L'intervista a Rocco Cattaneo - Corriere del Ticino

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Corriere del Ticino

SPORT

SABATO 26 MAGGIO 2018

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L’INTERVISTA  ROCCO CATTANEO

«Lo sport ha alimentato tanti interessi» Il nuovo presidente dell’Unione europea di ciclismo e la sua passione a 360 gradi L’11 marzo, al congresso di Istanbul, è stato eletto alla presidenza dell’UEC, l’Unione europea di ciclismo, la nostra federazione continentale del pedale. Una carica che ha ricoperto ad interim dal settembre del 2017, da quando il quarantacinquenne francese David Lappartient, suo predecessore alla testa dell’UEC, è stato chiamato a guidare l’UCI, la federciclismo internazionale. Lui è Rocco Cattaneo, classe 1958 e che per statuto, nella sua nuova veste, fa pure parte del comitato direttivo dell’UCI, come i suoi omologhi delle federazioni continentali di America, Africa, Asia e Oceania. NICOLA BOTTANI

 Rocco Cattaneo è stato anche corridore professionista per tre anni e in questi panni ha partecipato a due edizioni del Giro d’Italia e ad altrettanti Tour de Romandie, a tre Tour de Suisse e a due Mondiali. Quindi, l’universo del ciclismo lo conosce sotto ogni suo aspetto, essendo stato pure membro del direttivo di Swiss Cycling, nonché presidente del comitato organizzatore dei campionati iridati della strada andati in scena nel 1996 a Lugano e quelli di mountainbike disputati nel 2003 al Monte Tamaro. Più che il dirigente sportivo, però, andiamo a conoscere colui che nel corso della sua vita è diventato un uomo di ciclismo a tutto campo, davvero a 360 gradi. Partiamo allora dall’inizio… «A Bironico, dove sono cresciuto, c’erano due figli d’arte, Gianni e Alberto Cattani, il cui padre Dante nel secondo dopoguerra era stato un ottimo corridore a livello nazionale. I due ragazzi erano miei amici e mi hanno trasmesso il virus del ciclismo quando avevo dodici anni. Grazie a Dante, allora dirigente del Velo Club Lugano, Gianni e Alberto ho disputato le mie prime gare ma in casa non è che fossero così d’accordo. Anche perché mi ricordo di una brutta caduta in un circuito per Scolari a Caslano, in seguito alla quale ero stato ricoverato in ospedale un po’ malconcio. Era comprensibile, i miei genitori avevano paura per gli allenamenti sulle strade trafficate. Malgrado ciò hanno comunque visto che per me la passione era troppo grande e si sono rassegnati... Poi a diciassette anni, con la maglia del VC Lugano, ho vinto il titolo di campione svizzero juniores che aveva portato molto entusiasmo sia in famiglia che in paese». E come mai ha poi dovuto attendere fino ai 25 anni per entrare nel novero dei professionisti del pedale? «È presto detto. I miei prima hanno voluto che concludessi gli studi universitari ed è così che mi sono laureato in economia a Zurigo. Durante gli studi ho comunque sempre gareggiato ad alto livel-

lo nei dilettanti élite, partecipando con la maglia rossocrociata a Mondiali, Tour de l’Avenir, Corsa della Pace nei Paesi dell’Est, eccetera. E correndo al di là della Cortina di ferro ho incominciato a conoscere i dilettanti del blocco sovietico, di fatto in tutto e per tutto dei professionisti di lusso – sportivamente parlando, visto il loro calibro – che poi magari dominavano alle Olimpiadi, invece precluse a chi a Ovest aveva fatto della sua disciplina sportiva una professione. Dopo queste bellissime esperienze sono quindi passato ai professionisti, combinando però sempre corse e allenamenti con la mia attività lavorativa. In un certo senso ero un ciclista professionista anomalo». Ecco allora che Rocco Cattaneo ha pure iniziato a tessere relazioni: «Sì, è proprio così. Devo molto al ciclismo anche sotto questo punto di vista. Mi ha permesso di conoscere un sacco di persone, di girare il mondo. Ma soprattutto mi ha insegnato i valori dello sport come il rispetto dell’avversario, l’amicizia, la perseveranza e la pazienza. In sintesi, è una grande passione che ancora oggi mi occupa molto e che cerco di trasformare in progetti in diversi am-

biti, per esempio a favore della mobilità lenta. Ma anche a livello europeo, una volta diventato presidente dell’UEC, abbiamo già potuto mettere in cantiere delle belle iniziative. Non lo nego, il ciclismo mi ha sicuramente aiutato anche quando ho iniziato a fare politica (Rocco Cattaneo è stato presi-

dente del PLRT e ora è consigliere nazionale, ndr.), motivo per cui lo sport è stato sicuramente anche un mezzo, magari inconsapevolmente, che mi ha permesso di sviluppare e alimentare i miei interessi su più fronti, pure molto diversi fra loro». Il fronte del ciclismo, comunque, ha unito un paio di generazioni di Cattaneo, poiché Rocco è zio di Filippo Colombo, uno dei

