CATALOGO OLIMPIA BIASI

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OLIMPIA BIASI



OLIMPIA BIASI



DAGLI INFERI SULFUREI di Nico Naldini

Torna in questa mostra la natura passionale e selvaggia di Olimpia Biasi Anni fa Olimpia ha creato per sé, attorno a sé, un giardino vasto come un parco dove nelle sue forme e colori, nei misteriosi recessi e nel suo ordinato intrico aveva proiettato un sogno di essenze naturali in trasposizioni teatrali: Olimpia aveva imparato a pregare la Natura intridendola di se stessa con il desiderio quasi di scomparire in essa. Nascosta in questo giardino c’erano anche le fanciulle Driadi ? Credo di sì, credo di averle viste comparire e scomparire secondo estri sublimi. Chi voleva incontrare Olimpia la trovava là, trasfigurata tra i suoi fiori, che a loro volta per una misteriosa osmosi assomigliavano sempre più ai suoi quadri, facendo di quel giardino la più straordinaria galleria d’arte di quadri appesi ai rami.

vulcano non tardò a sparire dentro una coltre di vegetazione ignota; un intrico di piante e fiori ben più forti e superbi della ginestra leopardiana. Tra fiumi di lava incandescente ed esplosioni, ora risale dagli Inferi sulfurei. Ecco il dono da offrire al Dio, pensò Olimpia, se riuscirò mai a dipingerli. Per dipingerli non poté più usare il “rosa Tiepolo” tanto amato, ma un magma di colori e forme in serie Tumultuose come pura manifestazione di ierofanie. Alla fine scoprì che quelle piante e quei fiori avevano nomi familiari a chi aveva letto i grandi poeti della Grecia antica. E fu così che Olimpia, trasferendo la vegetazione dell’isola nei suoi quadri poté scoprire l’essenza del mondo mediterraneo. Con tanti saluti alle navi da crociera che lo attraversano lasciando dietro di sé una scia fecale che tra poco farà morire il più bel mare del mondo, già appartenuto a ninfe, dei e dee.

Purtroppo dobbiamo allontanarci dal giardino di Olimpia, certi che non è stato un miraggio, anzi certi di potervi ritornare. Dobbiamo però ripiombare nel nostro mondo, incatenarci a obblighi sempre meno individuali, su un orizzonte di meri effetti spettacolari.

Viviamo in un’epoca poco propensa a valorizzare l’arte che non sia orchestrazione pubblicitaria a sfondo di lucro; e manca ai pittori un pubblico che non sia attratto da meri fenomeni spettacolari. I pittori di oggi sono degli eroi mantenuti in vita da pochi estimatori. È il nostro tempo e spero che cambi presto e ritorni un pubblico di intenditori che sono, come ha scritto Cesare Pavese “Il concime di ogni vigorosa vegetazione”.

Chi va a Venezia, prima di Piazzale Roma sulla destra, vedrà dei natanti mostruosamente ingigantiti pronti a partire. Crederà di essere vittima di un’allucinazione, poi dovrà ammettere che sono veri; si chiamano navi da crociera. In realtà sono dei ventri enormi che ingoiano passeggeri a migliaia per poi vomitarli in qualche porto del Mediterraneo. Un breve giro a bordo di centinaia di pullman li metterà a contatto con la sua civiltà. Ci sono voluti millenni di cultura per costruire questo mondo mediterraneo, ma noi siamo così bravi che con un salto passiamo dalla Grecia antica all’Egitto Ellenistico a Bisanzio e ai suoi splendori. Ci divertiamo molto a scattare fotografie da mostrare agli amici che, poveracci, sono rimasti a casa. Anche Olimpia si è allontanata dal suo giardino per andare alla scoperta del Mediterraneo. Forse si è imbarcata su un aliscafo, ma per chi possiede un’anima selvaggia, la realtà precipita sempre nel mito. In realtà Olimpia si è imbarcata sulla nave Argo e scacciati gli Argonauti, avventurieri di bassa lega, si è diretta all’isola di Stromboli. Per un po’ha fatto la villeggiante che si abbronza al sole. Finché il magma ribollente all’interno dell’isola l’ha agguantata con le sue lingue di fiamma e l’ha portata al cospetto del Dio del fuoco. Mentre tutta l’isola tremava e tremava di ebbrezza Olimpia, lei promise che avrebbe tradotto i messaggi del Dio nell’unica lingua che conosceva: quella della pittura. Abbandonò la spiaggia vacanziera e risalendo il fianco del


CANTO DI SIRENE di Eugenio Manzato

“O molto illustre Ulisse, o degli Achei somma gloria immortal, su via, qua vieni, ferma la nave e il nostro canto ascolta”* Ulisse che legato all’albero della nave può ascoltare, senza il rischio di esserne travolto, il canto ammaliante delle Sirene, non somiglia forse all’artista che percepisce realtà sconosciute ai comuni mortali? Anche Olimpia Biasi ha udito il canto delle Sirene e ne trasmette l’eco attraverso le opere presenti in questa mostra: come spiegare altrimenti il dipinto “Stromboli”, paesaggio lunare e metafisico, poeticamente visionario, capace di suscitare intensa emozione? Non è per caso che Omero colloca l’isola delle Sirene in quell’area del Tirreno prossima alle Eolie, dove la presenza di numerosi vulcani attivi e la geografia scabra e forte di quelli spenti presentano una natura estrema, in contatto con il mondo inferino: Olimpia Biasi ha subito il fascino delle Eolie fin dal 1989, allorché, in vacanza a Stromboli, priva di tele e colori, dopo aver tentato di tradurre una ispirazione incontenibile con disegni su carta, inchiodò vecchi lenzuoli su porte e vecchie tavole e dipinse una grande tempesta sul mare con colori da barca mescolati a sabbia. Le rimane di quell’esperienza il desiderio di assemblare materiali recuperati sulla spiaggia – tavole, ferro, oggetti, relitti – in vigorose “sculture”, ma soprattutto l’apertura alle emozioni travolgenti che i luoghi e i fenomeni dell’isola – la sciara del fuoco come le ascese al cratere, il suolo che trema e gli scoppi sonori, l’odore di zolfo e le piogge di cenere – inducono a chi “ferma la nave” e ne subisce “il canto”. Da alcuni anni ella torna all’isola con assiduità, pascendo l’animo di quelle atmosfere, talché ne rimane fertile riserva negli inverni nebbiosi di Lovadina: nel suo vasto studio silenzioso ne distilla memorie di lava infuocata e di coste nereggianti, così come di luminose marine e cieli notturni. Studentessa al liceo artistico di Venezia nei primi anni ’60 ha appreso disegno e figura nel solco di una secolare tradizione, così da esser capace ora con sicurezza di disegni secondo i canoni di una classica rappresentazione, ma grandi maestri come Bacci, Gaspari e Pizzinato hanno aperto la sua mente alla libertà espressiva, così che la sua pittura, pur conservando l’eco della visione naturale, si esprime in forme sciolte da schemi accademici, attraverso un colorismo coraggiosamente acceso capace di tradurre la carica emotiva dettata dall’ispirazione: “Nessun passò di qua su negro legno, che non udisse pria questa, che noi dalle labbra mandiam, voce soave; voce, che inonda di diletto il core, e di molto saver la mente abbella.”* *(Odissea, canto XII, versi 241-243, 244-248; traduzione di Ippolito Pindemonte)


