg circa

NOVITÀ

NOVITÀ

NOVITÀ

STRACCHINO MAMBELLI

KETCHUP CLASSICO BIOLOGICO

MAIONESE CLASSICA BIOLOGICA

Formaggio molle arricchito dalla ‘dolcezza’ del sale di Cervia. Il gusto è dolce, con note piacevoli di latte e yogurt

Ketchup biologico prodotto senza glutine e senza conservanti. Dolce, con intense note di pomodoro e un ricco bouquet di spezie

Prodotta secondo la classica ricetta ma con ingredienti di alta qualità. Dolce e delicata, leggermente acidula, cremosa

cod 21509 | confezione con due pezzi da 1 kg circa ciascuno

cod 94476 | confezione da 300 bustine monoporzione da 15 g

cod 94477 | confezione da 300 bustine monoporzione da 15 g

VALSANA | 13


A proposito di filiere

LA FILIERA DEL PECORINO Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

Chiediamoci sempre “da dove viene” un formaggio: il territorio, il pascolo, la lavorazione, la mano di chi lo produce sono gli elementi che lo identificano di Alessandro De Conto Se c’è un formaggio che ha una genetica

BUSSU GIANFRANCO trasparente, genuina e antica questo è il pecorino. Le origini di questo prodotto risalgono a circa 8.000 anni fa, quando l’uomo nomade scopre, pere 10accidente, SUPERFICIE TOTALE : 60 ettari diun cui 50po’ a pascolo coltivati a erbaio un po’ TIPO DI ALLEVAMENTO: ovino (530 capi di cui 450 in lattazione), suini (2 capi) per necessità, che il latte di pecora (ecaciotte, capra) PRODUZIONE AZIENDALE: Formaggi (fiore sardo DOP, pecorino DOP, frue, ricotte) può coagularsi e cagliare. Si cominciano a CARATTERISTICHE DEL CAMPO A CONCORSO: lepascolo radici di una filieracomplessiva plurisecolare, Il intravedere campo a concorso è un aperto, della superficie di 2.5 ettari, utilizzato per il pascolo naturale del bestiame fino ad aprile quando viene lasciato a riposo lo sfalcio. cheperancora oggi fa capolino ogni qualvolta CARATTERIZZAZIONE PAESAGGIO un pastoreDELproduce il suo formaggio. Ed è Il campo scelto, in base alla Direttiva Habitat (43/92/EEC), ricade nell’habitat di interesse comunitario 6220*: Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei proprio questa filiera che approfondiremo Thero-Brachypodietea nello svolgersi dell’articolo, dal territorio al pascolo, dalla mano del casaro-pastore alla L’esperienza di Gianfranco Gianfranco gestisce il caseificio aziendale insieme al fratello Salvatore. L’attività coinvolge anche le stagionatura. Un pecorino racconterà sempre rispettive mogli. Loro hanno piena c ciò o n s a p eche v o l e z z ail territorio suggerisce, più o meno che la complessità intensamente a seconda del trattamento aromatica e la qualità dei formaggi termico sono correlate cona il cui è sottoposto o meno il latte. CAMPO A CONCORSO: LOCALITÀ BARA - 620 SPECIE RILEVATE N. 54

1.800 pecore allevate allo stato brado da Bussu

700 soci conferenti della cooperativa CAO

130 q.li di latte lavorati ogni giorno da Il Fiorino

M SLM

pascolo e la varietà di erbe che l’animale ingerisce. La salvaguardia del sistema pastorale tradizionale, con animali al pascolo e l’utilizzo limitato dei mezzi tecnici di produzione, viene visto come un sistema sostenibile che conserva in equlibrio il rapporto tra animale, uomo e ambiente.

Cominciamo dal principio, ossia dal pascolo. Matrice fondamentale per l’allevamento di ogni armento. Quando ho visitato Gianfranco Bussu nella sua azienda agricola a Macomer (Nuoro) mi ha colpito un manifesto che pubblicava i risultati di una ricerca dell’Università di Sassari: citava 54 essenze seminative-floreali presenti in 4 metri quadri di pascolo (vedi Fig.1). Sulla, loglio, trifoglio ed erba medica sono le protagoniste indiscusse di molti pascoli italiani, ma sono poi le essenze minori a caratterizzare i diversi terroir: erba carlina, carota spontanea, bacche di lentischio e olivastro in Sardegna, camedrio alpino e ranuncolo nel Gran Sasso, la veccia, la cicerchia e il pisello nero in Sicilia sono solo alcuni esempi, tuttavia questo articolo non ha finalità botaniche, vuole solamente dire dell’estrema variabilità di ciò che comunemente chiamiamo ”erba”. Molti dei produttori-pastori che conosciamo lasciano alimentare gli ovini, spesso di razza autoctona, quasi esclusivamente al Asphodelus ramosus

Eryngium campestre

Carlina corymbosa

pascolo: Leonardo Pulinas e i fratelli Bussu

-inAZIENDA AGRICOLA Macomerin Abruzzo, Sardegna, Giulio -Petronio

Pietro Di Venti in Sicilia, Giovanni Cannas e Silvana Cugusi in Toscana. Essi trasformano prevalentemente il latte delle proprie greggi a crudo (con eccezione di Cugusi), dando così vita a quel concetto di filiera corta che ci è tanto caro poiché, pur essendo un modello ormai poco diffuso, rappresenta la forma più evoluta di artigianato caseario.

Figura 1 - Elenco delle specie rilevate dall’Università di Sassari sui pascoli di Gianfranco Bussu ELENCO SPECIE RILEVATE: FAMIGLIA

SPECIE

Graminaceae

Agrostis pourretii

Graminaceae

Aira caryophyllea

Primulaceae

SUBSPECIE

NOME SARDO

subsp. caryophyllea

Anagallis parviflora

Compositae

Anthemis arvensis

subsp. arvensis

Sitzia pudascia

Graminaceae

Anthoxantum aristatum

Graminaceae

Avena barbata

SUBSP. BARBATA

Ena murra / Enarzu / Fenarzu

Compositae

Bellis annua

subsp. annua

Graminaceae

Bromus hordeaceus

subsp. hordeaceus

Cruciferae

Calepina irregularis

Compositae

Carlina corymbosa

Compositae

Carthamus lanatus

Caryophyllaceae

Cerastium glomeratum

Compositae

Ardu candela / Bardu

Cichorium intybus

Convolvulaceae

Convolvulus arvensis

Compositae

Crepis vesicaria

subsp. vesicaria

Apiaceae

Daucus carota

subp. carota

Fustinaga

Geraniaceae

Erodium ciconium

Geraniaceae

Erodium cicutarium subsp. cupanii

Lua / Lattorighe

subsp. rigidum

Lozzu areste

Apiaceae

Eryngium campestre

Euphorbiaceae

Euphorbia pithyusa

Rubiaceae

Galium parisiense

Geraniaceae

Geranium molle

Compositae

Hedypnois cretica

Compositae

Hypochoeris achyrophorus

Compositae

Hypochoeris radicata

Compositae

Leontodon tuberosus

Linaceae

Linum bienne

Graminaceae

Lolium rigidum

Leguminosae

Lotus conimbricensis

Leguminosae

Lotus edulis

Caryophyllaceae

Moenchia erecta

Borraginaceae

Myosotis pusilla

Leguminosae

Ornithopus compressus

Scrophulariaceae

Parentucellia latifolia

Plantaginaceae

Plantago lagopus

Plantaginaceae

Plantago lanceolata

Graminaceae

Poa annua

Ranunculaceae

Ranunculus paludosus

Compositae

Reichardia picroides

Iridaceae

Romulea ligustica

Apiaceae

Scandix pecten-veneris

Rubiaceae

Sherardia arvensis

Caryophyllaceae

Silene gallica

Compositae

Liadorza / Aligadorza

subsp. pecten-veneris

Taraxacum officinale

Apiaceae

Thapsia garganica

subsp. garganica

Leguminosae

Trifolium incarnatum

subsp. molinerii

Leguminosae

Trifolium micranthum

Leguminosae

Trifolium nigrescens

Leguminosae

Trifolium subterraneum

Compositae

Urospermum dalechampii

Valerianaceae

Valerianella microcarpa

Plantaginaceae

Eruledda / Feruledda

subsp. nigrescens

Veronica peregrina

Graminaceae

Vulpia ligustica

Graminaceae

Vulpia myuros

Fenu leperinu subsp. myuros

Hypochoeris radicata

VALSANA | 14 PSR Sardegna 2007-2013. Misura 421 Cooperazione transnazionale e interterritoriale. Progetto “Verso nuove identità rurali - arrivano i gialli”


I PROTAGONISTI DELLA FILIERA: quanti e quali passaggi? quali domande ha senso porsi?

