Rubens Bertogliati sul CDT si racconta per i suoi 40 anni

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Corriere del Ticino

SPORT

GIOVEDÌ 9 MAGGIO 2019

 L’INTERVISTA RUBENS BERTOGLIATI

«La maglia gialla al Tour, un sogno di mezza estate»

IL PERSONAGGIO I PRIMI PASSI A dodici anni si iscrive al VC Lugano e comincia a inanellare buoni risultati. PROFESSIONISTA Nel 2000 passa al professionismo, alla Lampre-Daikin. Nel 2002 vince il GP di Chiasso e la prima tappa

del Tour de France in Lussemburgo, vestendo anche la maglia gialla di leader della generale per due giorni. Nel 2004 passa alla Saunier Duval-Prodir. Nel 2009 va alla Diquigiovanni (poi Androni Giocattoli). Nell’autunno del 2012 si

ritira. Ha all’attivo 4 partecipazioni al Tour de France, 4 al Giro d’Italia e una alla Vuelta. Ha vinto due titoli svizzeri a cronometro e ha inoltre preso parte alle Olimpiadi di Atene 2006. DIRETTORE SPORTIVO Dal 2013 al 2015 è stato

L’ex ciclista compie oggi 40 anni tra ricordi e simpatici aneddoti Pensi a Rubens Bertogliati e la mente corre ai suoi ultimi esaltanti e affannati metri sul rettilineo nel Principato di Lussemburgo: lì, il 7 luglio 2002, con un guizzo fulmineo in contropiede a un chilometro dal traguardo della prima tappa del Tour de France, anticipò le squadre dei velocisti andando a prendersi vittoria e maglia gialla, in una giornata esaltante per il Ticino sportivo. Sono passati diciassette anni da quell’impresa e Rubens proprio oggi, 9 maggio, festeggia il suo 40. compleanno. «Ma non mi sento vecchio: mi sento sempre un ventenne, con vent’anni d’esperienza in più» ci dice in una distesa chiacchierata nella Newsroom del Corriere del Ticino a Muzzano. PARIDE PELLI

 Rubens, innanzitutto buon compleanno: quanto ti manca l’adrenalina delle gare, dopo 13 anni trascorsi tra i professionisti e il ritiro nel 2012? «Grazie mille per gli auguri. In realtà non mi mancano le gare, piuttosto la preparazione, gli allenamenti, le uscite individuali da 5-6 ore in sella, di puro piacere, e il ritorno a casa ancora fresco malgrado i chilometri macinati. Se quelle uscite le facessi oggi, probabilmente morirei...». Cosa ricordi di quel 7 luglio 2002 che ti ha cambiato la vita lanciandoti tra i campioni del ciclismo? «Ricordo innanzitutto che era il compleanno di Erik Zabel (ride...): lui pensava di vincere la prima tappa del Tour e festeggiare con la maglia di leader. Invece gli ho fatto uno scherzetto, sono scattato a un chilometro dal traguardo, ho vinto e mi sono preso la maglia gialla grazie agli abbuoni. Una giornata fantastica, anche se un po’ caotica per gli standard a cui ero abituato sin lì, da corridore oggettivamente semisconosciuto». Un giorno che ti ha cambiato la vita: «Le premiazioni, le interviste, la pressione mediatica: sembrava di vivere un sogno. Cercai di godermi quelle ore al massimo, consapevole che difficilmente nella mia carriera mi sarebbe riuscita un’altra impresa di quella portata. Non mi negai a nessuno, parlai con tutti, cercai di assaporare ogni istante di quella giornata in cui l’adrenalina non mi abbandonò mai. Rientrato in albergo trovai il telefonino con la batteria praticamente scarica: mi erano arrivati 126 SMS di congratulazioni e 200 telefonate. Ecco, in quel momento capii veramente che cosa ave-

SAM MASSAGNO MONTHEY

77 85

18-15, 29-39, 49-55 Arbitri: Stojcev, Pillet e Tagliabue. Spettatori: 300 SAM Basket Massagno: Magnani 6, Sinclair 16, Grüninger 2, Slokar 9, Aw 25; poi: Miljanic 13, Moore 6, Martino. NE: Hüttenmoser, Strelow, Mäusli. BBC Monthey: Bavcevic 6, Cochran 24, Mbala 4, Reid 19, Frease 14; poi: Dubas, Landenbergue 2, Maruotto 14, Monteiro 2. NE: Fritschi.