STROMBOLI

2007 - 2010































RETABLOS

2008 - 2009











SPECCHI

2006 - 2007







GIARDINO

2000 - 2005












BIOGRAFIA Nata nel trevigiano, ha studiato al liceo artistico di Venezia con i maestri dello Spazialismo Veneto: Bacci, Gaspari e Pizzinato in un periodo culturale veneziano molto intenso (la Pop-Art alla Biennale, l’influenza di Peggy Guggenheim e l’esordio di Vedova, Zotti, Tancredi...) ma anche la pittura veneta di tradizione con i suoi valori tonali. Ha frequentato la facoltà di Architettura ma ha iniziato presto a dipingere ad insegnare materie artistiche nelle scuole statali. Il suo esordio di matrice espressionista è contrassegnato da quel colorismo accentuato che rimarrà uno dei tratti distintivi della sua creatività. Lavora per temi concentrici al quotidiano o interferenti alla traiettoria dei suoi viaggi: “Finestre”, “Mercati”, “Luna Park”, “Inventari della memoria”, “Canto delle Sirene”, “Isole Eolie”, “Luna-tropic- a -Maracaibo”, “Saluti da...”, “Libro d’ore in un giardino in riva al Sile”, “Ritratti”, “Cartoline e chimere”, “Moscacieca”, “Giardini di Terra, giardini di tela”, “Retablos”, “Vulcani”. Sono vasti racconti espressi con affabulazione trasognata, spesso prevaricati da impennate di colore materico che recuperano immagini sedimentate nella memoria, oppure grandi pagine (150x100 cm) di carta da scenografia, disegnata con tessitura di segni a grafite: diario di bordo del quotidiano, dimessa poesia di cose o persone, luoghi famigliari, mescolate a immagini letterarie del mito greco. Curiosa sperimentatrice di tecniche tra le più diverse si è applicata in murales, affreschi, ceramica, vetro, incisione, illustrazione di libri, manifesti (suo il manifesto del premio Comisso ‘84-’85), mosaici parietali e pavimentali.



CANTO DI SIRENE

CANTO DI SIRENE

Vedi, in questi silenzi in cui le cose S’abbandonano e sembrano vicine A tradire il loro ultimo segreto…

Il colore che si fa volume,che dilata le albe,che infuoca i tramonti, che da’ forma e mistero al canto delle sirene e accompagna il rombo incandescente di traboccanti lave. Da Stromboli, terra di miti e grandi storie, Olimpia Biasi torna ogni volta alla sua Treviso con rinnovata ispirazione e forza creativa arricchendo di nuovi spunti la sua fantastica e imperiosa tavolozza. In un crescendo di sogni, ancestralimemorie e quotidiane realtà di cui si fa sintesi e commento l’attuale personale a ‘La Castella’ di Motta di Livenza. Lungo un itinerario in cui ‘il canto delle sirene’ pare rincorrere e congiungersi con un altro mare - l’Atlantico - nel ricordo delle molte immagini e sensazioni di un viaggio a Santiago di Compostela. Con bucoliche vedute che si dissolvono verso schiumose scogliere e vellutate spiagge, a contrasto con imponenti cattedrali che racchiudono nel loro ventre superbi altari barocchi dalle volute d’oro,argento e porpora. Altari, la cui manifesta imponenza,ne accumuna altri nel preziosismo dei marmi, come nella semplicità di una rozza pietra. Altari come emblema universale, testimonianza di secolari preghiere, di riti pagani, di magici simbolismi. Il tutto in un susseguirsi di segnature e sovrapposizioni.

