FARCORO, September 2009

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Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Bologna”

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori

N° 3 Settembre — Dicembre 2009

Farcoro


Farcoro – Indice

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EDITORIALE di Andrea Angelini

DIDATTICA Sullo stile e sull’interpretazione del canto popolare di Giacomo Monica

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DIDATTICA Alla scoperta della tecnica gestuale moderna

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Alla scoperta della tecnica gestuale moderna

di Walter Marzilli

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DIDATTICA Il metodo funzionale della voce di Marco Gemmani

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DIDATTICA I registri vocali nel Rinascimento

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Il metodo funzionale della voce

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Intervista a Morten Lauridsen

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L’orecchio, una qualità necessaria alla direzione

di Andrea Angelini

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ESPERIENZE Itinerari di Musica Corale a Bologna di Puccio Pucci

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ESPERIENZE Riflessioni: La Vocalità antica di Mauro Uberti

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ESPERIENZE Intervista a Morten Lauridsen di Andrea Angelini

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COMPOSIZIONI Al niño Jesús di Marialuisa Balza

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PILLOLE L’orecchio: una qualità necessaria alla direzione di Andrea Lauriscina


FARCORO Quadrimestrale dell’Aerco Associazione Emiliano Romagnola Cori Settembre‐Dicembre 2009 Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Spedizione in abbonamento postale DL 353/2003 Art. 1, comma 2 DCB, Bologna Direttore Responsabile Andrea Angelini Comitato di Redazione Fedele Fantuzzi Giacomo Monica Puccio Pucci Edo Mazzoni Loris Tamburini Matteo Unich Mario Pigazzini Grafica e impaginazione Andrea Angelini Sede Legale c/o Aerco – Via San Carlo 25/f 40121 Bologna Contatti Redazione: farcoro@aerco.it +39 347 2573878


Farcoro - editoriale

Competenza e Modestia

contraddistingue da tempo l'AERCO, troverete sul nostro sito il file midi da scaricare per un più rapido apprendimento delle parti; i dettagli dell'indirizzo sono alla fine delle pagine dedicate alla composizione di Marialuisa.

Bene, eccoci giunti ad un altro coinvolgente numero di FARCORO. Vorrei davvero rimarcare come, all'interno ed al di fuori dell'AERCO, si sia formata una squadra di ottimi collaboratori che in modo “competente ma modesto” regala chicche del proprio sapere alla coralità emiliano romagnola.

La Rivista vuole poi diventare uno strumento ponte tra i diversi modi di intendere il canto corale; quante volte sono stato testimone delle solite diatribe ed accese discussioni sulla predominanza, o comunque sul particolare interesse, che un tipo di repertorio può avere sull'altro. Avete capito bene cosa intendo! Sembra che per tanti cori esista solamente la polifonia, per altri il solo canto popolare oppure quello lirico. E' giusto che si creino categorie di interessi particolarmente significative ma sono altresì convinto che il saggio ed appassionato interprete di canto corale non possa esimersi dal conoscere, anche solo parzialmente, tutte le potenzialità che esso può esprimere. I contenuti degli articoli devono muoversi sempre più in questa direzione che non è comunque semplice: si tratta di scrivere qualcosa che possa suscitare la curiosità nella diversità ed al tempo stesso interesse nello specifico.

Dico “competente” perché gli articoli che troverete su questo numero sono firmati niente meno che da eminenti esperti quali Marco Gemmani, Giacomo Monica, Walter Marzilli, Mauro Uberti ed altri; dico a pari luogo “modesto” perché questi musicisti hanno lavorato per la Rivista, e spero continuino a farlo in futuro, solamente ripagati dal nostro “grazie”. Mi piace mettere in risalto lo spirito di silente servizio verso l'associazionismo corale: non è cosa da poco al giorno d'oggi dove sembrano parzialmente dimenticati valori quali disponibilità, gratuità, solidarietà. Esorto calorosamente altri musicisti che credono di poter condividere la loro esperienza con i nostri lettori a contattarmi.

Questa è la mia personale e condivisa scommessa!

Qualcosa sul repertorio che troverete all'interno. E' il momento di Marialusa Balza, stimata musicista riminese, da alcuni anni approdata all'insegnamento presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, che ci ha trasmesso un'appassionante e vibrante composizione natalizia per solo coro femminile. Invito i cori a trarre beneficio di quest'opportunità di nuovo materiale, essendo, come si dice, “il tempo (per il Natale) ormai maturo!” Nello spirito della modernità e iper-tecnologia che

Bologna, 24 Ottobre 2009

Andrea Angelini andrea@angelini.cc

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Farcoro – didattica

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Sullo stile e sull’interpretazione del canto popolare di Giacomo Monica (*)

sentire che qua e là riecheggia l'orma del M° Giorgio Vacchi, perché questo? Perché quell'orma è il suo stile.

Sono semplicemente alcune considerazioni che, credo, possano arricchire le riflessioni in caso di specifiche conversazioni, discussioni sullo stile e sull'interpretazione del canto popolare, visto che non è difficile trovarsi ancora a dibattere questo tema e disquisire su continue posizioni in discordanza perché impropriamente si mescola e confonde lo stile con l'interpretazione, facendo spesso confusione tra le due cose.