GINEVRA LIONS LUGANO TIGERS

99 81

30-19, 55-32, 78-57 Arbitri: Michaelides, Herbert e Curty. Spettatori: 800 Lions di Ginevra: Colter 20, Kovac 21, Humphrey 19, Cotture 8, Popov 2; poi: Smith 14, Tutonda 4, Mladjan M. 11, Solioz, Bourgeois. Lugano Tigers: Pollard 16, Stevanovic 8, Green 23, James 24, Wilbourn; poi: Berry 5, Bracelli 3, Lukic 2, Marella NE: Mussogno.

vo combinato. Poi, una volta a casa, mi arrivò una bolletta del telefono di mille franchi per tutte le risposte ai messaggi e le chiamate (ride di nuovo...)». Un’impresa che in molti ricordano ancora oggi con emozione: «Suppongoche quel giorno in Ticino fosse brutto tempo e tutti si trovassero in casa davanti al televisore, perché effettivamente ancora oggi, a diciassette anni di distanza, la gente rammenta quella tappa. È qualcosa che mi inorgoglisce». Arrivarono anche i complimenti di Lance Armstrong, vero?

Il giorno della maglia gialla al Tour de France mi arrivarono 126 SMS e 200 telefonate «Sì, certo, Armstrong sapeva come farsi apprezzare: era sinceramente felice per me e si vedeva. All’epoca, lui era il boss, il campione, sebbene sul suo conto, nel gruppo, giravano già strane voci. Voci che poi furono confermate dai fatti, per sua stessa ammissione». Armstrong dichiarò che senza doping non avrebbe potuto vincere nemmeno uno dei sette Tour: sei d’accordo? «Non completamente: sette di sicuro non li avrebbe mai vinti, ma la sua gestione della corsa era così lucida, la tattica di gara così precisa, da permettergli di ridurre il gap dagli altri e portare a casa almeno un paio di edizioni. Più in genera-

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BUON COMPLEANNO Rubens Bertogliati, oggi 40.enne. le, poi, ad Armstrong va dato atto di aver introdotto maggior professionalità nel panorama ciclistico, attraverso l’innovazione e la metodologia di lavoro. Faccio un esempio concreto: è stato il primo corridore a utilizzare con efficacia il misuratore di potenza sulla bicicletta; e inoltre conduceva una vita talmente rigorosa da poter essere considerata quasi ascetica. Mai un bicchiere di vino, mai un vizio. È impressionante l’ambivalenza di Armstrong tra la pratica del doping e la serietà in tutto il resto». Qualche anno dopo, alla Saunier-Duval, come compagno di squadra avevi, tra gli altri, Riccardo Riccò, considerato il nuovo Pantani: finì due volte nella rete del doping e venne radiato: «Era il classico corridore sregolato: si sapeva che rischiava e non lo nascondeva neppure. Da lui ho sempre preso le distanze: ma come lui, tanti altri, ahimé». Torniamo a te, Rubens: quali altri ricordi emergono di una carriera approcciata tutto sommato tardi? «In effetti quando ho iniziato a fare sul serio avevo già dodici anni: fin lì andavo in bicicletta solo per divertimento, ma capivo di avere una certa predisposizio-

(Foto Zocchetti)

ne per gli sport di resistenza. Da lì in poi andò tutto molto veloce, sino al passaggio ai professionisti nel 2000. Altri ricordi? La tappa del Tour de Suisse che portava in Ticino nel 2007: una fuga lunghissima, ci tenevo proprio a provare a vincere davanti al mio pubblico, tanto