di Annamaria Cammarata Orsini

Era un pomeriggio di pieno inverno, con nell’aria il profumo ipnotico del calicanto quando sono entrata, ancora una volta, nello studio di Olimpia: Nel suo studio-fucina ed officina Olimpia, divinità ctonia e celestiale insieme, si aggirava fra le grandi tele che “tatuavano” quasi interamente le immense pareti. Un tatuaggio di tele dipinte; una pelle viva trasudante colore respirava all’intorno. Ho guardato e ho visto: ho visto “in primis” la pittura. Un sottile e faticoso e crudele gioco a pulire; a togliere ed ancora a togliere per arrivare a cogliere il riverbero interiore, l’essenza stessa della cosa. “Un gioco a nascondere” che ferma l’immagine facendola sostare tra “lontananza e prossimità”. Icone di forme affioranti dal “sub-limen”. Il tempo e lo spazio trattengono il fiato, e anche chi guarda. A Stromboli sotto la sciara del fuoco, nuotando panicamente felice, ho ascoltato il Canto della Sirene. Vulcani. Vulcanolimpo. Vulcambiasi. Vulca-biasi. Olimpi-vulcani: La Montagna Incantata. L’Isola Ferdinandea: Il Grande Vulcano Blu: Il Grande Vulcana Giallo. Il Grande Vulcano d’Acqua. Il Vulcano e il suo Doppio. Notturno cosmico: Alba olimpica: Una natura che si dà come “assoluto primordiale”; come calco, come pieno e come vuoto. Concavo e convesso. Maschile e femminile: Cavità accogliente che assorbe e sprigiona energia. Forma immota. Una massa cromatica che si dà come impronta della cosa: strati di cromie sovrapposti, velati, accarezzati, resi fluidi eppure magmatici, quasi dolorosamente mono-toni a dire l’ncombenza visionaria di queste apparizioni: Presenza-Assenza. Eterno imperturbalibe. Immobilità vitale. Ma anche Vulcani come Dormienti: come figure dormienti, come esseri dormienti. Come isole fluttuanti. Vulcani come dorsi di donna; come mantelli di cavalieri della notte; come coltri del cielo; come dune d’acqua spolverate di cipria; come groppe di puledri; come ventri di cetacei addormentati. Vulcani come massicci di pece, come montagne di sale. Vulcani come torri di luce. Vulcani come Fari. Vulcani come Altari: Altari come Vulcani: Altari come vomiti di garze; danze di lini; stole di lampasso; manipoli di velluto arricciolato; bagliori d’oro e lampi di avventurina. Luci luciferine: La danza di Salomè e il Satiro Danzante: Bisanzio e l’oriente ma anche la Spagna ed il Sudamerica. Altari e Vulcani come luoghi del meditare, del ri-flettere, come luoghi del risalire e dello scendere. SULL’ALTARE. SOPRA L’ALTARE. AI PIEDI DELL’ALTARE. SUL VULCANO. DENTRO IL VULCANO. SOTTO IL VULCANO. Altari e Vulcani come luoghi dai quali ascoltare il canto occulto della sirene. Luoghi di incantamento: Luoghi di luce e d’ombra. L’ombra rimare Olimpia, sacerdotessa di Apollo e Dioniso, conserva ai luoghi la loro ombra: Perché conservare l’ombra è mantenere il “vagus”, il chiaroscuro, il mistero, l’enigma, la malia, l’impermanenza dell’essere. E’ rivelare l’apparizione dell’invisibile; è laciare qualcosa di nascosto che qualcuno possa ancora scoprire.

di Vittoria Magno


RETABLOS

di Alessandra Santin

Quel divenire segreto Nelle opere più recenti di Olimpia Biasi polveri vibratili, sabbie, porpore, ori e luminosità argentee riducono l’arte al divenire materico che appare fragile e instabile, luminoso e possibile, sempre bellissimo proprio perché in movimento. Agitando interrogativi senza tempo esso investe l’intimità più segreta e personale di ciascun, intimità che diviene universale quando si relaziona con il mistero del Sacro e dell’universo, con il farsi vitale della natura. Fermarsi in queste visioni significa osare, dare credito a emozioni e sentimenti che spesso temiamo di riconoscere ed attraversare: l dolore, la noia, la fede, la rabbia, la solitudine, la giogaia. Lo facciamo in segreto e quando nessuno vede. Solo allora ci permettiamo di guardare e subito guardare ci sembra imperativo. Guardare per accedere a luoghi sconosciuti, in fuga non “nella” natura ma “con” la natura. Natura che in Olimpia Biasi si traduce sempre in cultura. La principale fonte ispirativi dei suoi lavori, infatti, si trova proprio nell’universo visivo culturale: Le dimensioni costruttive del suo sguardo declinano la ricerca dei tempi e dei modi del farsi esistenziale contemporaneo, in cui l’istante presente ha valore assoluto e assume le caratteristiche dell’eternità e dell’infinito. In essi affondano e si radicano le scelte compositive formali dei Retablos, gli – altari infuocati -, come lei ama chiamare gli splendidi barocchi che fanno da sfondo alle chiese spagnole. Olimpia Biasi si impossessa del loro mondo esteriore labrintico e in espansione, colorato e carico di aperture, disposto all’azione della storia. Pagani e sensuali i Retablos catturano ogni sguardo, persino quello divino, e lo trattengono entro le volute sinuose , lo seducono ancora e ancora nelle pieghe dei tessuti vaporosi, nelle flessuose armonie dei colori. Nei segni segreti, nei misteri insoluti. I vuoti mancano o in essi vibra un precipitato di verità i cui contorni perdono il senso di confine e debordano, per alludere ad un altrove possibile, per indicare una bellezza relativa e data per similitudine o per opposizione. L’essenza feconda del caos e del gesto libero dell’artista, potenzia gli effetti visivi costituendosi in una rappresentazione nuova, mobile, data per frammenti materici minimali e per campi pieni di colore. Velato e morbido al tatto ecco il calore dei blu e dei viola (liquidi ed erbosi sul fondo degradante), ecco il giallo arancio delle luci a mezzogiorno, filtrate da vetrate antiche; ecco il grigio metallico degli attrezzi depositati alla rinfusa contro il nero della notte, inaddomesticabile come certe parole che circolano nel cuore quando siamo soli, spaventati, o al peggio addormentati ed indifesi. Innamorati o sopravvissuti all’amore. E in alto, alla fine delle terre (Finisterre) affiorano imponenti strutture architettoniche date per accenno e dunque incompiute volanti, brutalmente astratte, esse non possono rinchiudere né nascondere ma custodire sì, e impreziosire, e incantare se serve, quel segreto divenire che è il cammino della vita.