Una cosa del tutto analoga si verifica se si ascoltano attentamente i brani del M° Marco Maiero; anche qui affiora l'impronta del M° Bepi De Marzi, vuol dire semplicemente che questi due musicisti (Fantuzzi e Maiero) sono stati influenzati positivamente, hanno assimilato e ribadiscono la grandezza di coloro che li hanno preceduti. Questo però non toglie assolutamente niente alla forte personalità di Fantuzzi o di Maiero perché, all'interno del loro linguaggio personale, sono solo "somiglianze" che rientrano nella loro spiccata sensibilità compositiva.

Lo stile è insito nella composizione, l'interpretazione è la personale proposta esecutiva. Vengo subito a un esempio pratico legato allo stile: mi metto al pianoforte e improvviso nello stile barocco, classico, romantico, jazzistico ecc. imitandone i codici di costruzione; oppure per entrare ulteriormente nello specifico, posso imitare lo stile di Bach, Scarlatti, Mozart, Beethoven, Chopin ecc. adottando per assimilazione moduli compositivi passati e ritrovandomi così a ripercorrere le loro orme, pur suonando tutt'altre note rispetto a quelle scritte da loro.

Per come vedo le cose, tutto rientra in una sorta di inevitabile evoluzione e anche questi percorsi sono la conferma che la tradizione si muove da una mano all'altra, seguendo il logico passaggio generazionale. Sarà poi la storia che farà da filtro e ci dirà della grandezza dell'uno e/o dell'altro. Nell'interpretazione, che è la conseguente proposta esecutiva, dobbiamo tener conto che i gruppi spontanei (per esigenza principalmente legata al piacere del canto corale armonizzato) si sono trasformati in cori, affrontando via via le problematiche di tecnica vocale per sostenere il canto elaborato a più voci, riconoscendosi

Ora ridimensionando il discorso e riportandolo nell'ambito del canto popolare, faccio altri due esempi attinenti. Ascoltando dal coro La Baita un brano armonizzato dal M° Fedele Fantuzzi non è raro

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nell'esecuzione, ottenendo innumerevoli consensi e riconoscimenti nel mondo, anche ben oltre l'Oceano.

così più in scuole corali che in semplici forme di aggregazione unite solo dalla passione innata del canto. Le nuove esigenze e tendenze tuttora in evoluzione sono sempre più in continua ricerca di risultati raffinati, ma non per questo in contraddizione con lo stile popolare. Ogni armonizzatore infatti, a maggior ragione se è anche didatta, ricerca una vocalità attinente alle caratteristiche della propria scrittura.

Questo la dice lunga a qualsiasi musicista, Giorgio è un grande ed è unico! Tuttavia rifletterei su un fatto: non arresterei il pensiero solo a questa realtà compositiva e interpretativa (Giorgio Vacchi - Coro Stelutis, binomio inscindibile) perché lo stile del canto popolare prevede che non esista una sola linea, un solo modo compositivo o interpretativo, al contrario è proprio l'insieme di tanti apporti diversi dalle mille sfaccettature, esattamente così come sono i nostri dialetti, che insieme si potenziano, si mescolano, a volte gli apporti si respingono oppure le contaminazioni si sommano e il tutto crea quel magma che potremmo definire "stile popolare", unicamente per comodità di etichetta ma in realtà riduttiva perché, per il resto, è invece di difficile definizione.

Vengo al concreto: lo Stelutis canta musiche di Giorgio Vacchi seguendo un pensiero interpretativo che non lascia dubbi, che non può essere contraddetto in quanto è così nella sua essenza, cioè è questo il desiderio finalizzato a un preciso risultato musicale vocale del suo autore nonché didatta, e non si discute! Per questo il coro Stelutis è il miglior riferimento per l'interpretazione del suo repertorio. Le motivazioni, poi, sono tutte accettabilissime e illuminanti per chi desidera seguire quella traccia perché riflettono così anche una radice storica canora, filologicamente esatta in quanto "la gente una volta cantava così" e volutamente con grande coerenza (anche in questo, secondo me, sta l'originalità e la qualità della proposta) da Giorgio valorizzata e sostenuta pure didatticamente nel suo continuo lavorare con risultati di grande credibilità divenendo ben presto un punto di riferimento nell'interpretazione, per la continua ricerca di una vocalità fedele alla tradizione, da fare scuola in tal senso a tanti altri cori, soprattutto a voci pari virili. Considerando che il canto popolare non è mai stato scritto così come non è mai stato armonizzato, si capisce meglio come Giorgio abbia saputo conciliare questi due aspetti apparentemente contrastanti. Sul piano della composizione come tutti gli armonizzatori non ha seguito pedissequamente la tradizione, in compenso l'ha rispettata fedelmente

Per me quello che resta certo è che i valori del canto popolare sono un condensato di alcuni caratteri d'identità come: ingenuità, immediatezza, semplicità, brevità, coinvolgimento diretto, mancanza di pretesa aulica, freschezza, senso del divertimento, vivacità nello spazio istintivo della fantasia che solo il compositore attento nel suo operare ed elaborare li sa rendere sempre emergenti e che nel loro insieme creano lo stile. Si potrà pertanto definire "fuori stile" ad esempio un coro che canta con un vibrato eccessivo (come di norma nell'interpretazione di brani lirici). Oppure un coro che canta in un modo eccessivamente duro, rauco e forzato quasi fosse un'interpretazione di un brano rock. O ancora un coro che canta in modo sdolcinato come fosse musica leggera degli anni '50.

