Un cartellone contemporaneo, classico e sperimentale
FIRST OMEGA IN SPACE
Questo Speedmaster è la nuova versione dell’orologio che oltre sessant’anni fa è passato alla storia come il primo OMEGA indossato nello spazio. Al ritorno sulla Terra la sua fama è cresciuta a tal punto da farne un simbolo dello spirito pionieristico. Indossando questo segnatempo si diventa parte della storia dell’esplorazione spaziale. La sua prossima avventura? Dipenderà da dove lo porterete.
EDITORE
Ticino Welcome Sagl
Palazzo Mantegazza, Riva Paradiso 2
CH-6900 Lugano-Paradiso
T. +41 (0)91 985 11 88 info@ticinowelcome.ch www.ticinowelcome.ch
RESPONSABILE EDITORIALE
Mario Mantegazza
COORDINAMENTO EDITORIALE, PUBBLICITÀ E PUBBLICHE RELAZIONI
Paola Chiericati
COORDINAMENTO EDITORIALE, SETTORE ARREDO/DESIGN
Francesco Galimberti
REALIZZAZIONE EDITORIALE
Mindonthemove srls
LAYOUT E GRAFICA
Kyrhian Balmelli e Lorenzo Terzaghi
FOTOGRAFIE
Si ringraziano le aziende produttrici, amministrazioni, enti e istituzioni del Ticino. Foto di copertina: studio kilo snc
STAMPA
FONTANA PRINT SA CH-6963 Pregassona
SERVIZIO ABBONAMENTI (4 NUMERI) CHF 32.- (spese postali escluse) T. +41 (0)91 985 11 88 www.ticinowelcome.ch
PUBBLICITÀ SVIZZERA TEDESCA E FRANCESE FACHMEDIEN ZÜRICHSEE WERBE AG CH-8712 Stäfa claudio.moffa@fachmedien.ch
IN TICINO: Abbonamenti, Ticino Turismo, alberghi 4 e 5 stelle, studi medici e dentistici, studi d’avvocatura, studi d’ingegneria e d’architettura, banche e fiduciarie, aziende AITI (Associazione Industrie Ticinesi), aziende Cc-Ti (Camera di commercio, dell’industria e dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino), Club Rotary Ticino, Club Lions Ticino, edicole del Ticino.
IN ITALIA: Nelle fiere turistiche, Aeroporto di Malpensa, Hotel ed esercizi pubbliciProvincia di Como e Lombardia.
Per non dimenticare
DI MARIO MANTEGAZZA
Da quando nello scorso mese di ottobre la perdita di mio padre ha lasciato un grandissimo vuoto non solo nel cuore di tutta la nostra famiglia ma anche nei tantissimi ticinesi che nel suo ricordo si sono stretti intorno a noi, c’è un pensiero che mi accompagna e, se possibile, accresce il mio dolore. Ho infatti avvertito, con il sentimento e la ragione, il fatto incontrovertibile che con la sua scomparsa, con quella di mio zio Sergio, e di altre donne e uomini molto amati e popolari, stia purtroppo scomparendo una generazione di straordinarie personalità che con coraggio, tenacia, voglia di fare e passione ci hanno consegnato questo Ticino che troppo spesso siamo abituati a ritenere un bene e un diritto definitivamente acquisiti. Il dovere della memoria è una premessa fondamentale per la costruzione e la preservazione della propria identità. Memoria non solo come eredità di esperienze passate, ma come elemento attivo che plasma il nostro modo di percepire il mondo e noi stessi. Attraverso i ricordi, costruiamo narrazioni personali che danno senso alle nostre azioni e decisioni. La memoria collettiva, inoltre, collega individui a comunità, permettendo di mantenere vive le tradizioni e i valori. Ignorare il passato significa ri-
nunciare a una parte di ciò che siamo: in questo senso, ricordare diventa allora un atto di responsabilità verso noi stessi e le generazioni future. Queste riflessioni mi hanno indotto, insieme alla redazione di Ticino
Welcome, a prendere la decisione di dare vita ad una nuova sezione della rivista dove, a partire già da questa edizione, saranno pubblicate alcune interviste a figure di primo piano nella politica, nell’economia, nella cultura e nella vita del Ticino. Testimonianze preziose, profondamente sentite e partecipate, per ricordare attingendo al proprio vissuto personale la diretta conoscenza, e più spesso i legami d’amicizia con mio padre. Ma, al tempo stesso, un racconto non di rado inedito intorno a ciò che era il Ticino e di come si sia trasformato grazie anche al contributo di chi ha voluto e saputo mettere in primo piano la passione, il coraggio, l’amore per questa meravigliosa terra. L’affresco che esce da questi contributi è un invito a riprendere nelle nostre mani, con altrettanto spirito d’iniziativa, visione e voglia di costruire insieme, l’impegnativa eredità morale che i nostri padri ci hanno lasciato.
Mario Mantegazza
ROBERTO GRASSI
Dobbiamo tutti
credere nel futuro
GEO MANTEGAZZA E GIORGIO GIUDICI
Fare, ma senza apparire
TANJA LA CROIX
Mille sfumature d’arte
DANIELE FINZI PASCA Creatività e fantasia a 360 gradi
EDITORIALE
Per non dimenticare Di Mario Mantegazza
Roberto Grassi: Dobbiamo tutti credere nel futuro Di Patrizia Pedevilla
Beat Jans: Umanista ma pragmatico Di Rocco Bianchi
Geo Mantegazza e Giorgio Giudici: Fare, ma senza apparire Di Eduardo Grottanelli De’ Santi
Luigi Maria Di Corato: Una cultura per tutti al servizio della comunità Di Donatella Révay
Princess Sophie of Liechtenstein: Philanthropy as a family vocation Di Elisa Bortoluzzi Dubach
Paul R. Milgrom: La progettazione del mercato può creare un mondo più sostenibile?
Bruno Giussani: Cultura e intelligenza artificiale: insieme o divisi?
Max Huber: Gigante della grafica internazionale Di Eduardo Grottanelli De’ Santi
USI: La Dama de Cao, la donna che cambiò la storia del Per ù Di Nicola Martinetti
Uberto Vanni D’Archirafi: Rinnovare la continuità culturale con il Ticino Di Andreas Grandi
Tanja La Croix: Mille sfumature d’arte Di Michelle Uffer
Morena Ferrari Gamba: Un team forte, competente e motivato
Maria Antonietta Mastroddi: Ogni giorno c’è qualcosa da imparare
Lukas Britschgi: Il campione venuto dal silenzio Di Romano Pezzani
TAVOLA ROTONDA
Turismo in Ticino: Ambizioni e difficoltà Di Enrico Carpani
Moreno Bernasconi: Quante divisioni ha il Papa?
Daniele Finzi Pasca: Creativit à e fantasia a 360 gradi
Un cartellone classico, contemporano e di sperimentazione
MASI LUGANO
CULTURA FINANZA
Alle origini del paesaggio svizzero
Memorie di un Ticino rurale
Olivia Toscani Rucellai: Memorie della bellezza come scelta di vita
Marco Lupi: Osservazione, sensibilit à e memoria
Estival Jazz: La musica conquista la piazza
ABT: La piazza finanziaria tra tradizione e innovazione
BPS (Suisse): Un altro anno di risultati positivi
Gruppo Bancastato: Il 2024 è stato il migliore anno di sempre
Credinvest Bank: Innovare con valore: quando gli investimenti incontrano la sartorialit à Ceresio Investors: Prospettive e rischi per il settore agroalimentare
SPECIALE LUSSO
LADIES IN MOTION
Aperture negozi: Aperti o chiusi, questo è il dilemma
Omega: Bronzo, oro e borgogna
Lamborghini Urus SE: Una supercar user-friendly
Sports Cars Sales & Service AG: Passione per le auto sportive di lusso
Maserati Grecale: Esperienza di guida senza limiti
Wetag Consulting: Costruire un ponte tra il Ticino e il mondo
MG Immobiliare: Ricercare un equlibrio tra innovazione e relazione
The Flag: Soluzioni abitative per ogni esigenza
SIT Immobiliare: Vendiamo sostanza e non apparenza
Arch. Paolo Scoglio: Architettura in simbiosi con la natura
DOSSIER FONDAZIONI TURISMO
GASTRONOMIA ENOLOGIA
HOTELLERIE SPORT
MEDICINA
BENESSERE
Elisa Bortoluzzi Dubach: La generosità che cura
Michèle Frey-Hilti: Our global philanthropic commitment Di Elisa Bortoluzzi Dubach
Dagmar Bühler-Nigsch: Insieme per contare di più
Peter Goop: L’importanza del self empowerment
Ticino Turismo: Esperienze tutte da vivere
Lugano Region: Prodotti turistici sempre più attrattivi
Funicolare Monte San Salvatore: Da Paradiso in Paradiso
OTR Mendrisiotto e Basso Ceresio: Una nuova casa per il turismo
Costa Rica: Spettacolari avventure nella natura Di Paola Chiericati
Alessandro Manzoni: Un inedito gourmet Di Marta Lenzi
SPST 2025: Un festival a ritmo di samba
Ticino Gourmet: A tavola con MarTIno
Accademia Italiana della Cucina: 40 anni di gusto e passione Di Eduardo Grottanelli de’ Santi
Ticinowine: Il futuro del vino nelle mani dei giovani
Sicilia: Alla scoperta delle strade del vino e dell’olio Di Rocco Lettieri
Tschuggen Grand Hotel: Una progettazione a regola d’arte Di Paola Chiericati
Tschuggen Grand Hotel: Là dove le stagioni accompagnano la cucina Di Giacomo Newlin
Hotel Storchen Zürich: Un boutique hotel nel centro storico di Zurigo Di Paola Chiericati
Hotel Storchen Zü rich: Un’oasi Grand Gourmet sulle rive della Limmat Di Giacomo Newlin
Arosa Golf Club: Giocare a golf ad alta quota Di Ariella del Rocino
Swiss Medical Network: Il futuro della medicina si costruise insieme Di Keri Gonzato
Dott. Marco Varini: Mission impossible? Di Donatella Révay
Dott. Matteo Malacco: Un grande passo in avanti nel percorso biohacking
Di Dimitri Loringett
DOBBIAMO TUTTI credere nel futuro
Una vita dedita al lavoro, ma non solo. Dopo un’esperienza internazionale Roberto Grassi, nel 1996 entra a far parte del Gruppo Fidinam e dopo cinque anni viene nominato CEO. Membro del Consiglio della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato del Canton Ticino e vicepresidente dell’Associazione Lugano Commodity Trading, Grassi ha numerosi interessi che lo portano a seguire la realtà ticinese con grande entusiasmo. Vicepresidente della Swiss Wine Promotion, crede nelle potenzialità di questa terra, non solo dal punto di vista produttivo, ma soprattutto in termini di ricerca. Poco si sa di Roberto Grassi, almeno per quanto riguarda la sua vita privata. Arrivo in Fidinam puntale, piove. In ascensore mi chiedo se riuscirò a parlare in modo colloquiale con il CEO di Fidinam, anche perché se una persona decide di non mettere nulla su internet… non si tratta di un caso.
Vorrei parlare un po’ di Lei, della sua vita… dov’è nato, la sua famiglia… senza sembrare troppo invadente… (Annuisce e inizia a parlare in tono pacato) «Tutti noi siamo custodi delle nostre vite, io lo sono della mia, per questa ragione non avrà trovato molte informazioni private a riguardo. Ci tengo moltissimo alla mia privacy, non uso i social… ho solo Linkedin, che guardo ogni dieci giorni».
IL SUO APPELLO È RIVOLTO ALLE GENERAZIONI FUTURE, NELLA SPERANZA CHE SAPPIANO RICONOSCERE I PREGI DI QUESTO PICCOLO, GRANDE MERCATO, APPROFITTANDO AL MASSIMO DELLE OPPORTUNITÀ OFFERTE.
DI PATRIZIA PEDEVILLA
(Una pausa) «Sono nato da una famiglia ticinese, nato e cresciuto a Massagno. Il ginnasio l’ho frequentato a Savosa, mentre il Liceo a Lugano, (allora erano solo tre anni), così, presa la maturità, ho continuato gli studi a San Gallo dove, come il resto dei ticinesi, mi sono dovuto confrontare con il tedesco (sorride). La mia era una famiglia tipica ticinese, quattro figli e una vita, diciamo, tranquilla. Quello che non era molto ticinese era il passato dei miei genitori. I miei, infatti, si erano sposati a New York, dove mio papà lavorava, stiamo parlando degli anni ’50, non ci si andava e tornava in due giorni, mia mamma invece faceva la hostess a Swissair, un lavoro estremamente moderno per quegli anni ed è proprio a New York, durante una cena tra ticinesi, che si sono conosciuti e si sono innamorati. Per me sono stati e restano un esempio di grande coraggio, il lavoro di mia mamma mal
“Pur essendo nato in Ticino e sentendomi molto legato a questa regione, il vissuto dei miei genitori mi ha influenzato molto. Dopo l’Università non mi sono fermato in Svizzera, sono stato in Francia per il dottorato e a Londra per le prime esperienze professionali”.
“Posso essere appassionato di cucina, di aviazione di qualunque cosa e trovare un lavoro in questo ambito come economista o fondare un’azienda nell’ambito desiderato. L’economia è magica, ti permette di combinare passione e lavoro, cosa volere di più?”.
visto da mia nonna, l’audacia di mio padre di trasferirsi in America… ricordo ancora le loro fotografie, sembrano passati secoli».
Lei però è nato in Ticino… «Sì, anche perché dopo il matrimonio civile americano c’è stato quello in chiesa a Bellinzona, città natale di mia mamma. Pur essendo nato in Ticino e sentendomi molto legato a questa regione, il vissuto dei miei
genitori mi ha influenzato
molto. Dopo l’Università non mi sono fermato in Svizzera, sono stato in Francia per il dottorato e a Londra per le prime esperienze professionali. Lo stesso vale per i miei due fratelli e mia sorella, ma questo non significa che abbiamo perduto le nostre radici, e quando ho avuto i miei figli ho deciso di trasferirmi qui, il posto ideale per una famiglia».
Viaggia ancora molto?
«Forse un po’ meno che in passato, ma il mio lavoro comporta anche molti viaggi, devo e voglio mantenere vive le relazioni internazionali e ci sono incontri dove è indispensabile presenziare. Comunque, devo dire che prendere un aereo non mi è mai pesato».
Molta passione per i viaggi, lo scoprire nuove culture, come mai ha scelto di studiare economia?
«È stata una scelta pensata. Il vantaggio dell’economia è che ti permette di spaziare in tutti gli ambiti. Posso essere appassionato di cucina, di aviazione di qualunque cosa e trovare un lavoro in questo ambito come economista o fondare un’azienda nell’ambito desiderato. L’economia è magica, ti permette di combinare passione e lavoro, cosa volere di più?».
E quindi la sua passione qual era? «Come può immaginare non ho una sola passione e ho la fortuna di fare un mestiere che mi permette di essere attivo in molteplici campi sia nella mia funzione di direzione di Fidinam che nella consulenza, un lavoro che mi permette di essere presente in diversi consigli di amministrazione di società attive nel ramo finanziario-bancario, dell’edilizia, e pure del vino dove sono vicepresidente della Swiss Wine Promotion, che si occupa di vino a livello svizzero. Ogni mattina per me è una nuova sfida, posso pensare al mercato della consulenza, ai mercati finanziari o a quello immobiliare, al mercato del vino, a quello della costruzione e naturalmente a Fidinam, anche perché contiamo trecento dipendenti».
Lei è in Fidinam da quasi trent’anni e ne parla ancora con un entusiasmo sorprendente… «Certamente, lo dovremmo fare tutti, indipendentemente se in un’azienda ci si ferma poco o tanto. È indispensabile avere delle figure stabili, con esperienza, una memoria storica di riferimento. Oggi si chiede ai giovani flessibilità, capacità di adattamento, ma questo non impedisce una crescita interna, soddisfacente, anche perché alla base del successo di una società ci sono i
rapporti di fiducia, la velocità di reazione, l’immediatezza con cui le persone comunicano e si capiscono, un bagaglio insostituibile. Sono assolutamente convinto che se da una parte bisogna regolarmente guardarsi attorno, informarsi, dall’altra se una persona continua a cambiare posto di lavoro ha obbligatoriamente un tempo di adattamento nel quale non può sfruttare il massimo delle sue potenzialità. Per questo ritengo che la ricchezza delle aziende stia nel personale, nel come questo viene gestito, alle scelte interne fatte. Parlando mi riferisco a noi, al nostro personale, con il quale riesco a fare un ottimo lavoro e del quale sono molto soddisfatto».
Lei ha un legame intenso con la sua professione e quindi mi viene spontaneo chiederle se riesce a staccare, a non pensare al lavoro… (Sorride) «Non è che vivo per lavorare, ma sì mi piace molto quello che faccio. Tutti noi passiamo molto tempo lavorando, quindi è impor -
tante che lo si faccia con passione, almeno lo spero… per questo dico sempre che se qualcuno non è soddisfatto nel contesto in cui si trova deve cambiare, e lo dico seriamente, anche se il cambiamento fa paura e implica delle rinunce. Non possiamo passare una vita in un posto di lavoro che non fa per noi! Uscire dalla comfort zone non piace a nessuno, ma non farlo genera delle insoddisfazioni profonde. Io appartengo a una generazione dove non si parlava di work life balance, o forse bilanciavamo le nostre energie da soli, non so… oggi si cerca di lavorare otto ore per mantenere una qualità di vita, ma dopo metà giornata in molti iniziano a pensare a quante ore mancano prima di andare a casa, questo è un peccato, vivere in una situazione del genere è negativo per la persona e per l’azienda. Parla una persona che ha dato molto al lavoro, ma ha anche una grande famiglia, ho cinque figli, tre grandi e due più piccoli; quindi, mi rendo perfettamente conto dei valori della vita e della vera soddisfazio -
ne. Sono un uomo di economia, ma il bene dei mei figli, della mia famiglia, resta al primo posto, e mi sento quindi di dire che una persona deve cercare la soddisfazione sia nella sua vita privata, sia in quella lavorativa».
Capisco, ma non è sempre facile riuscire a conciliare la vita privata e la vita lavorativa, soprattutto quando si hanno molte responsabilità… «In un certo senso penso che sia così per tutti, quando il tempo è poco ci si concentra sulla qualità del tempo passato assieme e, soprattutto, bisogna imparare a gestire le tensioni, i conflitti, insomma tenere i problemi lavorativi al di fuori della propria casa. Se uno riesce a farlo, ecco, questo è il beneficio migliore che può dare alla sua famiglia, se uno invece arriva a casa nervoso, irritato, inizia a creare un danno. Anche perché se dico di lasciare il lavoro in ufficio intendo anche le preoccupazioni: l’essere assenti e silenziosi durante una cena non significa dedicare tempo ai propri cari».
PRIMO PIANO / ROBERTO GRASSI
Lei tiene molto alla sua privacy, alla sua vita privata, ha dunque scelto di non essere sui social, quando la maggior parte del mondo passa ore scorrendo lo schermo del cellulare…
«Non me la sento di giudicare, però sì, effettivamente, vedo molte persone sprecare tantissimo del loro tempo sui cellulari, giovani e meno giovani. Ma vent’anni fa ci veniva detto che passavamo troppo tempo davanti alla televisione (ironico).
Quello che mi preoccupa però dei social è la loro influenza: veniamo condizionati, incanalati e seguiamo la massa, senza approfondire nessun tema. In un certo senso i social tolgono un po’ la curiosità, la voglia di guardare oltre, di essere attenti a quello che sta succedendo fuori dalla finestra. In fondo devo tornare ai mei genitori, i quali mi hanno lasciato il tesoro più grande: la voglia di conoscere il mondo».
Una domanda dettata dalla curiosità: cosa ne pensa se si decidesse di dare a tutti un reddito di base incondizionato?
«Per me è una chimera, un’utopia, se io lavoro e l’altro è in giro tutto il giorno in bici perché mai dovrei continuare a lavorare? L’economia non può continuare solo con la voglia di chi ama il proprio lavoro, dobbiamo contribuire tutti, ci vuole una sorta di premio per chi genera valore impegnandosi. Questo non significa che l’economia capitalistica sia la più giusta, ma probabilmente la più funzionale, è quella che permette una crescita, un benessere generale, praticamente per la totalità delle persone. Basti pensare a come si viveva cinquanta, cento anni fa, quando l’analfabetismo toccava moltissime famiglie e il cibo non era garantito. Poi è vero che può esserci
“Ho parlato proprio questa mattina con un mio amico avvocato di questo tema: i giovani. Si dice che non abbiano voglia di assumersi responsabilità, di costruire qualcosa, di avere una famiglia, si dice che il mondo stia diventando sempre più individualista, molto più comodo, si fanno scelte che portano all’agio, piuttosto che cercare delle soluzioni che implicano un impegno. Ecco con questo avvocato, di qualche anno più vecchio di me, ridevo, perché mio nonno diceva la stessa cosa di noi.
Effettivamente io non posso pretendere di identificarmi con i giovani di oggi, è la società che evolve”.
un’instabilità economica, possono esserci anche delle ingiustizie, ecco dovremmo migliorarci affrontando questi punti per continuare a garantire stabilità al nostro Paese».
Lei utilizza parole positive, di crescita, di sviluppo, ma non pensa che l’aumento del costo della vita possa effettivamente mettere in difficoltà le famiglie ticinesi?
«I periodi di alta inflazione li abbiamo sempre vissuti, anche in Svizzera. Negli anni ’70, inizio anni ’80 l’inflazione aveva raggiunto quasi il 10%, e ciò non ha influito sulla generazione di benessere. Penso quindi che dobbiamo guardare il mercato sul lungo termine e credere nel futuro, impegnarci, lasciando il nostro sapere in eredità ai giovani».
Lei crede molto nei giovani, ma non tutti riescono a dare fiducia alle nuove generazioni… «Ho parlato proprio questa mattina con un mio amico avvocato di questo tema: i giovani. Si dice che non abbiano voglia di assumersi responsabilità, di costruire qualcosa, di avere una famiglia, si dice che il mondo stia diventando sempre più individualista, molto più comodo, si fanno scelte che portano all’agio, piuttosto che cercare delle soluzioni che implicano un impegno. Ecco con questo avvocato, di qualche anno più vecchio di me, ridevo, perché mio nonno diceva la stessa cosa di noi. Effettivamente io non posso pretendere di identificarmi con i giovani di oggi, è la società che evolve. Non so neanche come si riuscirà a garantire il benessere con una previsione di rallentamento del lavoro, l’arrivo dell’intelligenza artificiale e la robotizzazione. Le automatizzazioni riusciranno a compensare quella non voglia di impegnarsi? Non lo
so, ma la storia ci insegna che ogni evento ha una conseguenza. Il problema non è nei giovani, ma nella società tutta. Dopo la guerra nella mente delle persone c’era la voglia di crescere, di creare valore, con il benessere questa esigenza è venuta pian piano meno. Ma questo non significa che sarà così per sempre».
Accanto ai giovani lei crede nelle potenzialità del Ticino, nella sua forza, anche sul piano internazionale… «Il Ticino è una terra ricca, internazionale più che mai, mi capita spesso di camminare la sera a Lugano e sentire parlare altre lingue, vent’anni fa non era così. Siamo centrali, senza neanche accorgerci. Poi capisco che se parliamo di Piazza Finanziaria le cose sono cambiate, ma dobbiamo anche dire che il Ticino ha fatto fortuna con la vicina Italia e io credo che siamo stati bravi a gestire questa fortuna finché c’è stata. Quello che dobbiamo riconoscere al Ticino è che si sta reinventando: negli ultimi anni sono arrivate realtà importanti, penso all’Università, ma anche ai vari Istituti di Ricerca a Bellinzona, ma mi sembra che non tutti si rendano conto di cosa stia succedendo sul nostro territorio. Abbiamo anche uno dei Centri di Calcolo più potente d’Europa e siamo solo trecentocinquantamila abitanti, questo per me è incredibile. Senza elencare i ricercatori e i professori che vivono in Ticino, luminari riconosciuti a livello mondiale, così come i commercianti di materie prime legati al Commodity trading».
Da dove arriva questa sua energia, questo suo ottimismo?
«Io sono ottimista di natura, ma in ogni caso basta guardarsi attorno per capire che quanto è detto è ve -
ro. Sono andato a San Gallo a studiare, in tedesco, oggi i giovani hanno la possibilità di scegliere università in tutto il mondo, di studiare in inglese, anche in Svizzera. Abbiamo una mobilità fisica e di dati incredibile, che possiamo sfruttare a nostro vantaggio. (Pausa) L’altro giorno un quarant’enne mi ha chiesto di dargli del tu, io ho risposto che normalmente sono i più anziani, visto che ho sessantadue anni, a chiederlo. Sa qual è stata la battuta? “Che fortuna, tra poco va in pensione”. Volevo dirgli di andare lui in pensione, perché io ricomincerei volentieri tutto da capo».
Un bene illimitato, senza confini, quello del sapere. Una volta scoperto è difficile poterne fare a meno e non cercare di sfruttare ogni momento per crescere, non solo a livello lavorativo, ma anche umano.
UMANISTA MA PRAGMATICO
INTERVISTA A BEAT JANS, CAPO
DEL DIPARTIMENTO FEDERALE
DI GIUSTIZIA E POLIZIA DFGP.
DI ROCCO BIANCHI
Di famiglia operaia, perito agrario di formazione, ingegnere del Poli, professore universitario e infine consigliere federale. Chi è in realtà Beat Jans?
«Sono questo e molto altro: ho una moglie meravigliosa, sono padre, figlio, per hobby suono la batteria, amo la musica, sono tifoso di calcio e basilese. In Consiglio federale rappresento la Svizzera urbana, ma conosco anche la Svizzera rurale. Sono ancora capace di pulire una stalla. La mia vasta esperienza mi aiuta a prendere decisioni nell’interesse dell’intero Paese e per il bene di tutti».
Tra tutte le attività pubbliche che ha svolto nella sua vita, è riuscito a coltivare qualcosa di privato, che può dire sia solo suo?
«Da quando sono Consigliere federale, l’interesse del pubblico nei miei confronti è ulteriormente aumentato. Ma come tutti ho anche una vita privata, che mi dona equilibrio. Anche se ho poco tempo, per me è molto importante continuare a dedicarmi alle mie passioni: partecipo a manifestazioni culturali, ogni tanto vado allo stadio, cucino e passo del tempo a casa con le mie figlie e mia moglie. Mi godo anche le cene con gli amici e le passeggiate con il nostro cane».
In un’intervista lei ha dichiarato di avere sempre davanti agli occhi sua madre, di umili origini, quando parla. “Se lei mi dice che non ha capito, allora ho sbagliato qualcosa”. Viene rimproverato spesso?
«Sì, vengo spesso criticato, ma non mi dà fastidio. Rientra nella mia funzione ed è parte del gioco. E la politica in materia di asilo è particolarmente controversa, non solo in Svizzera. Ricevo però anche molti riscontri positivi dalla popolazione, il che mi fa molto piacere. Molte delle misure che abbiamo preso lo scorso anno hanno effetti positivi e sono un grande stimolo per il mio lavoro al DFGP e in Consiglio federale».
Un “contadino” che proviene da un grande centro urbano: una contraddizione irrisolvibile o la sintesi di quello che è la Svizzera?
«È la sintesi della Svizzera. Da uno Stato agricolo siamo divenuti un moderno centro urbano per la ricerca, l’industria e i servizi – senza dimenticare o rinunciare del tutto alle nostre radici e alla nostra storia. Incarno il mondo rurale e quello cittadino, che non sono affatto in contraddizione tra loro. Anche i ricercatori devono mangiare».
Lei è nato e cresciuto al confine tra Francia e Germania. Che rapporto ha con chi sta dall’altra parte?
«Gli scambi al crocevia fra tre Stati sono da sempre intensi e per chi vive a Basilea è normale superare i confini nazionali. Nella mia precedente funzione di presidente del Consiglio di Stato ho spesso incontrato i rappresentanti ufficiali del Baden-Württemberg e dell’Alsazia. La vita quotidiana nella regione di Basilea si svolge a cavallo tra i confini, indipendentemente dal Paese in cui si risiede».
“Da
molti mesi constatiamo una riduzione del numero delle domande d’asilo. Quindi quest’anno chiudiamo diversi centri federali d’asilo. Il numero di casi pendenti diminuisce e con un certo ritardo ne risulterà uno sgravio tangibile anche per i Cantoni e i Comuni”.
La frontiera è un limite o un’opportunità?
«Da quando la Svizzera fa parte dello Spazio Schengen, a Basilea la frontiera è poco percepita. Gli stretti legami con l’UE e i nostri Paesi vicini sono un’opportunità per Basilea e la Svizzera intera. Per questo motivo, il Consiglio federale si impegna a stabilizzare e sviluppare le nostre relazioni con l’UE».
Ad eccezione degli italofoni sempre meno svizzeri parlano le altre lingue nazionali, per cui per comunicare tra loro usano l’inglese. La preoccupa?
«La lingua è strettamente connessa con la cultura. Chi studia un’altra lingua, apprende anche nuova musica, nuove usanze, nuova letteratura e un nuovo modo di pensare. Quando due Svizzeri parlano tra loro in inglese, perdono l’opportunità di capirsi nella cultura della propria regione linguistica nazionale. Sicuramente qualcosa va perso. Infatti la coesione della Svizzera si basa sulla volontà di un’appartenenza comune, anche al di là delle barriere linguistiche».
La squadra di calcio del Basilea gioca con i colori rossoblù, quelli della bandiera ticinese. I due estremi geografici della Confederazione quali altre similitudini hanno?
«I due semicantoni di Basilea e il Ticino essendo Cantoni di frontiera offrono molti posti di lavoro a frontalieri e sono strettamente connessi con i Paesi vicini. Sono entrambe regioni periferiche ed entrambi hanno l’impressione di essere talora poco considerati dal resto della Svizzera. Perciò è una buona cosa che attualmente in Consiglio federale vi siano due persone, Ignazio Cassis ed io, che rappresentano lo specifico punto di vista di questa Svizzera».
Quali differenze?
«In Ticino, l’hockey su ghiaccio, il cibo e il vino sono migliori. Dal punto di vista politico ho l’impressione che a Basilea sia dia maggiore importanza alle opportunità offerte dall’apertura all’Europa. Basilea ha tratto enormi vantaggi dalle buone relazioni con i Paesi vicini, sulle quali molti ticinesi sono apparentemente più critici. Ho l’impressione che in Ticino la paura del dumping salariale sia più forte. Perciò è ancora più importante rafforzare la protezione dei salari».
Lei ha definito il suo approccio all’immigrazione “umanista ma pragmatico”, attirandosi le critiche sia dalla destra che dalla sinistra. La politica d’asilo è davvero nel caos come la si dipinge?
«Da molti mesi constatiamo una riduzione del numero delle domande d’asilo. Quindi quest’anno chiudia-
“La lingua è strettamente connessa con la cultura. Chi studia un’altra lingua, apprende anche nuova musica, nuove usanze, nuova letteratura e un nuovo modo di pensare. Quando due Svizzeri parlano tra loro in inglese, perdono l’opportunità di capirsi nella cultura della propria regione linguistica nazionale”.
mo diversi centri federali d’asilo. Il numero di casi pendenti diminuisce e con un certo ritardo ne risulterà uno sgravio tangibile anche per i Cantoni e i Comuni. Malgrado le sfide da affrontare, Confederazione, Cantoni e Comuni hanno il controllo della situazione. Per essere meglio preparati alle crisi future, lavoriamo insieme alla nuova strategia globale per l’asilo. Nei centri federali d’asilo abbiamo investito nella sicurezza e nell’assistenza ai richiedenti l’asilo e nel contempo imponiamo il ritorno delle persone che non hanno diritto di risiedere in Svizzera».
Si è detto favorevole ad esternalizzare i procedimenti d’asilo fuori dalla Confederazione.
Sul modello di Italia e Gran Bretagna o con altre modalità?
«Come ho detto stiamo esaminando tutte le possibilità. È un mandato del Parlamento. Non escludo a priori nessuna possibilità, a condizione che rispetti i diritti dell’uomo. L’esempio dell’Italia e della Gran Bretagna mostra tuttavia che tali progetti sono difficili da attuare dai punti di vista giuridico e pratico».
La Svizzera e l’economia hanno bisogno di manodopera qualificata, dunque della libera circolazione delle persone; popolazione e sindacati temono dumping salariale e sostituzione di manodopera. Come si risolve questo dilemma?
«Questo tema ci occupa fin dalla prima votazione sulla libera circolazione delle persone. Allora come oggi la risposta consiste nel rafforzare la protezione salariale in Svizzera. A tal fine è pertanto molto importante l’intesa raggiunta dai sindacati e dalle associazioni dei datori di lavoro su 13 misure. Il Consiglio federale ha inoltre deciso un’altra misura. È infatti chiaro anche per il Consiglio federale che la Svizzera vuole contrastare il dumping salariale».
Lei ha dichiarato in un discorso all’Associazione degli editori che i media sono essenziali per il funzionamento della democrazia, ma il buon giornalismo costa. A suo avviso la politica dovrebbe intervenire di più in loro aiuto? «Il 30 aprile 2025, il Consiglio federale ha adottato il messaggio sui diritti di protezione affini, secondo cui in futuro i grandi fornitori di servizi online devono versare un compenso alle imprese mediatiche per l’utilizzo di estratti di pubblicazioni (snippet). Si tratta di una compensazione per una prestazione giornalistica e non di un sussidio. Il pacchetto di misure per la promozione dei media è invece stato rifiutato in votazione popolare tre anni fa. È quindi dubbio che la popolazione voglia che siano versati sussidi supplementari ai media. È tuttavia chiaro che media di buona qualità, liberi e indipendenti rivestono una grande importanza per la democrazia e la coesione della Svizzera».
Non sappiamo dirti quale sia la pizza migliore. Ma il conto migliore con carta sì.
Con UBS fai la scelta giusta per il tuo conto e la tua carta. Per tutto ciò che ti aspetta.
In una realtà dalle limitate dimensioni come era soprattutto all’epoca il Ticino, il mondo politico e quello imprenditoriale avevano frequenti occasioni di incontro e confronto… «Assolutamente sì. Ci si conosceva praticamente tutti e i Mantegazza rappresentavano una delle famiglie autenticamente ticinesi più note e stimate. Con Sergio e Geo mi sono visto tante volte, per ragioni di lavoro legate a progetti imprenditoriali, alle
LA LUGANO DELLA SECONDA METÀ DEL SECOLO SCORSO, ANNI IN CUI GEO MANTEGAZZA
HA SVILUPPATO LA SUA ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE, ERA PROFONDAMENTE DIVERSA DA QUELLA ATTUALE.
A RACCONTARE QUEL PERIODO, DENSO DI INCERTEZZE MA ANCHE DI GRANDI OPPORTUNITÀ DI CRESCITA, NON POTEVA
CHE ESSERE GIORGIO GIUDICI, STORICO SINDACO DELLA CITTÀ
DAL 1984 AL 2013, RICONOSCIUTO ARTEFICE DELLA NUOVA
LUGANO, PORTO DI APPRODO DEL PROCESSO DI AGGREGAZIONI COMUNALI.
DI EDUARDO
GROTTANELLI DE’SANTI
FARE, MA SENZA APPARIRE
fondazioni culturali o benefiche da loro fondate o alle quali hanno assicurato il loro sostegno, per la presenza a eventi pubblici o sportivi, legati naturalmente al mondo dell’hockey. Ma è capitato anche di incontrarci
casualmente in piazza della Riforma, scambiando quattro chiacchiere o bevendo un caffe al Federale, come è normale che sia tra persone che frequentano e amano passeggiare nel centro della loro città».
I primi lavori portati avanti da Geo Mantegazza riguardavano soprattutto l’ingegneria civile. In che modo siete entrati in contatto?
«È stata quella la prima occasione in cui ho conosciuto l’ingegnere Geo Mantegazza. Bisogna partire da una situazione che molti cittadini luganesi ricordano benissimo: ancora intorno agli anni ’60 del secolo scorso non c’era fiume o lago della Svizzera in cui si potesse fare il bagno senza preoccupazioni. Se adesso le cose stanno diversamente è grazie alla costruzione dell’attuale rete di canalizzazioni, agli impianti di depurazione e alle altre infrastrutture di smaltimento delle acque di scarico cofinanziate dalla Confederazione e portate avanti dalle amministrazioni locali. Anche il nostro lago versava in pessime condizioni. Le acque di scarico urbane e industriali venivano sversate nei corsi d’acqua senza trattamento e i fiumi, sempre più inquinati, erano ricoperti di schiume maleodoranti. Gli elevati apporti di nutrienti, soprattutto azoto e fosforo, provenienti dai detersivi o dall’industria favorivano inoltre la proliferazione di alghe che privavano d’ossigeno i fondali dei laghi, provocando massicce morie di pesci. All’epoca, i pochi pescatori di lago ancora rimasti erano letteralmente disperati».
Quando e come furono avviati i lavori per la depurazione delle acque?
«A partire dalla fine degli anni ‘50 vennero istituiti dei consorzi di comuni per la realizzazione e la gestione delle opere di raccolta e depurazione delle acque. Il consorzio costituiva la forma istituzionale che meglio rispondeva all’urgenza di risanamento del Ceresio. Nello specifico, nel febbraio del 1959 fu
costituito il Consorzio per la Depurazione delle Acque Lugano e Dintorni, successivamente all’inizio degli anni ’80 fui nominato presidente. Lo scopo e la costruzione dell’impianto erano finalizzati alla costruzione della quarta fase a competizione del progetto delle canalizzazioni per adduzione delle acque luride al costruendo impianto di depurazione acque di Lugano e Dintorni (IDA). Lo Studio di ingegneria Mantegazza e Cattaneo ebbe in quegli anni un ruolo decisivo nell’assumere la progettazione e la realizzazione di opere di scavo e di canalizzazione, che hanno progressivamente determinato la messa in esercizio degli impianti di depurazione delle acque di scarico, compreso il grande collettore che
dal centro della città confluisce nel primitivo nucleo del depuratore di Bioggio. La risposta del lago non si è fatta attendere e gradualmente la qualità delle sue acque è notevolmente migliorata. Il mutamento della situazione è stato reso possibile dalla diversione delle acque urbane della città di Lugano e dintorni verso il bacino sud dove, dopo adeguato trattamento, vengono re-immesse nelle acque superficiali. In questo senso si può ben dire che la prima grande opera edilizia di Geo Mantegazza a favore della città di Lugano abbia riguardato proprio le sue fondamenta, gettando le basi per la soluzione di un problema che poi nel corso dei decenni successivi ha conosciuto ulteriori interventi di miglioramento».
Nella sua veste di Sindaco di Lugano quando è iniziata invece la vostra collaborazione?
«All’inizio degli anni ’90 ero a capo, in quanto Sindaco, della società proprietaria dalla vecchia struttura delle Resega con la sua pista del ghiaccio utilizzata dall’Hockey Club Lugano e in quel periodo avviammo i lavori per la ricostruzione dell’intero impianto.
“Con Sergio e Geo mi sono visto tante volte, per ragioni di lavoro legate a progetti imprenditoriali, alle fondazioni culturali o benefiche da loro fondate o alle quali hanno assicurato il loro sostegno, per la presenza a eventi pubblici o sportivi, legati naturalmente al mondo dell’hockey”.
Ebbi così modo di consultarmi più volte con Geo Mantegazza, con l’avv. Fabio Gaggini e con il loro team di collaboratori circa le soluzioni più opportune da adottare, l’organizzazione degli spazi e i servizi da realizzare a disposizione dei giocatori e del pubblico. Il problema era poi quello di evitare che, per tutta la durata dei lavori, la squadra di hockey dovesse emigrare verso un altro impianto per disputare le partite casalinghe del campionato svizzero ed escogitammo la soluzione di allestire una tribuna provvisoria in corrispondenza di quella che era la nuova Reseghina, che poi venne a sua volta completamente rifatta. L’intera operazione di demolizione e ricostruzione dell’impianto della Resega costituisce un
esempio di equilibrio tra rispetto di precise esigenze tecniche e sportive e buon utilizzo delle risorse pubbliche, se si considera che i lavori furono portati a termine in circa tre anni (l’inaugurazione avvenne il 25 settembre 1995), a fronte di una spesa complessiva di soli 21 milioni di franchi».
Riannodando per un momento il nastro delle vicende che hanno determinato lo sviluppo di Lugano, qual era il contesto economico e sociale in cui ebbe inizio l’avventura imprenditoriale di Geo Mantegazza?
«Alla metà del secolo scorso Lugano costituiva ancora una piccola realtà dove c’era tanto da fare e inventare. Bisognava pero avere la capacita di
intuire per tempo quali sarebbero stati i bisogni e le aspettative di una comunità che di lì a pochi decenni avrebbe conosciuto una rapida crescita. In questo senso i fratelli Mantegazza sono stati degli anticipatori, sia nel settore del turismo e dei viaggi che per quanto riguarda la domanda di servizi, come per esempio un lago con acque pulite, o la richiesta di residenze confortevoli ed eleganti. Bisogna poi dire che all’epoca le imprese di qualità, competenti e affidabili, erano relativamente poche e dunque era più facile vincere la concorrenza. Infine, elemento assolutamente da non sottovalutare il fatto che la macchina burocratica era molto più snella e le decisioni potevano essere prese e attuate in tempi rapidi, senza troppi intralci, ricorsi e complicazioni varie».
Un capitolo a parte merita la realizzazione di edifici che definiscono l’immagine stessa di Lugano, come nel caso del Palazzo Mantegazza a Paradiso e del Grand Palace nel centro della città… «Palazzo Mantegazza, con la sua facciata altamente tecnologica, fatta di cristalli e nuovi metalli, che gli conferisce una leggerezza ben integrata con l’importante volumetria dell’edificio, occupa certamente una posizione strategica, nel luogo in cui la strada di scorrimento che porta
all’imbocco dell’autostrada si innesta nel lungolago di Lugano. Il vincolo di concorso, seguendo le indicazioni delle norme di piano regolatore di Paradiso, prevedeva una tipologia ad angolo con un’altezza massima di 35,50 metri per 11 piani, e a questo proposito mi piace ricordare un altro episodio che mi vide coinvolto in prima persona, consentendomi di approfondire la competenza professionale di Geo e Sergio Mantegazza. Fui infatti chiamato a presiedere la commissione giudicatrice del concorso internazionale indetto per scegliere il progetto architettonico dell’edificio a cui parteciparono tre studi stranieri e tre ticinesi. Dopo una prima selezione venne premiato il progetto dell’architetto Giampiero Camponovo. In quell’occasione ebbi modo di conoscere anche l’architetto Norman Foster, una persona davvero straordinaria, dotata di una umanità e di una gentilezza fuori del comune».
E per quanto riguarda la realizzazione del LAC e del Grand Palace?
«La storia del LAC è abbastanza complessa e merita di essere raccontata. Nel dicembre del ’95, il direttore del Credit Suisse di Lugano, banca allora proprietaria dell’area mi prospettò l’opportunità che il Municipio acquistasse il Palace. Ci accordammo per l’acquisto per 30 milioni di franchi e il credito fu approvato dal Consiglio comunale nel 1996. Inizialmente l’idea era di realizzare un grande albergo con annesso il casinò. Ero presidente della Kursaal SA e chiedemmo al Municipio di poter assumere l’onere di aprire un concorso per la progettazione di tutto il comparto e furono invitati architetti di fama internazionale. Tuttavia, ci rendemmo conto che era molto difficile progettare entrambi i contenuti
su quell’area, e nel ‘99 decidemmo di realizzare la sala da gioco al Kursaal, in vista dell’ottenimento della concessione per i grandi giochi (che ci fù assegnata) dove si trova oggi. Di conseguenza, ci trovammo di fronte al problema di cosa fare del Palace. Tenendo conto del fatto che sventrando l’edificio Kursaal, che era adibito anche a sala cinematografica (che nel frattempo avevamo trasferito alla Termica a Cornaredo, il primo progetto di rapporto privato / pubblico) il tutto per far posto al Casinò avevamo dovuto rinunciare al teatro, e visto che le mostre d’arte organizzate dalla Città attiravano decine di migliaia di visitatori e che la sala concertistica del Palazzo dei congressi era inadeguata alla qualità delle orchestre ospitate iniziai a concepire l’idea di mettere sotto lo stesso tetto attività espositive, teatrali e musicali. In particolare, confortato anche dal parere di Geo Mantegazza che faceva anch’esso parte del Consiglio di
fondazione (Lugano festival) sulla continuità della primavera concertistica ritenevo che fosse necessario realizzare una sala concerto allineata ai più elevati livelli europei. Così, una domenica mattina, era l’inizio di dicembre, chiamai Erasmo Pelli e gli spiegai l’idea. In quegli anni in Municipio eravamo in cinque, era più semplice portare avanti un progetto. Nel pomeriggio parlai con Guido Brioschi che si disse disponibile. Allora telefonai al segretario comunale, Armando Zoppi e gli chiesi di convocare una conferenza stampa. Lunedì mattina in seduta esposi l’idea a Giorgio Salvadè. Mancava Valeria Galli, che era assente. Ma eravamo tutti d’accordo. Nel pomeriggio comunicammo pubblicamente che sull’area dell’ex Palace sarebbe sorto il Polo culturale di Lugano».
Una grande progetto affiancato da un prestigioso complesso residenziale e commerciale…
«Restava il problema della destinazione del Palace che non poteva essere gestita da un’istituzione pubblica vocata ad assolvere a compiti diversi da quelli di operatore immobiliare. Il Municipio decise quindi che l’immobile andava rivenduto a privati, imponendo tuttavia alcuni ben precisi vincoli urbanistici ed edilizi, tra cui in primo luogo il mantenimento delle storiche facciate esterne che costituivano un simbolo dello sviluppo turistico della città. Bandimmo quindi un’asta, ricevendo la sola offerta del gruppo imprenditoriale costituito da Sergio e Geo Mantegazza, Maria Luisa Garzoni e Mario Albek che poterono avviare il processo di costruzione della nuova Residenza Grand Palace. La società acquirente scelse di affidare a Camponovo Architetti & Associati lo sviluppo progettuale definitivo dell’edificio, adottando particolari soluzioni soprattutto nel trattamento del fronte posteriore, rivolto verso il convento e visibile da chi proviene da via Nassa. Le residenze, che godono di una vista privilegiata sul lago, sono ospitate dietro al fronte originare dell’ex Palace, e la conservazione delle facciate (determinazione legittimata anche dalla volontà popolare), nonché la vicinanza dell’attigua Chiesa di Santa Maria degli Angioli, monumento storico nazionale, hanno imposto particolare attenzione nelle tecniche di scavo e di edificazione dell’intero complesso. Oggi si può ben dire che l’intervento pubblico e quello privato, pur distinti nella finalità dei progetti, abbiano concorso a restituire a questo comparto della città un aspetto monumentale e al tempo stesso contemporaneo, degna porta d’ingresso al centro storico cittadino».
IL MIO RICORDO DI GEO
«Nel corso degli anni ho incontrato più volte Geo Mantegazza e in alcune circostanze abbiamo anche avuto modo di lavorare fianco a fianco per la soluzione di specifici problemi. Devo riconoscergli che in ogni circostanza il suo carattere riservato lo portava prima di tutto ad ascoltare le argomentazioni dei suoi interlocutori per poi intervenire in modo deciso per quanto riguardava i contenuti del suo pensiero, ma mantenendo una forma che evitava il contrasto o la polemica inutile, senza mai entrare in quella mischia che spesso agita il nostro rissoso cantone. Questa misura nel trattare gli affari importanti come le cose più comuni, derivante anche dalla sua specifica posizione economica e sociale, gli consentiva sempre di guardare le situazioni quasi da una “quota” diversa, mantenendo una lucidità di analisi indispensabile per portare avanti un confronto costruttivo. Si potrebbe quasi parlare di un modo unico e molto personale di restare lontano pur essendo sempre vicino. Un ulteriore ambito di conoscenza è stata una comune adesione al Partito Liberale Radicale, per conto del quale ha ricoperto per anni a Lugano il ruolo di Consigliere comunale. Nel corso delle sedute del Consiglio, alle quale partecipava regolarmente quando non era lontano dalla città per ragioni di lavoro, ho avuto modo di condividere le sue idee di autentico “liberal-conservatore”, intendendo che sul piano economico aderiva pienamente all’’economia di mercato con tutte le sue conseguenze e sul piano dei valori poteva essere definito un conservatore che si batteva senza compromessi per il rispetto e il mantenimento dei
principi fondanti della nostra società. C’è poi un altro episodio che testimonia la sua sensibilità nei confronti della cultura e il genuino attaccamento alla città di Lugano. Alla fine degli anni ’90 il Municipio rilevò le «Primavera concertistica», prestigiosa manifestazione di musica sinfonica di cui fu direttore artistico anche il Maestro Bruno Amaducci, ma la gestione incontrò ben presto grandi difficoltà di carattere finanziario. Decidemmo dunque di creare una fondazione pubblica, ma aperta ai privati, che nel 2001 diede vita ad una rassegna musicale molto più ampia e articolata, che già dal nome, «Lugano Festival», rimandava ad affermate realtà internazionali. Ebbene, tra i sostenitori del progetto ebbe un ruolo di primo piano Geo Mantegazza, che continuò poi ad assicurare il suo sostegno per gli anni successivi. Sempre nel campo della responsabilità sociale della famiglia Mantegazza, altre occasioni di incontro con i due fratelli sono venute dall’invito, che accolsi con grande piacere, di entrare nella Fondazione Metis che, come è noto, persegue scopi di pubblica utilità prevalentemente in Ticino, con opere, sussidi e attività nei settori della cultura, della ricerca medica, della formazione scolastica e professionale di giovani capaci, delle attività sportive giovanili e della beneficenza.
Dopo il polo culturale, avete dato vita ad una serie di progetti destinati a cambiare il volto della città… «Ad inizio anni Ottanta il Municipio godette di un contesto di particolare attivismo e di concordia politica, nonostante in Consiglio sedessero rappresentanti di forze molto diverse, che consentì alla città una profonda trasformazione, partendo dalla constatazione del fatto che essa non poteva crescere appoggiandosi al solo sostegno rappresentato dal settore finanziario. I punti di appoggio dovevano essere cultura, istruzione, finanza e commercio. Si iniziò a parlare di università e in quattro anni diventò realtà. Accanto alla cultura, la ricerca. Nel 1999 ero stato chiamato a presiedere la Fondazione Cardiocentro. Da lì nacque l’idea di un altro polo: quello della ricerca, anche perché in quel periodo ci fu l’opportunità di trasferire parte dell’attività del Centro di calcolo da Manno a Lugano. Restavano da sviluppare il polo turistico alberghiero al Campo Marzio e il polo sportivo a Cornaredo, pensato come un tassello importante per lo sviluppo del quartiere».
Le aggregazioni hanno rappresentato in un certo senso il coronamento della sua politica a favore dello sviluppo di Lugano. Perché le riteneva così importanti? «Il potenziale della Città era talmente grande che non poteva più limitarsi a essere distribuito sul territorio esistente, ma doveva coinvolgerne uno più vasto. Un errore tante volte ripetuto in passato riguardava una pianificazione fatta per sé stessi, senza tener conto delle conseguenze che ricadono sul vicino. In un territorio come il nostro, ampio e complesso, unire i Comuni significa anche unire
i concetti di sviluppo, soprattutto urbanistico. Ma ho sempre insistito su l’utilizzo di due espressioni: “aggregazioni” al posto di “fusioni” e “nuova Lugano” al posto di “grande Lugano”. La mia idea era partire da quello che già c’era e immaginare una città basata su quattro porte di entrata: a est Gandria, a nord Cornaredo, a sud il Pian Scairolo e a ovest Breganzona. Abbiamo avviato i progetti per urbanizzare e dare un’identità a queste aree. Oggi, inoltre, uno dei problemi più gravi di Lugano è la mobilità con tutte le relative conseguenze in termini di inquinamento, posteggi, rumori. Rispetto alla pianificazione del traffico le aggregazioni comunali permettono di collocare le funzioni in un quadro strategico all’interno del quale distribuire le risorse del territorio definendo la mobilità, gli insediamenti, gli spazi residenziali. Per usare una metafora l’obbiettivo era aggiungere vagoni ma trainati da una potente locomotiva».
Ora che non è più alla guida della città, quale futuro vorrebbe intravedere per Lugano? «Vorrei che fossero portarti avanti i progetti di sviluppo, oltre a quelli già conosciuti (Polo sportivo il cui progetto è stato consegnato dopo concorso pubblico nel 2012 e quello congressuale), Cornaredo e Pian Scairolo, ma attraverso una gestione politica molto meno burocratizzata. Al di là dei pur necessari strumenti pianificatori, a Lugano serve una visione e soprattutto una politica in grado di metterla in pratica. Il ruolo del Sindaco (e poi del Municipio) deve essere quello di dettare il ritmo, i tempi di realizzazione dei progetti approvati. Bisogna riprendere la strada già intrapresa in passato per sviluppare una Lugano più dinamica, vivibile, sostenibile e anche più internazionale».
DIRETTORE DELLA DIVISIONE CULTURA DELLA CITTÀ DI LUGANO SI INFERVORA NEL PARLARE DI QUELLO CHE PIÙ GLI STA A CUORE, LA CULTURA APPUNTO, DELLA QUALE PARLA CON UN CALORE CHE TRASCENDE L’IMPEGNO PROFESSIONALE.
FIN DAL SUO ARRIVO, NEL GENNAIO 2019, HA DATO UN GRANDE IMPULSO A INIZIATIVE CHE HANNO
APERTO NUOVI ORIZZONTI, COINVOLGENDO IL PIÙ POSSIBILE
I CITTADINI, OFFRENDO LORO UNA CULTURA DI QUALITÀ: FUNZIONALE, EFFICIENTE E LEGATA AL TERRITORIO.
UNA CULTURA PER TUTTI AL SERVIZIO DELLA COMUNITÀ
Quali sono le ragioni che l’hanno indotto a creare all’interno della sua Divisione tre diversi uffici? «Sostanzialmente la nostra attività è divisa in tre settori. Il primo settore si occupa del “Patrimonio” culturale cittadino già esistente che comprende una varietà enorme di soggetti. Tra gli altri i monumenti e le sculture nei parchi, gli edifici protetti e gli eventuali restauri, l’Archivio Storico e i beni dell’ex Museo
storico. In più ci occupiamo di cultura immateriale, e, ormai da un anno e mezzo, abbiamo avviato un progetto sulle mappe di comunità, che riporta la cultura nei quartieri. Il secondo settore “Sviluppo culturale” si occupa sia di chi fa dell’arte un mestiere professionale, gli artisti visivi, i musicisti, i danzatori, gli autori, ma si prende cura anche di chi lo fa a livello amatoriale, l’associazione piuttosto che la filarmonica, il coro, la filodrammatica, la band etc. Il terzo settore “Istituzioni” si occu-
“La cultura oggi deve avere necessariamente un ruolo sociale al servizio
della
comunità. Il concetto stesso di cultura sta cambiando.
Mentre una volta era più un momento legato all’intrattenimento, ora si è capito che, in qualsiasi sua forma, è invece un elemento centrale nella vita quotidiana”.
pa delle istituzioni culturali della città. Dal Municipio per il Consiglio Comunale siamo chiamati a redigere i mandati di prestazione per tutte le istituzioni culturali che sono o fondate o partecipate dalla Città, come la Fondazione del Masi, la FMC, Fondazione Cultura e Musei che gestisce il Museo delle Culture, l’OSI Orchestra della Svizzera Italiana, e, dulcis in fundo, il LAC. In base a questi mandati di prestazione abbiamo anche il compito di valutare se essi sono adempiuti oppure no».
Un novero di mandati e compiti impressionante. Come si colloca il LAC tra tutto questo?
«Per il LAC, ente autonomo della città di Lugano questo è un anno molto speciale, molto importante: con la stagione 25/26 si compiono i dieci anni. È cresciuto in maniera ottimale grazie al grandissimo lavoro fatto dal Direttore Michel Gagnon, e dal suo team, che ha saputo far crescere questa istituzione passo dopo passo in maniera organica, senza particolari strappi con coerenza e con una certa dolcezza, parola che mi sembra giusta.
In qualità di Consigliere, assieme all’On. Badaracco che è il Presidente, siedo nel direttivo del LAC di cui fa parte anche l’On. Chiesa, Capo Dicastero Finanze. Siamo i delegati per la città, con la funzione istituzionale di cerniera tra questa e il LAC e responsabili dell’adempimento del mandato di prestazione. Gli altri componenti del
Consiglio, nominati dall’Ente stesso o dal Consiglio comunale, sono invece consiglieri indipendenti con una funzione differente.
Il rapporto con LAC è ideale, perché è un esperimento riuscito e un’istituzione che va verso la maturità in piena consapevolezza; un motore che, con Carmelo Rifici direttore artistico per il teatro e per la danza, e ora anche con Andrea Amarante direttore artistico per la musica, ha compiuto il suo progetto. Una struttura con un’apertura costante e continua nei confronti dei cittadini che, senza piegarsi necessariamente al mercato, riesce a fare ricerca e a coniugare una proposta più facile, più allargata, con anche la ricerca di punta. Non credo che quanto propone il LAC sia di “essere per tutti i gusti”, ma è piuttosto il tentativo di adempiere una funzione che al servizio della comunità vada bene per ogni categoria di persone, di riuscire quindi ad essere plurali».
In base al suo mandato, con quali criteri si muove il LAC? «Credo che avere piena autonomia senza ingerenze sia la giusta ricetta, un criterio che ho avuto la fortuna di condividere con chi mi ha preceduto. Ora si tratta di continuare a garantire la totale autonomia culturale dell’ente mantenendo le condizioni e continuare per il meglio. Chi opera con il LAC fa un buon lavoro perché ha le competenze e deve essere messo nelle condizioni di farlo bene».
La cultura ha anche un ruolo sociale?
«La cultura oggi deve avere necessariamente un ruolo sociale al servizio della comunità. Il concetto stesso di cultura sta cambiando. Mentre una volta era più un momento legato all’intrattenimento, ora si è capito che, in qualsiasi sua forma, è invece un elemento centrale nella vita quotidiana. Non è cultura solo quella che ascoltiamo dentro un teatro o al cinema, ma lo è anche la musica che sentiamo a casa mentre ci riposiamo ed è cultura la lettura di un buon libro. Cultura è anche un edificio fatto da un architetto consapevole o un bel oggetto di design, ma anche un progetto digitale costruito con piena consapevolezza. Tutto ciò che ha valore di civiltà, capace di miglioraci. Non vedo una gerarchia fra cultura alta e cultura popolare, è importante però dividere la cultura professionistica e di ricerca dalla cultura amatoriale. La nostra società ha bisogno di entrambe, ma gli artisti sono coloro che sono in grado di creare un’opera d’arte, trasformando un semplice segno in qualcosa di universalmente percepibile per il suo valore. Credo che la cultura possa essere per tutti, quando è a servizio della comunità».
Quali sono le proposte che già vanno in questa direzione?
Tra i progetti “altri”, quali le vengono in mente?
«Penso al progetto Cultura e Salute, ideato quattro anni fa con la Fonda-
zione IBSA, che grazie alla collaborazione con la Facoltà di scienze biomediche dell’USI è oggi un corso universitario aperto al pubblico con sette incontri in cui presentiamo come la cultura può concretamente contribuire a migliorare la salute delle persone, oltre ad aumentare, come ha dimostrato l’OMS in uno studio del 2019, le aspettative di vita. L’anno in cui si è parlato di musica si è scoperto ad esempio che un brano può avere un’azione analgesica o antidepressiva, che cantare in coro fa bene a chi ha la sindrome di Alzheimer e che la danza può aiutare le persone affette da Parkinson. Si tratta di nuove frontiere, tutte da esplorare, ma che sono già ben delineate da studi quantitativi pubblicati sulle principali riviste scientifiche».
Quali altre funzioni sociali ha la cultura?
«Il solo fatto di stimolare le persone ad uscire di casa per un’esperienza collettiva può creare nuove relazioni sociali; il LAC ad esempio con i concerti gratuiti delle rassegne “En plain air” e “Musica nei quartieri” cerca di avvicinare alla cultura nuovi pubblici, non necessariamente coinvolti nell’offerta culturale del centro».
Sono esperienze molto apprezzate. Passeggiando per le città ticinesi in estate spesso si ha la possibilità di ascoltare una piccola band e di assistere ad una performance. Un pubblico eterogeneo, di diverse età, può godere e apprezzare insieme della buona musica. A questo proposito, di quale tipo di cultura hanno bisogno i giovani di oggi?
«I ragazzi oggi hanno riferimenti molto diversi dai nostri e hanno una vita per metà, o forse per tre quarti, digitale e per metà o per un quarto
CHI È LUIGI MARIA DI CORATO
Storico dell’arte ed economista della cultura, ha maturato esperienza sul campo nella gestione di progetti culturali, operato in seno a organismi internazionali e diretto importanti istituzioni caratterizzate dalla collaborazione tra pubblico e privato, quali: il Forte di Bard in Valle d’Aosta (2005-2006), il Museo e Tesoro del Duomo di Monza (2007-2009), la Fondazione Musei Senesi (2009-2014) e la Fondazione Brescia Musei (2014-2018).
Dal 2003 al 2018 è stato docente universitario nell’ambito del management culturale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano; dal 2017 al 2018 è stato Presidente dello Strategic Plan Committee dell’ICOM a Parigi.
Dal 2018 è direttore della Divisione cultura della Città di Lugano.
analogica. Penso abbiano bisogno della “loro” cultura, che è quella che sta accadendo adesso e alla quale non siamo necessariamente invitati a partecipare. Dovremmo essere più disponibili ad ascoltarli e dare delle risposte ai loro interessi, cercando di metterci maggiormente a disposizione per creare le condizioni affinché possano “fare” ed esprimere il proprio punto di vista».
Come vede il futuro culturale di Lugano in generale e nell’ottica del LAC?
«Ne sono entusiasta. Il LAC sta coinvolgendo un pubblico sempre più giovane senza perdere le persone che lo hanno sempre frequentato. E soprattutto sta stimolando la capacità creativa della città, grazie alla nascita di nuove occasioni per chi fa dell’arte la propria professione. Siamo solo all’inizio, ma credo che Lugano si stia affermando sempre di più come capitale culturale della Svizzera italiana, anche se tanto abbiamo ancora da fare per avvicinarci alle possibilità offerta dalle grandi città d’oltralpe. Per questo ci siamo candidati a Capitale culturale svizzera, grazie alla collaborazione inedita con Locarno e Mendrisio».
Cavalleria rusticana
La stagione 2025/26 del LAC si aprirà con il dittico lirico composto da La voix humaine di Francis Poulenc e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, nella lettura registica di Emma Dante e nell’interpretazione musicale del Maestro Francesco Cilluffo alla guida dell’Orchestra della Svizzera italiana, con il Coro della Radiotelevisione svizzera diretto da Donato Sivo.
INTERVIEW WITH HER ROYAL HIGHNESS HEREDITARY PRINCESS SOPHIE OF LIECHTENSTEIN
BY ELISA BORTOLUZZI DUBACH
Your Royal Highness, what memories of your childhood and your family have shaped your commitment to philanthropy?
«I grew up in a privileged environment and realised at a young age that there was another normality. This awareness contributed to my involvement in social, charitable and cultural projects. This was something that my parents always supported me in».
Could you describe some of the stages in your life? What made you passionate about art, culture and philanthropy as a child?
«My father is very musical, he loves opera and got us children excited about it. He often told us about the first performances after the war in the Prinzregententheater in Munich, before the Bavarian State Opera was rebuilt. As children, we regularly went to opera and ballet performances there with our parents, and it was an experience every time».
Who were your most influential role models in philanthropy and how did they influence your work?
«My husband’s grandmother, Princess Gina, was just as much a role model for me with her commitment to social and charitable work as my mother-in-law, Princess Marie. Princess Gina founded the Liechtenstein Red Cross in 1945, the same year that my mother-in-law and her family had to flee what was
then Czechoslovakia. The effects of the Second World War left their mark on both of them and led them to spend many years helping people in need. Princess Marie later took over the presidency of the Liechtenstein Red Cross from her motherin-law and she handed it over to me almost ten years ago».
What personal experiences have strengthened your decision to dedicate yourself to philanthropy?
«I have admired both princesses for their personal, great and long-standing commitment to our society and have joined this social tradition of our family out of conviction. It is also in line with the family’s philosophy of making a long-term and sustainable contribution to the development of our country’s society».
What specific areas do you focus on in your philanthropic activities? «I am particularly interested in social and charitable work. Protecting the family is very important to me. In principle, I like to have specific projects that I can pursue over a longer period of time and with which I can also achieve something concrete. Helping quietly is a principle that I pursue as far as possible».
“The tradition of supporting socially or health-related disadvantaged or burdened people is deeply rooted not only in our family, but throughout Liechtenstein”.
Are there any projects or initiatives that you have adopted from your family that you find particularly inspiring?
«In the spirit of the social tradition mentioned above, I not only lead the Liechtenstein Red Cross out of conviction, but am also involved, for example, in the pregnancy counselling service schwanger.li for expectant or single young mothers. These experiences also gave rise to the ‘Family Network Liechtenstein’, a prevention project that supports and accompanies parents with children aged 0-5 in stressful life situations».
How difficult is it to make decisions in philanthropy as a hereditary princess?
«Of course, it is not always easy to choose the right thing to do from everything that comes my way. There are many impressive stories, even in wealthy Liechtenstein, but there are also many opportunities to take preventative action. But I don’t make decisions alone; as I mentioned, I have a local network with whom I can discuss requests and/or challenging situations».
What challenges do you see in philanthropic work?
«In the social and charitable sector, in which I am mainly involved, volunteer work is another key challenge in addition to securing funds. We do have well-developed social facilities and services in Liechtenstein. But our society is changing rapidly and many people find it difficult to keep up with these changes. As a result, there are still tasks that require unbureaucratic, human skills and commitment to solve, and there are fates that can hardly be alleviated without the work of volunteers».
How important is Liechtenstein as a centre for philanthropy?
«The tradition of supporting socially or health-related disadvantaged or burdened people is deeply rooted not only in our family, but throughout Liechtenstein. There are many families and companies that work in the background to make lasting contributions to improving such situations. I am convinced that this attitude is part of our country’s culture. It fills me with pride and that is why I am personally committed to it».
What are your long-term goals and visions for your philanthropic work?
«As in many areas of life, it is important to ensure that the succession plan for important social and charitable support functions is prepared in good time. It is my responsibility to one day be able to place the continuation of my commitments in new, capable hands».
LA PROGETTAZIONE DEL MERCATO PUÒ CREARE UN MONDO PIÙ SOSTENIBILE?
INTERVISTA CON PAUL R. MILGROM, PREMIO SVERIGES RIKSBANK PER LE SCIENZE ECONOMICHE IN MEMORIA DI ALFRED NOBEL, 2020. PER GENTILE CONCESSIONE DI UBS NOBEL PRESPECTIVES (UBS.COM/NOBEL).