IMPROVVISAZIONI SU OLIMPIA BIASI di Nico Naldini

Olimpia appartiene ad una specie non catalogata, risultato di ibridazioni tra l’bomo sapiens e la belva che nei millenni trascorsi ci hanno fornito chimere e altre mirabilia come centauri, sirene e liocorni. L’animale che si è ibridato con Olimpia ha la sua faccia piena e sorridente, la fronte bombata piena dei richiami di miti e passioni delle vergini guerriere, sormontata da una massa di capelli in cui furoreggia l’essenza femminile della sua natura. Davanti, come nelle raffigurazioni araldiche, due zampe munite di artigli terribili ma nascosti nel velluto del pelo; dietro, un dorso fremente coperto di pelliccia maculata con la coda oscillante come una sferza, in realtà pronta alle più snervanti carezze. Questa donna leopardo ogni tanto si alza a perlustrare il mondo dove tutti noi viviamo piùo meno soddisfatti e che invece per lei è del tutto inadeguato. Dove sono in questo mondo asettico e liofilizzato, scipito e volgare, i grandi spazi di cui ha bisogno la sua scattante muscolatura? Dove sono gli alberi maestosi come divinità sui cui rami salendo d’un balzo tessere micidiali agguati? E dove i forti odori, uno diverso per ciascuna forma vivente, e infine dove le forti passioni di cui il cuore di una belva ha bisogno? Non certo tra gli uomini sprovveduti che le vanno dietro, subito pronti a scappare se lei, sbadigliando per la noia della loro presenza, mostra le zanne meravigliose. Con le belve Olimpia ha in comune altre qualità. La sventatezza, ad esempio: come una tigre quando perde tempo ad arrabbiarsi con una mosca che le vola intorno. La mancanza di puntualità: le belve, si sa, hanno orari imprevedibili secondo appetiti e desideri insondabili. La smodata generosità: perché come mamma leone depone ai piedi dei suoi piccoli quintali di antilope sanguinolenta, Olimpia offre continuamente in dono ai suoi amici tappeti, quadri, mobili, abat-jour e cravatte da lei stessa dipinte, che deposita sull’ingresso di casa e con un balzo è già lontana. Come i veri leopardi imprigionati negli zoo una donna così avrebbe potuto morire di inedia già da molti anni se non fosse avvenuto un miracolo. Quello di scoprire qualche gessetto colorato che, tenuto delicatamente tra le lame degli artigli, poteva tracciare divertenti graffiti sulle pareti della caverna del suo studio. Ma imparò presto a non accontentarsi dei pochi segni elementari propiziatori di avventure e di cacce, poiché complicandoli in vaste zone di colore con un tripudio selvaggio per gli occhi potevano dare l’illusione inebriante dell’antica selva dove la donna belva colorando un’effigie dopo l’altra avrebbe potuto ricreare per via pittorica il paradiso del suo habitat naturale. A differenza di tanti pittori infatti non si trattava più di copiare il mondo che tutti abbiamo sotto gli occhi, perché questo mondo agli occhi di Olimpia aveva già perduto ogni mistero, ma di ricrearlo per se stessa nelle dimensioni di avventura e di passione in cui desiderava vivere. Da qualsiasi parte li si guardi questi quadri non si chiudono in una unica visione ma lasciano aperti altrettanti ingressi ver-so quel mondo di energie che si sprigionano dal cuore più nascosto della natura. Olimpia lo ha riscoperto questo cuore e lo ha messo a nudo forse in un pomeriggio estivo trevigiano nell’ora in cui Pan si mostra alle anime sognanti, sulle rive del Sile che proprio davanti al suo studio forma un’ansa solenne e tra il fruscio delle canne, la danza degli insetti e il fremere delle corolle dei fiori si può trovare uno spiraglio per entrare nell’Eden: d’alti Eldoradi malchiuse porte! Olimpia questo Eden nostrano lo ha visitato più volte e rapita dalle sue visioni ha preso degli appunti che poi tornando nel suo studio ha trasferito sulla tela, tessendo con tanti bei colori la cronaca di quei vagabondaggi in un mondo segreto che sopravvive solo per lei. Ma si sa che per un pittore non basta la festa dei colori; ma è nel segno del disegno, nella quaresima della mina del lapis e dell’inchiostro di china che un pittore mostra vere qualità senza trucchi. E infatti Olimpia fa da sempre dei bellissimi ritratti a matita, sensuali, sognanti e provocatori. Però non si tratta di veri ritratti descrittivi di

psicologie autonome, anche se sono riconoscibili le fisionomie di alcuni esemplari umani vicini al cuore della pittrice: molte volte il figlio, avvolto in un lievissimo velo di materne morbosità, e poi il marito solitario sullo sfondo di un giardino, la mamma, il nonno contadino e anche un amico del cuore dalla malinconia polivalente. Questi personaggi e i gesti che compiono sono sospesi in una sorta di smarrimento di sé e di smemoratezza di ogni cosa. E successo che la pittrice prima di disegnarli, li ha ipnotizzati col suo sguardo meduseo e adesso, imprigionati nel disegno, li tiene per sempre a sua disposizione, come delle delicate prede. Di questi quadri e disegni di Olimpia Biasi dovrei ora forse stendere il catalogo dei valori, delle influenze e delle ascendenze nonché delle continguità inaugurando così una nuova nicchia nel panorama dell’arte contemporanea? Ma io ripeto non sono un critico d’arte! Sono solo il guardiano di uno zoo da cui molti anni fa è scappata una splendida fiera. La sogno ogni notte tanto era bella, e la rincorro per i viali deserti gridando: “Olimpia!”.