Più delle gare, mi mancano le uscite di 5-6 ore in sella alla bici: oggi morirei... che il giorno prima avevo mollato per risparmiare un po’ di energie. Ero in fuga da solo al mattino, mi lasciarono partire perché non ero pericoloso per la classifica, ma dopo un po’ arrivò Laurens ten Dam, olandese, che era uomo da generale: mi scombussolò tutti i piani. Lui non avrebbe dovuto uscire dal gruppo, in più tra di noi non si collaborava. Morale della favola: mi hanno preso a Malvaglia, lui a Lodrino. Se ten Dam non si fosse mosso, probabilmente avrei vinto

direttore sportivo della squadra IAM Cycling. OGGI Sposato con Alessia, è padre di Leon e Athena. È sempre attivo nel ciclismo, come allenatore di Ticino Cycling e coordinatore del Centro regionale.

la tappa. Che rimpianto! Un’altra volta, sempre al Tour de Suisse, avrei potuto conquistare la maglia di leader, ma andò male. Eravamo un gruppetto in fuga, ma siccome ero messo bene in classifica mi fecero staccare: a malincuore dovetti dire addio ai sogni di gloria. Ero incavolato nero, ma il ciclismo è anche tattica e strategia». Il ciclismo ogni tanto è però anche sfortuna, penso alle tue cadute e agli infortuni: «Nel 2004 al Giro d’Olanda mi ruppi il bacino: sei mesi di stop per una caduta tutto sommato banale, a causa della pioggia. Nel 2006 al Romandia mi giocai inoltre la partecipazione al Giro d’Italia per la frattura del ginocchio sinistro». Da qualche anno non ci sono più ticinesi tra i professionisti. Sbocceranno altri talenti alla Rubens Bertogliati? «Giovanni Rossi aveva indossato la maglia gialla negli anni Cinquanta al Tour, io ci ho messo cinquant’anni a emularlo, speriamo di non aspettare ancora così tanto. Secondo me ci sono attualmente alcuni talenti ticinesi che, continuando a lavorare, potrebbero tranquillamente ottenere buoni risultati anche tra i professionisti. Poi, la maglia gialla è qualcosa tutto sommato di effimero, un sogno di mezza estate». Il ciclismo è anche e soprattutto fatica e sacrificio: tra i non addetti ai lavori ci si chiede come sia possibile, per esempio, trascorrere tre settimane in sella per una gara a tappe. Cosa rispondi? «Rispondo che ci si allena per riuscire a raggiungere determinati traguardi. Si arriva a ottenere quella prestazione perché c’è dietro un allenamento specifico: bisogna dormire bene, mangiare correttamente, fare una vita da vero atleta, insomma. Sacrificio è la parola giusta, ma è la passione la vera benzina». Non le colazioni pantagrueliche dei ciclisti, che alcuni considerano leggende metropolitane? «Oggi posso dire di mangiare un decimo rispetto a quando correvo: da professionista la colazione prima della partenza era in effetti una specie di banchetto luculliano che consisteva in caffè, a seguire latte e cereali, un paio di fette di torta, poi ovviamente i carboidrati: alcuni preferivano la pasta con la marmellata – una cosa orribile – io la mangiavo alla mediterranea, con formaggio e pomodoro. Due etti sicuri, forse anche di più. I compagni che preparavano le grandi classiche facevano anche il carico serale con tre piatti abbondanti. Non so come facessero, io dopo un po’ mi fermavo perché non riuscivo a ingozzarmi del tutto. Ricordo che, durante le tre settimane di un Tour, quando ti svegliavi e non avevi appetito, significava che eri “cotto”. Per fortuna mi è capitato raramente».