Gregge allevato allo stato brado

Lavorazione del latte a crudo

Stagionatura nella stessa azienda agr.

La filiera del pastore è una filiera corta, gestita da un unico attore dalla cura del pascolo all’allevamento, dalla trasformazione del latte alla stagionatura, tutto all’interno della stessa azienda agricola

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vam bra ento do

Allevamento a stabulazione fissa

Raccolta del latte dai conferenti

Lavorazione del latte

Stagionatura

La filiera della cooperativa o del caseificio indipendente è una filiera che coinvolge diversi attori, a partire dai soci che possono adottare stili di allevamento diversi, e di conseguenza se il latte non viene lavorato per conferente, spesso viene pastorizzato

o ent vam ado Alle i-br m se

Certo, la vita del pastore non è semplice. Ricordiamo che pastore e nomadismo sono andati a braccetto per secoli. Oggi c’è sicuramente più stanzialità, ma oltre alle evidenti difficoltà ambientali emergono limitazioni di carattere economico che non sempre essi riescono ad affrontare in autonomia. E’ per questo motivo che soprattutto nelle isole i pastori si sono riuniti in tante cooperative, per unire gli sforzi, abbattere i costi e vedersi riconoscere un giusto valore per ciò che producevano: latte e lana. In alcuni casi la cooperativa si dota di un caseificio cercando di creare valore aggiunto con le sue produzioni. Da anni lavoriamo con la Coop. Tumarrano di Agrigento, la Cooperativa Allevatori Oristanesi per il Pecorino Romano Dop e altri formaggi, la Coop. Masserie del Parco per il Pecorino di Farindola e Il Forteto in Toscana. Per molti di questi il sistema di allevamento dei conferenti è ibrido, alcuni

PASTORE

scelgono l’allevamento a stabulazione fissa, altri lo stato brado e semi brado. Inoltre, le cooperative preferiscono trattare termicamente il latte: lavorare il latte di diversi conferenti e l’impossibilità di trasformarlo per singola partita impongono la cautela della pastorizzazione o della termizzazione. Si sacrifica la specificità della singola produzione lattifera per guadagnare dall’altro maggior stabilità produttiva. Ora non ci resta che prender per mano il terzo modello produttivo, quello del caseificio indipendente che acquista il latte da diversi conferenti distribuiti in un territorio più o meno vasto, come Il Fiorino in Maremma oppure Valvo in Sicilia. Per noi è importante che la distanza tra caseificio e conferenti sia la più contenuta possibile, per avere maggior garanzia di territorialità e autenticità e non

rischiare di porre sul mercato un prodotto anonimo, senza l’anima di un territorio o di una persona che lo produce. Abituiamoci a specificare sempre “da dove viene” il pecorino, accompagniamo sempre la descrizione del prodotto almeno con la regione di produzione perché questa dice molto delle caratteristiche organolettiche, o ancor meglio con il nome di chi produce: non ci possiamo aspettare infatti che un Pecorino siculo e un Pecorino toscano si assomiglino! Ma possiamo affinare la specializzazione e scoprire che la regionalità non ci basta, abbiamo bisogno infatti di micro-territorialità e personalizzazione, per scoprire che, pur essendo Pienza, Volterra e Maremma tutte in Toscana, esse esprimono, grazie agli uomini e alle donne che producono, tre identità casearie assolutamente uniche e diverse.

CASEIFICIO

TIVA COOPERA

PECORINO DEBBENE BIO

MOLISSARDO

GROTTA DEL FIORINI

Pecorino a latte crudo bio da pecore di razza Sarda allevate allo stato brado in azienda. Stagionato almeno 90 giorni, è dolce, leggermente acidulo, con aromi di frutta matura, erbe e latte

Pecorino sardo prodotto con latte di pecore di razza Sarda raccolto dai soci allevatori e stagionato almeno 90 giorni. Leggermente piccante, con note floreali e di miele

Pecorino toscano affinato nelle grotte del produttore dove viene stagionato almeno 5 mesi. Il sapore è dolce, con note vegetali e di cantina, con un finale lungo e persistente

codice 31421 | peso 4 kg circa

codice 31544 | peso 6 kg circa

codice 31349 | peso 1,8 kg circa


Abbinamenti a quattro mani

AGNELLO IN

Matteo De Santi è laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Con ancora in bocca il sapore d ultimo travestimento, per c quello di un agnello ve

di Matteo De Santi

La carne di agnello ha tutti i motivi per essere una delle carni più consumate: è magra, ricca di proteine, di ferro, sali minerali ed è molto digeribile. Allora perché ne consumiamo quantità folli principalmente solo sotto Pasqua? Credo che oltre al motivo religioso o culturale, che sicuramente è importante, la problematica sia essenzialmente una: il gusto. Il sapore d’agnello è solitamente alquanto inconfondibile e sicuramente non democratico. Questa carne divide, o la ami o non la sopporti. Ma dove ci sono problemi, ci sono anche opportunità e per alcuni, sfide. Quella che lancia il produttore Karl Bernardi da Brunico è di sfidarvi a distinguere il suo cotto d’agnello con un altro cotto classico. È estremamente dolce e aromatica per essere una carne d’agnello e ci ha colpito subito per il limitatissimo sentore animale. La parte anatomica è quella della coscia che viene cotta e delicatamente affumicata. Comodo anche il formato perché da circa 1,2 kg, quindi facile da usare in affettatrice o da tagliare per preparazioni in cucina.

RICETTA Vi propongo una variante di una ricetta estremamente classica del pranzo della domenica da nonna: gli involtini. Per dare una spinta di sapore rispetto alla classica preparazione aggiungete al posto del solito cotto qualche fetta di coscia di agnello all’involtino, con una spennellata di miele e qualche foglia di timo fresco. Vedrete che anche nonna approverà.

FRUTTA E VERDURA Per questo agnello così delicato, vorrei proporvi un abbinamento valido sia in quanto frutta che verdura: il pomodoro. Ma non semplicemente pomodoro, bensì vi suggerisco la versione confit, dando una spinta di dolcezza che si accompagnerà benissimo alla delicatezza dell’agnello.

COSCIA DI AG DAL VENETO CON FURORE Abitare in Veneto per qualche anno ha avuto i suoi effetti su di me, uno fra gli altri è stato farmi riconsiderare il rafano. L’ho sempre poco apprezzato perché per i miei gusti il suo sapore era troppo coprente. Ma poi ho capito che a seconda dell’abbinamento si può davvero goderne al massimo. Per esempio, ho apprezzato molto all’Osteria di Borgoluce un semplice piatto di prosciutto cotto con del rafano grattugiato come antipasto e quindi ho pensato di fare la stessa cosa con la coscia cotta di agnello. Risultato assolutamente soddisfacente.

VALSANA | 16

Prosciutto cotto di ag affumicato, prodotto a B La fetta è compatta e colore rosato; il sapore importanti note legate caratterizzano l’assaggio un antipasto o un

codice 82038 | p


N MASCHERA

Enrico De Conto è laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana

del carnevale parliamo di un confondervi e provocarvi, estito da prosciutto!

GNELLO COTTA

gnello delicatamente Brunico da Karl Bernardi. umida, di un piacevole è dolce e delicato, con e all’affumicatura che o. Perfetto per arricchire tagliere di salumi

peso 1,2 kg circa

di Enrico De Conto

Accompagnamento musicale consigliato: Queen - Crazy Little Thing Called Love Piccolo suggerimento prima di iniziare: ricordatevi di condividere. I vantaggi sono molteplici perché in una singola serata potrete: finire un prosciuttino d’agnello, assaggiare più vini, ridere in compagnia. Buon viaggio!