OLIMPIA BIASI di Giorgio Soavi

...Allora: come sono i disegni di Olimpia? Intanto sono grandi come dei quadri, e poi non sono disegni italiani. Cosa voglio dire? Voglio dire che i suoi bellissimi disegni sembrano usciti dalla matita di uno di quei pittori inglesi o americani capaci di trasformare l’interno e la vita che sta in una stanza in un quadro. Un ritratto, in una storia, completa di accessori. Capace di rappresentare non soltanto lo studio a matita di un gatto o una persona seduta, sola o in compagnia di un animale, ma lo studio a matita di una rappresentazione complessa e teatrale da sembrare la scena di un quadro. Punto e basta. Olimpia dispone di questo mezzo per esistere in quella grammatica dell’arte. È grandiosa perché ignora la piccolezza di una cartolina o di un foglio di carta e perché si misura, subito, con fogli grandi come una piazza: sui quali disegna la storia di come gli animali, o le persone, le sono apparse in quel racconto. Tre mi sembrano gli elementi che reggono le sue invenzioni: la vastità di quel foglio giallino, una carta da scenografia incollata a una tavola, sulla quale stanno gli altri due componenti: il disegno propriamente detto, fatto con tutte le scale morbidissime o dure delle matite, un po’ di quello spray usato per riverniciare le automobili, tracce di pastelli a olio e il colore bianco da muro, quello stesso che gli imbianchini danno alle pareti. E, finalmente, in quel teatro di recitanti, il vuoto che sta intorno agli elementi descritti. Il vuoto intorno al suo disegno ha lo spazio che il regista di queste invenzioni ha deciso di dare alla scena: perché tutti quanti, inclusi gli spettatori che guardano, avvertano il movimento e il senso che sta in uno spettacolo. Infatti c’è una animazione, anche nelle persone ritratte in piedi, o sedute in un divano, che è del tutto discorsiva. Fanno conversazione. Anche negli oggetti, come la gomma per innaffiare un prato, pinze, tenaglie e telefono, lavandino con un altro tubo che gli sta sotto per raccogliere l’acqua che se ne andrà, c’è un’arte della conversazione per come sono stati disegnati: ci sono attori pesanti in scena, e altri che hanno appena il contorno o le sfumature del loro aspetto: e questo, in pittura, o se preferite in disegnatura, è un modo preciso di parlare. Olimpia invade il proprio gigantesco foglio di carta di un metro e mezzo per un metro, con una quantità di scene, di notizie che fanno parte del mondo animale, di quello vegetale e di quell’altro meccanico, composto da strumenti che vanno dalla bicicletta all’intero arsenale degli attrezzi di uso quotidiano. Tutti questi oggetti, tra i quali stanno tranquillamente seduti sdraiati o allungati i suoi personaggi, sembrano parlare una lingua comune. La radio, anche se è spenta, un barattolo, pinze forbici martello; il porta-scotch e lo spruzzatore per annaffiare le piante o le camicie da stirare, finiscono per parlare la stessa lingua visiva che Olimpia ha disegnato. Creando il reportage delle cose disegnate. Per tutto questo che ho detto, forse mi viene adesso naturale affermare che i suoi disegni mi impressionano per l’arte della loro conversazione. Non so se Olimpia abbia mai dipinto quadri a olio e ignoro se la sua conversazione a olio di un cestino di vimini intrecciato nel quale sta, come nel proprio nido, e una volpe, avrebbe lo stesso linguaggio, la stessa sonorità che hanno i suoi disegni. I quali hanno dentro il rumore tutto speciale delle matite: perché i disegni le stanno addosso come certe scene in bianco e nero nei thriller americani: spaccati della vita vissuta, impressioni nude e crude di come sia stato fatto il mondo a noi contemporaneo. Infatti non è difficile, guardando i suoi racconti disegnati, ascoltare il reportage di quei brandelli di vita. Come avviene in un certo disegno che racconta del furto di quelle scimmiette che hanno appena rubato delle ciliegie dal piatto. La storia animata delle sue scimmie mi ricorda un quadro molto amato dal tedesco Gabriel von Max, che lo dipinse nel 1889 e sta alla Neue Pinakothek di Monaco. Una grande famiglia di scimmie, alcune delle quali si specchiano in un quadro mentre altre stanno sedute su una cassa da imballaggio. Sono scimmie che fanno della critica d’arte. Olimpia ha poi disegnato il ritratto di due amici che stanno chiacchierando, con i tratti più scuri intorno ai pullover o alle giacche che indossano e il chiarore,

lieve, quasi aereo, dei loro vestiti. Ma perché mai ai loro piedi c’è un grande orso bruno insieme a quei due che stanno parlando? Una domanda alla quale mi riesce difficile rispondere perché non bisogna mai svelare per quale motivo gli artisti fanno gli artisti. Forse l’orso bruno è lì perché protegge le chiacchiere di quei due ancora ignari di essere stati ritratti dalla matita di Olimpia. Brava a disegnare. Come se, per lei, disegnare fosse l’arte della conversazione.