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Oppure un coro che con eccessive messe di voce rende il canto popolare artificioso come fosse polifonia classica del '500. O anche un coro che esegue spirituals in modo statico, senza possederne lo swing necessario, istintivo nella cultura e tradizione afro-americana. Per me non potrà, al contrario, mai essere fuori stile un coro dotato di un'eccellente padronanza tecnica, con una perfetta intonazione, con un'ottima fusione ed equilibrio tra le voci a sostegno della purezza della melodia popolare avvolta nel suo dialetto e nelle sue nuove armonie, se attento a rendere il brano denso di contenuti espressivi. Nessuno potrà mai dire che un coro è fuori stile perché canta troppo bene (è un rischio che in musica non si corre!) si potrà invece dire che quel coro è alla continua ricerca di canoni estetici e modi interpretativi sempre maggiormente raffinati. "Aprire le sonorità" così come "tenerle controllate" può portare nello stesso modo a risultati espressivi credibili, il tutto dipende dal gusto e dalle scelte del musicista, spesso anche didatta.

Giorgio Vacchi, Stelutis

Giovanni Cucci, Sette Torri

Ritornando alla musica classica (mi piace mescolare le due cose perché oggigiorno il canto popolare di elementi classici si nutre, così come la musica colta ha attinto a piene mani per secoli spunti tematici dal canto popolare e poi perché la musica è una, quella che coinvolge) si può fare un esempio costantemente ricorrente, tutt'altro che risolto: suonando Bach (il pianoforte all'epoca di Bach era solo agli albori) è meglio rivolgersi al clavicembalo o al pianoforte? E se si sceglie il pianoforte conviene utilizzare il pedale o non utilizzarlo per niente? E se si utilizza in che misura riflette buon gusto? Anche in altri contesti sempre bachiani, per l'interprete la scelta di uno strumento musicale piuttosto di un altro può anche essere sollecitata dal fatto che non sempre Bach destinava ad uno strumento specifico la parte, è noto a tutti ad esempio che utilizzasse nelle sue partiture l'oboe in mancanza del violino o viceversa. Per sottolineare maggiormente alcune considerazioni sull'interpretazione porto un altro riferimento: Glenn Gould, interpretando e incidendo le "Variazioni Goldberg" a distanza di ventisei anni una dall'altra, ci ha lasciato due letture della composizione bachiana diversissime tra loro, di impareggiabile grandezza, a testimonianza dell'evoluzione del

E' proprio l'apporto posteriore, comunque sia colto, dell'armonizzazione che consente soluzioni tutt'altro che univoche d'interpretazione. Porto altri due esempi che non si escludono tra loro, di rilievo e molto significativi, ma di tendenza opposta: il canto popolare (G. Vacchi) nell'interpretazione del coro Stelutis di Bologna con una scelta filologica; il canto popolare (L. Sinigaglia) nell'interpretazione del coro Sette Torri di Settimo Torinese, che attua una scelta rivolta a canoni estetici raffinati. Sia Leone Sinigaglia che Giorgio Vacchi hanno armonizzato melodie popolari, ma le scelte interpretative dei Maestri del coro, pur rispettando lo stile, vanno in direzioni diverse.

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suo pensiero in continuo rinnovamento, in cui l'essenza musicale nella rilettura della partitura riemerge intrisa di nuovi impulsi vitali e slanci di energia riflessi in tempi metronomici decisamente più spinti, anche se forse (ci tengo a sottolineare il forse perché è una considerazione soggettiva), rispetto alla prima versione, meno introspettivi. Canto popolare interpretato dal Coro Stelutis di Bologna. M° Giorgio Vacchi

Chi rispetta di più lo stile? Non ci sono risposte con un'unica verità. Sono solo proibite le esecuzioni noiose!

www.corostelutis.it/Dischi/canti emiliani - cassetta.htm

Desidero chiudere con una frase che spesso Giorgio Vacchi diceva: "Noi armonizzatori con i nostri cori abbiamo portato il canto popolare dalle stalle alle stelle" E' verissimo, è una conquista e una forma di valorizzazione forte, in quanto risulta più accattivante, potenzia le forme di aggregazione e risulta maggiormente espressivo; lascia libero però un interrogativo che non ha fine: il canto popolare è stato così in parte snaturato o impreziosito? Il secondo verbo trova sicuramente oggigiorno maggiori consensi e nuovi respiri nella coralità amatoriale un po' di tutta Europa e non solo, ed è anche il segno stupendo che comunque continuiamo a tramandarci il piacere e la ricchezza del canto corale.

Canto popolare interpretato dal Coro Sette Torri di Settimo Torinese. M° Giovanni Cucci www.corosettetorri.it/I_nostri_canti.htm

Prima versione – Interpretazione “Variazioni Goldberg” di J.S. Bach. Esecutore: Glenn Gould, 1955 http://en.wikipedia.org/wiki/The_Goldberg_Variations_28Gould_album29

Come commento concreto (in termini di testimonianze sonore) indico l'opportunità di ascolto di questi CD che esplicitano, nella diversità di idee, il rispetto dello stile e il cammino di un'interpretazione che sempre si rinnova. (*) Violinista in complessi cameristici, docente di violino al Conservatorio di Parma, ricercatore ed elaboratore di canti popolari, direttore del Coro Montecastello di Parma, vicepresidente AERCO e direttore della sua Commissione artistica.

Seconda versione – Interpretazione “Variazioni Goldberg” di J.S. Bach. Esecutore: Glenn Gould, 1981

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Farcoro – didattica

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Alla scoperta della tecnica gestuale moderna di Walter Marzilli (*) Essa si basa sulla ricerca e l’utilizzo di un unico punto, che d’ora in avanti indicheremo come Punto Focale (PF). Tale punto deve permettere di raggiungere una tecnica gestuale attraverso la quale il direttore possa emanare tutta la forza comunicativa di cui dispone, sia essa relativa agli aspetti di natura strettamente tecnica, come anche concertativa, artistica e interpretativa, persino poetica.