ALTO ADIGE SCHIAVA DOC

BOURGOGNE PINOT NOIR AOC

Regione che vai, abbinamento che trovi. Se chiudo gli occhi penso ad un aperitivo pasquale. Affianchiamo questo vino a un tagliere di Coscia di Agnello Cotta, con pane nero e un sole che splende. Il naso è straordinariamente fresco, se potesse parlare direbbe: “bevimi”. Il sorso è slanciato, con un tannino appena accennato e una bevibilità stupefacente. Vino rosso all’aperitivo? Con la Schiava si può!

Mi perdonino gli amanti del genere, non è mia intenzione sparare sulla croce rossa. Azzardo questo abbinamento perché penso che l’inaspettata docilità del prosciutto d’agnello ben si accompagni a un regional di Borgogna. Il naso è centrato su note di piccoli frutti rossi acidi, la bocca è ricca di tensione, sigillata da un tannino setoso. Un abbinamento che ipotizzo sia basato sull’eleganza, dove i sapori vanno (ri) cercati.

Zona: Alto Adige, Trentino Alto Adige

Zona: Borgogna, Francia

Intensità:

Intensità:

VALPOLICELLA DOC CLASSICO

BIRRA AMBER ALE

Anche per quest’abbinamento immagino un vino che accompagni il prosciutto senza sopraffarlo. Il naso è generalmente intenso, ma ben centrato su note di fiori, frutti rossi e mandorle. In bocca il tannino è leggero e l’acidità non eccessiva. Un piccolo appunto sulla denominazione, eviterei la versione “ripasso”, forse un po’ troppo irruenta sulla delicatezza dell’agnello.

Per ogni “io non bevo vino”, corrisponde una “birretta?” uguale e contraria. Sceglierei una Ale di colore ambrato, dai profumi dolci, che vi lasci un retrogusto leggermente caramellato. Mi aspetto anche sia una birra dallo spunto amaro non eccessivo, il prosciutto è dolcissimo e va esaltato. Un’ultima raccomandazione: non esagerate con il contenuto in anidride carbonica della birra e fate amicizia con gli impianti di spillatura a pompa.

Zona: Valpolicella, Veneto

Stile: Gran Bretagna

Intensità:

Intensità: VALSANA | 17


Come si fa

FUORI I COLTELLI Il primo passo per far degustare al meglio un formaggio è selezionare lo strumento più adatto per tagliarlo: un breve viaggio nel mondo dei coltelli per formaggi Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

Quale coltello scegliereste per questo formaggio?

di Giulia Bassetto Coltelli: da dove iniziare? Potrei riempire queste pagine semplicemente elencandoli uno per uno, non a caso esiste un distretto industriale di coltelleria che tra l’altro si trova poco distante da noi, a Maniago in provincia di Pordenone. Inoltre il coltello è uno dei primi attrezzi progettati dall’uomo, usato sia come utensile che come arma sin dall’età della pietra. Insomma, ce n’è da dire sui coltelli! Ma la nostra missione è una e ben definita: in queste righe andremo alla scoperta del mondo dei coltelli per il taglio del formaggio. Parleremo di aspetti pratici e solo piccoli accenni tecnici, ma ci concederemo anche qualche sfumatura edonistica: niente regole, solo consigli.

RASCARD Formaggio di grandi dimensioni, morbido e a crosta lavata. E’ prodotto con latte di vacche alimentate con erba di pascolo. Dolce e burroso, fondente al palato, con spiccati sentori di crosta lavata; la morbidezza della pasta è accattivante. Si scioglie perfettamente, da provare sulla polenta, in una fonduta, in ripieni o come condimento di gnocchi. cod 31218 | peso 8,5 kg ca ordine minimo: 1/4

Iniziamo dal principio. Il coltello è uno strumento composto da due elementi, manico e impugnatura, assolutamente complementari l’uno con l’altro. Un coltello ben fatto, infatti deve avere un buon equilibrio tra queste due parti. Un esempio molto pratico: provate a tagliare un formaggio semiduro con un coltello la cui impugnatura è più piccola del palmo della mano! L’impresa sarebbe davvero ardua perché non potreste esercitare la pressione necessaria per riuscire nel taglio. Quindi, quando parliamo di equilibrio tra gli elementi, non sarà certo un equilibrio con delle proporzioni assolute, ma piuttosto un equilibrio relativo a: tipologia di utilizzo, tipo di formaggio in termini di pasta, forma e dimensioni, e persona che ne farà uso, la quale dovrà sentirsi sempre a proprio agio con lo strumento. Altra caratteristica di cui tener conto è lo spessore della lama: se troppo sottile e flessibile potrebbe dar vita a pericolosissimi e repentini movimenti, mentre se troppo spessa rischierebbe di portare a un taglio storto. Sempre parlando di lame, tenete in considerazione che ne esistono di vari tipi. La lama forgiata è spesso considerata la migliore: è ottenuta da un blocco di metallo che viene riscaldato e martellato all’interno di appositi stampi. I coltelli di questa fattura sono normalmente meno flessibili, più spessi e leggermente più pesanti, però mantengono il filo più a lungo. Si riconoscono dall’impugnatura dove è visibile il blocco unico di acciaio che compone VALSANA | 18

il coltello dalla punta della lama all’estremità posteriore. Esistono poi i coltelli di acciaio stampato, ottenuti grazie al taglio di un foglio di acciaio mediante apposito macchinario: più leggeri, maneggevoli, flessibili e sottili. E infine, tanto di moda adesso, i coltelli in ceramica che godono delle stesse proprietà di quelli in acciaio stampato ma con l’inconveniente di essere molto più delicati! A voi la scelta! Vi sconsigliamo, però, l’utilizzo di coltelli con lame che non siano piene perché non assolvono completamente al loro compito, cioè quello di tagliare, quindi dividere la pasta del formaggio. Ma raccontando di coltelli non possiamo non parlare anche di chi li utilizza, perché per quanto possa essere ben fatto lo strumento, l’azione del taglio saremo noi a compierla. Quindi quali comportamenti possiamo adottare per favorire la buona riuscita? Usare un piano di lavoro adatto, sicuramente un tagliere, posizionato a un’altezza adeguata: piani eccessivamente alti o bassi influiscono negativamente sulla postura, altro aspetto di cui tener conto. Sarete sicuri di avere una postura corretta quando, nel momento in cui esercitate la pressione sul formaggio, la direzione del vostro sguardo sarà perpendicolare a quella del piano di lavoro. Infine, dovremo essere in grado di scegliere lo strumento giusto in base al formaggio. Quindi la conclusione principale a cui possiamo giungere, alla fine di questa lunga premessa, è che per ogni formaggio esiste un coltello adatto che non lo rovini e che sappia esaltarne le caratteristiche. Possiamo permetterci di dire, perciò, che scegliere un coltello piuttosto che un altro sarà il primo passo di una buona esperienza di degustazione. E ora qualche consiglio che possa aiutarvi nella scelta, suddividendo i formaggi per consistenza della pasta. 1 | PASTA CREMOSA La consistenza della pasta è minima, si tratta di quei formaggi che possono essere spalmati, come lo Squacquerone di Romagna DOP o il Gorgonzola


Pulizia

DOP La Tosi al Cucchiaio. Gli strumenti adatti saranno la spatola oppure il cucchiaio, per l’appunto. (fig. 1)

Il coltello al termine dell’utilizzo va sempre prontamente lavato con saponi neutri e asciugato. Quest’operazione è da farsi anche prima di usarlo per tagliare un formaggio diverso dall’ultimo porzionato!