Si dice che a volte non sia ciò che sai, ma chi conosci. Mentre Paul Milgrom conseguiva il suo MBA a Stanford, aveva l’abitudine di suggerire ai suoi professori metodi migliori per condurre le loro analisi sugli argomenti che insegnavano. Fu incoraggiato a passare al programma di dottorato, cosa che fece, e lì incontrò un compagno di studi, Bengt Holmström. Holmström, che era un anno più avanti di Milgrom, lo incoraggiò ad avere come relatore
il professor Robert Wilson. Così, Milgrom seguì uno dei corsi di Wilson e scrisse la sua tesina basandosi e migliorando il saggio d’asta di Wilson. «Sono riuscito a generalizzare sostanzialmente ciò su cui aveva lavorato in precedenza», racconta Milgrom. «Si è entusiasmato molto e mi ha detto “Sarai mio studente e questa è quasi una tesi. Ora non ti resta che leggere tutta questa letteratura e scriverne un riassunto”». Wilson accettò Milgrom come suo mentore e, arrivando a oggi, sia gli
studenti sia il loro professore sono tutti premi Nobel per le scienze economiche.
Lavorare tra i giganti
Dal 1979 al 1983 Milgrom insegnò alla Kellogg School of Management della Northwestern University. Tra i suoi colleghi c’erano il suo vecchio compagno di corso Holmström, Roger Myerson e Nancy Stokey. La teoria dei giochi stava appena prendendo piede come parte dell’economia e, insieme, conducevano nuove ricerche, si confrontavano e proponevano idee. «Non avevamo idea di quanto sarebbe stato importante l’intero pacchetto di lavoro», afferma Milgrom. «Eravamo soddisfatti di quello che stavamo facendo, ma non sapevamo che la teoria economica precedente a quell’epoca sarebbe sostanzialmente scomparsa e che tutto si sarebbe basato su modelli di teoria dei giochi». L’entusiasmo intellettuale e il senso di comunità sono qualcosa che Milgrom ricorda vividamente ancora oggi. «Ci avevano detto che, in media, metà delle persone qui avrebbe ottenuto la cattedra», ride. «Non avevano detto che metà di noi avrebbe vinto il premio Nobel, come poi è successo».
Meccanismi migliori attraverso la teoria dei giochi e la progettazione del mercato Milgrom e i suoi colleghi stavano mettendo in discussione le teorie economiche tradizionali e cercando di riprogettare i mercati, le strutture e gli strumenti utilizzati dagli economisti. «La teoria dei giochi ci ha fornito uno strumento che potevamo usare per analizzare regole molto specifiche, come ad esempio: tu fai un’offerta, lui fa un’offerta, lei fa un’offerta», afferma. «Come mettiamo insieme queste offerte per deter -
A COLPO D’OCCHIO
Nato: 1948, Detroit, USA
Campo: Teoria dei giochi
Assegnato: Premio Sveriges Riksbank in Scienze Economiche in memoria di Alfred Nobel, 2020 (condiviso)
Lavoro premiato: Miglioramenti alla teoria delle aste e invenzioni di nuovi formati d’asta
Economista per caso: in realtà non ha una laurea in economia. Matematica e Scienze delle Decisioni, insieme ad alcune figure chiave, lo hanno condotto in questo campo.
Area da tenere d’occhio: come l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico influenzeranno il settore delle aste incentivanti
Storia d’amore per il Nobel: era seduto accanto a quella che oggi è sua moglie durante la cerimonia di premiazione nel 1996. Si sono sposati 10 anni dopo e sono stati invitati nuovamente dalla Fondazione Nobel nel 2016, dove la televisione nazionale li ha intervistati sulla loro storia d’origine del Nobel.
minare i prezzi dei vari articoli?
Così, agli albori, abbiamo usato la teoria dei giochi per analizzare le regole di contrattazione, le regole d’asta e altri processi, le decisioni di ingresso, aspetti che non rientravano naturalmente nell’economia tradizionale di 100 anni fa». Nonostante fosse una nuova branca della scienza, la teoria dei giochi divenne rapidamente molto potente e da essa nacquero nuove branche, tra cui la progettazione dei meccanismi e la progettazione del mercato. «La questione della progettazione dei meccanismi era che, se capissimo come giocano le persone, date le regole del gioco, forse potremmo progettare le regole del gioco per migliorare i risultati», afferma Milgrom. «È proprio questo lo scopo della progettazione dei meccanismi:
cercare di creare meccanismi migliori e poi usare la teoria dei giochi per prevederne il funzionamento». «Il market design utilizza il mechanism design in modo pratico quando i modelli che abbiamo non sono l’unica cosa che accade nel mondo», continua. «I nostri modelli sono semplificazioni. Dobbiamo creare cose che funzionino nel mondo reale e dobbiamo tenere conto di molti più fattori di quelli che tradizionalmente vengono presi in considerazione nel mechanism design, mentre il market design consiste nel progettare tutte le regole pratiche che creano qualcosa che funziona nel mondo reale». La progettazione dei meccanismi consiste nel cercare di creare meccanismi migliori e poi utilizzare la teoria dei giochi per prevedere come funzioneranno tali meccanismi.
CULTURA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE: INSIEME O DIVISI?
GRAZIE ALL’INTELLIGENZA
ARTIFICIALE, ABBIAMO OGGI
A DISPOSIZIONE STRUMENTI
DALLA CAPACITÀ DECISIONALE
E D’AZIONE AUTONOMA.
COSA SUCCEDE QUANDO
METTIAMO UN AGENTE DIGITALE
DI QUESTO TIPO IN UN CONTESTO CULTURALE, SOCIALE E POLITICO?
SECONDO BRUNO GIUSSANI
L’IMPATTO A LIVELLO CULTURALE
E ECONOMICO TOCCA SIA IL LATO DELLA PRODUZIONE CHE QUELLO
DEL CONSUMO. DI QUESTE
TEMATICHE HA PARLATO
ATTRAVERSO UN’INTERVISTA
DI SIMONA GALLI IN OCCASIONE
DELLA MOTIVATION NIGHT
SVOLTASI AL LAC IL 14 MARZO
SCORSO E ORGANIZZATA DA PAOLO MOREL, PRESIDENTE DEL PLR SEZIONE DI LUGANO.
Per vent’anni, fino a nove mesi fa, il ticinese Bruno Giussani è stato il «global curator» e direttore europeo delle conferenze TED, l’organizzazione conosciuta soprattutto per i popolari TEDTalks distribuiti sul web e visti da centinaia di milioni di persone. Intellettuale eclettico, Giussani lavora da tempo all’intersezione tra tecnologia, geopolitica, economia e clima. Durante i suoi anni a TED ha curato oltre mille TEDTalks e intervistato personaggi di spicco su questioni globali, oltre a produrre e presentare conferenze in giro per il mondo.
Esordì nel giornalismo in Ticino a 17 anni, scrivendo per giornali nel frattempo scomparsi come pure per i quotidiani che ancora esistono. Ha poi scritto per testate nazionali e internazionali, fra cui, per oltre tre anni, una rubrica digitale settimanale per il New York Times. È anche stato responsabile della strategia digitale del World Economic Forum (il «Forum di Davos»), ha studiato all’Università di Stanford nella Silicon Valley, ha insegnato al Politecnico Federale di Losanna, e ha co-fondato aziende tecnologiche. Nel momento in cui l’intelligenza artificiale sembra invadere vite private e professionali, lo abbiamo avvicinato per un’analisi prospettiva.
Intelligenza artificiale: ottimista o preoccupato? «A questo stadio, tendo più verso il preoccupato. Non tanto per la tecnologia per sé - che comunque non è «neutra» - ma per il modo incontrollato e negligente in cui è attualmente sviluppata e rilasciata sul mercato. Da un lato, le aziende sono sotto pressione perché adottino l’IA il più rapidamente e profondamente possibile, per paura di perdere competitività. Questa è la narrazione iperbolica che le società sviluppatrici di sistemi di IA sono riuscite ad imporre. E funziona: un sondaggio realizzato l’anno scorso su 1000 dirigenti ha rilevato che il 58% delle aziende sta adottando l’IA a causa di timori competitivi mentre il 70% pensa che i progressi nella tecnologia si stanno verificando più rapidamente di quanto la loro forza lavoro possa integrarli. Dall’altro lato, molti individui utilizzano piattaforme d’IA per creare testi o immagini, per trovare risposte a qualsiasi tipo di domanda (sostituendo la «finestra di dialogo» di un chatbot alla «fine -
“In altre parole, questi sistemi con cui entriamo in dialogo non sono neutrali né oggettivi. Specifiche istruzioni possono essere codificate nei loro algoritmi. Non importa se ciò sia dovuto a ragioni giuridiche o a scelte culturali, ideologiche o commerciali. Ciò che conta è che il potere di determinare le risposte di un chatbot significa il potere di manipolare, di influenzare, di controllare l’informazione, di filtrarla”.
stra di ricerca» di Google), per entrare in conversazioni intime con la macchina, per riassumere documenti libri e riunioni, senza rendersi conto che stanno partecipando a una sorta di esperimento tecno-culturale su scala globale sull’impatto di macchine largamente imperfette, piene di pregiudizi, di errori e di cosiddette «allucinazioni» (quando la macchina inventa cose, presentandole poi in modo verosimile)».
È però vero che le IA generative possono aiutare giornalisti, artisti, comunicatori e praticamente chiunque a lavorare più velocemente e con meno costi? «Certo. Io non credo molto alle grandi promesse sull’IA che «curerà tutte le malattie, risolverà il cambiamento climatico e sconfiggerà la povertà», come sentiamo spesso dire. È vero però che la tecnologia offre grandi opportunità. Nel caso di giornalisti e comunicatori, parliamo di generazione rapida di testi e immagini. In altri settori, parliamo di automazione di processi, ottimizzazione di flussi e catene di approvvigionamento, sviluppo di nuovi materiali e prodotti, fluidificazione della relazione con i clienti, gestione e ricerca documentale, sviluppo di software, e molto altro. Tutte cose
teoricamente vere, e anche praticamente: iniziamo a vedere molti «buoni» esempi di applicazione attenta e considerata della tecnologia, alcuni dei quali anche in Ticino. Ma vedo anche troppe persone che qualificherei d’»entusiasti sconsiderati» che usano i chatbot come se fossero degli oracoli, senza nessun senso critico».
Lei ha detto che l’IA non è neutra. Si spieghi… «Un algoritmo è sempre la traduzione in linguaggio matematico della visione del mondo di chi lo ha sviluppato. Mi permetta un esempio. Se lei chiede all’app di IA generativa americana più nota, ChatGPT, come costruire una bomba nella sua cucina, la macchina risponderà qualcosa del tipo «Mi dispiace, non posso aiutarti». Se chiede al chatbot cinese DeepSeek «cos’è successo il 4 giugno 1989 in piazza Tienanmen?», la risposta sarà «Mi dispiace ma questo va oltre la mia attuale competenza. Ti va di parlare d’altro?». Potremmo interpretare la prima risposta come un esempio di assunzione di responsabilità da parte dell’azienda produttrice di ChatGPT, che vuole impedire la diffusione di informazioni pericolose e rispettare le leggi americane. Mentre la risposta di DeepSeek potrebbe es -
sere vista come un esempio di censura cinese di verità storiche scomode, per riflettere la linea del partito comunista. Ma da un punto di vista tecnico si tratta di due risposte identiche. Entrambi i sistemi sono stati programmati dai loro proprietari con istruzioni specifiche su ciò che è consentito loro dire, e cosa no. In altre parole, questi sistemi con cui entriamo in dialogo non sono neutrali né oggettivi. Specifiche istruzioni possono essere codificate nei loro algoritmi. Non importa se ciò sia dovuto a ragioni giuridiche o a scelte culturali, ideologiche o commerciali. Ciò che conta è che il potere di determinare le risposte di un chatbot significa il potere di manipolare, di influenzare, di controllare l’informazione, di filtrarla. In questo senso le macchine non sono neutre, anche se chi le sviluppa fa di tutto per antropomorfizzarle, per darci l’impressione che siano quasi «persone», per esempio inserendo pause, «hmmm» e altre interlocuzioni».
Che tipo di impatto può derivare dal fatto d’avere a disposizione strumenti dalla capacità decisionale e d’azione autonoma?
«Lei mette l’accento su un aspetto fondamentale dell’IA, che non bisogna mai perdere di vista. Contrariamente a tutte le tecnologie passate, che pur nella loro complessità rispondevano sempre a un comando umano, l’IA è la prima tecnologia con una capacità di presa di decisione autonoma. Andiamo verso un’espansione di quest’autonomia, nella forma dei cosiddetti «agenti», cioè sistemi che possiamo assimilare a assistenti, maggiordomi o impiegati sintetici. Questi «IAgenti» saranno personalizzati per ciascuno di noi, e sviluppati per agire non soltanto «con» noi, ma al posto nostro, in
modo autonomo appunto. Facendo cose tipo gestire agende, rispondere a e-mail, pianificare viaggi, persino participare in nostra vece a conferenze video o telefoniche.
Uno si dirà: magnifico! Mando il mio IAgente in quella chiamata Zoom e nel frattempo posso fare altro. Salvo che non si può presupporre che gli altri partecipanti non facciano lo stesso, per cui ci troveremmo con IAgenti che parlano a IAgenti. E’ una nuova realtà ancora tutta da pensare e valutare, ma fondamentalmente ci stiamo dirigendo verso una società nella quale esseri umani ed entità artificiali conviveranno e interagiranno. Non sto dicendo che succederà quest’anno, ma che questa è la nostra direzione di viaggio attuale».
Quali professioni rischiano di diventare obsolete di fronte all’IA?
«Paradossalmente, una delle professioni a rischio è quella di programmatore, almeno ai livelli più semplici. Ovviamente dall’IA ci si aspetta che aumenti la produttività e semplifichi le attività di routine,
ma molti programmatori iniziano a riconoscere che un’eccessiva dipendenza dai suggerimenti della macchina mina la loro capacità di risoluzione dei problemi. Ci sono poi molti altri settori dove l’IA generativa e altre forme di IA assorbiranno se non professioni intere, perlomeno funzioni specifiche: gli illustratori, i ruoli amministrativi di base, il contatto con i clienti (per esempio, chatbots che automatizzano parzialmente i «call centers»), la creazione di testi, il paralegale, ovviamente la traduzione. Ma anche nella medicina, l’IA sta superando gli umani in tutt’una gamma di ruoli diagnostici».
Qual’è il consiglio che si sente di dare a chi utilizza o voglia utilizzare sistemi di IA?
«Che per diventare utilizzatori efficaci e coscienti di sistemi creati per imitare il pensiero umano, bisogna sforzarsi di pensare. Adagiandosi alla «convenienza» e all’apparente efficacia della tecnologia si rischia di perdere competenze e capacità cognitive, col rischio di farsi controllare e influenzare dalla macchina».
Bruno Giussani intervista Bill Gates, fondatore di Microsoft, sul palco della conferenza TED a Vancouver (Canada)
GIGANTE DELLA GRAFICA
INTERNAZIONALE
Èpressoché impossibile ricondurre la sua straordinaria personalità a dei modelli, a delle categorie professionali e ancor meno a delle formulazioni teoriche. Meglio allora affidarsi all’acuta sintesi di Giampiero Bosoni, docente di Architettura degli interni e Storia del design al Politecnico di Milano II, che nella sua introduzione a questa bella monografia invita a liberarsi di idee preconcette e attrezzarsi di strumenti sensibili per «leggere e interpretare le sue continue ricerche portate al limite, ma sempre contenute in invisibili misurati registri nei quali lui sa muoversi con sapiente ed esperta disinvoltura. Il suo rinomato talento nel disegno a mano libera, esercitato anche in tutte le finezze della composizione tipografica, la sua maniacale meticolosità nel tracciare precise gabbie grafiche all’interno delle quali trovare allineamenti sempre originali e inattesi, insieme alla sua prodigiosa capacità di adattarsi e fare suo ogni tema progettuale, hanno reso mitici non solo i risultati del suo lavoro, ma anche il suo modo di lavorare».
Nato nel 1919 a Baar, Canton Zugo, nel 1940 Max Huber si trasferisce a Milano, dove comincia a lavorare per lo studio di Antonio Boggeri, pioniere della grafica moderna italiana che lo assume subito, colpito dal suo biglietto da visita. A prima
BPS (SUISSE) HA DEDICATO L’ALLEGATO CULTURALE AL BILANCIO 2024
A MAX HUBER, UNO DEI PIÙ INFLUENTI GRAPHIC DESIGNER E ARTISTI
VISIVI DEL XX SECOLO, IL CUI LAVORO CONTINUA AD ISPIRARE
GENERAZIONI DI CREATIVI CON LA SUA VISIONE INNOVATIVA E IL SUO
APPROCCIO DISTINTIVO AL DESIGN. LA MONOGRAFIA È STATA REALIZZATA
A CURA DI ANDREA ROMANO, DIRETTORE E RESPONSABILE
MARKETING & RELAZIONI PUBBLICHE BANCA POPOLARE DI SONDRIO (SUISSE).
DI EDUARDO GROTTANELLI DE’ SANTI
vista l’elegante carta sembrava essere stampata, ma, a uno sguardo più attento, rivelava che le lettere erano disegnate a mano con una straordinaria precisione. Qui guadagna rapidamente notorietà per il suo stile unico e incontra artisti del calibro di Bruno Munari, Erberto Carboni, Luigi Veronesi e Albe Steiner. Percorrendo una carriera che si estende per oltre cinque decenni, Huber lavora in una vasta gamma di discipline, tra cui l’editoria. Nel 1946 inizia una proficua collaborazione
con Giulio Einaudi, nel cui ufficio a Torino, incontra Cesare Pavese, Massimo Mila, Natalia Ginzburg, Italo Calvino, Fernanda Pivano che gli presenta il suo compagno, l’architetto Ettore Sottsass, col quale stringerà in quegli anni un intenso sodalizio. Nel 1947, con Albe Steiner, che diventerà un grande amico e un vero e proprio mentore, progetta la grafica per l’VIII Triennale di Milano; con Lanfranco Bombelli e Max Bill allestisce la mostra sull’arte astratta e concreta. Come sottolinea nel suo saggio Anna Steiner, Max è stato, al pari dell’amico Albe, altrettanto coerente «sia nel suo lavoro, sia, concretamente, nel suo impegno civile contro il nazifascismo e l’oscurantismo culturale. Max partecipa, da giovanissimo, agli incontri milanesi di questi intellettuali e si appassiona, condividendo la loro tensione ideale, dando un contributo di scambio, di conoscenze, di iniziative politico-culturali e di lavoro professionale…. Una “militanza” professionale, nata anche grazie alla sua formazione con uno straordinario maestro come Max Bill».
Un aspetto che merita senza dubbio di essere sottolineato riguarda, come detto, il suo ruolo di pioniere della grafica editoriale in Italia nel
secondo dopoguerra, con opere entrate nella storia della comunicazione. «Il suo “disegno del libro” ne favorisce la diffusione nella società, su larga scala, come oggetto di consumo ma anche di emancipazione. Gli aspetti che fino ad allora erano controllati dall’editore insieme al tipografo, o eventualmente con lo scrittore, da quel momento vengono sempre più frequentemente affidati a una nuova figura professionale, che affronta con consapevolezza il suo ruolo culturale e anche politico: il “redattore grafico”, secondo una celebre definizione attribuita ad Albe Steiner», scrive Roberta Mazzola Docente presso la Scuola Cantonale d’Arte e la Scuola professionale del Centro Scolastico Industrie Artistiche di Lugano (CSIA). Huber entra in contatto con Giulio Einaudi proprio grazie
a Steiner che, nel 1945, con Elio Vittorini, ha dato avvio all’esperienza del Politecnico, giornale divenuto rivista culturale che segna un punto di svolta rilevante. Il contributo di Max Huber per collane come la “Biblioteca del Politecnico”, “I Coralli”, e – con Munari – per la “Piccola Biblioteca Einaudi” (PBE) è riconosciuto come fondamentale per la storia visiva del libro. Nel 1946 Huber vive addirittura per qualche tempo nell’ufficio Einaudi di Milano e stabilisce con l’editore un legame di grande fiducia reciproca. Il suo apporto va dalle prime innovazioni che riguardano l’ambito strettamente tipografico, che viene svecchiato e diversificato, alla costruzione di un’immagine editoriale e alla cura per ogni singola copertina che si distingue per il montaggio dinamico con immagini di diversa provenienza, foto grammi colorati a monocromo, in positivo o negativo, in trasparenza, elementi geometrici e scrittura, secondo un linguaggio visivo pienamente moderno. Per cogliere appieno tutta la forza innovativa del lavoro di Max Huber e impossibile prescindere dalle
grandi opportunità che la città di Milano, pur uscita stremata dal conflitto mondiale, offriva nell’immediato dopoguerra accogliendo numerosi giovani grafici e fotografi svizzeri, pieni di talento e con una formazione professionale molto rigorosa, provenienti in modo particolare da Zurigo. Milano era entrata in una fase di piena ascesa economica, era percorsa da una fretta
bruciante di recuperare la sua perduta dignità europea, epicentro di un nuovo capitolo nella storia delle arti grafiche. In questo contesto stimolante e vitale Max Huber, grazie anche alla sua forte personalità, si inserisce subito in nuovi processi di ideazione e di progettazione, mescolando calcolo razionale e rigore formale con forza immaginativa, poesia e curiosità sperimentale, evidenza comunicativa ma anche tanta carica emotiva. In quegli anni a Milano aziende molto dinamiche
01
Max Huber all’inaugurazione della mostra di suoi dipinti alla Galleria Mosaico, Chiasso 1971.
come Olivetti, Pirelli e La Rinascente, inventano la cosiddetta “immagine coordinata”, intendendo che non si voleva soltanto presentare come innovativa una determinata azienda ma piuttosto rappresentare una filosofia che parlava di visioni sociopolitiche e di volontà di rinnovamento all’interno dell’intero modello organizzativo. E proprio nel 1950 Max Huber, su richiesta dell’architetto milanese Carlo Pagani, progetta il marchio per la Rinascente. Nel campo della grafica pubblicitaria riesce a trasformare messaggi complessi in immagini potenti e immediate. La sua capacità di utilizzare colori vivaci e forme geometriche ha rivoluzionato il panorama del design, come testimonia la realizzazione dei logotipi per Esselunga, Coin, Officine Grafiche Nava, Tipo Print, Autovox, Formenti, Ticino Vita e molti altri, ha portato alla creazione di campagne pubblicitarie iconiche che hanno segnato un’epoca. Sempre negli anni Cinquanta, collabora con i fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni, occupandosi degli aspetti grafici dei loro grandi allestimenti per aziende come RAI, ENI e Montecatini (in seguito Montedison).
Il carattere semplice, simpatico e sincero di Max Huber ce lo racconta, con l’immediatezza caratteristica della cultura giapponese, la moglie Aoi Huber-Kono, figlia di Takashi Kono, noto graphic designer e illustratore: «Quando arrivai all’aeroporto di Linate, ad aspettarmi trovai mio padre insieme a Max, che aveva con sé un grande rotolo. Max aveva dato appuntamento in aeroporto a un tipografo, per mostrargli la bozza di un lavoro che stava eseguendo per un cliente, e iniziarono a discutere di colori e forme. Non dimenticherò mai questa scena: in mezzo a tanta gente loro lavoravano. Di Max mi colpì subito la sua simpatia e il suo carattere allegro, ma mi colpì soprattutto Milano e l’atmosfera che si respirava in quegli anni… Max era un tipo di poche parole, ma era allegro e molto spiritoso. Quando ci siamo conosciuti lui era già un grafico affermato, io invece ero molto giovane e all’inizio della mia carriera. Devo ammettere che ho compreso del tutto la sua genialità solo con il passare degli anni, non subito».
Max e Aoi si sposano nel 1962 e più tardi si trasferiscono a vivere in Canton Ticino dove nel 2005 la moglie ha fondato il m.a.x. museo, con lo scopo di creare un’istituzione che promuovesse la diffusione e la conoscenza della grafica e del design; dal 2010 il museo fa parte del patrimonio pubblico del Comune di Chiasso, mentre l’Archivio Max Huber è custodito presso la casa-atelier di Novazzano. Ad oggi sono stati classificati, suddividendoli per aree tematiche, editoria, pubblicità, identità visiva (marchi e logotipi), riviste sullo sport, politica e sul jazz, oltre 2000 documenti e più di 200 disegni e dipinti. Si stima che complessivamente il fondo comprenda circa 3000 artefatti, tra bozzetti, progetti
grafici, progetti di allestimento, manifesti, disegni, dipinti, stampe, fotografie e carteggi oltre a premi e riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui, nel 1954 il prestigioso premio Compasso d’Oro. Il suo immenso archivio costituisce una tangibile testimonianza di una poliedrica attività di cui parte importante è rappresentata anche dall’insegnamento. La lunga esperienza didattica iniziò a Milano nel 1947 alla scuola Rinascita, per proseguire poi dal 1959 al 1962 presso l’Umanitaria ed essere ancora ripresa negli anni Settanta con la docenza alla Scuola Politecnica di Design fondata da Nino Di Salvatore. Infine, dal 1978 al 1984, insegnò grafica presso la CSIA (Centro Scolastico per le Industrie Artistiche) di Lugano. Infine, un’ultima annotazione getta una luce sulla sua straordinaria capacità di fare confluire in un’unica visione creativa approcci provenienti da forme d’arte diversi. Grande appassionato di musica jazz, riuscì a portare questa ispirazione anche nei suoi lavori, che si caratterizzano per il dinamismo delle composizioni e per l’uso sapiente di artifici di sovrapposizioni e fotomontaggi».
05
“Ritmo”, copertina della rivista del Circolo amici del jazz, 1950.
Potete parlarci di tutto. Anche del futuro. Qualunque siano le vostre domande sulla previdenza per la vecchiaia, discutiamone e troviamo insieme una soluzione – Mentor
Prenaj vi aspetta personalmente nella nostra succursale di Lugano.
Fissate un appuntamento: bancamigros.ch/contatto
LA DAMA DE CAO, LA DONNA CHE CAMBIÒ LA STORIA DEL PERÙ
SUL PASSATO, RIDEFINISCONO INTERE CIVILTÀ E CAMBIANO
PER SEMPRE IL MODO IN CUI GUARDIAMO ALLA STORIA.
IL CASO DEL RITROVAMENTO
DELLA DAMA DE CAO, UNA DELLE PIÙ ENIGMATICHE E AFFASCINANTI
DELL’ANTICO PERÙ, IL CUI
RINVENIMENTO HA RIVOLUZIONATO QUANTO SI CREDEVA DI SAPERE SULLA CIVILTÀ MOCHE.
A RACCONTARNE IN PRIMA PERSONA LA STORIA, TRA EMOZIONE E DETTAGLI INEDITI, È STATO IL PROTAGONISTA STESSO
DI QUELL’IMPRESA: IL DOTTOR RÉGULO G. FRANCO JORDÁN, ARCHEOLOGO DI FAMA MONDIALE ED EX DIRETTORE DEL SITO PATRIMONIO DELL’UMANITÀ DELL’UNESCO DI MACHU PICCHU.
Ospite dell’Università della Svizzera italiana (USI) nell’ambito della Cattedra UNESCO per lo sviluppo e la promozione del turismo sostenibile, diretta dal Professor Lorenzo Cantoni, il dottor Franco Jordán ha tenuto una lezione agli studenti del Master in International Tourism. Con la sua visita, l’archeologo peruviano è divenuto il terzo direttore del sito di Machu Picchu a visitare l’USI nel corso degli anni, un primato mondiale che conferma la rilevanza internazionale dell’ateneo ticinese nel campo del patrimonio e del turismo culturale. Durante la lezione speciale tenuta all’USI, Franco Jordán ha guidato il pubblico in un affascinante viaggio intitolato Dai Moche agli Inca. Un viaggio nell’archeologia peruviana dalla Señora de Cao a Machu Picchu, toccando alcuni dei momenti più significativi della sua carriera e della storia archeologica del suo Paese.
Una scoperta che ha ribaltato ogni certezza Era il 2006 quando nel nord-ovest del Perù, nel sito archeologico di El Brujo, Franco Jordán e il suo team si imbatterono in quella che sarebbe presto divenuta una delle più importanti scoperte dell’archeologia precolombiana. Inizialmente si trattava solo – si fa per dire – di un grande tempio, il più imponente della zona, ornato da pitture e iconografie straordinarie raffiguranti il mondo Moche. «Fu una scoperta straordinaria, la migliore della mia vita», ha raccontato l’archeologo peruviano. «Quel giorno mi sentii l’uomo più felice e appagato della Terra. Non potevo immaginare che, di lì a poco, le cose sarebbero ancora migliorate». Più in basso, a due metri di profondità circa, li attendeva infatti una clamorosa sorpresa. «Scavando ulteriormente trovammo una tomba con un fardo funerario, accanto al quale vi era un secondo
LA HALL DI PALAZZO MANTEGAZZA
WELLNESS
The Longevity Suite
Piscina Mantapool di Ivana Gabrilo
RESTAURANTS
Ristorante Meta
Bistrot del Meta
Sala eventi – Meta Events
LIFESTYLE
Ticino Welcome
Mistretta Coiffure
BOUTIQUE
ASSOS Boutique Lugano
Roberto’s News and Cigars
Disponibilità di un ampio autosilo
scheletro di quella che abbiamo poi scoperto in seguito essere un’adolescente, nonché diversi oggetti come vasi di ceramica, armi e gioielli. Nessun fardo rinvenuto prima di allora era mai stato scoperto in uno stato di conservazione così buono. E quello, lo appurammo in seguito, risaliva a ben 1.700 anni prima del nostro ritrovamento».
Pesante oltre 100 chilogrammi, il fardo venne estratto e trasportato all’esterno nell’ambito di una processione sotto la sapiente guida di un curandero, un guaritore tradizionale, espressamente voluto da Franco Jordán per rendere onore alla salma. Seguirono i lavori di rimozione dei vari strati di tessuto che avvolgevano il corpo, fino ad arrivare ai resti veri e propri. Fino a quel momento il team dell’archeologo peruviano era assolutamente convinto di aver rinvenuto un uomo, e che si trattasse di un sacerdote di assoluto rilievo, forse persino un sovrano. Invece, John Verano - famoso antropologo e Professore presso l’Università di Tulane, giunto sul posto per l’identificazione - non appena vide la salma affermò: «Si tratta di una donna». Quel momento, ha raccontato Franco Jordán nel suo intervento all’USI, ha cambiato per sempre l’interpretazione della storia del Perù: «Non vi era alcun dubbio, dinanzi a noi c’era una donna che, in vita, era stata estremamente potente. Tutto lo lasciava inferire: dai tatuaggi di serpenti, ragni e puma sul suo corpo, al corredo funerario, alla tecnica e al luogo stesso della sepoltura. Si trattava di un’autorità assoluta, probabilmente una curandera a sua volta, una sacerdotessa, che era costantemente connessa con il cielo ed esperta di astronomia. Una figura semi-divina di alto, altissimo rango, non solo spirituale ma
anche politico. Questa scoperta ha completamente stravolto quanto ritenuto fino ad allora, ovvero che ai vertici della civiltà Moche vi fossero soltanto figure maschili». Studi recenti condotti all’Università di Harvard hanno inoltre identificato nel sito i resti di altri membri della sua famiglia, confermando l’importanza dinastica e sociale di quella sepoltura. Oggi la Dama de Cao è conservata in un museo adiacente al sito del ritrovamento, costruito per tramandarne la memoria e celebrare l’importanza del complesso di El Brujo. «Per rispetto nei suoi confronti e di tutti gli antenati», ha spiegato Franco Jordán, «la salma non è direttamente visibile». Nel corso degli anni, l’impatto della Dama sulla regione è stato in ogni caso profondo e duraturo. «La sua scoperta ha rafforzato l’identità delle donne di tutta l’area, e non solo. La Dama de Cao è diventata un simbolo di forza e spiritualità, e oggi rappresenta un pilastro della cultura e delle tradizioni locali».
Il futuro dell’archeologia peruviana, tra conservazione e nuove scoperte
Nella parte conclusiva del suo intervento all’USI, Franco Jordán ha poi parlato delle sfide attuali e dei prossimi passi dell’archeologia peruviana. Da ex direttore di Machu Picchu, Jordán ha evidenziato le critici -
tà legate al cosiddetto “overtourism”: «Gran parte dei turisti che visitano il Perù focalizzano la loro attenzione su una manciata di luoghi, come Machu Picchu»ha spiegato. «In alta stagione si superano i 5’600 visitatori al giorno, un carico che ha lasciato segni visibili. Alcune aree sono state chiuse, e presto dovremo introdurre nuove restrizioni». «Per questo», ha sottolineato, «è fondamentale valorizzare itinerari alternativi, in grado di distribuire i flussi e stimolare l’interesse verso siti meno noti ma comunque di pari importanza. Come El Brujo, la casa della Dama de Cao».
Nonostante i prestigiosi incarichi istituzionali, peraltro, Franco Jordán non ha perso lo spirito del ricercatore. Nei prossimi mesi sarà infatti impegnato in una nuova spedizione sulla montagna Pitusiray, a quasi 5.000 metri di altitudine. «Le fonti e alcune antiche iconografie ci suggeriscono che quel luogo potrebbe avere legami diretti con l’origine della civiltà Inca», ha rivelato. «E forse anche con dei tesori nascosti dai locali, al fine di proteggerli dai conquistatori spagnoli».
Utilizzando tecnologie all’avanguardia come il geomagnetismo, il team spera di fare nuove scoperte, che potrebbero arricchire ulteriormente il mosaico, già straordinario, della storia peruviana.
Vanni Pesciallo, Orafo, Designer e Gemmologo GIA, ti giuda nella scelta della gemma ideale e nel design su misura, curato nei dettagli per un risultato esclusivo e senza tempo. vannipesciallo.ch
RINNOVARE LA CONTINUITÀ CULTURALE CON IL TICINO
IN QUESTA INTERVISTA, IN NUOVO
CONSOLE GENERALE D’ITALIA
A LUGANO RIPERCORRE UNA
CARRIERA CHE, PRIMA DELL’ATTUALE
NOMINA, LO HA VISTO ATTIVO
PRESSO ALCUNE DELLE PIÙ IMPORTANTI SEDI DIPLOMATICHE INTERNAZIONALI.
Il Console Uberto Vanni d’Archirafi ha esordito nel 1989 alla Farnesina di Roma, sede del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica Italiana, presso la Direzione Generale per gli Affari Politici, per poi essere assegnato come Secondo Segretario a Buenos Aires (1992) e Primo Segretario Commerciale a Tunisi (1995). Tornato al Ministero degli Esteri nel 2000, è stato nominato Capo Ufficio per i Paesi Europei e, nel 2004, ha seguito la candidatura italiana all’Expo 2007. Console Generale a Vancouver (2005) e poi a Londra (2009), ha ottenuto il titolo di Ministro Plenipotenziario nel 2011. È stato Consigliere Diplomatico del Ministro della Cultura in due mandati (2013-2018 e 2020-2022) e Ambasciatore in Portogallo nel 2018. Inoltre, dopo un periodo al Servizio del Cerimoniale, dal 2023 è stato Inviato Speciale per i Paesi dei Caraibi e Vice Direttore Generale per l’America Latina e i Caraibi. Il calendario degli impegni di Uberto Vanni d’Archirafi,
come per i suoi predecessori, conferma come le sue attività si stiano al momento sviluppando sul solco di una prima presa di contatto con gli interlocutori istituzionali del Canton Ticino. In primo luogo il Gran Consiglio e le autorità amministrative, per avviare relazioni bilaterali in tutti i campi: da quello politico a quello economico, scientifico, commerciale e culturale.
In questa intervista, il nuovo Console Generale d’Italia a Lugano, inoltre, ricorda quanto l’attività del diplomatico si intrecci con le qualità dei suoi rappresentanti. «In ogni contesto, sociale e storico, infatti, i diplomatici si trovano a condividere esperienze simili» –esordisce Vanni d’Archirafi – «a cominciare dal dover iniziare da zero ad ogni scadenza e rinnovo di mandato e, parimenti, assicurare con la loro attività una presenza istituzionale nella quale i concittadini e le autorità locali possano identificare il delegato di un Paese estero come il rappresentante ufficiale con cui proseguire le relazioni in essere».
Ci troviamo in un contesto segnato da elementi critici, come le difficoltà post pandemia, il conflitto Russia-Ucraina ancora in corso, la crisi della materie prime e problematiche geopolitiche internazionali che sembrano moltiplicarsi… «Ogni incarico diplomatico presenta sfide diverse, ma il compito principale resta invariato: costruire, fin dall’i-
DI ANDREA GRANDI
making places collaborative
nizio, un rapporto di fiducia con le istituzioni locali e con la comunità dei connazionali, proponendosi come interlocutore stabile e riconoscibile. Quindi, anche a Lugano mi impegnerò in modo che il nostro Consolato Generale prosegua lo sviluppo di iniziative efficaci e congiunte. Naturalmente, tenendo conto delle specificità locali e delle reciproche differenze che, come avviene in particolare tra il Cantone Ticino e la vicina Repubblica, si trovano ad essere comunque favorite da un contesto di prossimità geografica e culturale. Ciò premesso, la condivisione della lingua italiana rappresenta un elemento fondamentale, che storicamente facilita il dialogo e le relazioni costruttive tra i nostri Paesi rendendoli unici al mondo».
Cosa ha provato, da diplomatico di lunga esperienza ma italofono, nell’assumere un incarico in un Paese straniero che tuttavia condivide una forte prossimità culturale con l’Italia?
«Essere figlio d’arte mi ha portato fin da giovane a vivere il lavoro all’estero come parte integrante del mio sviluppo umano e professionale. Ho sempre affrontato ogni nuova sede con lo stesso impegno. Nato a Bruxelles, ho seguito un percorso di formazione scientifica che ha esaltato la mia matrice latina (la mia famiglia è di origini siciliane), con studi in Argentina e a Madrid, completati da una laurea alla LUISS in Scienze Politiche, ateneo orientato ad una formazione internazionale, ma con un legame altrettanto forte con il mondo delle imprese. Dopo il concorso nel 1989 ho iniziato il mio percorso professionale alla Farnesina occupandomi di America Latina prima e di Cooperazione Politica Europea, poi. Una breve parentesi
ma molto formativa è seguita in Argentina. A Tunisi, invece, ho potuto condividere le esperienze degli imprenditori italiani all’estero, esperienza che poi ho integrato durante il mio incarico a Vancouver, a servizio dei connazionali residenti in Canada, e successivamente a Londra, sempre come Console Generale, dove ho avuto modo di sviluppare una azione ad ampio raggio e non solo consolare. A Londra infatti è presente una comunità di italiani che, complessivamente, superava le novecentomila unità. Inoltre, l’attività di Consigliere Diplomatico al Ministero della Cultura, per esempio, mi ha permesso di approfondire il concetto di valorizzazione culturale, elemento centrale di ogni promozione del marchio “Made in Italy”, sui mercati esteri. Come Ambasciatore d’Italia a Lisbona poi ho potuto racchiudere in una azione complessiva l’esperienza professionale maturata negli anni dando concretezza ai rapporti diplomatici bilaterali».
Quali le linee guida del suo piano di lavoro per i prossimi anni? «L’esperienza maturata in ambito istituzionale mi consente, anche a Lugano, di orientare le attività su un ventaglio di iniziative che non si limitano a quelle prettamente connesse al ruolo istituzionale di Console Generale, ma di sviluppare una strategia di promozione del mio Paese su un più ampio spettro di attività e fronti: da quello scientifico e tecnologico, aprendo la strada per nuove collaborazioni fra Università svizzere e italiane, a quello economico e commerciale, coadiuvando la dove si rendesse necessario l’eccellente azione già sviluppata dall’Istituto del Commercio Estero e dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, a quello culturale. Insomma, una
azione ad ampio raggio che trova il suo fondamento nelle eccellenti relazioni tra Italia e Svizzera grazie anche alla lungimirante azione della nostra Ambasciata a Berna». «In effetti», prosegue Vanni d’Archirtrafi, «obiettivo principale è rafforzare le relazioni tra Italia e Canton Ticino, sviluppando tematiche che rendano le regioni adiacenti maggiormente interdipendenti, ad iniziare da uno stretto raccordo sui temi connessi ai rapporti transfrontalieri. Promuovere un maggiore dialogo nei settori industriale, economico e commerciale, ad esempio, costituisce una priorità della mia azione nel Ticino, sfruttando l’importante fluidità nei rapporti fra regioni adiacenti. In questo senso intendo prestare molta attenzione allo sviluppo di progetti d’impresa che possano contribuire ad aprire nuove dinamiche di sviluppo economico. Ma anche iniziative volte ad esaltare le eccellenze accademiche italiane, come ad esempio quelle presenti nel nord d’Italia. Penso a Milano ed al Politecnico, ma anche a Trieste, dove sono presenti centinaia di Istituzioni scientifiche e tecnologiche Internazionali alcune delle quali direttamente collegate all’UNESCO. Aiutare le istituzioni accademiche a creare spazio per l’impresa, per le start up.
Uno dei miei prossimi incontri sarà con i responsabili dell’Università della Svizzera Italiana, molto nota a livello internazionale, ed esplorare nuove possibili collaborazioni. Infine, credo importante sostenere progetti culturali che contribuiscano ad una maggiore comprensione tra il Canton Ticino e l’Italia: di iniziative ce ne sono tante, da una parte e dall’altra delle frontiere. Occorrerà selezionare quelle che potrebbero costituire un valore aggiunto nella reciproca conoscenza e farle dialogare assieme».
PER SAPERNE DI PIÙ
Scansioni il codice QR con la fotocamera del suo cellulare oppure ci visiti su www.wetag.ch
Contatti +41 91 601 04 40 info@wetag.ch
La nostra rete internazionale
SWISS MEDITERRANEAN
Locarno, rif LOC1534
Arogno, rif LUX1598
Sorengo, rif LUX1619
Brissago, rif LOC1587
Brusino Arsizio, rif. LUG1615
Ph:
Rafael dos Santos
MILLE SFUMATURE D’ARTE
Le luci della ribalta per Tanja si accendono nel 2001, quando si qualifica per la finalissima di Miss Svizzera, un grande trampolino di lancio che le permette di concretizzare il sogno, che aveva sin da bambina, di diventare modella. Alta, bionda, bellissima e con un fisico statuario, non ha difficoltà a muovere i primi passi sulle passerelle e sui set fotografici. E quando il flusso di energie positive è ben avviato, non è facile fermarlo: infatti, poco dopo nella vita di Tanja si apre una nuova prospettiva: «Grazie ad un mio amico DJ, sono stata catapultata nel modo di giradischi e consolle di mixaggio, e all’improvviso mi si aprì dinanzi uno scenario nuovo che non conoscevo, ma mi attirava molto. Ero affascinata da tutta quella tecnologia, e soprattutto dal modo in cui la musica poteva creare e dare forma alle emozioni. Così ho iniziato ad andare più in profondità, mi esercitavo da sola per ore cercando di imparare le varie tecniche. Ho iniziato ad esibirmi durante delle piccole feste, un inizio modesto ma carico di passione. Ed è proprio così che ho messo le basi per la mia avventura come DJ». Dalle piccole feste, Tanja approda a palchi più importanti, e la sua carriera è un crescendo di apparizioni in clubs sia svizzeri sia internazionali. E poi, nel 2011, una grande conferma: «La Street Parade di Zurigo mi chiede di diventare la loro ambasciatrice e produrre il loro inno, è stato un momento che per me ha avuto un significato personale enorme perché è stata la prima volta
ORIGINARIA DI SAN GALLO, MODELLA, DJ, ARTISTA, IMPRENDITRICE:
UNA DONNA PIENA DI ENTUSIASMO ED IN CONTINUA EVOLUZIONE, CON UN DEBOLE PER IL TICINO.
DI MICHELLE HUFFER
in cui ho capito che il mio lavoro era riconosciuto e rispettato all’interno dell’industria musicale svizzera, non solo dal pubblico ma anche dagli addetti ai lavori».
L’inarrestabile Tanja La Croix, a quel punto, vede decollare la sua carriera: il suo brano “We turn the world around” si posiziona ai primi posti delle classifiche internazionali e l’artista capisce di essere entrata in connessione con le persone non solo tramite le sue performances dal vivo, ma anche a livello musicale. Forte di questi riconoscimenti, Tanja capisce una volta per tutte di essere sulla strada giusta.
Entrando nel vivo del tuo lavoro, come prepari una tua serata, hai una scaletta pronta o improvvisi in base al pubblico? «Mi preparo in maniera molto scrupolosa, spesso in coordinazione con il mio cliente, rispetto molto le sue esigenze e preferenze in base al tipo di evento, ad esempio se suono ad un
“Un set musicale ben curato è essenziale per me, perché imposta l’energia della serata, ma ovviamente lascio sempre anche un po’
di spazio per l’improvvisazione: fa parte della magia delle esibizioni dal vivo”.
party privato o ad un matrimonio, è fondamentale incorporare le richieste personali. Un set musicale ben curato è essenziale per me, perché imposta l’energia della serata, ma ovviamente lascio sempre anche un po’ di spazio per l’improvvisazione: fa parte della magia delle esibizioni dal vivo. In generale, impiego dalle due alle quattro ore per preparare un set musicale: scarico nuove musiche, aggiorno la playlist e cerco delle canzoni che siano inerenti con il tema dell’evento». Nonostante si esibisca da anni, il nervosismo prima di ogni evento non manca mai, e nemmeno l’ambizione di dare sempre il meglio: una pressione positiva che stimola Tanja a rendere ogni party un evento speciale: «Vedere la gente rispondere alla mia musica, essere sempre partecipe, condividere quell’energia con sincera gratitudine è una sensazione indescrivibile ed una grande ricompensa per me». Oltre alla musica, Tanja crea anche dei quadri di arte astratta che spesso espone durante delle mostre, ed uno dei suoi sogni sarebbe quello di creare una performance in cui la musica e l’arte visiva si fondono in un unico show.
Ma come riesci a trovare un equilibrio tra tutte le cose che fai?
«Ci sono due lati della mia persona, quello creativo ed impulsivo che riguarda la mia vita notturna, e quello disciplinato e responsabile da imprenditrice. Devono per forza rimanere in equilibrio, se uno dei due lati prevarica, succede un casino. La disciplina è la chiave che tiene assieme il tutto, e questa è la parte più complicata del mio lavoro». Dalle discoteche con esibizioni quasi prettamente notturne, Tanja ha cambiato la sua tabella di marcia scegliendo prevalentemente eventi aziendali e privati, in modo da non essere più così spesso impegnata di notte facendo le ore piccole.
Immagino sia un toccasana anche per la qualità del tuo sonno e le relazioni personali…
«Esattamente, questo cambiamento ha portato più struttura nella mia vita. Per me è sempre stato fondamentale dedicarmi alle persone che amo, non nei ritagli di tempo, ma creando appositamente del tempo per stare con loro. Le relazioni sono un porto sicuro per le mie emozioni e la mia sorgente di energia».
Senza mai aver avuto un ripensamento riguardo alla strada intrapresa, dopo 20 anni di carriera Tanja è grata ogni giorno per non aver mai mollato, anche se agli inizi non è stato tutto semplice. Il successo ottenuto è la parte più evidente, la dedizione e la preparazione anche fisica per ottenerlo è qualcosa a cui forse non tutti pensano.
Come ti prepari per essere sempre in forma?
«Mi alleno spesso ed ho una vita molto attiva, mi sveglio presto e vado nella natura ogni volta che posso. Una delle mie passioni è fare escursionismo in montagna. Il movimento è energia, e io ne ho bisogno anche per gestire le mie esibizioni: uno stile di vita sano e attivo è una scelta consapevole ed è ciò che mi mantiene forte nella mia professione». E lo stesso vale per la sua alimentazione, che intuitivamente volge verso cibi sani. Cresciuta in una famiglia dove la mamma preparava sem -
pre del cibo fresco, con tanto pesce, verdure, aglio, cipolle, olio di oliva, erbe fresche, noci e legumi, questo stile alimentare ha formato le abitudini di
Tanja e la accompagnano ancora adesso: «Non mi faccio mancare nulla, il mio corpo sa naturalmente cosa è meglio per me». Una vita ricca di sfaccettature in equilibrio, ed è proprio questo che piace a Tanja, poter passare dalla consolle al suo atelier di quadri, disegnare i propri abiti, creare musica, scrivere dei contributi per dei giornali, sviluppare dei Concept per degli eventi e gestire tutti gli aspetti legati al proprio marketing. Annoiarsi è decisamente qualcosa di molto lontano dal suo essere».
E del Ticino, cosa mi dici?
«Il Ticino è nel mio cuore sin da quando sono piccolina. Ci venivo spesso con i miei genitori ed ancora adesso amo la sua sincerità, l’entusiasmo delle persone, lo stile mediterraneo unito a quello alpino, il buon cibo, i grotti. È una regione piena di sapore, ed anche a livello professionale mi ha regalato grandi gioie: ho suonato al Film Festival di Locarno, alla discoteca Vanilla
di Riazzino, al CSI di Ascona ed in molti altri magnifici luoghi. L’energia dei ticinesi è assolutamente contagiosa. Da voi è talmente bello che ogni volta mi sento in vacanza». Per concludere la chiacchierata, ho chiesto a Tanja cosa vedesse nel suo futuro: «Mi vedo sempre come artista, ma più orientata versa l’arte visiva. E forse, chissà, ci sarà la possibilità di creare qualcosa nella moda: mi piacerebbe poter esprimere il mio essere anche in questa forma artistica». Ma l’essenziale per la nostra DJ nazionale sarà sempre riuscire a trovare un perfetto equilibrio tra lavoro e famiglia, che devono essere uno stimolo l’uno per l’altra, non certo una competizione.
www.tanjalacroix.com
PRIMO PIANO
UN TEAM FORTE, COMPETENTE E MOTIVATO
LWP Ledermann
Wieting & Partners festeggia i suoi primi 30 di attività.
Possiamo ripercorrere la sua storia, dalla fondazione ad oggi? «Urs Ledermann, che già dal 1974 operava con diverse sedi in svizzera, trent’anni fa decise di fondare la Ledermann in Ticino con il dott. Giorgio Wieting. Nel 2005 la società è stata rilevata da me e dai miei due colleghi, Alberto Largader e Franco Pizzi. Da allora, non abbiamo costruito solo un’impresa, ma una comunità, una vera e propria famiglia di professionisti uniti da valori, etica, passione e un impegno costante verso l’eccellenza. Oggi, LWP è un’azienda riconosciuta, con partner e referenze di assoluto prestigio, sempre al passo con le esigenze delle organizzazioni nell’ambito delle risorse umane. Nel 2008, le nostre ambizioni ci hanno portato a costituire Protempore, oggi e-work, operante principalmente nel settore interinale. Abbiamo avuto il coraggio di intraprendere questa strada in un periodo difficile, segnato dalla crisi finanziaria mondiale, e siamo riusciti a farci un nome anche in questo ambito, tanto che di recente abbiamo aperto una nuova succursale a Stabio, con un nuovo concept, ispirati dal Gruppo e-work, di cui oggi facciamo parte».
Dal 2023 LWP Ledermann Wieting & Partner fa parte del gruppo internazionale e-work. Quali vantaggi sono derivati da questo accorpamento?
MORENA FERRARI GAMBA, PRESIDENTE E SENIOR PARTNER LWP RACCONTA LA LUNGA AVVENTURA IMPRENDITORIALE DI UNA SOCIETÀ
CHE RAPPRESENTA UN ASSOLUTO PUNTO DI RIFERIMENTO IN TICINO
NEL CAMPO DELLA RICERCHE UMANE E DELLA CONSULENZA.
«Guardare indietro al nostro percorso di crescita è confortante, ma ciò di cui siamo più entusiasti è poter affermare che “il meglio deve ancora venire”. Infatti, entrare a far parte di un grande gruppo che conta oltre 200 persone e con diverse sedi in Italia ed in Europa, ricco di competenze ci permette di migliorare la nostra offerta di servizi. Questa è per noi una spinta a crescere ulteriormente, sia a livello nazionale sia internazionale, nuovi ed entusiasmatici progetti su cui stiamo lavorando».
In che modo è cambiato nel corso del tempo il concetto di risorse umane?
«Molto è cambiato. Siamo passati da un’epoca verticistica e gerarchica, ad una più orizzontale e inclusiva. Almeno nelle intenzioni. Insieme a performance, competenze, obiettivi, risultati, si parla sempre di più di “diversità ed inclusione”, proponendo un lavoro più agile e flessibile, benessere in azienda, parificazione salariale, supporto alla formazione continua e altro ancora. Sembrano concetti nuovi, ma pionieri come Olivetti e Duttweiler avevano già preconizzato e implentato negli anni ’50. In fondo, l’alienazione del lavoro di fabbrica non si distanzia tanto dall’alienazione data dalla frenesia moderna, che ci fa
sentire liberi e padroni del nostro destino, ma che ci vuole prigionieri ed efficienti h24, altrettanto stancante e pericoloso per l’azienda e per la società. Per questo, nel mondo del lavoro si prova a trovare soluzioni per cercare di aumentare la soddisfazione e la retention del personale, dando anche un senso di equilibrio tra vita professionale e personale. Questa evoluzione riflette non solo cambiamenti culturali e sociali, ma anche l’adattamento alle sfide di un mondo del lavoro in continua trasformazione. Lo stesso ruolo del responsabile delle risorse umane è visto ora come un driver strategico per l’innovazione e il successo aziendale».
Come è andata evolvendo l’attività di ricerca e identificazione dei talenti più adatti da proporre alle aziende?
«Con l’avvento della digitalizzazione e la globalizzazione, negli ultimi anni, si sono moltiplicate piattaforme e l’uso dell’AI nel mondo HR. Sempre
di più si fa uso di software e tecnologie per la gestione delle performance, reclutamento e formazione, in funzione dell’aumento l’efficienza. E’ sicuramente un grande aiuto. Ma la tecnologia non possiede quell’intelligenza emotiva e pensiero laterale che ti permettono di vedere le “zone grige”, gli aspetti “chimici” e le potenzialità per fare il giusto “matching” tra un candidato e l’azienda. Sono cose che la “macchina” non fa, almeno per il momento. Per noi, l’aspetto umano conta moltissimo e lo ribadiamo nel nostro claim “Human Intelligence Only”: quindi, persone e non solo un algoritmi!».
La vostra consulenza specializzata alle aziende quali altri ambiti e servizi comprende?
«Noi siamo una HR company. Nel corso del tempo, alle attività di Head Hunting e recruiting, abbiamo aggiunto e ampliato la nostra offerta, proponendo soluzioni personalizzate di audit, assessment, formazione e coaching, fino alle attività di
outplacement, un servizio che in questo periodo purtroppo viene sempre più richiesto».
Si fa un gran parlare di competenze. Quali skills sono oggi ritenuti indispensabili in un’epoca dominata dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale?
«In un’epoca di trasformazione digitale di portata epocale, dove saper destreggiarsi con le tecnologie è importante, sono e rimangono sempre più essenziali le qualità umane: saper comunicare, essere flessibili e adattabili ai cambiamenti, comprendere e gestire le emozioni proprie e altrui, assumersi le proprie responsabilità con atteggiamento proattivo ed essere sempre aggiornati e disposti alla formazione continua. Tutte qualità che non sono da super uomo, ma dovrebbero derivare da una buona educazione di base, meglio ancora se umanistica ancora prima che tecnica/tecnologica. Ne sono davvero convinta e ai giovani dovrebbe essere insegnato questo».
È QUESTO L’INSEGNAMENTO
RICEVUTO DA SUO PADRE
DA MARIA ANTONIETTA
MASTRODDI, PRESIDENTE DEL CLUB SOROPTIMIST DI LUGANO
E CO-FONDATRICE DI MG
IMMOBILIARE, CHE IN QUESTA
INTERVISTA CI RACCONTA
LA SUA ATTIVITÀ PROFESSIONALE
E LE NUMEROSE INIZIATIVE SOCIALI IN CUI È IMPEGNATA.
OGNI GIORNO
C’È QUALCOSA DA IMPARARE
Lei è co-fondatrice di MG Immobiliare. Quali sono state le tappe più significative della sua formazione e carriera prima di intraprendere questa attività?
«Il mio percorso ha radici nella formazione giuridica con gli studi in Giurisprudenza a Parma. Ho poi sentito l’esigenza di ampliare le mie competenze con un corso di Marketing a Milano e successivamente con un programma per imprenditori presso la SDA Bocconi. L’esperienza maturata nel Consiglio di Amministrazione delle aziende di famiglia a Reggio Emilia, in particolare nel settore immobiliare, mi ha fornito una visione concreta del mondo degli affari. Poi il trasferimento a Lugano trent’anni fa, ha rappresentato una nuova sfida: ho ottenuto il Diploma Federale di Amministrazione e Commercializzazione di Immobili e insieme a mio marito Gianni abbiamo fondato MG Immobiliare, dando vita a un progetto costruito su professionalità, etica e passione per il territorio».
Quali sono gli aspetti del suo lavoro che più la appassionano e che meglio riflettono la sua personalità?
«Il fascino di questo lavoro risiede nella sua varietà e nella possibilità di coniugare competenze tecniche con sensibilità umana. Ho sempre amato occuparmi dell’organizzazione dalla vendita alla gestione legale e amministrativa, così come del rapporto con i professionisti e con i notai. Uno degli aspetti che più mi stimola è la comunicazione: ideare strategie pubblicitarie richiede creatività e apertura al
cambiamento, due caratteristiche che sento profondamente mie. Innovare, diversificare e migliorarsi costantemente sono principi che guidano il mio quotidiano e che mi permettono di esprimere appieno la mia indole dinamica e propositiva».
Lei aiuta le persone a trovare casa. Come si concilia questa esperienza professionale con la sua vocazione al servizio e all’assistenza verso chi è in difficoltà?
«Ho sempre vissuto il mio lavoro come un servizio alle persone, perché aiutare qualcuno a trovare casa significa ascoltare, comprendere e accompagnare in una scelta che segna la vita. Questo stesso approccio si riflette nel mio impegno con il Soroptimist, dove metto la mia esperienza e la mia sensibilità al servizio di chi si trova in difficoltà. In fondo, sia nella professione di Agente Immobiliare che nel volontariato, si tratta di offrire supporto concreto e attenzione autentica, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone».
Quali altre attività benefiche la vedono personalmente coinvolta?
«Nel corso della mia vita privata ho avuto l’occasione di prendermi cura dei miei genitori anziani, un’esperienza che mi ha profondamente arricchita sul piano umano. Mio padre è venuto a mancare a 102 anni, dopo un lungo periodo in cui ha avuto bisogno di assistenza costante. Questo percorso mi ha avvicinata ulteriormente al tema della cura e della solidarietà verso chi necessita di supporto quotidiano».
È molto attiva nel Club
Soroptimist di Lugano. Quali sono i valori che animano questo sodalizio e i progetti più significativi che state portando avanti?
«Dall’inizio del 2025 ho l’onore di ricoprire la carica di Presidente del Club Soroptimist di Lugano, un ruolo che interpreto con grande senso di responsabilità e dedizione. Il Soroptimist è un club di servizio Nazionale ed Internazionale che riunisce donne impegnate a promuovere il miglioramento della condizione femminile, sostenendo progetti concreti a favore dell’educazione, dell’indipendenza economica e della tutela dei diritti. Crediamo fermamente che il sapere sia la chiave per creare opportunità: per questo offriamo borse di studio a giovani donne meritevoli e programmi di mentoring per accompagnarle nel loro percorso di crescita. Sosteniamo inoltre le donne vittime di violenza sia fisica che psicologica, collaborando con realtà come la Casa delle Donne di Lugano, per favorire il loro reinserimento nella società.
Inoltre un progetto che sento particolarmente vicino è quello dedicato alla prevenzione del tumore al seno, che porta avanti un messaggio fondamentale di consapevolezza e cura della salute. Per finanziare queste iniziative organizziamo eventi solidali come la tradizionale Vendita Vintage, che lo scorso anno ha raccolto CHF 20.000, oltre ad altre manifestazioni culturali e benefiche. Il nostro impegno è quello di continuare a sviluppare progetti innovativi e mirati, affinché il Soroptimist possa essere sempre più una forza attiva di cambiamento e di sostegno concreto nel tessuto sociale».
Oltre alla famiglia e al lavoro, quali sono le sue passioni e come ama trascorrere il tempo libero?
«Amo ciò che mi riconnette alla semplicità e alla bellezza della vita, specialmente la natura è per me fonte di serenità e ispirazione, così co -
me lo è la compagnia degli animali: per sedici anni la nostra bassottina Penny ha riempito la casa di affetto e allegria lasciando un ricordo indelebile. Con mio marito Gianni condivido la passione per il golf, uno sport che considero non solo una sfida, ma anche un’occasione per immergersi nel verde e ritrovare equilibrio. Anche l’arte rappresenta un’altra delle mie passioni: amo visitare mostre specialmente in compagnia delle amiche con cui condivido questi momenti di arricchimento culturale. Ma il tempo più prezioso è quello trascorso con i miei figli, Gianluca e Giacomo, che sono il cuore della mia vita. Infine considero oltre alla meditazione, la lettura un rifugio e uno stimolo capace di offrire sempre nuove prospettive. Faccio parte delle Gourmettes di Lugano e la cucina ed il buon cibo sono una grande passione».
Quali desideri coltiva ancora, sia a livello professionale che personale? «Ho sempre sognato di dedicarmi attivamente alla beneficenza e grazie al Soroptimist, questo desiderio si è concretizzato. Oggi, forte dell’esperienza vissuta accanto ai miei genitori, sento il bisogno di impegnarmi maggiormente a favore degli anziani, una parte della società spesso trascurata, ma che merita attenzione, affetto e rispetto. Mi piacerebbe contribuire a creare iniziative sul nostro territorio che offrano loro non solo assistenza, ma anche dignità e serenità. Credo che il vero successo non si misuri solo nei risultati professionali, ma anche nella capacità di lasciare un impatto positivo nella vita degli altri. Continuare a crescere, imparare e donare il proprio tempo e le proprie competenze è ciò che dà significato al mio percorso».
IL CAMPIONE VENUTO DAL SILENZIO
NEL SILENZIO TAGLIATO DALLE LAME, TRA SOGNI E ALLENAMENTI DURI, LUKAS BRITSCHGI SI È PRESO UN POSTO TUTTO SUO NEL CUORE DEGLI SVIZZERI. A 27 ANNI, IL TALENTO NATO A SCIAFFUSA È DIVENTATO
IL PRIMO ELVETICO DOPO 78 ANNI A VINCERE UN ORO EUROPEO NEL PATTINAGGIO ARTISTICO. UN TRAGUARDO CHE, PRIMA DI LUI, SOLO HANS GERSCHWILER ERA RIUSCITO A RAGGIUNGERE. CON COSTANZA, EQUILIBRIO E UNA PRESENZA SEMPRE SINCERA, LUKAS RAPPRESENTA L’ESSENZA PIÙ AUTENTICA DELLO SPORT: QUELLA DI CHI COSTRUISCE IL PROPRIO CAMMINO SENZA MAI SMETTERE DI CREDERCI.
DI ROMANO PEZZANI
Come è iniziata la tua avventura sui pattini?
«Tutto è cominciato grazie a mia mamma Gabi. Faceva danza su ghiaccio per passione e teneva dei corsi per bambini. Per non lasciarci a casa, portava con sé me e mio fratello Pascal. Così, quasi per gioco, ho messo i pattini ai piedi. All’esordio non mi interessavano tecnica o esercizi, ma la velocità. Giocare sul ghiaccio, correre, scivolare: mi sentivo libero e scattante, e questo mi ha subito conquistato. In seguito, anche la parte tecnica ha iniziato ad appassionarmi. Ancora oggi quella sensazione di sfiorare il ghiaccio con poco slancio resta il momento che amo di più».
Hai praticato altri sport in gioventù?
«Mi divertivo a giocare a calcio con gli amici nel nostro quartiere, dove avevamo anche un piccolo club locale. Se ricordo bene, ero centrocampista: avevo una buona resistenza. Ma non sono mai entrato in una squadra vera».
Quella medaglia d’oro a Tallinn ha modificato il tuo modo di vederti?
«In un certo senso sì, adesso ho il titolo di campione europeo, e non sono in molti a poterlo dire. Ma nella vita di tutti i giorni è cambiato po -
“Dopo i Mondiali di fine marzo a Boston ho staccato la spina. Sentivo il bisogno di prendermi un vero momento per me, lontano da tutto, per rigenerarmi. Così sono partito per l’America Latina.
Era da tempo che sognavo questo viaggio”.
co. La pressione però è aumentata. La gente si aspetta da me prestazioni sempre all’altezza, sono più esposto, anche alle critiche. Ma cerco di restare calmo e non farmi condizionare. È importante continuare a pattinare per me stesso».
Come ha reagito la tua famiglia dopo il titolo europeo?
«A dire il vero, nessuno dei miei sapeva cosa dire, una sorta di shock. Ero ottavo dopo il corto, non ci si aspettava una rimonta del genere. Io speravo nella medaglia, ma per loro è stata una sorpresa totale. Ricordo tante lacrime, ma poche parole».
In Svizzera, un oro nel pattinaggio artistico è un evento storico… «Davvero insperato, un risultato pazzesco. A Zurigo, al mio ritorno, c’era una festa con 300 persone. La prima volta nella mia vita con sei o sette telecamere puntate addosso. Sono stato ospite in TV, intervistato
da tutti i principali media. Il pattinaggio non è popolarissimo da noi, eppure quella medaglia preziosa ha smosso qualcosa. Certo, non è come per i trionfi ai Mondiali di sci, ma è stato molto più di quanto pensassi».
Dove sei stato in vacanza?
«Dopo i Mondiali di fine marzo a Boston ho staccato la spina. Sentivo il bisogno di prendermi un vero momento per me, lontano da tutto, per rigenerarmi. Così sono partito per l’America Latina. Era da tempo che sognavo questo viaggio. Ho sempre desiderato conoscere la Colombia, una meta che mi affascinava: natura selvaggia, città vibranti, gente calorosa. Ci sono andato con Cédric, il mio migliore amico. Abbiamo organizzato tutto insieme, zaino in spalla e voglia di scoprire. Anche in vacanza ho continuato con gli esercizi a secco: stretching, ginnastica, lavoro mirato per rinforzare il ginocchio. Il corpo resta il mio strumento di lavoro, sempre».
Quando ricomincerai in pista?
«Riprenderò gradualmente dopo le vacanze. Le prime settimane saranno tranquille, anche perché non posso ancora saltare. Tornerò sul ghiaccio lavorando alle coreografie per la prossima stagione, sia per il programma corto che per il libero. Entrambi vanno costruiti da zero. L’estate scorsa ho avuto seri problemi alle ginocchia, praticamente non mi sono allenato. Facevo tre giorni
sul ghiaccio, poi dovevo fermarmi per il weekend. Continuare così era impossibile. Ora che ho il titolo di campione europeo, la gente si aspetta di più da me e voglio lavorare duramente per essere un pattinatore ancora più artistico».
