Cronache dell'Avatar 2. L'ombra di Kyoshi

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L’OMBRA DI

L’OMBRA DI

Cronache dell’Avatar. Volume 2. L’ombra di Kyoshi

I edizione: ottobre 2025

Testi: F.C. Yee

Illustrazione di copertina: JungShan Chang

Progetto grafico: Hana Anouk Nakamura

Traduzione: Valentina Daniele

Impaginazione: Chiara Cardinale e Aurora Galbero

Edizione originale

The Shadow of Kyoshi © 2025 Viacom International Inc. All Rights Reserved. Nickelodeon, Nickelodeon Avatar: The Last Airbender and all related titles, logos and characters are trademarks of Viacom International Inc.

Published in 2024 by Amulet Books, an imprint of ABRAMS. All rights reserved. No portion of this book may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted in any form or by any means, mechanical, electronic, photocopying, recording, or otherwise, without written permission from the publisher.

Per l’edizione italiana

Copyright © 2025 Tunué S.r.l.

Direzione editoriale: Massimiliano Clemente

Tunué

Via degli Ernici 30 – 04100 Latina – Italia tel. 0773 661760

info@tunue.com | www.tunue.com

Stampato in Turchia

Racconto spesso questa storia in occasione di panel e interviste, ma intendo conservarla qui per i posteri. In un periodo in cui non sapevo cosa fare della mia vita, e prima di aver mai scritto un romanzo, ho pensato di diventare un autore televisivo. Per farlo, devi dimostrare le tue capacità scrivendo una sceneggiatura o un episodio di una serie in corso: in sostanza, una fanfiction. Avevo appena visto Libro secondo: Terra, la seconda stagione di Avatar – La leggenda di Aang così ho scritto una sceneggiatura in cui Sokka, che soffre perché non è un dominatore, trova un maestro in gamba che lo addestra. Nella mia sceneggiatura, avrebbe imparato a combattere con il Wing Chun e i gadget (a posteriori, il risultato sarebbe stato molto simile a quello di Asami).

Da questi inizi creativi, non avrei mai immaginato che in futuro avrei stabilito un canone per il mondo di Avatar. Nel vero senso della parola, devo ringraziare voi, i fan, per questa opportunità. Avete mantenuto vivo il vostro amore per questo universo per più di un decennio, e il massimo che posso sperare come fan e autore è di contribuire al vostro divertimento. Questi libri sono dedicati a voi. Grazie di cuore. Michael Dante DiMartino

PROLOGO

«Ragazzo!»

Yun si afferrò il collo fino a farlo sanguinare. La sua pelle conservava ancora la sensazione tenace della bava e dei denti.

«Ragazzo! Smettila di piagnucolare!»

Ricordava Jianzhu che accendeva l’incenso. Ricordava l’odore dolciastro e appiccicoso e l’immobilità mortale che gli produceva nelle membra. Era veleno di medusa-manta, faceva parte del suo addestramento. Sifu Amak aveva appena cominciato a somministrarglielo.

Yun batté le palpebre e cercò di dare un senso a ciò che lo circondava. Le sue mani sprofondavano in un muschio poroso e bagnato, laddove sotto le unghie avrebbe dovuto raccogliere la polvere della città mineraria. Era in una foresta di mangrovie. Il cielo aveva il colore dell’acido.

Prese a muoversi strisciando, le ginocchia risucchiate dal limo di palude. I tronchi degli alberi senza foglie si attorcigliavano sinuosi e

alti come colline, dal profilo di un colore appena più chiaro. Un grande occhio luminoso lo fissava, velato dall’intreccio di rami.

La voce proveniva dall’occhio. L’occhio che gli aveva detto che lui non era…

Un dolore, terribile e familiare, gli torse lo stomaco e lo fece piegare in due. Gli avambracci colpirono l’acqua. Il paesaggio intorno a lui cominciò a tremare, non per un atto di dominio della terra, ma per qualcosa di più crudo e incontrollabile.

Lui non era. Punto. Non era niente.

L’acqua bassa danzava come gocce di pioggia su un tamburo, innalzandosi come un geyser. Le rive ondeggiavano, scuotendo gli alberi, che oscillavano e si scontravano come le corna di bestie in combattimento. Yun sbatté la testa contro il suolo nell’imitazione corrotta di un allievo che si inchina al suo maestro.

Jianzhu. La sua mente era un nome urlato, un unico tono stridente su un flauto rotto. Il suo cranio sbatteva contro il fango salmastro. Jianzhu. «Smettila, miserabile moccioso!» ruggì l’occhio. Suo malgrado, si ritrasse da Yun, spaventato da quell’agonia. Il terreno si comprimeva e vibrava, come il cuore pulsante di un uomo lanciato verso la morte, che batte sempre più forte prima dell’impatto finale.