LA SCHEDA DATA DI NASCITA 6 dicembre 1958 PROFESSIONE Economista-imprenditore ATTIVITÀ Consigliere nazionale per il PLR, amministratore delegato di City Carburoil SA e Stisa Traffici Internazionali SA, presidente del consiglio di amministrazione di Monte Tamaro SA e Splash & Spa Tamaro SA CARICHE SPORTIVE Presidente dell’UEC (Unione europea di ciclismo, Losanna), membro del Comitato direttivo dell’UCI (Unione ciclistica internazionale, Aigle) e vicepresidente del VC Monte Tamaro

DINASTIA Rocco Cattaneo e il nipote Filippo Colombo lo scorso mese di aprile al Monte Ceneri in occasione del Tamaro Trophy, prima manche della Swiss Bike Cup. (Foto Reguzzi)

più grandi talenti svizzeri della mountain-bike e lanciato verso una carriera molto promettente, alla luce dei risulti che ha già saputo conquistarsi: «Qualche gene legato al ciclismo forse l’abbiamo davvero, noi Cattaneo. In bici hanno corso anche mio fratello maggiore Luca – da ragazzo un po’ irrequieto ma anche più forte di me quando ne ha inforcata una – e mia sorella minore Lorenza, mamma di Filippo e che è arrivata fino alla Nazionale rossocrociata femminile, quindi a correre su ottimi livelli. E adesso c’è appunto mio nipote Filippo, decisamente il più bravo di tutti noi, visto che a neanche ventun anni può già vantare nel suo palmarès titoli europei e mondiali». Veniamo ora al presidente dell’UEC e membro del direttivo UCI: che cosa si immagina Rocco Cattaneo per rendere ancora più interessante il mondo del pedale in tutte le sue possibili declinazioni? «Penso che prima di tutto dobbiamo essere innovativi come lo hanno fatto tante altre discipline olimpiche. Nel ciclismo in generale siamo rimasti ancora troppo tradizionalisti. Ad esempio a partire dall’anno prossimo gli Europei su strada per gli élite saranno più corti, al massimo sulla distanza di 180 chilometri e lungo un circuito che non deve superarne 12, proprio perché le gare devono essere più attrattive sia per il pubblico sul posto sia per chi le segue alla tivù o sui social media. Inoltre, si stanno affermando nuove discipline olimpiche come la BMX e la BMX freestyle che già suscitano un enorme interesse. Vi è pure la bicicletta elettrica che sta prendendo piede in modo impressionante. Anche qui prevediamo già quest’anno le prime prove di campionato europeo. Il ciclismo è nato in Europa e nelle sue forme diverse si sta globalizzando. Per questo nel Vecchio Continente dobbiamo approfittare della nostra storia per essere innovativi e creativi». Quella della riduzione dei tempi sarebbe davvero una via praticabile anche per le prove su strada, grandi Giri e Mondiali compresi? «Secondo me sì e un bell’esempio, a questo proposito, l’avremo al Tour de France di quest’anno. La diciassettesima frazione, nei Pirenei, si disputerà sulla distanza di soli 65 chilometri e sarà una tappa dinamite, come l‘ha definita Christian Prudhomme, il direttore della Grande Boucle. Sarà di montagna, con arrivo ai 2.215 metri di quota del Col de Portet, e possiamo essere sicuri che i corridori affronteranno quei pochi – relativamente – e duri chilometri come segugi a caccia di una preda, senza mollare la presa neanche per un attimo». Davvero possiamo già prevedere ora che sarà così? «Ricordate il Tour de France del 2003 che era stato vinto dal danese Bjarne Riis? Una tappa alpina con arrivo in cima al Sestriere era stata accorciata a causa del maltempo. Ebbene, Riis proprio su quella breve distanza – una quarantina di chilometri – partì come un razzo e per lui al Sestriere il colpo era stato doppio, perché aveva messo nel suo carniere la tappa e quella maglia gialla che aveva poi indossato fino a Parigi. Che spettacolo quel giorno! Certo, ci vorranno lavoro e impegno per trovare soluzioni e formule delle competizioni ideali e al passo coi tempi. Per farlo occorre coinvolgere tutte le parti in causa come i corridori, sponsor, organizzatori, gruppi sportivi, il mondo dei media eccetera. In ogni caso qualcosa va fatto per non perdere terreno rispetto alle altre discipline sportive e soprattutto per essere più attrattivi per le giovani generazioni, il cui disinteresse nei confronti del ciclismo è un punto parecchio dolente».


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