Fig. 2

Purtroppo nella situazione di Fig. 2 esso non possiede ancora nessuna validità gestuale, dal momento che la mano del direttore, mentre descrive nell’aria il secondo e il quarto movimento addirittura non lo tocca. Durante il primo e il terzo movimento semplicemente lo attraversa, ma senza che in quel preciso istante accada nulla. Occorre invece fare in modo che quel punto centrale - situato all’incrocio dei gesti e per questo già dotato di una virtù interessante come appunto la centralità della sua posizione2 - acquisisca una valenza significativa in relazione alla pulsione ritmica della mano, che in esso dovrebbe concentrare i suoi movimenti per illuminare una zona di lavoro che possa essere facilmente riconosciuta dagli esecutori. Per fare questo si rende subito necessario che il gesto relativo al primo tempo

Per iniziare la nostra ricerca partiamo dalla tecnica gestuale classica, e precisamente dal gesto della misura in quattro tempi come lo troviamo indicato in quasi tutti i manuali di direzione:1 Fig. 1

In realtà, come si vede nella Fig. 1, il gesto classico contiene già un punto particolare che sembra essere accomunato a tutti e quattro i movimenti, indicato in Fig. 2 dalla lettera O.

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Giustamente si è soliti suggerire di battere il tempo insistendo all’altezza del plesso solare, più o meno corrispondente allo sterno. Non è da sottovalutare il fatto che l’adozione del punto centrale O permetta subito di posizionare il gesto nel punto giusto. Qualunque altra posizione risulterebbe infatti rispettivamente troppo bassa (punto 1 del gesto in Fig. 2), troppo a sinistra (punto 2), troppo a destra (punto 3) o troppo in alto (punto 4).

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Cfr: WALTER MARZILLI, I difetti del gesto direttoriale secondo la tecnica classica, in: “La Cartellina, MarzoAprile 2002, n° 140”

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penultimo verso l’esterno del direttore4 e l’ultimo verso l’alto (in levare), non resta che mandare il secondo movimento verso l’unica direzione lasciata libera da questa classificazione – quella verso sinistra - senza tralasciare di passare prima attraverso il PF. Il tutto partendo dalla fine del primo gesto (Fig. 4, punto A):5

della battuta non oltrepassi il PF: si genera allora una linea spezzata la quale, partendo dall’alto (Fig. 3, punto A), vi ritorna dopo aver toccato il punto O, che già chiameremo PF. In questo modo risultano anche facilmente definite le due suddivisioni che formano il primo tempo, e questo fatto mostrerà tutta la sua efficacia ogni qual volta dovessimo affrontare un tempo lento, tale da imporre l’adozione di un gesto suddiviso. 3 Nella seguente Fig. 3 i due segmenti del gesto sono mostrati leggermente divaricati tra di loro, per rendere possibile una loro distinzione visiva. Nella pratica essi risultano naturalmente coincidenti: Fig. 3: Primo tempo

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Si tratta di una zona aperta, nella quale il braccio trova tutto lo spazio di cui può avere bisogno per attuare un rallentando in una cadenza. Il penultimo movimento risulta infatti in questi casi molto importante perché prelude all’ultimo gesto del rallentando, prima dell’evento che seguirà: o l’apparizione di un motivo tematico o la conclusione del precedente. In questo senso si capisce perché in questa catalogazione delle direzioni non risulta preso in considerazione il gesto sul secondo movimento di una qualunque misura in quattro tempi, ma solo quelli sul primo, il terzo (penultimo) e il quarto (ultimo). In seguito probabilmente avremo modo di osservare come il secondo gesto non aggiunga ulteriori utili informazioni all’esecutore rispetto a quelle fornite dal primo gesto, e questo sia in fase di attacco (tutto sarà indicato già prima dell’attacco stesso, nel gesto di preparazione: respiro, dinamica, agogica, atteggiamento mentale, pathos…) che di chiusa, dove la progressività del rallentando impedisce al secondo tempo – e quindi al relativo gesto - di assumere dimensioni ragguardevoli, che sarebbero contrastate dalla presenza del corpo stesso del direttore. Nel penultimo e ultimo tempo della battuta, ben più pregnanti dal punto di vista agogico, i gesti relativi possono contare su una maggiore possibilità di estendersi rispettivamente all’esterno e verso l’alto.

A questo punto, seguendo la consolidata prassi che vuole vedere il primo gesto di ogni battuta indirizzato verso il basso (in battere), il 3

In aggiunta ai suddetti casi di suddivisione, si devono considerare tutte le frequentissime occasioni in cui nella cadenza compaiono le suddivisioni dell’unità di tempo e il rallentando viene condotto in modo sostenuto: per non lasciare liberi gli esecutori di rallentare secondo le proprie sensazioni (tante e plurime quanti sono i cantori) si rende necessario indicare entrambe le crome (nel tempo in quarti), suddividendo il gesto. La presenza di un movimento di andata e uno di ritorno dal PF permette facilmente di farsi capire, mostrando ai cantori ogni suddivisione con un opportuno rimbalzo sul PF.

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Questo tipo di direzionalità dei gesti all’interno di una qualunque battuta risulta diffuso e rispettato in modo pressoché universale in tutto il mondo. Soltanto alcune correnti di natura soprattutto solfeggistica, e comunque non recentissime, prevedono altre possibilità, ma queste si rivelano meno adatte ed efficaci ai fini di una direzione accorta e scrupolosa nei confronti delle necessità dell’esecutore.