Dove ti preparerai quest’estate?
«Normalmente mi alleno a Oberstdorf, dove vivo. È un posto splendido, immerso nelle montagne. Abbiamo un centro olimpico eccellente e mi preparo lì praticamente sempre. Ma quest’anno l’impianto di raffreddamento del ghiaccio è in ristrutturazione, quindi sarò in Finlandia, in Svezia e in Belgio a pattinare. Con il mio allenatore Michael Huth riprenderò in Germania: Oberstdorf resta il nostro quartier generale».
Come descriveresti il tuo modo di pattinare?
«Credo di avere uno stile personale. Non sono il più elegante, né il più pulito, ma cerco sempre di coinvolgere il pubblico. Mi piace trasmettere emozioni, più che cercare la perfezione. Ho le spalle larghe, le mani magari non bellissime, ma punto a offrire al pubblico qualcosa che resti».
Qual è il tuo obiettivo per le Olimpiadi 2026?
«Il sogno è un diploma olimpico, quindi entrare nei primi otto. L’anno scorso sono arrivato sesto ai Mondiali, quindi so che è possibile. Puntare più in alto mi sembra ancora irrealistico. Non è un sogno, ma un obiettivo concreto».
Nel 2029 la Svizzera ospiterà i World Winter Games di Special Olympics. Potresti immaginarti come testimonial per la futura squadra svizzera di pattinaggio artistico?
UN SOGNO IRREALISTICO
A Tallinn, il 1° febbraio 2025, Lukas Britschgi ha compiuto l’impossibile. Ottavo dopo il programma corto, senza nulla da perdere, è sceso sul ghiaccio della «Tondiraba Ice Hall» con un’unica missione: dare tutto. Senza pressioni, con la serenità di chi pattina solo per sé stesso, Lukas ha realizzato un programma libero quasi perfetto. «Non era mai stato un mio sogno, sembrava irrealistico. Eppure ho ottenuto qualcosa che non avevo nemmeno osato immaginare», confessa l’atleta nato a Sciaffusa il 17 febbraio 1998 sotto il segno dell’Acquario. Tesserato con l’Eislauf-Club Zürich, Britschgi si è distinto negli anni per la sua espressività, la sua costanza e la capacità di emozionare anche senza effetti speciali. Con quell’oro ha riportato in Svizzera un titolo che mancava da ben 78 anni. Guidato dall’allenatore Michael Huth (lo stesso che ha accompagnato ai vertici atleti del calibro di Tomas Verner e Carolina Kostner), Lukas vantava già un palmarès di tutto rispetto con un bronzo europeo nel 2023, un sesto posto ai Mondiali 2024, seguito poi da un 12° posto nell’edizione 2025 di Boston. Nel 2022 ha rappresentato la Svizzera alle Olimpiadi invernali di Pechino, chiudendo al 23° posto. In Estonia ha scritto una delle pagine più luminose dello sport elvetico recente, dimostrando che anche i sogni più impossibili, un giorno, possono realizzarsi.
«I World Winter Games sono un evento straordinario. Offrono un’opportunità unica ad atleti con disabilità cognitiva che non possono partecipare ai Giochi paralimpici. Essere ambasciatore di un progetto del genere sarebbe sicuramente un grande onore. Sostenere persone che affrontano sfide diverse è qualcosa che sento profondamente. Non ho ancora ricevuto una proposta in questo senso, ma se potessi davvero essere utile, soprattutto con i Giochi Mondiali in casa, ci penserei molto volentieri».
Hai un legame speciale con il Ticino?
«Sì, solo esperienze positive. Ci sono stato spesso, sia per gare di pattinaggio sia per il piacere di trascorrere del tempo libero. Ad Ascona, ad esempio, ci sono stato in vacanza e mi è rimasta nel cuore. Per me vivete nella parte più bella della Sviz -
zera: natura splendida, atmosfera rilassata, una vera gioia tornarci ogni volta. Non ho legami familiari o professionali diretti con il Ticino, ma i ricordi ci sono, e sono legati soprattutto a momenti sereni».
PRIVATE BANK
Wealth Solutions. Simply Beautiful.
Siamo la banca svizzera privata ed indipendente con un unico obiettivo: permettere ai nostri clienti di crescere, realizzarsi e prosperare.
Via S. Balestra 1
6901 Lugano - Svizzera
T: +41 91 913 35 35
Zurigo
Tödistrasse 47
8002 Zurigo - Svizzera
T: +41 44 204 34 34
Rue Charles-Galland 12 1206 Ginevra - Svizzera
T: +41 22 346 91 55
Lugano
Ginevra
Bali sofa
Montecarlo coffee table
Fandango armchair
AMBIZIONI E DIFFICOLTÀ
DI UN SETTORE CHE “ NON SEMPRE FUNZIONA COSÌ!”
UNA GRANDE RISORSA MA ANCHE UNA FONTE DI DISCUSSIONI
SENZA FINE: LA NOSTRA REGIONE HA DAVVERO UN’ANIMA E UNA
CULTURA IN SINTONIA CON LE SUE ASPETTATIVE IN CAMPO TURISTICO?
AL TEMA TICINO WELCOME HA DEDICATO LA SECONDA
TAVOLA ROTONDA DELL’ANNO.
DI ENRICO CARPANI
Quelli del turismo ticinese sono numeri senza dubbio molto importanti: nel 2024 sono stati registrati complessivamente oltre quattro milioni di pernottamenti tra alberghi, campeggi e affitti brevi. Eppure questo settore dell’economia cantonale, che genera circa il 10% del PIL e garan-
tisce il 12% dell’occupazione totale si ritrova regolarmente sotto pressione: è successo anche di recente, di fronte ai risultati ottenuti sul piano nazionale – crescita del 2,6% con nove delle tredici regioni in segno positivo – che hanno visto il Ticino chiudere in controtendenza con un assai poco rassicurante -1,5%. «I dati statistici possono dire molto,
ma non tutto». È con queste parole che il Direttore di Ticino Turismo Angelo Trotta apre la discussione sul tema della serata organizzata allo spazio Metamorphosis. «Dobbiamo tenere conto di alcuni fattori determinanti nel bilancio dell’anno come le condizioni meteorologiche sfavorevoli della primavera e i drammatici eventi che hanno colpito in seguito le nostre valli».
Un’analisi semplice ma fattuale, chiaramente sostenuta dalle inconfutabili indicazioni statistiche che mantengono il clima e la natura ai vertici assoluti degli interessi di chi sceglie di trascorrere dei giorni di vacanza nella nostra regione. Il Ticino, insomma, si vende sempre bene soprattutto per le sue caratteristiche climatiche e paesaggistiche. «La bellezza del territorio è fondamentale» aggiunge Nadia Fontana-Lupi, Direttrice dell’Organizzazione Turistica del Mendrisiotto e Basso Cere -
sio, e «permette di sopperire alla mancanza di strutture di grande capacità ricettiva con l’indiscutibile forza di attrazione delle proprie peculiarità, da quelle più conosciute a livello internazionale a quelle più semplici e ancora da scoprire per coloro che sono alla ricerca di esperienze nuove, legate soprattutto alla sensazione di autenticità dei prodotti». Chi è chiamato a coordinare la promozione del nostro Cantone agli occhi dei turisti confederati e stranieri è convinto insomma di disporre di parecchie, ottime carte da giocare. Ed è giusto che sia cosi, nonostante la consapevolezza dell’importanza degli sforzi per puntare sulla destagionalizzazione dell’offertache si dovrebbero concentrare soprattutto sul tentativo di prolungamento dei periodi di apertura e sull’organizzazione di eventi nei mesi meno favorevoli ai flussi del turismo tradizionale - e sul miglio -
ramento di quella che talvolta è definita una carenza di cultura dell’ospitalità, che indebolirebbe il nostro potenziale di…seduzione rispetto a ciò che avviene in altre realtà fortemente impegnate nel settore turistico e paragonabili a quella ticinese. L’argomento è evidentemente sensibile in particolare per gli addetti ai lavori nella gastronomia e nel settore alberghiero, gli autentici pilastri di ogni ecosistema turistico. Massimo Suter, Presidente di GastroTicino, considera «che il giudizio sull’offerta locale è talvolta ingeneroso per quanto riguarda in particolare l’aspetto relativo ai costi: spesso non si riesce a fare la differenza tra una proposta di qualità e dunque costosa e un’altra che invece è oggettivamente troppo cara. In Ticino comunque la situazione è allineata con il livello economico del paese e la soddisfazione generale dei clienti più che buona. Certo si po -
trebbe fare ancora di più, anche sul piano della semplice capacità di accoglienza, ma nonostante l’impegno di chi si occupa della formazione in questo ambito non è sempre facile far passare il messaggio». Il tema ricorrente della qualità dell’accoglienza tocca ovviamente più di qualsiasi altro il segmento dell’albergheria di lusso, i cui frequentatori hanno il privilegio di poter scegliere senza alcun condizionamento di natura economica la meta dei loro soggiorni: in un certo senso, quindi, un elemento di concorrenza supplementare da gestire in un contesto mondiale di nicchia che sembra non conoscere alcuna minaccia di flessione. Per Thomas Brugnatelli, da un anno Direttore dell’Hotel Splendide di Lugano «il problema non si pone all’interno della struttura, in cui siamo in grado di controllare il modo in cui tutto avviene: mi è successo invece di
Angelo Trotta
Nadia Fontana-Lupi
Massimo Suter
Thomas Brugnatelli
Raphaël Brunschwig
Claudio Visentin
constatare purtroppo che taluni servizi esterni non sempre sono stati all’altezza delle attese di una clientela di alto livello». Una clientela esigente, già: che decide di trascorrere qualche giorno in città «restando per la maggior parte del proprio tempo in albergo, dove riusciamo cerchiamo di fare del nostro meglio per soddisfare le sue richieste». Raphael Brunschwig, CEO del Locarno Film Festival propone una prospettiva diversa, strettamente legata all’orientamento di una regione come il Locarnese che si è concentrata sugli eventi di grande richiamo. «Se il Festival è diventato quello che è oggi non è stato un caso: dietro al successo di una manifestazione oltre al lavoro di molti c’è la storia, la sensibilità culturale sviluppata nel corso degli anni, la capacità di evolvere e la visione necessaria per trasformarsi. Il nostro progetto di cambiamento di date è il frutto di una riflessione articolata, condivisa con molti interlocutori, per cercare di assumere un ruolo nuovo e più dinamico nel mondo del cinema e riuscire ad ampliare ancora l’offerta di Locarno pur mantenendo la dimensione strutturale della manifestazione nei limiti delle nostre capacità». Calendari sempre più fitti di appuntamenti, non tutti propriamente di alto livello e quindi poco efficaci quali catalizzatori dell’interesse dei visitatori: questa sembra comunque essere diventata la caratteristica universale e dominante del moderno modello di sviluppo turistico. I pareri in merito sono discordanti e
crescono i dubbi e le preoccupazioni su dove si dovrebbe situare il giusto equilibrio tra la soddisfazione per i benefici indotti e l’attenzione per la sua invasività, oltre che per il rispetto di una sostenibilità che sempre di più appartiene alla sensibilità collettiva. Ma allora, il turismo rischia di diventare un male necessario? Il professore di storia del turismo dell’USI Claudio Visentin, che ha accompagnato lo svolgimento della serata con le sue riflessioni estremamente precise e interessanti, propone in conclusione una chiave di lettura generale inabituale, per certi versi persino provocatoria, affermando che «forse il principale problema sta proprio nelle nostre eccessive aspettative, che ci fanno guardare al turismo sempre e soltanto come a una preziosissima fonte di redditività. È vero che questa è una regola imprescindibile di ogni ini -
ziativa imprenditoriale, ma è anche vero che con questa mentalità si rischia di perdere una certa capacità di giudizio nel valutare la reale qualità dell’offerta e di limitare ogni analisi al suo mero impatto economico diretto e immediato. Il Ticino, nonostante tutto, dispone ancora di margini di sicurezza che dovrebbero consentire una visione più serena, che non sia sempre e soltanto ostaggio dei principi del guadagno e della costante progressione. Alla lunga questo un esercizio che può rivelarsi malsano e pericoloso, perché le cose, soprattutto nel turismo, non funzionano così!».
In qualità di banca leader in Europa, siamo al vostro fianco per accompagnare l’espansione della vostra attività. Con soluzioni finanziare su misura e una presenza in 64 mercati, siamo qui per sostenere la vostra crescita. Insieme, trasformiamo le vostre ambizioni in realtà.
FOR THOSE WHO MOVE THE WORLD
SCOPRITE LE NOSTRE
STORIE DI SUCCESSO
La banca per un mondo che cambia
QUANTE DIVISIONI HA IL PAPA?
Nel vicolo cieco in cui ci troviamo - di riarmo e guerre alimentate da dittatori o regimi autoritari, di nuovi nazionalismi e imperialismi, di conflitti commerciali e nuove povertà, di declino del diritto e rigurgito della legge della giungla - in cui le autorità politiche e le istituzioni hanno perso credibilità e autorevolezza, un Papa può forse essere punto di riferimento di coloro che chiedono pace e giustizia e incidere concretamente nella soluzione di alcuni dei problemi di questo terribile inizio del Ventunesimo secolo?
La domanda avrebbe suscitato sorriso se non indignazione presso i rivoluzionari e le élites che hanno costruito le basi della modernità e le hanno perfezionate, talvolta proprio contro la Chiesa cattolica quando è
stata collusa con poteri politici liberticidi. D’altronde è nota la sarcastica risposta che diede Stalin durante la Conferenza di Yalta chiamata a dare un nuovo assetto all’Europa e al mondo dopo la sconfitta del nazifascismo: «Quante divisioni ha il Papa?». Così rispose il dittatore sovietico a chi gli aveva illustrato le aspettative e la visione di Papa Pio XII. Forse “Baffone” avrebbe dovuto essere meno strafottente.
Infatti - al di là della replica ironico-bonaria che Papa Pacelli avrebbe fatto in privato al momento della morte del dittatore nel 1953 («Adesso vedrà quante divisioni abbiamo lassù…») - un altro Papa, il polacco Karol Wojtyla, contribuì proprio al crollo del regime totalitario dell’URSS che Stalin aveva brutalmente costruito. Giovanni Paolo se -
L’ELEZIONE DEL NUOVO CAPO DELLA CHIESA CATTOLICA, PRESENTE IN TUTTO IL MONDO E CHE IN TUTTI I CONTINENTI E STATI RIUNISCE FEDELI DI LINGUE, CULTURE A POPOLI DIVERSI, CADE IN UN MOMENTO DI CROLLO DELLE AMBIZIONI DEL NOVECENTO - DOPO LE DUE TERRIBILI GUERRE MONDIALI - DI COSTRUIRE UN MONDO LIBERATO DAI CONFLITTI MILITARI, ECONOMICI E SOCIALI.
DI MORENO BERNASCONI
condo non aveva divisioni blidate. Ma la forza di resilienza della cattolicità del popolo polacco e la tenace opposizione alla dittatura comunista del vasto movimento di Solidarnosc, che il suo viaggio in Polonia nel 1979 aveva suscitato ebbero un ruolo decisivo. Un viaggio di importanza storica, cui fece seguito un’intensa politica di ricucitura della divisione fra i “due polmoni dell’Europa”, orientale e occidentale (che il Muro di Berlino ancora divideva), una delle idee portanti del suo pontificato, che regge l’Enciclica “Slavorum Apostoli”. L’elezione del polacco Karol Wojtyla al soglio di Pietro ebbe un ruolo geopolitico mondiale, che contribuì alla fine di una dittatura, della guerra fredda e dell’era di un bipolarismo basato sulla dissuasione nucleare, minaccia per il pianeta intero.
Sono passati pochi decenni e siamo ripiombati ai piedi della scala. Il nuovo ordine mondiale costruito dopo le due guerre mondiali per pacificare le relazioni politiche e commerciali internazionali sembra andato in frantumi. Papa Bergoglio ha parlato di cambio d’epoca, di “società dello scarto” e di una nuova “guerra mondiale a pezzi”. In un mondo in cui il potere si stava concentrando nelle mani di nuovi tiranni e megalomani, occorre riconoscere che un papachiamatosi programmaticamente col nome del poverello di Assisi, Francesco - è diventato riconosciuta autorità morale, ben al di là dei confini della Chiesa cattolica.
A dire il vero, Papa Francesco si è collocato, pur con la sua radicalità propria, in continuità con l’appello lanciato da Giovanni Paolo secondo proprio ad Assisi, in un incontro senza precedenti dei leader delle religioni mondiali, appello che ha delegittimato ogni tentativo di uso politico della religione come alibi o strumento per giustificare le guerre e che chiamava i fedeli di tutte le religioni ad assumersi la responsabilità della pace e della giustizia. E il successore di Wojtyla, Benedetto XV, rincarò l’invito sempre ad Assisi 25 anni dopo, affinché in un secolo che si apriva con brutali attentati le religioni non incoraggiassero il terrorismo: «Mai più violenza in nome di Dio! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio, ogni religione porti sulla terra Giustizia e pace, perdono e vita, amore». Il pontificato dello statunitense (e peruviano) Robert Francis Prevost, Leone XIV, ha preso avvio dove era terminato quello di Francesco, il giorno di Pasqua. Le sue prime parole pronunciate dalla loggia di San Pietro sono state infatti «La pace sia con tutti voi!», «La pace di Cristo Risorto». Nel
suo primo discorso rivolto al Corpo diplomatico presso la Santa Sede ha precisato la consapevolezza di portare una responsabilità che va oltre quella della comunità cattolica. Val la pena di riprenderne i contenuti. Anzitutto, l’importanza della diplomazia, fondamentale in tempi in cui nelle relazioni internazionali prevale la brutalità delle armi e la logica dei rapporti di forza. «La diplomazia della Santa sede è animata da un’urgenza pastorale volta non a cercare privilegi ma ad intensificare la sua missione evangelica a servizio dell’umanità. Richiama le coscienze, come ha fatto il mio venerato Predecessore, sempre attento al grido dei poveri, bisognosi ed emarginati, come alle sfide del nostro tempo, dalla salvaguardia del creato all’intelligenza artificiale». Papa Leone XIV illustra «tre pilastri della missione della Chiesa: pace, giustizia e verità» (che, aggiunge, «non va mai disgiunta dalla carità»). La pace «non è mera assenza di conflitto» ma coinvolge ogni persona ed «esige un lavoro su sé stessi, si costruisce nel cuore, sradicando orgoglio e rivendicazioni e misurando il linguaggio: si può uccidere con le parole, non solo con le armi… In ciò è fondamentale il contributo che le religioni e il dialogo fra loro possono svolgere per favorire la pace». A partire da questo lavoro, «che tutti siamo chiamati a fare, si possono sradicare le premesse dei conflitti e di ogni distruttiva volontà di conquista. Ciò esige anche una sincera volontà di dialogo, animata dal desiderio di incontrarsi, non di scontrarsi. Occorre ridare respiro alla diplomazia multilaterale e alle istituzioni internazionali, volute e pensate per porre rimedio alle contese in seno alla Comunità internazionale». La seconda parola chiave è giustizia. «Perseguire la pace esige di praticare
la giustizia». Papa Prevost ha detto che ha scelto di chiamarsi Leone XIV pensando al papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum. La Chiesa «deve far sentire la propria voce dinanzi agli squilibri e alle ingiustizie, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali. Occorre porre rimedio alle disparità globali, in cui opulenza e indigenza tracciano solchi profondi tra continenti, Paesi e dentro le società». Il terzo pilastro è la verità. Papa Leone XIV sottolinea che «non si possono costruire relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla Comunità internazionale, senza verità. Laddove le parole assumono connotati ambigui e ambivalenti e il mondo virtuale, con la sua mutata percezione del reale, prende il sopravvento senza controllo, è arduo costruire rapporti autentici, poiché vengono meno le premesse oggettive e reali della comunicazione. Da parte sua, la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione». Il ruolo della Chiesa cattolica non è politico: è pastorale ma universale. In tempi in cui le Organizzazioni internazionali sono ignorate dalla volontà di potere e prevale la lotta per i propri interessi nazionali o imperiali, la Chiesa cattolica resta una voce e una presenza universale. Che può fare da contropotere pastorale a tutti gli imperi. Nel caso dello statunitense papa Prevost, può addirittura esserlo per chi si è autoconsacrato “lider maximo” degli USA e dell’Occidente. Un contropotere non privo delle sue profonde crisi interne e dei suoi limiti, certo. Ma che ci auguriamo possa essere giovevole.
CREATIVITÀ E FANTASIA A 360 GRADI
MARIO MANTEGAZZA PROSEGUE I SUOI
INCONTRI CON I PROTAGONISTI
DELL’ECONOMIA E DELLA SOCIETÀ TICINESE
E DIALOGA CON DANIELE FINZI PASCA, REGISTA, ATTORE, COREOGRAFO, DESIGNER
E AUTORE IL QUALE, PARTITO DAL TICINO
HA ACQUISITO UNA STRAORDINARIA NOTORIETÀ
IN TUTTO IL MONDO.
Quando ha sognato per la prima volta di trovarsi su un palcoscenico o nell’arena di un circo? «Ho iniziato a capire che era bello guardare in faccia gli spettatori facendo il chierichetto al Sacro Cuore. Bisognava restare seri, pettinati bene e non fare le boccacce. Seduto
accanto a Don Reggiori mi sono reso conto che con un nulla si sarebbe potuto far ridere tutta la chiesa e rilassare l’ambiente. Non sono diventato prete, troppo complicato, ho deciso di diventare clown per far sorridere, poi ho scoperto che noi attori possiamo raccontare storie commoventi».
Quali sono state le più importanti esperienze formative che le hanno consentito di diventare un artista versatile e poliedrico?
«Una mattina a colazione mio fratello più piccolo chiese con tutta l’ingenuità del mondo: “Perché Daniele la notte esce dalla stanza passando dalla finestra e non dalla porta?”. Effettivamente sin da bambino mi svegliavo presto, prestissimo; ancora oggi alle 5 del mattino sono in pista. Mi svegliavo e mi calavo dal primo piano in giardino e poi ciao, mentre tutti dormivano. Anni dopo ho capito che i miei sapevano delle mie fughe e a volte mi seguivano mantenendosi a distanza. C’è chi regola i fili d’erba del prato così che il giar -
“Sono una pianta cresciuta in un giardino dove la mia individualità è stata
protetta e stimolata. Sono cresciuto in una famiglia dove ho potuto spettinare le mie fronde e crescere con esuberanza. Sono cresciuto in un giardino dove era di casa la fantasia”.
dino sia perfettamente proporzionato, altri invece amano l’esuberanza della natura che sceglie di crescere verso la luce come gli pare, come gli riesce, come può. Sono una pianta cresciuta in un giardino dove la mia individualità è stata protetta e stimolata. Sono cresciuto in una famiglia dove ho potuto spettinare le mie fronde e crescere con esuberanza. Sono cresciuto in un giardino dove era di casa la fantasia».
Si può imparare la professione del clown o bisogna avere delle specifiche competenze?
«Ci vogliono maestri, bisogna seguirli “rubando” il mestiere a bottega. Bisogna superare e digerire le batoste e non fare caso ai primi successi. Bisogna avere fortuna e per noi che facciamo teatro è essenziale saper lavorare in gruppo».
Che cos’è il talento artistico e cosa occorre fare per valorizzarlo?
«Il talento è un regalo che va messo alla prova ogni giorno, non servirsene è tra gli errori più stupidi che si possano commettere. Il talento va forgiato, è un seme piccolo, va coltivato con attenzione, cura. Il talento è un regalo meravigliosamente complicato da gestire, è un atto di fedeltà ad una promessa che ti lega per tutta la vita. Il talento da solo non serve a nulla, chiuso in un cassetto non serve proprio a nulla, per farlo diventare una pianta grande ci vuole tanta perseveranza».
Cosa l’ha spinto a fondare il Teatro Sunil e qual è il bilancio di quella straordinaria esperienza?
«Con i miei fratelli e un gruppo di amici avevamo una fissazione, una missione, un’idea piccola a cui tenevamo molto e così ci siamo messi al lavoro: volevamo cambiare il mondo».
Al Teatro Sunil ha sviluppato insieme a suo fratello Marco e Maria Bonzanigo la tecnica del «Teatro della Carezza», una visione di clowneria, danza e gioco. Che cosa significa questo approccio?
«Ci sono storie che curano, che possono trasmettere la sapienza delle esperienze vissute da chi ci ha preceduto, le domande piccole e grandi che abitano le nostre angosce. Il nostro teatro è profondamente legato allo studio dell’empatia, i nostri attori lavorano per espandere la loro percezione del circostante; non pensiamo a cosa fare sulla scena, ci alleniamo ad abbracciare il pubblico».
Il Canada è una base storica significativa delle sue creazioni artistiche. Per quali ragioni, insieme ai co-fondatori della Compagnia Finzi Pasca avete poi scelto Lugano come sede principale?
«Montréal mi ha accolto, ho lavorato e collaborato con i maggiori teatri, con il Cirque du Soleil, con il TNM e tante altre istituzioni. È successa la stessa cosa in Messico, in Uruguay, a San Pietroburgo, a Parigi, New York, Londra. Sono tornato a Lugano quando il LAC aveva bisogno di una legittimazione per esistere e per giustificarsi, sono tornato con la voglia di trasmettere quanto avevamo scoperto».
Il suo rapporto con le amministrazioni pubbliche comunali e cantonali non è stato sempre idilliaco. Qual è la situazione attuale e come giudica la politica culturale, nel campo dello spettacolo, portata avanti dalla città di Lugano?
«Negli ultimi 9 anni abbiamo presentato 8 diversi spettacoli al LAC
totalizzando più di 59.000 spettatori, se aggiungiamo le repliche nel resto del Ticino i numeri crescono ancora e questo racconta dell’affetto che ci circonda. Ho lavorato per produttori a Broadway, per le maggiori case d’Opera, nel 2019 sono stato addirittura invitato a Vevey a dirigere quella pazza e meravigliosa Fête des Vignerons, un ticinese a dirigere una Confrérie Vodese… du jamais vu. Ci sono stati i successi con il Cirque du Soleil o le Cerimonie Olimpiche che si misurano a suon di milioni di spettatori. In tutte queste avventure ho dovuto imparare a reggere la pressione, i soldi in gioco erano tanti, le aspettative, molteplici le incognite, ho dovuto dialogare con mostri a cento teste. A casa è più facile, molto più facile».
Quali sono i più importanti progetti che lo vedono attualmente impegnato?
«Abbiamo ottenuto i diritti per Prima Facie di Suzie Miller, un’opera teatrale importante, un monologo che sarà interpretato da mia moglie Melissa Vettore. Sono anni che sentiamo parlare della violenza che le donne subiscono e di come sia difficile difenderle. Malgrado la densità del tema, lo affronteremo con il nostro sguardo trasognato. Stiamo mettendo molto cuore in questo progetto, complesso e difficile da affrontare ma tremendamente necessario».
E per il futuro, c’è un progetto che vorrebbe assolutamente realizzare?
«Tanti, forse un giorno dirigere il teatro della Città dove sono nato o il Carnevale di Rio, o il Festino a Palermo, o Icaro da Baryshnikov a New York».
UN CARTELLONE CLASSICO, CONTEMPORANEO E DI SPERIMENTAZIONE
Per la prima volta la programmazione è interamente curata dal LAC, dopo l’integrazione delle attività di LuganoMusica nel nuovo settore Musica avvenuta lo scorso settembre, e ridefinisce il ruolo della musica all’interno di un centro culturale multidisciplinare, raffor -
LA NUOVA STAGIONE MUSICALE DEL LAC AVRÀ INIZIO VENERDÌ 17
OTTOBRE 2025. IL PROGRAMMA FIRMATO DAL DIRETTORE ARTISTICO
ANDREA AMARANTE ESPLORA IL CONCETTO DI MUSICA COME
DISSOLUZIONE DEL TEMPO, PROPONENDO UN’ESPERIENZA IN CUI TRADIZIONE E INNOVAZIONE SI INCONTRANO, CREANDO DIALOGHI INASPETTATI
TRA PASSATO E FUTURO. CINQUANTA APPUNTAMENTI PER UN VIAGGIO STRAORDINARIO ATTRAVERSO EPOCHE, GENERI E LINGUAGGI SONORI.
zando il dialogo con l’Orchestra della Svizzera italiana (OSI), orchestra residente. Il LAC non è un semplice auditorium per concerti sinfonici: è un laboratorio culturale che mette in dialogo la musica con le arti sceniche, la danza, le arti visive per ampliare lo spettro della programmazione. La costruzione della nuova stagione sposa le visioni del centro culturale e il percorso che ha intrapreso da anni, volto a coinvolgere un pubblico sempre più ampio, a dialogare attivamente con il territorio, superando i canoni tradizionali e aprendosi a nuovi formati e contaminazioni. Tra le novità della stagione, il cambio di orario di inizio dei concerti, che viene anticipato alle ore 20.00. La stagione 2025/26 si distingue per un’offerta musicale che spazia dai grandi concerti sinfonici ai recital, dalla sperimentazione elettronica alla musica contemporanea. Dopo il debutto a Lugano dal 15 al 21 settembre del dittico lirico La voix humaine di Francis Poulenc e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, nella lettura registica di Emma Dante e
nell’interpretazione musicale del Maestro Francesco Cilluffo alla guida dell’OSI, l’apertura della stagione si declina in un triplice appuntamento: tre concerti (17, 18, 19 ottobre 2025) che nascono dall’incontro tra il jazz e la musica sinfonica. Il celebre contrabbassista Avishai Cohen dialoga con i Göteborgs Symfoniker per un progetto che sfida i confini tra improvvisazione e scrittura orchestrale: un primo concerto tutto sinfonico con Neeme Järvi direttore
e Truls Mørk al violoncello, un secondo di jazz sinfonico con Alexander Hansen direttore, il terzo di puro jazz con l’Avishai Cohen trio. Tra gli appuntamenti sinfonici più attesi, la Tokyo Philharmonic Orchestra, diretta da Myung-Whun Chung, porta in scena per il suo debutto assoluto in esclusiva Svizzera, la potenza ritmica de Le Sacre du Printemps di Stravinskij, con il violino solista Maxim Vengerov impegnato nel concerto di Cajkovskij (10 novembre 2025); Sir András Schiff e l’Orchestra of the Age of Enlightenment (23 novembre 2025) propongono una rilettura innovativa delle sinfonie di Haydn. Da non perdere anche il concerto
dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino con Zubin Mehta, per la prima volta a Lugano, sul podio per le celebri Sinfonie n. 39, 40 e 41 di Mozart (7 febbraio 2026) e quello di Philippe Herreweghe alla testa dell’Orchestre des Champs-Élysées e del Collegium Vocale Gent in un programma che accosta la monumentale Eroica di Beethoven al Requiem di Cherubini (19 marzo 2026).
Del cartellone sono inoltre protagonisti artisti di assoluto rilievo come Lisa Batiashvili, Jean-Yves Thibaudet e Gautier Capuçon in un raffinato recital cameristico con musi -
che di Rachmaninov, Debussy e Dvorák (30 ottobre 2025). Grande attesa anche per la Verbier Chamber Orchestra, diretta da Gábor Takács-Nagy, che con il violoncellista Steven Isserlis è impegnata in un programma dedicato a Beethoven, Haydn ed Ernest Bloch (1° dicembre 2025). La stagione ospita inoltre la Swiss Orchestra (7 maggio 2026), orchestra residente della sala concerti di Andermatt, con Lena-Lisa Wüstendörfer alla direzione e la pianista Olga Scheps, in un programma che accosta Beethoven e Dupuy. Il recital Balagan con Noa Wildschut al violino, Pablo Barragán al clarinetto e Amadeus Wiesensee al pianoforte (12 aprile 2026) si configura come un viaggio attraverso la ricchezza eclettica della musica da camera del Novecento e contemporanea, un intreccio di influenze po -
polari, esplorazioni timbriche e raffinata scrittura strumentale. La pianista Nathalia Milstein (26 aprile 2026) esegue musiche di Haydn, Beethoven, Liszt e Prokof’ev. LuganoMusica Ensemble, storico gruppo nato in seno al LAC che riunisce i migliori musicisti presenti sul territorio, torna con un programma dedicato a Saint-Saëns, Berwald, Poulenc e Rota (2 novembre 2025). Da non perdere il recital del giovane virtuoso del pianoforte Hayato Sumino “Cateen” (14 dicembre 2025), celebre per la sua capacità di fondere la tradizione pianistica classica con un linguaggio musicale moderno e coinvolgente.
Antonio Ballista e Bruno Canino a quattro mani esplorano la musica di Ravel, Fauré, Debussy e Stravinskij (11 gennaio 2026). Kurtág 100 (19 febbraio 2026), concerto dedicato al centenario di György Kurtág, presenta un affascinante programma con trascrizioni da Bach, brani di Bartók e composizioni dello stesso Kurtág eseguite da Dénes Várjon e Izabella Simon al pianoforte. In occasione del 30° anniversario de I Barocchisti e del 90° anniversario del Coro della RSI, i due ensemble diretti dal maestro luganese Diego Fasolis portano sul palco del LAC uno dei capolavori di Joseph Haydn: l’oratorio La creazione del mondo, nella versione italiana a cura di Giuseppe Carpani (21 febbraio 2026). Continua la residenza di Superar Suisse (15 marzo 2026), progetto dedicato alla formazione musicale inclusiva per i giovani; l’orchestra, diretta da Carlo Taffuri, offre un’esibizione speciale che celebra la forza della musica come strumento di crescita e comunità.
A Natale, ci si ritrova sotto l’albero della Hall per A Christmas Carol –Concerto di Natale al LAC, ultimo appuntamento di una serie di venti concerti natalizi nelle chiese di Lugano (20 dicembre 2025).
Se il superamento dei generi musicali tradizionali è uno dei fili conduttori della stagione, la commistione tra mondi sonori differenti si esprime con la cantante Ledisi e la Metropole Orkest (17 gennaio 2026) nell’omaggio a Nina Simone, le cui canzoni si rivestono di nuovi arrangiamenti orchestrali, e con il Manchester Collective (6 giugno 2026), che mescola folk, jazz e musica contemporanea. Il jazz in questa stagione invade gli spazi della musica classica in virtù della collaborazione con Jazz in Bess: i concerti di Oded Tzur Quartet (23 ottobre 2025) e Arcanum (27 novembre 2025) si svolgono a Besso, il Tord Gustavssen Trio (25 febbraio 2026) e l’Éténèsh Wassié Trio (22 marzo) si esibiscono al LAC. La voce umana, nella sua capacità espressiva senza tempo, è al centro di numerosi appuntamenti della stagione. Il concerto Di cosa vive l’uomo? con Costanza Alegiani e Pep -
pe Servillo celebra lanteatralità e l’ironia delle canzoni di Kurt Weill e Bertolt Brecht (1° aprile 2026).
La Camerata Bern, diretta da Maria Włoszczowska (29 aprile 2026), con la sua esplorazione musicale tra Hildegard von Bingen e Benjamin Britten, crea un ponte sonoro tra il canto medievale e la modernità orchestrale. Ancora, una voce ci spinge a superare le frontiere ed è quella della celebre cantante Mariza (1° febbraio 2026) che ha saputo dare nuova vita alla tradizione portoghese del fado portandolo alla ribalta internazionale.
Il concerto FS: in viaggio vede protagonisti Paolo Fresu e Giovanni Sollima (9 maggio 2026), due artisti capaci di esplorare le potenzialità timbriche di tromba e violoncello, in un dialogo che attraversa secoli di musica e sperimentazione sonora. Il progetto Rodari Connection (13 febbraio 2026) - Valentina Fin voce, elettronica, sax e Effe Effe (Federica Furlani) viola, elettronica - coniuga narrazione e sperimentazione per una nuova esperienza sonora ispirata alle celebri Favole al telefono di Gianni Rodari, reinterpretate attraverso suoni e immagini digitali. La visione di Psycho (1960) di Alfred Hitchcock è accompagnata dalla musica dal vivo (10 e 11 dicembre 2025): a far dialogare musica e cine -
ma è l’OSI, diretta da Anthony Gabriele. Nella stessa settimana, il duo Gebrüder Teichmann (11 dicembre 2025) fa da colonna sonora del film muto Sinfonia di una grande città (1927) con una performance elettronica dal vivo in collaborazione con Oggimusica.
Il progetto Wanderer (20 e 21 maggio 2026), in residenza artisticanal LAC, supera i confini tra concerto, teatro e installazione visiva: un’esperienza immersiva che dissolve i limiti tra scena e platea e invita il pubblico ad essere parte attiva. Un immancabile appuntamento rimane Early Night Modern : l’apprezzata rassegna, che mantiene la collaborazione con Oggimusica, compie dieci anni. Sono otto gli appuntamenti in calendario, da ottobre ad aprile. Torna la rassegna EAR , progetto di Spazio21 del Conservatorio della Svizzera italiana in coproduzione con il LAC, che per il suo decimo anniversario introduce una “guida all’ascolto” ai sei concerti dedicati alla musica acusmatica, che si terranno in Teatrostudio tra gennaio e maggio.
Attraverso un ampio dialogo pittorico tra una significativa selezione di opere di Filippo Franzoni e di dipinti, anche meno noti, di Ferdinand Hodler provenienti da importanti collezioni pubbliche e private svizzere, vengono messi in luce, per la prima volta, momenti di straordinaria convergenza nell’opera dei due artisti. Se la centralità di Ferdinand Hodler (Berna, 1853 - Ginevra, 1918) come uno dei massimi rappresentanti del simbolismo è indiscussa a livello internazionale, la figura di Filippo Franzoni (Locarno, 1857 - Mendrisio, 1911) resta ancora poco conosciuta fuori dalla Svizzera italiana. Nato a Locarno da famiglia borghese di idee liberali, Franzoni si forma all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, è vicino alla cultura scapigliata e più tardi sarà tra i pochi locali a intrattenere un rapporto con la colonia del Monte Verità di Ascona. Dopo un apprendistato presso un vedutista, Hodler si forma
invece a Ginevra nel solco della lunga tradizione di pittura di paesaggio ginevrina. Pur gravitando inizialmente in ambienti artistici diversi, a partire dal 1890 i percorsi professionali e umani dei due artisti si incrociano più volte nella nascente scena artistica elvetica: entrambi partecipano attivamente a giurie ed esposizioni di rilievo nazionale e internazionale, diventando protagonisti di un primo, autentico scambio culturale tra le diverse regioni linguistiche del paese. Entrambi si affermano, inoltre, come straordinari interpreti del paesaggio, influendo, ciascuno a suo modo, sulla lettura e la percezione del territorio che hanno dipinto: principalmente il Lago Lemano e le Alpi svizzere nel caso di Hodler, il Lago Maggiore e i dintorni di Locarno nel caso di Franzoni.
Strutturato come un raffronto dialogico, il percorso al MASI propone un corpus di 80 dipinti realizzati dai due artisti sull’arco di quattro decenni, permettendo di seguire la loro evoluzione dal 1870, momento di inizio dell’attività di Ferdinand Hodler, fino al 1911, anno che segna la scomparsa di Filippo Franzoni. Protagonista di questo confronto inedito è soprattutto il paesaggio svizzero, con le sue luci mutevoli e le sue atmosfere. Dalle opere esposte al MASI emerge come entrambi gli artisti fossero affascinati da analoghi scorci paesaggistici, traducendo la loro essenza in soluzioni formali e compositive a tratti di straordinaria affinità. Ma soprattutto il
IL MUSEO D’ARTE DELLA SVIZZERA
ITALIANA PRESENTA FINO AL 10 AGOSTO LA MOSTRA “FERDINAND HODLER - FILIPPO FRANZONI”, CHE CELEBRA L’AMICIZIA E IL LEGAME TRA DUE PROTAGONISTI DELLA SCENA ARTISTICA SVIZZERA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO.
loro percorso segna un progressivo liberarsi dai retaggi accademici, trascendendo il dato sensibile per tendere verso una vibrante sublimazione. «Ferdinand Hodler ha rivoluzionato la rappresentazione del paesaggio svizzero, che considerava non solo come una riproduzione realistica e ricca di suggestioni, ma anche come portatrice di messaggi spirituali e simbolici. Le sue rappresentazioni stilizzate e di ampio formato, che si tratti di cime alpine o di vedute del lago di Ginevra, riducono all’essenziale forme e colori e trasformano il paesaggio in un simbolo universale del tempo, dello spazio e dell’eternità. ln questa svolta verso la sublimazione simbolica del paesaggio Hodler è stato affiancato, tra i suoi contemporanei, soprattutto da un pittore ticinese: Filippo Franzoni» spiega Tobia Bezzola, direttore del Museo. ln particolare, i paesaggi di Hodler selezionati per il progetto espositivo
sono ascrivibili alla sua ricerca più intima e comprendono anche alcuni innovativi dipinti realizzati a Locarno, nei luoghi amati dall’amico Franzoni. Oltre a un focus sui ritratti, un ulteriore approfondimento è dedicato, in mostra, ad opere di matrice simbolista, linguaggio a cui entrambi gli artisti sono sensibili, ma che troverà sviluppi divergenti all’interno delle rispettive traiettorie artistiche.
Le prime prove di Franzoni, come testimoniano Duomo di Milano o La Processione , sono legate all’ambiente lombardo e ai suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Brera. Presto Hodler realizza i primi suoi dipinti più autonomi, in cui la maestosità della natura lascia il posto a paesaggi semplificati, fino ad approdare al primo grande paesaggio, Alpenlandschaft (Das Stockhorn), con cui l’artista vince il primo premio al quarto Concours Calame nel 1883. Gli risponde, in mostra al MASI, il grande dipinto Tombe romane a Concordia (1887ca) di Franzoni, che, pur muovendosi in un’atmosfera romantica, rivela una stessa tipologia di composizione del paesaggio, nella scansione a bande orizzontali ed elementi che si ripetono
in un gioco di specchiature tra acqua, terra e cielo. Il quadro di Franzoni, che ritrae il sito archeologico di Sepolcreto dei militi presso Portogruaro, accompagna la traiettoria espositiva dell’artista dall’Italia verso la Svizzera: viene infatti presentato nel 1 890 all’Esposizione Nazionale Svizzera di Belle Arti (ENSBA) di Berna a cui partecipa anche Hodler con quattro opere. Analogie compositive tra i due artisti sono già evidenti in lavori precedenti e poi anche nei ritratti, come la magnifica Bildnis einer Unbekannten di Hodler e il Ritratto della madre (1891) con cui Franzoni raggiunge uno degli apici della sua ricerca di sintesi formale, rivelando la conoscenza della stesura en aplat a zone di colore ben definite derivante dalle ricerche dei Nabis. Il 1895 segna un punto di snodo focale nei percorsi di Hodler e Franzoni. Entrambi vincono il secondo premio a pari merito al Concours Calame a Ginevra con una delle loro opere maggiori. Hodler presenta la prima versione del Lago Lemano visto da Chexbres, con cui da avvio a una tipologia di paesaggio particolarmente fortunata, quella a composizione ellittica. Con Delta della Maggia Franzoni crea il suo dipinto di grande formato più famoso: una veduta del Lago Maggiore, colta dalla riva verso il Bosco Isolino. Una diffusa presenza del colore azzurro-turchese avvolge sia il lago che le montagne sulla riva opposta del Gambarogno, conferendo al paesaggio un anelito verso l’astrazione. L’opera, con cui si fa notare definitivamente dai colleghi e dalla criti-
ca d’oltralpe, viene presentata in numerose esposizioni, tra cui l’Esposizione universale di Parigi del 1900. Su registri opposti si sviluppano, infine, le opere di matrice simbolista. Se in Hodler emerge chiara quella tendenza alla declinazione monumentale di temi idealistici che lo porterà ad affermarsi a livello europeo, gli ultimi dipinti a tema mitologico di Franzoni mostrano invece il suo addentrarsi in una ricerca sempre più cupa e introspettiva, segnata dalla sua malattia e da condizioni di vita sempre più difficili.
01
Ferdinand Hodler
Il bosco di faggi
1885, ripreso nel 1890 e 1894 circa Olio su tela
Kunstmuseum Solothurn, donazione signora Erica Peters in memoria del Dr. Rudolf Schmidt, 1971
02
Ferdinand Hodler
Autoritratto 1892
Olio su tela
Kunsthaus Zurich, deposito Kanton Zurich, 1917
03
Filippo Franzoni
Autoritratto
1903-1905 circa Olio su tavola
Collezione della Città di Locarno
04
Filippo Franzoni, Delta della Maggia 1895 circa Olio su tela
Comune di Chiasso, deposito della Confederazione svizzera, Ufficio federale della cultura, Berna
MEMORIE DI UN TICINO RURALE
Attraverso una selezione di circa 90 fotografie tra vintage e nuove stampe da negativi originali su lastra di vetro, il percorso offre l’occasione unica per riscoprire un fotografo considerato da sempre uno dei padri dell’immaginario turistico ticinese. Il progetto espositivo è il risultato di un lungo lavoro di ricerca e catalogazione sull’archivio di Schmidhauser, depositato dalla famiglia Brentano-Motta di Brugg all’Archi -
IL MUSEO D’ARTE DELLA SVIZZERA ITALIANA, OSPITA NELLA SEDE DI PALAZZO REALI, DAL 16 MARZO AL 12 OTTOBRE 2025 LA PRIMA MOSTRA DEDICATA DA UN’ISTITUZIONE MUSEALE AL FOTOGRAFO EUGENIO SCHMIDHAUSER (SEON, 1876 - ASTANO, 1952).
nali all’inizio del Novecento. Ad una selezione delle immagini più note del fotografola sua celebre serie di cartoline o le illustrazioni per Fröhliches Volk im Tessin del 1906 - viene
vio di Stato del Cantone Ticino, e che ha portato alla luce un corpus di opere inedite e sconosciute. Oltre ad offrire una panoramica sulle principali componenti del lavoro di Eugenio Schmidhauser, la mostra presenta al pubblico, per la prima volta, un nucleo di preziose stampe artistiche esposte dal fotografo in occasione di importanti rassegne internazio -
inoltre accostato in mostra un nucleo di lavori inediti dedicati all’Appenzello, ampliando così la visione sulla produzione di Schmidhauser in ambito turistico. Infine, una speciale sezione è dedicata ad Astano, villaggio con cui il fotografo entrò in una sorta di intima relazione riprendendone la gente, gli eventi, i vicoli e la natura in maniera continuativa dall’inizio secolo fino al 1950. In questo senso, come recita il titolo stesso “Eugenio Schmidhauser, oltre il Malcantone”, il progetto espositivo al MASI intende far emergere un nuovo capitolo della produzione fotografica di Schmidhauser, capace di sconfinare dai canoni della fotografia turistica – spesso criticata per la ricerca del pittoresco e del caricaturale – e di muoversi in «un ambiente culturale in cui vengono a cadere le frontiere, tra l’Appenzello e la Baviera, tra Astano e l’Europa, tra un immaginario e l’altro», spiega
il co-curatore della mostra, Gianmarco Talamona. «Il progetto rientra tra le iniziative del MASI volte a riscoprire gli archivi d’artista, con una particolare attenzione alla fotografia storica e al patrimonio regionale, che riveste un’importanza fondamentale per il territorio e per la memoria collettiva di una comunità, tra passato e presente» sottolinea Ludovica Introini, co-curatrice della mostra. La costruzione di un immaginario turistico Vedute di borghi e villaggi incontaminati , abitati da persone autentiche, che conducono una vita piacevole in un clima mite: questa l’immagine del Ticino che le fo -
ts-métiers si presentano come un piccolo catalogo di mestieri tradizionali di un mondo che fu. Oltre ad un’alta qualità tecnica, da questi scatti nitidi, perfetti, emerge la spiccata capacità registica di Schmi -
tografie turistiche di Eugenio Schmidhauser volevano veicolare. Pubblicate nel 1906 come serie di cartoline e illustrazioni alla raccolta di poesie sulle figure tipiche del Ticino, intitolata, non a caso, Fröhliches Volk im Tessin , esse ebbero notevole diffusione e contribuirono in maniera decisiva a far conoscere la regione ticinese oltre-Gottardo. Dall’arrotino al gerlaio, dallo zoccolaio al seggiolaio, le immagini in mostra tratte dalla serie dei peti -
dhauser nel ritrarre scene in cui autenticità e artificio si mescolano, talvolta con forti accenni caricaturali. «Oggi non si pretende più da questa iconografia la divulgazione di un’immagine autentica del Ticino rurale del primo Novecento. Da scene folcloristiche artefatte, queste fotografie sono diventate documenti che illustrano il lavoro di costruzione di un immaginario turistico che in passato è stato troppo severamente qualificato come sottocultura turistica», spiega Damiano Robbiani nel suo saggio nel volume che accompagna la mostra. Anche le fotografie che Schmidhauser realizza negli stessi anni nell’Appenzello fanno parte dello stesso disegno di costruzione di un immaginario turistico ben preciso: paesaggi idilliaci con mucche al pascolo, coppie in costume tradizionale e gruppi di Jodler restituiscono, in mostra, l’idea di un Appenzello bucolico, laborioso e patriottico in cui si riflette un Ticino altrettanto bucolico, ma più spensierato e scanzonato. Stessa abilità tecnica ma altri canoni estetici caratterizzano, invece, le fotografie artistiche di Eugenio Schmidhauser, legate a doppio filo con i suoi studi al prestigioso Lehr- und Versuchanstalt für Photographie di Monaco di Baviera (1901-1903). In questo nucleo di stampe vintage si trovano diversi ritratti in studio, da cui emerge una particolare sensibilità nell’utilizzo della luce, che scolpisce con efficacia ed eleganza i lineamenti delle persone ritratte.
Tinte forti e un’atmosfera cupa, di solitaria drammaticità, percorrono invece i paesaggi realizzati sul Lago di Garda intorno al 1903, che si collocano nel solco del pittoricismo romantico e simbolista con cui Schmidhauser era probabilmente entrato in contatto durante gli studi a Monaco. Alcune di queste fotografie colpiscono anche per il grande formato di stampa, che il fotografo riusciva a realizzare grazie ai sofisticati mezzi tecnici di cui disponeva, tra cui uno speciale ingranditore su binari. Diversi scatti da questa serie hanno vinto riconoscimenti in prestigiose rassegne internazionali a cui Schmidhauser partecipò tra il 1903 e il 1914. Tra questi si segnala Tra olivi e cipressi a cui viene assegnata la medaglia d’oro a Dresda nel 1909. All’Esposizione nazionale di Berna del 1914 Schmidhauser espone anche una cartella con immagini del servizio postale nel Ticino rurale e in mostra al MASI si ritrovano diversi esempi da questa serie. Sono documenti preziosi, che dimostrano la capillarità del servizio postale nel Cantone Ticino e che hanno avuto, negli anni, una notevole diffusione. «Piuttosto breve, la stagione fotografica di Schmidhauser fu tuttavia straordinariamente intensa e articolata, capace di coniugare l’espressione arti-
stica e la promozione del turismo secondo modalità decisamente innovative, con l’appoggio di una tecnica che forse nel Ticino del tempo nessun altro possedeva», conclude Gianmarco Talamona.
01
Somieri, Bosco Gurin 1913
Carta salata
Nicoletta e Max Brentano (-Motta), Brugg AG. In deposito presso Archivio di Stato, Bellinzona
02
Gruppo in visita a Magliaso al seguito di Rudolf Fastenrath 1904
Il presente documento è una comunicazione di marketing BASE INVESTMENTS SICAV (la “SICAV”), con sede in Lussemburgo, è promossa e gestita da Banca del Sempione SA Prima della sottoscrizione leggere il prospetto informativo, il quale contestualmente ai KID, allo statuto e alla relazione annuale a semestrale della SICAV, possono essere richiesti gratuitamente presso Banca del Sempione SA, Via Peri 5, Lugano, nominata Rappresentante della SICAV e Agente per i Pagamenti in Svizzera e sul sito www basesicav ch RISCHI DELL’INVESTIMENTO: Ogni comparto della SICAV comporta specifici rischi, quali, a mero titolo esemplificativo, il rischio derivante dall’investimento in obbligazioni, in divise di Paesi Emergenti e dal ricorso a strumenti derivati Per maggiori informazioni sui rischi siete pregati di consultare l’apposita sezione del prospetto e rivolgervi ai propri consulenti finanziari Con riferimento alla commercializzazione del Comparto in Svizzera, il luogo di esecuzione è presso la sede legale del Rappresentante della SICAV in Svizzera Il foro competente è presso la sede legale del Rappresentante della SICAV in Svizzera o presso la sede legale o il domicilio dell’investitore Per informazioni: Banca del Sempione SA, Lugano – Chiasso – Bellinzona – Locarno / www bancasempione ch
Quali sono state le principali tappe della sua formazione e del percorso di avvicinamento al mondo dell’arte e del design?
«Sicuramente devo questa esperienza iniziale a mia madre Agneta
Holst con l’apertura dello spazio Megalopoli in Corso Europa 14 a Milano alla fine degli anni ’70, un piccolo studio che si affacciava sul silenzioso cortile interno di un antico palazzo milanese. Gli artisti che collaboravano con mia madre erano tutti diventati amici ed erano i più bei nomi della creatività del momento, come Consagra, Dorazio,
Giò Pomodoro, Mauro Lovi, Ugo Marano, Tarshito, Carla Accardi, Alik Cavaliere, Mimmo Paladino, Ettore Sottsass, Luigi Parzini, Sandro Martini, Agostino Ferrari, Enrico Castellani, Bobo Piccoli, Michelangelo Pistoletto, Rosina Bianchi: artisti a cui Agneta chiedeva di realizzare mobili e oggetti d’uso capaci di oltrepassare i confini della loro normale realtà quotidiana tra arte e design dagli anni ’70 al 2000. Inoltre, le mie origini risalgono allo Studio Ballo & Ballo dei miei zii Aldo Ballo e Marirosa Toscani Ballo, il più importante studio fotografico italiano per la fotografia e il design. È stato un vero laboratorio di eccellenza, ma anche un luogo di incontro intellettuale e di confronto tra artisti, architetti, designer del calibro di Bruno Munari, Gae Aulenti, Cini Boeri, Ettore Sottsass, Pier Giacomo e Achille Castiglioni, Enzo Mari, Alessandro Mendini e molti altri. Io sono cresciuta ‘dentro’ questo spazio/studio, spesso fotografata dagli stessi zii, insieme a mia sorella, all’interno di installazioni, contemplate per ritrarre oggetti e complementi di design e architettura, nelle quali ci dovevamo muovere per enfatizzare la staticità degli oggetti stessi, alla ricerca della loro profondità, l’anima delle cose. Dalla mia nascita cresco, peraltro, nello studio Rotofoto di mio nonno Fedele Toscani, celebre fotoreporter del Corriere della Sera, fondatore con Vincenzo Carrese dell’Agenzia Publifoto, padre di Oliviero. Insomma, sono nata e cresciuta immersa
in ‘laboratori’ nel campo della fotografia, del design e della cultura tutta, in cui lo scambio, intellettuale e artistico, era un nesso inscindibile e un percorso evolutivo epocale».
Quale continuità quantomeno ideale è possibile postulare tra la galleria Megalopoli fondata a Milano da sua madre Agneta Holst, e le attività da lei realizzate in campo artistico?
«O.T.T.O. Luogo dell’Arte è nato grazie a Megalopoli, un bagaglio pieno di energia e creatività, per continuare il percorso iniziato da mia madre, con il progetto di produrre opere e oggetti unici e significativi nel confronto con la vita di tutti i giorni. Nel 2011, quando prende forma Otto, penso a Mauro Lovi come art director, con la sua esperienza con gli artisti e la sua sensibilità, per creare insieme a me quei progetti tematici sugli oggetti che sono propri delle stanze del vivere, come la camera o la sala da pranzo, e mantenere la barra dritta nella navigazione in un mare difficile come quello che abita lo spazio tra arte e design, fino alla sua personale su il “Centavolo” dove coinvolgo personalmente Alessandro Mendini con le “Poltrone Proust” dipinte a mano. Le attività svolte sono state molteplici: in soli due anni e mezzo abbiamo realizzato decine di installazioni e mostre, con la partecipazione di molti critici d’arte tra cui Philippe Daverio, Beppe Finessi, Cloe Piccoli, Vanni Pasca, Ugo La Pietra, Gianni Pettena, Pasquale Persico, Maurizio Corrado, aprendo così un dialogo fra il mondo accademico e quello privato per promuovere nuove energie creative. A Palazzo Rucellai, nella sua corte, abbiamo installato Oh Nirica, progetto di Mauro Lovi, con 40 artisti da tutto il mondo, in cui la materia incontra i sogni e il mondo oniri-
co. Le opere, tutte prototipi, fra le quali il ‘Letto Abbarca’ dello stesso Mauro Lovi, sono state realizzate dando rilievo anche all’artigianato e alla manodopera locali. Abbiamo partecipato a fiere tra cui Qubique, next generation tradeshow furniture/ design a Berlino, nel suggestivo ex aeroporto di Tempelhof e il Fuorisalone di Milano».
Ci racconta che cos’è O.T.T.O. e quali sono i principali contenuti del suo progetto culturale e imprenditoriale?
«O.T.T.O. Luogo dell’arte, vuole essere un punto di riferimento e una metaforica radura dove ritrovarsi per gli amanti dell’arte, viaggiatori curiosi e collezionisti, soprattutto un laboratorio/atelier di produzione d’idee, di progetti e oggetti dove il linguaggio dell’arte si confronta con la quotidianità. Un’occasione di collaborazione tra gli artisti e i maestri artigiani depositari di esperienze antiche, curiosi di nuove sperimentazioni, fra le quali tengo a sottolineare l’inizio della collaborazione di Otto con Boralevi per la realizzazione della collezione ‘tappeti d’Artista’ firmati. Con l’apertura di Otto abbiamo voluto riprendere e continuare il progetto iniziato da mia madre, immergendolo nella quotidianità del nostro tempo, confron -
tandoci, per la produzione di oggetti, con le maestranze dell’artigianato locale e cercando così possibili sinergie tra il mondo progettuale dell’artista e le capacità creative e manuali dei maestri artigiani, ricchi entrambi dell’incontro fra esperienze antiche e nuove tecnologie».
Quali sono le più importanti iniziative di O.T.T.O. già portate a temine e quelle in cantiere per i prossimi mesi?
«O.T.T.O. è stata una realtà importante per la città di Firenze. Abbiamo realizzato 22 tra mostre ed eventi, ospitato 73 artisti, architetti, designer, fotografi e anche scrittori di ogni età da tutto il mondo che hanno regalato a noi ed ai nostri visitatori visioni e prospettive inedite e interessanti. Abbiamo esplorato con loro tecniche espressive antichissime e futuribili, il mosaico, il ferro battuto, la falegnameria, la tappezzeria, la fusione a cera persa, ceramica, maiolica, terracotta, vetro, ebanisteria, lavorazione del marmo, alluminio, lampade, fotografia, installazioni, pittura ad olio, acrilico, collage, disegni ecc. Con queste tecniche sono stati rivisitati molti oggetti della casa e non solo come letti, sedie, tavoli, lampade, materassi, copriletto, caminetti portabili, vasi, quadri, centrotavola, specchiere, tavolinetti, pendole,
cuscini, sottopiatti, tovaglie, sculture, modellini, fruttiere, comodini, librerie e anche un libro per il comodino etc. Ci siamo aperti alla collaborazione con gallerie, negozi, produttori ed artigiani di qualità. Oggi l’attività di Otto è provvisoriamente interrotta per impegni familiari. Nel frattempo mi sono iscritta alla Facoltà di Teologia dell’Italia Centrale».
Lei è molto presente nel panorama culturale fiorentino ma al tempo stesso vanta frequentazioni di carattere internazionale. Come si colloca oggi Firenze, nel bene e nel male, rispetto ad altri poli di elaborazione culturale nazionali ed europei?
«Firenze ha una posizione particolare nel panorama culturale. È un centro storico di grandissimo valore per il patrimonio artistico ma rispetto a città come Roma e Milano ha una dimensione più contenuta pur non mancando oggi di vivacità, con eventi culturali, festival, mostre d’arte contemporanea e una scena culinaria in continua evoluzione. Ci sono molti progetti che puntano a valorizzare il patrimonio storico, integrandolo con nuove forme di espressione artistica. Anche il settore dell’artigianato, che a Firenze svolge un ruolo importante, è in fermento e molte botteghe storiche combinano tradizione e innovazione, reinventando antiche tradizioni e creando prodotti unici che uniscono il sapere artigianale con il design contemporaneo. Questo mix innovativo attira sia turisti che appassionati di artigianato da tutto il mondo».
L’aristocrazia toscana vanta uno storico legame con architettura, paesaggio, agricoltura. Anche lei nutre una qualche forma di particolare attaccamento alla terra?
«Oggi, dopo quasi trenta anni, considero Firenze la mia città di adozione, da quando ho lasciato Milano per sposarmi con un fiorentino, anche se abito a Impruneta, dove abbiamo restaurato una casa colonica e coltiviamo un piccolo vigneto con solo vitigni francesi: Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Syrah. Del resto sono stata cresciuta in campagna, nella casa che mia madre comprò con mio padre alla fine degli anni ‘60 a Casale Marittimo, completamente ristrutturata durante la mia infanzia. Avevamo cavalli e animali di ogni tipo e una piccola vigna. Ho ricordi memorabili perché ho potuto conoscere la vera campagna e il mondo rurale dell’epoca in Toscana».
Non posso esimermi da chiederle, al di là della relazione personale con suo padre, quale è stata l’influenza del fotografo e del creativo Oliviero Toscani nella sua formazione e nella realizzazione del suo percorso professionale «Durante la mia infanzia, ho partecipato, come ‘piccola modella’, a vari servizi fotografici di mio padre Oliviero, su testate settimanali e mensili, oltre che alla campagna pubblicitaria per la Rinascente. Sono praticamente cresciuta con lui i primi anni della mia vita, all’inizio della sua carriera come fotografo. Se oggi sono riuscita a realizzare i miei progetti è grazie anche alle esperienze vissute con mio padre che hanno plasmato prima di tutto il mio carattere, poi la mia formazione e il desiderio di andare sempre oltre il limite per scoprire nuove frontiere. Ho imparato grazie a lui che tutto deve essere guadagnato con la disciplina, il lavoro, il sacrificio. Le mete si raggiungono senza scorciatoie e con profondo coraggio, mi sono presa le mie responsabilità molto presto, trovando soluzioni anche in contesti difficili. Ho
studiato e vissuto anche in altri Paesi e continenti, imparando ad essere una cittadina del mondo e arricchendo il mio bagaglio culturale con prospettive sempre diverse e rinnovate. Per tanti anni mio padre ed io non ci siamo visti, poi con la malattia che mi ha colpito, un tumore al seno, ci siamo riavvicinati e ho partecipato alla sua campagna pubblicitaria con la Fondazione Umberto Veronesi per sostenere la prevenzione. La morte di mio padre mi ha portato un grande vuoto ma la consapevolezza che il mio cammino su questa terra è stato provvidenziale, un dono che senza di lui non avrei avuto. Il ricordo di mio padre mi accompagna ogni giorno, spingendomi sempre a dare il meglio di me stessa e a non mollare mai».
Da ultimo, qual è il suo rapporto con Lugano e c’è qualcosa che apprezza particolarmente della qualità di vita ticinese e svizzera «Personalmente, ho avuto un rapporto molto vivo con la città di Lugano, da quando ero ragazza e accompagnavo mia madre per le sue attività. Inoltre mio zio Giorgio Pecorini, giornalista, che molto mi ha seguito durante la mia adolescenza, ha lavorato alla RSI dal ’73/’74 a fine anni ’80, conducendo una trasmissione di inchiesta chiamata ‘Report’, quindi pendolare con Lugano per svariati anni. Ho anche molti amici, per me importanti e che fanno parte della mia infanzia, amici svizzeri ma cresciuti con me a Casale Marittimo e anche amici conosciuti negli anni, sia per studio che per lavoro. La vita ticinese e svizzera, sia per la bellezza dei paesaggi naturali sia per la qualità di vita e senso di comunità di livello molto alti, rappresenta un ottimo esempio, in un ambiente ideale, per chi cerca equilibrio tra lavoro e benessere personale».
OSSERVAZIONE, SENSIBILITÀ E MEMORIA
L’ARTISTA MARCO LUPI PROPONE UNA PITTURA ISTINTIVA, EMOZIONALE, SIMBOLICA.
IL SUO PROCEDERE È UN CONTINUO CERCARE NELLA MENTE, AIUTATO ANCHE DALL’INCONSCIO, TRA INFANZIA-RICORDI-NOSTALGIE-FALSE BANALITÀ, INTRECCIANDO PASSATO E PRESENTE.
Come e quando ha scoperto di avere una vocazione artistica e quali sono stati i primi passi che l’hanno portato ad iniziare un percorso nel mondo dell’arte?
«Sin da ragazzo ho sentito che il disegno, il colore, il gesto pittorico erano qualcosa che mi apparteneva. Dopo la scuola dell’obbligo ho scelto di frequentare il CSIA di Lugano, ma il vero cammino artistico è iniziato fuori dall’ambiente scolastico. Terminata la scuola ho frequentato artisti locali per cercare il confronto: ricordo in particolare gli
scambi con gli amici Rolando Raggenbass e Fabrizio Soldini. Osservare il loro lavoro, ascoltarli, mi ha dato ispirazione e mi ha spronato a dipingere e a cercare il mio stile espressivo. Il mio debutto espositivo è arrivato nel 1985, grazie a una collettiva curata da Gino Macconi, altro artista ticinese di grande valore che ha apprezzato il mio lavoro di quel tempo. Da lì è iniziato tutto, un passo alla volta, le occasioni espositive sono arrivate e la ricerca espressiva è proseguita sempre con passione e curiosità».
Quali sono state le esperienze professionali che hanno maggiormente contribuito a consolidare il suo bisogno di esprimersi attraverso i colori, le tele e i pennelli?
«Negli anni ho viaggiato molto, in tutto il mondo e ogni viaggio ha rappresentato anche un’occasione per visitare musei e gallerie di ogni genere, di conoscere culture diverse. Vedere dal vivo certe opere, confrontarmi con la bellezza, l’intensità e anche la fragilità dell’arte, mi ha sempre spinto a tornare alla mia tela con nuova energia. Un ruolo importantissimo lo ha avuto Carlo Gulminelli, pittore e amico, che considero sia stato un vero e proprio mentore. Con lui ho avuto un confronto autentico, profondo, fatto di parole, silenzi e gesti pittorici. È stato uno dei primi a
credere in me e a spronarmi ad andare avanti. Ancora oggi ho il privilegio di avere scambi continui con altri artisti, non solo in Ticino. Penso, ad esempio, a tre scultori che stimo molto e che mi hanno impressionato profondamente per la qualità del loro lavoro, ma anche per la perseveranza e per quel senso di bisogno che sento profondo anche in me: Ante Dabro, Paolo Borghi e Pierino Selmoni e ancora i pittori Leonardo Pecoraro e Jacques Minala. Con ciascuno di loro ho condiviso momenti preziosi, non solo parlando d’arte, ma anche di amicizia. Queste relazioni umane e professionali sono state e sono ancora oggi, linfa per la mia creatività — mi aiutano a crescere, a riflettere, a restare connesso con il senso profondo del fare artistico».