SETTE PENSIERI SU OLIMPIA BIASI di Marco Goldin

Difficile trovare un canto così lungo e disteso, fedele, com’è quello di Olimpia Biasi dedicato al colore. Un canto che si è espresso in diversi modi nel corso degli anni, ma che ha fatto dell’intensità dell’emozione la sua regola. Fossero dapprima certe visioni sudamericane, o di mercati sonori, pieni di ronzii e intermittenze della luce; o i primi paesaggi del Sile, i primi ritratti, i paesaggi di Stromboli e le scene di lunapark, niente ha mai contravvenuto a questa scansione segreta, al dilatarsi come in un fuoco lungamente tenuto acceso. Da quel quadro molto bello che è il Parque Central, del 1984, il colore non solo si imprime, ma gronda come una interminabile colata incandescente. È il colore che costruisce il quadro, ne indica le zone di forza, i suoi stringimenti d’emozione, la partitura degli spazi, la loro invincibile concatenazione. In esso sta la scoperta che questa pittura fa della luce; ed è una luce ora secca e tonante, ora umida e grassa, appena oleosa, ma sempre una luce che si deposita, fa corpo con la materia, la rende viva e vera. Questa luce che non riflette ma è la potenza immaginata della descrizione, mai dedicata al reale ma alla sua trasformazione in succhi, energie, intransigenze del tempo co-sì contenute. Si scosta una tenda e si vede questo rifluire maestoso del colore, il suo gorgogliare, emettere suoni, scansare i silenzi. Si manifesta così lo stravolgimento della realtà, la sua mascheratura, o schermatura. La pittura di Olimpia Biasi non è mai neutra, ma sempre proviene da una sacca profonda, ed è l’idea della vita comunque, della concentrazione più serrata prima di una dispersione. Solo attraverso il colore; come una lingua, una parola che non si può non dire. Come una necessità del cuore, un’imposizione dolcissima. C’ é un grande quadro del 1988, La porta sull’Eden, che a me è sempre piaciuto molto, da collocare all’inizio di quel bellissimo capitolo dedicato ai paesaggi del Sile, il fiume che attraversa Treviso lasciando la città in grandi anse placate e verdi. Lì, su una di quelle anse, ha studio Olimpia Biasi. Da dieci anni il luogo privilegiato del suo osservare; prima solo la porta-finestra oscurata dal buio ai suoi lati verso il piccolo giardino. Poi un guardare più disteso, a comprendere un orizzonte all’inizio solo segnato, appena segnato; quindi la comparsa del fiume, come un’energia nuova diventata tutta natura. Sono alcuni quadri di interni-esterni che segnalano un punto importante di crescita. Una nuova idea dello spazio, che, senza essere costretto entro più invadenti misure, lascia convivere la felicità del colore quasi bonnardiano con il clamore di una doppia visibilità: il luogo di una sospensione e quello di un accadimento, così che la pittura appare divaricata, descritta su un doppio registro: stare e affondare. Ma proprio nel momento in cui dipinge quadri sempre invasi dalla luce allarmata del fiume, realizza anche ed è il 1989 alcune opere che pongo ai culmini di tutto il suo lavoro. Opere non diverse per materia, nelle quali l’intenzione del linguaggio non cambia, mentre muta l’intonazione, viene un silenzio che prima non era. Quadri pieni di fascino, a descrivere la Sera, una Neve di periferia. Dove pare si possa placare quell’urlo continuo di colore. Il registro si abbassa, vengono luci plumbee, cineree, che non hanno nulla di luttuoso, ma sono la sostanza di una nostalgia, il paesaggio intravisto nella deformazione dell’ora serale, nell’improvviso biancore di una giornata invernale. Sono episodi del colore diversi, pronti a tacere, a darsi come un’assenza, a creare vuoti anziché percorsi, l’illimite anziché il limite. È come una terra impastata, concimata dalla notte che viene; un’aria ferma, quando il vento ha smesso appena di soffiare. Una natura che si dà adesso per impronte, e mal per masse cromatiche. Come graffiature del buio, segni tracciati alla deriva, incrostazioni fiorite, assieparsi dell’ombra. Hanno questi quadri un tono più sacro, di minore manifestazione dell’essere, di una sua scoperta sotto il bianco immenso sulla riva del fiume. Del 1986 sono i primi ritratti, che stanno all’interno dell’opera come un segno distintivo, e sono quasi la trasformazione della natura effervescente in occhi

cancellati, bocche aperte, volti comunque preda del giorno pieno, della luce abbagliante; o della notte al suo culmine. Ritratti come una pienezza, una distorsione del pensiero, l’intensità del racconto. Eppure, queste sono persone sottratte al fluire dei giorni, sottratte al loro tempo; collocate in una terra di nessuno, nell’aggrovigliarsi dello spazio misterioso. Sono invece i disegni una cosa diversa. Anche quando Olimpia Biasi allinea figure sul grande foglio, lo spazio non è più cosa lontana. Nei disegni racconta, numera i giorni, offrendoci coordinate per non cadere in trappola. Qui è il piacere fortissimo di raccontare delle storie. Disegni che sono un altro dei suoi apici, intermittenti di luci attonite, sparenti, come per un’eccessiva cecità. Il suo guardare è adesso come una folgorazione, un alone luminoso attorno a chi si muove in un luogo ristretto, occultato da ogni lato. E sono poi storie familiari, di una memoria che ritorna precisa, inarrivabile, da poter solo essere trascritta in immagine. E il segno usato come una confessione mai cruda, invece appena malinconica, dove capisci che il tempo è passato, che dietro quelle storie ci sono fotografie stinte, ingiallite. E dove, d’altronde, si manifesta quella bella modernità dello stile che è cosa rara nel disegno di oggi. Come una sovrapposizione, un incandescente, tesissima rilevanza che non è più pittura, ma stravolgimento dell’emozione. Così questi disegni sanno essere essenziali, violenti e poetici, devoti alla realtà ma anche lontani da essa. Dicono con un’assenza, trasformano l’evidenza nei modi del sogno. Eppure come sogno mai sognato, solo costruito con i fatti della storia. Storia privata, certo, ma aperta al dilagare della vastità, al suo biancore che non è più segno ma nuovamente colore. O forse nemmeno più, perché il bianco si confonde col tempo. Paesaggi di Stromboli. Colore allagato, alluvione di cieli, azzurri assoluti, odore del vento. Vento placato, luce toccata,mai partita, sempre restata. Sera con l’odore del mare, notte che viene, notte che non si spegne. Paesaggi di Stromboli, tesi, invincibili. Sono di questi due ultimi anni nuovi paesaggi del Sile. Come un poema più disteso, meno episodico. Tempi più dilatati, nella pittura di Olimpia Biasi. Agisce meno la lettura dell’attimo. La pittura ha poco dell’appunto e più del tono narrativo. Facendolo sempre da una posizione di ingresso deciso nel colore, però con una precauzione maggiore. Come l’eco del tempo si fosse fatta più imperiosa, solenne, ascoltabile. Dentro le tracce sull’acqua, sopra le sue fioriture bellissime, sono avvicinabili, umane misure. Cala per la prima volta un silenzio che tutto avvolge, che lascia un profumo.