2 | PASTA MOLLE Facciamo riferimento a quei formaggi che presentano una pasta morbida, tendente al cremoso. Ad esempio il Taleggio DOP. I coltelli adatti in questo caso sono quelli dalla lama molto sottile di modo che, durante il taglio, la pasta non resti irreparabilmente attaccata alla lama rovinando la superficie di taglio. Questi coltelli si possono usare anche per le mozzarelle o più in generale per tutte le paste filate fresche. (fig. 2) 3 | PASTA FRIABILE

1 2

La pasta di questi formaggi è delicata e di facile rottura. Prendiamo come esempio i caprini freschi oppure le ricotte. Lo strumento più adatto è l’arco con filo perché può sezionare delicatamente ma con precisione, senza rovinare il formaggio. Attenzione: giunti alla fine del taglio estraete il filo facendolo scorrere sotto il formaggio, altrimenti un movimento vero l’alto rovinerebbe la pasta! Possiamo considerare parte di questa categoria anche gli erborinati come il Gorgonzola DOP Piccante. (fig. 2) 4 | PASTA SEMIDURA E DURA La pasta semidura non è molle ma nemmeno troppo compatta e pone una resistenza modesta al taglio. Fanno parte di questa categoria i formaggi latteria freschi o alcune paste filate stagionate. Aumentando quindi la consistenza si rende necessario l’utilizzo di lame più grandi e leggermente più spesse. Per alcuni formaggi tipo Emmentaler AOP tradizionalmente vengono usati anche coltelli a lama trapezoidale o a spatola, con impugnatura all’estremità superiore. Strumenti che spesso si rivelano molto pratici anche nel porzionamento al banco. (fig. 3)

3

5 | PASTA DURA O TIPO GRANA Per i formaggi a pasta dura, che oppongono una sensibile resistenza al taglio è necessario usare dei coltelli di grandi dimensioni, con lama dalla costa spessa e punta quadrata. Qualche esempio: formaggi Latteria stagionati, Asiago Vecchio, Vezzena di Lavarone DOP. Spesso il dorso dei coltelli adatti a questi formaggi è appiattito per permettere a chi taglia di esercitare un’ulteriore pressione con il palmo della mano libera. Per forme di grandi dimensioni, sia semidure che dure, il coltello può prevedere anche una doppia impugnatura, così da esercitare una pressione uniforme e costante. Per contro, per formaggi di piccole dimensioni come il Pecorino Toscano DOP può essere utile usare una piccola mannaia. (fig. 3) Infine, per paste molto stagionate o compatte tipo il Parmigiano Reggiano DOP o lo stesso Asiago Vecchio, può rendersi necessario un taglio più scenografico, che valorizzi la granulosità della pasta. Sarà quindi preferibile spaccare il formaggio anziché praticare tagli netti, quindi dovrete usare prima un coltello a uncino per l’incisione della crosta, e poi un coltello a lancia, abbinato a quello a mandorla o con la punta squadrata per generare le fratture nella pasta che ne permettono poi la rottura. (fig. 4)

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Letteratura tra i fornelli

PETRONILLA, NON È SOLO UNA PENTOLA! Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

QUANDO IL LATTE STA PER INACIDIRE Quando, scarseggiando il latte si è costrette a trattenere mezza porzione della giornata per il “caffè e latte” del mattino appresso, può darsi che – sebbene serbato coperto e al fresco - fiutandolo, prima di farlo bollire, se ne avverta un tantin acido l’odore. In tale non rara eventualità, la massaia scrupolosa ben si guarda dal mettere tale e quale il suo latte a fuoco giacché sa, per esperienza, come così facendo correrebbe il brutto rischio di vederselo, di colpo, tutto raggrumarsi. Ma ella, che vuol godere inalterato il suo poco ma prezioso latte, ad esso aggiunge (se si tratta di mezzo litro) mezzo cucchiaino di bicarbonato, nella certezza che questo innocuo e potente alcalino, neutralizzando di colpo l’incipiente acidità del latte, le permetterà di farlo impunemente bollire e di poterlo così presentare intatto. Buon appetito!

Chi è Amalia Moretti Foggia della Rovere alias Petronilla, medico, cuoca e giornalista che ha dispensato i suoi consigli culinari alle donne degli anni Quaranta di Danilo Gasparini LA VITA Il fornetto o pentola Petronilla, nota anche come pentola o fornetto Versilia, prende il nome da una figura importante di giornalistacuoca, Petronilla appunto, alias Amalia Moretti Foggia della Rovere (Mantova 1872-Milano 1947) medico e giornalista italiana. Si laurea in Scienze naturali a Padova nel 1895 e in Medicina e Chirurgia nel 1898 a Bologna: è tra le prime in Italia. Vive a Milano con il marito, il professor Della Rovere, anatomopatologo, dove dirigerà per quarant’anni la sezione pediatrica del poliambulatorio di Porta Venezia. Inizia a collaborare con la Domenica del Corriere nel 1929, l’anno in cui iniziano le pubblicazioni della rivista La Cucina Italiana, ancor oggi in edicola. Agli inizi, con lo pseudonimo di “Dottor Amal” tiene una rubrica settimanale di consigli di dietetica e di educazione alimentare. Il successo è immediato tanto che decidono di affidarle, dal 1930, una seconda rubrica intitolata “Tra i fornelli”: decide di firmarsi con il nome di un personaggio dei fumetti, Petronilla, creato dal disegnatore americano G. McManus e che raccontava le avventure della coppia Jiggs e Maggie. In Italia i due personaggi verranno chiamati Arcibaldo e Petronilla e le loro avventure vengono pubblicate dal Corriere dei Piccoli, giornale a cui Amalia collaborerà firmando anche qui delle rubriche. Così, di settimana in settimana, fino alla vigilia della morte, Petronilla, oltre a consigli medici, distribuirà i suoi saperi culinari (oltre 800 ricette e consigli) a un mondo femminile, le casalinghe, destinato a interpretare un ruolo fondamentale all’interno dell’ideologia VALSANA | 20

e del regime fascista. Il cibo veniva visto dal regime come identità di una nazione, la più genuina, la più tradizionale a cui ancorarsi, soprattutto dopo le sanzioni, sancite dalla Società delle Nazioni dopo l’aggressione dell’Italia all’Etiopia. LA MISSIONE In questo momento di crisi e di ripiegamento questa la sua missione: convincere le signore della buona borghesia che anche senza materie prime si possono preparare “pranzetti deliziosi”: maionese senza olio, gelatina senza carne, dolci senza zucchero, cioccolato senza cacao, caffè senza caffè. Sarà il suo un successo a macchia d’olio: una blogger ante litteram capace di costruire una comunità femminile ampia e diversa per estrazione sociale. Il format delle sue ricette era chiaro: svelto a fare, gustoso e di basso costo. Bisognava diversificare proposte e gusti tenendo sotto controllo la spesa e senza passare giornate ai fornelli. E questo sarà pressante, dopo le sanzioni, in tempi di ristrettezze economiche, di scarsa disponibilità di materia prima, di poca o nessuna servitù e di donne che magari lavoravano. Altro obiettivo, consono alla cultura della famiglia del tempo: non solo sfamare figli famelici, ma tenersi ben stretto anche il marito, “…se non si vuole che il marito rimpianga la lunga lista dei piatti che gli veniva presentata alla trattoria” . In questo modo si governavano e si aggiustavano le relazioni familiari a tavola. Lo stoccafisso in umido è piatto capace “persino a spianare la fronte del marito quand’è corrugata per l’arrivo o della bolletta del gas, o della nuova cartella delle tasse, o di un conto salato della sarta”. Il tutto con un linguaggio e un tono colloquiale e una forma semplice.


LE RACCOLTE Tale il successo che le ricette vengono raccolte in successivi volumi: Ricette di Petronilla esce nel 1935, Altre ricette di Petronilla nel 1937, Ancora ricette di Petronilla nel 1940. Dopo l’entrata in guerra nel 1941 esce Ricette di Petronilla per tempi eccezionali, nel 1943 200 suggerimenti… per questi tempi e Desinaretti per… questi tempi nel 1944. Volumi, questi ultimi, che fotografano un mondo in dissoluzione, con le mille tragedie che colpiscono le famiglie. Nell’emergenza bisognava sfamare con quello che c’era, consolare come si poteva e fare festa quando si poteva: era il tempo delle tessere annonarie. Di necessità virtù, usando ogni alimento anche quelli al limite del deterioramento, preparando una pasta-asciutta di magro usando mezzo tubetto di pasta d’acciughe, mezzo chilo di pasta, uno spicchio d’aglio e un surrogato di pepe o la “farina di lenticchie” tesserata. Di fronte alla mancanza di burro, di latte, di carne, di zucchero... di tutto, Petronilla cerca di dare suggerimenti a “figlie, mogli, mamme che colpite da una sorte non certo benigna – erano destinate a vivere in questi tempi di guerra spaventosa che sconvolge l’intiero mondo”. Poi finirà la guerra e per celebrare chi è tornato “dalla Toscana o dalle Alpi o dalla Germania o dalle carceri o dall’ospedale” propone, il 27 maggio del 1945, una ciambellona preparata con un uovo, un cucchiaio di zucchero e uno di burro. Questa è stata Amalia Moretti Foggia, Petronilla, una donna coraggiosa e prudente, moderata e rivoluzionaria, che a suo modo lottava per l’emancipazione femminile e delle classi popolari. A confronto di tanti soloni narcisi che imperversano in rete e in tivvù Amalia Moretti Foggia, pardon Petronilla, anche solo sul piano culinario, è stata ed è un gigante.