Dovendo dare una definizione della sua pittura, quali concetti e parole utilizzerebbe?
«La mia pittura è istintiva, emozionale e simbolica. Non è mai stata solo tecnica o forma: è sempre stata un mezzo per esprimere quello che sento. Nel corso degli anni, il mio interesse per l’uomo, per le sue emozioni, per le sue espressioni non è mai diminuito — anzi, è cresciuto. Ho portato avanti una continua proprio sul tema della rappresentazione dell’essere umano, cercando di cogliere quei momenti che la memoria mi ripropone, anche a distanza di tempo.
Spesso sono frammenti legati all’infanzia, agli affetti, agli amori, alla famiglia. Sono immagini e sensazioni che parlano di valori che mi stanno a cuore. La tela, per me, è come un diario silenzioso: raccoglie emozioni, ricordi e riflessioni che forse a parole non riuscirei a esprimere allo stesso modo. Molti mi chiedono il motivo per il quale in alcuni periodi utilizzo colori più accessi, o più scuri, se i volti che rappresento a tratti sono più tranquilli o inquietanti, hanno a che fare con il mio stato d’animo del momento. Per me si tratta solo di lasciarmi andare, farmi portare dalla tela, dai pennelli, là dove infine arriva il mio dipingere e considerare le figure che dipingo semplicemente dei testimoni della realtà umana, che non è sempre la medesima».
Quali sono i progetti a cui sta attualmente lavorando? «Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di partecipare a diverse esposizioni che per me sono state particolarmente significative, sia in Ticino che all’estero. Ricordo con piacere la bella mostra a Venezia, organizzata da Artrust, ma anche l’esperienza espositiva che ho avuto a Londra durante il periodo del Covid. Un altro momento speciale per me è stato quello dell’invito che ho ricevuto per esporre in una galleria a Seoul, nato quasi per caso dopo un incontro fortuito con la gellerista alla Fiera d’arte di Zurigo, dove partecipavo con Casa Galleria. Occasioni che mi hanno dato stimoli nuovi e mi hanno permesso di far conoscere il mio lavoro a un pubblico più ampio. Queste espe -
rienze e queste collaborazioni con queste 4 gallerie, mi hanno stimolato a volere proseguire nella ricerca di progetti espositivi che mi permettano di uscire da quanto ho sperimentato in quasi 40 anni di esperienze espositive, per andare oltre e in particolare per dipingere sempre più dei grandi formati».
Possiamo annunciare quali e dove saranno le sue prossime esposizioni?
«Attualmente sto preparando tre progetti espositivi. Parteciperò in luglio, per il secondo anno consecutivo, alla fiera d’arte Urban Break Seoul, come ospite della Galleria Harang, un’occasione davvero particolare che dimostra la curiosità di questa galleria coreana per l’introduzione della mia espressività in un contesto tanto particolare. Sono poi stato invitato a partecipare con 4 artisti Momò ad una collettiva che si terrà in alcune location sul lago di Como e sul Maggiore, nell’ambito di un evento organizzato dalle associazioni di artisti delle province di Como e Varese. Un’altra esposizione collettiva alla quale parteciperò a fine agosto si svolgerà a Berlino, mentre inaugurerò il 28 agosto una grande esposizione personale presso la Art Gallery nel centro di Friburgo, che sarà visitabile per tre settimane. Quest’ultima è un’occasione espositiva che mi sta impegnando parecchio già da oltre un anno a questa parte perché la superficie espositiva è molto ampia e il numero di opere che saranno esposte è considerevole».
Guardando al futuro, quale evoluzione vorrebbe imprimere al suo modo di concepire e realizzare un’opera d’arte?
«Il futuro è sempre qualcosa di difficile da prevedere, soprattutto in am-
bito artistico. La mia espressione artistica negli anni è evoluta, perché io sono cresciuto, sono invecchiato, ho fatto esperienze, ho maturato esperienze. Però una cosa è certa: la voglia di dipingere è diventata sempre più importante nel mio quotidiano. È un’esigenza vera, che mi accompagna ogni giorno e che mi dà energia e senso. Proprio per questo sento il desiderio di continuare a evolvere, di cercare nuove strade, magari anche più essenziali, più libere. Vorrei riuscire a dire di più con meno, togliere invece di aggiungere, e mantenere sempre viva quella tensione emotiva che per me è il cuore della pittura. In questo percorso, come detto prima, mi piacerebbe anche trovare nuove gallerie con cui collaborare, soprattutto nella Svizzera interna e in Germania, per confrontarmi con pubblici diversi, allargare lo sguardo, uscire da certi contesti abituali e aprirmi a nuovi stimoli. L’incontro con chi guarda le mie opere è sempre una scoperta — ed è proprio lì che, spesso, nasce la vera evoluzione che ritengo indispensabile per continuare il mio racconto pittorico».
CULTURA / MARCO LUPI
LA MUSICA CONQUISTA LA PIAZZA
Con quali parole sintetizzerebbe il valore culturale e i contenuti dell’edizione 2025 di Estival Jazz?
INTERVISTA A JACKY MARTI, DIRETTORE ARTISTICO
DI ESTIVAL JAZZ, FIN DALL’ORIGINE
AUTENTICO CUORE E MENTE
PENSANTE DI QUESTO
STRAORDINARIO EVENTO.
«Mi piace ricordare quel che disse tanti anni fa il grande Dizzy Gillespie sul palco di Estival: “A Lugano siete davvero bravi, qui da voi la cultura si fa festa!”. Ecco, penso che sarà così anche quest’anno, perché Estival è una rassegna che crede ancora nella forza della musica dal vivo come esperienza collettiva e culturale».
Quali sono le più rilevanti novità riguardo agli ospiti attesi quest’anno?
«L’edizione 2025 sarà un ponte tra memoria e futuro: renderemo omaggio
UNA GRANDE FESTA
PER IL PUBBLICO E I MUSICISTI
A Gabriele Corte, Direttore generale di Ceresio Investors, che dal 2022 sostiene Estival Jazz come Main Sponsor, abbiamo chiesto di spiegare le ragione del successo di questo evento unico nel panorama dei festival estivi.
Anche quest’anno sarete sponsor di Estival Jazz. Quali sono le motivazioni di questa scelta e come si inserisce nella strategia di comunicazione di Ceresio Investors?
«Abbiamo scelto con convinzione di sostenere Estival Jazz anche quest’anno perché crediamo nel valore della cultura come motore di coesione e crescita per il territorio. È un festival che sa parlare a tutti, in modo autentico e inclusivo, portando la musica di qualità nel cuore della città. Dal 2022 abbiamo infatti il privilegio di essere parte di questo progetto che rappresenta un’occasione unica per avvicinare la musica a un pubblico ampio e trasversale. Per noi comunicare non significa promuovere un marchio, ma costruire relazioni e contribuire attivamente allo sviluppo culturale e sociale del contesto in cui operiamo ed Estival Jazz è un esempio bellissimo e concreto di questo approccio».
Come spettatore e osservatore della società e del costume ticinese perché a sue giudizio i festival estivi di musica jazz continuano a riscuotere un così grande successo? «Penso che il successo duraturo di questi festival stia proprio nella capacità di creare esperienze e generare emozioni. In un’epoca in cui tutto è sempre più veloce e spesso individuale, questi eventi offrono un’occasione speciale per rallentare e vivere la città in modo diverso, ritrovandosi come comunità. In Ticino, poi, il legame tra territorio, musica e identità è molto forte. Eventi come Estival Jazz riescono a valorizzare gli spazi urbani e a trasformarli in luoghi di partecipazione e dialogo e la musica si adatta perfettamente a questo spirito, unendo generazioni, culture e stili».
ti la voglia di ritrovarsi insieme, in Piazza, sotto le stelle e senza filtri, per tre serate di grande musica e grandi emozioni. Vorrei anche ricordare che c’è una novità riguardo all’accesso alla Piazza. Per la prima volta sarà possibile acquistare posti a sedere numerati di fronte al palco, anche se come sempre verrà mantenuto l’accesso totalmente libero e gratuito alla Piazza. Sarà dunque possibile ascoltare più comodamente i concerti e al contempo sostenere lo sforzo della Città di Lugano che ha deciso di continuare a dare vita al suo e nostro Estival, nonostante le oggettive difficoltà finanziarie».
Quali sono i peculiari elementi che contraddistinguono la formula e, in definitiva, il successo di questo evento rispetto ad altri festival di jazz che si tengono in Svizzera nel corso dei mesi estivi? «Le ragioni del successo di Estival bisognerebbe chiederle al pubblico. Sono sicuramente molteplici: l’accessibilità a un vasto pubblico, la spettacolare “location” nel centro di Lugano a due passii dal lago, la programmazione di alto livello, la solida organizzazione. Personalmente penso che una delle ragioni sia anche l’autenticità di Estival, credo che il pubblico ami la sua anima popolare che crea un forte legame affettivo con la popolazione locale e che attira anche i turisti e gli appassionati».
alle 45 edizioni di Estival proponendo alcuni graditissimi ritorni, ma al contempo guarderemo in avanti, dando spazio a nuove voci e contaminazioni.
Sarà senz’altro un Estival di alta qualità e grande richiamo e sul pal-
co si succederanno moltissimi artisti di fama mondiale, quasi tutti pluripremiati e vincitori di Grammy. Anche se oggi viviamo un tempo di frammentazione, sono convinto che Estival riuscirà a riaccendere in tut-
Uno elemento caratterizzante di Estival jazz è dunque il rapporto che ogni anni si stabilisce con il pubblico che partecipa agli spettacoli. È un fatto di competenza musicale, passione o gratuità dei concerti?
«Si, Estival ha un’anima, una sorte di passione artigianale che il pubblico gli ha sempre riconosciuto. Estival
crea in Piazza della Riforma (che è lo splendido salotto di Lugano) un’atmosfera unica e irripetibile, viva e condivisa, direi magica, che ci è invidiata da tutti e che non si trova da nessun’altra parte, come mi hanno spesso confermato gli artisti ospiti. Ed è così anche oggi che il testimone è passato alla Città di Lugano che non smetterò mai di ringraziare perché ha salvato Estival. Certo, sono cambiate molte cose: le responsabilità, il contesto storico, le dinamiche, i vincoli finanziari. Ma posso tranquillamente affermare che è rimasto intatto lo spirito, cioè la volontà comune di fare di Estival un patrimo -
nio condiviso. In tutti, da Roberto Badaracco a Claudio Chapparino, da Filippo Corbella a Luca Spinosa, a tutti gli altri membri dello staff, ho trovato passione, competenza e soprattutto la forte volontà di mantenere viva l’identità di Estival, pur dentro una nuova gestione. Estival è un lavoro di squadra, dove l’esperienza si intreccia con nuove visioni e questo può solo fare del bene al futuro della manifestazione».
Il suo nome si lega in modo indissolubile alla storia e alla crescita di Estival Jazz. Quale bilancio professionale e umano si sente di tracciare di questa straordinaria esperienza? «Estival per me é come un figlio. In mezzo secolo (il mio primo concerto risale al 1973 mentre Estival lo abbiamo creato nel 1979) Estival mi ha regalato una vita fatta di incontri, emozioni, legami e amicizie che vanno ben oltre la musica. Quando con Andreas Wyden ho immaginato un festival nel cuore della città di Lugano, all’aperto, gratuito, molti pensavano che fosse un sogno un po’ folle. E invece
Jack Savoretti
TRE GIORNI DI GRANDE MUSICA
Giovedì 10 luglio 2025 Piazza Riforma 20:00-21:15 Alina Amuri
Giovedì 10 luglio 2025 Piazza Riforma 00:00-01:00 PATAX
Giovedì 10 luglio 2025 Piazza Manzoni 21:15-22:00 Lady Bazaar
Giovedì 10 luglio 2025 Piazza Manzoni 23:15-00:00 Daoud
Giovedì 10 luglio 2025 Punta Foce 18:00 Jupiter Clouds
Venerdì 11 luglio 2025 Piazza Riforma 20:00-21:15 Kurt Elling & Yellowjackets Celebrate Weather Report
Venerdì 11 luglio 2025 Piazza Riforma 22:00-23:15 Take 6
Sabato 12 luglio 2025 Piazza Riforma 22:00-23:15 Jack Savoretti
Sabato 12 luglio 2025 Piazza Riforma 00:00-01:00 Youssou N ’ Dour & Le Super Étoile De Dakar
Sabato 12 luglio 2025 Piazza Manzoni 21:15-22:00 Christian Zatta’s NOVA
Sabato 12 luglio 2025 Piazza Manzoni 23:15-00:00 Jamila
quel sogno è diventato realtà e da allora Estival è un appuntamento irrinunciabile dell’estate ticinese. Chi l’avrebbe mai detto allora? Estival è stato per me un grande viaggio che mi ha fatto crescere, mi ha arricchito, mi ha permesso di attraversare mondi e culture diverse, senza dover prendere l’aereo. Ogni edizione, ogni sera è stato un viaggio diverso, da New York al Brasile, dal Senegal a Cuba, da Tokio al Mediterraneo. Questa è la magia di Estival, un evento che ti porta il mondo in ca -
sa e che ti porta lontano nel mondo. È stato così per me, ma credo lo sia stato per moltissimi appassionati spettatori che ci hanno sempre seguito con grande affetto. E spero che lo sarà anche per i più giovani che forse ci scopriranno per la prima volta proprio quest’anno, magari ballando con Youssou N’ Dour o Candy Dulfer o lasciandosi incantare dalle voci dei Take 6 o dal ritmo cubano di Gonzalo Rubalcaba. Vi aspettiamo in Piazza. Sarà una festa e vi assicuro che ci divertiremo. Buon Estival a tutti!».
LA PIAZZA FINANZIARIA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Partecipanti alla prima tavola rotonda: da sinistra Franco Citterio, Christian Vitta, Monika Rühl, Franco Polloni, Simona Genini e Mauro De Stefani
IL 31 MARZO 2025 SI È TENUTA AL LAC DI LUGANO LA 4. EDIZIONE DEL LUGANO BANKING DAY, ORGANIZZATO DALL’ASSOCIAZIONE BANCARIA TICINESE (ABT), IN COLLABORAZIONE CON IL DIPARTIMENTO CANTONALE DELLE FINANZE E DELL’ECONOMIA (DFE). L’EVENTO HA VOLUTO AFFRONTARE I FATTORI DI COMPETITIVITÀ DEL SETTORE
CONFRONTATO CON TANTE SFIDE A VARI LIVELLI.
Ipartecipanti alla prima tavola rotonda, moderata dal Direttore ABT Franco Citterio, hanno messo in evidenza alcuni tra i principali aspetti riguardanti le condizioni quadro.
Fiscalità e finanze pubbliche Tra i fattori di attrattività competitiva la fiscalità (cantonale, federale e internazionale) gioca da sempre un ruolo predominante, anche se non unico. Da un punto di vista bancario la visione parte dall’investitore interessato a depositare i propri averi su conti svizzeri fino all’imprenditore e alla famiglia attratti dal territorio per un insediamento duraturo.
La concorrenza tra Stati ma anche tra Cantoni è molto agguerrita e quindi occorre essere ben posizionati per avere una chance nel difendere le attuali posizioni e, se possibile, di crearne delle nuove. Il quadro geopolitico internazionale sembra aver fatto dimenticare i sani principi di una gestione equilibrata delle finanze pubbliche. In Europa la stessa Germania ha deciso di allentare le regole ferree del deficit e del debito pubblico in rapporto al PIL. In Svizzera, malgrado il deciso aumento delle spese dedicate all’esercito e alla sicurezza, il Consiglio federale sembra essere più attento al contenimento delle uscite ma propone anche nuove entrate quindi nuove tasse.
Rapporti bilaterali e normativa bancaria
Lo scorso mese di dicembre il Consiglio federale e la Commissione europea hanno annunciato in pompa magna il raggiungimento di un’intesa riguardante il nuovo accordo bilaterale Svizzera/UE. Il mondo finanziario non è toccato più di tanto da questo negoziato, anche se il Consiglio federale ha promesso di inserire un tavolo di dialogo riguardante l’accesso al mercato transfrontaliero. Nel frattempo, entrerà in vigore a breve una nuova Direttiva europea che limiterà ulteriormente il raggio delle nostre banche in Europa. Il recente rapporto della Commissio -
ne parlamentare d’inchiesta sul caso CS/UBS ha proposto tutta una serie di misure che dovrebbero evitare in futuro il ripetersi di crisi bancarie a rischio sistemico. Questo tema si inserisce in una tendenza crescente di norme e controlli che rendono difficile gestire un’impresa in Svizzera.
Politica monetaria e sostenibilità
Dalla crisi finanziaria del 2008 il ruolo della politica monetaria e quindi delle banche centrali ha assunto un ruolo prioritario nella gestione dei conti pubblici. In particolare, dopo la crisi pandemica l’abbassamento dei tassi d’interesse ha permesso alle economie occidentali di riprendersi e di tenere sotto controllo l’inflazione. La BNS ha pure recentemente abbassato ai minimi storici il tasso di riferimento sul franco svizzero.
La sostenibilità delle attività economiche in senso lato è un concetto largamente riconosciuto dalla comunità internazionale anche se sulle norme d’applicazione esistono profonde differenze. La stessa Commissione europea nelle scorse settimane ha varato il cosiddetto Pacchetto OMINIBUS con l’obiettivo di realizzare uno sforzo di semplificazione senza precedenti, riducendo gli oneri amministrativi entro la fine del presente mandato. Riunendo le proposte relative ad ambiti legislativi collegati tra loro, questo pacchetto mira a una semplificazione di vasta portata nei settori dell’informativa sulla finanza sostenibile, del dovere di diligenza ai fini della sostenibilità, della tassonomia dell’UE, del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere e dei programmi di investimento europei. Infine, tra i fattori di sviluppo di una regione figurano sicuramente anche la capacità d’innovazione e quella di
attrarre nuove imprese come si suol dire “ad alto valore aggiunto”. Anche in questo caso la concorrenza estera è forte ma il nostro Paese dispone sicuramente di carte valide, come per esempio i centri di ricerca e le scuole specializzate riconosciute a livello internazionale.
Demografia e mercato del lavoro I partecipanti alla seconda tavola rotonda, moderata dal Presidente ABT Alberto Petruzzella, si sono confrontati sui temi riguardanti le risorse umane, la formazione professionale e l’innovazione tecnologica. Per mantenere la propria competitività, il Canton Ticino deve affrontare le sfide poste dall’evoluzione demografica. Come rilevato da Sara Carnazzi Weber nella sua relazione introduttiva, negli ultimi vent’anni la dinamica demografica del Cantone si è progressivamente indebolita. In questo contesto, la Consigliera di Stato Marina Carobbio Guscetti ha ribadito la necessità di adottare politiche efficaci a sostegno della natalità e della conciliazione tra vita lavorativa e familiare, ritenute fondamentali per affrontare in modo strutturale le sfide future del territorio. A pesare sull’equilibrio demografico
Alberto Petruzzella, Presidente ABT
è anche il saldo negativo dell’immigrazione inter-cantonale, in particolare nella fascia dei giovani adulti. L’esodo verso altri Cantoni ha un impatto diretto sul mercato del lavoro, già in difficoltà a causa dei pensionamenti dei Baby boomer. A ciò si aggiunge la vulnerabilità derivante dalla dipendenza dalla forza lavoro transfrontaliera. Il recente cambiamento del regime fiscale italiano per i frontalieri potrebbe infatti ridurre l’attrattiva del lavoro in Svizzera, aumentando il rischio di una futura carenza di manodopera qualificata. Fabrizio Cieslakiewicz, presidente della Direzione generale di BancaStato, ha confermato le difficoltà nel reperire talenti, in particolare per ruoli di controllo. A questo proposito, la Direttrice del DECS ha evidenziato la necessità di un migliore allineamento tra il sistema educativo e le effettive esigenze del mondo del lavoro.
Formazione mirata
La formazione professionale risulta meno rappresentata in Ticino rispetto alla media nazionale. Analizzando gli ambiti di studio, emerge che un ticinese su tre sceglie le scienze uma-
ni e sociali, mentre le scienze economiche registrano una stagnazione, con circa il 15% degli studenti che scelgono questo indirizzo di studio. Secondo Marina Carobbio e Andrea Rizzoli, direttore dell’Istituto Dalle Molle, è fondamentale orientare le scelte formative sin dalla giovane età, al fine di garantire che i giovani acquisiscano le competenze richieste nei settori chiave per lo sviluppo economico del Cantone.
Innovazione tecnologica
Le competenze delle risorse umane sono un fattore centrale per la capacità di un territorio di innovare. In termini di nuove imprese, il Ticino si posiziona tra i primi 5 Cantoni in Svizzera, segno di una dinamica imprenditoriale positiva. Mauro Dell’Ambrogio, presidente dello Switzerland Innovation Park Ticino, ha illustrato le
principali iniziative a sostegno dell’innovazione, in particolare il supporto alla nascita di startup tecnologiche, anche in collaborazione con il parco dell’innovazione di Zurigo. Tra i megatrend nel mondo del lavoro, l’intelligenza artificiale sta profondamente trasformando i processi aziendali. Per valutarne l’impatto, è utile analizzare le attività più esposte all’automazione: le professioni legate alla gestione amministrativa e dei dati risultano particolarmente a rischio. Anche nel settore finanziario, molte attività che non prevedono il contatto diretto con la clientela mostrano una bassa complementarità con l’IA e sono quindi maggiormente esposte. Luca Pedrotti, Responsabile regionale di UBS Ticino, ha illustrato gli investimenti dell’istituto nel campo della tecnologia e dell’intelligenza ar -
tificiale, sottolineando come queste soluzioni siano ormai sempre più integrate nei flussi operativi aziendali. Tuttavia, sia Rizzoli che Cieslakiewicz hanno posto l’accento su un principio essenziale: nonostante i notevoli vantaggi offerti, è imprescindibile che l’interazione con le tecnologie rimanga sempre sotto il controllo e la guida dell’essere umano.
ASSOCIAZIONE BANCARIA TICINESE
Villa Negroni
CH-6943 Vezia
T. +41 (0)91 966 21 09 www.abti.ch
Residenza Du Lac
UN ALTRO ANNO DI RISULTATI POSITIVI
MAURO DE STEFANI, PRESIDENTE DELLA DIREZIONE GENERALE DI BPS (SUISSE) COMMENTA POSITIVAMENTE
L’ANDAMENTO DEL 2024 CHE SI CHIUDE CON AUMENTI SIGNIFICATIVI DI TUTTI GLI AGGREGATI DI RIFERIMENTO.
L’attività operativa ha mostrato risultati positivi, nonostante le sfide, le difficoltà e le incertezze che hanno caratterizzato l’economia e il sistema finanziario nel suo complesso. Tutte le principali voci di bilancio del 29. esercizio sono ancora una volta positive, iniziando dal risultato di esercizio prima delle imposte salito a 37 milioni di franchi (+3% rispetto al 2023) e proseguendo con l’utile netto a 29,3 milioni (+4%); la raccolta della clientela, salita a 5,9 miliardi di franchi (+5%); i crediti nei confronti della clientela a 5,6 miliardi (+2%); i mezzi propri a 493 milioni (+5%) e i ricavi netti da operazioni bancarie ordinarie (+3). Aumentando l’attività della banca, sono aumentati giocoforza anche i costi d’esercizio saliti a 82,4 milioni di franchi (+3%).
Nel quadro dei servizi di banca universale, la varietà delle dinamiche ha consentito di bilanciare le diverse tendenze nei vari mercati, sfruttando la flessibilità della struttura. Gli aggregati hanno riportato un incremento significativo superando in diversi ambiti gli obiettivi prefissati. La politica monetaria ha influenzato l’operatività, sia sul lato degli impieghi che su quello della raccolta. Un’efficace gestione della tesoreria ha permesso di rispondere al meglio a condizioni di mercato in rapida evoluzione.
Con la diffusione dell’informatica nell’operatività bancaria, gli investimenti in procedure e sistemi informativi sono diventati cruciali per lo sviluppo aziendale. Questi interventi mirano sia a migliorare l’efficienza interna, sia a soddisfare le aspettative dei clienti, offrendo loro un accesso remoto, rapido e sicuro a tutti i servizi necessari. In tale contesto, la cybersecurity è fondamentale per proteggere i dati sensibili e garantire la continuità operativa. Lo sviluppo di nuove funzionalità in GoBanking, l’applicativo home banking della Banca, è stato costante. La scelta delle modalità più idonee per rapportarsi alla Banca è lasciata al cliente. Dalla semplice consultazione del conto all’operatività transazionale, l’utilizzo dei canali digitali è veloce e conveniente. L’apertura
di rapporti e la consulenza in ambito specialistico (investimenti, risparmio, crediti, ecc.) sono esempi dove il canale fisico ancora rappresenta l’alternativa migliore per la conoscenza degli interlocutori, l’interpretazione dei bisogni, la fissazione degli obiettivi e la creazione di una base di fiducia reciproca. L’organico ha raggiunto le 378 unità, con un incremento di 9 persone rispetto all’anno precedente. Questo potenziamento si è reso necessario per rispondere all’aumento della clientela servita e dei volumi intermediati, nonché per affrontare la maggiore complessità regolamentare. Particolare attenzione è posta al passaggio generazionale, al fine di mantenere conoscenze ed esperienze all’interno dell’azienda e attrarre nuovi talenti da valorizzare e integrare nella realtà di BPS (SUISSE). La rete di sportelli è composta da 21 sedi operative, tra cui una nel Principato di Monaco, e un’unità virtuale denominata Direct Banking, oltre a un ufficio di rappresentanza a Verbier (VS).
Nei primi mesi dell’esercizio, è stato acquistato l’immobile che dal 2002 ospita la Succursale di Bellinzona (TI). Sono stati pure ulti -
mati i lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’immobile di St. Moritz (GR), operativo dal 1996. Si evidenzia l’elevata autonomia energetica dell’edificio, in linea con la politica ESG della Banca. Nel 2024 si è celebrato il 25° anniversario della Popso (Suisse) Investment Fund SICAV, società di fondi d’investimento di diritto lussemburghese gestita dalla Banca. Questo importante traguardo conferma la solidità e la continuità dei risultati ottenuti nel tempo, nonché l’impegno costante della Banca nell’Asset Management. Grazie a una gamma diversificata di soluzioni, Popso (Suisse) Investment Fund SICAV ha saputo rispondere in modo efficace alle esigenze di investitori Privati e Istituzionali. In linea con questa strategia di crescita e innovazione, nel 2025 è previsto l’ampliamento dell’offerta con il lancio di due nuovi comparti.
01
Direzione Generale
Da sinistra: Roberto Mastromarchi, Paolo Camponovo, Mauro De Stefani, Alberto Donada
02
Inserto culturale della Relazione d’Esercizio 2024 dedicato a MAX HUBER (1919 – 1992)
IL 2024 È STATO IL SECONDO MIGLIOR ANNO DI SEMPRE
GLI OTTIMI RISULTATI SONO
IN LINEA CON LE ATTESE
E CONFERMANO LA CRESCITA
PLURIENNALE DEL GRUPPO,
PUR NON RIUSCENDO A EGUAGLIARE QUELLI IRRIPETIBILI
E DA RECORD DEL 2023.
Ècon oltre 60 milioni di franchi destinati alle casse cantonali che il Gruppo BancaStato archivia il 2024. L’importante versamento destinato alla collettività (-5,0 milioni, -7,6% rispetto al 2023; +14,8 milioni, +32,6% rispetto al 2022) deriva dai 146,4 milioni del risultato di esercizio (2023: -14,9%; 2022: +44,9%). Questo risultato consente al Gruppo di continuare a irrobustire la propria solidità con un’attribuzione di 60 milioni alle riserve per rischi bancari generali e di conseguire un utile di Gruppo di 83,0 milioni (2023: -17,8%; 2022: +28,9%). Il risultato netto da operazioni su interessi –ovvero la principale voce di ricavo del Gruppo – si at-
testa a 262,2 milioni, in calo del 4,2% rispetto al 2023. Se paragonato al 2022 emerge invece un aumento del 41,0%. Gli impatti dei quattro tagli del tasso di riferimento attuati durante il 2024 dalla Banca Nazionale Svizzera sono stati efficacemente mitigati dalla crescita dei volumi creditizi e dalla strategia di rifinanziamento attuata: elementi che hanno consentito al Gruppo di conseguire l’alto livello di questa voce di ricavo.
Il risultato da operazioni su commissione e da prestazioni di servizio progredisce del 4,7% a 63,4 milioni. Il risultato da attività di negoziazione segna invece dal canto suo un calo dell’8,8% a 21,7 milioni. Gli altri risultati ordinari passano da 3,1 milioni a 4,4 milioni (+43,2%). Complessivamente i ricavi netti superano i 351,6 milioni, in calo del 2,6% rispetto al 2023 e in crescita del 33,5% se confrontati al 2022.
I costi d’esercizio segnano un aumento del 10,1% a 191,4 milioni, prevalentemente a seguito delle misure attuate per rafforzare la struttura organizzativa e di gestione del rischio dell’Istituto in un contesto caratterizzato da forte e costante crescita degli affari e dall’intensificazione dei requisiti normativi. Proseguendo con le voci di conto economico, le rettifiche di valore su partecipazioni e ammortamenti diminuiscono da 14,4 milioni a 14,0 milioni (-2,9%), mentre le va -
riazioni di accantonamenti e altre rettifiche di valore nonché perdite si attestano a 0,1 milioni.
I crediti ipotecari – tradizionale cuore delle attività del Gruppo nonostante la sua offerta universale di prodotti e servizi – segnano una crescita di 554,6 milioni (+4,7%) e si attestano a 12,4 miliardi.
Dal canto loro, anche i crediti nei confronti di privati e aziende e i crediti nei confronti degli Enti pubblici denotano una progressione, attestandosi rispettivamente 1,9 miliardi (+9,4%) e 882,5 milioni (+1,2%).
Gli impegni nei confronti della clientela superano la soglia dei 12,0 miliardi e la loro crescita del 2,5% è principalmente da ricondurre alle giacenze della clientela istituzionale. Il totale di bilancio del Gruppo aumenta del 7,0% a 19,3 miliardi. Nel 2024 il volume dei patrimoni in gestione presso il Gruppo BancaStato (Assets under Management) è aumentato di 1,7 miliardi (+7,7%) a 23,4 miliardi. L’afflusso di nuovi patrimoni della clientela (Net New Money) si è attestato a 613,5 milioni: tale elemento, contestualmente a un aumento dei volumi creditizi, è un’importante testimonianza della costante e cresciuta attrattività del Gruppo BancaStato agli occhi della clientela. Gli indici di redditività ed efficienza, nonostante una flessione, si situano ancora a livello lusinghieri. La redditività – in termini di Return on Equity (ROE) – passa dal 12,1% del 2023 al 9,8% del 2024. Il Cost / Income I (costi di esercizio rapportati ai ricavi netti) si situa al 54,4% a fine 2024 (48,1% nel 2023). Il Cost / Income II (che include anche gli ammortamenti e gli accantonamenti) si attesta al 58,4% nel 2024, mentre nel 2023 era al 52,3%.
La solidità del Gruppo (capital adequacy), determinata in base al rap -
porto tra i fondi propri necessari e i fondi propri disponibili, calcolati secondo i canoni di Basilea III, si attesta al 31.12.2024 al 233,3% (234,2% a fine 2023), a fronte di un requisito regolamentare del 150% (valido per le banche di categoria di vigilanza 3). Tutti gli indicatori di solidità applicabili per il Gruppo si riconfermano abbondantemente al di sopra delle soglie regolamentari: il Core Tier 1 (CET1) resta invariato al 15,6% a fine 2024, analogamente al Tier 1 ratio, pari al 16,1%, e alla capital adequacy, pari al 18,7%.
La natura di Banca cantonale che agisce per la collettività non si quantifica unicamente con il versamento alle casse cantonali, per quanto esso si riveli importante. Il modello di affari di BancaStato mira certamente al raggiungimento di specifici obiettivi finanziari, ma nel farlo tiene infatti anche conto delle modalità con cui tali traguardi vengono raggiunti. La politica di sponsorizzazione adottata tradizionalmente dall’Istituto è emblematica in tal senso. La Banca sostiene centinaia di eventi e di realtà associative attive in ambito sportivo, culturale, sociale o benefico. Nel 2024 ha destinato loro 4,8 milioni di franchi (+0,1 milioni rispetto al 2023); complessivamente, negli ultimi cinque anni BancaStato ha devoluto un importo che raggiunge i 18,3 milioni. Fabrizio Cieslakiewicz, Presidente della Direzione generale di BancaStato, ha dichiarato: «I risultati 2024 hanno confermato le nostre attese: sono inferiori a quelli record dell’anno precedente, certo, ma si rivelano molto buoni dal punto di vista storico, tanto da costituire i secondi miglior risultati nella storia del Gruppo BancaStato. I maggiori volumi di affari, l’accorta strategia di rifinanziamento e la sempre mi -
gliore posizione di mercato di BancaStato sono fattori chiave che ci hanno consentito di assorbire il più possibile il progressivo allentamento dei tassi di riferimento da parte della Banca Nazionale Svizzera e presentare così risultati ragguardevoli, i quali si sono tradotti in un utile di 83 milioni di franchi e in un ulteriore importante versamento al Cantone di oltre 60 milioni».
Anche per Axion SWISS Bank SA «dal punto di vista reddituale il 2024 rappresenta la seconda migliore annata di sempre. Rispetto a due anni orsono le progressioni sono notevoli. Con la crescita significativa dei gettiti commissionali Axion ha così contribuito in maniera fattiva alla diversificazione delle fonti di ricavo del Gruppo. Anche la raccolta dei capitali è da un decennio consecutivamente in territorio positivo. Ciò funge da cartina di tornasole della fiducia della clientela nei nostri confronti. Sono tutti elementi di cui andare fieri. Questi brillanti risultati non sono sfuggiti all’attenzione dell’Università di Zurigo che ha ritenuto Axion fra le cinque migliori banche di Private Banking in tutta la Svizzera nel 2024. Fornire un contributo di tale livello ai conti di Gruppo è per noi la migliore motivazione per continuare a rincorrere importanti traguardi» ha spiegato l’Avv. Marco Tini, Presidente della Direzione generale di Axion.
INNOVARE CON VALORE: QUANDO GLI INVESTIMENTI INCONTRANO LA SARTORIALITÀ
NEL CUORE DELLA PIAZZA
FINANZIARIA TICINESE, TRA IL RIGORE ELVETICO E LA CREATIVITÀ IMPRENDITORIALE, C’È UNA BANCA CHE HA FATTO DELL’EQUILIBRIO TRA INNOVAZIONE E RELAZIONE IL PROPRIO SEGNO DISTINTIVO. CREDINVEST BANK, CON SEDE A LUGANO E ZURIGO, È OGGI UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER CHI CERCA UNA FINANZA SU MISURA, CAPACE DI GUARDARE LONTANO SENZA PERDERE IL LEGAME CON IL TERRITORIO. UNA CRESCITA COSTRUITA PASSO DOPO PASSO, CON UN MODELLO INDIPENDENTE, UNA STRUTTURA FLESSIBILE E UNA CULTURA AZIENDALE CHE METTE AL CENTRO LE PERSONE, DENTRO E FUORI L’ORGANIZZAZIONE.
Una banca, due anime: private e institutional banking
Scansiona il codice QR per visionare il podcast
Il valore di Credinvest Bank risiede nella sua abilità di integrare due dimensioni fondamentali della finanza: da un lato, il private banking, focalizzato sulla consulenza personalizzata e la cura della relazione; dall’altro, un’offerta istituzionale avanzata, pensata per imprenditori, gestori patrimoniali esterni, brokers, fondi e banche che necessitano di soluzioni su misura, rapide e orientate alla performance. Nel 2024, la banca ha registrato una crescita del 10% nei ricavi, arrivando
a CHF 21 milioni, e ha consolidato un utile netto di CHF 3,4 milioni. Questi numeri riflettono non solo solidità, ma anche una visione chiara, fondata su basi robuste: il Tier 1 Capital Ratio è oltre il 30% e il rapporto tra fondi propri computabili e necessari è pari al 290%. Inoltre, i patrimoni della clientela rispetto al 2023 sono più che raddoppiati raggiungendo CHF 3.54 miliardi.
Private Banking:
l’arte dell’ascolto e del servizio Quando l’esperienza del cliente rischia di diventare impersonale, in un’epoca dominata dagli automatismi, Credinvest Bank sceglie la relazione autentica.
“Come si comincia?” Con una conversazione. Un confronto autentico per comprendere obiettivi, analizzare il potenziale e costruire insieme un percorso di crescita. Il risultato è un servizio sartoriale, fatto di relazioni dirette con consulenti, portfolio managers e anche con la Direzione Generale, sempre accessibile. La banca propone:
- Un processo di onboarding rapido ed efficiente;
- Un’ampia selezione di prodotti e strumenti finanziari di qualità;
- Un e-banking proprietario altamente personalizzabile;
- Trading online e sala mercati con accesso diretto per clienti privati e gestori patrimoniali esterni;
- Intelligenza Artificiale a supporto della gestione patrimoniale;
- Esperienze esclusive, eventi costruiti su misura e un’attenzione sincera per ciò che conta davvero per ciascun cliente.
Una proposta che unisce competenza, tecnologia ed empatia per rendere ogni investimento un’opportunità e ogni relazione una storia di fiducia duratura.
Institutional Banking: un unico ecosistema, molteplici opportunità d’investimento
Sul fronte istituzionale, Credinvest Bank si è affermata come una boutique capace di supportare con efficienza imprenditori, gestori patrimoniali esterni, family offices, fondi, brokers e banche in ogni fase dell’attività di investimento. Offre un ecosistema completo per strutturare e cartolarizzare idee di investimento, anche non convenzionali, grazie a: - 9 veicoli di cartolarizzazione attivi in 6 giurisdizioni;
- Un’infrastruttura pronta per emissioni private e pubbliche;
- Piattaforme digitali e tradizionali integrate con il sistema bancario interno;
- Tempi di implementazione rapidi e un supporto end-to-end su ogni prodotto emesso.
Un’offerta pensata per chi cerca un partner proattivo, veloce, flessibile. E, soprattutto, capace di trasformare un’idea d’investimento in una opportunità di business concreta.
Cultura aziendale e capitale umano: una nuova idea di banca
Sotto la guida di Alex Oberholzer, Direttore Generale, Credinvest Bank ha intrapreso un profondo cambiamento culturale. «Volevamo una banca dove le persone avessero voce, dove le idee non partissero solo dall’alto. Oggi questo è realtà, ed è ciò di cui vado più fiero. Una banca che mette le persone prima dei numeri. Una realtà che sa ascoltare e trasformare, che ha il coraggio di innovare, anche dove altri si fermano». Il risultato è un ambiente di lavoro positivo e inclusivo, in cui si investe su benessere, formazione e spirito di squadra: dai corsi sportivi ai team building sulla neve, dall’introduzione di un coach aziendale alle attività con le famiglie.
Nel 2024, l’organico è cresciuto del 23%, anche grazie alle collaborazioni con Università ticinesi e atenei come la Cattolica e la Bocconi, confermando la volontà della banca di diventare il datore di lavoro di riferimento a Lugano e oltre.
Arte, identità, visione Questa visione ha preso forma anche in modo tangibile, trasformando la sede di Lugano in un’opera d’arte a cielo aperto. Con il progetto “Astro Credy” dell’artista Yuri Catania, Credinvest Bank ha dato vita alla prima opera di street art su vetro in un palazzo bancario: 550 metri quadrati tra terra e luna che trasformano l’ufficio di via G. Cattori 14 in un’icona urbana. Un’iniziativa che racconta l’anima della banca: innovazione, progresso e tecnologia, ma anche centralità dell’uomo, solidità strutturale ed esperienza. L’opera riflette una cultura aziendale costruita su competenze forti e valori umani, che guida la crescita con visione e responsabilità. “Astro Credy” è un simbolo evidente di questo equilibrio: futuro e radici, creatività e affidabilità. Un dialogo tra arte, territorio e finanza che rende omaggio all’identità di Credinvest Bank e alla città di Lugano. Un progetto che ha coinvolto anche i collaboratori e le loro famiglie, e che ha trovato continuità nella nuova sede zurighese di Talacker 35, a testimonianza della crescita e dell’ambizione dell’Istituto. Credinvest Bank guarda al futuro con una strategia chiara: consolidare la propria presenza nel mercato svizzero e internazionale attraverso collaborazioni strategiche, un potenziamento delle competenze interne e una crescita geografica che mantenga forte il legame con il territorio. Non un mero piano di espansione, ma una visione coerente, costruita su valori, relazione e progettualità.
PROSPETTIVE E RISCHI PER IL SETTORE AGROALIMENTARE
A GIUGNO SI TERRÀ A POLLENZO L’11° EDIZIONE DELL’EVENTO FOOD
INDUSTRY MONITOR – L’OSSERVATORIO SULLE PERFORMANCE DELLE IMPRESE
ITALIANE DEL SETTORE ALIMENTARE SVILUPPATO DA CERESIO INVESTORS
ASSIEME ALL’UNIVERSITÀ DI SCIENZE GASTRONOMICHE – IL COMMENTO
DI ALESSANDRO SANTINI, HEAD OF CORPORATEADVISORY & INVESTMENT
BANKING ED EXECUTIVE BOARD MEMBER DI CERESIO INVESTORS.
Quali principali dati sintetizzano lo stato del settore?
«Il 2024 è stato un anno interlocutorio per il settore food, con una crescita complessiva inferiore al 3%, al di sotto delle previsioni iniziali, in linea con l’andamento del PIL nazionale. Tuttavia, alcuni segmenti come il vino hanno performato meglio del previsto. I dati dell’Osservatorio restituiscono un’immagine chiara: il settore resta dinamico, ma sensibile ai fattori esterni come le tensioni geopolitiche e commerciali. Ciò che emerge con forza è il peso delle incertezze globali sulle esportazioni e sulle strategie aziendali».
Quali sono le prospettive di crescita del settore nel biennio 2025-26, anche alla luce delle trasformazioni che possono condizionare il quadro globale del commercio internazionale?
«Le previsioni per il 2025-2026 indicano una crescita attesa superiore alla media per alcuni comparti chiave del Made in Italy, in particolare il caffè e la pasta, che vanta -
no una solida presenza sui mercati internazionali. Tuttavia, la possibile introduzione di dazi USA - che riguarderebbero una fetta tra il 17% e il 20% dell’export - e le eventuali contromisure da parte di altri mercati strategici come la Cina, impongono cautela. In questo contesto, la crescita esterna e il rafforzamento della massa critica diventano strumenti cruciali per affrontare le nuove sfide globali».
Quali altre tematiche saranno affrontate nel corso dei lavori?
«Uno dei temi centrali di quest’anno sarà la governance. L’Osservatorio presenterà dati inediti sulla relazione tra i modelli di governance adottati dalle aziende - in particolare quelle familiari, che rappresentano l’85% del comparto - e le loro performance. Affronteremo anche il tema del passaggio generazionale, l’importanza delle competenze manageriali e l’integrazione tra know-how familiare e competenze esterne. Infine, discuteremo le strategie di crescita esterna e gli strumenti finanziari per supportare l’export».
Quali sono le motivazioni per cui questo annuale appuntamento è andato negli anni assumendo un interesse sempre maggiore per gli operatori del settore e non solo?
«Il Food Industry Monitor è diventato un appuntamento di riferimento perché offre uno sguardo scientifico, concreto e prospettico sull’evoluzione del settore. La combinazione tra dati quantitativi, riflessione strategica e confronto diretto con i protagonisti del Made in Italy ha permesso all’evento di crescere anno dopo anno in autorevolezza e partecipazione. È un luogo dove l’industria dialoga con il mondo accademico e finanziario, creando valore reale per le imprese».
Nello specifico, quali sono i prodotti e i servizi che Ceresio Investors mette a disposizione delle aziende agroalimentari italiane e come si sviluppa la vostra azione di consulenza?
«Come Ceresio Investors offriamo soluzioni su misura per supportare le aziende agroalimentari, soprattutto in percorsi di crescita esterna e internazionalizzazione. Accompagniamo le imprese nelle operazioni di M&A, strutturazione del capitale e accesso agli strumenti finanziari utili per sostenere l’export e l’espansione produttiva. Il nostro approccio è consulenziale, orientato al lungo termine, e si basa su una profonda conoscenza del settore e delle sue dinamiche specifiche».
Più in generale quale ruolo rivestono le piccole e medie imprese nella vostra strategia a favore del rafforzamento delle comunità e dei territori?
«Le PMI rappresentano il cuore pulsante del sistema produttivo italiano, in particolare nel food. Cre -
“Le
PMI rappresentano il cuore pulsante del sistema produttivo italiano, in particolare nel food. Crediamo che rafforzare la loro struttura finanziaria e organizzativa significhi anche investire nella crescita dei territori”.
diamo che rafforzare la loro struttura finanziaria e organizzativa significhi anche investire nella crescita dei territori. Per questo ci impegniamo a fornire supporto strategico, non solo finanziario, aiutando le imprese a strutturarsi per affrontare il futuro: dalla governance alla pianificazione del passaggio generazionale, dall’accesso ai mercati esteri fino all’innovazione».
In base alla sua diretta esperienza, come valuta lo stato di salute delle imprese del settore agricolo e alimentare in Italia e in Ticino in merito a questioni fondamentali come digitalizzazione, innovazione, adozione di nuove tecnologie?
«Il settore sta compiendo passi importanti, ma a velocità differenti. Alcune realtà, soprattutto tra i grandi player, hanno già avviato percorsi strutturati di digitalizzazione e innovazione. Tuttavia, resta ancora un ampio margine di miglioramento, in particolare per le PMI. Le nuove tecnologie rappresentano un’opportunità straordinaria per migliorare l’efficienza, la tracciabilità e la sostenibilità delle filiere. Anche in Ticino, come in molte realtà italiane, c’è bisogno di accompagnare le imprese in questo processo, affinché non restino ai margini dei grandi cambiamenti in atto».
APERTI O CHIUSI, QUESTO IL DILEMMA
UNA QUESTIONE AGITA IL MONDO DEL COMMERCIO E CIOÈ IL TEMA DELLE APERTURE DOMENICALI DELLE ATTIVITÀ COMMERCIALI.
Qual è il quadro legale di riferimento per l’apertura dei negozi?
S.R.: «Vorrei anzitutto spiegare un concetto fondamentale: in Ticino la possibilità di aprire i negozi è regolata a livello cantonale dalla Legge sull’apertura dei negozi (LAN), il cui scopo è garantire la quiete pubblica, mentre la possibilità di occupare il personale è regolata a livello federale dalla Legge sul lavoro (LL), che mira alla tutela fisica e psichica dei lavoratori. Quest’ultima ha tra i suoi principi il divieto del lavoro domenicale. Con la nuova LAN – entrata in vigore nel 2020 dopo un lungo iter – è stato fatto un importante lavoro di allineamento tra queste due basi legali,
così da permettere l’apertura dei negozi quando è anche possibile occupare il personale».
Quali erano gli obiettivi principali di questa nuova Legge?
S.R.: «Da un lato rendere più chiaro e semplice il quadro legale di riferimento, considerando in modo equilibrato gli interessi di consumatori, lavoratori e commercianti, dall’altro adeguare le aperture dei negozi alle mutate esigenze della società moderna».
Per quanto riguarda le aperture domenicali generalizzate quali sono state le novità?
S.R.: «Una novità rilevante è legata alla possibilità di aprire i negozi nei giorni fe -
TICINO WELCOME NE HA PARLATO CON:
STEFANO RIZZI (S.R.)
Direttore
Dipartimento delle finanze e dell’economia del Ticino
ROBERTO MAZZANTINI (R.M.)
Presidente
Associazione Via Nassa
stivi non parificati alla domenica (di regola sono S. Giuseppe, lunedì di Pentecoste, Corpus Domini, Immacolata, San Pietro e Paolo). Questa opportunità è particolarmente interessante considerando che permette l’apertura anche alla grande distribuzione, ciò che risulta spesso essere un elemento trainante per i negozianti più piccoli. Importante notare che si tratta, in ogni caso, di una scelta che spetta ai singoli negozianti, idealmente nel contesto di un coordinamento locale».
Ci sono però anche altre domeniche, di solito prima di Natale, in cui i negozi sono aperti… S.R.: «Certo! In realtà, con l’adozione di una recente modifica della legge, il numero di do -
RUPEN NACAROGLU (R.N.)
Presidente
Lugano Region
ANTONIETTA CASTELNUOVO (A.C.)
Direttrice
Boutique Tourbillon in via Nassa
meniche in cui è prevista l’apertura generalizzata, compresa quindi la grande distribuzione e previa autorizzazione, è stato portato da tre a quattro per approfittare della possibilità concessa dal diritto federale. Questa novità permette al settore di considerare anche almeno una domenica al di fuori del periodo natalizio».
Si parla spesso anche di città turistiche.
Lugano è considerata tale?
S.R.: «Grazie al supporto scientifico dell’Istituto di ricerche economiche dell’Università della Svizzera italiana, abbiamo sviluppato un modello di valutazione per determinare le località turistiche del Cantone nel rispetto della legislazione federale. Questo modello conta diversi indicatori previsti nel regolamento della LAN (ad esempio numero di pernottamenti, numero di strutture alberghiere e paralberghiere, numero di attrazioni turistiche, quota di addetti nel settore turistico, ecc.): se quattro di questi si trovano al di sopra di una determinata soglia, la località può essere considerata turistica. Sulla base di questo modello, la Città di Lugano è ufficialmente considerata una località turistica».
Quali opportunità di apertura sono legate a questo riconoscimento?
S.R.: «I negozi della Città di Lugano – per quanto riguarda i quartieri di Molino Nuovo, Besso, Loreto, Lugano Centro e Castagnola – possono aprire la domenica sia durante la stagione estiva che in quella invernale (resta escluso solo il mese di novembre). Invece quelli nei quar -
tieri di Viganello e Pregassona possono aprire la domenica durante il periodo estivo (da marzo a ottobre). Nei mesi in cui la città è considerata turistica i negozi possono operare con orari estesi, tra le ore 6:00 e le 22:30».
Ci sono delle limitazioni in questo contesto?
S.R.: «I negozi che vendono prodotti che rispondono ai bisogni specifici dei turisti possono aprire se la loro superficie di vendita è inferiore ai 400 metri quadrati. Per i negozi con una superfice superiore, vi è la possibilità di ridurre l’area di vendita, separandola in modo chiaro dal resto del negozio».
I lavoratori hanno diritto ad un supplemento salariale?
S.R.: «Sì, di principio i lavoratori hanno diritto a un supplemento salariale del 50% per le ore lavorate la domenica. Ogni dipendente può inoltre lavorare al massimo due domeniche al mese, che devono essere compensate con una giornata di riposo in un giorno abitualmente lavorativo. Questo supplemento si applica fino a un massimo di sei domeniche lavorate all’anno».
In conclusione, c’è qualche novità rilevante sul fronte?
S.R.: «Sì, attualmente è in corso a livello federale una discussione per portare da quattro a dodici il numero di domeniche in cui il personale dei negozi potrebbe essere impiegato senza autorizzazione durante le aperture generalizzate. Una decisione è attesa nei prossimi mesi e, trattandosi di una modi -
fica legislativa del Parlamento, sarà possibile anche il lancio di un referendum. Qualora questa modifica venisse adottata, il Cantone Ticino potrà adeguare di conseguenza la propria legge per rendere possibile l’apertura dei negozi per più di quattro domeniche all’anno».
Qual è il suo auspicio riguardo alla soluzione del problema?
S.R.: «Il Cantone si è impegnato per offrire al settore della vendita gli strumenti necessari e una maggiore flessibilità. In un contesto economico in cui la concorrenza, anche digitale, è sempre più forte, le aperture domenicali rappresentano un’opportunità interessante per i negozi. L’auspicio è che essi la colgano in modo coordinato, ad esempio sviluppando iniziative congiunte, sincronizzando le aperture per essere più efficaci».
Perché a suo giudizio questa proposta relativa alle aperture domenicali risulta essere così divisiva?
R.M.: «Il tema delle aperture domenicali tocca corde molto diverse e sensibili. Da una parte ci sono gli interessi economici, turistici e di animazione del centro città, dall’altra i diritti dei lavoratori, la sostenibilità economica per gli esercenti e il rispetto dei ritmi familiari e personali. In questo senso, la proposta è divisiva perché coinvolge aspetti culturali, sociali e normativi. Inoltre, l’attuale quadro legislativo – con i suoi vincoli tra Legge federale sul lavoro e Legge cantonale sull’apertura dei negozi – rende il tema ancora più complesso, richiedendo una concertazione attenta e inclusiva tra tutte le parti coinvolte».
R.N.: «Il tema delle aperture domenicali divide perché coinvolge visioni e modelli operativi diversi all’interno dello stesso settore. Da un lato, c’è una parte del commercio – in particolare nei centri urbani a forte vocazione turistica – che vede in queste aperture una leva importante per accrescere l’attrattività del territorio e intercettare una clientela che si muove proprio nei fine settimana. Dall’altro lato, alcuni esercizi meno strutturati potrebbero avere difficoltà a sostenere l’impegno organizzativo ed economico richiesto. Ma il cuore della questione sta nella possibilità di scelta: dare la libertà di aprire significa permettere a ogni realtà di valutare in autonomia le proprie esigenze e opportunità. In un contesto dinamico come quello luganese, poter contare su un’offerta commerciale attiva anche la domenica è un elemento strategico».
A.C.: «La Svizzera non ha una tradizione per le aperture domenicali, nel passato era buon uso chiudere il sabato molto presto alcuni alle 12.00 altri alle 16.00 massimo. Credo avesse a che fare con il rispetto per chi lavorava nel commercio che si riteneva avesse diritto a godere del fine settimana con la famiglia».
Quali soluzioni in merito possono essere avanzate e quali sono i vantaggi che potrebbero derivarne?
R.M.: «Come Associazione Via Nassa, riteniamo che la soluzione più efficace sia una maggiore chiarezza normativa, accompagnata da un calendario condiviso delle aperture domenicali, possibilmente coordinato con eventi cittadini e flussi turistici. I vantaggi potrebbero essere molteplici: mag-
giore attrattività della città, fidelizzazione dei clienti locali e stranieri, incremento del volume d’affari per i negozi e un miglior posizionamento dell’intera offerta commerciale luganese. Va però parallelamente affrontato il nodo della sostenibilità economica per i commerci, magari attraverso incentivi mirati o formule di apertura flessibili».
R.N.: «Una possibile evoluzione è il riconoscimento normativo della piena libertà di apertura domenicale nei centri con forte presenza turistica, come Lugano. Questa soluzione chiara ed univoca permetterebbe di valorizzare al meglio il potenziale della città nei fine settimana, favorendo un’offerta commerciale coerente con le aspettative dei visitatori. Grazie a una regolamentazione chiara senza eccezioni ci si potrebbe sicuramente aspettare un maggiore coinvolgimento dei commerci. I vantaggi sono evidenti: un centro più animato, maggiore circolazione economica e la possibilità di differenziare Lugano rispetto ad altre destinazioni. È una misura semplice ma strategica, che permette di rafforzare l’immagine di una città aperta, moderna e capace di rispondere alle esigenze di un pubblico eterogeneo, sia locale che internazionale».
A.C.: «Come proposto dalla nostra Associazione si potrebbe iniziare da aperture mirate in domeniche con eventi, già programmati o da organizzare, in centro città».
Al di là di questo recente dibattito, quali sono i principali problemi che riguardano le attività commerciali ubicate soprattutto nel centro di Lugano?
R.M.: «I problemi più sentiti riguardano l’elevato costo delle superfici commerciali, la concorrenza dell’e-commerce e degli Outlet, la vicinanza ai grandi centri urbani lombardi e la difficoltà di attrarre un nuovo pubblico, soprattutto dopo avere perso quello tradizionalmente legato alla piazza finanziaria. Da ultimo, la frammentazione delle iniziative e la mancanza di una visione unitaria penalizzano l’identità e la coerenza dell’offerta».
R.N.: «Il commercio luganese è messo sotto pressione da diversi fattori: la forza del franco, la concorrenza dello shopping oltreconfine e il calo del potere d’acquisto dei residenti. A ciò si aggiunge l’ascesa dell’e-commerce, che spinge i consumatori verso canali digitali, spesso più convenienti ma meno radicati nel territorio. In questo scenario, per le attività del centro città diventa essenziale rafforzare la propria identità, offrire qualità, prossimità e un servizio personalizzato. Serve un ambiente urbano curato, accessibile e vissuto, dove l’esperienza d’acquisto sia integrata in un contesto culturale e sociale più ampio».
A.C.: «In generale il problema principale è la progressiva sparizione della classe media e le difficoltà economiche della stragrande maggioranza delle persone dovute al pesante aumento delle spese fisse. Anche l’effetto globalizzazione che ti permette di trovare tutto ovunque oltre che in rete ha sicuramente avuto un ruolo».
Quali iniziative andrebbero promosse per rendere la piazza luganese più attrattiva presso un pubblico di clienti domestici e internazionali?
R.M.: «Bisogna puntare su esperienze sempre più personalizzate, su eventi di qualità, non dimentichiamoci che Via Nassa è un vero e proprio palcoscenico all’aperto, e una comunicazione integrata che racconti la città come destinazione di stile, cultura e lifestyle. Via Nassa può e vuole giocare un ruolo guida in questo, promuovendo sinergie tra commercianti, istituzioni e operatori turistici. L’integrazione con le attività di Lugano Region, la creazione di un calendario unico degli eventi e una forte spinta sul digital marketing sono elementi chiave per attirare sia il pubblico locale, sia i visitatori internazionali».
R.N.: «Serve una strategia chiara per rendere Lugano una città più viva e attrattiva tutto l’anno. Animazione urbana, eventi mirati nei weekend e nei periodi turistici, aperture straordinarie coordinate e orari più flessibili sono strumenti concreti per valorizzare il centro e il suo commercio. C’è tanto lavoro da fare ma la direzione intrapresa è quella corretta. Oggi il visitatore cerca esperienze, non solo servizi: Lugano deve puntare su qualità, accoglienza e identità, offrendo un’esperienza urbana coerente e memorabile, capace di attrarre e intrattenere anche chi proviene da fuori cantone o dall’estero. Un elemento di cui si parla poco, in vista della stagione estiva sarebbe la possibilità di rivedere gli orari di apertura dei negozi, adattandoli al clima e alle abitudini dei visitatori. Introdurre orari flessibili e la possibilità di tenere aperto la sera nei
mesi più caldi, ad esempio, potrebbero migliorare il comfort dello shopping e valorizzare l’offerta del centro città».
A.C.: «Penso che la solidarietà nel condividere ed organizzare eventi sia fondamentale Ed indispensabile è la partecipazione anche economica del Municipio. Fondamentale è anche la formazione del personale spingendo per uno spirito dell’accoglienza e del servizio ineccepibile. Sento ancora troppi clienti dire di essere stati serviti con sufficienza in via Nassa».
Allargando lo sguardo, qual è l’andamento registrato nel corso degli ultimi anni dal mercato del lusso e quali prospettive è possibile individuare per il futuro?
R.M.: «Il mercato del lusso ha dimostrato grande resilienza, anche durante la pandemia, e continua a rappresentare una componente strategica per il commercio di qualità. La clientela si è evoluta: è sempre più esigente, informata e sensibile all’esperienza d’acquisto, non solo al prodotto. Per il futuro vediamo una crescente polarizzazione tra top brand internazionali e realtà locali d’eccellenza, con un’enfasi crescente sulla sostenibilità, sull’artigianalità e sul servizio personalizzato. Secondo osservazioni recenti, la domanda asiatica e americana sta mostrando segni di ripresa, con un interesse crescente per destinazioni europee di lusso e Via Nassa ha tutte le carte in regola per posizionarsi come un “luxury district” contemporaneo, capace di fondere tradizione e innovazione. Naturalmente, in un gioco di squadra, tutti i giocatori in campo devono svolgere al meglio il proprio ruolo».
R.N.: «Il mercato del lusso è in evoluzione: oggi il consumatore cerca esperienze autentiche, personalizzate e legate al territorio, non solo prodotti esclusivi. Per Lugano, questo rappresenta un’opportunità concreta. Investire in strutture di alta gamma – come boutique hotel, resort di charme o dimore storiche riqualificate – può attrarre una clientela esigente in cerca di benessere, gastronomia, privacy e lifestyle. In un segmento altamente competitivo ma in espansione, la chiave del successo sta nell’offrire servizi su misura, spazi curati e un’identità forte, in linea con gli standard internazionali ma profondamente radicata nel contesto locale».
A.C.: «Penso che nei prossimi anni assisteremo ad un cambiamento epocale delle strategie commerciali delle Brand del lusso. Ci sarà un ritorno della definizione “lusso” legata alla qualità e non più al marketing, si produrrà meno con prezzi e ricarichi più alti. Salvo pochi marchi sull’olimpo del lusso tutti gli altri sono stati severamente allontanati e sono tutti intenzionati a riconquistare il loro posto nella piramide del lusso. Nel mio settore e soprattutto per le nostre Brand fortunatamente la qualità è un requisito imprescindibile e di conseguenza gli orologi di lusso sono visti come un bene rifugio. Ma anche per quel che ci riguarda il rapporto con i clienti è fondamentale. Molto spesso il cliente del lusso è stressato, stanco e bisognoso di contatti umani appaganti e per lui l’acquisto di un oggetto di lusso è un momento di svago che vive come una uscita con gli amici».
BRONZO, ORO E BORGOGNA
Le versioni di inizio 2025 del Seamaster 300M sono ispirate al Seamaster Diver 300M 007 Edition, lanciato nel 2020 per il film di James Bond “No Time to Die”. E caratterizzato da bracciale a maglia milanese, anello della lunetta e qua-
IL NUOVO OMEGA SEAMASTER
DIVER 300M BRONZE GOLD, DECLINATO IN DUE VERSIONI, È REALIZZATO IN BRONZE GOLD, LEGA ESCLUSIVA DI OMEGA
COMPOSTA PRINCIPALMENTE DA BRONZO E ARRICCHITA
CON ELEMENTI NOBILI QUALI ORO, PALLADIO E ARGENTO, ALLO SCOPO DI OTTENERE UNA TONALITÀ UNICA. L’OROLOGIO È DISPONIBILE ALLA BOUTIQUE TOURBILLON IN VIA NASSA 3 A LUGANO.
drante in alluminio anodizzato ossalico, display senza data e vetro zaffiro bombato. Il design è quello classico del Seamaster 300, con anse ritorte e lunetta smerlata. La cassa è completamente spazzolata e misura 42 mm di diametro, 13,8 mm di spessore e 49,70 mm di lunghezza.
in alluminio anodizzato, sceglie un inedito tono bordeaux e una scala di 60 minuti in Super-LumiNova dai toni vintage ed è abbinata a un quadrante in alluminio sabbiato nero opaco a contrasto, con lancette in Bronze Gold rivestite in PVD e indici bruniti, tutti riempiti di Super-LumiNova vintage. Gli altri elementi, incluso il logo OMEGA,
Presenta un vetro zaffiro tipo glass box in stile retrò, un fondello in zaffiro avvitato, una corona avvitata, una valvola per l’elio che sottolinea il grado d’impermeabilità garantito fino a 300 metri. La lunetta, con cornice in bronzo dorato e inserto
sono di colore marrone chiaro. L’orologio è animato dal calibro OMEGA Co-Axial Master Chronometer 8806, automatico, dotato di scappamento coassiale, spirale in silicio, elevata resistenza ai campi magnetici e certificazione Master
Chronometer del METAS. Batte a 25.200 alternanze/ora (3,5 Hertz), e immagazzina fino a 55 ore di riserva di carica. È decorato con motivo Côtes de Genève arabescato, rotore e ponti con finitura rodiata. Il Seamaster Diver 300M Bronze Gold è disponibile in due versioni: la prima con cinturino in gomma nera chiuso da fibbia ad ardiglione Bronze Gold. La seconda è assicurata al polso da un bracciale a maglia milanese Bronze Gold spazzolato con chiusura déployante.
UNA SUPERCAR USER-FRIENDLY
TICINO WELCOME, IN COLLABORAZIONE CON IL CONCESSIONARIO SPORT CARS SALES & SERVICE AG DI LUGANO-GRANCIA, RIVENDITORE UFFICIALE DI BENTLEY E LAMBORGHINI IN TICINO E SIMONETTA ROTA AGENCY, PROSEGUE I SUOI APPUNTAMENTI CON DONNE CHE HANNO IL PIACERE DI GUIDARE PRESTIGIOSE AUTO DI GRANDE CILINDRATA. IN QUESTA SECONDA EDIZIONE, GIAMPAOLO TENCHINI, MASTER DRIVING COACH NELLE ESPERIENZE DRIVING AROUND YOU ORGANIZZATE DALL’AGENZIA SIMONETTA ROTA AGENCY, INTERVISTA RAFFAELLA MELEDANDRI, CUORE PULSANTE DI AIR-DYNAMIC E INSIEME SI SOFFERMANO SUI TANTI PUNTI IN COMUNE CHE AVVICINANO LE AUTO AGLI AEREI.
GIAMPAOLO
TENCHINI:
«Mentre inizia il nostro viaggio con questa potente Lamborghini Urus SE alimentate da un motore che sprigiona ben 800 cavalli, ci vuoi raccontare come ti sei avvicinata al mondo degli aerei»?
RAFFAELLA MELEDANDRI:
«Le mie origini sono italiane da parte di padre, tedesche da parte di madre, svizzere di adozione con un Master in Scienze Politiche. In mezzo agli aerei ci sono sempre vissuta perché mio padre era dapprima pilota e poi addetto alla torre di controllo a Roma e i viaggi mi hanno fin da giovane portato in giro per il mondo. Per quasi un decennio ho lavorato per conto delle Nazioni Unite, spostandomi in numerosi Paesi, inclusi Iraq, Afghanistan, Giordania, Kuwait, Africa, avendo l’occasione di conoscere culture diverse e di crearmi una vasta rete di relazioni mondiali. La svolta è avvenuta quando ho conosciuto mio marito Nicholas Evstigneev, oltre 30 anni di esperienza nell’industria aeronautica e nello sviluppo aziendale e anche pilota di aerei ed elicotteri. Insieme abbiamo dato vita ad Air-Dynamic alla cui direzione ho avuto modo di mettere a frutto le mie capacità di coordinatrice di esperienze di viaggio di lusso, esperta in negoziazioni, gestione delle operazioni, della logistica e aviazione».