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“Europeo”, 22 novembre. A.Madaro, Olimpia Biasi, in “Il Gazzettino”, 26 novembre. V.Magno, Festeggiata Olimpia Biasi, “Il Gazzettino”, 1 dicembre. S.Maugeri, in “Il Giornale di Vicenza”. G.Nogara, I saluti da... di Olimpia Biasi, in “Il giornale di Vicenza” e in “Fogli d’Arte della Galleria Albanese”, 31 dicembre. 1987 L.Bortolatto, in Arte a Treviso, catalogo della mostra. V.Magno, Olimpia Bias ritratti come appuntiflash, in “Il Gazzettino”, 8 ottobre. E.Demattè, Olimpia Biast ritratti, in “Il Gazzettino”, 15 ottobre. A.Madaro, Krisos, mostra documentaria, presentazione in catalogo, 24 ottobre. A.Sandri, Olimpia o le vanità, ecco Treviso, in “La Tribuna”, 24 ottobre. 1988 G.A. Cibotto, Alla fiera, in “Il Gazzettino”, O. Stefani, Luna park della Biasi, in “La vita del Popolo”, 20 maggio. L.Novello, Colore e luce, in “La nuova Venezia”, 23 giugno. 1989 VMagno, I mosaici di Olimpia Biast in “Il Gazzettino”, 18 maggio. M.Goldin, Il fascino discreto di Olimpia Biasi, in “La Tribuna di Treviso”, 18 maggio. V.Magno, Specchi d’acqua, in “Il Gazzettino”, 24 maggio. P.Rizzi, Un dono d’arte, in “Il Gazzettino”, 29 settembre. A.Sandri, Olimpia Biasi, in’” La Tribuna”. 1990 V.Magno, Olimpia Biasi e il mondo policromo dei Luna-park, in’” Il Gazzettino”. I.Danieli, Spazio a Parte, ma al femminile, in “Nuova Vicenza”, 10 marzo. L.Novello, Luna-Park, in “Arte-in”, 20 agosto. L. Bortolarto, presentazione in catalogo della mostra, Ca’ Lozzio. G.Segato, presentazione in catalogo

della mostra. C. Stefani, A San Giacomo anche l’arte parla al femminile, in”Il Giornale di Vicenza” M.Milani, Quattro artisti alla Renault, presentazione in catalogo della mostra, in La mia casa ideale. T. Zanchi Anselmi, in “Casa Oggi”, ottobre. 1991 I.Prandin, Olimpia o del colore, in “Il Gazzettino”, 10 ottobre. P.Rizzi, Olimpia e la natura, in “il Gazzettino”, 20 ottobre. L.Cantarutti, presentazione e servizio televisivo. 1992 M.Goldin, Un fiume passare, presentazione al catalogo della mostra, Casa dei Carraresi, Treviso. N. Naldini, Disegni, presentazione al catalogo della mostra. 1993 E.di Martino, Olimpia Biasi, in “Il Gazzettino”, 20 maggio. M.Zerbi, Nel giardino di Rosso Ciliegia, presentazione in catalogo della mostra, La Nuova Venezia, maggio. N.Naldini, Libro d’ore in un giardino in riva al Sile, in “Il Gazzettino”, maggio. M.Goldin, in “La Tribuna di Treviso”. M. Goldin, Fogli di Palazzo Sarcinelli, Treviso. 1994 Strategia del desiderio, in “Arte Mondadori”. A. Mezzenalona, in “Il Piccolo”, 17 ottobre. L. Ambrosi, in “Il Piccolo”, 28 ottobre


ESPOSIZIONI 1974 - 2010

1974 Figura Galleria Il centro, Pavia 1975 Ceramica e Pittura Galleria Giraldo, Treviso 1976 Maternità Galleria Kuperion, Merano 1977 Di là dal fiume, tra gli alberi Galleria Gruppo 70, San Donà di Piave, Venezia 1978 Oltre la finestra Galleria La Roggia, Pordenone Giorgione mostra intervento, Chiesa di Santa Caterina, Treviso Figure Galleria La Loggia, Motta di Livenza, Treviso 1980 Diario Veneto Galleria privata, Merida (Venezuela) Mostra documentaria Cà da Noal, Treviso 1981 Mercati sudamericani Pinacoteca Alberto Martini, Oderzo, Treviso Racconti sudamericani Galleria Vittoria, Firenza 1982 Racconti sudamericani Palazzo Arcivescovile, Fiesole, Firenze 1983 Racconti sudamericani S.M.Primerana, Fiesole, Firenze 1984 Ceramiche Galleria Selearte 1, Padova 1985 Saluti da... Galleria de Libraio, Treviso Ceramica ed arte Galleria Torbandena, Treviso Triveneta delle Arti

Villa Contarini Simes, Piazzola sul Brenta, Padova Arte a Treviso Palazzo dei ‘300, Treviso 1986 Saluti da... Galleria La Fenice, Venezia Inventario n.1 Galleria The Boy, Treviso Ritratti Villa Franchetti, Treviso 1988 Omaggio ad Antonio Chiarellotto Casa dei Carraresi, Treviso Segni e simboli dell’arte Casa dei Carraresi, Treviso 1989 Saluti da... Galleria Albanese, Vicenza Specchio, specchio d’acqua Galleria Borgo, Treviso I luoghi dell’arte Villa Pisani, Monselice, Padova Vicenza, alle donne nell’arte Chiesa di San Giacomo, Vicenza 1989-1991 Arte Fiera di Padova e Arte Fiera di Bologna con la Galleria Albanese Arte di Vicenza 1990 Luna Park Operà di Montebelluna, Treviso Luna Park e disegni Cà Lozzio, Oderzo, Treviso Sudamerica Oratorio di Santa Maria Assunta, Venezia Sudamerica Galleria Santo Stefano di Venezia 1991 Stromboli ed altro Galleria Borgo, Treviso 1992 Luna park e nuvole Galleria ArteSpazio10, Bologna Racconti di viaggio Casa della cultura, Merida (Venezuela) Un fiume passare Casa dei Carraresi, Treviso

1993 Disegni e Pittura Arte Fiera di Padova Libri d’ore in un giardino in riva al Sile Galleria Santo Stefano di Venezia 1994 Libro d’ore Chiesetta dell’Angelo, Bassano del Grappa, Vicenza Disegni Arte fiera di Pordenone, Galleria Artesegno, Udine Artisti veneti conterranei di Marco Polo Accademia cinese di Cultura, Pechino Cina Carlo Goldoni su carta Petofiroldami Muzeum, Budapest Ungheria Natività Abbazia di Follina, Treviso Strategia del desiderio Castello di S. Giusto, Trieste 1995 Pasolini Convegno intenrazionale Villa Manin, Passariano, Pordenone Galleria del Teatro Accademico, Castelfranco, Treviso 1996 Gli artisti contemporanei di Marco Polo Galleria del teatro accademico di Castelfranco Veneto, Treviso Pitture e Disegni Miart, Milano Pitture e Disegni Arte Fiera di Padova, Galleria Santo Stefano, Venezia 1997 S.Ambrogio di Fiera Galleria del Libraio, Treviso Maestri italiani del ‘900 a cura di Marco Goldin-Palazzo Sarcinelli, Conegliano, Treviso Interni Arte Fiera di Padova con Galleria Santo Stefano, Venezia Un fiume passare... Palazzo Scotti, Treviso 1998 Piccola antologica Comune di Campomolino di