Yun voleva che si fermasse. Voleva che l’angoscia finisse. Era straziante vedere tutto ciò per cui aveva lavorato ridotto in scintille e polvere. Lo consumava da dentro.

Allora fallo uscire.

Il sussurro gli giunse dalla sua stessa voce. Non quella dell’occhio. Non quella di Jianzhu.

Fa’ uscire il dolore. Mettilo in un altro posto.

O in un’altra persona.

Lo strappo iniziò ai suoi piedi, una puntura di spillo in una seta troppo tesa. Si generò nell’acqua e corse verso le sponde della terra

come un fulmine che spezza il cielo. Il terreno si spaccò, liberando la tensione sismica in un rapido, catastrofico scoppio.

E poi… la calma.

Yun poteva nuovamente respirare. Vedere. Il tremore si era affievolito, aveva esaurito tutta l’energia nel momento in cui aveva creato quella lunga lesione nel terreno, quella ferita innaturale nel paesaggio. L’acqua della palude si riversava dentro, mascherando una profondità che lui sapeva era meglio non esplorare.

Nel sollievo, era tutto molto più chiaro. Yun approfittò del momento di tregua per guardarsi intorno. Il boschetto umido non assomigliava a nessuna foresta conosciuta. La luce fioca del cielo proveniva da un sole indistinguibile. Quel luogo era il riflesso nebuloso di un paesaggio reale, dipinto con un inchiostro troppo diluito.

Sono nel Mondo degli Spiriti.

Si allontanò dal precipizio spalancato ai suoi piedi, per non essere trascinato dal flusso dell’acqua. Si voltò e si aggrappò alle radici esposte di un albero ruvido per issarsi sul terreno asciutto. L’aria puzzava di zolfo e marciume.

Il Maestro Kelsang gli aveva parlato del Mondo degli Spiriti. Si diceva fosse un luogo bellissimo e selvaggio, pieno di creature al di là di ogni immaginazione; uno specchio posto davanti ai suoi visitatori, un riflesso delle loro emozioni, una realtà che si modellava attorno alla proiezione immateriale del loro spirito.

Yun fletté le dita, e le trovò reali come dovevano essere. Si chiese se il monaco gentile avesse mai esplorato una palude da incubo come quella. Non avevano mai parlato di cosa sarebbe successo se un corpo fisico fosse entrato nel Mondo degli Spiriti.

Il fruscio dei rami lo fece trasalire e gli ricordò che non era solo. L’occhio. Lo osservava attentamente dall’oscurità della foresta, girandogli intorno su appendici traslucide, costellate di denti umani. Yun

ne aveva sentito il morso sulle montagne, quando la cosa aveva assaggiato il suo sangue.

Un fiotto di panico gli percorse le cavità del cuore. Yun sapeva di avere le ore contate. Cercò di ricordare come Jianzhu avesse chiamato lo spirito. «Padre… Lucciola?»

L’occhio si avvicinò all’improvviso, conficcandosi nello spazio tra due alberi. Yun gridò e cadde all’indietro sui gomiti. Aveva commesso un errore. Pronunciando il suo nome ad alta voce aveva infranto una barriera cruciale e invisibile, e ora era più connesso e vulnerabile che mai.

«Mi chiamo così» disse lo spirito. La pupilla di Padre Lucciola guizzava di qua e di là, l’iride si restringeva sempre di più. Il suo sguardo aveva il peso di una lingua che assaggia. «Ora, piccolo, credo che tu mi debba il tuo nome.»

Come uno sciocco, Yun si era calato nel ruolo del sempliciotto delle fiabe ammonitrici del Regno della Terra, il povero bracciante o taglialegna che cadeva vittima di un incantesimo o finiva divorato e basta. Poteva solo chiedersi come: forse ridotto in poltiglia e assorbito dalla melma.

«Mi chiamo Yun.» I palmi delle mani erano viscidi per la paura. In alcuni di quei racconti, il sempliciotto sopravviveva per pura fortuna. Yun era già una preda; la sua unica possibilità era diventare una preda interessante. «Io…io…»

Il suo equilibrio lo stava abbandonando. Dentro di sé non trovava più l’astuzia che aveva impressionato il Signore del Fuoco e il Re della Terra, i capi delle Tribù dell’Acqua e i Monaci Superiori dei Templi dell’Aria. Forse l’Avatar Yun avrebbe avuto la sicurezza necessaria per cavarsela a parole, ma quella persona non esisteva più.