GIAMPAOLO TENCHINI:
«Dal tuo stile di guida si riconosce subito una spiccata attitudine a prendere subito il comando delle operazioni. Vorrei allora che tu provassi la
duttilità con cui questa vettura risponde alla varie sollecitazioni, in funzione delle diverse modalità di guida adottate. Urus SE è infatti il primo Super Sport Utility Vehicle al mondo, creato per unire l’anima di una supersportiva e le funzionalità pratiche di un SUV. Grazie al motore Lamborghini V8 biturbo da 4,0 litri e, come nel caso di questa Urus SE, a un potente motore elettrico, riunisce in sé divertimento alla guida e capacità davvero sbalorditive, per un concept all’insegna delle prestazioni».
RAFFAELLA MELEDANDRI:
«In effetti sono impressionata da alcune sensazioni che questa vettura immediatamente trasmette. Prima di tutto un’idea di grande sicurezza, accentuata da una condizione di evidente robustezza, senza per nulla trascurare le prestazioni. Se appena si prova ad accelerare sembra di essere a bordo di un aereo in fase di decollo. E poi, come donna, ho notato subito il tono di grande eleganza e spiccata personalità, sia per quanto riguarda l’estetica esterna che l’allestimento e le dotazioni dell’abitacolo».
GIAMPAOLO TENCHINI:
«Ti confermo che la Lamborghini Urus SE è dotata di avanzati sistemi di assistenza alla guida (ADAS) per migliorare la sicurezza e il comfort del guidatore. Questi sistemi includono pacchetti come Urban Road, Full ADAS e Highway, che offrono diverse funzionalità per la prevenzione degli incidenti e l’assistenza nella guida…»
RAFFAELLA MELEDANDRI:
«Proseguendo nel gioco delle similitudini e dei paragoni con quanto avviene negli aerei si potrebbe allora dire che la sicurezza di questa vettura assomiglia a quella garantita negli aerei dalla sempre più diffusa adozione di sistemi di “auto landing” in aviazione che permettono di atterrare in modo automatico, senza l’intervento del pilota. Questo sistema, noto anche come “atterraggio automatico” in italiano, utilizza strumenti particolarmente
sofisticati per guidare l’aereo verso la pista, anche in condizioni di scarsa visibilità».
GIAMPAOLO
TENCHINI:
«Si può davvero dire che la Urus SE sia in grado di soddisfare pienamente, ai massimi livelli, la passione per la guida, unendo straordinarie prestazioni - non dimentichiamo che è in grado di raggiungere la velocità massima di 310 km all’ora –con un comfort senza compromessi che la rende ideale anche per la vita in città di tutti i giorni. È amata per la sua straordinaria combinazione di prestazioni e versatilità. È un SUV di lusso, ma anche una supersportiva, capace di offrire un’esperienza di guida emozionante e sbalorditiva, sia su strada che su qualsiasi tipo di terreno. E, a pro -
posito di passioni, mi piacerebbe concludere questa conversazione chiedendoti, a livello personale, quali sono, oltre alla guida di auto sportive di lusso, le tue passioni e i progetti per il futuro…»
RAFFAELLA MELEDANDRI:
«Posso dire di essere una donna fortemente motivata che focalizza tutte le sue energie sulla famiglia, che nella mia vita occupa il primo posto, e sul lavoro, orgogliosa di ciò che siamo stati in grado di realizzare in questi anni e al tempo stessa proiettata verso nuovi progetti futuri che intendo realizzare. Viviamo in un periodo in cui scienza e tecnologia offrono straordinarie opportunità e dobbiamo assolutamente sfruttarle. Voglio però sottolineare un aspetto del mio lavoro a cui sono particolarmente legata e cioè il desiderio di realizzare qualcosa che possa contribuire alla valorizzazione del Ticino. Esperienze come quella vissuta oggi sono importanti perché mettono in luce il lavoro di aziende ticinesi che hanno voglia di collaborare e creare qualcosa di positivo per la crescita e l’attrattività di questo splendido territorio».
Continental GT Speed (hybrid) WLTP drive cycle: fuel consumption, mpg (l/100km) – Combined with discharged battery 26.6 (10.6). Combined electrical consumption – 28.9 (kWh/100km). Combined CO₂ emissions – 31 g/km. CO₂ class weighted combined – B. CO₂ class with discharged battery – G.
Via Cantonale 1, CH- 6916 Grancia
Tel : +41 91 25 25 101
info@bentleylugano com ww w lugano bentleymotors com
BENTLEY LUGANO
PASSIONE PER LE AUTO
SPORTIVE DI LUSSO
DAL 1° GENNAIO 2025, JVAN JACOMA HA ASSUNTO LA DIREZIONE DI SPORTS CARS AG, INFONDENDO NELL’AZIENDA TUTTA LA SUA ESPERIENZA NEL CAMPO DELL’AUTOMOTIVE E LA SUA INTRAMONTABILE VOGLIA DI VINCERE, IN PISTA E NON SOLO.
Quali sono state le principali tappe del percorso professionale che l’ha portato alla guida di SportsCars?
«Sono nel ramo automotive da ben 32 anni e negli ultimi 13 sono stato il direttore per la marca Porsche in Ticino. Sono sempre aperto a nuove sfide e la chiamata del gruppo
Porsche Holding Salzburg, il gruppo Retail Automotive più grande d’Europa, per essere il loro responsabile per la Svizzera, è arrivata al momento giusto. Al momento abbiamo due società appartementi a Porsche Holding per il mercato Svizzero e si tratta della P911 AG a Feusisberg e della Sportscars Sales and Service a Lugano. Rappresentiamo la marche di lusso e sportive del Gruppo VW, a Feusisberg con il Porsche Zentrum Oberer Zürichsee, ed in Ticino esattamente a Lugano Grancia, siamo concessionari esclusivi per i marchi Lamborghini e Bentley. Essere Managing Director/ CEO di questo gruppo, mi rende particolarmente onorato e fiducioso per il futuro, in quanto ne conosco molto bene il grande potenziale di crescita».
Lei vanta anche una brillante carriera nel campo delle competizioni automobilistiche. Quali sono stati i suoi più importanti successi e quali i progetti per il futuro?
«Come per la mia professione, anche nel campo sportivo ho 32 anni di corse alle spalle, praticamente sempre alla guida di vetture Porsche in tante classi e campionati diversi. Dalle gare sprint a quelle di durata, fino alle 24 ore…Questo mi ha aiutato anche a conoscere molta gente e molti di loro sono diventati i nostri migliori clienti. Ho sempre creduto nelle corse automobilistiche per espandere le proprie conoscenze e migliorarsi anche a livello professionale. D’altronde senza gare non sarebbero nemmeno nate marche come Porsche, Ferrari e Lamborghini. I successi che ricordo con maggior piacere sono: nelle sprint la vittoria nella Porsche Carrera Cup Italia, mentre nelle gare Endurance, la vittoria nella classe Pro-Am del GT World Challenge Europe, in compagnia degli Svizzeri Alex Fontana e Niki Leutwiler, la conquista del Manthey Endurance Trophy sulla mitica Nordschleife al Nürburgring, in equipaggio con Kai Riemer e Mauro Calamia, che ci ha portato anche al terzo posto assoluto nel campionato Vln e le due vittorie di classe alla 24 ore sempre al Nürburgring. Quest’anno ho accantonato le corse e dato priorità al nuovo progetto professionale come giusto che sia. Vado per i 53 anni, perciò lascio spazio ai giovani in ambito Motorsport e mi godo i bei momenti trascorsi con i miei co-piloti e tutto lo staff dei vari team, che nel tempo sono diventati anche grandi amici».
SportsCars rappresenta due marchi prestigiosi come Bentley e Lamborghini. Quali sono i punti di forza dell’azienda, i valori cui s’ispira e la vostra strategia di crescita sul mercato?
«I brand rappresentati, la nostra fedele clientela ed i nostri professionali ed appassionati collaboratori, sono il punto di forza dell’azienda, i marchi non potrebbero essere più diversi ed hanno in comune solo il lusso e la grande storia Questa diversificazione e la dimensione di nicchia tipica dei prodotti di lusso portano molto valore aggiunto. Tutto è fatto su misura per il cliente, da tutti i servizi offerti agli eventi di marketing esclusivi ed in linea con le richieste di chi acquista i nostri prodotti. Un inserimento di nuovi collaboratori locali e che conoscono il nostro mercato, eventi e serate di presentazione mirate a potenziali nuovi clienti, hanno fatto crescere di molto le nostre cifre di vendita all’inizio di questo 2025. Inoltre disponiamo di un team molto professionale per entrambi i marchi, che fanno appassionare la clientela e chi si avvicina per la prima volta al nostro mondo».
Nello specifico, quali sono le caratteristiche di ciascuno di questi marchi particolarmente apprezzate dalla rispettiva clientela?
«Sicuramente per dirne tre per marchio: Lamborghini entusiasma per le prestazioni, il sound e le linee estreme dei loro modelli, mentre Bentley sorprende per il lusso generale, le rifiniture interne incredibilmente qualitative e per il mix unico di comfort e prestazioni».
Negli anni si è andato profondamente trasformando il rapporto con la clientela. Quali sono i servizi dedicati che avete appositamente attivato?
«Una serie di eventi fatti su misura per la clientela e per i loro hobbies. Si spazia da giornate di prove in pista, oppure eventi su neve e ghiaccio, a serate culinarie incredibilmente esclusive, a weekend tra appassionati dei marchi in giro per l’Europa, fino a inviti ad eventi che riguardano arte e letteratura. Inoltre siamo sempre a disposizione ed attivi per visite esclusive nelle fabbriche, sia in Italia, sia in Inghilterra».
Allargando lo sguardo, qual è lo stato attuale del mercato delle auto di lusso e quali conseguenza si possono prevedere in seguito alla guerra commerciale in atto a livello globale?
«A differenza del mercato di volume, che sta da qualche anno diminuendo in maniera piuttosto importante, i prodotti esclusivi e di lusso reggono le varie nuove mode e tutte le crisi passate nel corso degli ultimi anni. L’importante è trovare un compromesso per lanciare le nuove tecnologie, assecondando anche le richieste dei clienti e perciò del mercato. L’interesse e la passione per i prodotti sportivi di lusso esclusivi, resterà sempre alta e non morirà mai».
ESPERIENZA
DI GUIDA SENZA LIMITI
MASERATI GRECALE È LA PROTAGONISTA DELLA CASA DEL TRIDENTE, CHE HA DECISO
DI ARRICCHIRE LA GAMMA
DEL SUO SUV “EVERYDAY EXCEPTIONAL” CON AGGIORNAMENTI NELLE MOTORIZZAZIONI, NEGLI INTERNI E NEGLI ESTERNI, PER RISPONDERE A TUTTE LE ESIGENZE DEI CLIENTI.
Passione, innovazione e versatilità sono gli ingredienti di Grecale, che insieme a GranTurismo, GranCabrio, MC20, MC20 Cielo e GT2 Stradale, rappresenta la massima espressione del lusso italiano in “Maserati way”, esprimendo il DNA del brand votato allo spirito granturismo, capace di unire performance ed eleganza in un’esperienza di guida unica e raffinata senza pari. Con l’aggiornamento del range Grecale MY25, la proposta e è ancora più ampia, così come i contenuti spe -
cifici dedicati: viene, infatti, introdotta la nuova versione “Grecale”, che va ad aggiungersi alle versioni Modena e Trofeo, oltre che alla Folgore, con propulsione 100% elettrica. La nuova versione “Grecale” è eccezionale nella quotidianità grazie al motore 4 cilindri mild hybrid da 300 CV e a numerosi dettagli di lusso sia nell’estetica sia nel comfort come, per esempio, i cerchi diamantati da 20», gli interni in pelle premium o i sedili comfort riscaldati a 12 vie.
La versione Modena, equipaggiata con un 4 cilindri mild hybrid da 330 CV, si distingue, invece, per un orientamento estetico sportivo, includendo ruote da 21» Diamond, fari Matrix, differenziale a slittamento limitato e sospensioni adattive. Mentre la versione Trofeo continua a rappresentare la declinazione orientata alle prestazioni più estreme con un motore V6 Nettuno da 530 CV. Infine, Grecale Folgore è il primo SUV
100% elettrico nella storia di Maserati, dotato di una batteria da 105 kWh con una potenza da 410 kW. Essere un brand di lusso significa dare la possibilità di scegliere: Maserati pone sempre il cliente al centro di ogni decisione e l’intera gamma Grecale ne è un esempio. Proprio per questo motivo la palette di colori è stata rinnovata e ampliata: a disposizione oggi fino ad 11 tinte carrozzerie, oltre alle molteplici possibilità di personalizzazione offerte dal Programma Maserati Fuoriserie che comprende ben nove colori solid and metallic (tra cui i nuovi Blu Pastello e Giallo Genio Glossy), tredici proposte tristrato e quadristrato (inclusi le novità Dark Aurora Boreale e Gold Venus) e 4 colori opachi (ultimo incluso il Digital aurora Matte). Maserati è un brand di Haute couture e ha pensato anche ad una collezione primavera dedicata alle
combinazioni di colori più vibranti, tra le quali spiccano gli esterni in color carrozzeria Orange Devil, abbinato a pinze freno nere e ad un interno in pelle Sport Premium Ice/Nero. Tutto in Grecale emana attenzione ai dettagli: aprire le portiere significa entrare in un mondo fatto di comfort ed eleganza con materiali pregiati che valorizzano le superfici, insieme alla ricerca di grafiche e cromie uniche che, con la nuova gamma MY2025, si estendono in una serie di combinazioni ancora più ricche. Le configurazioni dei sedili sono cinque di cui le nuovissime opzioni
Premium Leather Chocolate e Sport Leader Black Blue, oltre ad undici possibilità sedili Fuoriserie, ai quali si possono abbinare due finiture di interni di serie e altre quattro del programma di personalizzazione. Gli interni partono dall’attenzione al linguaggio architettonico contemporaneo che si ritrova anche nei dettagli degli esterni con una scelta ricca di cinque tipologie di cerchi, abbinati a pinze freni in cinque colori, di cui uno Fuoriserie. I livelli di allestimenti diventano così entusiasmanti offrendo oltre 2.000 combinazioni per i contenuti di serie, diventando invece infinite attingendo dal programma Fuoriserie. Infine, non manca un’ampia gamma di accessori capace di esaltare la bellezza e la funzionalità del
SUV ed accompagnare il guidatore nella sua esperienza “everyday exceptional”. Accessori per il tempo libero, famiglie e altre necessità, danno la possibilità di scegliere dettagli funzionali ed estetici perfetti per ogni esperienza o necessità di guida, per i bimbi, portabici, portascì, porta snowboard e innumerevoli accessori per animali.
EMOZIONI FIRMATE AMG PER LA GUIDA EN PLEIN AIR
PRESTAZIONI DI ALTO
LIVELLO CON IL RAFFINATO “CUORE” SEI CILINDRI IN LINEA
DANNO SPAZIO ALLA GUIDA DINAMICA PIÙ COINVOLGENTE. CON TUTTE LE RICERCATEZZE DEDICATE AL MASSIMO COMFORT A VETTURA SCOPERTA.
Il fascino della guida a cielo aperto, unito alla cura tecnica firmata AMG, distingue la nuova CLE 53 4Matic+ Cabriolet: il secondo modello convertibile sviluppato dalla divisione sportiva di Mercedes dopo la SL Roadster. In questo caso, le prestazioni dinamiche risultano meno estreme, ma restano comunque di assoluto rilievo, assicurando una grinta e una sportività di tutto rispetto. La vettura è in grado di offrire una guida reattiva e brillante in ogni situazione, unendo questa vivacità all’ampio spazio a bordo e all’invidiabile versatilità complessiva. Il classico ed elegante stile della carrozzeria scoperta si fonde armoniosamente con il design moderno e deciso delle Mercedes di ultima generazione. A capote abbassata si apprezzano la pulizia delle linee, l’assenza di montanti e roll-bar a vista, la raffinata cornice cromata che contorna l’abitacolo e il gradevole coperchio rigido che protegge la capote. Le linee accattivanti della CLE
AMG sono ulteriormente valorizzate dalle nervature sul lungo cofano motore e dai passaruota allargati, che celano carreggiate significativamente maggiorate su entrambi gli assi. Il cuore pulsante della CLE 53 è il sofisticato sei cilindri in linea da 3 litri, equipaggiato con un turbocompres-
sore a gas di scarico e una seconda turbina elettrica. La combinazione dei due sistemi garantisce una risposta pronta e potente a qualsiasi regime, ulteriormente esaltata dal cambio automatico a doppia frizione Speedshift a nove rapporti. Il sistema mild hybrid, tramite un compatto generatore/motorino di avviamento, fornisce un apporto supplementare di 23 CV e 205 Nm per brevi intervalli, permettendo di accelerare da 0 a 100 km/h in poco più di quattro secondi. Di serie troviamo anche la trazione integrale 4Matic+ a ripartizione completamente variabile, oltre alle quattro ruote sterzanti. A livello dinamico la taratura specifica di tutti i componenti è ovviamente pensata per esaltare la guida sportiva e coinvolgente. Grazie alle sospensioni adattive e alle molteplici modalità di guida, la vettura può passare con un semplice tocco da una risposta morbida e confortevole a una più rigida e precisa. Tali modalità adattano anche il comportamento della trasmissione e dei sistemi elettronici di stabilità e trazione. Il comfort di marcia a capote aperta è garantito in ogni stagione. La CLE adotta le versioni aggiornate dei sistemi Aircap e Airscarf: il primo devia il flusso d’aria sopra la testa dei passeggeri, mentre il secondo diffonde aria calda su collo e spalle di conducente
e passeggero anteriore. La capote in tessuto acustico assicura un eccellente isolamento termico e acustico; il suo azionamento completamente automatizzato consente l’apertura o la chiusura in soli 20 secondi, anche in movimento fino a 60 km/h.
Il bagagliaio offre una buona capacità anche con quattro persone a bordo: 385 litri con capote chiusa, che diventano 295 litri a vettura scoperta. L’abitacolo si distingue per le finiture di pregio, con sedili rivestiti di serie in pelle naturale trattata con uno speciale rivestimento capace di mantenere la superficie fino a 12 gradi più fresca sotto il sole. Al centro della plancia spicca lo schermo multifunzione verticale da 11,9”, orientabile per migliorare la visibilità e l’usabilità in ogni condizione.
ALCUNI DATI TECNICI DELLA MERCEDES-AMG CLE 53 4MATIC+ CABRIOLET
Motore Sei cilindri in linea 3.0*
Cilindrata 2’ 999 cm3
Carburante Benzina
Potenza max. 449 cv (330 kW)
Coppia max. 560 Nm**
Velocità max. 250 km/h***
Accelerazione 0-100 km/h 4,4 sec****
Capacità serbatoio 65 litri
Peso totale 2.035 kg Trazione Integrale
*Con due turbocompressori e sistema ibrido leggero a 48V **600 Nm con overboost per 10 secondi ***270 km/h con Pack AMG Driver ****4,2 sec con modalità Race Start
LA SPORTIVA DI LUSSO RINNOVA IL SUO LOOK
La nuova Range Rover Sport SV Edition Two offre un esterno disegnato dalle prestazioni, con quattro nuovi temi particolarmente curati per garantirne la presenza assertiva e la personalità sportiva su strada: Blue Nebula Matte, Ligurian Black Gloss, Marl Grey Gloss e Sunrise Copper Satin. Ognuno accosta tinte esterne uniche a nuove finiture in fibra di carbonio, e sedili SV Performance in una gamma di colori, che offrono ai clienti una scelta di innovativi tessuti in maglia o pelle Windsor, per uno spazio interno dinamico, tecnico e accogliente. Range Rover Sport SV Edition Two presenta anche un marchio esclusivo sullo splitter anteriore, sulla consolle centrale, sulle soglie e sulle luci sottoporta; un segno distintivo di lusso sportivo che la rende immediatamente riconoscibile.
La Sport SV è la Range Rover Sport più potente e dinamica di sempre, in grado di unire prestazioni e dinamismo supremi a raffinatezza e design essenziale. La sua gamma di tecnologie mirate alle prestazioni include il sistema di sospensioni più avanzato della sua
classe e un sistema audio sensoriale con wellness benefits. In linea con le credenziali ad alte prestazioni della Range Rover Sport SV, un esclusivo design aerodinamicamente potenziato offre un’estetica più assertiva e scelte funzionali di materiali leggeri e tecnici che rafforzano le
sue capacità ed elevate prestazioni. Equipaggiata esclusivamente con un motore a benzina Twin-Turbo MHEV V8 da 635CV, 750Nm2 da 4,4 litri, Range Rover Sport SV è in grado di accelerare da 0 a 100 km/h in soli 3,8 secondi e raggiungere una velocità massima di 290 Km/h.
Queste prestazioni eccezionali sono rese possibili da una combinazione di caratteristiche che consentono un risparmio di peso fino a 76 kg, inclusi freni carboceramici in opzione e miglioramenti aerodinamici di serie, tra cui un cofano in fibra di carbonio. I clienti possono ora anche richiedere pneumatici estivi appositamente progettati per Range Rover Sport SV, che estendono le prestazioni in curva della vettura, consentendo un’accelerazione laterale fino a 1,2 G sull’asciutto (aumento di 0,1 G rispetto agli all-season di serie). Creato con il partner tecnico Michelin, lo pneumatico Pilot Sport S 5 (275/40R23 anteriore,
305/35R23 posteriore) presenta una varietà di mescole diverse su tutta la larghezza del battistrada per massimizzare le prestazioni dinamiche e l’usura. È anche possibile optare per cerchi alternativi, inclusi i nuovi cerchi in lega da 22 pollici Diamond-Turned con contrasto Satin Dark Grey, oltre a diversi colori della pinza freno. L’esterno di ogni SV Edition Two può essere personalizzato con un tetto in tinta di carrozzeria, con un nuovo Satin Forged Carbon Fibre Pack o il Twill Carbon Fibre Pack, secondo le preferenze del cliente e in base alla finitura della vernice esterna.
COME RENDERE LA SOSTENIBILITÀ PROFITTEVOLE
NICOLA SCARINZI
E MANUEL BONÙ, ENTRAMBI
POCO PIÙ CHE VENTENNI, SONO PROBABILMENTE TRA
I PIÙ GIOVANI COFONDATORI
DI UNA STARTUP TICINESE
DI SUCCESSO. MA L’ETÀ NON DEVE INGANNARE: PROVENGONO
DA FAMIGLIE IMPRENDITORIALI, HANNO IDEE E DETERMINAZIONE
DA VENDERE E IL LORO PROGETTO PUÒ DAVVERO AIUTARE LE
AZIENDE A RENDERE RINNOVABILE
UNA PERCENTUALE DICHIARATA
DEL PROPRIO CONSUMO ELETTRICO, GRAZIE AD UN PROCESSO
FACILE ED EFFICIENTE PER L’ACQUISTO DI ENERGIA “GREEN”.
La prima domanda rivolta a Nicola Scarinzi, CEO di DEC Energy ha riguardato, come ovvio, il modo in cui hanno concepito l’idea alla base del loro progetto, e la sua risposta è stata, tra il divertito e lo scanzonato, subito “illuminante”: «Tutto ha avuto origine all’università, mentre frequentavamo il primo anno del corso di laurea in “Economia aziendale” all’USI. Nell’ambito di un esame ci venne richiesto di elaborare un’idea di startup innovativa e science-based. Sapevamo come svolgere e mettere a terra l’idea, ma non avevamo ancora identificato il problema che stavamo risolvendo. Ci vollero varie modifiche e diverse conversazioni con importanti stakeholders, prima di arrivare a sviluppare una soluzione B2B focalizzata sulla sostenibilità aziendale. Devo però confessare di essere stato avvantaggiato dal fatto di provenire da una famiglia di imprenditori valtellinesi, con
varie aziende fondate da mio nonno e portate avanti da mio padre e i suoi fratelli, al cui interno sono praticamente cresciuto. La mia vocazione è sempre stata quella di fare l’imprenditore, ma alla gestione delle aziende di famiglia volevo affiancare qualcosa di mio e adesso si cominciano a vedere i risultati di questo impegno personale».
Come opera DEC Energy è presto detto: «Il nostro ruolo - prosegue Scarinzi - è sostanzialmente quello di un broker che favorisce l’incontro tra un network di proprietari di impianti fotovoltaici da una parte e dall’altra aziende che attualmente, per soddisfare i propri obiettivi di sostenibilità, si affidano all’acquisto di Garanzie d’Origine (GO), cioè certificati rilasciati dai singoli Governi direttamente ai produttori di elettricità rinnovabile, il cui scopo è confermare la provenienza “green” dell’energia. Diversamente dall’acquisto, il nostro marketplace B2B permette alle aziende di affittare pannelli fotovoltaici direttamente dai proprietari degli impianti solari. In altre parole, le aziende partecipano direttamente alla produzione di energia rinnovabile, garantendosi una autoproduzione decennale di certificati accompagnata da un flusso di cassa positivo ricorrente dall’elettricità venduta. Questa soluzione trasforma la riduzione di emissioni Scope 2 in una immediata riduzione dei costi e in prospettiva anche in un’opportunità di guadagno. In sintesi, DEC Energy offre un’efficiente alternativa, gestita in modo totalmente digitale, che consente alle aziende di generare direttamente le GO di cui hanno bisogno, potendo così dichiarare il loro consumo energetico come rinnovabile ma evitando i costi ricorrenti e volatili dei certificati. Questo approccio non
solo contribuisce a ridurre la dipendenza dai mercati tradizionali, ma consente anche alle aziende di ridurre i costi di approvvigionamento energetico fino al 20%, il tutto rispettando i più elevati obiettivi normativi e di sostenibilità».
La sfida lanciata da questa innovativa startup è dunque indubbiamente ambiziosa: realizzare prodotti e servizi all’avanguardia per gestire la complessità del settore delle energie rinnovabili, rendendolo più efficiente, accessibile ed economico. Dimostrando, soprattutto, che la sostenibilità non è necessariamente un’attività costosa, lenta e a basso valore aggiunto, verso la quale allocare scarse risorse. Al contrario, le strategie di sostenibilità possono diventare redditizie, grazie a una piattaforma all-in-one facile da usare. «Lo sviluppo del nostro progettoracconta ancora Nicola Scarinzi –ha richiesto diversi mesi di incubazione, durante i quali ci siamo avvalsi del supporto di Innosuisse, l’agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, all’interno della quale siamo stati subito selezionati
come caso di studio e abbiamo potuto profittare di un corso “forzato” di avviamento all’imprenditoria. Successivamente siamo stati incubati presso l’USI Startup Centre ed entrati a far parte di Boldbrain Startup Challenge che soprattutto attraverso l’incontro con numerosi coach ci ha consentito di mettere a fuoco diversi aspetti organizzativi e trova-
re il nostro orientamento di mercato. In quest’ultimo periodo stiamo acquisendo i primi clienti aziendali: un istituto finanziario svizzero affitterà un impianto solare con una produzione annua di 117 MWh, mentre un’azienda di moda italiana ha espresso la volontà di finalizzare un accordo da 9.190 MWh all’anno entro il secondo trimestre del 2025. Per supportare la prossima fase di crescita DEC Energy ha aperto un round di finanziamento seed da 1,2 milioni di franchi svizzeri, rivolto principalmente a investitori strategici, che non solo possono fornire capitale, ma anche accelerare la penetrazione di DEC nel mercato». Ascoltando la determinazione dei due soci fondatori cresce la convinzione che «il consumo di energia non è più un’attività passiva, ma richiede un attento monitoraggio e gestione. Offrendo accesso diretto alla produzione, le aziende possono sfruttare il loro impatto reale e la comunicazione sulla sostenibilità. Il tutto, trasformando la decarbonizzazione da un ostacolo a una fonte di reddito».
PREVIDENZA PROFESSIONALE (LPP): DA OBBLIGO
A LEVA STRATEGICA
ARES INSURANCE SERVICES SA, BROKER INDIPENDENTE CON UNA CONSOLIDATA ESPERIENZA NEL SETTORE DELLA PREVIDENZA, HA SVILUPPATO SPECIFICHE SOLUZIONI PER AFFRONTARE E RISOLVERE PROPRIO QUESTE REALTÀ.
Quando si parla di “previdenza professionale”, molti pensano ancora alla seconda colonna del sistema previdenziale svizzero: quella che si attiva automaticamente con un contratto di lavoro e che si somma all’AVS per garantire un reddito di base dopo il pensionamento.
In realtà, oggi la previdenza professionale, regolata dalla LPP (Legge sulla Previdenza Professionale), rappresenta molto di più. Può diventare una leva strategica per chi desidera ottimizzare il proprio carico fiscale, proteggere sé stesso e la propria famiglia, rafforzare il proprio patrimonio futuro. Questa evoluzione è particolarmente interessante per due categorie di professionisti che, fino a poco tempo fa, erano spesso escluse dalle possibilità più avanzate offerte dalla previdenza: i lavoratori indipendenti e i quadri e dirigenti aziendali con redditi elevati. L’obiettivo di ARES Insurance Services è uno: trasformare un obbligo in un’opportunità concreta di crescita, protezione e libertà finanziaria.
Previdenza professionale per lavoratori indipendenti: colmare un vuoto storico
Per anni, professionisti come medici, avvocati, architetti, consulenti e formatori si sono trovati esclusi dalla possibilità di costruire una previdenza professionale paragonabile a quella dei lavoratori dipendenti. Oggi, grazie all’apertura del mercato e a nuove soluzioni più flessibili, anche chi lavora in autonomia può accedere a un piano LPP costruito su misura. Questa opportunità permette non solo di creare una vera continuità previdenziale, ma anche di integrare coperture fondamentali come invalidità, infortunio e decesso, ampliando così la propria protezione personale. Un altro aspetto decisivo riguarda la deducibilità fiscale: i contributi versati nel piano previdenziale possono essere interamente dedotti dal reddito imponibile, permettendo un’ottimizzazione fiscale significativa e vantaggiosa.
In un contesto in cui la previdenza pubblica offre sempre meno garanzie in termini di sostenibilità a lungo termine, dotarsi di una strategia previdenziale autonoma e scalabile è diventato indispensabile per ogni libero professionista che voglia proteggere il proprio futuro con solidità e lungimiranza.
Previdenza sovra-obbligatoria 1E: la nuova frontiera per quadri e dirigenti
Accanto al mondo degli indipendenti, un’altra fascia professionale può oggi cogliere opportunità importanti nella gestione della propria previdenza: i quadri e dirigenti aziendali. Chi percepisce un reddito annuo superiore a CHF 136’080 può infatti accedere al piano 1E, previsto dall’art. 1e OPP2. Questa soluzione introduce un concetto innovativo nella gestione del secondo pilastro: il collaboratore non è più vincolato a un unico piano standardizzato, ma può scegliere il proprio profilo di investimento, calibrando il livello di rischio e rendimento sulla base delle proprie strategie patrimoniali personali. La previdenza diventa così uno strumento attivo di pianificazione finanziaria, e non più un semplice accantonamento passivo. Inoltre, i versamenti supplementari effettuati nel piano 1E sono pienamente deducibili fiscalmente, permettendo a quadri e dirigenti di ottimizzare la propria fiscalità in modo efficace.
Ares, come CEO & Founder di Ares insurance Services, quale è il tuo consiglio per proteggersi al meglio?
«Il consiglio che posso dare è di rivolgersi a specialisti nell’ambito della previdenza professionale, in grado di analizzare e consigliare al meglio ogni singola situazione, per quanto attiene a soluzioni previdenziale sovra obbligatorie nell’ambito 1E. Anche l’integrazione con la previdenza privata con polizze terzo pilastro in essere è essenziale. Il tutto dovrà poi essere attentamente esaminato anche dal profilo fiscale, onde evitare brutte sorprese nel momento in cui si decide per il pensionamento e si vuole accedere a questi capitali».
Previdenza su misura: una scelta, non più solo un obbligo In un’epoca in cui la previdenza pubblica fatica a garantire stabilità, e in cui la responsabilità individuale è diventata centrale, non basta più versare contributi e attendere il pensionamento. Occorre pianificare, capire, scegliere. ARES Insurance Services, da
sempre interlocutore indipendente e senza legami vincolanti con banche o istituti, si propone come guida affidabile per chi desidera trasformare la propria previdenza in una leva attiva di protezione, ottimizzazione e libertà. Che tu sia un professionista autonomo o un dirigente d’azienda, oggi hai gli strumenti per costruire il tuo secondo pilastro su misura. Perché quando si parla di futuro, scegliere oggi significa proteggere domani. E la previdenza se ben gestita, non è un peso, ma una risorsa.
ARES INSURANCE SERVICES info@aresinsurance.ch
T. +41 (0)91 930 99 90 www.aresinsurance.ch
È LA FIDUCIA LA BASE DEI RAPPORTI
ESSENTIA È UN MULTI-FAMILY OFFICE INDIPENDENTE CHE FORNISCE
CONSULENZA STRATEGICA E PATRIMONIALE AD UNA CLIENTELA
INTERNAZIONALE. GLI AMPI SPAZI DELLA SEDE LUGANESE, IN VIA PELLI 3, OSPITANO UNA AFFASCINANTE RACCOLTA DI OPERE
DELLO SCULTORE IVO SOLDINI. IL RACCONTO DI QUESTO
STIMOLANTE CONNUBIO IN UNA INTERVISTA A MICHELE CUTRUNEO, CEO DI ESSENTIA E ALL’ARTISTA LUGANESE.
ESSENTIA FAMILY OFFICE SA Via Ferruccio Pelli 3 CH-6901 Lugano
www.essentiafamily.ch
T. +41 (0)91 912 34 60
Attraverso quali passaggi si è arrivati alla costituzione di Essentia e quali sono i principali valori cui si ispira la vostra attività di multi-family office indipendente?
MICHELE CUTRUNEO: «La costituzione di Essentia risale ad un atto, quindici anni fa, del fondatore Orlando Campopiano che ha voluto dare vita ad una struttura in grado di assicurare a famiglie facoltose tutto il tempo e le risorse umane necessarie per definire strategie personalizzate finalizzate al raggiungimento degli obiettivi prefissati in ambito patrimoniale, di continuità familiare e delle dinamiche aziendali. Nel tempo si sono poi aggiunte altre figure portatrici di specifiche professionalità fino al raggiungimento dell’attuale team di lavoro che conta 13 persone. Di fatto, siamo un autentico centro di competenza dedicato a soddisfare le esigenze organizzative e di riordino degli elementi che compongono un patrimonio famigliare».
Da sinistra: Ivo Soldini, Orlando Campopiano e Michele Cutruneo
Quale valore aggiunto Essentia offre ai clienti che intendono pianificare una strategia per proteggere e valorizzare il proprio patrimonio familiare?
MICHELE CUTRUNEO: «Il nostro punto di forza è costituito dalla capacità di coniugare qualificate competenze professionali ad una vera e propria cultura della relazione che ci consente di stabilire rapporti finalizzati a durare nel tempo perché basati sulla piena fiducia e sulla totale disponibilità all’ascolto e alla comprensione di ogni specifica esigenza. La nostra attività si svolge infatti su un arco di tempo lungo, che richiede una rielaborazione periodica delle informazioni. Il valore aggiunto per il cliente risiede dunque nella possibilità di comunicare e di affidarsi ad un singolo e indipendente punto di riferimento per amministrare, valorizzare e proteggere il patrimonio familiare attraverso le generazioni future».
A quali tipologie di clienti vi rivolgete e qual è l’organizzazione grazie alla quale gestite con loro una relazione duratura e continuativa?
MICHELE CUTRUNEO: «I nostri servizi sono orientati a tutti quei clienti le cui strutture patrimoniali complesse richiedono una gestione globale in grado di garantire una gestione coordinata che permetta loro di soddisfare tutte le loro esigenze legali, personali e finanziarie. Se in passato la clientela era di provenienza prevalentemente italiana, si è poi andato ampliando il numero di facoltosi clienti domestici e internazionali ma l’offerta di Essentia si rivolge anche a strutture finanziarie interessate a sfruttare le best practices interne maturate in diversi anni di esperienza nella gestione patrimoniale e nella
consulenza aziendale. Processi ben definiti ci permettono di adattarci rapidamente a un panorama aziendale in continua evoluzione e di rispondere in modo proattivo a circostanze impreviste, liberando valore aggiunto e potenziali opportunità».
Avete scelto di esporre nella vostra sede opere di Ivo Soldini. Quali sono le motivazioni sottese a questa scelta artistica?
MICHELE CUTRUNEO: «Penso che la gestione patrimoniale e l’arte siano due mondi che hanno molti più punti in comune di quanto siamo abitualmente portati a credere: per esempio l’importanza di una visione, il rispetto dalla cultura e la ricerca del valore nel tempo. La collaborazione tra Essentia e Ivo Soldini dura da molti anni e si rinnova adesso conferendo ai nostri nuovi uffici un’impronta di raffinatezza e ispirazione, ricordandoci che proprio come nell’arte anche nella gestione dei patrimoni servono lungimiranza, esperienza e cura dei dettagli».
Come si inseriscono nel suo percorso artistico le opere esposte presso Essentia e quali sono le tematiche che esse affrontano?
IVO SOLDINI: «Sono legato al fondatore di Essentia e ai suoi manager da profondi rapporti di amicizia, ma ciò che più mi ha convinto ad esporre le mie opere in questi bellissimi spazi è che essi, così come le persone che vi lavorano, trasmettono vita, sentimenti, valori, a cominciare da quel senso di reciproca fiducia che dovrebbe essere sempre alla base di tutti i rapporti. Dunque le mie opere, per lo più bronzi ma anche alcune punte secche e dipinti ad olio, non hanno solo l’obbiettivo di accrescere la piacevolezza estetica del luogo, ma di consentire alle persone di entrare in immediata sintonia con esse, essendo partecipi di un reciproco spirito di condivisione».
Come nasce e si sviluppa il rapporto tra un artista e un committente privato e quale è stata, in particolare, la sua esperienza con Essentia?
IVO SOLDINI: «Alcune opere sono state appositamente create per questi spazi come il grande torso femminile che sembra quasi proteggere l’intero ambiente, creando una similitudine con l’importanza della funzione della protezione patrimoniale. Oppure il gruppo di figure tra loro raccolte che sembrano simboleggiare il lavoro di un team, unito nel perseguire un comune obbiettivo. Ma l’elenco dei valori che avvicinano l’arte alla gestione sono in ogni caso numerosi, come la velocità nel concepire un’idea e la pazienza nel realizzarla, la tensione che deve guidare un processo creativo e la calma che accompagna il raggiungimento del risultato prefisso. E poi, il senso del tempo, il ruolo della famiglia, l’entusiasmo del fare e, soprattutto, la volontà di mantenersi in ogni opera o lavoro umano sempre fedeli a sé stessi e ai propri valori».
SERRAMENTI A REGOLA D’ARTE
SALVATORE RESTUCCIA, FONDATORE E TITOLARE
DI FINEXTRA, AZIENDA COMASCA
OGGI PRESENTE ANCHE
A MENDRISIO, PRESENTA I LAVORI
REALIZZATI PER RESIDENZA 27
IN VIA TREVANO A LUGANO CHE
BEN ESEMPLIFICANO LA QUALITÀ
DI UN INTERVENTO GLOBALE
COMPRENDENTE INFISSI, FINESTRE, PORTE INTERNE E BLINDATE.
Quali sono le principali caratteristiche di questa costruzione realizzata nel cuore di Molino Nuovo, a soli 10 minuti a piedi dal lago e dal centro storico?
«L’operazione immobiliare è stata promossa da Immo-rail SA, un’azienda a conduzione familiare il cui forte sviluppo è stato determi -
nato a partire dal 2014 dall’ingegner Andrea Cossutti, laureato in Ingegneria Energetica al Politecnico di Milano, che trascinato dalla passione edilizia tramandata dal nonno, grande architetto milanese, si è specializzato nella realizzazione di edifici messi nella quasi totalità a reddito. In questo caso però la costruzione della Residenza 27, progettata dall’arch. Iacopo
Gabaglio di Extempore Studio, prevedeva oltre agli appartamenti di diverso taglio e metratura anche la realizzazione al piano superiore di un grande attico dotato di soluzioni e finiture di particolare qualità e impatto estetico».
Qual è stata dunque la principale sfida che avete dovuto affrontare e risolvere?
«La richiesta proveniente dalla proprietà, e chiaramente specificata nel capitolato di appalto dei lavori, riguardava la ricerca relativamente ai serramenti di una soluzione in grado di assicurare all’esterno dell’edificio un’omogeneità estetica e che, all’interno dell’attico, potesse con -
sentire la posa di un prodotto ancor più di design. Il problema è stato risolto con l’adozione in tutto l’edificio di serramenti in PVC/alluminio, mentre all’interno dell’attico è stata montata una struttura in alluminio con anta tutto vetro. Complessivamente il nostro intervento ha comportato la realizzazione di circa un centinaio di serramenti».
Quali altre soluzioni tecniche da voi adottate si dimostrano vincenti nella scelta e nella posa dei serramenti? «Vorrei innanzitutto sottolineare il fatto che diversamente da quanto di solito avviene in Svizzera noi siamo soliti adottare l’utilizzo del controtelaio, un elemento fondamentale nella posa di serramenti, in particolare per finestre e porte, perché svolge un ruolo cruciale nel garantire una corretta installazione e performance del serramento. Si tratta di una sottostruttura che viene montata nella muratura prima del
montaggio del serramento, consentendo di effettuare in anticipo tutta una serie di lavori di adattamento e finitura. I vantaggi sono evidenti nella tempistica e nell’assunzione da parte nostra di tutta la responsabilità relativa alla corretta messa in opera di questo elemento: in questo modo agevoliamo il lavoro dell’impresa di costruzione e al tempo stesso evitiamo l’insorgere di qualsivoglia problema al momento del montaggio dei serramenti. Non ultimo proteggiamo i serramenti stessi dall’inevitabile deterioramento e dai danneggiamenti che molto spesso si registrano in cantiere».
L’adozione di un controtelaio comporta tuttavia un aggravio di costi…
«È vero, ma questo incremento di costi viene ampiamente riassorbito se si considerano i tempi, la semplificazione e la qualità ottenuta nella posa complessiva dei serramenti. E poi va tenuto conto di un altro grande van-
taggio, quello della facilità, in un tempo successivo, della sostituzione di un serramento, perché danneggiato e semplicemente non più corrispondente al gusto di chi abita quella casa, senza la necessità di dover intervenire sulla muratura, con un lavoro molto più lungo, complesso e costoso. L’utilizzo del controtelaio è un plus assoluto proposto da Finextra e in questo senso siamo ben lieti di essere all’avanguardia in Svizzera nel promuovere una soluzione così pratica, vantaggiosa e garantita nei suoi risultati».
Lavori come questo realizzato in via Trevano rappresentano per voi un’ottima referenza… «Assolutamente sì. Si tratta di un prodotto di alto livello, che ha comportato l’utilizzo di soluzioni e prodotti tutti certificati Minergie, lo standard svizzero per comfort, efficienza e protezione del clima, sia per le nuove costruzioni sia per i risanamenti. Nel suddetto attico abbiano inoltre avuto modo di applicare soluzioni di grande effetto estetico, come vetri scorrevoli incassati nella muratura senza vederne il telaio. L’evoluzione che si è registrata nel corso degli ultimi anni nella produzione di serramenti ci consente oggi di proporre soluzioni avveniristiche di grande impatto
visivo. Infine mi piace sottolineare il fatto che per il montaggio di grandi vetrate come quelle scelte per l’attico di questa palazzina abbiamo dimostrato di disporre di sofisticate capacità tecniche e di una squadra di posatori particolarmente affidabile e competente».
FINEXTRA SAGL
Via Penate 7
CH-6850 Mendrisio T. +41 91 6464244 www.finextra.ch
BELLEZZA, ARMONIA E SOSTENIBILITÀ
In che modo è necessario intendere il concetto di sostenibilità a proposito di giardini e di verde domestico?
«Il giardino dovrebbe essere un luogo in cui possiamo rilassarci, goderci la bellezza dei fiori, la natura di un prato su cui distenderci e dove poter
vedere i nostri figli giocare. Tutto questo è indissolubilmente legato alla vita che ci circonda, al fatto che siamo in salute e che esistono moltissime specie che ci danno felicità quando le vediamo, le tocchiamo e quando ci prendiamo cura di loro. Anche noi siamo parte dell’ecosistema: viviamo grazie all’acqua pulita
ALFREDO BARATELLA, FONDATORE DELL’AZIENDA
CHE SI OCCUPA PRINCIPALMENTE
DI PROGETTAZIONE
E MANUTENZIONE GIARDINI
E OFFRE LA SUA COMPETENZA
PER PROGETTI E OPERE DI
BIO INGEGNERIA, SI FA PORTATORE
DI UNA VISIONE OLISTICA
DEL RAPPORTO TRA L’UOMO
E LA NATURA.
che possiamo bere, all’aria che viene purificata dalle foglie degli alberi e dal suolo. Per goderne appieno, abbiamo bisogno della salute fisica. La sostenibilità contribuisce a rendere i nostri spazi puliti, sani e accessibili anche ad altre persone, in funzione delle scelte che compiamo, anche in ambito paesaggistico».
Alfredo Baratella
Florian Wandeler
A quali criteri occorre ispirarsi nella progettazione e gestione di un giardino al fine di minimizzare l’impatto ambientale e promuovere la biodiversità?
«Anche nella progettazione degli spazi verdi, noi professionisti del settore siamo influenzati da mode, desideri, capricci e dalla nostra visione del paesaggio. Con il tempo ci siamo accorti che alcune scelte non sono state sostenibili, anche se rispondevano alle mode del momento: ulivi secolari, tappeti erbosi all’inglese, specie esotiche, concimi minerali, prodotti chimici.
I criteri dovrebbero invece ispirarsi alla capacità di apprezzare ciò che ci circonda. Per esempio: cosa ha di più bello un ulivo rispetto a una quercia? Cosa ha di più bello un tappeto inglese rispetto a un prato fiorito? Forse è la ricerca di ciò che non abbiamo? L’erba del vicino deve per forza essere sempre più verde? Dove risiede la bellezza: nel nuovo o nel garantire la sopravvivenza del vecchio? Quando ci troviamo in un ambiente naturale, perché ci sentiamo pervasi da sentimenti di pace e siamo estasiati da ciò che ci circonda? Le risposte a queste domande possono aiutare cia-
scuno di noi a trovare i criteri della sostenibilità, della biodiversità e dell’ecologia in senso ampio, senza cadere in concetti banali».
Un tema importante riguarda l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici. Come possono essere ridotti o addirittura sostituiti da altri prodotti o processi naturali? «Questo è un tema centrale, con cui ci confrontiamo da almeno vent’anni. Se un tempo la scelta biologica non disponeva di molti strumenti per affrontare problemi come la concimazione o la cura delle piante, oggi – e dobbiamo riconoscerlo – grazie alla politica agricola, le aziende produttrici sono state costrette a fare ricerca nel campo biologico. Finalmente, le alternative ecologicamente sostenibili sono oggi più numerose di quelle chimiche, sia per quanto riguarda i concimi, sia per i pesticidi. Senza una chiara presa di posizione da parte degli uffici dell’agricoltura, che attraverso ricerche neutrali hanno evidenziato i danni dei biocidi alla biodiversità e alla salute umana, non saremmo giunti fin qui. Purtroppo, non tutti i Paesi stanno seguendo questo percorso, e possiamo davvero ringraziare chi ha creduto in questo cambiamento, osando opporsi a pensieri molto radicati e a lobby estremamente influenti».
Infine, un giardino costituisce un ecosistema ricco e complesso. Come garantire anche il rispetto e la valorizzazione della vita animale all’interno del proprio giardino? «Partirei dal concetto che si ha paura di ciò che non si conosce. Osservando il comportamento dei miei figli quando incontrano un insetto, mi rendo conto che senza un’ade -
guata istruzione non potremo mai garantire la biodiversità. Nei nuovi piani di studio delle scuole professionali, stiamo dando sempre più spazio all’aspetto ecologico, e questo sta lentamente trasformando anche i nostri giardini. Rimangono comunque confini difficili da superare, come l’idea che il giardino debba essere dominato da ordine e pulizia, mentre la natura ci regala meravigliose espressioni di un disordine controllato. Oppure, come l’abitudine di recintare i giardini con reti metalliche e siepi invalicabili, che bloccano lo sguardo – e non solo quello – ai confini della nostra proprietà. Anche quando parliamo di proprietà, dovremmo ricordare che siamo noi ad appartenere alla terra, e non viceversa».
BARATELLA GIARDINI SAGL
Via Antonietti 9
CH-6900 Paradiso
T. +41 (0)78 882 45 94
UNA REALTÀ INTEGRATA E MULTIDISCIPLINARE
LO
STUDIO
FIDUCIARIO PAGANI SA, PRESENTA LE ULTIME NOVITÀ INTRODOTTE
NELL’ORGANIZZAZIONE DEL
GRUPPO PAGANI LEADER NEL CAMPO
DELLA CONSULENZA FISCALE, AZIENDALE, FINANZIARIA E IMMOBILIARE.
Lo Studio Fiduciario Pagani SA ha recentemente vissuto un’importante evoluzione strategica, celebrando oltre vent’anni di attività e avviando da alcuni anni un ambizioso percorso di crescita che sta raggiungendo la sua piena realizzazione nel 2025. Quali sono stati i passaggi chiave che hanno segnato questo processo di sviluppo e quali le sfide più rilevanti che vi attendono in questa nuova fase?
«Lo Studio Fiduciario Pagani SA costituisce il nucleo della consulenza fiduciaria commerciale del Gruppo Pagani, forte di una solida esperienza nella consulenza aziendale e fiscale; insieme agli altri due pilastri del Gruppo Pagani, operanti rispettivamente nei settori finanziario e immobiliare, si propone di offrire un servizio ampio, integrato e trasversale, spesso descritto come una consulenza a 360 gradi. Fin dalle origini abbiamo puntato su un servizio su misura, flessibile e aderente alle esigenze concrete del cliente: dall’artigiano al libero professionista, fino ai gruppi internazionali.
Operiamo esclusivamente in Svizzera, dove concentriamo tutte le no -
stre competenze per offrire un’assistenza altamente specializzata e profondamente radicata nel territorio. Un momento chiave nel nostro percorso evolutivo è stato l’apertura della sede di Zugo nel 2023: una scelta strategica pensata per rafforzare la nostra presenza oltre Gottardo e rispondere in modo diretto a una clientela sempre più mobile e diversificata. Nel 2025 ha preso forma Pagani Group Corporate Services SA, la nuova entità con cui intendiamo presentarci al mercato per consolidare il nostro ruolo di riferimento nazionale nella consulenza integrata, rivolgendoci non solo a PMI dinamiche, ma anche a Gruppi strutturati con esigenze complesse e articolate. Accanto al consolidamento della nostra presenza nella Svizzera tedesca, abbiamo voluto rafforzare anche il radicamento nel Canton Ticino: alla storica sede di Lugano, nel Sottoceneri, si affiancherà da giugno la nuova filiale di Bellinzona, nel Sopraceneri. Un assetto territoriale che ci permette di garantire prossimità, continuità e un servizio altamente personalizzato, ulteriormente valorizzato dal nuovo servizio di “Family Office” dedicato a famiglie e clienti selezionati che intende mettere in sinergia
le varie aree di consulenza de Gruppo Pagani (fiscale, aziendale, finanziaria e immobiliare). Il nostro sviluppo, tuttavia, non si è limitato agli aspetti organizzativi o territoriali: è stato, prima di tutto, un’evoluzione culturale. Abbiamo investito in persone, competenze e relazioni, mantenendo come valori guida la fiducia, la qualità e la vicinanza al cliente. Le sfide future? Consolidare la nuova identità del Gruppo, integrando sinergicamente le diverse aree di consulenza, al fine di rafforzare il nostro ruolo di partner strategico per tutte le realtà imprenditoriali – grandi o piccole – che riconoscono nella Svizzera un ambiente ideale per crescere, investire e strutturarsi con solidità».
Dopo aver delineato il percorso di crescita del Gruppo e la nuova organizzazione su scala nazionale, parliamo del rafforzamento del team dirigenziale nella sede di Lugano. Una delle figure chiave che contribuiscono attivamente a questa nuova fase è Alessandra Gianella, con responsabilità nella gestione del Family Office e nello sviluppo di nuovi mercati. Qual è il valore aggiunto del suo percorso professionale? «L’ingresso di Alessandra Gianella si inserisce nella nostra strategia di crescita qualitativa. In una fase in cui puntiamo su servizi sempre più
integrati e su misura, cercavamo una figura con visione internazionale, competenze strategiche e un’esperienza solida tanto nella consulenza quanto nelle relazioni economiche e istituzionali. Il suo percorso è articolato: studi in sinologia, storia moderna e scienze politiche tra Zurigo e la Zhejiang University in Cina, completati da un master in economia e management pubblico. Ha diretto per oltre quattro anni la sede ticinese di economiesuisse, lavorando a stretto contatto con il Parlamento federale, imprese e dossier economici strategici, costruendo una rete di relazioni trasversali. Oggi coordina il Family Office e lo sviluppo dei mercati Cina e Nord Europa, due aree con forti potenzialità, in particolare per famiglie imprenditoriali e investitori. La sua presenza rafforza il nostro posizionamento come interlocutore strategico per clienti internazionali con esigenze complesse, offrendo una guida esperta, affidabile con una solida sensibilità interculturale».
La direzione congiunta di Diego Attivissimo e Alessandra Gianella segna un nuovo assetto per la sede di Lugano dello Studio Fiduciario Pagani SA, senza interrompere la continuità costruita negli anni. Come nasce questa configurazione e in che modo rafforza la capacità del Gruppo Pagani di offrire un servizio integrato e personalizzato, in linea con le sfide del mercato attuale?
«In un contesto economico sempre più complesso e accelerato, il Gruppo Pagani rafforza il proprio modello di consulenza attraverso un’organizzazione più capillare, agile e radicata sul territorio.
Lo Studio Fiduciario Pagani di Lugano, che affianca oltre 130 realtà aziendali grazie a un team coeso e altamente qualificato, inaugura una nuova fase di sviluppo affidando la guida operativa a Diego Attivissimo – già attivo nella consulenza fiscale e societaria –che assume ora la direzione della clientela aziendale del Sottoceneri. Accanto a lui, Alessandra Gianella coordina le attività di Family Office, dando forma a una direzione congiunta che integra competenze complementari e una visione ampia e strutturata dei bisogni del cliente, anche oltre l’ambito strettamente aziendale.
Questa nuova configurazione si inserisce nel solco della continuità costruita negli anni da Nicola Franchini, Partner storico del Gruppo, oggi impegnato nello sviluppo delle sedi di Zugo e Bellinzona. La sua esperienza resterà comunque un punto di riferimento costante, in particolare per le operazioni straor -
dinarie e nei passaggi strategici più delicati. Il nuovo assetto permette di coniugare presidio quotidiano e visione d’insieme. Diego coordina le attività della sede e mantiene un contatto diretto con le imprese, garantendo un servizio di qualità, in sinergia con Alessandra, che contribuirà a rafforzare l’assistenza al cliente in chiave integrata. L’obiettivo è favorire un dialogo sempre più fluido e sinergico tra la consulenza fiscale e aziendale e le altre aree professionali del Gruppo Pagani: la consulenza finanziaria, guidata da Giovanni Pagani, e il comparto immobiliare, curato da Matteo Pagani. ll Gruppo Pagani si presenta così come una realtà integrata, verticale e multidisciplinare, capace di offrire un servizio personalizzato, tempestivo e strategico, pensato per rispondere con visione e precisione alle esigenze specifiche di ogni cliente.
www.paganigroup.com
Diego Attivissimo
Alessandra Gianella
UN MENTORE
DAL TICINO ALL’ENGADINA
DI DIMITRI
LORINGETT
È STATO A LUNGO NEI «PIANI ALTI» DELLA COMUNICAZIONE NELLA BERNA FEDERALE. POI, LA SVOLTA NEL MONDO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI E DEI GRANDI EVENTI SPORTIVI CHE HANNO PORTATO IL TICINESE ROBERTO RIVOLA A SVOLGERE INCARICHI PRESTIGIOSI, TRA CUI QUELLO DI RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE AI CAMPIONATI MONDIALI DI CICLISMO SU STRADA UCI DI MENDRISIO NEL 2009. DA TRE LUSTRI VIVE E LAVORA IN ENGADINA, DAPPRIMA PRESSO ENGADIN
ST. MORITZ TOURISMUS E DA CINQUE ANNI CON LA SUA SOCIETÀ MOVIMENTOR, DOVE UNISCE LA SUA PASSIONE PER LA CORSA IN MONTAGNA E LA CONSULENZA IN COMUNICAZIONE E DOVE HA ORGANIZZATO E GESTITO LA COMUNICAZIONE PER IL MONDIALE DI FREESTYLE 2025.
Immaginiamoci di ricevere una chiamata chiedendo di organizzare la comunicazione per una competizione internazionale di sci - a poco più di un anno dall’inizio dell’evento. Immaginiamoci poi che le gare ben 17 afferenti alla categoria Freestyle, di cui non si conosce praticamente nulla. «Un tempo le piste da sci, nel pomeriggio, erano piene di gobbe, che nel mondo del Freestyle si chiamano mogul: questo primo “aggancio” mi è stato utile per iniziare a capire meglio queste giovani discipline», ha raccontato Roberto Rivola, anedotticamente, in apertura dell’incontro organizzato a inizio maggio scorso dalla Società Ticinese di Relazioni Pubbliche in collaborazione con Swiss Marketing Ticino nella suggestiva cornice dello Splash & Spa di Rivera. Le cifre relative al Mondiale di Freestyle 2025, che si è svolto nella seconda metà di marzo in Engadina, tra St. Moritz, Corviglia e Corvatsch, sono impressionanti: 1.800 partecipanti tra sportivi e staff e 800 volontari, 30 finali e 90 medaglie, atleti provenienti da 48 Paesi diversi, 100 mila visitatori alle gare e 15 mila agli eventi collaterali, per un bilancio finanziario di 22 milioni di franchi. Roberto Rivola si è però soffermato soprattutto sugli aspetti comunicativi dell’evento: 650 articoli di stampa in Svizzera e 4 mila in Germania, 174 ore di riprese video, di cui 67 in diretta e trasmissioni in oltre 20 Paesi per 58 milioni di spettatori, a cui si aggiungono 260 milioni contatti streaming. Rivola e la sua squadra hanno però dovuto affronta-
re molte sfide, specie a carattere logistico. Si pensi solo agli spostamenti degli oltre 300 giornalisti accreditati, di cui la metà nei settori foto/video, da «distribuire» su quattro centri stampa. «Ma la sfida nella sfida era gestire il “nuovo mondo” dei media, prevalentemente orientati alle immagini e spesso legati strettamente agli atleti - a ai loro sponsor - con esigenze “non standard”, tra riprese con droni, GoPro, ecc.», ha spiegato Rivola. All’incontro si è riflettuto anche sull’evoluzione dei media e della comunicazione. In una scheda conclusiva Rivola ha confrontato i mezzi utilizzati nel 2009 a Mendrisio con quelli usati quest’anno a St. Moritz, dove si nota un maggior numero di «variabili» - foto, video, piattaforme social e streaming e tecnologie informatiche - che richiedono «un po’ freestlying», ha detto scherzosamente Rivola. Infine, l’esperto ha condiviso anche la sua esperienza con i giovani con cui ha lavorato, ognuno con le proprie «micro-competenze». «La formazione di base resta fondamentale, non ci si può improvvisare in questo mestiere», dice Rivola, che parla anche del prezioso passaggio generazionale. «C’era molto rispetto reciproco fra di noi e ho trovato interessante le “interpretazioni” dei giovani, specie nel paradigma social e delle nuove tecnologie, come l’IA. Dai ragazzi ho imparato cose nuove, come loro hanno imparato dal mio trascorso. È stata un’esperienza, per me, anche di “mentoring” e di trasferimento della conoscenza, che nell’era iper-digitale resta ancora molto importante».
IL MOBILE ALLA CONQUISTA DI NUOVI MERCATI
L’EDIZIONE 2025 DEL SALONE
DEL MOBILE, SVOLTASI
IN UN CONTESTO DI FORTE TURBOLENZA DEI MERCATI
HA SUPERATO LE 300.000
PRESENZE, UN DATO IN LINEA
CON LA BIENNALE EUROLUCE
2023, A CONFERMA DEL RUOLO
CHIAVE DELLA MANIFESTAZIONE
CHE QUEST’ANNO HA ACCESO
I RIFLETTORI SU 2.103 ESPOSITORI
PROVENIENTI DA 37 PAESI, PROPONENDO UN’OFFERTA
DI IDEE, PRODOTTI E SERVIZI
SENZA UGUALI. IL COMMENTO
DI MARIA PORRO, PRESIDENTE
DEL SALONE DEL MOBILE MILANO.
Con quale bilancio si chiude questa edizione del Salone del Mobile?
«Direi che fra i tanti dati positivi emerge la percentuale di operatori esteri, pari al 68% delle presenze, la più alta di sempre, a conferma del ruolo chiave della manifestazione che ha offerto nuove opportunità di business verso 151 Paesi del mondo. L’indice di soddisfazione dei visitatori si attesta all’88%, mentre quello dell’intenzione di ritorno degli espositori è pari al 94%. La classifica per Paesi di provenienza conferma la Cina prima in classifica, tuttavia in flessione rispetto alle presenze del 2024, segnale di un’economia che sta affrontando sfide strutturali interne ed esterne. Il dato è bilancia -
to dalla tenuta complessiva delle presenze di operatori europei, in linea con il valore dell’export del macrosistema arredo italiano verso il primo mercato unico mondiale (circa 10 miliardi di euro nel 2024, 51% del totale). Dopo la Germania al secondo posto, sono in forte crescita le presenze da due tra i mercati più performanti nel 2024 per l’export del macrosistema arredo: Spagna e Polonia. Seguono in classifica Brasile, Russia, Francia, Stati Uniti, India e Svizzera».
Si può già parlare di mutamenti nella geografia del business, all’indomani dall’annuncio dei dazi americani e della crescita di tensioni internazionali sui mercati?
«Erano presenti in fiera 350 tra grandi investitori, buyer, retailer, contractor e media da 50 Paesi con 27 delegazioni provenienti da Asia e Paesi del Golfo. Tra i mercati chiave nel riorientamento dell’offerta spiccano gli Emirati Arabi Uniti. Salgono poi dal 20esimo al 13esimo posto le presenze dal Giappone e, sempre nell’area centro-asiatica, emerge il ruolo della Corea del Sud. A questi numeri si sommano le 39mila presenze del SaloneSatellite, che si conferma dizionario internazionale della creatività contemporanea, un punto di riferimento per le
aziende alla ricerca di nuovi talenti. Il settore dell’arredo ha dimostrato, ancora una volta, quanto qualità e innovazione di processo e prodotto siano ingredienti chiave di una competizione internazionale sempre più sfidante».
Grande successo anche per quanto riguarda il Salone Euroloce… «In linea con le aspettative, Euroluce ha ridefinito il futuro dell’illuminotecnica, creando una spinta nella competitività tra aziende italiane all’avanguardia – con oltre l’80% del fatturato complessivo generato dall’estero – e un 45% di aziende estere, leader del settore».
La città di Milano ha risposto con grande partecipazione alle iniziative proposte dal Programma Culturale… «Grande successo di numeri per il Programma Culturale del Salone 2025 che, quest’anno, dalla fiera ha abbracciato la città con due grandi progetti, realizzati in collaborazione con due tra le più prestigiose istituzioni milanesi. Ab -
biamo cercato di costruire nuovi percorsi di pensiero, insieme ad alcuni tra i più visionari protagonisti del contemporaneo. Sono state 95.300 le persone che hanno visitato The Library of Light, l’installazione a firma di Es Devlin che, nell’anno di Euroluce, ha illuminato il Cortile d’Onore della Pinacoteca di Brera con un omaggio al valore della conoscenza. Mentre Robert Wilson. Mother, al Museo della Pietà Rondanini - Castello Sforzesco, ha registrato, in poche ore, il tutto esaurito per l’intera Settimana del Salone del Mobile. Nel perimetro di Fiera Milano, Rho, tutto esaurito anche per La dolce attesa del regista Premio Oscar Paolo Sorrentino, un invito a una riflessione sul valore del tempo e l’incertezza. Sempre in fiera, Villa Héritage, il progetto di interni affidato all’architetto francese Pierre-Yves Rochon, ha generato nuova “meraviglia”, grazie a una rilettura, eseguita con grande sensibilità, dell’alta manifattura di ieri e di oggi e il contributo di oltre 40 brand Made in Italy».
Guardando all’edizione 2026, che si terrà dal 21 al 26 aprile, quali previsioni si possono fare riguardo all’andamento del settore arredo e alle prospettive del Salone?
«Puntiamo al 2026 con determinazione: l’anno prossimo ci attendono nuove, grandi sfide. Il nostro impegno è lavorare a un format ancora più inclusivo, con focus su PMI e mercati emergenti. Lo faremo insieme alla filiera con l’obiettivo di trasformare le difficoltà in opportunità. Insieme alle istituzioni italiane ed europee, da cui aspettiamo risposte concrete a favore di un settore strategico non solo per il Sistema Italia. Insieme a Milano, che deve impegnarsi a individuare e garantire un nuovo punto di equilibrio per accogliere al meglio chi soggiorna in città in vacanza o per business. Il Salone crea valore durevole a vantaggio di una molteplicità di soggetti. Penso sia arrivato il momento che tutti, a livello territoriale e nazionale, mettano in campo le azioni necessarie perché Milano possa continuare ad alimentare il successo di questo evento unico al mondo».
CREATORE
DI FORME ICONICHE
UNA PRESTIGIOSA CARRIERA
FATTA DI PASSIONE E DEDIZIONE VERSO IL MONDO DELL’ARCHITETTURA E DEL DESIGN, FINO AL MARKETING DEL PRODOTTO INDUSTRIALE, ALLA GRAFICA E AGLI ALLESTIMENTI.
RICONOSCIUTO TRA I MIGLIORI
TALENTI DEL DESIGN INTERNAZIONALE HA COLLABORATO CON I PIÙ IMPORTANTI BRAND DEL DESIGN ITALIANO COME FLEXFORM, GIORGETTI, POLIFORM, CAPPELLINI, LEMA, FLOU, ANTONIO LUPI, ARTEMIDE, BENTLEY HOME, BUGATTI HOME, ELIE SAAB MAISON, TRUSSARDI CASA, OLIVARI, PER SOLO CITARNE ALCUNI.