Gaiarine, Treviso Finestre Yatching Club, Montecarlo Una donazione per un nuovo museo Palazzo Sarcinelli, Conegliano Giacomo Casanova: “Histoire de ma vie” Istituto italiano di Cultura di Zagabria, Croazia Finestre e giardini Arte Fiera di Padova con Galleria Santo Stefano, Venezia 1999 Acqua Villa Franchetti, Treviso Acqua Palazzo Foscolo, Oderzo, Treviso Acqua A.P.T. palazzo Scotti, Treviso Disegni Galleria Traghetto, Venezia Cartoline e chimere Palazzetti Cingolani, Feltre, Belluno Arte Avis Palazzo dei ‘300, Treviso Artisti e ambiente alpino Casa degli artisti, Canale di Trento, Trento Paesaggi Arte Fiera di Padova con Galleria Santo Stefano, Venezia 2000 Inventari Galleria Civica di San Biagio di Callalta, Treviso Bestiario: disegni Palazzo Crepadona, Belluno presentano Antonella Alban e Nico Naldini Internationales Malersymposium Casinò Velden, Austria Segni e presenze d’autore Comune di Preganziol, Treviso Italian painting of new century Laboratorio 2 international, Klagenfurt (Austria) 2001 Il mito Greco, disegni Westwood Gallery, New York presenta Stefania Carrozzini About Shoes Studio d’Ars, Milano 2002 Il mito: disegni su carta da scenografia


Galleria Nuova Arte Segno, Udine Il mito Greco, disegni Arte Fiera di Padova con Galleria Santo Stefano, Venezia 2003 Piccola antologia Galleria Comunale “La Loggia”, Noale, Venezia A4: pittura al femminile a cura di Orietta Pinessi Comune di Seriate, Bergamo Lovadina: studio aperto 13 disegni per le poesie di Nico Naldini presentano Anna Modena e Olga Visentini Storie Venete Studio Voggeneder-Efferding, Austria 12 Maestri Veneti Chiesa dei Templari, Tempio di Ormelle, Treviso presenta Mario Bernardi e Gina Roma Giardini Studio aperto, Lovadina, Treviso 2004 Autoritratti Galleria Adriana, San Vito al Tagliamento, Pordenone Dal mito ai libri muti Gipsoteca Canoviana di Possagno, Fondazione Canova presentano Mario Guderzo e Flavia Casagranda Orti di delizie Studio aperto, Lovadina, visita allo studio della delegazione FAI di Treviso presenta Luciana Crosato Larcher Dialogo sulla figura a cura di Carlo Sala Ospedale di Vittorio Veneto, Treviso 2005 Uno specchio per Narciso a cura di Flavia Casagranda Chiesetta dell’Angelo Bassano del Grappa, Vicenza Sulla natura morta Galleria 137, Vittorio Veneto, Treviso Moscacieca Studio aperto, Lovadina, Treviso Colori d’autunno a cura dell’associazione culturale Prospettive - Scuola enologica, Conegliano, Treviso 2006

Vanitas a cura di Isabella Panfido e Nico Naldini Spazio Lazzari, Treviso Stendardo del premio del Palio di Feltre Piccola antologica presenta Antonella Alban Palazzetti Cingolani, Feltre, Belluno Un giardino affettuoso Studio aperto, Lovadina, Treviso I confini del paradiso Centro studi P.P.Pasolini, Casarsa della Delizia, Pordenone Un ricordo affettuoso, omaggio a Gina Roma Palazzo Foscolo, Oderzo, Treviso L’oro di Venezia nella luce di Bisanzio Villa Correr Pisani, Biadene di Montebelluna, Treviso Arte Fiera di Padova con Galleria Santo Stefano, Venezia 2007 Paesaggi Letterari Laboratori di ricerca Pardes, Mirano, Venezia Il giardino di Olimpia Galleria Adriana, San Vito al Tagliamento, Pordenone Partenze a cura di Sarah Seidmann Caffetteria da Renato, Treviso Disegni Arte Fiera di Padova con Galleria Santo Stefano, Venezia 2008 Mimosarte Galleria Perl’a, Venezia Rose in jadavagando Rolle di Cison di Valmarino, Treviso Giardini di terra, giardini di tela Studio aperto, Lovadina, Treviso Giardini... a cura di Antonella Alaman “Il roccolo”, Campea di Mane, Treviso 2009 L’arte fa bene al cuore a cura di Zoran Olivari, presenta Ennio Pouchard Centro di Cardiologia, Ospedale Civile di Treviso Omaggio alla donna Ass. culturale Felice Arte, Valvasone, Pordenone Retablos

presenta Alessandra Santin Cà Lozzio Incontri, Piavon di Oderzo, Treviso Altari e Vulcani presentano Annamaria Orsini Cammarata e Nico Naldini Studio aperto, Lovadina, Treviso Canto di Sirene a cura di Alessandra Santin Centro Arti Visive La Castella, Motta di Livenza, Treviso 2010 Sulla rotta di Ulisse...Dagli inferi sulfurei a cura di Eugenio Manzato, Nico Naldini complesso di Ca’ da Noal, Treviso


CATALOGO

a cura di: Olimpia Biasi testi: Nico Naldini Eugenio Manzato Annamaria Cammarata Orsini Vittoria Magno Alessandra Santin Giorgio Soavi Marco Goldin fotografia: Claudio Mainardi fotolito: Nicola De Marchi impaginazione: Tullio Rupeni stampa: ---------------------anno: 2010

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