Basket Serata senza gloria per le ticinesi Nei playoff il Monthey pareggia la serie con la SAM, il Lugano invece è sotto per due a zero  Serata decisamente storta quella di gara-2 dei quarti di finale per le ticinesi del basket di casa nostra, uscite entrambe sconfitte ed entrambe con le ossa piuttosto rotte. E se sul fronte bianconero una seconda sconfitta a Ginevra poteva anche essere messa in preventivo, fa decisamente più rumore quella arrivata a Nosedo, vittima la SAM Massagno. Che dopo aver brillato di luce propria in gara1, è sprofondata in buio baratro ieri. Ed ora, con il fattore campo passato in mano a Monthey, la serie si fa decisamente in salita per i ticinesi, obbligati a questo punto ad andare per forza a strappare un successo in terra vallesana. Davvero pesante il tonfo dei ragazzi di Gubitosa, molto più di quanto possa indicare il risultato finale (abbellito nel finale); fermi in difesa, con poche, pochissime idee in attacco, e anche piuttosto nervosi e quindi poco lucidi, i ticinesi hanno di fatto regalato gara-2 ad un avversario che, pur migliore di quello visto nel match d’esor-

dio, senza bisogno di strafare si è portato a casa il bottino pieno. E dire che è la SAM a parteire bene, il piglio giusto ce lo mettono i due totem sotto canestro, Slokar e Aw. Le prime battute sembrano infatti una continuazione di gara-1; i padroni di casa che macinano gioco, gli ospiti a trovare solo (brutte) soluzioni individuali. Tutto merito della difesa biancorossa, manco a dirlo, che toglie punti di riferimento ad un avversario che già di suo non brilla per coralità. Dopo 8’ minuti arriva così la doppia cifra di vantaggio (188), che tanto sembra il preludio ad un’altra serata in carrozza. Un pensiero che probabilmente corre anche nelle teste di Magnani e compagni, che a quel punto si fermano di colpo. Un paio di fiammate di Cochran riportano sotto Monthey, mentre sull’altro fronte è questa volta Massagno che improvvisamente perde fluidità e comincia a sparacchiare senza costrutto, incaponendosi in incomprensibili uno contro uno figli di un ritmo

ormai andato a ramengo. E così, ma questa volta a parti invertite, come domenica lo strappo arriva proprio a cavallo dei primi due quarti, sotto forma di uno 0-13 ospite che lancia i vallesani (dal 20-15 al 20-28 del 14’). Gubitosa avrebbe disperatamente bisogno di qualche faro nel buio, ma nessuno trova l’interruttore giusto, men che meno la coppia SinclairMoore, senza idee in attacco e svagata in difesa. Le palle perse montano (11) mentre Monthey invece, senza per altro strafare, ha in Reid e Cochran due capisaldi su cui fare affidamento. E quando sul fronte vallesano cominciano a piovere rimbalzi offensivi (9 dopo 20’) e ad entrare anche il tiro dalla lunga distanza, ecco che il +10 con cui gli ospiti vanno negli spogliatoi alla pausa principale è bello che servito (29-39). La musica non cambia nella seconda parte di partita, anzi. Gli ospiti continuano a banchettare e allungano fino al +15. Un lampo di Moore produce un 8-0 che sembra poter sposta-

re l’inerzia (47-53), ma lo 0-7 di risposta immediato riporta tutto come prima. Come nel primo tempo, manca il trascinatore, mentre abbondando in confusionari. E così il finale diventa un lungo trascinarsi, senza input, fino alla sirena finale. «Imbarazzanti, non so che altro dire – le parole di un tanto scorato quanto arrabbiato Gubitosa – Un atteggiamento completamente sbagliato, anche nel finale, nessuno che ci credeva. Fatemi andare in spogliatoio che è meglio». È durata invece poco più di cinque minuti invece gara-2 del Lugano, uscito piuttosto malconcio dalla seconda sfida in terra ginevrina. Come domenica, i bianconeri sono partiti bene, ma hanno finito per pagare dazio presto, con i padroni di casa a produrre lo strappo, rivelatosi poi determinante, negli ultimi tre giri d’orologio del quarto iniziale. Sabato all’Elvetico in gara-3 i Tigers dovranno mettere tutto quello che hanno per non veder calare il sipario sulla loro stagione. MATTIA MEIER


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