La vita e l’attività dell’ arch. Carlo Colombo si è sempre snodata tra arte e design, due mondi che spesso sono confluiti l’uno nell’altro dando vita a oggetti e arredi entrati di diritto a far parte dell’eccellenza della creatività italiana e internazionale. Dopo aver nel 2011 insegnato interior design presso l’Università di Beijing, nel 2013 ha fondato a Lugano, con Paolo Colombo, lo studio A++, che si occupa di progetti di architettura e di interni su larga scala in tutto il mondo, con studi a Lugano, Milano, Miami, Dubai. I suoi progetti sono stati esposti a Parigi, al Weserburg Museum für moderne
Kunst di Brema nel 1995, al Museo delle arti decorative di Colonia nel 1996, alla Triennale di Milano nel 2016 e al MARCA, Museo delle Arti di Catanzaro nel 2017. Ha ricevuto oltre 30 premi alla carriera e partecipato come relatore a più di 50 conferenze nel mondo come ambasciatore del Design
In riferimento all’edizione 2025 del Salone del Mobile di Milano, come cambia la geografia degli operatori presenti, espressione di una evoluzione della struttura dei mercati di riferimento del settore? «Ho osservato con grande interesse l’evoluzione della geografia degli operatori presenti al Salone del Mobile. Questa trasformazione riflette un cambiamento significativo nella struttura dei mercati di riferimento del settore. L’edizione 2025 ha registrato più di 300.000 presenze, con un record del 68% di operatori esteri provenienti da 151 Paesi, sottolineando l’attrattiva globale del Salone. Questi dati evidenziano una tendenza verso la diversificazione dei mercati di riferimento, con un crescente interesse verso aree come l’Asia e il Medio Oriente. Questa evoluzione offre nuove opportunità per il design italiano, che può espandere la propria influenza e adattarsi alle esigenze di mercati emergenti, mantenendo al contempo la propria identità e qualità distintive».
Si è fatto un gran parlare di intelligenza artificiale. Si possono già intravedere tracce di questa presenza nella progettazione di arredi e quali sono in proposito le sue personali valutazioni?
«Si parla molto di intelligenza artificiale, ed è inevitabile che anche il mondo del design inizi a confrontarsi con questo nuovo strumento. Dal mio punto di vista, l’intelligenza artificiale è una risorsa, ma deve rimanere tale: uno strumento al servizio della creatività umana, non un sostituto. Esistono software di AI in grado di generare render, esplorare combinazioni cromatiche, ottimizzare i materiali o simulare scenari d’uso e layout in tempo reale. Questo, soprattutto nella fase preliminare del progetto, può essere utile per accorciare i tempi, testare più varianti. Tuttavia, l’anima del progetto, la visione, la sensibilità, il rapporto con la materia, la cultura del gesto e dell’abitare rimangono territori profondamente umani. L’intelligenza artificiale non ha memoria emotiva, non conosce le mani dell’artigiano. Vedo l’AI come un alleato silenzioso: utile, preciso, talvolta sorprendente. Ma nel mio lavoro, la centralità
dell’uomo, dell’architetto, del designer, del committente, rimane imprescindibile. Il vero design nasce da un’intuizione che è insieme culturale, emotiva e personale. E questo, almeno per ora, nessuna intelligenza artificiale è in grado di replicarlo».
Lei era presente al Salone con numerose opere realizzate per i brand più prestigiosi. Quali sono i principali concetti che hanno guidato le sue scelte progettuali?
«Anche quest’anno ho avuto il privilegio di presentare diverse collezioni al Salone del Mobile, collaborando con brand come Giorgetti, Artemide, Antoniolupi, Lema, Flou, Bentley Home, Bugatti Home, Elie Saab Maison, solo per citarne alcuni. Quando affronto un nuovo progetto, cerco sempre di coniugare estetica, funzione ed emozione. Credo che oggi, più che mai, ci sia il bisogno di prodotti e spazi autentici, che sappiano essere raf-
finati ma anche accoglienti. L’uso di materiali naturali, lavorati con maestria artigianale, è fondamentale: le-
gno, pietre, metalli, ogni materiale racconta una storia, e il mio compito è farla emergere attraverso il progetto.
La bellezza sta nell’equilibrio, nella proporzione, nella continuità tra le parti. Questo approccio è il filo conduttore del mio lavoro, anche quando affronto linguaggi diversi a seconda del brand. Le mie scelte progettuali si fondano su un’idea di design come espressione di cultura, rigore e sensibilità. È questo il linguaggio che porto avanti, con rispetto per la tradizione e uno sguardo sempre rivolto al futuro».
Allargando lo sguardo alla città di Milano qual’è la sua valutazione riguardo al modo in cui essa ha fatto fronte all’evento e quali correttivi andrebbero apportati in vista delle edizioni future? «Milano ha confermato il suo ruolo centrale come capitale del design, accogliendo l’edizione 2025
del Salone del Mobile con grande energia, capacità organizzativa e una forte identità culturale. La città si è trasformata in un palcoscenico globale, capace di attrarre creativi, aziende e pubblico da ogni parte del mondo. Alcune criticità meritano attenzione. In primo luogo, la mobilità urbana: durante l’evento, trasporti pubblici e viabilità risultano spesso sotto pressione. Servirebbe un potenziamento mirato dei collegamenti, soprattutto verso i distretti del Fuorisalone. Infine, sarebbe auspica -
bile un maggiore coinvolgimento delle periferie, come occasione di rigenerazione e inclusione. Milano ha fatto molto, ma può e deve continuare a evolversi come modello di città del futuro: più sostenibile, connessa e inclusiva».
Bugatti Home Type_1 Sofa
Bentley Home Ashford sofa
Bugatti Home
Type_3 Sofa
Elie Saab Maison Eclisse
Bugatti Home Type_17 Armchair
Giorgetti
Moorea Chair
STILE NUOVO E RICERCATO
POLIFORM SI RACCONTA ATTRAVERSO UN’ESPOSIZIONE IMMERSIVA E ALTAMENTE SENSORIALE. A DEFINIRE GLI SPAZI È UN SAPIENTE GIOCO DI DIRETTRICI CHE SUDDIVIDE GLI AMBIENTI E SCANDISCE IL RITMO DELL’ABITARE, CREANDO UN CONTINUO DIALOGO CON L’ESTERNO E LA NATURA CHE AVVOLGE LA CORNICE ARCHITETTURALE.
Il racconto progettuale stupisce e conquista per l’appeal inedito, il fascino eclettico e un’atmosfera esclusiva, frutto di un sapiente equilibrio di linguaggi differenti, in perfetta coerenza con lo stile Poliform e il suo ideale di vivere contemporaneo. In una elegante scenografia prendono posto le novità firmate Jean-Marie Massaud, Emmanuel Gallina, Soo Chan e, per la prima volta, studioutte, che arredano gli spazi indoor e outdoor, in armoniosa continuità stilistica.
Area living, family room e dining room compongono l’ampia zona giorno, dove il comfort prende forma nei due nuovi sistemi di imbottiti disegnati da Jean-Marie Massaud: la collezione di divani e poltrone Owen che unisce le linee sensuali d’ispirazione couture a una solida struttura architettonica Mid Century; Joan, un divano archetipico,
che rende protagonista assoluta l’imbottitura, accompagnato dagli omonimi tavolini che ne ricalcano la linearità in un design scultoreo. Attorno, una costellazione di nuove proposte che arricchiscono con fascino e funzionalità l’ambiente dedicato alla convivialità familiare: la poltrona Leopold, i complementi Nara in una nuova versione laccata, la scrivania e i tavoli Adrien. L’illuminazione aggiunge atmosfera a questo scenario grazi alle inedite proposte firmate studioutte, che per Poliform disegna le lampade Helga e Arthur, accomunate da una purezza geometrica e formale. Fungono invece da fil rouge tra le stanze, le librerie, a cui Poliform dà
01
Lagoon, sofà
02
Helga, lampada
03
Joan, sofà
04
Orbis, poltrona
armadio (realizzate con il sistema Senzafine). Ambienti pensati per il benessere personale, esaltati da un affaccio continuo verso l’outdoor. Ed è proprio la dimensione en plein air a vivere di uno nuovo stile, ispirato alla nautica. Emmanuel Gallina ha infatti immaginato due collezioni che rievocano suggestioni marittime abbinando legno di teak e corda. Si tratta del sistema componibile Lagoon e della collezione di sedute Ponte.
05
Adrien, tavolo
06
Owen, poltrona
07
Leopold, poltrona
08
Arthur, lampada
ampio spazio enfatizzandone il valore architetturale e decorativo. È il caso della nuova libreria Tess progettata da Massaud come un vivace gioco di asimmetrie, spessori e proporzioni. Il sistema Architectural guida quindi nella zona notte, immaginata come una suite che si apre su un’area lettura, un home office e due cabine
Nuovi tavoli, tavolini e complementi aggiungono vivacità alla scenografia con il loro carattere materico e organico, che trova completezza con la poltrona Soori Day e il tavolino Soori outdoor, le novità firmate da Soo Chan.
RUGIANO A LUGANO
LA PRESTIGIOSA AZIENDA
ITALIANA, LA CUI FILOSOFIA
TROVA LA SUA MASSIMA
ESPRESSIONE IN LINEE PULITE
E CONTEMPORANEE DATE
DALL’ACCOSTARE CON ELEGANZA
E SAPIENZA, HA APERTO
ALL’INIZIO DI NOVEMBRE IL SUO
SHOW ROOM A LUGANO,
CHE SI VA AD AGGIUNGERE
AD UNA RETE DI PUNTI
VENDITA DIFFUSI IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO.
La decisione di avere uno showroom in svizzera è stata lungamente studiata e risponde al desiderio di andare incontro alle esigenze di una clientela che sceglie Lugano e il Ticino quale destinazione ideale dove stabilire la propria residenza. A pochi passi dal centro di Lugano, Rugiano firma la sua presenza attraverso un prestigioso store monomarca, realizzato in collaborazione con Aerre Design Projects. Uno spazio espositivo che non rappresenta solo una vetrina, ma una vera e pro- pria estensione dell’identità del brand. Disposto su due livelli e sviluppato su oltre 700 metri quadrati, lo showroom racconta infatti con coerenza e potenza visiva la filosofia sartoriale dell’azienda. Varcando l’ingresso dello show-room si respira fin da subito l’atmosfera elegante che caratterizza le collezioni Rugiano, trasportando il
visitatore in un ricercatissimo privé mentre scende le scale verso il piano inferiore. Qui, il lusso non è solo un concetto visivo ma si traduce in un’esperienza sensoriale. Ogni ambiente è pensato per valorizzare l’esperienza immersiva del visitatore, tra materiali preziosi, luci calibrate e accostamenti architettonici di grande impatto. Punto nevralgico del percorso è l’iconica Materioteca, luogo progettuale e sensoriale dove tessuti, finiture, metalli e marmi si combinano per dare vita a soluzioni personalizzate.
Un laboratorio creativo che riflette appieno l’approccio su misura e l’anima progettuale di Rugiano. Oltre a presentare tutte le sue collezioni, a Lugano è dedicata molta attenzione ai mobili di design per il settore alberghiero, giacché il futuro sarà molto concentrato sull’estetica, il bello, il sentirsi bene in un ambiente e quindi an -
che gli alberghi storici dovranno effettuare nuovi investimenti per restare al passo con il mercato. Outdoor: nuovi spazi per vivere il design. Il concetto di comfort si estende oggi anche agli spazi aperti, e Rugiano lo interpreta attraverso collezioni outdoor che elevano il vivere en plein air. I confini tra interno ed esterno si dissolvono, dando vita a una vi -
sione abitativa continua, elegante, e coerente con lo stile architettonico più contemporaneo. Linee scultoree, materiali tecnici rivisitati con raffinatezza, dettagli sartoriali: l’outdoor firmato Rugiano non è un’estensione dell’indoor, ma un nuovo centro di gravità del vivere, dove estetica e funzionalità si incontrano per riscrivere le regole dell’abitare.
Showroom Lugano AERRE per RUGIANO Via Trevano, 15
ARREDI SENZA TEMPO
CREATI DA CHI
SA TRASFORMARE
I SOGNI IN MATERIA
Dire Rugiano è dire stile, quello di chi si distingue nella raffinatezza di prodotti unici, senza tempo, destinati ad acquistare valore negli anni. Ma anche lo stile che prende vita dalla collaborazione di professionisti ed architetti di fama mondiale, dalla sapienza artigianale di chi con le mani sa trasforame i sogni in materia. Nascono così arredi per zona notte e zona giorno di grande carattere, caratterizzati da un sapiente e originale uso di materiali nobili, dai metalli ai legni al pellame. Parlare di Rugiano è anche parlare di una filosofia: quella che si esprime nei dettagli, nell’attenzione al particolare, nel mobile finemente lavorato e nei ricami della pelle. Quella che si mostra nelle forme sinuose di tavoli in pietra e metallo, nei piani decorati e argentati, nei raffinati basamenti in bronzo, nell’utilizzo di nuovi materiali o nella rivisitazione di quelli classici o ancora nei grandi lampadari che
a preziose gocce di luce accostano pellami e metalli, trasformandosi in veri protagonisti dell’arredo. Una filosofia che trova la sua massima espressione in quella linea pulita e contemporanea che non è data dal togliere, ma dall’accostare con eleganza e sapienza. Tutto nasce all’interno di Rugiano:
MILANO Flagship Store
Via della Moscova, 53 rugiano@rugiano.it rugiano.com
innanzitutto l’idea, affidata all’Ufficio Stile che, in collaborazione con grandi nomi dell’architettura, dà forma sulla carta alle nuove collezioni. O che si pone al fianco del
cliente e degli architetti nel caso si desideri un prodotto in tutto o in parte su misura, con un unico punto fermo: lo stile Rugiano.
Così come nascono all’interno di Rugiano i materiali che andranno a comporre gli arredi: c’è chi lavora e decora la pelle, chi plasma il metallo, chi ricama i tessuti e chi si occupa dell’ebanisteria. Il tutto ancora con quei metodi e quella sapienza artigianali che hanno reso famosa in tutto il mondo la produzione mobiliera italiana.
Così come nascono all’interno di Rugiano, infine, gli arredi completi, ognuno a modo suo espressione di diverse competenze da una parte tecniche e dall’altra artistiche in grado di vestire ogni abitazione di un’atmosfera unica. Un’atmosfera made in Rugiano. Tutto parte dalla materia prima: senza materiali di qualità non si
possono fare prodotti di qualità. Per questo Rugiano utilizza per le proprie creazioni metalli nobili come bronzo, ottone e acciaio e si serve di pelli e stoffe di primissima scelta.
E per questo esegue tutte le lavorazioni internamente, curando ogni particolare, anche il più piccolo e nascosto. Così nasce la qualità. La collezione OUTDOOR si presenta con un’estetica dal profumo internazionale, fondata sulla continuità tra spazi interni ed esterni, con l’obiettivo di creare un’esperienza abitativa fluida e armoniosa tutto l’anno. Filosofia che combina rigore e morbidezza fondendo linee rigorose a forme accoglienti che invitano al relax ed alla convivialità. L’intera collezione è concepita per estendere il living oltre i confini tradizionali, disegnando spazi outdoor eleganti, caratterizzati da una personalità forte ed estrema eleganza. La varietà dei volumi, pensata per adattarsi alle esigenze di ciascun ambiente, consente di creare isole di comfort che diventano veri e propri rifugi. Gli intrecci fatti a mano, uniti
alla struttura in metallo, richiamano l’artigianalità e creano giochi di luce e ombre che donano leggerezza e movimento. Le linee contemporanee, unite ad una sapiente cura per l’ergonomia, rispondono alle più diverse esigenze di configurazione.
La collezione OUTDOOR esprime una visione dinamica dell’abitare all’aperto, unendo bellezza e praticità. Ogni elemento è studiato per valorizzare con personalità ogni spazio, dal più intimo al più ampio, regalando un’estetica in equilibrio tra leggerezza e solidità.
BELLEZZA INTRAMONTABILE
DA OLTRE VENTICINQUE ANNI, RIVA MOBILI D’ARTE È SAPIENTE INTERPRETE DELL’ARREDAMENTO CLASSICO, CREANDO CON ELEGANZA E ORIGINALITÀ PREZIOSE OPERE D’ARTE CARATTERIZZATE DA GRANDE ARTIGIANALITÀ, UNICITÀ DEL DESIGN, AMORE PER LA PERFEZIONE ED ESTREMA CURA DEI DETTAGLI. ANCHE RIVATELIER, BRAND DI ARREDO CONTEMPORANEO, SOTTO LA DIREZIONE CREATIVA E ARTISTICA DI DANIEL CHRISTOPHER, HA PRESENTATO UNA SERIE DI NUOVI PRODOTTI PENSATI PER LE AREE LIVING, DINING, BEDROOM E OUTDOOR.
La Collezione Belvedere è un omaggio agli incantevoli paesaggi del Lago di Como, dove eleganza, natura e storia si fondono in perfetta armonia. Ispirata alle acque serene del lago, ai giardini lussureggianti e alla raffinata architettura delle sue iconiche ville, questa collezione incarna un senso di raffinatezza e tran-
quillità senza tempo. Ogni pezzo è progettato per evocare un’atmosfera di lusso sobrio, con un delicato equilibrio tra artigianato classico e raffinatezza contemporanea. La collezione si distingue per le sue morbide tonalità avorio, che esaltano la luce e l’eleganza degli arredi, mentre i lussuosi tessuti con motivi delicati ricordano i riflessi dell’acqua e le tonalità vibranti del paesaggio circostante. Ogni dettaglio della Collezione Belvedere riflette una profonda dedizione all’arte, dagli intricati intagli ai materiali meticolosamente selezionati, assicurando una fusione armoniosa di tradizione e innovazione. Quest’anno segna inoltre una tappa importante con il lancio della prima
collezione classica per esterni, una combinazione perfetta di eleganza senza tempo e artigianato innovativo. Progettata per portare la raffinatezza degli interni classici negli spazi all’aperto, questa collezione ridefinisce la vita all’aperto con un’estetica raffinata e un’attenzione ai dettagli senza pari. Caratterizzato da elementi in legno pregiato e paglia di Vienna, ogni pezzo è realizzato per valorizzare verande, terrazze ed esterni eleganti, creando un’atmosfera di comfort e prestigio. A questi materiali si aggiungono nuovi tessuti esclusivi, appositamente studiati per l’outdoor mantenendo un fascino lussuoso e sofisticato.
Anche Rivatelier si arricchisce di nuovi prodotti e di finiture artistiche esclusive, che rafforzano ulteriormente il profondo legame con il mondo dell’arte. Questi dettagli sofisticati elevano i progetti, trasformando i mobili in vere e proprie espressioni artistiche. L’aggiunta più innovativa è il lancio della prima Collezione Outdoor, che porta lo stile caratteristico di Rivatelier oltre gli interni e ridefinisce il lusso all’aperto. Una fusione di
eleganza senza tempo e moderna maestria, questa nuova collezione introduce una nuova prospettiva di sofisticata vita all’aria aperta.
Tra le novità c’è la poltrona Nemo, una raffinata seduta da esterno realizzata in iroko con cuscini che seguono il pro -
filo continuo della struttura, creando una silhouette elegante e armoniosa. Ispirato alla forma aggraziata di un pesce, il design aggiunge un tocco estroso alla sua estetica sofisticata. I tavolini Layer in iroko, disponibili in due forme diverse, si affiancano perfettamente alla poltrona Nemo, formando un duo armonioso che valorizza qualsiasi spazio esterno con stile e raffinatezza. Il pouf Pixel, il best seller della collezione Rivatelier, viene presentato anche con tessuto sfoderabile diventando l’elemento perfetto per qualsiasi ambiente interno ed esterno. Realizzato con materiali di alta qualità e un’impeccabile lavorazione artigianale, Pixel è versatile e facile da spostare, adattandosi senza sforzo a qualsiasi spazio, dai soggiorni eleganti ai salotti all’aperto.
01 – 03
Riva Mobili D’Arte
04 – 06
Rivatelier
IL MASSIMO DELLA TATTILITÀ
La nuova collezione presenta una palette di materiali elevata. Il legno, elemento distintivo di Bentley Home, è ora disponibile in finiture opache a poro più aperto che offrono una nuova profondità sensoriale. Un raro impiallacciato in legno in una profonda tonalità amaranto debutterà nella ricca Amaranth Frisé che si intensifica nel tempo e in una fresca finitura Shadowgrain che aggiunge profondità e carattere. La pietra è protagonista con una nuova selezione che include il marmo Verde Belvedere in tonalità Deep Green e l’onice avorio spazzolato, abbinati a una nuova proposta: i rivestimenti in cashmere, un connubio di texture e tattilità nei materiali più pregiati disponibili. Un’ampia nuova gamma di arredi per
interni: saranno lanciati quattro nuovi mobili completamente personalizzabili, con finiture disponibili in una gamma di materiali pregiati: pelle, impiallacciatura in legno, pietre preziose e cashmere.
Tavolo Fenton: Francesco Forcellini, collaboratore di lunga data del design Bentley Home, ha creato un nuovo tavolo da pranzo aerodi-
LE NUOVE COLLEZIONI
SONO STATE PRESENTATE
NEL CORSO DI MILANO
DESIGN WEEK NELLO STORICO
CORTILE DI PALAZZO CHIESA, SEDE DEL BENTLEY HOME
ATELIER MILANESE, TRASFORMATO IN UN’ELEGANTE ESPERIENZA DI VITA ALL’APERTO IN OMAGGIO AL “GIARDINO INGLESE”.
namico con piano a doppio strato. Completamente personalizzabile con piano rotondo o rettangolare – il più grande misura 3,60 metri – una risposta diretta alle esigenze dei clienti di aree di intrattenimento e uffici aziendali sempre più grandi.
Divano modulare Ashford, disegnato da Carlo Colombo, presenta un’elegante base sospesa in legno massello con cuscini imbottiti in pelle, cuscini dello schienale ricamati con l’iconico motivo a rombi Bentley e un tavolino
da caffè integrato in legno impiallacciato, disponibile anche come chaise longue.
Tavolini Verve: un piano in vetro curvato sospeso in equilibrio su una base in metallo con un’intricata incisione laser del diamante Bentley. Il tavolo sembra sospeso nell’aria: una scultura per la icasa, disponibile in diverse dimensioni.
Linden Multifunctional Unt: Un’intera famiglia di mobili Bentley
Home, eleganti e pratici, che offrono una varietà di funzioni a seconda della configurazione. Una libreria con ripiani, un mobile contenitore, una vetrina, un armadio e un mobiletto da toeletta che ampliano ulteriormente la collezione per la camera da letto Bentley Home.
Per il 2025, Bentley Home ha ampliato anche la sua collezione di accessori: una selezione accurata di articoli che si adattano alla sua estetica altamente personalizzata. Vassoio di servizio Bexley: un vassoio in legno rivestito in pelle, che combina le cuciture a diamante Bentley Desmond ed è disponibile in una gamma di colori tra cui: Praline con cuciture grigio quarzo, Fir con cuciture lino, Hemp con cuciture marrone, Basketball Orange con cuciture perla e Beola Stone con cuciture nere.
Vaso Desmond: creato nelle storiche fornaci di vetro di Murano con il motivo ispirato al diamante Desmond, disponibile in due misure in ambra calda o verde foresta.
Borsa Elan in pelle per la casa: contenitore scultoreo con esterno in morbida pelle e interno foderato in tessuto di seta sfumato a rombi. Le opzioni di pelle per l’esterno includono: Coal Stone, Meerkat e Rust. Portabottiglie Elan, rivestito in morbida e morbida pelle color rosso Merlot, ispirato ai vini pregiati, o marrone chiaro scuro, con una fodera con motivo a rombi che ne esalta l’estetica raffinata.
COSTRUIRE UN PONTE
TRA IL TICINO E IL MONDO
PHILIPP PETER, OWNER & CO-CEO, SPIEGA LE RAGIONI E L’IMPORTANZA
DELL’APPARTENENZA
DI WETAG AI PIÙ PRESTIGIOSI
NETWORK INTERNAZIONALI
DEL SETTORE E COME CIÒ SI TRADUCA IN GRANDI
VANTAGGI PER LA QUALITÀ
DEL SERVIZIO OFFERTO ALLA PROPRIA CLIENTELA.
Uno degli elementi che contraddistingue
Wetag nel panorama immobiliare ticinese è senza dubbio rappresentato dalla sua dimensione internazionale. Come è costituita questa rete di affiliazioni e partenariati?
«Per vendere ville, appartamenti, palazzi e terreni esclusivi occorre avere accesso ad una rete straordinaria di broker in contatto con i clienti più facoltosi distribuiti in tutti i paesi del
mondo. Proprio partendo da questo assunto, Wetag, ha costruito negli anni un sistema di affiliazioni esclusive con i più importanti network del luxury real estate. Siamo membri esclusivi di Christie’s International Real Estate in Ticino, la rete immobiliare legata alla prestigiosa casa d’aste. Siamo inoltre membro esclusivo in Ticino di Luxury Portfolio International Real Estate, di Leading Real Estate Companies of the World, la più grande organizzazione immobiliare residenziale del mondo, fondata più di 40
Mauro Delrio (Marketing & PR Manager) e Philipp Peter (Owner & Co-CEO) a Limitless 2025, la conference week di Leading Real Estate Companies of the World e Luxury Portfolio International Real Estate tenutasi a Las Vegas
anni fa. E, ancora, siamo membro fondatore e membro esclusivo ticinese di EREN - the European Real Estate Network, l’unica rete europea di società boutique di intermediazione immobiliare. Ueli Schnorf ed io siamo stati membri del Comitato esecutivo per molti anni e Ueli, inoltre, insieme al leggendario Giorgio Viganò di Milano è stato il fondatore di EREN nel lontano 2005 ed è tutt’ora membro del Consiglio di amministrazione. Chiaramente abbiamo anche dei costi overhead decisamente più alti del comune e di riflesso per poter accedere a queste reti internazionali anche la nostra commissione per le intermediazioni è leggermente sopra la media. Mi sento tuttavia di dire che per arrivare all’obiettivo finale, ovvero la vendita della proprietà, anche in questo caso chi più spende meglio spende. Le nostre quattro affiliazioni ci contraddistinguono e ci rendono l’unica agenzia immobiliare ticinese a porter contare su un così ampio e prestigioso network, capace di garantire servizi e una visibilità internazionale esclusiva».
Philipp Peter (Owner & Co-CEO) e Iradj Alexander David (Owner & Co-CEO) presso la sede di Ascona
Quali sono i vantaggi per i clienti che derivano dall’affidarsi ad una società appartenente ad un network globale?
«Quando si trattano proprietà di un livello particolarmente elevato, la reputazione di chi vende e di chi acquista costituisce un elemento imprescindibile per la buona riuscita della compravendita. I clienti che si affidano ad agenzie come la nostra, per la vendita del loro immobile, possono contare su discrezione, visibilità internazionale e un’attenzione ai dettagli non comune. Una buona parte dei nostri clienti acquirenti provengono dall’estero, introdotti anche dagli esclusivi network di cui facciamo parte. Nel corso degli ultimi 25 anni, infatti, abbiamo costruito relazioni con clienti provenienti da oltre 70 paesi nel mondo. Nel mercato immobiliare odierno, oltre alle affiliazioni internazionali, è indispensabile un approccio multicanale che possa rappresentare al meglio le esigenze di chi vende incontrando, al contempo, con le migliori tecnologie del mercato, le aspettative di chi è alla ricerca di una proprietà».
Quali sono le strategie di comunicazione e marketing attraverso cui Wetag approccia i suoi clienti che desiderano acquistare un immobile di prestigio in Ticino? «Investiamo molto tempo e molte risorse per fornire ai nostri potenziali clienti un servizio dettagliato e puntuale. Per fare questo facciamo ricorso molteplici canali di comunicazione, on line e off line, la nostra filosofia si basa sul valorizzare al meglio le proprietà, rendendo accessibili le informazioni, all’interno di una relazione con gli utenti che si sviluppa su diversi canali, dal sito web, ai social media passando
per la carta stampata e le PR. Raccogliamo inoltre, attraverso un sistema certificato e non manipolabile, i feedback di acquirenti e venditori, con l’obiettivo di mantenere un rapporto di trasparenza. Le recensioni raccolte testimoniano il grande lavoro e servizio offerto e premiamo il rapporto di fiducia a cui sempre tendiamo».
Quali sono le principali tipologie di immobili che cercano i vostri clienti? «L’evoluzione degli stili di vita concorre a determinare quali saranno le proprietà che continueranno a destare interesse e dunque ad essere un investimento a lungo termine. Ci sono tre tipologie di immobili: La prima è legata a grandi proprietà, spesso oggetto di interesse da parte di famiglie provenienti dall’estero e che vogliono fare una relocation in Ticino. Successivamente ci sono le proprietà finalizzate a casa vacanza e, infine, un segmento eterogeno di proprietà destinate maggiormente al mercato locale. In questi ultimi anni, la sfida più grande è quella di trovare la giusta proprietà per rispondere al meglio a quelle esigenze di chi giunge in Ticino proprio dall’estero. Per un’agenzia come la nostra, infatti, occorre avere a disposizione un ade -
guato portfolio di soluzioni differenti e in questo senso credo di poter affermare che siamo un punto di riferimento sul territorio».
Wetag Consulting si propone di costituire un ponte tra il Ticino e il mondo. Quali interventi, a livello di servizi e di incentivi, andrebbero promossi per accrescere l’attrattività del Cantone? «Quello ticinese è indubbiamente un piccolo mercato, le dimensioni del territorio sono come è noto abbastanza ridotte e il numero degli abitanti non eguaglia quello di un quartiere di Londra, New York o Milano. É doveroso sottolineare che il nostro cantone offre ottime condizioni climatiche, ambientali, economiche, culturali e di benessere. Non va dimenticato il lifestyle mediterraneo che tanto piace ai nostri clienti e che è collegato al livello dei servizi e qualità della vita, di cui ci facciamo spesso promotori. Non mi sento dunque di indicare cosa manchi oggi al Ticino, soprattutto se guardo alle nazioni confinanti. Certamente è sempre possibile migliorarsi, ma ritengo che questa straordinaria regione possa essere fiera dei suoi paesaggi e del suo contesto economico sociale che a volte diamo per scontati».
Ueli Schnorf (Honorary President) e Jurgen Brusa (Senior Consultant) al meeting annuale Eren (European Real Estate Network) del 2023, a Madrid
RICERCARE UN EQUILIBRIO TRA INNOVAZIONE E RELAZIONE
GIOVANNI MASTRODDI, CEO DI MG IMMOBILIARE PROPONE ALCUNE INTERESSANTI CONSIDERAZIONI
SUL FONDAMENTALE RUOLO SVOLTO DALLA COMUNICAZIONE
NELLA PROMOZIONE IMMOBILIARE, DOVE NON BASTA VENDERE ABITAZIONI MA OCCORRE ESSERE CAPACI DI TRASMETTERE ESPERIENZE, VALORI ED EMOZIONI.
Residenza Golden Hill-Design, comfort e innovazione: 4 appartamenti e 1 attico di lusso con 190 mq di terrazza, a due passi dal TASIS.
Tenendo conto della vostra trentennale esperienza, possiamo affrontare insieme il tema di come è opportuno sviluppare la comunicazione nel settore immobiliare? Innanzitutto, come è cambiato nel corso dei decenni il modo di rapportarsi alla propria potenziale clientela?
«Nel corso di questi trent’anni, ho visto cambiare radicalmente il modo di comunicare nel settore immobiliare. All’inizio, il rapporto con i clienti era fortemente personale e diretto: ci si affidava molto al passaparola, alla conoscenza del territorio e alla fiducia costruita nel tempo. Gli strumenti principali erano i giornali e i volantini. Poi, con l’avvento di internet, è cambiato tutto: i portali immobiliari hanno ampliato il raggio d’azione, i clienti sono diventati più informati e la concorrenza più visibile. Oggi, comunicare significa emozionare, raccontare, creare fiducia anche attraverso i social media, i video e una presenza digitale solida e coerente. La relazione resta centrale, ma passa anche attraverso strumenti nuovi che richiedono autenticità, trasparenza e capacità di trasmettere valore prima ancora che informazioni».
Un concetto che certamente si è andato trasformando è quello di lusso. Che cos’è oggi il lusso e come è possibile raccontarlo?
«Noi di MG Immobiliare raccontiamo questo tipo di lusso con un approccio curato e su misura: non vendiamo solo immobili, ma esperienze abitative. Usiamo immagini, parole e relazioni per trasmettere l’anima di ogni proprietà, valorizzando ciò che la rende unica e in sintonia con le esigenze più elevate della nostra clientela. Nel mondo immobiliare, il concetto di lusso si è evoluto in modo significativo. Oggi non si tratta più solo di proprietà sfarzose o dettagli opulenti, ma di ciò che un immobile trasmette in termini di benessere, esclusività e qualità della vita. Il lusso è diventato sinonimo di spazio, privacy, comfort tecnologico, sostenibilità e connessione con l’ambiente. È la possibilità di vivere in un luogo che rispecchi la propria identità e stile di vita».
Un altro tema nei confronti del quale si è molto accresciuta la sensibilità dei clienti è quello della sostenibilità. Quali sono gli standard cui deve oggi adeguarsi una abitazione moderna e tecnologicamente all’avanguardia?
«Nella vita come nel lavoro, per conseguire i propri obiettivi e ottenere i risultati è fondamentale avere delle sane motivazioni: da oltre 15 anni proponiamo residenze sostenibili e
Un'oasi di luce e tranquillità a Lugano Castagnola: 260 mq di eleganza con vista lago a 180° e finiture di pregio.
con materiali e soluzioni ecologiche. Penso a Parco Casarico, alla Residenza Le Vigne a Lugano, Parco Letizia a Castagnola. La sensibilità verso la sostenibilità è cresciuta in modo evidente negli ultimi anni, oggi rappresenta un criterio fondamentale nelle scelte abitative della nostra clientela. Una casa moderna e tecnologicamente all’avanguardia deve rispondere a standard molto precisi, sia in termini di efficienza energetica che di impatto ambientale. A Lugano, il concetto di sostenibilità si integra perfettamente con quello di qualità della vita. MG Immobiliare, si impegna a selezionare e proporre immobili che rispettano questi valori, come l’attuale Residenza Golden Hill di Gentilino, accompagnando i nostri clienti verso scelte consapevoli, orientate al futuro, senza rinunciare all’eleganza e al comfort».
Anche l’allestimento e la messa in scena di un appartamento oggetto di una compravendita costituiscono un linguaggio che deve comunicare situazioni ed emozioni. Quanto conta l’home staging nella presentazione di un immobile?
«Come MG Immobiliare, siamo stati i primi a Lugano ad utilizzare questi metodi, crediamo che ogni dettaglio – dalla luce naturale all’ar -
Nel cuore di Lugano - fronte lago, attico esclusivo tra charme storico e comfort moderno e panorami sul lago.
monia dei colori, dalla disposizione dei mobili alla scelta degli oggetti decorativi – debba contribuire a suscitare emozioni autentiche. Per questo ci impegniamo anche nella realizzazione di rendering professionali e home staging, oltre al sistema Concept, che consentono di presentare al meglio immobili ancora in fase di costruzione o ristrutturazione. Sono strumenti complementari che ci permettono di far emergere l’identità dell’immobile e di presentarlo nella sua forma migliore, facilitando il processo decisionale dell’acquirente e riducendo spesso i tempi di vendita. Non si tratta di “arredare” in senso tradizionale, ma di creare un’atmosfera e di raccontare uno stile di vita».
In un mondo sempre più digitale e interconnesso, come si costruisce oggi la reputazione di un’agenzia immobiliare di alto livello?
«Siamo presenti da 30 anni sul mercato immobiliare di Lugano e la reputazione si costruisce giorno dopo giorno, con referenze attive attraverso una combinazione virtuosa di risultati concreti, soddisfazione dei clienti, presenza digitale coerente e relazioni autentiche. Non basta avere immobili eccellenti: serve un racconto credibile, una voce riconoscibile e la capacità di generare fiducia nel lungo termine.
In MG Immobiliare investiamo molto nella nostra immagine, ma ancor di più nella nostra reputazione relazionale: ogni cliente soddisfatto è un ambasciatore, ogni interazione è un’occasione per confermare i nostri valori. Per MG Immobiliare, comunicare non è solo promuovere, ma creare legami duraturi basati sulla trasparenza, l’affidabilità e una profonda conoscenza del mercato, consapevoli che vendiamo confort e un nuovo stile di vita. È così che si diventa un punto di riferimento, non solo per ciò che si offre, ma per come lo si fa».
Da ultimo, la domanda più difficile. Quanto contano nella comunicazione con il cliente da un lato le più moderne tecnologie informatiche e dall’atro la capacità e l’esperienza esclusivamente umana nel raccontare la storia, la bellezza, l’anima, e in definitiva l’autentico valore di un terreno, di una villa o di un appartamento? «Questa è la domanda più delicata, ma anche la più centrale nel nostro lavoro. Le tecnologie – dai tour virtuali ai CRM evoluti – sono strumenti straordinari che ci rendono più efficienti e presenti nel processo. Ma da sole non bastano. La vera differenza la fa ancora oggi la componente umana: esperienza, sensibilità, intelligenza emotiva e capacità di ascolto. Raccontare il valore autentico di un immobile richiede empatia, cultura del territorio, senso estetico e visione. Come CEO di MG Immobiliare, credo nell’equilibrio tra innovazione e relazione. La tecnologia ci supporta, ma è l’essere umano a dare significato a ogni passo. In fondo, ciò che vendiamo è un’emozione, una promessa di vita. E solo chi ha passione vera può trasmetterla».
www.mgimmobiliare.ch
SOLUZIONI ABITATIVE PER OGNI ESIGENZA
Quali sono state le tappe principali del percorso imprenditoriale del Grippo THE FLAG e chi sono i membri della vostra famiglia che in passato e attualmente sono impegnati a portare avanti questa impresa? «THE FLAG è una vera e propria impresa familiare: all’origine, l’azienda è stata fondata perché i figli più grandi della famiglia Muhr stavano iniziando l’università e il Dott. Rudolf Muhr e sua moglie Sabine cercavano una soluzione abitativa per loro. Questo li ha portati a comprendere l’enorme potenziale di Young Professional & Student Apartments: è così che è nato THE FLAG. L’azienda è gestita dalla Dott.ssa Eike Muhr, entrata a far parte del team come Amministratore Delegato nel 2019. I genitori, Rudolf e Sabine Muhr fanno parte del consiglio di amministrazione. Anche il figlio Janek Muhr ha fondato una propria azienda, MEREA Group, che si occupa delle ac-
LA DOTT.SSA EIKE MUHR, AMMINISTRATORE DELEGATO DI THE FLAG PRESENTA L’ATTIVITÀ E I PROGETTI DI UNA INNOVATIVA SOCIETÀ
IMMOBILIARE A CONDUZIONE FAMILIARE, CHE DA QUALCHE MESE HA REALIZZATO STRUTTURE RESIDENZIALI ANCHE A LUGANO.
quisizioni per THE FLAG. L’azienda ha successivamente ampliato il proprio portfolio e ora dispone di strutture nei segmenti Hotel e Appartamenti con Servizi, Hotel e Benessere e Senior Living. Attualmente THE FLAG conta 25 proprietà in quattro Paesi ed è in continua espansione. La famiglia Muhr opera ponendosi sempre la medesima domanda: “Dove potremmo immaginare di soggiornare noi stessi?”. Ad esempio, una delle proprietà Senior Living si trova ad Attendorn, in Germania, paese d’origine della famiglia. Ancora oggi tutte le decisioni importanti, in particolare quelle relative all’acquisto di nuove proprietà, vengono prese collegialmente da tutti i membri della famiglia, cioè i due genitori e i loro cinque figli».
La soluzione abitativa di THE FLAG per “Best Ager” nel segmento premium, si basa su un concetto integrato e olistico di benessere, focalizzato particolarmente sulla Longevity. Possiamo approfondire quali sono gli aspetti positivi legati alla vostra idea di salute duratura e qualità della vita?
«Longevity è un concetto relativamente nuovo che si sta diffondendo in Europa solo negli ultimi anni. L’idea non si basa solo sul “vivere più a lungo”, ma soprattutto su come vivere gli anni di vita guadagnati in modo sano e appagante. Per noi, Longevity si basa su cinque pilastri: diagnosi, alimentazione, esercizio fisico, sonno e salute mentale. Presso THE FLAG, vogliamo concentrarci sul miglioramento della qualità della vita dei nostri residenti e ospiti e promuovere la salute a lungo termine. Il nostro programma include offerte benessere come sauna, massaggi e fitness, ma anche servizi come l’analisi di impedenza bioelettrica (BIA), il massaggio compressivo BOA (drenaggio linfatico), l’allenamento in quota (IHHT), cabine a infrarossi, assistenza medica e fisioterapia fornite da specialisti. Il nostro team di cucina è formato per preparare pasti particolarmente nutrienti e collaboriamo con medici e altri operatori
sanitari per offrire un ambiente ottimale per una vita lunga e appagante. Soprattutto per i nostri residenti anziani il fatto che THE FLAG offra una vasta gamma di attività da svolgere in comune risulta essere molto interessante».
Come si distribuiscono le vostre residenze nel mondo e in Svizzera e quali sono le loro principali caratteristiche?
«THE FLAG possiede attualmente 20 proprietà in quattro Paesi, 16 delle quali si trovano in Germania, paese d’origine della famiglia Muhr. Altre cinque proprietà sono attualmente in fase di acquisizione. In totale, ci sono 6 strutture alberghiere e appartamenti con servizi, 9 complessi di appartamenti per giovani professionisti e studenti, 5 strutture per anziani e il concept Hotel & Stay Well a Marbella, in Spagna, incentrato sul benessere. In Svizzera, THE FLAG Hotel & Serviced Apartments è presente a Zurigo e ora anche a Lugano con il nostro più recente progetto di Senior Living. A New York City, è presente una struttura per giovani professionisti e studenti. Ognuno dei settori in cui opera THE FLAG ha un concept specifico, ma ciò che li accomuna tutti è il nostro approccio e il nostro impegno per la qualità e il design».
Dopo la prima casa Morena avviata a Lugano, ne farà seguito presto una seconda. Quali sono le caratteristiche di queste strutture e quali sono i vostri progetti di sviluppo futuro in Ticino?
«La casa Morena dispone di 21 monolocali e 21 bilocali, che possono essere affittati arredati o non arredati. Dispone inoltre di un ristorante, una splendida terrazza panoramica con vista lago, una palestra e sale per massaggi, fototerapia, fisioterapia e visite mediche. La casa Dunant, che verrà inaugurata quest’estate, comprenderà tre appartamenti di tre locali, oltre a 13 monolocali e 12 bilocali. Alcuni di questi avranno un piccolo giardino. Saranno presenti anche una sauna, un bagno turco, una doccia ghiacciata, uno spazio per lo yoga e un parrucchiere. Il Ticino è una regione splendida e vediamo un grande potenziale per l’apertura di altre strutture, a seconda della domanda. Per ora, non vediamo l’ora di accogliere i nostri ospiti per soggiorni lunghi e brevi (minimo 30 giorni) presso THE FLAG Lugano».
Quali specifici servizi destinati al benessere fisico e mentale della terza età propongono queste residenze luganesi?
«Oltre alla nostra offerta per la longevità, offriamo anche una varietà di servizi benessere, come sauna, bagno turco, docce ghiacciate, massaggi e una palestra. Offriamo ai nostri residenti la possibilità di lavorare con un personal trainer e in futuro organizzeremo corsi di yoga. L’aspetto comunitario di THE FLAG, che si concretizza attraverso attività condivise come il giardinaggio e le gite di gruppo, è un fattore fondamentale per il benessere mentale dei nostri residenti. Vogliamo davvero creare
un concetto olistico di salute e benessere per i nostri ospiti».
Oltre all’affitto a lungo termine avete scelto di offrire a Lugano anche l’opzione di soggiorni brevi (Shortstay). A chi si rivolge questa offerta?
«I nostri ospiti per soggiorni brevi presso THE FLAG Lugano sono principalmente persone che dividono il loro tempo tra più di un domicilio e sono interessate a trascorrere parte del loro tempo nella splendida regione del Ticino».
Guardando ai vostri progetti futuri quali previsioni si sente di avanzare riguardo all’evoluzione e alla diffusione in Ticino e in Svizzera di formule di residenza con servizi individuali per anziani? «Crediamo che il potenziale degli appartamenti Senior Living sia enorme, soprattutto in un contesto così bello. Con il nostro concept vogliamo davvero garantire che i nostri residenti possano scegliere ciò che è ideale per loro, dalle dimensioni del loro appartamento alla possibilità di avere una casa arredata o non arredata, dall’opportunità di vivere permanentemente presso THE FLAG Lugano o di alternare il loro appartamento qui con un altro domicilio, alle offerte benessere che desiderano scegliere o alle attività della comunità a cui desiderano partecipare. Vogliamo davvero creare uno spazio completamente personalizzabile e in grado di soddisfare i desideri di tutti».
THE FLAG LUGANO
Via Morena 7
6900 Massagno
Persona di contatto: Isabelle Aichinger T. +41 (0)79 938 09 43
VENDIAMO SOSTANZA E NON APPARENZA
SABINA GATTO, CEO DI SIT GROUP, ILLUSTRA I CRITERI IN BASE AI QUALI SIT IMMOBILIARE E LE ALTRE SOCIETÀ AD ESSA COLLEGATE STANNO
PORTANDO AVANTI CON SUCCESSO UN LAVORO DI RECUPERO GLOBALE
DI IMMOBILI APPARTENENTI AL PATRIMONIO EDILIZIO GIÀ ESISTENTE
CHE VENGONO TOTALMENTE RINNOVATI E IMMESSI NUOVAMENTE
SUL MARCATO AUMENTANDONE IN MODO CONSIDEREVOLE IL VALORE.
Rivolgendo lo sguardo al mercato immobiliare luganese, quali sono a suo giudizio gli interventi di riqualificazione urbana che possono concorrere a determinare una positiva trasformazione della città?
«Il patrimonio edilizio luganese, sia per quanto riguarda il centro città che nei quartieri periferici, presenta numerosi immobili, risalenti per lo più come periodo di costruzione agli anni ’60-’70, che necessitano di interventi di ristrutturazione. Quando però io parlo di riqualificazione intendo non già semplici interventi “di facciata”, quali purtroppo siamo molto spesso abituati a vedere, quanto piuttosto una vera e propria ristrutturazione to -
tale che comprenda anche strutture e dotazioni legate alla sostenibilità e al risparmio energetico degli edifici. Solo in questo modo infatti è possibile tornare ad immettere sul mercato immobili in grado di rispondere pienamente alle esigenze di una clientela sensibile non soltanto agli aspetti “esteriori” o estetici dell’abitare contemporaneo, quanto attenta al valore della sostenibilità e alla concreta traduzione di questo concetto in soluzioni innovative sia dal punto di vista economico che per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente».
Ponendosi nell’ottica di chi vive o vorrebbe vivere a Lugano quali servizi andrebbero migliorati per renderla più moderna e attrattiva?
«Credo che vadano in primo luogo adottati interventi finalizzati al miglioramento della mobilità e della circolazione e alla gestione del traffico che in talune ore del giorno è davvero problematico per gli spostamenti delle auto private. Sarebbe poi molto opportuno favorire le persone che intendono trasferirsi in Ticino approntando degli strumenti, magari tramite app appositamente dedicate, che possano accompagnarli nel disbrigare tutte le pratiche burocratiche necessarie per il lavoro, la famiglia o l’inserimento dei figli a scuola. Queste agevolazioni andrebbero poi estese anche ad una dimensione più prettamente sociale in modo da favorire un più facile inserimento nella comunità locale. E, ancora, penso che sarebbe una buona pratica quella di estendere la rete delle piste ciclabili, così da incentivare il ricorso ad una mobilità urbana dolce e non inquinante».
Che cosa significa, in riferimento all’offerta immobiliare, parlare di una nuova e diversa attenzione nei confronti del tema della sostenibilità?
«Il tema della sostenibilità e molto complesso ad ha assunto una rilevanza all’interno della promozione degli immobili dalla quale non è in alcun modo possibile prescindere. Gli acquirenti sono sempre più sensibili nei confronti di problemi come il risparmio energetico e richiedono soluzioni in grado di assicurare efficienza energetica, utilizzo di materiali naturali e riciclabili, gestione responsabile delle risorse idriche, riduzione degli sprechi e creazione di ambienti interni salubri. Le case ecosostenibili mirano a minimizzare l’impatto ambientale durante la costruzione, l’uso e lo smaltimento, contribuendo a un futuro più verde, oltre a consentire già ora insieme ad un maggiore comfort anche una riduzione delle spese di gestione relative per esempio al riscaldamento delle abitazioni. Ciò impone a costruttori e promotori una crescita di consapevolezza nell’adozione di soluzioni sostenibili, a cominciare dalla scelta dei materiali utilizzati nelle costruzioni: i risparmi imposti sui costi iniziali si rivelano molto spesso un grosso svantaggio in termini di durata, efficienza, manutenzione degli immobili».
Quali iniziative andrebbero intraprese, a livello pubblico e privato, a favore di un rinnovamento del patrimonio edilizio oggi esistente?
«Penso che la leva fiscale, intesa come detrazioni o incentivi, possa essere meglio utilizzata per indurre i proprietari di case a reddito a investire in quei miglioramenti e soprattutto in quell’efficientamento energetico che poi automaticamente si
traduce in un aumento del valore dell’immobile. Molto importante sarebbe anche concedere finanziamenti per lavori di ristrutturazione ad un tasso particolarmente agevolato. Molte volte invece succede che il proprietario, non adeguatamente sostenuto nella sua propensione all’investimento, scelga soltanto di comprimere le spese ordinarie per restare sul mercato, salvo poi imporre all’inquilino elevate spese di conguaglio annuale».
E per quanto riguarda le seconde case quali proposte si sente di avanzare?
«Bisogna distinguere tra il caso di chi acquista una seconda casa per soggiornarvi soltanto per due-tre mesi all’anno e chi invece vi abita nella prospettiva magari di un suo definitivo trasferimento in Ticino. In questo secondo caso sarebbe necessario prevedere opportune agevolazioni per chi, anche attraverso eventuali ristrutturazioni, intende trasformare la propria residenza secondaria in abitazione primaria».
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte quali soluzioni abitative propone SIT Immobiliare, in grado di rispondere alle esigenze di una clientela sempre più attenta ed esigente?
«Alla base della filosofia che applichiamo nella nostra attività abbiamo ben chiaro il concetto che ai clienti dobbiamo vendere qualcosa che rispecchi un reale valore economico ma al tempo stesso risponda a quelle che sono le sue esigenze in termini di comfort, qualità della vita, socialità e, come abbiamo detto, sostenibilità. Per questo nelle nostre promozioni immobiliari non scegliamo mai le soluzioni che sembrano garantire guadagni immediati ma vogliamo soffermarci sulla qualità dei materiali e sulla validità ed efficienza delle soluzioni adottate, per i servizi come per le dimensione degli spazi abitativi ricavati all’interno di un immobile. Proprio per questo ci piace dire che non vendiamo in astratto sulla carta ma che facciamo toccare con mano agli acquirenti la qualità e il valore di ciò che stanno comprando».
SIT IMMOBILIARE
Lugano
Via P. Lucchini 2
CH-6900 Lugano
Locarno
Via B. Luini 12
Stabile La Ferriera
CH-6600 Locarno
T. +41 (0) 91 9229333 www.sitimmobiliare.ch
ARCHITETTURA IN SIMBIOSI CON LA NATURA
Come è nato il suo interesse per una architettura sostenibile e immersa nella natura?
«Ho iniziato collaborando con uno studio tedesco, “BaumRaum”, che già dagli anni 2000 proponeva soluzioni architettoniche per l’ospitalità in natura, in particolare nei contesti boschivi. Per loro il dialogo con gli alberi era fondamentale. Io provenivo invece da un’esperienza nella progettazione di case in legno, e mi è sembrato naturale unire queste competenze: da un lato ciò che avevo appreso in quindici anni di progettazione e dall’altro la sensibilità verso le micro-architetture, che richiedono una riduzione di scala e di
PAOLO SCOGLIO, ARCHITETTO
VISIONARIO E CREATORE DEL PREMIATO MODULO TURISTICO
MOMÒ BELLAVISTA SUL MONTE
GENEROSO, CI RACCONTA LA SUA
FILOSOFIA PROGETTUALE, CHE
PONE LA NATURA AL CENTRO E PUNTA A UNA PRESENZA UMANA
SOSTENIBILE E REVERSIBILE.
DI CECILIA BRENNI
fabbisogno per cui un inserimento più rispettoso e meno impattante nell’ambiente naturale».
Qual è la filosofia che guida il suo approccio?
«Il metodo tradizionale consiste nel prendere un lotto edificabile, costruire una struttura e poi aggiungere alberi e altri elementi naturali per ricostruire l’ambiente circostante. Il mio approccio, invece, parte dall’ecosistema naturale. Voglio mantenerlo il più intatto possibile. Prima di tutto, analizzo il territorio: quanti alberi ci sono, di che tipo, le caratteristiche del suolo, i dislivelli, la presenza di eventuali corsi d’acqua o laghi. Sono questi dati am -
bientali che devono guidare il progetto. Utilizzando tecniche di fabbricazione reversibile, cerchiamo di non toccare gli alberi, non spostare il terreno e rispettare le preesistenze naturali, per consentire una presenza umana che sia davvero integrata e in simbiosi con l’ecosistema».
Lei parla anche di “turismo sostenibile”. Cosa significa?
«Esiste un turismo sostenibile che va oltre il marketing, uno stile di vita per chi cerca autenticità e contatto con la natura. È un approccio che può crescere molto, sia per i progettisti che per i cosiddetti “ecoturisti”. Ricordo che anni fa il pubblico non era ancora pronto a essere “portato” in mezzo ai boschi; oggi, però, vediamo molte località minori iniziare a percepire il valore di queste strutture. Non è un turismo di massa. E per persone sensibili e consapevoli, che desiderano entrare in contatto con la natura e le comunità locali, vivendo esperienze autentiche».
Puoi raccontarci qualche esempio di progetto che incarna questa visione?
«Certamente. Progetti come gli Skyview Chalets sul Lago di Dobbiaco o la Waldenhouse in Umbria sono nati con l’intento di essere il meno invasivi possibile. La mia ultima realizzazione è una casa sull’albero completamente reversibile: appoggiata al suolo e agli alberi senza alterare il contesto ospitante. È una sorta di “navicella spaziale” che mo -
stra come sia possibile abitare il nostro Pianeta in modo diverso. E una volta che queste strutture sono vissute, diventano quasi “vive” – gli ospiti le fotografano, le raccontano, e la loro esperienza si diffonde, creando un dialogo continuo tra struttura, natura e persone».
Parla anche di una nuova concezione del lusso. In che senso?
«Il lusso di cui parlo è quello dell’autenticità. Per anni siamo stati educati a un certo tipo di lusso fatto di opulenza, ma oggi una
Questo significa che attribuiremo una certa temporaneità alla nostra presenza in un determinato Paesaggio naturale, grazie ad architetture completamente reversibili e ad impatto zero, noleggiabili per il tempo necessario. L’evoluzione e la reversibilità saranno al centro: questi moduli dovranno rispondere ai cambiamenti dei climi, dei tempi e delle esigenze, così come fa la natura, ovvero in termini adattivi e resilienti».
nuova forma di lusso è legata alla purezza dei luoghi e alla coerenza con cui ci si approccia ad essi. Essere fedeli a questa filosofia, senza compromessi, è un valore in sé. La Svizzera, ad esempio, è uno dei paesaggi più autentici che io abbia vissuto. È una location perfetta per il turismo sostenibile, un territorio dove ancora esistono luoghi intatti e meritevoli di essere raggiunti da un turismo consapevole».
Come vede il futuro di queste architetture e del turismo sostenibile?
«Penso che nei prossimi vent’anni scomparirà, almeno in parte, il concetto di proprietà di queste strutture.
LA GENEROSITÀ CHE CURA
GENEROSITÀ E FILANTROPIA INTRECCIANO UN PROFONDO LEGAME, CAPACE DI GENERARE
CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI E DURATURI. ATTRAVERSO GESTI ALTRUISTICI E INIZIATIVE STRUTTURATE,
QUESTE FORZE TRASFORMANO VITE E COMUNITÀ. IN QUESTO ARTICOLO, SCOPRIREMO STORIE ISPIRATRICI
DI FILANTROPIA CHE METTONO IN LUCE IL POTERE TRASFORMATIVO DEL DONO E DELLA CURA.
Se dovesse ridefinire il significato di generosità, quale formulazione proporrebbe?
«Per me, la generosità assume un significato profondo, che va oltre le definizioni tradizionali come l’essere “altruisti” o “di buon cuore”. È la capacità di generare speranza con gesti di rispetto, comprensione e solidarietà verso gli altri. In un mondo che esalta l’individualismo e l’autorealizzazione, la generosità ha una valenza rivoluzionaria, direi dirompente, crea una contro-energia rispetto alla lettura della realtà a cui ci abituano una parte della politica internazionale e la lettura dei giornali. Considero la generosità una pratica quotidiana, vissuta come esperienza di vita, che ha il potere di trasformare la natura dell’esistenza, proiettandola verso una dimensione più gioiosa e significativa. Trent’anni trascorsi accanto a filantropi illuminati, volontari e persone che vivono la propria vita con intensità, gioia e un autentico apprezzamento per la socialità, mi hanno insegnato che è solo attraverso un costante esercizio quotidiano che si raggiunge tale profondità».
Perché parla volentieri di una “generosità che cura”?
«Donare è un modo per creare connessioni significative e arricchire identità e senso di appartenenza. Già nel 2014 Pier Mario Vello, nel
suo libro La società generosa , scriveva: “Il dono è il principale creatore simbolico di socialità e, allo stesso tempo, è il motore della circolazione materiale dei beni, reazione di fronte all’ignoto e forza alla base dello sviluppo delle alleanze. Il dono scardina, non crea gerarchie, viene prima dell’economia e dello Stato” (http://www.piermariovello.it/la-societa-generosa/). Nel 2020 è nato il Movimento Italia Gentile, che rappresenta non solo cittadini e istituzioni ma coinvolge città che si impegnano a coltivare relazioni positive, migliorare la qualità della vita e incoraggiare il senso di appartenenza, spesso attraverso progetti educativi, culturali e sociali, e naturalmente iniziative filantropiche. La Repubblica di San Marino è stata riconosciuta come il primo Stato Gentile al mondo. Il movimento ha assunto una dimensione globale attraverso l’International Kindness Movement, che promuove una “rivoluzione gentile”, incoraggiando la collaborazione e la solidarietà tra individui, enti pubblici e privati (https://internationalkindnessmovement.com/entra-in-italia-gentile/).
Tuttavia parlare di dono non è semplice, e spesso mi capita di percepire scetticismo attorno all’argomento».
Qual è il legame fra la generosità che cura e la filantropia?
L’associazione tra generosità e filantropia può suscitare critiche e scherno da parte di fondazioni e filantropi quando è percepita come un mezzo per guadagnare prestigio personale, influenzare decisioni politiche o deviare l’attenzione da pratiche contestabili”.
«Nel libro Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica , scritto con Luigino Bruni, l’economista Stefano Zamagni descrive la filantropia come un “umanesimo civile”, definizione da me condivisa (cfr. anche https://www.ilmondounito.com/27%20 FILANTROPIA.e.IMPRESA.SOCIALE.pdf). Generosità e filantropia sono strettamente legate, poiché entrambe si basano sul desiderio di aiutare gli altri e migliorare il benessere della comunità. Se il dono personale è simbolo di cura e connessione, la filantropia espande questa visione, trasformandola in un movimento strutturato e orientato a un impatto più ampio. Ci sono però alcune differenze chiave fra generosità e filantropia: mentre la generosità si riferisce a piccoli e grandi atti di gentilezza quotidiana che hanno un impatto positivo e immediato sul benessere emotivo, mentale e fisico di individui o gruppi, la filantropia rappresenta una forma più strutturata e organizzata di donazione, che mira a risolvere problemi sociali su scala più ampia. Un esempio è quello della famiglia Ponti, imprenditori della Ponti S.p.A., che nel Novarese ha sostenuto numerose iniziative culturali e di solidarietà, contribuendo alla creazione di centri residenziali per disabili e case per anziani, dimostrando un forte impegno verso la responsabilità sociale e il territorio (https://www.fondazionecariplo.it/it/progetti/fondazioni-di-comunita/le-esperienze-dei-filantropi.html). Generosità e filantropia, sono una sfida al consumismo per promuovere valore».
Per quale motivo l’associazione tra il concetto di generosità e l’attività espressa da fondazioni e filantropi spesso è aspramente criticata?
«L’associazione tra generosità e filantropia può suscitare critiche e scherno da parte di fondazioni e filantropi quando è percepita come un mezzo per guadagnare prestigio personale, influenzare decisioni politiche o deviare l’attenzione da pratiche contestabili. Alcuni accusano queste iniziative di favorire un approccio paternalistico, in cui la distribuzione delle risorse è gestita senza un reale coinvolgimento delle comunità beneficiarie. Per rispondere a tali critiche, è importante adottare un approccio trasparente, misurare l’effettivo impatto sociale delle iniziative e incoraggiare un dialogo aperto con le comunità, per garantire che i bisogni reali siano davvero al centro delle attività filantropiche».
Le viene in mente una storia di un filantropo particolarmente generoso?
«Un esempio toccante viene dalla vita di colui che è stato definito “l’Angelo della filantropia”, il milanese Roberto Bagnato, recentemente scomparso, che di fronte alle difficoltà della gente ripeteva: “Non riesco ad accettare che a Milano si possa vivere così”. Bocconiano, ex funzionario di banca ed esperto di finanza, Bagnato ha trascorso l’ultima parte dell’esistenza ad aiutare i bisognosi, rimanendo sempre nell’ombra, senza mai far conoscere la sua identità. Aveva incominciato la sua missione, naturalmente in incognito, nel 2001, dopo aver letto un articolo su un ex barista costretto a dormire in macchina. Il suo era il desiderio di scuotere le coscienze e denunciare l’indifferenza che nella
metropoli lascia troppe persone da sole, magari malate e senza mezzi o lavoro. Dopo le sue prime azioni, il centralino del “Corriere della Sera” diventò di fuoco, tutti volevano aiuto e conoscerlo, l’“Angelo invisibile” era diventato quasi una leggenda. Bagnato sosteneva che occorresse attivarsi in prima persona, mettendo la gente nella condizione di poter ripartire, perché chi ha di più deve dare qualcosa a chi ha di meno».
Come può un filantropo dimostrare generosità autentica, non solo con il denaro, ma anche con le azioni e l’atteggiamento?
«Un filantropo può per esempio dedicarsi all’incontro con gli artisti che sostiene, prendendosi il tempo per ascoltare chi ha bisogno di condividere i propri pensieri. Così ha fatto per anni il grande filantropo di Winterthur, Werner Reinhart, promotore di musicisti quali Alban Berg, Paul Hindemith, Ernst Krenek, Arnold Schönberg, Richard Strauss, Igor Stravinskij, Anton Webern (cfr. Werner Reinhart, Mäzen der Moderne, Ulrich Tadday Editore, 2024). Può donare il proprio tempo e il proprio sapere, mettendo le sue competenze a disposizione per aiutare un’organizzazione non profit in difficoltà. Un altro esempio interessante è quello della Elea Foundation for Ethics in Globalization, istituita da Peter Wuffli. La fondazione collabora strettamente con un gruppo di investitori filantropici che condividono la convinzione che la povertà possa essere combattuta efficacemente attraverso strumenti imprenditoriali. Elea offre loro l’opportunità di mettere a disposizione capitale e competenze a favore di aziende che abbiano un forte impatto sociale (https://www.elea.org). Infine, un filantropo può offrire supporto
emotivo, esprimendo parole di incoraggiamento e conforto in momenti complicati per le istituzioni o le persone che sostiene e mettendo a disposizione le sue reti sociali. Compiere anche gesti semplici, come mostrare apprezzamento a un partner che si sostiene economicamente, può rappresentare un’importante forma di generosità».
In che modo le fondazioni o i mecenati possono attivare forme di “generosità che cura”? «Per esempio mobilitando risorse per sostenere progetti che migliorino il benessere complessivo delle persone. Il concetto di “curare” va ben oltre la guarigione fisica, e abbraccia una dimensione più ampia che include l’aspetto emotivo, mentale e sociale di ogni individuo. Offrire sostegno a organizzazioni non profit significa consentire loro di operare con maggiore impatto, fornendo attenzioni e servizi che facciano sentire le persone accolte, comprese e valorizzate. Molte fondazioni filantropiche, come la Pro Mente Sana (https://promentesana.ch), lavorano per sostenere coloro che attraversano momenti di difficoltà emotiva. Attraverso il supporto di donatori filantropi, queste organizzazioni offrono programmi di supporto psicologico e counselling, aiutando individui e famiglie a superare crisi personali e a migliorare il benessere mentale. Un altro esempio significativo è la Fondazione Patrizio Paoletti, che ha sviluppato programmi formativi basati su scoperte neuroscientifiche, psicologiche e pedagogiche per aiutare le persone a coltivare la resilienza nella vita quotidiana (https://fondazionepatriziopaoletti. org). Le esperienze di chi riesce a trasformare situazioni di obbiettiva difficoltà in resilienza grazie al supporto ricevuto dimostrano in modo
concreto come la filantropia possa generare valore, non solo umano ma anche sociale, trasformando le sfide in opportunità di crescita».
Come possiamo bilanciare l’urgenza di rispondere a bisogni crescenti con la necessità di evitare la “philanthropy fatigue” tra donatori e filantropi, e garantire un impatto sostenibile nel lungo termine?
«Nonostante i numerosi benefici, la filantropia presenta anche alcune incognite. Tra queste la “philanthropy fatigue”, ovvero la stanchezza da esaurimento o quella emotiva e finanziaria che i filantropi possono finire per provare quando si tratta di elargire donazioni continue o di rispondere a esigenze umanitarie che si protraggono per un lungo lasso di tempo. Qualche tempo fa, a titolo di esempio, una famiglia di filantropi che ha scelto l’anonimato, e che per anni aveva sostenuto le più svariate iniziative nel campo della salute, ha deciso di concentrarsi su un unico soggetto richiedente. Non certo una sconfitta, ma piuttosto un gesto di generosità verso sé stessi, un modo per indirizzare le proprie energie, ottimizzare l’impatto delle donazioni e vivere pienamente il significato autentico della filantropia. Concentrarsi non significa ridurre il valore dell’aiuto, ma rafforzarlo, trasformandolo in un impegno profondo e mirato, capace di lasciare un segno duraturo».