«Io non sono una professorona che parla dall’alto di una cattedra cucinaria; io sono semplicemente una qualunque donnetta che dalla modestissima tavola della sua borghesissima cucina dice quali piatti ella riserbi per le sue colazioni e i suoi pranzetti» Petronilla VALSANA | 21


Cibo dal mondo

SI FA PRESTO A DIRE TIMBALLO Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

Reso celebre dal romanzo “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, il timballo, per fastosità e opulenza, rappresenta il simbolo della cucina dei Monsù, i cuochi delle famiglie aristocratiche palermitane. Ma quali sono le sue origini e quali i piatti a lui affini? di Vittorio Castellani

Gli storici si trovano pressoché tutti concordi sull’origine del nome timballo, che deriverebbe dal termine francese timbale, un particolare strumento a percussione assai simile per la sua forma allo stampo sferico o al semi cono usato in cucina per preparare pietanze sformate. Ma se volessimo tentare di scoprire le origini di questo monumento storico della gastronomia partenopea e sicula ci troveremmo aggrovigliati in un giallo impossibile da districare. ORIGINI DEL TIMBALLO Secondo alcuni, gli antenati del timballo figurerebbero in versione sia dolce (placenta) che salata (pisam fasilem) già

nei ricettari dell’Antica Roma che li diffuse in varie Province dell’Impero attraverso il suo esercito, che aveva adottato questa pietanza come cibo prediletto per la facilità di trasporto. Secondo altri il timballo di riso sarebbe invece stato introdotto in Sicilia nell’XI secolo dall’Emiro goloso Ibn al-Thumna, in una versione assai diversa dall’attuale, privo cioè di pomodoro, ma molto ricco di carni e spezie preziose. Il timballo conobbe il suo momento di gloria nel Medioevo, quando si arricchì d’ingredienti e si diffuse a macchia d’olio in varie aree dell’Europa, cambiando forma e altezza. VALSANA | 22

Diventerà ovale, ad anello, quadrato o rettangolare e insieme alla forma cambieranno anche il tipo d’impasto utilizzato per il suo involucro e le farciture. Poteva contenere un “pasticcio” fatto di pasta, carni, crostacei, molluschi, pesci o frutta e a volte veniva completato da strati di creme o mostarde, abbinando il dolce al salato. Ma c’è anche chi sostiene l’origine greca o ottomana, trovando analogie tra questa specialità e le “torte salate” di pasta phyllo (tiropita, spanakopita) o quelle turco balcaniche di pasta yufka (börek). DECLINAZIONI Viaggiando in Europa e in altre parti del mondo troviamo

diverse ricette imparentate concettualmente con il timballo, a cominciare dai Pie anglosassoni, sformati in crosta, ripieni più frequentemente di carni (meat pie, pork pie), di carni e vegetali (chicken & mushroom pie) o di sole verdure (Woolton pie). Ancora oggi i Pie rappresentano una delle specialità gastronomiche più apprezzabili del Regno Unito che vennero diffuse dai coloni durante l’epoca dei pionieri, dagli Stati Uniti fino all’Australia e Nuova Zelanda, dalla Giamaica, all’Africa anglofona, in decine di varianti. Per i francesi un piatto cucinato nel forno all’interno di


TIMBALLO DI MACCHERONI Nella variante povera napoletana il timballo poteva rappresentare un modo per riciclare un avanzo di pasta, arricchito con sugo di pomodoro e ingredienti a piacere (piselli, carne, formaggio, funghi). Nella versione gattopardesca un piatto barocco ripieno di: “fegatini di pollo, ovette dure, sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti”

una teglia o ricoperto da una pasta di varia natura (pâte brisée, feuilletée) è una tourte, un paté o une tielle e anche in questo caso le varianti certo non mancano. Alcune sono particolari come la tielle sétoise, ripiena di polpo, importata da Gaeta a Séte, nel Midì dai migranti italiani del secolo scorso. Altre dalla Francia sono emigrate in nord America, come la tourtière du Lac-Saint-Jean del Québéc, un timballo di pasta brisée ripiena di carne tritata e patate. Al Regno Unito e alla Francia bisogna aggiungere poi le tradizioni importantissime della Spagna, che a partire dalla Galizia hanno solcato i mari in direzione del Mediterraneo da un lato, fino alle coste dell’Argentina dall’altro. In castigliano il verbo empanar, significa «encerrar algo en masa para cocerlo en el horno» ovvero racchiudere in un impasto qualcosa per cuocerlo al forno. Ecco svelata l’origine dell’empanada gallega, che da timballo delle origini, farcito con pesci o molluschi, ha visto ridurre la sua taglia e variare il suo ripieno per trasformarsi in panada in Sardegna e in empanada in Argentina e in un’altra dozzina di Paesi latinoamericani. PER CONCLUDERE Ciò che affascina dell’universo gastronomico, non è tanto disquisire su chi ha inventato che cosa e quando, ma approfittare dell’immensa varietà di cibi che gli uomini e i popoli si sono scambiati nel corso dei millenni, sapendo che non esiste un solo piatto al mondo che non sia il frutto di uno scambio per quello che riguarda gli ingredienti, le tecniche o gli strumenti utilizzati.

TOURTIÈRE DU LAC-SAINT-JEAN E’ un pasticcio di carne e patate, insaporito con timo, foglie di salvia, pepe, cannella e polvere di chiodi di garofano. E’ una specialità tipica della Regione del Québec, dove costituisce uno dei piatti tradizionali della vigilia di Natale

PECORINO ROMANO DOP CROSTA NERA

MORTADELLA ARTIGIANQUALITY

Classico Pecorino Romano DOP prodotto in Sardegna con latte termizzato da pecore di Razza Sarda. Sapido e intenso al palato, è ideale anche per dare un tocco in più alla farcia di torte salate, timballi e paste fresche ripiene

Prodotta secondo la ricetta classica di Bologna. Il sapore è dolce e delicato grazie a una speziatura bilanciata, alla lunga cottura a bassa temperatura nelle stufe, all’assenza di sottoprodotti, farine, latte e derivati, aromi chimici o emulsionanti

cod 31541 | spicchio da 350 g ca cod 31542 | 1/8 3,5 kg circa VALSANA | 23

cod 78763 | a metà 7 kg circa


Idee per il menù bambini

GNOCCHI DI RICOTTA DELLA PERI Kids foodblogger e autrice del libro “Bimbe e bimbi a tavola”, Elisa Perillo, conosciuta in cucina come la Peri, si occupa di ricette sane per bambini e tiene regolarmente laboratori di cucina dedicati a loro. Ama usare ingredienti di qualità combinati in preparazioni semplici che incontrino il gusto dei piccoli commensali. periandthekitchen.com Facebook.com/ periandthekitchen Instagram: @periandthekitchen

Semplici da preparare, genuini e appetitosi, sono una ricetta adatta anche a bambini piccoli di Elisa Perillo

Brutti ma buoni! So che in realtà è il nome dei famosi pasticcini ma lo prendo in prestito perché si addice alla grande anche a questa ricetta. Eh sì perché questi gnocchetti di ricotta sono davvero appetitosi, anche se la loro forma un po’ imperfetta non rende tanto giustizia. Ma quel che conta a tavola è il gusto e la semplicità. Senza dimenticare, ovviamente, l’aspetto salutare. A base di tre semplici ingredienti – ricotta di pecora freschissima, farina e uova - questi gnocchetti sono davvero

FIOR DI RICOTTA PURA PECORA Ricotta ovina estremamente delicata, prodotta con l’aggiunta di latte. Presenta una grana grossolana e con i fiocchi riconoscibili. Il sapore è dolce e contraddistinto da note di burro. Le sensazioni animali sono appena percettibili. Ottima in pasticceria per preparare creme di ricotta e in cucina per preparare semplici sughi per primi piatti, oppure per la pasta ripiena cod 31346 | peso 2 Kg circa

velocissimi da preparare: non serve infatti cucinare nulla prima, se non le pepite stesse. Il gusto è molto delicato e facile da proporre anche ai bambini piccoli. Conditi con del sugo di pomodoro fresco e accompagnati, prima o dopo, da un po’ di verdura cruda diventano un piatto unico completo e bilanciato. Potete usare la ricotta anche per preparare dei coloratissimi gnocchi di carote: in questo caso sarà necessaria anche una parte di patate nell’impasto.


iù Più facile è p

buono!