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Fig. 4: Secondo tempo

Per quanto riguarda il terzo tempo, come abbiamo visto, esso va indirizzato verso l’esterno del corpo del direttore - quindi verso destra nel nostro caso. La mano sinistra, volendo raddoppiare il gesto, si muoverà a specchio verso sinistra. Come per il movimento sul secondo tempo, esso passerà attraverso il PF provenendo proprio dalla seconda suddivisione (cfr. Fig. 4, punto B), configurando così il seguente gesto: Fig. 6: Terzo tempo

Sarebbe stato infatti un grave errore rinnegare il PF e dirigersi a sinistra con una curva indefinita, anche se molto spesso è proprio quello che succede (cfr. Fig. 5): Fig. 5

Facciamo un passo indietro. Se per il secondo tempo avessimo adottato un gesto ad angolo retto come quello illustrato in Fig. 7 dalla linea tratteggiata, allora avremmo raggiunto la posizione finale C del terzo movimento attraversando frettolosamente verso destra il PF con una linea retta. Su di esso non avremmo quindi avuto nessuna possibilità di mostrare agli esecutori una qualche minima scintilla ritmicagestuale, e saremmo tornati alla situazione del gesto della tecnica classica, cioè al punto di partenza.. Fig. 7

In questo modo gli esecutori non hanno la possibilità di prevedere dove si fermerà il braccio, il cui movimento ha eluso il PF, annullando con esso tutta la chiarezza e la leggibilità del gesto. Abbiamo già avuto modo di denunciare le conseguenze di un tale comportamento,6 che sono sempre in agguato in tutti quei casi nei quali si debba o si voglia cambiare la velocità, ad esempio…

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Cfr: Walter Marzilli, I difetti…, op. cit..

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Siamo giunti al quarto e ultimo tempo della battuta, per il quale possiamo ripetere i ragionamenti fatti per il terzo gesto. Una volta infatti giunti sul punto finale del terzo movimento (Figg. 6 e 10, punto C), basterà ritornare alla posizione iniziale della battuta situata in alto (Fig.10, punto D coincidente con A di Fig. 3), passando rigorosamente ancora una volta per il PF attraverso una linea spezzata (C-D).

Ecco perché è opportuno che la seconda suddivisione del secondo tempo formi un angolo acuto con la verticale della prima suddivisione, come in Fig. 4. Nello stesso senso, pur adottando un angolo minore di novanta gradi per il secondo movimento, occorrerà fare sempre particolare attenzione a non spostarsi sbrigativamente dal punto di partenza, cioè dalla posizione finale del secondo gesto (Fig. 8, punto B), tracciando una linea retta verso destra (Fig. 8) o una curva (Fig. 9) per raggiungere il punto finale C del terzo tempo. In questo caso torneremmo infatti ad usare la vecchia configurazione “a farfalla”, con l’aggravante di tradire la validità del PF, ormai delineato, passandogli lontano senza nemmeno toccarlo:

Fig. 10: Quarto tempo

Fig. 8

A questo punto può essere utile disporre in sequenza i quattro movimenti per vederli chiaramente uno dopo l’altro: Fig. 11

Fig. 9

Per maggiore chiarezza e a scopo puramente esplicativo vogliamo anche collegare con una curva tratteggiata la posizione finale di ogni gesto con quella iniziale del successivo:

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gesto ci si accorgerà subito infatti che la differenza più appariscente e pregnante rispetto a quello “a farfalla” (cfr. Fig. 1, e soprattutto le Figg. 2 e 3 del precedente citato articolo) risiede nel fatto che il PF diventa il centro immutabile di una circonferenza.9 I raggi sono costituiti dalle tre diramazioni dei gesti: sarà la lunghezza di questi ultimi a variare in riferimento alla dinamica, all’agogica e alla concertazione, ma non il centro della circonferenza, che potrà stabilmente mantenersi fermo all’altezza del plesso solare:10

Fig. 12

Siamo quindi giunti all’ultimo passaggio, che consiste nel traslare i gesti sovrapponendoli al primo, facendo coincidere uno sull’altro tutti i PF. Si ottiene così la figura definitiva del gesto per la misura in quattro tempi, nella quale i punti ABCD non rappresentano il tactus, ma costituiscono solo la seconda suddivisione di ogni movimento:7

Fig. 14

Fig. 13

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Si paragoni la stabilità e la chiarezza che questa situazione attribuisce al PF, e le si metta in relazione all’idea espressa nel precedente già citato articolo, secondo la quale nel gesto a farfalla i quattro movimenti sembravano inseguire affannosamente un fantomatico tamburo nei suoi imprevedibili continui spostamenti.

Come si vede, in questo modo tutti e quattro i gesti si muovono sempre da e verso (per la verità dovremmo meglio dire “verso e da”) lo stesso identico punto (PF), unico vero tactus del movimento gestuale, che può rimanere immutato anche in relazione alle diverse dinamiche del suono.8 Adottando questo tipo di

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In questo senso risulta opportuno tenere il PF in una posizione non troppo alta, in modo da permettere la dilatazione del gesto verso l’alto senza essere costretti ad estendere completamente il braccio. In ultima analisi, sarebbe bene che il direttore si lasciasse sempre la possibilità di fare qualcosa di più in ogni situazione del dirigere: da intendersi non tanto come reale opportunità da attuare veramente, quanto come fattore limitante nei confronti di qualunque esagerazione gestuale (e quindi anche interpretativa).