Dr. Dr. Elisa Bortoluzzi Dubach, consulente di Relazioni Pubbliche, Sponsorizzazioni e Fondazioni, è docente presso varie università e istituti superiori in Svizzera e Italia e co-autrice fra gli altri di La relazione generosa – Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati. (www.elisabortoluzzi.com)
<< La cucina è il filo conduttore della mia vita, un legame che attraversa il passato, il presente e il futuro. È un linguaggio universale, capace di trasmettere emozioni, raccontare storie e creare connessioni. Nel mio percorso ho imparato che non basta conoscere le tecniche o padroneggiare gli ingredienti: ciò che rende davvero unico un piatto è l’intenzione con cui viene creato. Per me, cucinare significa equilibrio tra tradizione e innovazione, rispetto per la materia prima e ricerca costante. Il mio obiettivo è trasformare ogni piatto in un’esperienza, un incontro tra sapori autentici e nuove prospettive, per lasciare un ricordo che vada oltre il semplice gusto >>
Arturo Fragnito
Calamaro "Total Black"
Gnocchetto croccante allo zafferano, Parmigiano Vacche Rosse e tartufo nero
INTERVIEW WITH MICHÈLE FREY-HILTI, CHAIRWOMAN OF THE BOARD OF THE HILTI FAMILY FOUNDATION LIECHTENSTEIN, MEMBER OF THE BOARD OF THE HILTI FOUNDATION AND THE HILTI ART FOUNDATION, AND VICE CHAIR OF THE LEBENSWERTES LIECHTENSTEIN FOUNDATION
BY ELISA BORTOLUZZI DUBACH
Michèle Frey-Hilti, if you could repeat one day of your life, which day would it be and why?
«Definitely the day my husband Lorenz and I were married. It was a day on which everything was perfect and which you want to remember forever. A day full of love and special moments for us as a couple, together with family and best friends».
OUR GLOBAL PHILANTHROPIC COMMITMENT
Can you share with us a formative experience or key moment from your life that influenced your journey to philanthropy?
«When I was a child, my mother was committed to helping street children in Romania. She was often in Bucharest and explained to me early on why, and under what circumstances, the children had to live on the streets. The project she was involved in got the children off the streets, gave them a home in a family-like environment and access to school and vocational training. Later, I accompanied her on several trips. I realized that many people are unable to develop their potential - not because they lack talent, but because they are denied basic opportunities. Particularly where edu -
cational opportunities are poor, decisions are often made not out of conviction, but due to a lack of better alternatives - or simply because one doesn’t know any better. This keeps many people trapped in a spiral of poverty and dependency».
What role has education played in your life and how has it influenced your professional and personal development?
«Education continues to play a major role in my life and influences my professional and personal development to this day. It is an absolute privilege to have access to knowledge, to be able to constantly educate oneself and to be able to immerse oneself in all the topics that are interesting and inspiring. There is so much to learn in this world and I believe that we never stop learning. What’s more, if you don’t know anything, you have to believe everything - and that is rarely an advantage».
Which people or role models have inspired you on your path to philanthropy and how have these influences shaped your thoughts and actions?
«Certainly, as already mentioned, my mother. But basically, my family has been socially committed for as long as I can remember. My father, Michael, and my grandfather, Martin, were also formative role models for me. They showed me that entre -
preneurial success comes with responsibility, that we were lucky in life and should therefore give back to the community. This belief and value system has strongly influenced my thoughts and actions».
What have you learned about philanthropy from your father and how have these lessons influenced your own involvement in the Hilti Foundation?
«My father treats everyone with respect and meets them on equal terms. He is a true entrepreneur and wants our foundation not only to support people, but also to challenge them. He has strongly influenced the way our foundation works, the aim of which is to enable people to improve their lives through their own efforts and to become self-reliant and independent. With the projects of the Hilti Foundation, we promote help for self-help. Because we are convinced that with access to education, knowledge and perspectives, the future of many people can be sustainably improved».
Can you give us an insight into the origins and goals of the Hilti Foundation? What was the foundation’s original vision?
«My family was already active in philanthropy before the foundation was established, but these efforts were mainly focused on Liechtenstein and the surrounding region. The Hilti Foundation was established in 1996 - as a result of our commitment to supporting the research work of underwater archaeologist Franck Goddio in Egypt. The archaeological discoveries he made, which we first made public in 1996, attracted worldwide attention. This partnership gave rise to the desire to give our social commitment a
“My family was already active in philanthropy before the foundation was established, but these efforts were mainly focused on Liechtenstein and the surrounding region. The Hilti Foundation was established in 1996 - as a result of our commitment to supporting the research work of underwater archaeologist Franck Goddio in Egypt”.
stronger structure and to become socially engaged internationally. Today, all of our philanthropic commitments are bundled together within the Hilti Foundation».
What are some of the Hilti Foundation’s current projects and what long-term goals do you have?
«In Liechtenstein, we are committed to strengthening the community and the sustainable development of the location. Together with local partners, we implement projects that promote biodiversity, education and inclusion - issues that are crucial for our society and future generations. Internationally, we create safe and affordable housing, especially for families in fragile living conditions, and support initiatives that lift people out of poverty. We also promote educational programs for young people that give them self-confidence and open up new perspectives - for example through music or dual vocational training».
How does the Hilti Foundation’s funding activity differ from that of other foundations, and how has it changed over time?
«We attach great importance to not simply being a grant-making foundation, but to developing projects to -
gether with our partners and driving them forward strategically. This close collaboration enables us to contribute our knowledge and create solutions that will, hopefully, have a long-term impact - ideally in such a way that they become self-sustaining over time and that an active role on our part is no longer necessary. We also regularly measure the success of our projects and can make corresponding changes if necessary. What sets us apart from many other foundations is that we also think and act entrepreneurially in our philanthropic work».
The Hilti Art Foundation is another foundation in which you are active and which manages an impressive art collection. What is your personal connection to art and what significance does it have in your family?
«There was always art in our home. My father and mother have always had a passionate interest and this enthusiasm has been passed to me over the years. Art not only awakens emotions in people and stimulates discussion, but also enables encounters with another world. Almost no one is left unaffected by it. That’s why it fascinates me.
The Hilti Art Foundation does not have its own collection, but represents the collection of both the fami-
ly trust and my parents, Michael and Caroline Hilti, to the outside world. Thus it brings together works from classical modernism to the present day. Both collections are still being developed and expanded».
What do you think about collaborating with other philanthropists and what benefits do you think this type of collaboration brings?
«Collaborations are valuable. We can always achieve more together than alone and we can learn a lot from each other if we are prepared to listen. It is crucial that the collaboration be based on honesty, mutual understanding and, above all, common goals.
What I find particularly enriching about every collaboration is how
different the approaches and perspectives can be - depending on the cultural context or personal background. This is where I see great potential».
What challenges and opportunities do you see for the future of philanthropy in the Principality of Liechtenstein? «One challenge will certainly be to win over future generations for philanthropic commitment. We are currently trying to do this, for example, with the “supergut” initiative (English: “super good”), which creatively introduces young people to the importance of biodiversity. With its manageable size and informal channels, Liechtenstein offers great opportunities.
We can launch pilot projects relatively easily, learn from them and develop successful models, some of which can be adapted and implemented in other countries or contexts. Liechtenstein could certainly play a positive and pioneering role here».
When you look to the future, what hopes and visions do you have for the next generation of philanthropists in your family and beyond?
«I hope that the next generation in our family - and the next generation in the world - will one day take responsibility, not because they have to, but because they want to. And that they can do so in a world that doesn’t need to be saved first».
Sanitas Troesch SA | Via Vedeggio 3 | 6814 Lamone
Tel. +41 91 912 28 50 | sanitastroesch.ch
Sanitas Troesch SA | Via Cantonale 36 | 6594 Contone
Tel. +41 91 851 97 60 | sanitastroesch.ch
Executive Search
Recruiting
Assessment
Outplacement
Coaching
Temporary by e-work
SPECIALISTI RICERCANO
SPECIALISTI
LWP
LEDERMANN, WIETING & PARTNERS Via Vegezzi 4 6900 Lugano
+41 91 921 48 78 info@lwphr.ch
INSIEME PER CONTARE DI PIÙ
Come ha iniziato a collaborare con la VLGST-Associazione delle Fondazioni di pubblica utilità del Liechtenstein e cosa la motiva personalmente nel suo ruolo di direttrice?
«Grazie alla mia esperienza professionale e ai molti anni di volontariato in varie associazioni e organizzazioni, la mia rete nel settore non profit si è costantemente ampliata e così mi è stata data l’opportunità di entrare a far parte della VLGST nel 2013. Ho avuto il privilegio di sviluppare costantemente l’associazione insieme al presidente fondatore Fürstl. Rat Hans Brunhart - inizialmente con un carico di lavoro del 50%, oggi insieme a un team dedicato composto da quattro dipendenti part-time. Il settore delle fondazioni mi affascina per la sua complessità e
mi consente un lavoro significativo con ampio margine di manovra. Da quattro anni sono anche membro del Parlamento del Principato del Liechtenstein e ora sono anche portavoce del gruppo parlamentare. Per poter svolgere questo doppio ruolo, nell’aprile 2025 siamo passati a un modello di cogestione della direzione dell’Associazione. Sono lieta di condividere questo ruolo di responsabilità d’ora in poi insieme alla mia collega Karin Schöb».
Quando e perché è stata fondata la VLGST- Associazione delle fondazioni di pubblica utilità e dei trust del Liechtenstein?
«La crisi finanziaria del 2008 e il dibattito sulla piazza finanziaria sono stati i fattori decisivi per la istituzione della VLGST. La Fondazione del Liechtenstein era vista in modo con-
INTERVISTA A DAGMAR
BÜHLER-NIGSCH, CONDIRETTRICE
DELLA VLGST-ASSOCIAZIONE DELLE FONDAZIONI DI PUBBLICA
UTILITÀ E DEI TRUST
DEL LIECHTENSTEIN
Da sinistra Dagmar Bühler-Nigsch e Karin Schöb
troverso in ambito internazionale e il prezioso lavoro delle nostre fondazioni era completamente sottovalutato. Era importante dare voce alle organizzazioni caritatevoli del Liechtenstein e rappresentare i loro interessi per posizionarle correttamente, dare maggiore visibilità alla loro importanza e creare buone condizioni quadro».
Chi sono stati i membri fondatori e qual era la loro visione per l’Associazione?
«I membri fondatori, il Fürstlicher Rat Hans Brunhart (presidente fondatore), il dottor Peter Goop e Egbert Appel, condividevano l’idea di poter ottenere di più insieme. Consideravano la fondazione di Pucome uno strumento prezioso per promuovere la coesione nella società e un importante pilastro della nostra società civile. La VLGST consente di mettere in comune gli interessi di un gran numero di fondazioni di pubblica utilità nel Liechtenstein, di sfruttare il loro potenziale per la società in modo cooperativo e di utilizzare il patrimonio in modo responsabile e sostenibile».
Come descriverebbe l’attuale contesto per le fondazioni di pubblica utilità in Liechtenstein?
«Il Global Philanthropy Environment Index 2022 ha riconosciuto il Liechtenstein come la migliore sede al mondo per le fondazioni di pubblica utilità. L’indice ha analizzato 91 Paesi in termini di condizioni quadro per l’impegno filantropico. La legge innovativa e flessibile sulle fondazioni, le buone condizioni economiche e una lunga tradizione di impegno sociale e cooperazione internazionale rendono particolarmente facile per i fondatori massimizzare il loro impatto sia in patria che all’estero. L’indice sarà ripubblicato nel 2025. Il VLGST si aspetta ancora una volta che il Liechtenstein raggiunga il primo posto, poiché le condizioni quadro per le fondazioni di pubblica utilità sono state ottimizzate anche in termini di finanziamento imprenditoriale».
Quali sfide e opportunità vede per le fondazioni di pubblica utilità nei prossimi anni?
«In un mondo sempre più polarizzato, diventa sempre più importante per le fondazioni di pubblica utilità, promuovere attivamente i valori fondamentali e la democrazia. Allo stesso tempo, devono confrontarsi con “shrinking spaces”, ovvero con le crescenti restrizioni al coinvolgimento della società civile in contesti autoritari o illiberali. Il networking internazionale svolge un ruolo fondamentale in questo senso, così come il lavoro politico delle associazioni nazionali di fondazioni che si battono per ottenere condizioni quadro favorevoli. Allo stesso tempo, i nuovi sviluppi tecnologici offrono grandi opportunità: la digitalizzazione può rendere più efficiente il lavoro delle fondazioni, promuovere la trasparenza e facilitare la collaborazione oltre i confini nazionali. Per rimanere efficaci nel lungo periodo, le
“In un mondo sempre più polarizzato, diventa sempre più importante per le fondazioni di pubblica utilità, promuovere attivamente i valori fondamentali e la democrazia. Allo stesso tempo, devono confrontarsi con “shrinking spaces”, ovvero con le crescenti restrizioni al coinvolgimento della società civile in contesti autoritari o illiberali”.
fondazioni di beneficenza devono reagire in modo flessibile ai cambiamenti sociali e tecnologici. Dovrebbero concentrarsi sempre più sulla trasparenza, sulla cooperazione e su modelli di finanziamento innovativi per garantire la loro legittimità ed efficacia in un mondo in continua evoluzione».
Può fornirci alcune cifre e statistiche sulle fondazioni di pubblica utilità in Liechtenstein? Ad esempio, il numero di fondazioni e i loro contributi finanziari?
«Con 1.398 fondazioni di pubblica utilità alla fine del 2024, è stato raggiunto un nuovo massimo. Ne siamo naturalmente molto soddisfatti. Purtroppo, però, non vengono raccolti dati e cifre sulle attività di finanziamento delle fondazioni di pubblica utilità. Secondo il nostro ultimo sondaggio volontario, l’attenzione si è concentrata soprattutto sui settori dell’assistenza sociale, dell’istruzione e della formazione, della sanità e della medicina, nonché della ricerca e della scienza. Il Liechtenstein vanta anche una lunga tradizione di cooperazione internazionale. Tuttavia, le fondazioni di beneficenza sono ancora molto caute nella comunicazione e le cifre non sono vincolanti. Per noi questo è uno dei compiti principali.
Il VLGST, che oggi conta 135 fondazioni membro e sette partner associati, si impegna a rendere visibili le attività delle fondazioni del Liechtenstein e a ottenere più cifre e dati sul settore. È importante una comunicazione aperta e trasparente sulle attività e sull’impegno delle fondazioni di pubblica utilità».
Come si è sviluppato il numero di fondazioni negli ultimi anni? «Con circa il 15%, le fondazioni di pubblica utilità rappresentano una quota significativa del settore delle fondazioni del Liechtenstein. Nel 2010 il numero di fondazioni di pubblica utilità si è attestato a 1.003 ed è quindi aumentato del 39% fino ad oggi, sia per le nuove fondazioni che per le conversioni da fondazioni private a fondazioni di pubblica utilità. Come già accennato, le condizioni quadro per le fondazioni di pubblica utilità nel Liechtenstein sono molto interessanti grazie all’elevato grado di libertà dei fondatori e alla legge liberale sulle fondazioni. Tuttavia, la competizione fra Paesi per essere sede di fondazioni sta guadagnando slancio e noi utilizziamo questa dinamica per rappresentare con ancora più forza gli interessi dei nostri membri a favore di un lavoro fondazionale moderno».
Lei ha detto che l’Associazione conta 142 membri. Quali tipi di fondazioni sono rappresentate?
«Si tratta di fondazioni erogative che sono attive in un’ampia gamma di ambiti. Si va dalle fondazioni operative, che realizzano esclusivamente progetti propri, alle fondazioni fiduciarie con beneficiari fissi già definiti nello statuto. Il loro contributo alla società è essenziale: quasi nessuna organizzazione sociale, culturale o sportiva può fare a meno del loro sostegno. Creano stimoli, promuovono cambiamenti positivi e rafforzano la coesione sociale impegnandosi per il bene comune».
Quali importanti progressi e successi ha ottenuto la VLGST dalla sua istituzione?
«L’associazione è diventata un elemento imprescindibile come rappre -
sentante delle fondazioni senza scopo di lucro, oltre a fungere da piattaforma di scambio tra i membri e da punto di riferimento essenziale per tutte le questioni legate al settore filantropico. Grazie alla sua solida rete internazionale e alla collaborazione con partner nazionali e autorità, il Liechtenstein è diventato una rinomata sede per fondazioni senza scopo di lucro. L’associazione si impegna per una buona governance delle fondazioni e per la professionalizzazione del settore, offrendo il massimo supporto alle fondazioni senza scopo di lucro nel far fronte alle crescenti esigenze e alla crescente complessità. Questo impegno si riflette anche nel continuo aumento del numero di membri dell’associazione».
215x138, TW (2023_04).pdf 1 28.04.2023 17:53:41
Quali sono i progetti e gli obiettivi più importanti che la VLGST ha in programma per il futuro e come pensate, come Associazione, di sostenere e promuovere ulteriormente il lavoro delle fondazioni di pubblica utilità nel Liechtenstein? «Il nostro grande obiettivo è quello di aumentare l’efficienza e l’efficacia del settore filantropico attraverso una maggiore trasparenza e digitalizzazione, promuovendo la cooperazione – sia nel settore del non profit che in ambito intersettoriale. In questo modo, gettiamo le fondamenta per un sistema di fondazioni proiettato verso il futuro in Liechtenstein, capace di guidare e motivare anche le generazioni future».
L’IMPORTANZA DEL SELF EMPOWERMENT
INTERVISTA CON PETER GOOP, AVVOCATO, CO-FONDATORE
DELLA VLGST- ASSOCIAZIONE DELLE FONDAZIONI DI PUBBLICA
UTILITÀ E DEI TRUST DEL LIECHTENSTEIN.
Dr. Goop, ci piacerebbe approfondire la sua esperienza personale e capire cosa l’ha motivato a intraprendere il percorso nel campo della filantropia. Può raccontarci qualcosa al riguardo?
«Fin da bambino ho imparato a nutrire rispetto e considerazione per chi non è stato favorito dalla sorte. Mio padre è stato per me un esempio, ma anche mia madre e i miei nonni si sono sempre impegnati ad aiutare le persone che vivevano situazioni di difficoltà. In definitiva, si tratta di una consapevole assunzione di re-
sponsabilità nei confronti di chi bisogno di aiuto. Questo principio mi è stato trasmesso fin dall’infanzia».
Quali sono state le tappe più significative della sua carriera e come hanno influenzato la sua visione della filantropia e del lavoro con le fondazioni erogative?
«A tal proposito sono stato particolarmente ispirato dall’esempio di un cliente francese, il quale mi raccontò che in Normandia esiste una tradizione secondo cui le persone facoltose destinano “les dix pour cents pour les oeuvres”, ovvero il 10% del proprio patrimonio, a scopi be -
nefici. Non avevo mai incontrato prima una prassi del genere e, da giovane avvocato, ne sono stato profondamente influenzato. Da allora ho cercato di applicare questo principio in molte altre occasioni e di tenerne conto anche nel mio comportamento personale».
C’è un progetto o un’iniziativa, tra quelli sostenuti dalle fondazioni erogative, che l’ha colpita in modo particolare? E perché?
«Nel corso della mia decennale attività come responsabile di fondazioni erogative ho avuto modo di conoscere molti progetti straordinari, di cui sono davvero orgoglioso. Si tratta di iniziative nel campo della tutela ambientale, del sociale, della ricerca medica, della promozione delle donne, di nuove patologie come l’autismo, e anche di progetti legati all’autodeterminazione (Self Empowerment). Proprio quest’ultimo ambito mi sembra un concetto chiave per cercare di migliorare concretamente le condizioni di vita di molta parte delle persone nel mondo. Solo chi abbia imparato come funzionano le cose e acquisito la capacità di esprimersi e di impegnarsi politicamente può cercare davvero di generare un cambiamento significativo».
Come vede il suo ruolo personale nel settore delle fondazioni e quali visioni la guidano?
«Mi è facile rispondere a questa domanda, perché considero il mio ruolo in quest’ambito come quello
“Sono convinto che il settore delle fondazioni erogative in Liechtenstein continuerà a crescere.
Ci sono tuttavia sfide e rischi su più fronti”.
di chi, grazie alla generosità dei fondatori, ha l’opportunità di sostenere progetti e coltivare così la visione di un mondo migliore per gran parte dell’umanità. Naturalmente sono consapevole delle difficoltà e delle sfide da affrontare, ma è questo spirito che guida e motiva il mio impegno quotidiano».
Potrebbe fornirci una panoramica dell’attuale quadro giuridico delle fondazioni erogative nel Principato del Liechtenstein? Come si sono sviluppate nel tempo? «Le normative che regolano le fondazioni erogative in Liechtenstein sono facilmente consultabili online. Si tratta di condizioni quadro eccellenti, che da un lato consentono ai donatori grande libertà, e dall’altro garantiscono il necessario controllo circa l’origine e l’utilizzo dei fondi. La situazione è migliorata ulteriormente con l’ultima revisione della legislazione sulle fondazioni: per esempio, è stata data una definizione chiara del concetto di utilità pubblica; più in generale, le normative sulla vigilanza e la “due diligence” hanno riconosciuto il ruolo delle fondazioni erogative, che sono regolamentate in modo adeguato e liberale».
Quali sono, secondo lei, le principali sfide per le fondazioni erogative in Liechtenstein nell’attuale contesto legale e come possono essere affrontate? «Le principali sfide future per le fondazioni filantropiche riguardano, a mio avviso, soprattutto l’applicazione
ragionevole dei regolamenti sul riciclaggio di denaro e delle norme di conformità e compliance. Se alcune dei provvedimenti richiesti attualmente in discussione, venissero effettivamente implementati si potrebbe addirittura configurare un rischio per le attività di pubblica utilità».
Quale ruolo ritiene svolga, a livello nazionale e internazionale, la VLGST e in che modo contribuisce personalmente alla sua missione?
«La VLGST rappresenta in modo eccellente gli interessi delle fondazioni e dei trust filantropici e contribuisce sia a radicare l’idea delle fondazioni di erogazione che a promuovere l’adozione dei necessari standard legali e a trattare altre misure in modo ottimale. Nell’attuazione del loro scopo, le fondazioni erogative hanno dinamiche, obiettivi e strategie specifici. La VLGST si occupa di riunire e rappresentare questi interessi».
Il Liechtenstein gode di una reputazione unica nel campo delle fondazioni. Secondo lei, quali sono i punti di forza e i vantaggi particolari del diritto delle fondazioni del Principato?
«I punti di forza del diritto delle fondazioni del Liechtenstein risiedono da un lato, come già accennato, in una regolamentazione aperta e, dall’altro, nell’applicazione prudente ma efficiente delle disposizioni in materia di vigilanza e conformità».
Come vede lo sviluppo futuro del settore delle fondazioni nel Paese e quali tendenze e cambiamenti si aspetta nei prossimi anni?
«Sono convinto che il settore delle fondazioni erogative in Liechtenstein continuerà a crescere. Ci sono tuttavia sfide e rischi su più fronti. Da un lato, i requisiti di conformità diventeranno più stringenti, costringendo i beneficiari delle sovvenzioni a fornire report dettagliati circa i contenuti dei progetti e l’uso dei fondi, anche se dovrebbe essere possibile erogare finanziamenti su basi di fiducia. Questo è un aspetto che mi sta particolarmente a cuore, per evitare che le fondazioni si trovino soffocate da eccessive richieste burocratiche o che alcune di esse interrompano del tutto le erogazioni. D’altra parte, credo fermamente che le fondazioni di beneficenza debbano rivolgere maggiore attenzione alla gestione dei fondi. Qualche passo in questa direzione è stato fatto e la VLGST, sin dalla sua istituzione, ha dedicato grande impegno a questo tema. Tuttavia, a mio giudizio, non si è fatto ancora abbastanza, e non si è arrivati a un sufficiente grado di consapevolezza in proposito tra i membri del Consiglio di fondazione. Ritengo che alla gestione del patrimonio in conformità con gli scopi della fondazione si debbano dedicare almeno lo stesso tempo ed energia, e soprattutto la stessa competenza, che alle erogazioni. Inoltre, personalmente, accoglierei positivamente l’idea che, pur senza una vera e propria supervisione, il rapporto annuale del Consiglio di fondazione includesse una relazione circa la gestione del patrimonio in conformità agli scopi della fondazione».
ESPERIENZE TUTTE DA VIVERE
LA NUOVA CAMPAGNA MARKETING DI TICINO TURISMO
È INCENTRATA SU UN INVITO A SCOPRIRE IL TICINO ATTRAVERSO
UNA LISTA DEI DESIDERI DI ESPERIENZE AUTENTICHE.
Angelo Trotta, Direttore di Ticino Turismo, così presenta la nuova campagna: «Il turismo di oggi cerca autenticità ed emozioni. Con questa campagna desideriamo ispirare i visitatori a (ri)scoprire il Ticino come una meta vicina ma sorprendente, capace di offrire esperienze ricche e diversificate in ogni stagione. Il nostro impegno è quello di valorizzare il territorio con una comunicazione contemporanea, che sappia parlare a pubblici diversi e raccontare il Ticino in modo sincero e coinvolgente».
Dopo tre anni di successo con “I Colori del Ticino”, Ticino Turismo lancia dunque, in collaborazione con le Organizzazioni turistiche regionali una nuova iniziativa di promozione turistica rivolta in particolare al pubblico a nord delle Alpi e della Germania. Con il titolo “Devi averlo vissuto”, punta a valorizzare la varietà dell’offerta turistica ticinese con un approccio esperienziale e coinvolgente. Attraverso immagini evocative, un design rinnovato e una comunicazione orientata all’emozione e all’autenticità, Ticino Turismo intende rafforzare l’immagine del nostro cantone come destinazione turistica accessibile, sostenibile e ricca di opportunità. La campagna si articola in una serie di tematiche stagionali e di interesse trasversale – tra cui Primavera, Viaggio nel tempo, Avventura in famiglia, Dolce far niente, Escursioni e Nel vivo – capaci di parlare a target diversi, dai viaggiatori giovani agli appassionati di natura, cultura e gastronomia. Con lo slogan “Devi averlo vissuto”, l’invito è quello di costruire una propria “bucket list” (o lista dei desideri) di esperienze sul territorio, sottolineando l’importanza del viaggio come scoperta personale. Enfasi verrà data anche al Ticino Ticket, in modo da sottolineare come il territorio possa essere esplorato comodamente e in modo sostenibile, con l’ausilio dei trasporti pubblici gratuiti e numerosi sconti per i visitatori.
La campagna sarà diffusa tramite una strategia multicanale che include affissioni, contenuti social, una presenza digitale sul sito ticino.ch/bucketlist e la divulgazione di un video tematico. Particolare attenzione è rivolta al mercato interno svizzero e alla vicina regione del Baden-Württemberg, in Germania. Direttamente dalla pagina web della campagna i viaggiatori possono approfittare fino alla fine di maggio di un pacchetto vantaggioso che combina trasporto in treno e soggiorno in Ticino a condizioni particolarmente competitive. Inoltre, nel corso dell’anno saranno lanciati due concorsi – in primavera e in autunno – che offriranno al pubblico l’opportunità di vincere premi legati al territorio.
A margine della campagna, Ticino Turismo ha avviato una collaborazione con Mike Casa, content creator e storyteller di origini ticinesi molto seguito in Svizzera, noto per la sua capacità di raccontare luoghi ed esperienze in modo genuino e ironico. Con il suo stile spontaneo e il forte legame con il territorio, Mike rappresenta un ponte ideale tra la nostra destinazione e un pubblico giovane e digitalmente connesso. I contenuti condivisi da Mike Casa sui suoi canali social hanno riscosso un ottimo riscontro in termini di visualizzazioni, interazioni e condivisioni, contribuendo a rafforzare la visibilità della campagna in una fascia di pubblico strategica per il turismo ticinese.
PRODOTTI TURISTICI SEMPRE PIÙ ATTRATTIVI
MASSIMO BONI, DIRETTORE
DELL’ENTE TURISTICO DEL LUGANESE, FA IL PUNTO SULLO
STATO DEL TURISMO NELLA
REGIONE E ILLUSTRA LE STRATEGIE
FINALIZZATE A DIVENTARE
LA DESTINAZIONE DI RIFERIMENTO
PER LA SVIZZERA E PER I SUOI
MERCATI STRATEGICI NEI QUATTRO
SEGMENTI SPORT E NATURA, ARTE A CULTURA, ENOGASTRONOMIA E MICE.
Quali sono i più importanti elementi che emergono dal bilancio delle attività svolte nel corso del 2024?
«I dati relativi allo scorso anno sono in linea con le aspettative e la lieve flessione del 2,38% dei pernottamenti si spiega perfettamente tenendo conto dei risultati degli anni immediatamente successivi alla pandemia quando si era registrato un rilevante afflusso di turisti provenienti soprattutto dalla Svizzera interna determinato dalle ridotte opportunità di spostamento che la situazione sanitaria all’epoca imponeva. Ora possiamo guardare con fiducia ad una ripresa del turismo internazionale (i mercati per noi più significativi non sembrano essere toccati dalle attuali gravi crisi geopolitiche) e alla previsione di una stabilizzazione dei pernottamenti svizzeri. A tal fine verranno incrementate le attività pro -
mozionali nei mercati esteri. Ma, soprattutto, la nostra azione punterà sullo sviluppo di nuovi prodotti nell’ambito dei diversi segmenti e della strategia Family Destination».
Quali iniziative meritano dunque di essere segnalate riguardo al marketing, la promozione e la comunicazione?
«Sono numerosi i progetti prioritari che, accanto alle attività correnti, vedranno impegnato Lugano Region nel corso del 2025 a cominciare dall’attivazione di almeno una decina di offerte promozionali di prodotto con pernottamento. In linea con la strategia Family Destination, è previsto lo sviluppo di una serie di progetti mirati ad accrescere l’attrattività verso questo target nonché la realizzazione di nuovi prodotti per diversi segmenti, iniziando dalla realizzazione di nuovi percorsi mountain-bike e gravel. Da segnalare poi tutta una serie di iniziative che sa-
ranno portate avanti per intensificare la nostra presenza sul mercato tedesco, negli Stati Uniti e in Arabia Saudita. E, ancora, la valorizzazione del Pop Up presso il nuovo Infopoint di Via Magatti 6, l’implementazione del progetto “Lugano Region Ti Conosco”, una serie di workshop per il personale addetto al front office per informarli sulle novità, migliorare l’accoglienza e l’ospitalità».
Guardando alle realizzazioni in corso a che punto siete riguardo al programma di creazione di percorsi gravel?
«Direi che quanto abbiamo fatto rappresenta un po’ il nostro fiore all’occhiello. È stato completato dai percorsi selezionati appositamente per bici gravel e per gli amanti della (e)-MTB che desiderano affrontare un avvincente itinerario panoramico, su cinque tappe, con difficoltà tecnica minima ma con inevitabili dislivelli da coprire. Percorso che alterna strade asfaltate a strade sterrate ma pure sentieri di medio-facile percorrenza, a volte con fondo irregolare che su dei tratti potrebbero richiedere la spinta della bicicletta (2.8 km su 236 km totali); sono infatti due i sentieri di collegamento che permettono di congiungere idealmente le varie vallate/sub-regioni così da ottimizzare gli spostamenti».
L’enogastronomia si conferma un fattore attrattivo sempre più importante… «Il patrimonio culinario si sta affermando sempre più come un fattore decisivo nei processi di attrazione e fruizione turistica. Il turismo enogastronomico acquisisce una rilevanza notevole nella scelta di vacanza, non solo perché il cibo è importante nell’esperienza turistica, ma anche perché l’enogastronomia è diventata una pratica culturale inclusiva di aspetti etici
e di sostenibilità del territorio.
I prodotti agroalimentari tipici, infatti, se opportunamente salvaguardati, concorrono alla costruzione dell’identità di un territorio e ad attivare sinergie con altre risorse (arte, ambiente…). Mi piace dunque dire che l’enogastronomia è cultura, nonché un punto di connessione tra turista e territorio e che da questo punto di vista il Luganese ha davvero molto da offrire grazie all’impegno dei ristoratori (dai grotti ai locali stellati), alle numerose manifestazioni promozionali e anche al sostegno offerto delle diverse istituzioni pubbliche».
E ancora, come pensate di muovervi riguardo a mercati potenzialmente suscettibili di sviluppo?
«A partire dal 2023 il settore MICE e Incoming di Lugano Region è stato integrato all’interno del Ticino Convention Bureau, un centro di competenza cantonale per il turismo d’affari composto da un team di professionisti che si occupa della gestione delle richieste MICE e Incoming. Questo processo ha facilitato il rapporto con aziende e operatori del settore che intendono organizzare eventi a Lugano e nel suo territorio e i risultati già si vedono nel numero e nella qualità delle manifestazioni già svolte o in programma per i prossimi mesi e nelle richieste che vengono di continuo indirizzate ai nostri esperti del settore meeting, incentives, congressi e eventi».
Lugano Region ha di recente conseguito il Label II Engaged nell’ambito del programma
Swisstainable promosso da Svizzera Turismo. Che significato ha questo attestato?
«Questo importante riconoscimento conferma l’impegno concreto ad interpretare la sostenibilità, concetto multidimensionale, sotto tutti gli aspetti e in tutte le sue attività, contribuendo in questo modo ad uno sviluppo sostenibile della destinazione, a livello ambientale, economico e sociale».
Nello specifico quali iniziative avete intrapreso nel campo dell’accessibilità?
«Con l’obiettivo di offrire esperienze inclusive per viaggiatori individuali e piccoli gruppi, il 9 maggio 2025 è stato inaugurato il “Grand Tour della Svizzera senza barriere”: un itinerario in dieci tappe che tocca alcune delle attrazioni più spettacolari della Svizzera, tra cui Lugano. Il tour è personalizzabile in base alle preferenze dei partecipanti e comprende un viaggio in treno panoramico, una crociera in battello e l’accompagnamento di una guida turistica specializzata. La seconda iniziativa riguarda l’impegno ambientale attraverso l’adesione al programma myclimate “Cause We Care”, volto a compensare le emissioni nocive di anidride carbonica. Questo programma permette agli operatori turistici di offrire ai clienti la possibilità di contribuire volontariamente alla protezione del clima al momento dell’acquisto di prodotti o servizi. L’Ente Turistico del Luganese ha introdotto una donazione volontaria dell’1% o 2% su tutti gli acquisti effettuati tramite il proprio marketplace online».
In che modo avete scelto di festeggiare questa importante ricorrenza?
«Il 29 marzo 2025 il Monte San Salvatore ha celebrato il suo 135° anniversario. Un evento importante nello straordinario scenario naturale di una delle vette più
DA PARADISO IN PARADISO
CON QUESTO SLOGAN LA FUNIVIA MONTE SAN SALVATORE, DOPO IL RINNOVO TOTALE DEL 2024 CON IL CAMBIO DELLE VETTURE, CARROZZERIA, CHASSIS, ELETTRONICA E FUNE È PRONTA
PER FESTEGGIARE QUEST’ANNO I SUOI 135 ANNI DI ATTIVITÀ.
INTERVISTA CON FRANCESCO MARKESCH, DIRETTORE
DI FUNICOLARE MONTE SAN SALVATORE.
suggestive del Ticino. Una giornata all’insegna del divertimento e della tradizione: dalla risalita panoramica con la funicolare, fino all’intrattenimento musicale in vetta, tutto è stato pensato per rendere questa ricorrenza speciale».
Altre iniziative sono previste anche per i mesi prossimi? «I festeggiamenti continueranno durante tutto il corso dell’anno e, oltre alle solite manifestazioni come le feste programmate, quali il San Salvatore Vertical e il Concerto all’Alba in agosto, verranno proposte alcuni eventi speciali come una serata per giovani con il gruppo “La soleggiata” e in autunno una serata di luna piena con fondue. Possibili anche altre novità da scoprire sul nuovo sito di recente aggiornato».
La Funicolare continua a registrare nuovi record di passaggi… «Gli ultimi anni per la Società che gestiste l’impianto sono stati molto positivi con un record di passeggeri trasportati nel 2023 (274.016 passaggi), anche il 2024 ha fatto registrare cifre importanti e il 2025, nonostante la Pasqua piovosa, promette bene. Le aperture invernali sono state molto apprezzate e la scelta operata fra i
primi a destagionalizzare già nel 2019, aprendo anche in inverno, ha dato ottimi risultati confermando la validità della decisione».
La storia della Funicolare è segnata da un continuo sforzo di adeguamento dell’impianto… «Prima dell’ultimo globale rinnovamento del 2024 che ha interessato cambio delle vetture, carrozzeria, chassis, elettronica e fune, già negli anni passati furono introdotti aggiornamenti e innovazioni per man-
UNA LUNGA
STORIA DI
PROGRESSO E INNOVAZIONE
L’inaugurazione della funicolare del San Salvatore fu evento non solo storico, ma anche una decisione lungimirante e proficua, aumentando la già grande fama del monte omonimo, diffusasi a partire dal XIII secolo grazie ai pellegrinaggi dei fedeli che affrontavano a piedi la salita fino alla vetta. Non fu tuttavia solo il valore spirituale, ma anche l’impareggiabile veduta a tutto tondo che si può ammirare dalla cima sull’intera regione del lago di Lugano, sulla vasta pianura lombarda, così come sulle maestose catene alpine svizzere e savoiarde, a determinare lo straordinario successo della funicolare.
La prima proposta per la costruzione di una funicolare c’era già stata nel 1870; l’idea fu di Stefano Siccoli, un intraprendente fiorentino che aveva preso in affitto la modesta osteria situata sulla vetta, proponendo il progetto ambizioso di costruire non solo una strada carrozzabile, ma appunto anche una funicolare e un grande albergo. Una nuova iniziativa rivolta al Consiglio Federale, promossa dall’avvocato luganese Antonio Battaglini con il sostegno di un gruppo di determinati concittadini, fu presentata il 10 agosto 1885. I promotori incontrarono non poche difficoltà. A sistemare ogni cosa, ci pensarono i due impresari confederati Bucher e Durrer, titolari a Kägiswil di una ditta specializzata in costruzione di funicolari, ferrovie e alberghi. Acquistarono dal dott. Battaglini i diritti concessionari per conferirli immediatamente nella costituenda Società della Ferrovia Lugano-Monte San Salvatore. I Bucher e Durrer si impegnarono a costruire la funicolare, con partenza da Paradiso alla vetta. Gli stessi si trovarono però a trovarsi in difficoltà finanziarie e dovettero ridurre la loro partecipazione. A tirar fuori dai guai i promotori della Funicolare ci pensò la Banca della Svizzera Italiana, con il suo direttore Giacomo Blankart, sottoscrivendo un congruo numero di azioni. I lavori di costruzione vennero iniziati il 24 luglio 1888.
La solenne cerimonia di inaugurazione ebbe luogo mercoledì 26 marzo 1890. La mattina successiva, la funicolare del San Salvatore entrò in servizio legalmente anche per il pubblico, con corse coordinate agli orari dei battelli; la funicolare impiegava 26 minuti per raggiungere la vetta e le vetture potevano ospitare 32 persone.
Nel corso degli anni vennero attuati numerosi lavori di miglioria relativi all’intero progetto, come l’ampliamento del ristorante Vetta nel 1896, ma anche la completa trasformazione dell’impianto di trazione - avvenuta a distanza di molti anni, nell’inverno del 1925/26, è grazie all’istallazione di un nuovo macchinario che permetteva di raggiungere la cima in 18 minuti e trasportava 65 persone. Una decina di anni più tardi venne poi aumentata ancora la sicurezza con dei macchinari di trazione e tutta una serie di modifiche collegate, cosicché la durata della corsa diminuì ulteriormente arrivando a 14 minuti.
tenere l’impianto sempre all’avanguardia: la creazione di grandi sale multiuso nel Ristorante Vetta (1997), la fruibilità dell’intera struttura anche alle persone disabili (1998), l’allestimento del Museo San Salvatore (1999), l’inaugurazione sul San Salvatore della prima via ferrata “cittadina” per gli amanti dell’arrampicata (2002)», senza dimenticare il rinnovo della concessione ricevuta nel 2015 per ulteriori 25 anni, fino al 31.12.2040. Per la sicurezza dell’impianto sono inoltre stati risanati i due viadotti, uno sopra la strada ed il secondo sopra la linea FFS. Il 2023 è invece stato dedicato allo stabile del Ristorante Vetta, le facciate sono state ridipinte, il tetto risanato e su di esso è stato installato un impianto fotovoltaico per fornire un contributo alla produzione di energia elettrica al ristorante.
UNA NUOVA CASA PER IL TURISMO DEL MENDRISIOTTO
Quale è stato il percorso che ha portato ad avviare la ristrutturazione dell’immobile di Capolago?
«Devo fare una necessaria premessa. La costituzione dell’Ente Turistico del Mendrisiotto e Basso Ceresio, è avvenuta nel maggio 1972. Gli uffici dell’Ente, a quei tempi, avevano trovato sede nei locali del Touring Club d’Olanda, per poi essere dapprima traslocati nel 1976 in via Borromini, all’imbocco dell’autostrada e di seguito in via Zorzi. Dunque, l’OTRMBC ha dovuto fin dall’ini -
NADIA FONTANA LUPI, DIRETTRICE DELL’OTR
MENDRISIOTTO E BASSO CERESIO, ILLUSTRA LE RAGIONI
DI UN’IMPORTANTE DECISIONE RATIFICATA
DALL’ASSEMBLEA DI MENDRISIOTTO TURISMO: L’APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI CAPOLAGO
E LA MESSA IN VENDITA DELL’ATTUALE SEDE DI MENDRISIO.
zio occuparsi di valutare quale fosse il migliore luogo e quali i migliori spazi per accogliere degli uffici di informazione e accoglienza turistica che fossero facilmente raggiungibili dal pubblico e adatti all’organizzazione del lavoro di un ente turistico. La decisione di costruire l’attuale sede in via Angelo Maspoli a Mendrisio, è stata il frutto di una serie di situazioni contingenti. In particolare, grazie a un capitale proprio, era emersa la possibilità di edificare e diventare proprietari di un immobile realizzato in prossimità dell’uscita dell’autostrada».
Quali erano i principali vantaggi derivanti da quella ubicazione? «Per l’epoca e il contesto storico, considerando anche l’approccio al turismo, la situazione viaria e l’organizzazione delle uscite dell’autostrada nella zona di San Martino, si è trattato sicuramente di un’idea forte e di una realizzazione importante. Questa scelta, guidata da una visione chiara dell’Ente turistico, che riteneva strategico dotarsi di uno spazio di proprietà per
evitare costi di affitto e ostacoli allo sviluppo, è stata accolta con grande apprezzamento».
Successivamente, come è andata evolvendo la situazione?
«Nel 2005 è stato insediato l’Infopoint all’interno del FoxTown, con l’obiettivo di collaborare con il maggiore attrattore turistico del Cantone Ticino e nel 2006 la sede amministrativa con l’Infopoint di OTRMBC, è stata spostata in via Lavizzari a Mendrisio, dove è rimasta fino al 2019, per poi decidere di tornare ad occupare gli spazi della propria sede in via Angelo Maspoli, che erano stati affittati per anni a partner diversi. Il rientro negli spazi
di via Angelo Maspoli non ha comunque fermato il CdA di OTRMBC, che ha continuato a esplorare la possibilità di acquistare il mappale RFD 378 a Capolago-Mendrisio, ritenuto, dopo attente valutazioni, la sede ideale per gli uffici e l’Infopoint ufficiale regionale dell’OTR».
un piccolo immobile che ospiterà una piccola «Maison du terroir» e gli uffici dell’OTR, così come presentato in assemblea a novembre 2023».
Quali sono stati i successivi passi? «La domanda di costruzione è stata inoltrata l’11 aprile 2024 e con la sua approvazione in data 09 luglio 2024 abbiamo quindi ottenuto la licenza edilizia del Municipio di Mendrisio per sviluppare il progetto architettonico. Il CdA ha quindi conferito allo studio di architettura Cattaneo-Birindelli, e agli ingegneri specialisti coinvolti, l’incarico per la progettazione definitiva che prevede la ristrutturazione della “villa” d’inizio ‘900, che un tempo ospitava il Ristorante Stazione e che sarà trasformato in un B&B, come anche l’edificazione di
Come sarà finanziato investimento per la realizzazione del nuovo complesso? «Dal punto di vista finanziario l’intera operazione non ha pesato in alcun modo sulle finanze di OTRMBC in quanto il CdA ha deciso di presentare una domanda di finanziamento alla Fondazione Promo già a partire dal 2023 e l’intero importo per la progettazione e l’acquisto del mappale, considerata l’approvazione della Commissione Federale delle Case da Gioco, è stato finanziato usufruendo di una parte dei fondi di pubblica utilità che Casinò Admiral ha versato a NCKM/Fondazione Promo nel 2024. Ora per la costruzione del nuovo edificio e la ristrutturazione dell’ex Ristorante, così come confermato dall’assemblea, è necessario procedere con la vendita dello stabile di via Maspoli a Mendrisio e, di seguito il CdA potrà valutare proseguire con il progetto di edificazione e ristrutturazione».
Quali sono dunque i tempi previsti per la realizzazione della vostra nuova sede?
«Il CdA ha deciso di procedere con la pubblicazione del concorso della sede sita in Mendrisio sul mappale 3059 e pubblicherà un concorso pubblico entro la fine del mese di maggio. Se l’esito del concorso sarà positivo, auspichiamo di potere concludere la vendita entro la fine dell’estate. Solo di seguito potremo dare avvio ai lavori per sviluppare il progetto di Capolago. L’obiettivo finale sarebbe quello di potere concludere i lavori e trasferirci entro il 2027».
MARE DEI CARAIBI E SULL’OCEANO PACIFICO, LA COSTA RICA È NOTA
SOPRATTUTTO PER LE SPIAGGE, I VULCANI E LA BIODIVERSITÀ,
ANCHE SE LA CAPITALE, SAN JOSÉ, È SEDE DI IMPORTANTI ISTITUZIONI
CULTURALI COME IL MUSEO DELL’ORO PRECOLOMBIANO.
DI PAOLA CHIERICATI
SPETTACOLARI AVVENTURE NELLA NATURA
Circa un quarto della superficie è costituita da giungla protetta, nella quale vivono molte specie di animali selvatici. La stagione secca, da dicembre ad aprile, è il periodo ideale visitare il Paese. Da maggio a novembre invece la stagione delle piogge porta intense precipitazioni in tutto il Paese e la natura si mostra ancora più lussureggiante, ma l’umidità può essere impegnativa da sopportare. Il Paese è conosciuto per il suo impegno a favore della sostenibilità e oltre il 98% dell’energia proviene da fonti rinnovabili, come l’energia idroelettrica, solare ed eolica.
Il nostro viaggio inizia proprio da San José, dove atterriamo dopo 12 ore e mezzo di volo. Da qualche anno la compagnia aerea Edelweiss ha infatti inserito un comodo volo diretto in partenza da Zurigo, mentre sino a qualche anno fa era necessario fare uno o due scali, rendendo il viaggio più lungo. La prima destinazione ci porta al vulcano Poás, nel Parco Nazionale, a un’ora e mezza dalla capitale, con il suo cratere tra i più grandi del mondo, ancora attivo, che ha un’altezza di 2708 metri sul livello del mare e si trova al centro delle foreste che rivestono la catena montuosa centrale.
Oggi il vulcano emette grandi quantità di gas e vapore acqueo dalle diverse fumarole che si trovano nel cono interno del cratere, causando una leggera pioggerellina che si manifesta per la maggior parte dell’anno.
La sera soggiorniamo all’Hotel Arenal Manoa, nell’area di La Fortuna, a due passi dal famoso vulcano Arenal: situato in prossimità di sorgenti termali e immerso in una natura tropicale, è un paradiso per il benessere. Le suite sono decorate con gusto ed ognuna è dotata di letti queen size, ampi servizi, di una piscina esterna privata ed hanno una vista spettacolare. Si può inoltre usufruire dei
servizi termali dell’hotel e delle piscine naturali alimentate da acqua minerale, che ha grandi proprietà terapeutiche. È il luogo ideale per riposare dopo una giornata di escursioni immergendosi nella tranquillità dell’ambiente circostante.
L’indomani ci attende la Zipline Canopy Tour di Sky Adventures, nella foresta pluviale di Monteverde, offrendoci un’esperienza molto adrenalinica poiché il percorso zipline consente di sfrecciare da una cima all’altra per ben sette volte. La tratta più lunga è di 750 metri e il punto più alto è posto a 200 metri, la velocità sfiora i 70 km/h: mentre si è sospesi nell’aria ci si guarda intorno e si provano al tempo stesso meraviglia e paura del vuoto, un’emozione davvero particolare, impossibile da dimenticare.
La sera ci attende L’Hotel Cipreses, una struttura a basso impatto am -
bientale situata a Monteverde, a 5 minuti di auto dal Parco Nazionale e una visita notturna della Riserva Curi-Cancha, un vero e proprio paradiso per gli amanti del birdwatching. Infatti qui si possono osservare oltre 200 specie di uccelli e alcuni mammiferi come l’armadillo, il coati, l’aguti, lo squalo martello crestato, il gattopardo americano, il bradipo didattilo e tre specie di scimmie: la urlatrice, quella dalla faccia bianca e la ragno.
La successiva escursione è nella lussureggiante foresta nel cuore di Monteverde conosciuta come “Los Bajos del Tigre” che ha preso il nome dai primi cacciatori che spesso incontravano il magnifico giaguaro, il felino più grande delle Americhe e il terzo al mondo, chiamato “gatto tigre”. Un percorso lungo un sentiero ben segnalato ci porta a contemplare lo spettacolo di quattro imponenti cascate.
Al Selvatura Park a Monteverde ci si immerge invece nella natura tra ponti sospesi, in un paesaggio quasi fiabesco. Non manca poi una visita ad una piantagione di caffè per apprendere come viene prodotta questa bevanda, elemento fondamentale della cultura locale. La Costa Rica produce solo caffè arabica, in particolare il
Tournon, mentre i principali prodotti agricoli esportati sono rappresentati da varie varietà di frutta.
L’agricoltura è stata l’attività più importante della Costa Rica nel corso dei secoli ed è solo dagli anni ’80 del secolo scorso che l’economia si è sviluppata in modo tale da non dover più dipendere dal settore primario, sebbene esso resti tutt’oggi il più importante per il Paese. Diversità, qualità ed eccellenza sono solo alcune delle caratteristiche che rendono unici gli alimenti costaricensi. Anche la gastronomia merita una menzione grazie alle influenze della cucina caraibica e latina. Risulta davvero appagante sedersi nei piccoli ristoranti per assaporare i piatti della tradizione sempre accompagnati da tanta frutta e verdura freschissima. La visita guidata del Parco Manuel Antonio ci pone di fronte ad una varietà impressionante di specie animali. Con i suoi 6.883 ettari di estensione, lungo i sentieri possono essere osservate scimmie cappuccine, bradipi, procioni e porcel -
lini d’India. Il parco protegge anche 14 isole che rappresentano un ottimo rifugio per diverse specie di uccelli marini e presenta spiagge molto ampie. La Cusinga Lodge a Uvita, dove pernottiamo, è un eco lodge nella foresta pluviale sulla costa meridionale del Pacifico. Il Parco marino nazionale Ballena ad Uvita Puntarenas, offre invece la possibilità di avvistare le balene e i delfini che danno spettacolo mentre emergono dall’acqua. Le megattere arrivano ogni anno (da luglio a ottobre) per svolgere i loro cicli riproduttivi, in un luogo del parco caratterizzato da una formazione rocciosa e sabbiosa che ricorda la coda di una balena. Oltre alle megattere, in queste acque si possono trovare specie come il delfino maculato, così come i delfini tursiopi, le mante, gli squali martello, i pesci pappagallo e gli sgombri.
A Uvita abbiamo trascorso tre ore navigando attraverso il Pacifico su una piccola barca riuscendo anche ad avvistare due balene. A detta della guida siamo stati molto fortunati, poiché abbiamo incontrato una mamma megattera di 13 metri con il suo cucciolo ed è stato per tutti un momento molto emozionante. Non a caso “pura vida” che significa letteralmente “vita pura”, è l’espressione che contraddistingue la filosofia di un popolo straordinario come quello costaricano che vive a stretto contatto con una natura affascinate e spettacolare.
Il cibo è cultura ed esprime l’identità personale: ognuno attraverso la scelta dei cibi comunica caratteristiche di sé. Attraverso il cibo raccontiamo le nostre radici, il nostro patrimonio e la nostra appartenenza a una comunità. La selezione, la preparazione e il consumo di alimenti specifici sono un potente strumento di espressione culturale e un canale privilegiato per il dialogo tra diverse identità culinarie. Ogni atto legato al cibo porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa. L’alimentazione è così connessa con la vita emotiva ed è collegata ai valori culturali. Lo stretto legame tra cibo
DI MARTA LENZI
e famiglia non rappresenta solo una modalità con cui si verifica la trasmissione dei valori, ma è uno strumento di socializzazione.
Un libro che mostra tutti questi aspetti è Ricette da Casa Manzoni, a cura di Monja Faraoni (Fondazione Maria Cosway), Jone Riva (Centro Nazionale Studi Manzoniani), Mariella Goffredo (Biblioteca Braidense). Presentato a maggio alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano, svela un inedito Alessandro Manzoni appassionato di gastronomia che produceva tavolette di cioccolato in casa, amava il buon vino e la buona cucina, coltivava frutta e viti con pratiche all’avanguardia nei suoi giardini e che fu tra i primi in Lombardia a importare piante ed essenze esotiche. Un libro che permette di scoprire un aspetto più privato dell’autore de I Promessi Sposi e i gusti di una famiglia che aveva una posizione importante nella società lombarda del tempo grazie soprattutto alle figure femminili fondamentali nella
vita dello scrittore: la madre Giulia Beccaria, la prima moglie Enrichetta Blondel, Vittoria, una dei loro dieci figli, Matilde, figlia di Vittoria e quindi nipote del Manzoni, Teresa, la seconda moglie; e le protagoniste create per i sui romanzi, da Lucia alla Monaca di Monza, influenzate da donne reali. Pagine che raccontano i prodotti che la famiglia coltivava nella tenuta di Brusuglio, vicino a Cormano, dove Manzoni amava ritirarsi a scrivere in estate. Un interessante storytelling attraverso lettere che la madre Giulia Beccaria mandava all’amica Maria
Cosway, una delle figure femminili più affascinanti dell’epoca, personalità colta, artista ed educatrice, direttrice del Collegio femminile di Lodi in cui studiò Vittoria, figlia dello scrittore e della prima moglie Enrichetta Blondel.
E, ancora, quelle tra la seconda moglie Teresa Borri Stampa e il figlio Stefano, nato da un precedente matrimonio, in cui lei gli descrive dettagliatamente pranzi, cene e colazioni. E quelle tra Vittoria e sua figlia Matilde Schiff Giorgini, che amava dare ricevimenti. Ma anche quelle scritte da Manzoni a suo figlio Pietro. Lettere da cui traspare la quotidianità di casa Manzoni a Milano, nelle residenze di campagna, a Brusuglio e a Lesa, e dell’epoca in generale, periodo di grandi cambiamenti a livello sociale. L’Ottocento è il momento in cui l’arte gastronomica passa dalle cucine delle grandi corti ai ristoranti e ai salotti, divenuti nuovo punto di ritrovo. Nasce la nuova classe sociale della borghesia, si sviluppa un nuovo ambiente e nasce la sala da pranzo e cambia il ruolo delle donne e le dame sono istruite anche da una serie di manuali per affrontare al meglio i nuovi compiti. Sono soprattutto i resoconti nelle lettere di Teresa Stampa e in quelle dello stesso Alessandro la fonte principale di informazioni con descrizione di pasti che si consumavano con pregevoli posate d’argento conservate in custodie di velluto verde. Teresa parla dalla villeggiatura di colazioni con latte, caffè, pan di Erba, un pane bianco difficile da trovare quando erano in campagna, e il panatone, per cui avevano una vera passione. Quando è a casa, racconta di aver chiesto per pranzo delle beefcakes, bistecchine infarinate e cotte, perché si sentiva debo -
le, o un brodo di gallina vecchia e manzo, o un ovetto fritto e pesce persico del lago Maggiore, “il re” dei persici. E poi di quanto le piacciono l’anatra con cavoli e salsiccia, le minestre di rane o di legumi, i gamberi, le costolette di montone, la quaglia, le uova al pomodoro. Lo scrittore era soprattutto attento al gusto di salse e marmellate, minestre di rane, quaglie allo spiedo e in tavola non mancavano mai l’aceto di zambuco per condire il lesso, frutta di stagione o marmellate e dolci. A Brusuglio, coltivava orto e frutteto, e dava istruzioni precise al contadino perché piantasse alcune varietà piuttosto di altre e su come curarle. Alessandro Manzoni aveva una profonda conoscenza del mondo contadino che ai suoi tempi era quello in cui viveva la gente del popolo e che si ritrova spesso nel suo capolavoro per eccellenza. La sua passione erano le ciliegie, che poi metteva in conserva o faceva essiccare, e le fragole, che in una lettera descrive con orgoglio “grosse come aragoste” e che gustava con la panna. Amava anche le castagne, i marrons glacés fatti in casa e la crema di marroni. Tentò anche,
con le uve dei suoi terreni, di fare il vino, che nelle sue intenzioni doveva diventare migliore di quelli “di Sciampagna o di Borgogna”. Finito il periodo di villeggiatura, chiedeva di trovare pronti i fritti, il lesso, gli spinaci “alla milanese”.
Negli anni trascorsi in Francia con la madre, aveva imparato l’arte da un famoso maître chocolatier. Una volta rientrato a Milano, si produceva le sue tavolette di cioccolato, con un cacao che comperava da un negoziante di fiducia, o con uno speciale di Caracas che si faceva mandare da Genova. Non amando i sapori amari, mescolava latte e cacao per avvicinarsi al gusto del cioccolato di Parigi, che riteneva più buono e dolce. Una cucina comunque semplice con i frutti della campagna, della caccia, della pesca, a seconda delle stagioni. E il giorno che ricevette in regalo un’aragosta e un cestino di tartufi fu un disastro: la nuova cuoca di casa “la Giudittona”, non conoscendoli e non chiedendo indicazioni, li bollì per farne un bel puré! Tanti dettagli e curiosità che disegnano un quadro veritiero di una importante fase di transizione della società. Sino a quel momento alla Lombardia era mancata una identità e una vera tradizione gastronomica. È proprio solo con l’inizio del XIX secolo che Milano inizia a cambiare e diventa un importante centro anche gastronomico, ma ancora legata agli schemi francesi. È questa l’epoca che vede l’inizio delle cucine regionali italiane, risultato dell’unione fra le cucine popolari e l’eredità della cucina francese anche se occorreranno oltre cent’anni per contraddistinguersi compiutamente. Solo al termine di questa trasformazione, nel primo decennio del Novecento, apparirà nitido il quadro delle cucine regionali italiane.
UN FESTIVAL A RITMO DI SAMBA
UN’EDIZIONE DAI MILLE COLORI
CHE IL PROSSIMO AUTUNNO
ILLUMINERÀ IL TICINO PER UNA GRANDE AVVENTURA BRASILIANA
Ascoprire il Brasile, nel 1500, furono le caravelle portoghesi di Pedro Cabral che approdarono a Porto Seguro, nello Stato di Bahia, e diedero il via alla conoscenza di uno Stato immenso, il quinto più vasto sulla Terra. Patria della samba e del carnevale, della caipirinha e della capoeira,
Dany Stauffacher CEO S.Pellegrino Sapori Ticino
del caffè e del cacao, racchiude luoghi e paesaggi di una bellezza eccezionale distribuiti su 8.511.076 km2 con una popolazione di 198,6 milioni di abitanti. Il 60% della foresta pluviale amazzonica, la più vasta della Terra, è in territorio brasiliano e il Rio delle Amazzoni, con i suoi 6275 chilometri, è il terzo fiume più lungo del mondo. Un territorio così vasto non può che avere una cucina molto varia. Ma al di là delle differenze, alla sua base si trovano alimenti che sono presenti ovunque come il riso e i fagioli. Ricca di specialità regionali, gli altri ingredienti tipici sono la manioca, una pianta diffusa in tutto il Sudamerica, le patate, vari tipi di pesce, i crostacei, e la carne, soprattutto di maiale e di pollo. E una grande varietà di frutti. Scoprire la cucina brasiliana significa ripercorrere le tappe della sua storia. Il Paese, infatti, ha assorbito una molteplicità di influenze diverse e la sua cucina è nata dall’integrazione delle culture europee, principalmente dei coloni portoghesi, indigene e africane e poi con i flussi migratori dell’inizio del Novecento con Italia e Giappone.
Le preziose contaminazioni culturali hanno plasmato il Brasile, ma negli ultimi anni sono nate un’incredibile generazione di nuove cucine basate sulla valorizzazione delle materie prime nazionali, prodotti nativi considerati tra i tesori più preziosi del territorio.
Un ricco assaggio di tutto questo sarà possibile con chef che arriveran-
no in Ticino a partire da fine settembre per la diciannovesima edizione del Festival S.Pellegrino Sapori Ticino con la loro energia contagiosa, il loro calore e la loro creatività. Grazie anche al sostegno di Ticino Turismo, agli enti del turismo Ascona-Locarno e Lugano Region, sarà un viaggio nel nuovo centro della gastronomia sudamericana proprio attraverso le diverse anime del Brasile: da Rio de Janeiro arriveranno Alberto Landgraf, 1 stella Michelin e il bistellato Rafa Costa e Silva; da San Paolo Ivan Ralstom, 2 stelle Michelin e 1 stella verde e Luiz Filipe Souza, 2 stelle Michelin; da Curitiba Manu Buffara, Best Female Chef 2022 50 World’s Best Restaurant, un’icona sudamericana che racconterà i colori accesi della foresta atlantica brasiliana e da Belem, cuore dell’Amazzonia dove, a metà novembre, si terrà COP30, il vertice delle Nazioni Unite sul clima, Thiago Castanho, rife -
rimento assoluto per il cibo del Nord e i sapori amazzonici.
Il Festival sarà testimone e portavoce di una nuova era per la cucina brasiliana, con ingredienti e una cultura alimentare locale che diventano protagonisti in una cucina all’avanguardia e sofisticata: una ricca tradizione gastronomica da una parte e preparazioni all’avanguardia dall’altra. Un approccio culinario che ha permesso e permetterà sempre più un impatto positivo sul tessuto sociale e ambientale brasiliano basato su un forte senso di comunità, con un forte impegno nel ridurre gli sprechi alimentari e nel promuovere ingredienti biologici, spesso provenienti da comunità a basso reddito. Tutti gli chef sono partner di diversi produttori biologici con sede nei loro territori, utilizzano prodotti coltivati nei loro orti e forniti da piccoli
agricoltori, creano i piatti soprattutto con verdure, ma anche con prodotti di mare e carne con una rivisitazione creativa che riflette la multiculturalità del paese, guidata da un’approfondita ricerca di ingredienti stagionali. Hanno creato propri istituti di ricerca con una attenzione particolare alla catena alimentare e a tutti i personaggi che ne fanno parte, valorizzando il commercio equo e solidale e curando l’etica nei rapporti con i produttori e gli ingredienti, per promuovere l’educazione e l’inclusione sociale. Un percorso preciso per la costruzione dell’identità legata alle loro regioni. Promotori di una gastronomia responsabile, unendo creatività e sostenibilità, ritengono la cura della natura compito di ognuno come ridare colore a quartieri rimasti inabitati, con le comunità di fami -
Luiz Filipe Souza
Alberto Landgraf Ivan Ralston
glie che dividono il raccolto maturato. O ancora come nelle case e per strada porre centinaia di alveari così da raccogliere il miele quasi quotidianamente, senza alcun pericolo perché le api indigene nel sud del Brasile nascono e vivono senza pungiglione.
Come sempre il Festival vuole essere lo strumento per un ricco e piacevole scambio culturale e così lo scorso 10 giugno presso la Residenza consolare svizzera di San Paolo, ospiti del Console Pierre Hagmann, alla presenza di Fabien Clerc, Direttore Svizzera Turismo Brasile, dei vertici di Swiss Brasile, con il sostegno di Lugano Region, UBS Brasile e Gruppo Sanpellegrino Brasile è stata presentata l’edizione 2025. Un momento relazionale importante per comunicare le peculiarità del nostro territorio elvetico, in particolare ticinese, a giornalisti e tour operator brasiliani.
Dany Stauffacher, CEO di S.Pellegrino Sapori Ticino, non nasconde il suo entusiasmo e la sua gioia nell’essere riuscito ad organizzare una edizione così particolare: «La
Svizzera e il Brasile hanno delle relazioni storiche profonde. Ho scoperto che oltre 200 anni fa, una città, battezzata poi Nova Friburgo, venne fondata proprio da emigranti svizzeri. Il Brasile è il principale partner economico in America Latina ma anche nel campo scientifico della ricerca e dell’innovazione, come nel settore dell’ambiente e della sostenibilità. E ci sono anche grandi opportunità di collaborazione per poter attirare i turisti dal Brasile. E l’enogastronomia è il cuore pulsante dell’ospitalità, per questo cerco sempre di creare sinergie tra enogastronomia, hotellerie, cultura e paesaggio. L’enogastronomia è un vettore fondamentale per il nostro turismo, un driver positivo per lo sviluppo economico e la promozione del territorio. E questa edizione svilupperà con ancora maggiore forza il legame tra gastronomia e turismo. Gli chef si fermeranno sul nostro territorio più a lungo e avranno la possibilità di conoscerlo, raccontarlo e diventarne i migliori ambasciatori». Durante la serata a San Paolo, che dal punto di vista gastronomico ha
proposto una fusion brasiliana-elvetica, ad allietare gli ospiti, piacevoli brani musicali brasiliani suonati da alcuni membri della Banda dos Curumins, progetto educativo della Casa dos Curumins, l’Associazione senza scopi di lucro, fondata nel 2005 dalla coppia svizzero-brasiliana Alberto e Adriana Eisenhardt con l’obiettivo di fornire una risposta concreta a bambini e giovani relegati ai margini della società brasiliana. Ancora una volta la gastronomia è stata e sarà la giusta piattaforma per comunicare il territorio e sviluppare ulteriormente uno scambio culturale senza confini. Appuntamento da non perdere quindi in autunno in alcune tra le più belle location ticinesi che, come sempre, con i loro chef accoglieranno gli ospiti brasiliani con grande professionalità e curiosità.
www.sanpellegrinosaporiticino.ch
di Rio de Janeiro
A TAVOLA CON MarTIno
TICINO GOURMET E L’IA: ARRIVA LA GUIDA
ENOGASTRONOMICA
LOCALE CON MARTINO.
Oggi vanno tanto di moda i personal trainer e tanti altri personal assistant per ogni settore di competenza. Ci sono poi guide turistiche, guide per i ristoranti, per i prodotti locali e stagionali, ma poche offrono uno sguardo appassionato e con una visione d’insieme come Ticino Gourmet. Il sito www.ticinogourmet.ch, e i canali social ad esso collegati, permettono a chiunque lo desideri di individuare cosa esplorare sul territorio ticinese, attraverso le molte attività proposte, siano esse culinarie, culturali o ricreative.