GNOCCHI DI RICOTTA INGREDIENTI PER 4 PORZIONI 500 gr di Fior di Ricotta di Pecora Il Fiorino 2 uova, 1 pizzico di sale 200 gr circa di farina di farro per l’impasto iniziale farina q.b. per lavorare gli gnocchi olio evo, salsa di pomodoro e basilico

3

SANE RAGIONI

PER METTERE NEL MENÙ BIMBI GLI GNOCCHI DI RICOTTA DELLA PERI

Procedimento Scolate accuratamente la ricotta di pecora. Versatela in una terrina, unite le uova intere e un pizzico di sale e amalgamate bene con una forchetta. Incorporate anche la farina setacciata e lavorate bene l’impasto. Riponetelo quindi in frigo per circa mezz’ora, ricoperto da una pellicola (può stare anche più a lungo fino a quando vi occorre). Prendete con l’aiuto di un cucchiaio un po’ di impasto (poco per volta) sporcandovi bene le mani con altra farina e distribuendone in abbondanza anche sul piano di lavoro. L’impasto risulta morbido e un po’ appiccicoso, ma usandone poco per volta riuscirete a fare dei piccoli salsicciotti da cui ricavare deglii gnocchetti. Gettateli subito in abbondante acqua bollente salata. Toglieteli dalla pentola con l’aiuto di una schiumarola e serviteli conditi con un buon sughetto di pomodoro fresco e basilico

1. 2. 3.

La Peri suggerisce... Questa ricotta di pecora, proprio per il suo sapore estremamente delicato, può essere sfruttata al posto del mascarpone per preparare degli ottimi tiramisù, per la farcitura di sfiziose cheesecake o crostate, può essere utilizzata nell’impasto di soffici torte oppure, frullata con un po’ di yogurt greco e zucchero a velo, può diventare la base per dei golosi dessert al bicchiere, in abbinata alla frutta fresca di stagione. VALSANA | 25

Questi gnocchi sono preparati con ingredienti semplici e genuini che li rendono una ricetta adatta anche a bambini piccoli Con un’unica portata offrirete un piatto unico, bilanciato e completo La presenza della ricotta nell’impasto fa sì che questo ingrediente possa essere proposto anche a chi fatica a mangiarlo nella versione a crudo


Come si riconosce?

SENZA GLUTINE Cosa significa “senza glutine” e come possiamo essere sicuri che un alimento non lo contenga? Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

di Giorgia Barbaresco

Negli ultimi anni ci siamo abituati a prestare più attenzione alla composizione degli alimenti, o meglio, a quello che non contengono. Un po’ per moda, un po’ per necessità, spesso ci viene chiesto: “questo prodotto è senza glutine”? Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza rispetto a questo tema. Come sempre il nostro obiettivo è quello di aumentare la consapevolezza e renderci “autonomi” nelle scelte, senza condizionamenti legati a pubblicità o falsi problemi. COS’È IL GLUTINE E DOVE SI TROVA

SPIGA BARRATA

PETTO DI TACCHINO COTTO AL FORNO Arrosto di fesa intera di tacchino dal gusto dolce e leggermente sapido, con intenso profumo di arrosto e note delicate di piante aromatiche cod 78127 | peso 2 kg circa

Il glutine è una proteina, o meglio un complesso di proteine: le più importanti sono le gliadine (che garantiscono l’estensibilità agli impasti) e le glutenine (responsabili della viscosità ed elasticità). La quantità e la qualità di glutine presente in una farina è un indice fondamentale per valutarne l’attitudine alla panificazione. E’ presente in molti cereali fra i quali frumento, segale, orzo, farro, spelta, grano Khorasan (spesso in commercio come KAMUT®), triticale. Lo si trova anche nei prodotti da forno, nella pasta, in tutti i prodotti trasformati che si ottengono con i cereali sopraccitati (ad esempio birra, malto, seitan). Non c’è invece nel riso e nel mais, a meno che non vi siano contaminazioni durante la raccolta o lo stoccaggio. IL GLUTINE È DANNOSO PER LA SALUTE? In linea generale no, ma ci sono persone che non possono mangiare il glutine, perché sono celiache o addirittura allergiche. Tuttavia ci sono alcune persone che hanno escluso il glutine dalla propria dieta perché

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hanno riscontrato una certa “sensibilità” o semplicemente perché lo ritengono nocivo. Dobbiamo inoltre tenere in considerazione il fatto che, negli ultimi anni, sempre di più le scelte alimentari sono influenzate da mode e tendenze e il marketing ha avuto un peso sempre maggiore. Nei soggetti celiaci, il glutine scatena la produzione di anticorpi diretti contro la mucosa che riveste l’intestino, danneggiandola. Sono l’1% della popolazione e la malattia ha una base genetica. Non esistono terapie definitive, ma le lesioni regrediscono se si segue una dieta priva di glutine, che in questi casi è quindi necessaria per prevenire complicazioni come osteoporosi, carenze nutrizionali e tumori. L’allergia al grano invece è una reazione allergica come quelle per il polline, la polvere o l’uovo. Chi ne soffre non può assolutamente mangiare cibi che contengano glutine. Chi soffre di sensibilità al glutine accusa disturbi digestivi, debolezza e malesseri vari, ma non ci sono analisi del sangue che dimostrino questa condizione, né lesioni della parete dell’intestino, che si riscontrano invece nei soggetti celiaci. COSA SIGNIFICA “SENZA GLUTINE”? Un prodotto “senza glutine”, per essere definito tale, deve contenere una quantità di glutine inferiore ai 20 ppm (20 parti per milione) e corrisponde a una concentrazione di 20 mg di glutine su 1 kg di alimento. Questo limite è stato individuato attraverso studi scientifici ed è adottato dalle legislazioni di tutto il mondo per individuare un alimento adatto ai celiaci.


La dicitura “senza glutine” è di natura volontaria: qualsiasi alimento che rispetti questo limite può riportare questa dicitura. Ciò significa garantire non solo l’assenza di glutine o cereali contenenti glutine tra gli ingredienti, ma anche l’assenza di potenziali fonti di contaminazione durante tutto il processo produttivo. Quindi le aziende che volontariamente decidono di apporla, sanno di dover garantire questo limite e di essere responsabili di tale requisito. Sono invece obbligatorie le diciture “senza glutine, specificamente formulato per celiaci” o “senza glutine, specificamente formulato per persone intolleranti al glutine” per i prodotti inseriti nel Registro nazionale degli alimenti senza glutine che vengono erogati ai celiaci attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. A volte, in etichetta, capita di trovare anche una dicitura tipo “Può contenere tracce di…”, si tratta di un’indicazione volontaria utilizzata dalle aziende per indicare una potenziale presenza di glutine per contaminazione accidentale. Tuttavia è importante sottolineare che per la norma è obbligatorio indicare la presenza del glutine (e di qualsiasi altro allergene) ma non è obbligatorio dichiarare l’eventuale presenza potenziale di glutine per contaminazione accidentale. COME POSSIAMO ESSERE SICURI ALLORA?