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Ricordando che i due segmenti che formano il primo gesto, come già detto in precedenza, sono coincidenti e non divergenti. 8

Si noterà inoltre come tre sole linee siano sufficienti per indicare i quattro movimenti della battuta.

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dei movimenti con curve fumose e poco comprensibili, nelle quali il legittimo pathos finisce inevitabilmente per offuscare la comunicativa del direttore.

Con la Fig. 14 si vuole intendere, ovviamente solo in modo indicativo, che il gesto interno al cerchio piccolo C può essere usato per indicare un piano, quello interno al cerchio B per un mezzoforte e quello interno ad A per un forte. Indicativamente – dicevamo - poiché sappiamo come la concertazione più efficace sia quella che deriva da una comunicazione più che gestuale, da una trasmissione delle idee musicali dal direttore all’esecutore che sublima il semplice muovere un braccio, che si nutre di sguardi, di complicità, di intelligenza musicale, di sensibilità esecutiva…

NB: Il presente articolo costituisce un breve estratto e una anticipazione di un libro sulla direzione del coro che sarà pubblicato in seguito dall’autore.

Quali sono i pregi della moderna tecnica gestuale? Tutti quelli che nella tecnica classica ne costituivano i difetti, e che adesso si sono trasformati in vantaggi. 11 E poi basta sperimentarla per capire quanto diventi facile, diretta ed efficace la trasmissione del pensiero musicale dal direttore verso l’esecutore.12 Per concludere, non è necessario specificare ancora che tutte le precedenti esemplificazioni grafiche, condotte inevitabilmente attraverso l’utilizzo di linee rette, debbano essere vivificate dal gesto del direttore che ne arricchirà i connotati, donando loro l’imprescindibile fluidità e la necessaria sinuosità. C’è però assolutamente da augurarsi di mantenere sempre sotto il massimo controllo il proprio gesto, per non incappare nel pericolo opposto: quello di annebbiare e confondere la chiarezza 11

Cfr. WALTER MARZILLI, I difetti, op. cit..

(*) Docente di Direzione di Coro nel biennio specialistico del Conservatorio F. Cantelli di Novara e di Vocalità Corale presso il Conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria. Insegna Psicoacustica presso l’Accademia Mediterranea di Arti-terapia di Salerno, specializzazione in Musicoterapia, e Direzione di Coro presso la Scuola Superiore per direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo. È professore Ordinario di Direzione Corale presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.

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In questo caso si intende un esecutore impersonale, che può anche essere una formazione orchestrale, con la quale questa tecnica, con l’aiuto della bacchetta, dà risultati ancora più qualificati e specifici. Non è invece adatta per i movimenti strumentali veloci di presto, per i quali non è consigliabile adottare il gesto moderno con le suddivisioni. In questi casi ci dovremo fermare sui punti esterni della struttura gestuale, senza passare di nuovo dal PF.

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Farcoro – didattica

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Il metodo funzionale della voce di Marco Gemmani (*)

modo di fare musica, impara a conoscere il proprio corpo, ha una nuova capacità di percezione esterna ed interna, ha un nuovo modo di sentire, ha un nuovo modo di udire e, in definitiva, cambia in profondità e muta il suo modo di rapportarsi con il presente. Questo perché il canto è già in sé, prima che una forma di espressione artistica, una modalità di rapporto con la realtà interna ed esterna a noi. Ciò che avviene nella laringe, nell’atto della fonazione è un qualcosa di profondamente misterioso. Anche dal punto di vista scientifico nessuno ha ancora capito veramente cosa accada effettivamente in quel punto ed in quel momento. Certo è che un realtà così ineffabile come l’aria che ci avvolge dentro e fuori, improvvisamente diventa suono, cioè energia (sonora, ma non solo) e quest’energia è in grado di viaggiare portando con sé tutta una serie di informazioni che ci riguardano, che ci appartengono e che ci descrivono. Il Metodo Funzionale inizia a dirci qualcosa proprio qui, a questo punto, nel momento in cui cominciamo ad accorgerci di questo.

Il Metodo Funzionale della Voce nasce in Germania, agli inizi degli anni ’80, come via sperimentale per un nuovo approccio al canto e al suo insegnamento. Inizialmente si chiamava Training Funzionale della Voce, ma in seguito, come spesso accade per le cose efficaci, il nome fu copiato da altri e brevettato, per cui si dovette coniare il nuovo motto che tuttora connota questa realtà. Anche se si chiama metodo, ciò non deve far pensare ad un percorso scolastico basato su gradi di apprendimento e su ricette preconfezionate capaci di soddisfare un po’ tutti. Approfondendone la conoscenza, ci si rende conto che il Metodo Funzionale è una realtà molto complessa che sfugge a molti tentativi di definizione. Non lo si può definire un metodo di insegnamento di canto, anche se chiunque, cantante o no, incontra in esso uno strumento, spesso straordinario, di crescita della propria voce. Non lo si può definire una nuova tecnica corporea anche se, di fatto, la sua applicazione ha effetti molto benefici sulla psiche e sul corpo della persona. Non lo si può definire una nuova medicina anche se i suoi effetti terapeutici hanno del prodigioso. Non lo si può definire una meditazione anche se, l’ascesi che richiede, porta a nuove consapevolezze inimmaginabili. Non lo si può definire un nuovo metodo di ricerca scientifica anche se ne ha tutte le caratteristiche. Chi segue questo Metodo incontra un nuovo modo di rapportarsi con la voce, conosce un nuovo