TG è perfetto se si vuole partire per un viaggio incredibile attraverso esperienze uniche e autentiche alla scoperta di territori e paesaggi ric -
chi di specialità alimentari diverse con prodotti che arrivano dai monti, dai vigneti e dai laghi presenti nelle regioni del territorio ticinese. Praticamente ogni valle ha una specialità da scoprire non solo in termini di prodotti locali, ma anche di ristoranti, locande, crotti e cantine. Una grande varietà di salumi e formaggi di tutti i tipi, la farina, il pepe, il pane di tutte le forme, vini, grappe, birre, erbe e frutti, dolci come la torta di pane e il panettone possono essere facilmente gustati in ogni angolo del cantone sino a proposte gourmet indimenticabili. Da sempre il territorio ticinese è ricco dal punto di vista gastronomico. Oggi la regione offre piatti basati su ricette tramandate di generazione in generazione, ma anche rivisitazioni moderne di ricette del passato. Il centro della cultura gastronomica europea si trovava già a metà del 1400 nelle valli delle Alpi ticinesi,
precisamente nel villaggio di Torre in Valle di Blenio, che diede i natali a Martino de Rossi, considerato in tutto il mondo il primo cuoco moderno della storia. Dopo una ricca esperienza nella sua terra alla guida della rettoria dell’ospizio di S. Martino Viduale, ha rivoluzionato la cucina e i gusti dell’epoca ed è stato conteso nelle cucine di molte corti italiane, presso gli Sforza, dal cardinale Trevisan detto per l’opulenza dei suoi banchetti “Cardinal Lucullo”, nonché cuoco segreto di due papi, Paolo II e Sisto IV e del condottiero milanese Gian Giacomo Trivulzio. Chi meglio di Maestro Martino quindi, con la sua ricca esperienza, può consigliare i turisti locali e stranieri nella scelta di un ristorante? Martino ha tutte le carte in regola per comunicare un territorio che è sempre stato fin dall’antichità un crocevia di persone e prodotti, diventando la culla per lo sviluppo della moderna enogastronomia. Grazie all’intelligenza artificiale MarTIno è diventato il personal assistant di TG per un viaggio enogastronomico davvero unico, dando idee sulle migliori destinazioni gastronomiche e vinicole e preziosi consigli di viaggio per aiutare a organizzare un’avventura culinaria nel modo più efficace ed emozionante possibile in Ticino. Preparate tante domande e lasciatevi accompagnare in un gustoso viaggio!
40 ANNI DI GUSTO E PASSIONE
LA DELEGAZIONE DELLA
SVIZZERA ITALIANA DELL’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA HA FESTEGGIATO NEL CORSO DI UN EVENTO I SUOI PRIMI 40 ANNI DI ATTIVITÀ: UN’OCCASIONE PER RACCONTARE LA STORIA DI QUESTA ISTITUZIONE E IL RUOLO SVOLTO NELLA DIFFUSIONE DELLE CONOSCENZE INTORNO AD UNA ECCELLENZA CULINARIA
RICONOSCIUTA IN TUTTO IL MONDO. INTERVISTA AL DELEGATO CAV. EMILIO CASATI, MODERATORE DELLA SERATA E ATTUALE PRESIDENTE DELLA DELEGAZIONE TICINESE.
DI EDUARDO
GROTTANELLI DE’SANTI
Possiamo ricordare come avvenne la fondazione della Accademia Italiana della cucina?
01
Da sinistra Claudio Bolla (Delegato di Lecco), Emilio Casati (Delegato della Svizzera Italiana), Maria Luisa Mandelli (Delegato di Milano Duomo), Dino Betti Van Der Noot (Rappresentante del Consiglio di Presidenza e Delegato di Milano), Cristina Ciusa (Delegato di Milano Navigli)
«L’Accademia italiana della cucina fu fondata il 29 luglio 1953 all’hotel Diana di Milano da Orio Vergani insieme ad un gruppo di qualificati esponenti della cultura, dell’industria e del giornalismo, tra cui Luigi Bertett (Presidente dell’Automobile Club d’Italia), Dino Buzzati Traverso (giornalista, scrittore, pittore), Cesare Chiodi (presidente del Touring Club Italiano), gli industriali Edoardo Visconti di Modrone, Giannino Citterio ed Ernesto Donà dalle Rose, gli editori Gianni Mazzocchi Bastoni e Arnoldo Mondadori, l’architetto Giò Ponti, Dino Vil -
lani (giornalista, pubblicitario, pittore). Erano presenti alla fondazione anche i due giornalisti e scrittori, Massimo Alberini e Vincenzo Buonassisi. Orio Vergani è stato, come è ben noto, un personaggio di primo piano nel mondo del giornalismo, della letteratura e dell’arte. Scrittore finissimo, commediografo, critico d’arte, cronista attento e curioso, ha lasciato di sé una profonda impronta nel giornalismo italiano. Fu il primo Presidente fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1960. Il nome da dare all’Accademia fu lungamente dibattuto dai fondatori dapprima indecisi su “Associazione” o “Club” ma poi subito convinti, anche su suggerimento del bravissimo pubblicitario Dino Villani, che Ac -
cademia sarebbe stato il nome giusto. Fu poi deciso da Orio Vergani, con grande saggezza, che non si sarebbe trattato di un’Accademia della cucina italiana, bensì di un’Accademia Italiana della Cucina».
Nel tempo lo spirito dell’Accademia si è andato trasformando, adeguandosi alle esigenze della società contemporanea… «Assolutamente sì. In origine Orio Vergani aveva probabilmente in mente come modello di riferimento il Club des Cent (il Club dei Cento), un’esclusiva associazione francese fondata nel 1912 da Louis Forest, i cui membri si riunivano a pranzo ogni giovedì, di solito da Maxim’s, e il menu era organizzato da un “Brigadier” (il nostro Simposiarca) sempre diverso. Alla fine, i piatti venivano valutati, e i membri avevano anche una loro guida ai ristoranti distribuita solo al loro interno. Per essere ammessi si doveva essere presentati da due soci (come in Accademia) e sottoposti alla valutazione di una Commissione. Come ha sottolineato il Presidente dell’Accademia Paolo Petroni l’idea di Orio Vergani “era troppo valida e stimolante per restare circoscritta a un gruppo di amici milanesi, così, in breve tempo… crebbe in numero dando vita a molte Delegazioni regionali. Inizialmente, la vita si svolse essenzialmente attraverso riunioni conviviali in vari ristoranti… successivamente, iniziò una seconda fase, orientata alla cultura della cucina, che si sviluppò attraverso numerosi convegni a livello locale e le pubblicazioni di libri e guide ai ristoranti… adesso siamo impegnati in una nuova sfida, che ci vede uscire dall’autoreferenzialità”».
A questo proposito, quali sono gli obiettivi oggi perseguiti da questo sodalizio di Accademici?
UNA SERATA DI GRANDI FESTEGGIAMENTI
La Delegazione della Svizzera Italiana dell’Accademia Italiana della Cucina ha celebrato l’anniversario con una serata di gala, alla presenza di oltre settanta ospiti tra autorità, accademici e appassionati. È stata scelta una location simbolica come il Ristorante Ciani e un menu, curato dagli chef Dario Ranza e Loris Meot, ha proposto piatti ispirati al territorio, accompagnati da una accurata selezione di vini di Uberto Valsangiacomo, accademico e figlio di Cesare, tra i fondatori della Delegazione.
Il Professore Michele Antonio Fino, ospite d’onore della serata e docente presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, è stato introdotto da Gabriele Corte, Direttore Generale di Banca del Ceresio, ed è intervenuto parlando del suo libro Non me la bevo, Godersi il vino consapevolmente senza marketing né mode (Mondadori, 2024), un riuscito tentativo di restituire verità a una narrazione talvolta troppo “corrotta”, provando a sfatare i falsi miti che ruotano intorno al vino: «Non è facile orientarsi tra etichette, slogan, inviti, che si stenta a capire se siano animati da voglia di condividere o di vendere. Occorre dunque fare debunking e demolire alcune convinzioni sul vino tanto errate quanto radicate nel sentire comune, stimolando nel lettore un approccio (più) critico. Se è vero (come è vero) che il vino è in assoluto il prodotto agricolo che sviluppa il più alto valore aggiunto, tocca mantenere gli occhi sempre ben aperti per non finire vittime inconsapevoli di “chi ce la vuole raccontare” e basta».
Durante la serata, è stato reso omaggio agli Accademici scomparsi, il cui ricordo ispira ancora l’attività della Delegazione. La partecipazione di Delegati da Milano, Lecco e Accademici da Losanna, Imola e Genova ha sottolineato lo spirito di collaborazione tra le realtà territoriali. Un particolare riconoscimento è stato tributato a Daniela Grandi, vedova di Paolo Grandi, storico Delegato dal 1991 al 2018, figura chiave nella crescita della Delegazione. La serata si è chiusa con un invito a continuare a promuovere la cultura gastronomica con passione, innovazione e rispetto per le radici. Il messaggio finale è stato chiaro: la cucina italiana deve restare un simbolo di qualità, autenticità e sostenibilità.
«Se si considera che la cucina è una delle espressioni più profonde della cultura di un Paese, frutto della storia e della vita dei suoi abitanti, diversa da regione a regione, da città a città, da borgo a borgo, è facile comprendere l’importanza del raccontare attraverso la nostra cucina chi siamo e quali sono le nostre radici. In questa prospettiva, l’attività dell’Accademia si esprime su più versanti pro -
muovendo innumerevoli iniziative, intraprese, coordinate e sollecitate non solo al proprio interno ma in una visione di interesse generale: interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative. Non meno importante l’obbiettivo di studiare i problemi della gastronomia e della tavola italiana, formulando proposte e pareri su richiesta di pubblici uffici, di enti, di associazioni e di istituzioni pubbliche e private, affinché siano promosse iniziative idonee a favorire la migliore conoscenza dei valori tradizionali della cucina italiana. Non ultimo, promuovere e favorire tutte quelle iniziative che, dirette alla ricerca storica e alla sua divulgazione, possono contribuire a valorizzare la cucina nazionale in Italia e all’estero. Nel 2003, il Ministero per le Attività e i Beni culturali ha riconosciuto i meriti culturali, ampiamente documentati, dell’Accademia, conferendole il titolo di «Istituzione culturale», e ponendola quindi tra le più grandi ed importanti realtà culturali italiane».
E per quanto riguarda la specifica storia della Delegazione della Svizzera Italiana
«L’Accademia persegue i suoi obiettivi attraverso l’attività delle Delegazioni e Legazioni che attualmente sono, in Italia, 225 Delegazioni e 3 Legazioni e, all’estero, 69 Delegazioni e 21 Legazioni, con più di 7.500 associati.
Fondata nel 1985, la Delegazione della Svizzera Italiana vanta ormai quattro decenni di vita e il suo è stato un percorso contraddistinto da un costante radicamento nel territorio, dialogando con ristoratori e istituzioni e mantenendo vivi i valori di tradizione, qualità e convivialità. Nel tempo, la Delegazione si è arricchita di nuovi Accademici, e ha favorito, a vari livelli, la promozione della cultura gastronomica come espressione d’identità. In quest’opera preziosa non posso che essere riconoscente per il grande lavoro svolto dai presidenti che mi hanno preceduto, Salvatore Maria Fares dal 1985 al 1990 e Paolo Grandi dal 1991 al 2018. A loro va la gratitudine di tutta la nostra Delegazione».
Durante la serata è stato presentato il volume 40 anni di eccellenza culinaria. Di che cosa si tratta?
«Abbiamo voluto celebrare questa importante ricorrenza con una raccolta di immagini, racconti e testimonianze che costituiscono un omaggio alla storia della Delegazione e ai tanti ristoratori con cui abbiamo collaborato. Anche in questo modo intendiamo lasciare una traccia e ispirare le nuove generazioni».
02
Da sinistra
Prof. Michele Fino, Emilio Casati (Delegato della Svizzera Italiana), Dino Betti Van Der Noot (Rappresentante del Consiglio di Presidenza e Delegato di Milano), Uberto Valsangiacomo (Valsangiacomo)
03
Prof. Michele Fino, Emilio Casati
Emozioni nel piatto, Ticino nel calice
ticinowine.ch
IL FUTURO DEL VINO NELLE MANI DEI GIOVANI
SONO SEMPRE PIÙ NUMEROSI I GIOVANI IMPRENDITORI ATTIVI NEL SETTORE VITIVINICOLO: HANNO GUSTI
RICERCATI, MOSTRANO GRANDE CONSAPEVOLEZZA E PRESTANO ATTENZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ DELLE LORO SCELTE. NE PARLIAMO CON VALERIO CIMIOTTI, NEOELETTO PRESIDENTE DI TICINOWINE, E CON ALCUNI GIOVANI
CHE HANNO DECISO DI DEDICARE ALLA PRODUZIONE DEL VINO RISORSE, FORZE E COMPETENZE.
In che modo e in che misura il settore vitivinicolo ticinese è stato interessato nel corso degli ultimi anni da un ricambio generazionale e dall’arrivo di forze giovani che hanno scelto di dedicarsi a questa attività?
«Guardando alla situazione ticinese non si può fare a meno di rilevare una crescita anno dopo anno di giovani generazioni pronte e portare avanti con determinazione e professionalità un testimone raccolto da personaggi e aziende che hanno fatto la storia del vino ticinese. Si tratta in alcuni casi di persone che sono subentrate nella conduzione di aziende di famiglia, in altri di giovani che hanno in precedenza maturato esperienze professionali in ambiti diversi ma poi hanno avvertito forte il “richiamo della terra” e scelto di impegnarsi in questo settore. I giovani tornano in vigna ri-
scoprendo un altro tipo di vita, più legato alla terra e agli umori del clima, ma forse – per molti – più soddisfacente. E lo fanno portando un atteggiamento completamente nuovo che non dimentica gli insegnamenti della tradizione, ma che guarda alle nuove tecnologie, all’enoturismo, al marketing, alla sostenibilità».
Una delle caratteristiche che sembra caratterizzare il profilo dei giovani vitivinicultori è dato dalla loro qualificata preparazione professionale.
Qual è il contributo di innovazione di cui essi sono portatori?
«La nuova generazione del vino è molto preparata, spesso i giovani imprenditori hanno partecipato a master all’estero e spesso adottano nuovi approcci e tecnologie, come l’utilizzo di dati e analisi per ottimizzare la produzione e la gestione aziendale, o l’integrazione di tecniche sostenibili. Sono esperti nell’uso dei social media e dei canali digitali, creando una forte presenza online e interagendo con i consumatori in modo innovativo e creativo. Infatti non hanno paura di intraprendere nuove sfide, come la creazione di nuovi vini, la sperimentazione di nuove varietà di uva o l’espansione geografica del loro mercato. E questo dinamismo non riguarda solo i giovani che si vogliono avvicinare a professioni come
sommelier o manager di cantine vitivinicole, ma anche – e forse soprattutto – coloro che decidono di produrre vino. Molti giovani imprenditori inoltre stanno investendo nell’enoturismo, trasformando le cantine in destinazioni turistiche che offrono esperienze uniche e personalizzate, come visite guidate, degustazioni, corsi di cucina e eventi culturali».
Quali sono le iniziative e i progetti che Ticinowine ha in cantiere per favorire le crescita e la professionalizzazione dell’imprenditoria giovanile ticinese?
«Ticinowine è parte integrante dell’interprofessione del vino e della vite ticinese, organizzazione mantello che si occupa di tutto ciò che ruota attorno alla filiera vitivinicola cantonale, e si dedica prevalentemente della promozione della produzione enologica cantonale. Grazie a campagne di marketing e comunicazione mirate ed eventi, ormai ben notori, come Cantine aperte, Ticinowine Tour, Vini in Villa, Muralto Vini al Lago, e con la partecipazione a fiere e manifestazioni di risonanza nazionale e internazionale diamo opportunità alla vitivinicoltura ticinese e ai i suoi produttori di essere presentata, conosciuta e apprezzata sui diversi mercati. E questo è particolarmente importante
per i giovani imprenditori che stanno lavorando con successo per l’introduzione di nuovi vitigni e la creazione di nuovi vini. Se è vero infatti che il Merlot resta il vitigno di gran lungo più diffuso in Ticino, è un fatto che i giovani sono non di rado favorevoli alla diffusione di altri vitigni (per esempio nell’ambito dei vitigni interspecifici Souvigner gris e Johanniter) che sono alla base di interessanti sperimentazione in grado di intercettare il gusto e i consumi contemporanei di vino».
TESTIMONIANZE DI GIOVANI VITIVINICOLTORI
Elia Maran (01), nato nel 1988, fa parte della 4° generazione della Famiglia Matasci, è entrato a far parte del team nel 2017. Dal 2025 ne è il direttore amministrativo. «Il rinnovamento nel comparto vitivinicolo ticinese è non solo necessario, ma deve essere vissuto come un processo continuo. In Matasci Vini, questa visione è parte del nostro DNA: l’innovazione non riguarda soltanto l’adozione di tecnologie all’avanguardia o l’efficientamento dei processi tramite software e strumenti moderni, riguarda anche le persone. Il capitale umano è un pilastro essenziale. Oggi credo che il ruolo dei giovani imprenditori sia quello di onorare ciò che è stato costruito, ma anche di avere il coraggio di alzare l’asticella e di pensare in grande. Non si tratta solo di fare bene: si tratta di coinvolgere, ispirare e guidare la propria squadra verso una direzione comune, portando freschezza ma con radici ben salde. E tutto questo si riflette direttamente anche sulla qualità dell’esperienza per il consumatore: processi più sostenibili, controllo più preciso sulle vinificazioni, riduzione degli sprechi e maggiore efficienza energetica portano a vini più trasparenti e autentici, che raccontano una storia responsabile».
Iacopo Trapletti (02), giovane viticoltore che nel cuore del Mendrisiotto ha saputo coniugare le solide radici della tradizione di famiglia con una visione aperta e dinamica della viticoltura contemporanea. «Sono nato e cresciuto in una corte, dove batteva il cuore dell’azienda agricola di famiglia. La cantina, i macchinari, la vigna: fin da bambino ero immerso in questo mondo. Seguivo mio nonno e mio padre tra i filari, mosso da una curiosità genuina per il loro lavoro quotidiano. Ho scelto di ampliare i miei orizzonti con un’esperienza in Sudafrica, terra di grande tradizione vitivinicola ma anche laboratorio di innovazione. Ho capito quanto sia importante avere una visione globale della viticoltura, pur restando ancorati ai valori e all’identità della propria terra».
Davide Ghidossi (03), ha lavorato nel Geelong (VIC) presso la Del Rio’s Winery, una azienda di circa 30 ettari di vigneti e 130 ettari di pascolo a circa 90 km a sud ovest di Melbourne per 1 anno e mezzo. Là mi occupavo sia della parte viticola, che enologica. «Per quanto riguarda le differenze tecnologiche a livello viticolo posso dire che non vi erano grosse differenze sicuramente, visto il clima secco e torrido, avevamo un sistema di irrigazione goccia a goccia su tutti i vigneti e vista la mancanza d’acqua avevamo a disposizione un laghetto artificiale (quasi tutte le aziende viticole ne sono provviste) che permette di irrigare senza dover utilizzare l’acqua potabile. Questo sistema permetteva inoltre di distribuire direttamente del concime liquido che veniva distribuito quindi autonomamente al vigneto tramite l’impianto goccia a goccia. Sicuramente ciò che posso dire per quanto riguarda la differenza tra l’Australia e la Svizzera/Ticino in merito a questo tema, è sicuramente dato dal fatto che in Australia le degustazioni e le visite in cantina sono molto più d’attualità che da noi. Il fatto di avere un ristorante direttamente nella winery può sicuramente essere un punto a favore verso la vendita del prodotto stesso».
ALLA SCOPERTA
DELLE STRADE SICILIANE DEL VINO E DELL’OLIO
I VINI SICILIANI SONO APPREZZATI IN TUTTO IL MONDO, CON UNA VARIETÀ DI 50 VITIGNI, CHE PRODUCONO PRINCIPALMENTE BIANCHI, ROSSI IN QUANTITÀ LEGGERMENTE INFERIORE, POI ROSATI, LIQUOROSI E SPUMANTI. COME PER IL VINO ANCHE PER L’OLIO SI STA LAVORANDO PER AVERE UNA STRADA PER GLI OLI, LA OIL ROUTE SICILY, INNOVATIVA PROPOSTA TURISTICA-CULTURALE. L’INCONTRO È STATO ORGANIZZATO DALLA CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA DI LUGANO E L’ASSOCIAZIONE DEI SOMMELIERS DELLA SVIZZERA ITALIANA, E LA DEGUSTAZIONE È STATA CONDOTTA DA PAOLO BASSO, CAMPIONE DEL MONDO DEI SOMMELIERS DEL TICINO NEL 2013 A TOKYO.
DI ROCCO LETTIERI
La denominazione «strada dei vini» è stata creata nel 1999 per valorizzare un ricco patrimonio enologico. Si distingue per la diversità dei suoi vitigni antichi e autoctoni, mescolati ad introduzioni internazionali. I territori interessati sono stati dotati di percorsi segnalati da cartelli dedicati, in uno sforzo per associare i valori naturali e culturali, con i vigneti e le cantine delle
aziende aperte al pubblico.
Le 13 strade dei vini siciliani, costituite in associazioni, si ripartiscono in modo eterogeneo sul territorio dell’isola. Tre strade possono essere considerate le più interessanti per quanto riguarda la qualità viticola riscontrata: quella di Marsala, quella dell’Etna e quella di Alcamo.
La Strada del vino Alcamo DOC attraversa il territorio che domina il Golfo di Castellammare nei pressi dell’antica Segesta con vigneti nei comuni di Calatafimi, Alcamo e Camporeale, dove sono coltivati vitigni autoctoni e internazionali tra cui il Catarratto, l’Ansonica, l’Inzolia, lo Chardonnay, il Müller Thurgau o il Sauvignon. Questa produzione è antica, risalente almeno al XVI secolo, con 19 vini diversi, bianchi, rosati e spumanti, il più prestigioso è l’Alcamo Bianco
DOC (vino bianco) e i rosati (tra cui il rosato spumante). Vini, verrebbe da dire, da spiaggia sia per la sua gradazione non eccessiva che per la facilità con cui si lascia degustare soprattutto nelle zone di Erice, San Vito lo Capo e Segesta.
Dopo una breve presentazione da parte di una delegazione di rappresentanti dei vari consorzi che hanno sottolineato l’importanza che rivestono questi vini in Italia e all’estero, la MasterClass prevedeva la degustazione di 11 vini (3 bianchi, 8 rossi) di diverse tipologie di vitigni, con il commento degustativo di Paolo Basso. Una metà dei vini rossi erano prodotti da vitigno Nero D’Avola a proposito del quale l’Assovini Sicilia ha annunciato un progetto per affrontare rilevanti tematiche relative alla diversificazione della produzione e alla diversità del vitigno Nero d’Avola e alla riduzione dell’alcol nel vino. Il progetto InnoNDA, di cui è capofila Assovini Sicilia, è finalizzato all’indagine delle tecniche agronomiche ed enologiche che permettono di ottenere vini con una gradazione alcolica più bassa, mantenendo al contempo l’intensità aromatica e il gusto distintivo che caratterizza la varietà Nero d’Avola, il più celebre tra i vitigni autoctoni siciliani a bacca rossa. Il progetto InnoNDA
include anche attività volte alla diversificazione della produzione mediante l’impiego di anfore di terracotta e alla valutazione delle diversità del vitigno Nero d’Avola nel territorio siciliano. La ricerca, avviata nell’aprile 2024, è basata su un approccio scientifico che prevede l’utilizzo di tecnologie e strategie fermentative non applicate in precedenza per la vinificazione dell’uva Nero d’Avola.
La Oil route Sicily consiste in un entusiasmante viaggio-studio lungo tutto il territorio olivicolo di Sicilia per scoprire le incomparabili bellezze dei suoi oliveti secolari, visitare appassionate e prestigiose aziende oleo-olivicole localizzate in territori da sempre vocati per la produzione di Olio EVO di pregiatissima e certificata qualità. Il progetto di una Strada dell’olio in Sicilia mira a incentivare produttori agricoli e non a diversificare la propria attività principale affiancando a questa l’accoglienza turistica nelle proprie aziende col preciso obiettivo di ottenere un reddito da aggiungere a quello derivante dall’attività primaria di produzione. Si propone comunque come sua prima priorità, di colmare la gravissima lacuna tuttora esistente soprattutto nel comparto turistico/oleo-olivicolo siciliano, cioè la totale mancanza di Strade dell’Olio,
ponendosi quindi l’obiettivo di crearne finalmente una, ossia un proficuo itinerario turistico ed elaio-enogastronomico in Sicilia.
Le cultivar o varietà d’olivo della Sicilia descritte con certezza sono venticinque. Si stima però che molte delle risorse genetiche non siano state ancora del tutto studiate. Infatti, si stanno ancora osservando altri trenta genotipi che potranno costituire in parte il futuro dell’olivicoltura siciliana per la ricchezza dei caratteri sensoriale e per le proprietà nutrizionali e nutraceutiche dei loro oli. La produzione olearia siciliana è ottenuta soprattutto da otto cultivar principali che nella maggior parte degli oliveti sono consociate con altre cultivar definite minori e, più di rado, da piante classificate come neglette (trascurate), in altre parole, genotipi di alto valore botanico che contribuiscono a dare peculiarità sensoriali agli oli siciliani. Le prime otto cultivar: Biancolilla; Cerasuola; Moresca; Nocellara del Belìce; Nocellara etnea; Ogliarola messinese; Santagatese e Tonda iblea. Alcune olive hanno nomi che si perdono nella notte dei tempi: Giarraffa; Aitana; Erbano; Lumiaru; Nasitan; Bottone di gallo; Castriciana rapparina; Citrale; Murtiddara; Piricuddara e Pizzutella. Una idea di degustazione sta in queste sensazioni: fruttato di oliva di media intensità, se nuovo di elevata intensità. Netta è la sensazione olfattiva e retro-olfattiva di pomodoro, normalmente presente, che può essere verde o leggermente maturo. Può dare inoltre sensazioni di mandorla e, nei primi stadi di maturazione, sensazioni di foglia di pomodoro. Sporadicamente si possono percepire l’odore di carciofo o di erba. Amaro e piccante di solito sono di medio-alta intensità.
UNA PROGETTAZIONE A REGOLA D’ARTE
DI DUE FAMOSI ARCHITETTI
AD AROSA, NEI GRIGIONI, DESTINAZIONE IDEALE PER FAMIGLIE, APPASSIONATI DI SPORT E AMANTI DEL RELAX, SI ERGE IL TSCHUGGEN GRAND HOTEL, CHE SI CONTRADDISTINGUE PER GLI ARREDAMENTI FIRMATI
DALL’INTERIOR DESIGNER CARLO RAMPAZZI E PER IL CENTRO
BENESSERE PROGETTATO
DALL’ARCHITETTO MARIO BOTTA.
DI PAOLA CHIERICATI
L’accoglienza della coppia di albergatori Silvana e Ingo Schlösser, che gestiscono dal 1° luglio 2022, in veste di direzione generale, l’hotel a cinque stelle di Arosa, è molto calorosa e conviviale. Insieme ai loro due splendidi figli, sono molto presenti nella struttura e vivono a stretto contatto con lo staff per accontentare le richieste dei clienti. «Trasferendoci ad Arosa - asserisce Silvana Schlösser, siamo rimasti fedeli al nostro Cantone d’origine, i Grigioni, dopo oltre 20 anni di esperienza nel settore alberghiero svizzero. Nella mia carriera ho ricoperto diverse posizioni dirigenziali
in Engadina e a Zurigo, tra cui al Grand Hotel Kronenhof a Pontresina e al The Dolder Grand a Zurigo. Dalla primavera del 2009, insieme a mio marito Ingo, ho gestito per cinque anni il Mountain Family Hotel Chesa Surlej a Silvaplana. Ingo, chef qualificato, ha lavorato in rinomati hotel dell’Engadina, tra cui il Jörimann’s Refugium St. Moritz e il Carlton Hotel St. Moritz, che fa parte del Tschuggen Hotel Group. Dopo aver completato con successo gli studi in gestione alberghiera, ha maturato complessivamente oltre 13 anni di esperienza dirigenziale». Il Tschuggen Grand Hotel, situato a 1.800 metri sul livello del mare, ha
130 camere e suite colorate e particolari, con una vista unica sulle montagne circostanti, che sono state arredate ad opera dell’interior designer Carlo Rampazzi. Il centro benessere Tschuggen Bergoase di 5.000 m2, è invece stato progettato dal famoso architetto Mario Botta e si erge a fianco del Grand Hotel Tschuggen. L’intera costruzione si contraddistringue per i nove grandi lucernari in zincotitanio e vetro, i cosiddetti “alberi luminosi” che sembrano imitazioni artistiche delle vette. Il materiale utilizzato nella SPA è il granito delle Alpi, che trasmette una sensazione di stabilità, e le funzioni del centro benessere sono dislocate su quattro livelli. Il primo livello (corrispondente al piano terra dell’albergo) ospita le attrezzature per il fitness, la zona tecnica e l’ingresso per gli ospiti. Il livello superiore è invece dedicato alle cabine per il trattamento del corpo, mentre al di sopra s’incontra il livello d’accesso collegato all’albergo con un ponte vetrato molto scenografico. Qui si trovano la reception, le saune di vario genere e l’area relax. Il livello più alto è riservato alle piscine di differenti dimensioni e temperature ed è collegato ad una terrazza solariun a contatto con la natura. Il concetto di Moving Mountains SPA dell’hotel coniuga solide conoscenze mediche e scienza moderna per garantire benefici a lungo termine ed ogni esperienza è personalizza-
ta in base alle esigenze individuali. Il Tschuggen Grand Hotel è l’unico albergo in Svizzera ad avere una propria ferrovia di montagna, che in meno di quattro minuti porta gli ospiti al comprensorio escursionistico e di sport invernali di Arosa Lenzerheide. I suoi cinque ristoranti, tra cui il ristorante 2 stelle Michelin La Brezza, servono una vasta gamma di proposte culinarie, con una cucina consapevole fatta di prodotti freschi e regionali che offre un magnifico brunch con orchestra jazz alla domenica mattina. Ma lo Tschuggen è famoso anche come luogo di convegni internazionali, di festival culturali e gastronomici (ogni anno si tiene il Gourmet Tour), di serate e weekend a tema. L’hotel fa parte della Collezione Tschuggen, che include anche l’Hotel Valsana ad Arosa, il Carlton Ho -
tel a St. Moritz e l’Hotel Eden Roc ad Ascona. La Tschuggen Collection è il primo gruppo alberghiero svizzero premium a coniugare un’efficace protezione del clima con i più alti standard del settore alberghiero e tutti i soggiorni nella Tschuggen Collection sono certificati Green Globe, a impatto climatico zero. Infatti le infrastrutture edilizie sono a zero emissioni di CO2, grazie al proprio stoccaggio del ghiaccio che utilizza l’energia geotermica e il recupero di calore. Il Tschuggen Grand Hotel è Leading of the World e membro degli Swiss Deluxe Hotels.
TSCHUGGEN GRAND HOTEL
Arosa, Svizzera tedesca T. +41 (0)81 378 99 99 www.tschuggen.ch
LÀ DOVE LE STAGIONI ANIMANO E ACCOMPAGNANO LA CUCINA
UNA DESTINAZIONE PER UNA
VACANZA MONTANA ADATTA
TUTTO L’ANNO È SENZA DUBBIO
AROSA. LA SERA POI, SE SI
ALLOGGIA AL TSCHUGGEN
GRAND HOTEL, LE DELIZIE DELLA
TAVOLA RIESCONO A RIGENERARE
IL CORPO E LA MENTE.
DI GIACOMO NEWLIN
Il comprensorio sciistico è notevole e le possibilità escursionistiche innumerevoli nella pittoresca valle di Schanfigg, con le sue valli laterali che conducono su pianori solatii, case walser decorate e gole selvagge. Coordinare la gastronomia di un grande albergo è un compito complesso che richiede grande esperienza, poiché ogni ristorante ha un suo proprio concetto che apre a numerose possibilità culinarie: un compito questo affidato con successo all’executive chef Uwe Seegert. Al Tschuggen Grand Hotel i ristoranti sono quattro: il Grand Restaurant che propone una cucina raffinata nella migliore tradizione classica, con grande attenzione alla stagionalità e alla qualità delle materie prime, in un ambiente elegante; il
The Basement nella cui calda atmosfera rustica si possono gustare pietanze soprattutto regionali e con prodotti genuini del territorio, per una cucina che ricorda i più gustosi piatti della tradizione casalinga; La Collina, dove solitamente ci si ferma per il pranzo o per uno spuntino del pomeriggio, con la magica vista sul Weisshorn e con un’ offerta variegata tipo: carpaccio di gamberi, caponata di verdure, vitello tonnato, “bowls” di insalate, tortellini alle erbe in brodo di pollo ecc. Il quarto ristorante La Brezza, merita un di -
scorso a parte in quanto è il ristorante gastronomico potremmo dire autonomo, con lo chef stellato Marco Campanella che si può avvalere di due stelle Michelin e di ben 19 punti Gault & Millau. Chef che annualmente in primavera si trasferisce ad Ascona nell’altro albergo del gruppo, l’Eden Roc, dove nel ristorante che ha lo stesso nome La Brezza e porta con sé le preziose due stelle, propone una cucina che segue la stagionalità dei prodotti. Così a La Brezza presso il Tschuggen Grand Hotel di Arosa il concetto di Marco Campanella è di presentare pietanze in cui i prodotti offerti dalla stagione invernale vengono comunque declinati privilegian -
do la leggerezza, anche nelle salse, con l’utilizzo di agrumi, aceto, miso ecc. Comunque la filosofia dello chef è di ricavare il gusto più profondo dei prodotti, di curare al massimo i dettagli, la cottura, la presentazione. Tutto questo con un team di 7 persone e la proposta di due menu di cui uno vegano, per un totale di 15 portate.
Marco Campanella è un giovane uomo con un’innata intelligenza e una grande umiltà, di cui hanno fatto te -
soro tutti coloro che lavorano con lui, poichè considera una tra le cose più importanti, quella di capire e gestire la squadra che con te deve avere gli stessi obiettivi.
Una squadra composta tra gli altri dalla giovane e promettente chef patissiére Livia Bucheli e dalla restaurant manager Cathrin Wilhelm. Dalla carta de La Brezza traggo alcune delizie che mi hanno colpito positivamente: per la presentazione, per le cotture, per le consistenze, per la combinazione tra gli ingredienti e non da ultimo per i gusti netti e i sapori profondi: Aragosta norvegese, zucca e limone di Amalfi; Pesce gatto del Lago Maggiore, anguilla e cavolfiore; Ravioli ripieni di animelle di vitello e salsa bordo -
lese; Cioccolato Sambirano, olivello spinoso, succo di frutta al cacao. Una vera apologia dell’arte culinaria. La carta dei vini presenta una notevole scelta adatta ad ogni tipo di abbinamento, dall’antipasto al dolce o anche a tutto pasto. Dando lettura della carta si evince che tutte le etichette sono di pregio, provenienti dalle più disparate e vocate zone vinicole del mondo, in cui la Svizzera ha meritato una grande e intelligente attenzione e presenza. Diverse poi sono addirittura le etichette prestigiose, ne cito solo tre, come ad esempio: dalla Borgogna, La Tâche Grand Cru Monopol 2018, Domaine de la Romanée Conti; dal Piemonte, Barbaresco “Sori San Lorenzo” 2015, Angelo Gaja; da Castiglia e Leon, Bodegas Vega Sicilia Unico 2011, Bodegas Vega Sicilia.
TSCHUGGEN GRAND HOTEL
Tschuggentorweg 1
CH-7050 Arosa
T. +41 (0) 81 378 99 99 www.tschuggencollection.ch
UN BOUTIQUE HOTEL NEL CENTRO
STORICO DI ZURIGO
LO STORCHEN ZÜRICH È L’UNICO
HOTEL SITUATO DIRETTAMENTE
SUL FIUME LIMMAT, NEL CUORE
DEL CENTRO STORICO E A POCHI
PASSI DALLA BAHNHOFSTRASSE.
STORCHEN ZÜRICH
Weinplatz 2
CH-8001 Zürich
T. +41 (0)44 227 27 27 info@storchen.ch
Con una bellissima vista
sulla Limmat e sul pittoresco centro storico, lo Storchen Lifestyle Boutique Hotel ha una storia lunga quasi 700 anni. Costruito nel 1938, l’albergo è stato periodicamente rinnovato per soddisfare le esigenze dei clienti nel corso degli anni. Le 64 camere e suite, dai colori caldi e con nu -
merosi dettagli di stile, convincono per l’eleganza e il comfort e offrono una vista spettacolare sulla Limmat, sulla Weinplatz e sul centro storico. L’ambiente lussuoso e moderno si coniuga con le moderne dotazioni tecniche, offrendo ai clienti una meravigliosa dimora in cui trascorrere il proprio soggiorno.
Presso il ristorante La Rôtisserie, al Cigar Bar e al Barchetta Bar, si celebra il savoir-vivre in tutte le sue declinazioni, grazie ad un personale attento e ben istruito. La reception è attiva 24 ore su 24, con il servizio in camera e concierge ed è possibile usufruire anche di un parcheggio, opportunità non scontata nel centro storico di Zurigo. Sull’annessa ter -
DI PAOLA CHIERICATI
razza o sul rooftop bar The Nest, si può ammirare la città anche dall’alto e un pontile con una barca privata invita gli ospiti ad andare alla scoperta del fiume e del lago. Con un team consolidato e una cornice idilliaca, lo Storchen Zurich è organizzato anche per ospitare eventi nei diversi spazi preposti. L’Hotel 5 stelle si trova vicino al quartiere finanziario di Zurigo, a una distanza di 400 metri dalla chiesa di Grossmünster e da qui in
pochi minuti si accede ai diversi luoghi di culto, come la Chiesa di Fraumünster. Tra i personaggi celebri che vi hanno soggiornato meritano di essere menzionati Richard Wagner, compositore, scrittore e pensatore che ha rivoluzionato la musica dell’Ottocento, ma anche principi illustri e Gottfried Keller, il massimo esponente della letteratura in lingua tedesca. Il famoso scrittore John Irving ha immortalato la Storchen nelle opere “A Child of the Bullet” e “A Paper Widow”. A suo tempo l’alloggio si chiamava “Zum Storchen” probabilmente per le cicogne che spesso vi nidificano, oggi dipinte sui quadri nei corridoi dell’Hotel. Nel 1357 la “Haus zum Storchen” viene menzionata per la prima volta nei registri fiscali della città di Zurigo e soltanto poco più di 100 anni
dopo venne espressamente designata come locanda, mentre nel XX secolo l’edificio subì importanti ristrutturazioni che gli conferirono l’aspetto che oggi conosciamo. La storia dello Storchen è davvero affascinante e la struttura merita sicuramente una visita anche per chi transita da Zurigo e vuole godersi un momento di relax a fine giornata.
Lo Storchen è parte di The Living Circle, un gruppo selezionato di hotel e ristoranti di prima classe situati in luoghi incomparabilmente belli e che si alimentano con prodotti della natura provenienti dalle proprie coltivazioni come la Cantina alla Maggia e i Terreni alla Maggia di Ascona, e la fattoria Schlattgut sopra la località di Herrliberg. Non a caso The Living Circle parla del concetto di “lusso alimentato dalla natura” e gli altri hotel e ristoranti facenti parte del gruppo sono lo Château de Raymontpierre a Vermes, il Widder Hotel e l’Alex Lake a Zurigo, il Castello del Sole ad Ascona e il Ristorante Buech a Herrliberg.
UN’OASI GRAND GOURMET SULLE RIVE DELLA LIMMAT
TRA I SIMBOLI POSITIVI ESPRESSI
DALLE CICOGNE (STORCHEN)
SI SEGNALANO PARTICOLARMENTE
IL FORTE LEGAME FAMILIARE, LA PROSPERITÀ E LA FORTUNA.
SIMBOLI CHE SI RITROVANO
AMPIAMENTE ALL’INTERNO DEL LIFESTYLE BOUTIQUE HOTEL
STORCHEN DI ZURIGO, FACENTE PARTE DEL GRUPPO THE LIVING CIRCLE.
L’Hotel Storchen si trova nel cuore storico della città vecchia ed è diventato nei secoli, sono sei, un’istituzione di riferimento non solo per l’accoglienza, ma anche per tutti i servizi personalizzati dell’albergo. Si percepisce insomma la passione del personale, ognuno nella propria professione, ciò che gratifica l’ospite che si sente coccolato, si sente parte di una grande e affiatata famiglia. Per iniziare a godere dell’ospitalità vale la pena spendere un po’ di tempo per una sosta rigenerante al Barchetta Bar Lounge e sorseggiare un cocktail, un calice di champagne o gustare uno spuntino, sistemati sotto i portici, dai quali, volendo, si
può scendere verso l’imbarcatoio sulla Limmat. Chi poi vuole farsi traghettare con il motoscafo della proprietà verso Herrliberg per raggiungere il ristorante Buech o verso Thalwil all’Hotel Alex Lake, due delle strutture appartenenti al Gruppo The Living Circle, è sufficiente annunciarsi alla ricezione. È giunta l’ora di cena e il ristorante
La Rôtisserie è pronto ad accoglierci con la sua vista spettacolare sul Grossmünster e sul Rathaus, ma soprattutto col sorriso del General Manager Elia Maropoulos e di tutta la brigata di sala. L’executive chef Stefan Jäckel, titolare di una stella Michelin e di 17 punti Gault & Millau, grazie alla sua invidiabile esperienza professionale, propone una cucina classica francese, il cui risultato sono piatti realizzati con ingredienti stagionali e di alta qualità interpretati con tecniche contempora -
DI GIACOMO NEWLIN
nee a volte sofisticate.
La scelta è caduta sul menu “Signature” dello chef da cui estrapoliamo tre pietanze che ci hanno particolarmente convinti per la loro originalità e bontà. La prima pietanza, il porro bruciato che con la sua gradevole nota affumicata rende omaggio e freschezza marina alla “Rolls Royce” delle ostriche, la Gillardeau, mentre il piatto è completato da un elegante tocco di sapidità del caviale N25 Hybrid. La seconda pietanza sono stati i tortellini al mascarpone con limone salato, tartufo del Périgord e catalogna, in un connubio equilibrato di cremosità e aromaticità. La terza pietanza, ormai un’eccellenza per i buongustai, il manzo Wagyu svizzero, apprezzato per la
sua marezzatura che lo rende particolarmente tenero e gustoso, con l’avvolgente e ricca salsa teriyaki, mentre il delicato asparago del Baden completa con eleganza una pie -
stare l’altro gioiello del Gruppo The Living Circle, ovvero il ristorante Buech situato a Herrliberg alle porte di Zurigo nell’idilliaca Goldküste. Un piccolo ristorante di campagna immerso in un vigneto con vista sul lago di Zurigo e con all’interno lo charme di un’antica e raffinata “boiserie”, dove siamo stati accolti dall’”oste” Stefan Gunzinger e dove si possono gustare piatti della tradizione locale elaborati da un tocco
tanza che ricorderemo con nostalgia. Non è facile abbinare i vini giusti a pietanze elaborate, ma per questo ruolo viene in aiuto il sommelier Pierrick Sarrot, che oltre alla sua professionalità, ha la fortuna di attingere ad una cantina veramente notevole, dove tra i più rinomati vini internazionali spiccano anche i migliori vini svizzeri ed in particolare quelli prodotti dalla Cantina alla Maggia di Ascona facente parte del gruppo The Living Circle. In ogni caso per la pietanza con il manzo Wagyu l’accostamento con il Sassicaia del 2020 è risultato perfetto, nonostante la ancora giovane età. Il giorno seguente, dopo l’imperdibile tappa gastronomica al ristorante La Rôtisserie, abbiamo voluto te -
gourmet dello chef John Schiffmann. Una grande soddisfazione è stata generata dalla Wienerschnitzel di vitello, per la qualità della carne e per la soffice e croccante impanatura, accompagnata da un’insalatina di cetriolo e dalla mitica insalata di patate della valle dell’Albula con semi di zucca. Piatto che si è meravigliosamente sposato con Il Querceto Riserva 2022, Merlot Ticino DOC, Cantina alla Maggia Ascona.
STORCHEN ZÜRICH
Weinplatz 2
CH-8001 Zurigo
T. +41 (0)44 227 27 27 www.storchen.ch
GIOCARE A GOLF AD ALTA QUOTA
ARIELLA DEL ROCINO PRESENTA IL GOLF CLUB DI AROSA, SITUATO NELLA PARTE ORIENTALE DELLA SVIZZERA, A 30 CHILOMETRI DALLA CITTÀ DI CHUR.
Si tratta di uno dei campi da golf a 18 buche più alti d’Europa da cui si possono godere panorami mozzafiato. Il percorso è immerso in una flora alpina unica, circondato dalle montagne svizzere, e consente di vivere un’esperienza di golf senza stress in mezzo alla natura. Il parco che lo circonda in parte boscoso, si estende su una terrazza panoramica a 1850 m di
altitudine e rappresenta una sfida anche per i giocatori più esperti. Il campo da golf a 18 buche è stato progettato da Donald Harradine & Peter Harradine e presenta un andamento del terreno leggermente collinoso con ostacoli d’acqua. Riguardo al grado di difficoltà è classificato come sportivo. Sono previsti 4 tee: bianco (signori), lungo 4398 metri; giallo (signori), 4736 metri; blu (signore), 3822 metri; rosso (signore) 3517 metri.
Le strutture per la pratica comprendono Driving Range (16 Postazioni, di cui 8 coperte), Putting green, Pitching green, Chipping green e Bunker di pratica. Gli ospiti sono benvenuti ogni giorno, previa prenotazione. È richiesto un certificato di handicap del club di appartenenza. Limite Handicap: 54. I cani de -
vono essere tenuti al guinzaglio e l’apparecchio GPS è ammesso. I servizi comprendono una Clubhouse, recentemente rinnovata, attrezzata con sala riunioni, un bar, lo spogliatoio ospiti, la possibilità di ricarica per veicoli elettrici, un rifugio contro i fulmini abilitato, la Birdie card. E attivo inoltre un Restaurant Golfhuus che offre una gastronomia di qualità con particolare ricorso all’utilizzo di prodotti locali. Presso il Pro-Shop è possibile noleggiare mazze, carrelli anche elettrici, cart elettrici, servizio caddie.
Qualibroker Ticino SA
Via S. Balestra 22B - 6900 Lugano I nostri servizi: Brokeraggio assicurativo | Programmi internazionali
Gestione dei rischi | Gestione dei sinistri | Gestione delle assenze
Il concetto di “network” rappresenta una delle chiavi strategiche per il futuro della medicina. Il termine, di origine inglese e traducibile con “rete”, indica un sistema di elementi interconnessi, capaci di condividere informazioni, risorse e servizi. Appli -
cato al contesto sanitario, questo modello apre la strada a nuove modalità di collaborazione, diagnosi e cura, sempre più integrate e orientate al paziente. Una visione che sta alla base della collaborazione tra due importanti realtà che, a partire da quest’anno, uniscono le forze. Swiss Medical Network, che collabora con 7 centri dislocati in tutta la Svizzera, entra a far parte del prestigioso Mayo Clinic Care Network. Il nostro Paese diventa così la prima nazione dell’Europa occidentale a essere inclusa in questa rete sanitaria internazionale. Le cliniche che fanno parte di questo progetto beneficeranno di un legame unico e strategico, che rispecchia una visione comune: offrire a ogni paziente le migliori cure, fondate su un sapere medico riconosciuto e basato sulle ultime scoperte terapeutiche. «Insieme lavoreremo per migliorare
le cure, scambiare conoscenze e migliorare i risultati per i pazienti», afferma M.D. Brian Costello, Medical Director, International Advisory Service di Mayo Clinic. Ticino Welcome è stata presente alla Genolier Innovation Hub recentemente inaugurato, per assistere alla presentazione pubblica di questa storica unione tra Swiss Medical Network e Mayo Clinic Care Network.
Una collaborazione che nasce da valori e visioni comuni «L’idea è nata circa un anno e mezzo fa, soprattutto grazie ai nostri medici che già conoscevano la Mayo Clinic Care Network e ne apprezzavano le risorse mediche utili», racconta Dino Cauzza, attuale CEO di Swiss Medical Network e originario del Ticino. «Quando Mayo Clinic ha lanciato il Care Network, un programma di espansione internazionale di cliniche e ospedali partner, abbiamo deciso di provare a entrare in questo network. Dopo due visite in loco da parte loro e una serie approfondita di preparazioni, siamo stati ammessi». «Per noi è molto significativo ed entusiasmante essere connessi alla Svizzera, dove le infrastrutture sanitarie sono già di altissimo livello e il corpo medico, infermieristico e tutti gli operatori sanitari sono altamente preparati», aggiunge M.D. Brian Costello. «Un contesto che si adattava perfettamente alla Mayo Clinic Care Network, anche per i valori condivisi».
DI KERI GONZATO
Dino Cauzza M.D. Brian Costello
I due network condividono infatti valori fondamentali, incentrati su una visione umanistica della cura, che hanno facilitato questa collaborazione. In cima a questi valori, sottolinea M.D. Brian Costello, c’è un principio che guida ogni attività: «I bisogni del paziente vengono prima di tutto. Questa affermazione proviene da una famosa citazione di uno dei medici della Mayo Clinic Care Network, pronunciata durante un discorso di laurea a Chicago all’inizio del ‘900, che è diventata la nostra guida. Il paziente è al centro di tutto ciò che facciamo: come supportare al meglio i bisogni del paziente? Per rispondere nel migliore dei modi, parliamo tra di noi, collaboriamo, condividiamo idee per risolvere i problemi: questa è la base del nostro modello di cura». «Alcuni degli approcci più importanti che condividiamo con Mayo Clinic Care Network sono l’importanza della relazione con i medici e la loro formazione continua, l’approccio multidisciplinare nella presa in carico del paziente, una medicina basata sulle evidenze scientifiche, e, in primis, la centralità del paziente», conferma Dino Cauzza.
Le cliniche svizzere coinvolte nella collaborazione «Abbiamo selezionato le cliniche con una vocazione internazionale», spiega Dino Cauzza. «Crediamo che questa collaborazione con la Mayo Clinic Care Network attirerà più pazienti internazionali in Svizzera, e per questo abbiamo scelto la Clinica di Genolier, la Clinica di Bethanien a Zurigo, la Clinica Sant’Anna a Lugano e Swiss Visio, la nostra rete oftalmologica». Si tratta di cliniche aperte a pazienti sia svizzeri che internazionali, che offrono un approccio sanitario globale, non limitato al-
la chirurgia ma che include anche la medicina interna. «Alle cliniche abbiamo aggiunto Swiss Visio per la sua posizione all’avanguardia nella formazione e nella ricerca di cure oftalmologiche». Con la Clinica Sant’Anna e la nuova antenna di Swiss Visio a Bellinzona, il Ticino ha due punti di riferimento che godono dei benefici della collaborazione con la Mayo Clinic Care Network.
L’importanza della formazione continua
La formazione continua e la ricerca sono uno degli interessi condivisi dai due Network. «Uno dei motivi per cui abbiamo incluso nella collaborazione con la Mayo Clinic anche Swiss Visio, la nostra rete oftalmologica, è che questa è molto avanzata nella formazione dei medici, in particolare nel trattamento del glaucoma, un ambito di grande interesse per Mayo Clinic» afferma Dino Cauzza. «Per questo motivo, sono stati previsti programmi di scambio, in cui medici della Mayo Clinic Care Network verranno a studiare da noi. Mayo Clinic Care Network esce dagli Stati Uniti per consolidare la sua posizione di leader mondiale e ampliare il proprio sapere medico, imparando dai sistemi sanitari di altri Paesi».
Una collaborazione che valorizza la medicina preventiva «Una delle prime novità concrete per i pazienti sarà l’introduzione di programmi innovativi di check-up, dove la persona, in uno o due giorni, potrà sottoporsi a una serie di esami diagnostici, che vanno dall’analisi del sangue a una visita osteopatica, il tutto coordinato da un medico, e personalizzato in base all’analisi dei rischi individuali», spiega Dino Cauzza. «I dati raccolti, uniti alle infor -
mazioni su nutrizione, sonno e movimento, saranno poi condivisi con la Mayo Clinic Care Network, per offrire soluzioni altamente personalizzate al paziente, per migliorare il suo stato di salute e prevenire disturbi futuri, anche attraverso indicazioni sullo stile di vita». «Contribuiremo al follow-up dei check-up di Swiss Medical Network, portando nuove idee sulla medicina della longevità, sulla salute dei dirigenti, sulle modifiche dello stile di vita. Questi sono i settori in cui abbiamo molta esperienza per offrire soluzioni sempre più personalizzate», aggiunge M.D. Brian Costello.
L’inizio di un lungo cammino insieme in nome della salute «Grazie a questa collaborazione, i nostri professionisti ora hanno accesso a tre strumenti fondamentali», conclude Dino Cauzza, «la richiesta di un secondo parere, l’accesso ai tumor board della Mayo Clinic Care Network (riunioni interdisciplinari di medici che discutono i casi tumorali per definire il miglior approccio terapeutico) e il libero accesso alla vasta biblioteca scientifica di Mayo Clinic Care Network. Siamo all’inizio di un lungo percorso di crescita e sperimentazione con l’obiettivo di offrire soluzioni sempre più efficaci ai pazienti». «Siamo entusiasti che Swiss Medical Network si unisca a Mayo Clinic Care Network», dice M.D. Brian Costello. «Abbiamo altri partner internazionali, ma in Europa centrale questo è il primo, un passo che significa molto per la Mayo Clinic Care Network. Poter collaborare con altri centri medici nel mondo è una missione importante volta a condividere conoscenza, promuovere l’avanzamento della scienza e avere un impatto reale sulla cura dei pazienti in tutto il mondo».
MISSION IMPOSSIBLE?
CI SONO PERSONAGGI DI SUCCESSO CHE ARRIVANO
ALL’APICE DELLA LORO VITA PROFESSIONALE ATTRAVERSO
PASSI SUCCESSIVI E A UN RITMO TRANQUILLO QUASI SCONTATO.
ALTRI INVECE, COME L’ONCOLOGO MARCO VARINI, SONO DINAMICI, MILLE IDEE CHE IMMANCABILMENTE METTONO
A FRUTTO E CHE NON SONO MAI SUFFICIENTI A SAZIARE
LA LORO VOGLIA DI CONOSCENZA, DI SFIDE CONTINUE, SE NON DI “MISSION IMPOSSIBLE”.
Il dott. Marco Varini di sfide
ne ha superate e vinte molte nella sua carriera di specialista e ora sta per affrontare l’ultima in un’età di pensione abbondantemente oltrepassata. Dal mese di maggio infatti, tra Swissoncology, lo studio medico oncologico privato da lui fondato nel 1986, l’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana (IOSI) e l’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) è stata attivata una collaborazione diretta, con un reciproco vantaggio.
Come mai questa decisione?
«In quasi quarant’anni lo studio si era ampliato avvalendosi anche della collaborazione di altri due partner e il tema della mia successione era qualcosa su cui riflettevo da tempo, ben sapendo che prima o poi avrei dovuto risolverlo. La decisione di uno dei partner, il dottor Christinat, di far parte in Ticino del nuovo Brust Zentrum AFFIDEA, nato dalla collaborazione con il Brust Zentrum di Zurigo, e di dedicarsi esclusivamente alla cura del tumore del seno ha riportato al centro la domanda: chi porterà avanti lo studio? Mi sono accorto presto che non era facile trovare uno specialista capace di assumersi il ri -
schio imprenditoriale ed imbarcarsi in un’operazione del genere. Dopo varie ipotesi ho scelto infine di unire una piccola realtà come quella del nostro studio con le risorse di una grande realtà specializzata, che ha accesso diretto a consulenze specialistiche di alto livello inserite in una rete internazionale di eccellenza, premurandomi di mantenere le nostre caratteristiche di conduzione personale del paziente con un unico oncologo di riferimento lungo tutto il percorso di cura».
Lei è stato il primo ad aprire in Ticino uno studio specialistico oncologico privato. Cosa è cambiato da allora per l’oncologia? «Moltissimo, tutto. Allora, i chirurghi con l’aiuto del patologo decidevano se il paziente era operabile o no, se il tumore era maligno o no, e quale terapia fare, mentre gli oncologi erano emarginati e non consultati, anche se timidamente avanzavano proposte di provare questo o quel nuovo rimedio. A parte interventi chirurgici sovente eroici, i mezzi di cura erano scarsi e non sempre potevamo offrire cure valide. Oggi è tutto diverso. Negli ultimi venti anni la realtà oncologica è cambiata completamente non solo a
DI DONATELLA RÉVAY
livello diagnostico e terapeutico, ma anche strutturalmente e organizzativamente. I mezzi diagnostici si sono evoluti in modo straordinario. All’inizio era appena arrivata la TAC, poi la risonanza magnetica, oggi usiamo la PET e tecnologie ancora più sofisticate. Anche la patologia si è trasformata: non basta più dire “è un carcinoma del seno”, perché ogni tumore ha caratteristiche uniche che influenzano prognosi e trattamento. Facciamo ancora la diagnosi classica sulla biopsia, ma oggi analizziamo il DNA del tumore per cercare bersagli terapeutici specifici. Insomma, è un lavoro che richiede un’intera squadra. L’oncologo ha bisogno del supporto di specialisti ma resta la figura che deve interpretare le informazioni, capire cosa è rilevante e cosa no, e infine costruire un programma terapeutico ragionato e personalizzato che può comprendere chirurgia, radioterapia, chemioterapia, immunoterapia ed anche altre terapie molto sofisticate. Il progetto terapeutico ragionato, razionale, sulla base di una diagnosi, di una stadiazione di malattia però, per l’ipotetica signora Bernasconi magari non va bene, perché la signora in questione ha delle problematiche personali o altre malattie che fanno sì che la terapia stabilita non si può facilmente applicare».
Quindi?
«La formulazione di un programma terapeutico per il paziente va quindi adeguato alla persona, alle sue individualità, al suo contesto sociale e così via, e ovviamente bisogna tenerne conto. Questo però chi lo fa?
Non possono essere i venti specialisti consultati per l’esame istologico piuttosto che per il risultato della Tac etc., ecco perché ritengo essenziale che, come medico di riferimento, ci sia sempre lo stesso onco -
UN’ IMPORTANTE ALLEANZA TERAPEUTICA
La maggior parte delle persone pensa che professare l’attività medica in campo oncologico non possa essere facile, a causa della paura della malattia che a pazienti e familiari suscita una vasta gamma di emozioni. Non è quello che pensa il Dottor Marco Varini che ha speso una vita con loro e per loro, sempre incoraggiandoli e quasi proteggendoli. Dalla laurea in poi c’è sempre stata una ‘escalation’ positiva nella sua lotta contro il cancro e in favore dei pazienti. È sempre stato al loro fianco, da Zurigo, a Baltimora, a Milano, negli ospedali più all’avanguardia in campo oncologico, fino all’apertura del primo studio specialistico oncologico privato a Lugano nel 1986, al quale ha sempre affiancato un’attività ospedaliera presso la Clinica Luganese Moncucco e presso la Clinica S.Anna di Sorengo, di cui è diventato responsabile del reparto di oncologia fino al 2014. Contitolare negli anni successivi dello studio professionale “Swissoncology Varini Calderoni & Partners” (www.swissoncology.com), oggi, grazie all’accordo con lo IOSI si trova a dare un’ulteriore svolta alla sua carriera professionale. Membro della Società Svizzera di Oncologia Medica, dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dell’European Society for Medical Oncology (ESMO) e dell’American Society for Medical Oncology (ASCO), e già Presidente della Società Svizzera di Senologia, al suo attivo ha ancora importanti cariche. Ad esempio, quale Socio Fondatore dell’Associazione Triangolo, Volontariato per il paziente oncologico, del quale è presidente nella sezione Sottoceneri. Ma non è finita! Non si contano le iniziative sconosciute e conosciute, come la serie di seminari che annualmente da oltre vent’anni ha promosso e promuove sul tema “paziente e cancro”, ai quali partecipa il fior fiore dell’”Intellighenzia” non solo medica, e che ha un folto seguito di pubblico interessato.
logo che, in stretto contatto con l’équipe che gli sta a monte e che gli fa da supporto, rimane l’interlocutore di fiducia per tutte le decisioni di cura e la conduzione della stessa».
Presa la decisione, cosa succede? «È solo l’inizio di un percorso che in una prima fase può essere magari molto intenso e successivamente più diluito nel tempo; un percorso che deve avere una sua logica e una sua fattibilità e deve tener conto che il paziente non può essere spostato ripetutamente da un medico all’altro, sempre diverso. Come Swissoncology sappiamo di aver continuamente
bisogno di tutto il supporto specialistico necessario, d’altro canto siamo fermamente convinti che il paziente ha bisogno di una conduzione personale e diretta di qualcuno che lo conosce davvero in tutto il suo percorso e nella sua sofferenza, che lo segua nel tempo, che gli parli e capisca qual è il margine terapeutico ragionevole e indicato per lui, e che infine sappia trovare il giusto equilibrio tra ciò che è scientificamente corretto e ciò che è umanamente sostenibile».
In seguito alla collaborazione con lo IOSI cambia qualcosa per lo Studio Swissoncology?
«La dottoressa Vittoria Espeli, oncologa, vice primaria allo IOSI, responsabile dell’ambulatorio di oncologia dell’Ospedale Italiano di Lugano oltre che del reparto di degenza all’Ospedale S. Giovanni di Bellinzona coordinerà con il sottoscritto la collaborazione tra le due entità. La dottoressa che gode di una grande esperienza con tutti i tipi di tumore tratterà tutte le patologie oncologiche, pur occupandosi in particolare anche dei tumori del distretto otorinolaringoiatrico. Nel nostro studio lei sarà presente regolarmente sia per consulenze che per gestire i propri pazienti. Lo Studio continuerà a seguire i pazienti con tutte le terapie come fino ad ora, ma ci concentreremo in particolare sui tumori polmonari, gastroenterologici, urologici e dermatologici».
Impiantistica e gestione razionale dell’energia
I successi che si stanno ottenendo in campo oncologico ci permettono di ben sperare per il futuro?
«Certamente! Presto potremo guardare alle malattie oncologiche come guardiamo qualsiasi altra malattia, senza più parlare di male oscuro ma di mali che affrontiamo e sappiamo curare».
Impianti di climatizzazione, ventilazione, riscaldamento
Installazioni idrosanitarie
Centrali termiche a vapore, acqua surriscaldata, olio diatermico e centrali di refrigerazione
Reti per fluidi liquidi e gassosi
Impianti fotovoltaici e solari termici
Servizio riparazioni e manutenzione
Pronto intervento 24H
UN GRANDE PASSO IN AVANTI NEL PERCORSO BIOHACKING
IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE, THE LONGEVITY SUITE HA LANCIATO LA CAMPAGNA “SCULPT YOUR HEALTH” E PRESENTATO IL NUOVO TRATTAMENTO ESCLUSIVO THERMODREN SCULPT. CE LO RACCONTA IL DOTT. MATTEO MALACCO, MEDICO CHIRURGO, SPECIALISTA IN CHIRURGIA PLASTICA, RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA, ALLA GUIDA DI THE LONGEVITY SUITE DI LUGANO-PARADISO.
Avete lanciato la campagna
“Sculpt Your Health – Not Just Your Body”: di che cosa si tratta?
«Definirei questa campagna un invito a prendersi cura di sé in modo consapevole, trasformativo e sostenibile. Rappresenta una tappa evolutiva nella visione di The Longevity Suite, che promuove la bellezza come espressione di salute e vitalità. Non si tratta solo di ridefinire l’estetica, ma di attivare il potenziale del corpo attraverso pratiche consapevoli e sostenibili».
In questa occasione c’è stato anche il lancio ufficiale di Thermodren Sculpt, un esclusivo percorso di biohacking… «Questo innovativo processo sfrutta l’intelligenza termica del corpo per drenare, rigenerare e risvegliare il benessere profondo. Il trattamento si adatta in modo personalizzato alle esigenze di ogni individuo, rispettando i ritmi biologici del corpo e offrendo un approccio non invasivo ma altamente performante. In altre parole, massimizza i benefici della
detossinazione e del riequilibrio metabolico, garantendo risultati più stabili e duraturi».
Quali sono i principali vantaggi offerti da Thermodren Sculpt?
«Il trattamento Thermodren Sculpt è efficace e non invasivo, e mira ad un benessere duraturo e naturale. Sfrutta le più avanzate conoscenze di biohacking ed epigenetica per offrire un’esperienza unica e avanzata che unisce Cryosuite Total Body, cioè l’esposizione controllata al freddo per stimolare la termogenesi e attivare i processi metabolici, con uno “Shock termico” localizzato, che si tratta dell’alternanza mirata di freddo e caldo per stimolare il microcircolo e favorire la lipolisi naturale».
Cuore del protocollo è l’utilizzo di un calco minerale a contrasto termico: come funziona?
«Si utilizza una miscela inorganica di sali e polveri silicee che innesca un’alternanza di fasi caldo/freddo, generando una vera e propria “ginnastica vascolare”. Questa stimolazione favorisce l’attivazione della lipolisi naturale, il drenaggio linfatico, la riduzione della ritenzione idrica, il miglioramento della permeabilità cutanea per un assorbimento profondo degli attivi. L’efficacia del trattamento è potenziata dall’utilizzo di oli fitocomplessi bioattivi, ricchi di polifenoli, flavonoidi e acidi grassi essenziali, che svolgono una potente azione, antiossidante, detossinante, tonificante e rigenerante».
Siamo dunque di fronte ad un autentico percorso di biohacking… «Infatti. L’unione tra la Cryosuite Total Body e un trattamento intensivo consente di agire direttamente sui processi fisiologici e biochimici del
corpo, stimolando la rigenerazione cellulare, il metabolismo e il benessere profondo in generale. Questa sinergia tra natura e scienza permette di ottenere risultati visibili fin dalla prima seduta come la riduzione del gonfiore e ritenzione idrica, una pelle visibilmente più compatta e levigata, il miglioramento del microcircolo e il colorito della pelle e anche un aumento di una sensazione di leggerezza».
In sintesi, si può dire che Thermodren Sculpt rappresenta una nuova tappa nella ricerca e innovazione per il benessere globale del corpo e della persona? «Siamo di fronte ad una conferma della diffusione della cultura della cura di sé attraverso la creazione di protocolli mirati e di strumenti che aiutano a stare meglio passo dopo passo. Un percorso per riscoprirsi e coltivare energie attraverso pratiche consapevoli che non vivono la pressione del risultato, ma che assumono la serenità della lungimiranza.
THE LONGEVITY SUITE
Palazzo Mantegazza
Riva Paradiso 2
CH-6900 Lugano lugano@thelongevitysuite.com
GESTIONE PATRIMONIALE ONLINE
Portafoglio MIO
Scegliete il Mandato di Investimento Online di BancaStato.