Il marchio Spiga Barrata: • viene concesso soltanto alimentari confezionati

a

prodotti

• le etichette dei prodotti verificati e approvati da AIC oltre al claim “senza glutine” riportano il logo Spiga Barrata registrato, rosso su fondo bianco o bianco su fondo rosso e con la ® di logo registrato, insieme a un codice

In etichetta inoltre, come abbiamo visto prima, possiamo trovare la dicitura “senza glutine” o “gluten free” oppure un simbolo riconosciuto come “spiga sbarrata”. La spiga barrata è il simbolo di AIC (Associazione Italiana Celiachia) che viene apposto sulle confezioni degli alimenti che rispettano il limite normativo del contenuto di glutine (non superiore ai 20 ppm) e che sono stati verificati da AIC. Per questo motivo, e vista l’immediata riconoscibilità, è diventato un simbolo guida per le persone celiache.

Figura 2 prodotto senza glutine, si riconosce dalla dicitura “senza glutine” o gluten free

• secondo il sistema di codifica europeo, il codice identifica: il paese che ha rilasciato la concessione (per l’Italia, IT) l’azienda produttrice e il prodotto stesso • Il codice prodotto deve essere riportato almeno sotto uno dei loghi presenti sulla confezione, a conferma di una regolare concessione del Marchio. Oltre alla spiga barrata AIC ha redatto e aggiorna costantemente il Prontuario degli Alimenti. Si tratta di una pubblicazione che raccoglie, suddivisi per tipologia, sia prodotti specificamente formulati per celiaci pubblicati nel Registro del Ministero della Salute, sia prodotti di “consumo corrente” garantiti dalle aziende produttrici e prodotti che hanno ottenuto la concessione del Marchio Spiga Barrata da AIC. I prodotti inseriti nel prontuario non necessariamente riportano la spiga barrata in etichetta, ma in entrambi i casi possiamo stare tranquilli che non contengono glutine!

Ancora una volta l’etichetta ci viene in aiuto. Con l’entrata in vigore del Reg. UE 1169/2011 è diventato obbligatorio indicare gli ingredienti che contengono allergeni in un modo chiaro che si distingua dal resto degli ingredienti, con “un tipo di carattere chiaramente distinto dagli altri ingredienti elencati, per esempio per dimensioni, stile o colore di sfondo”.

Riportiamo di seguito alcuni esempi di etichette che ci possono aiutare a riconoscere se un prodotto contiene o meno glutine.

Figura 3: prodotto senza glutine, si riconosce dal marchio spiga barrata

Figura 4: prodotto contenente glutine, si riconosce perchè indicato tra gli allergeni

Figura 1: il marchio spiga barrata è sempre accompagnato da un codice prodotto composto da tre elementi che identificano; 1) il Paese 2) l’azienda e 3) prodotto

XX-YYY-ZZZ SENZA GLUTINE

Ad esempio, il codice IT-304-056 potrebbe identificare il prodotto “crostatina al mirtillo” dell’azienda italiana X, identificata dal numero 304, mentre il codice IT-304057 potrebbe identificare la “crostatina alla fragola”, sempre dell’azienda X

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E QUINDI? Se un prodotto riporta in etichetta la dicitura “senza glutine” o “gluten free” la sicurezza dell’alimento è garantito dalla legge. Il marchio spiga barrata e l’inserimento nel prontuario AIC sono delle informazioni aggiuntive.


Come si riconosce? PERMESSI, VIETATI O A RISCHIO?

UNA RIFLESSIONE PER CONCLUDERE

Per fare un po’ chiarezza propongo questa tabella che ci aiuta a capire quali cibi possono essere tranquillamente proposti e consumati dalle persone che, per un motivo o per l’altro, non possono assumere glutine.

Nella nostra quotidianità, professionale e personale, ci è sicuramente capitato di incontrare persone che non possono mangiare qualsiasi alimento. Credo sia opportuno tenere a mente che chi è obbligato a evitare certi cibi vive una condizione che limita la sua vita sociale, che non è sicuramente piacevole.

Distinguiamo innanzitutto gli alimenti permessi, naturalmente privi di glutine, dagli alimenti vietati che invece lo contengono. L’attenzione maggiore deve essere posta nella verifica dell’etichetta degli alimenti a rischio, ossia quegli alimenti che potrebbero contenere glutine in quantità superiore ai 20 ppm o a rischio di contaminazione, per i quali è necessario controllare gli ingredienti e i processi di lavorazione: sono infatti propri questi i prodotti che l’AIC verifica ed eventualmente inserisce nel suo Prontuario degli Alimenti.

Nel nostro Paese ogni evento diventa l’occasione per mangiare: per festeggiare, per stare insieme e per parlare di lavoro. Mettiamoci quindi nei panni di una persona che in questo contesto deve conoscere cosa può e non può scegliere. Conoscere quello che offriamo ai nostri clienti è una responsabilità che vogliamo assumerci e saper rispondere alle loro domande rafforza il rapporto di fiducia.

RIO

PRONTUA AIC

SPECK RISERVA ROEN Speck pregiato prodotto dai F.lli Corrà con cosce di suini pesanti nazionali e stagionato almeno 9 mesi. Il sapore è dolce, con un’affumicatura equilibrata. cod 82335 | peso 3,5 kg

ALIMENTI PERMESSI

ALIMENTI A RISCHIO

ALIMENTI VIETATI

alimenti naturalmente privi di glutine

alimenti che potrebbero contenere glutine

alimenti che contengono glutine

Formaggi e latte Yogurt al naturale Panna fresca e burro Olio e aceto Pepe, sale, zafferano, spezie ed erbe aromatiche Tutti i tipi di carne Tutti i tipi di pesce, molluschi e crostacei Pesce conservato: al naturale, sott’olio, sotto sale, affumicato, privo di additivi, aromi e altre sostanze Uova (intere, tuorli o albumi) liquide pastorizzate prive di additivi Prosciutto crudo Lardo di Colonnata IGP Lardo d’Arnad DOP Riso in chicchi Mais cotto al vapore Miglio in semi Quinoa in semi Tutti i tipi di verdura tal quale Verdure e funghi conservati (in salamoia, sottaceto, sott’olio, sotto sale) se costituiti unicamente da: verdure e/o funghi, acqua, sale, olio, aceto, zucchero, anidride solforosa, acido ascorbico, acido citrico, spezie e piante aromatiche Verdure cotte al vapore/lessate anche se addizionate di sale, acido ascorbico e acido citrico

Mix di cereali “permessi” Farine, fecole, amidi, creme e fiocchi dei cereali “permessi” Farina per polenta precotta e istantanea, polenta pronta Farina di: ceci, soia, castagne, mandorle, nocciole, ecc. Salumi e insaccati (bresaola, coppa, cotechino, lardo, mortadella, pancetta, prosciutto cotto, salame, salsiccia, speck, würstel, zampone, affettati di pollo o tacchino, ecc.) Hamburger Pesce conservato: al naturale, sott’olio, sotto sale, affumicato, addizionato di altre sostanze (a esclusione di solfiti, acido citrico e acido ascorbico) Omogeneizzati, piatti pronti o precotti di carne, pesce e prosciutto Surimi Panna UHT e formaggi spalmabili Yogurt alla frutta, creme, budini, dessert, panna cotta a base di latte, soia, riso Besciamella con farine di cereali permessi Sughi pronti (anche pesto) Mostarde e salse Tofu Cacao e cioccolato Marmellate Gelato

Frumento (grano) Farro Orzo Avena Segale Grano khorasan (commercializzato come Kamut®) Spelta Triticale Farine, amidi, semole, semolini, creme e fiocchi di questi cereali Primi piatti preparati con i cereali vietati (paste, paste ripiene, gnocchi di patate, gnocchi alla romana, pizzoccheri, crêpes) Pane e prodotti da forno, dolci e salati, preparati con i cereali vietati (pancarrè, pangrattato, focaccia, pizza, piadine, panzerotti, grissini, crackers, fette biscottate, taralli, crostini, salatini, biscotti, merendine, pasticcini, torte) Bulgur e couscous (da cereali vietati) Malto dei cereali vietati Carne o pesce impanati ( es. cotoletta, bastoncini, frittura di pesce, ecc.) o infarinati o miscelati con pangrattato (hamburger, polpette, ecc.) o cucinati in sughi e salse addensate con farine vietate Piatti pronti a base di formaggio impanati con farine vietate Yogurt al malto, ai cereali, ai biscotti Bevanda ai cereali Besciamella con farine di cereali vietati