Breve storia del Metodo Il Metodo funzionale ha una storia molto breve ma intensa. Nasce in un ambiente in cui la sperimentazione e la ricerca sono di casa. Ideatore e principale propulsore del metodo è Gisela Rohmert, già insegnante di Canto alla Hochschule für Musik und Darstellende Kunst

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fisiche, se ne sondano tutte le proprietà e le analogie in natura, soprattutto nel mondo animale. Se ne studiano le implicazioni fisiologiche. Se ne cerca traccia nelle culture e nei miti a noi lontani.

di Francoforte, la quale, una volta andata in pensione, comincia a collaborare con il marito,

Vengono definiti i quattro parametri del canto: suono fondamentale, vocale, vibrato e formanti. Di ognuno di questi fattori vengono definite e analizzate tutte le possibili connessioni stabilendo una scala di importanza, verificando le priorità e le interconnessioni. Viene affrontato ogni singolo elemento dell’anatomia umana in rapporto a questi elementi e si fanno scoperte interessantissime nel campo della fisiologia. Ogni parte direttamente coinvolta con la fonazione (diaframma, sistema respiratorio, laringe, tratto vocale, lingua, cavità orale, cavità nasale) viene scandagliata minuziosamente scoprendo nuove funzionalità fino allora impensate. Nasce una ricerca anche su tutti gli aspetti anatomici più generali, come le varie tipologie di innervazione dei muscoli, i vari sistemi ricettivi, le varie catene muscolari e la ormai ben nota “catena dei diaframmi”, ovvero una serie di elementi anatomici trasversali che interagiscono fisicamente con il suono.

Walter Rohmert, all'Istituto di Ergonomia dell'Università di Darmstadt. Gli immediati risultati ottenuti li portano a fondare, nel 1982, l’Institut für Gesang und Instrumentalspiel (Istituto per il Canto e il suono strumentale) in un piccolo paese dell’Odenwald immerso nel verde a ridosso di uno splendido castello rinascimentale: Lichtenberg.

Si fa strada il concetto che, essendo l’emissione vocale, un’azione causata per il 90 % da muscoli involontari, abbia molto a che fare con l’inconscio e con tutto ciò che è ricezione e quindi sia poco interessata da ciò che è azione volontaria. Tutto ciò si scontra con i tradizionali metodi di canto i quali vanno quasi tutti nella direzione opposta. Il canto, secondo questi ultimi, è frutto di una grande spinta che va dal basso verso l’alto e il cantante è colui che padroneggia questa spinta ed è in grado di coinvolgere il pubblico con la sua potenza di suono. Al contrario il Metodo Funzionale mette

A partire da subito, il Metodo si sviluppa velocemente come un importante e innovativo approccio globale della persona verso il mondo acustico. Tutto ciò che vibra, oscilla, suona e che può essere in qualche modo percepito dall’uomo, è oggetto di approfondimento da parte del Metodo Funzionale. Iniziano le prime “scoperte”. Vengono definite e trovate le tre formanti del cantante di cui fino a quel momento le scuole tradizionali di canto avevano dato solo definizioni vaghe e parziali. Se ne scoprono le caratteristiche geometriche e

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dare lezioni a chiunque lo richieda. Le lezioni sono sempre individuali perché ognuno di noi ha un suo approccio unico e personale con il suono. Durante le lezioni, che difficilmente superano l’ora, si cantano alcune note, mai le stesse, in tessitura comoda. Il tutto per mettere a proprio agio il neofita. L’insegnante difficilmente inizia facendo sapere ciò che vuole insegnare, ma lascia che i primi suoni emessi gli comunichino quale è il passo in avanti che l’allievo può fare in quell’istante. Non lo spinge in quella direzione ma continua a fargli emettere suoni stimolandolo in una certa direzione che può essere connessa o meno con il passo da compiere e attende che l’allievo “scopra” le novità della propria voce e percepisca il proprio cambiamento come inaspettato e improvviso. L’esperienza della scoperta rimane molto più impressa nell’allievo rispetto a un miglioramento raggiunto con sforzi mirati. In secondo luogo, è importante che il tutto non rimanga a livello di impressione ma venga metabolizzato, venga percepito e interiorizzato in tutti i suoi aspetti e in tutte le proprie implicazioni altrimenti il miglioramento sparisce in poco tempo.

in crisi proprio questo concetto base: forza e potenza non sono direttamente proporzionali nel suono. Secondo una convinzione piuttosto provata a Lichtenberg, la massima potenza si può liberare solamente in un sistema fonatorio a bassa pressione. Fisiologicamente le corde vocali sviluppano le loro migliori potenzialità solo in condizioni di assenza di sforzo. Questo stato permette l’attivazione dei vari ricettori interni ed esterni i quali a loro volta mettono in grado di funzionare il nostro sistema “gamma”. In questo stato il suono emesso raggiunge qualità e quantità inaspettate. Contemporaneamente viene approfondita la fisiologia dell’orecchio per tentare di capire in quale modo esso percepisce il suono e quali sono le caratteristiche ideali vibratorie che meglio rispondono alle sue esigenze.