Padre Lucciola si mosse tra gli alberi e Yun capì che sarebbe morto se non avesse detto qualcosa in fretta. La sua mente tornò a quei

momenti del passato in cui il suo destino giaceva nelle mani di qualcun altro.

«Desidero sottopormi alla tua attenzione come allievo!» urlò.

In qual modo un occhio solo poteva esprimere sorpresa? La foresta era silenziosa, a eccezione del rumore dell’acqua. «Io… mi inginocchio davanti a te come umile viaggiatore dello spirito in cerca di risposte» proseguì Yun. Cambiò posizione in modo che le parole corrispondessero al corpo. «Ti prego, insegnami le vie del Mondo degli Spiriti. Ti supplico.»

Padre Lucciola scoppiò a ridere. Non aveva palpebre da socchiudere, ma la sua sfera si inclinò verso l’alto nel gesto universale del divertimento. «Ragazzo, pensi che questo sia un gioco?»

Tutto è un gioco, pensò Yun, cercando di calmare il tremito. Farò in modo che questo duri il più a lungo possibile. Sopravviverò un turno in più.

L’Avatar Yun non c’era più. Avrebbe dovuto tornare a essere Yun l’imbroglione. «Non mi si può certo rimproverare di voler fare domande a uno spirito più saggio della migliore umanità.» Nel dubbio, lusinga il bersaglio. «I migliori Saggi del Regno della Terra non sono riusciti a identificare l’Avatar per sedici anni. Eppure tu ci sei riuscito in pochi secondi.»

«Non si combatte una battaglia come quella che abbiamo combattuto io e Kuruk senza essere in grado di riconoscere lo spirito dell’avversario. Potevo già sentire Jianzhu che portava la sua reincarnazione verso uno dei miei tunnel. Doveva essere uno di voi bambini.»

Alla parola tunnel, Yun drizzò le orecchie. «Hai vie d’accesso al mondo umano? Più di una?»

Padre Lucciola rise di nuovo. «So cosa stai facendo» sogghignò sprezzante. «E non mi impressiona. Sì, posso creare dei passaggi per il regno umano. No, non mi ingannerai né mi convincerai a rimandarti

indietro. Non sei il ponte tra gli spiriti e gli umani, ragazzo. Sei la pietra di scarto dello scultore. L’impurità nel minerale. Ho assaggiato il tuo sangue e non sei niente. Non vali nemmeno questa conversazione.»

L’occhio si avvicinò. «Vedo quanto sei sconvolto dalla verità» disse in tono dolce e rassicurante. «Non esserlo. Chi ha bisogno dell’Avatar? Scoprirai da solo il tuo scopo e la tua immortalità. Quando avrò preso forza dal tuo sangue, una parte della tua essenza esisterà in me, per sempre.»

Il problema di ogni gioco stava nel fatto che alla fine l’avversario poteva decidere di non giocare più. Padre Lucciola si scagliò improvvisamente su Yun, vorticando attraverso la foresta, i viticci di bava che afferravano e dividevano gli alberi come le perline di una tenda. «Ora sii grato!» ruggì lo spirito. «Perché stiamo per diventare una cosa sola!»

L’autore bestseller del New York Times F. C. Yee

con il Co-Creatore di Avatar Michael Dante DiMartino

Potendo

contare su più di venticinque uomini, Mok si tranquillizzò. «Allora, ragazza, che cosa vuoi? Oltre a venire a trovare i tuoi vecchi?»

«Voglio che tutti voi consegniate le armi, liberiate i locali e andiate dritti dal magistrato. Il tribunale più vicino è a sette isolati da qui».

Diversi scagnozzi scoppiarono a ridere. L’angolo della bocca di Mok si curvò verso l’alto. Kyoshi poteva anche essere l’Avatar, ma era in netta minoranza e intrappolata in uno spazio chiuso. «Ci rifiutiamo» disse con un gesto esagerato. «Va bene, allora. In questo caso, ho solo una domanda». Kyoshi gettò uno sguardo alla sala. «Siete sicuri di essere tutti qui?»

I membri della Triade si scambiarono un’occhiata. Il volto di Mok si gonfiò di rabbia, rosso come una bacca al sole.

«Altrimenti, posso aspettare che arrivino tutti» aggiunse lei, non tanto per insolenza quanto per pragmatismo, un emergente istinto per l’ordine e l’efficienza. «Non voglio dover tornare indietro a controllare ogni piano.»

«Fatela a pezzi!» ruggì Mok. Gli scagnozzi caricarono da tutte le direzioni. Kyoshi estrasse un ventaglio. Due sarebbero stati troppi.

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