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Tecniche di cucina

LA MANTECATURA Mantecare significa lavorare quel che si sta cucinando in modo da conferire un aspetto morbido e cremoso di Anna Maria Pellegrino

La Treccani definisce così la mantecatura: “lavorare sostanze grasse fino a ottenere un composto che abbia la consistenza pastosa della manteca. In culinaria, lavorare una vivanda con burro o panna, specialmente durante la cottura, in modo tale da conferirle un aspetto morbido e cremoso, come mantecare un risotto.” Dalla consultazione dei libri di cucina (e non di ricette!) se ne deduce che non è una tecnica che ci arriva dal mondo francese: Paul Bocuse (La nuova cucina, Rizzoli, 1976) non la menziona e neppure nell’elegante opera di Henri-Paul Pellaprat (L’arte della cucina moderna, Sansoni, 1968), che già

illustra le qualità fisiche e chimiche della margarina e del burro di cacao, si prende in considerazione la mantecatura. Tecnica di cucina assolutamente consueta invece per Il Cucchiaio d’argento (Ed. Domus, 1954) e per Il Carnacina (Garzanti, 1961) che la consiglia addirittura per la lavorazione dei gelati. Mantecare significa quindi lavorare, verso fine cottura e nel tegame utilizzato, quel che si sta cucinando con burro, panna, formaggio, pane grattugiato, olio d’oliva. È comunque possibile utilizzare una crema vegetale che restituirà uguale morbidezza con un minor apporto calorico.

Ma non basta conoscere la chimica e la fisica dei grassi (o degli ingredienti) per ottenere un buon risultato: fondamentale è lo strumento utilizzato per terminare l’iter di preparazione del piatto e il materiale con cui questo è prodotto. Ho chiesto lumi a Roberto Alberti, Brand Ambassador & Key Account Manager Zwilling Ballarini Italia Srl, circa l’importanza di conoscere e di scegliere i giusti materiali per gli strumenti di cottura, attenzione che va posta anche per la scelta corretta di padelle, work e casseruole. [continua a pag. 30]

ORZOTTO CON VERDURE

Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo


Ecco, in breve, i suoi suggerimenti: • i materiali più indicati sono l’alluminio e il rame, soprattutto per le cotture più delicate; • fondamentale scegliere articoli con le corrette curvature delle pareti, che facilitano il rimescolamento dell’alimento, ad esempio saltapasta e wok; • un buon antiaderente permette una perfetta cottura, abbinato al piano di riscaldamento adeguato; • specifici antiaderenti chiari, permettono di controllare, ad esempio, la perfetta doratura del burro. Ed eccoci alle ricette dove burri dai sentori insoliti, una colatura di alici e un olio extravergine uniti al glutine di un’ottima pasta, un mix siciliano di ingredienti con formaggi dalla forte personalità e dei legumi a crema saranno alleati indispensabili per un ottimo risultato.

ORZOTTO CON VERDURE

PROCEDIMENTO (foto nella pagina precedente) Tosta in una casseruola dal fondo pesante e già calda l’orzo per 3’, unisci PORTATA: piatto unico un mestolo di brodo vegetale caldo e DOSI: per 4-6 persone continua la cottura, secondo le indicazioni DIFFICOLTÀ: minima del produttore, a fuoco dolce, mescolando PREPARAZIONE: 20’ di tanto in tanto. COTTURA: 30’ Nel frattempo taglia a julienne il cavolo e cubetta scalogno e carota, e INGREDIENTI cuocili a vapore a 100° per 6’: dovranno restare croccanti. In una ciotola condisci 300 g di orzo perlato, sciacquato delicatamente le verdure appena cotte 30-40 g di Beurre De Baratte au Sel con il burro affumicato. Mettile da parte, Viking (sale affumicato) così da farle marinare. 150 g di cavolo nero Tosta le mandorle in una padella 100 g di scalogno antiaderente fino a farle dorare. Metti da 100 g di carote parte. 30 g di mandorle a lamelle tostate 30-40 g di Beurre De Baratte au Piovre Controlla la cottura dell’orzo, regola di sale, unisci le verdure e il burro al pepe. Sauvage (pepe nero) Amalgama delicatamente e servi brodo vegetale completando il piatto con le mandorle. sale, se necessario

SPAGHETTINO (O FETTUCCINA) AL FARRO CON LE ALICI FUJTE INGREDIENTI PORTATA: primo piatto DOSI: per 4 persone 280 g di spaghetti al farro DIFFICOLTÀ: minima colatura di alici, 1 cucchiaino per commensale PREPARAZIONE: 15’ 1 cucchiaio di capperi sciacquati COTTURA: 15’ 8 falde di pomodori essiccati Ready to Eat 20 g di pistacchi sbollentati, spellati e tostati 1 arancio bio essenza di pepe nero, Pri.ma Bio essenza di cardamomo, Pri.ma Bio olio extravergine d’oliva Cava Rossa sale qualche pomodoro confit e fior di cappero per il servizio PROCEDIMENTO Trita i pistacchi, cubetta le falde di pomodoro e sciacqua i capperi. Metti da parte. Ottieni dall’arancio le zeste e il succo. In una ciotola emulsiona il succo d’arancio con tre cucchiai di olio evo e spruzza per due volte l’essenza di cardamomo. Mescola e metti da parte. Lessa la pasta seguendo le indicazioni del produttore avendo l’accortezza di toglierla a metà cottura, quindi trasferiscila in un wok o in un saltapasta. Unisci l’emulsione, un mestolo di acqua di cottura e continua la cottura mantecando la pasta al dente, aggiungendo altra acqua di cottura calda. Verso la fine unisci il pomodoro, i capperi e la colatura di alici. Servi immediatamente decorando con le zeste di arancio, il pistacchio e l’essenza di pepe nero. VALSANA | 30


PASTA, LENTICCHIE E PECORINO PER UN VIAGGIO SICILIANO STELLATO INGREDIENTI 300 g di Trucioli 80 g di Pecorino Gran Cao un bouquet garnì 300 g lenticchie di Castelluccio 200 g passata o salsa di pomodoro 2 spicchi d’aglio rosso brodo vegetale olio extravergine d’oliva Cava Rossa sale

PORTATA: piatto completo DOSI: per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 40’

PER L’IMPIATTAMENTO 40 g di Castelrosso miele di Ape nera qualche ago di rosmarino fresco pomodorini confit pepe nero macinato al momento PROCEDIMENTO In una casseruola in ghisa fai dorare gli spicchi d’aglio in camicia con un filo d’olio, unisci le lenticchie sciacquate sotto l’acqua fredda, fai insaporire per qualche minuto e copri con circa 500 ml di brodo vegetale mescolato a 200 g di salsa di pomodoro. Porta a bollore, copri e continua a cuocere a fuoco moderato per circa 20’-25’: le lenticchie devono cuocere ma non devono perdere la loro compostezza e devono mantenere un aspetto un po’ brodoso. Togli l’aglio e regola di sale. Frullane metà con il mixer a immersione. Grattugia il pecorino. Nel frattempo lessa la pasta in abbondante acqua salata per 7’, scola e manteca con le lenticchie in crema e il pecorino grattugiato per 2’-3’. Unisci le lenticchie intere e mescola. Servi immediatamente con il Castelrosso affettato con la mandolina, qualche datterino confit, qualche ago di rosmarino e qualche goccia di miele. Si termina con un’abbondante macinata di pepe.

BEURRE DE BARATTE CON PEPE SELVATICO

COLATURA DI ALICI DI CETARA

GRAN CAO

Burro artigianale prodotto in Bretagna con aggiunta di pepe selvatico. Elegante, con buone sensazioni grasse, equilibrato

Colatura prodotta con alici pescate tra Capri e Punta Licosa, e maturate sotto sale in botti di castagno

cod 45344 | peso 110 g circa

cod 94000 | peso 50 ml anche in 100 ml e 250 ml

Pecorino di grandi dimensioni prodotto con latte di pecore di razza sarda raccolto dai soci della cooperativa. Dolce con spiccate note tostate e di fiori

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cod 31545 | peso 15 kg circa ordine minimo 1/8


Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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