Il Metodo Funzionale All’istituto di Lichtenberg lo staff dei ricercatori compie continui passi in avanti e tutto ciò che viene ritrovato non rimane chiuso all’interno ma comincia a diffondersi. Le nuove affascinanti idee trovano terreno fertile dapprima in Germania ma presto anche in Italia. Già nel 1988 i primi italiani sono a Lichtenberg per conoscere questa nuova esperienza. Nasce un canale diretto dapprima con il Centro Musica Antica di Padova e, in seguito, con molte altre città della penisola. Viene messo a punto un modo di comunicare queste scoperte, un nuovo approccio all’evento suono-voce-canto sperimentato e vissuto a Lichtenberg. Sempre più persone si avvicinano a questa realtà e vogliono conoscere questo affascinante mondo appena nato. Proprio per questo nasce il Metodo Funzionale. Lo staff tedesco, capeggiato da Frau Rohmert, inizia a

Inizialmente gli insegnanti davano stimoli molti fisici, mettendo in crisi la stabilità e l’equilibrio statico dell’allievo ma in seguito hanno abbandonato questo sistema e sono passati a stimoli molto più raffinati, avendo sperimentato

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formazione è cominciato nel 1989 e i primi insegnanti certificati sono usciti nel 1992. Nello stesso anno è iniziato il primo corso di formazione per italiani che è terminato nel 1996. Da quel momento questi corsi si sono moltiplicati e il Metodo ha cominciato a circolare in modo piuttosto capillare anche in Francia e in altre nazioni, oltre che in Germania e in Italia. Gli insegnanti formati devono comunque mantenere un contatto con l’Istituto centrale di Lichtenberg se vogliono potersi definire insegnanti del Metodo. Questo è necessario per tenersi informati sui continui cambiamenti e sulle novità che crescono all’interno dell’Istituto. Se al principio erano principalmente i cantanti a rivolgersi a questo metodo oggi esistono corsi anche per logopedisti, pedagoghi del canto e della musica, strumentisti, attori, direttori, direttori di coro, insegnanti, musicoterapisti, fisioterapisti, fisiatri di ogni genere e più in generale per chiunque abbia a cuore la comunicazione di energia umana.

che già anche solo l’idea sensoriale dello stimolo produce quella instabilità che permette un nuovo orientamento dell’esperienza vocale, ovvero un’autoregolazione del suono stesso. Tutto questo richiede che l’allievo sia disponibile ad un cambiamento, ma questa disponibilità in genere abbonda in chi prende contatto con il Metodo Funzionale. Ultimamente si è presa decisamente la strada della fisicità. Si è abbandonata ogni interpretazione etica, spiritualistica e si guarda sempre più a ciò che accade fisicamente. Ciò potrebbe sembrare neopositivistico ma in realtà il corpo umano ha già in se una tale raffinatezza, che aggiungere letture non derivate direttamente dall’esperienza porta inevitabilmente ad una interpretazione incapace di sviluppare elementi utili e positivi. Parallelamente il Metodo si sviluppa e si dedica anche al mondo degli strumenti musicali. L’attuale direttore dell’istituto, il Prof. Martin Landzettel ha portato avanti le intuizioni del Metodo in ambito strumentale e, coinvolgendo la laringe dello strumentista nel fare musica, ha raggiunto risultati sorprendenti sia a livello di produzione del suono sia a livello di interpretazione della musica. Quest’ultimo aspetto del Metodo è particolarmente interessante per i musicisti perché apre nuovi orizzonti nel campo dell’espressività musicale superando stereotipi interpretativi sia della musica antica sia di quella moderna e anche di quella contemporanea.

L’Istituto è aperto a chiunque e non sono necessari requisiti particolari per accedervi. Chi vuole conoscere meglio il Metodo può prendere appuntamento con la segreteria dell’istituto e chiedere di assistere o anche di fare lezione con un insegnante interno. Alcuni insegnanti dello staff comunicano molto bene anche in lingua italiana mentre tutti gli altri parlano correntemente l’inglese oltre ovviamente al tedesco. Per chi volesse prendere contatti si consiglia di consultare il sito web dell’Istituto www.lichtenberger-institut.de

Il Metodo Funzionale oggi Oggi l’Istituto di Lichenberg, oltre alla sua instancabile ricerca, è decisamente proiettato nella formazione di insegnanti in grado di comunicare il Metodo. Il primo corso di

(*) Docente di Musica Corale e Direzione di Coro al Conservatorio di Musica “B. Marcello” di Venezia, Insegnante accreditato del Metodo Funzionale e Direttore della Cappella Marciana di Venezia.

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Farcoro – didattica

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I Registri Vocali nel Rinascimento di Andrea Angelini (*)

dai ragazzi, ma dagli uomini, che cantavano in falsetto quando era necessario. Un po’ alla volta, con il graduale espandersi della musica polifonica, si giunse ad una maggior definizione dei differenti timbri ed estensioni delle voci maschili. Sul finire del XV secolo, ad esempio, ci fu un rapido aumento di interesse verso la voce del basso, osservabile questo non solo nella composizione di linee separate per tale voce a guisa di fondamenta d’armonia per il contrappunto (il contratenor bassus) ma soprattutto nell'enfasi per le voci basse, a causa dei loro nuovi effetti sonori. La nomenclatura della voce pose l'accento sul prefisso greco “bari” (basso) producendo invenzioni come baricanor, baripsaltes, bariclamans, barisonans, baritonans. Compositori come Busnois, Pierre de La Rue e Ockeghem scrissero lavori che diedero risalto a ben due parti di basso al di sotto dei tenori; la “Missa Saxsonie” di Nicolas Champion (1526) ha una parte di basso e una per i baritoni. Non c’è da sorprendersi se Tinctoris definì Ockeghem come il più raffinato basso che egli avesse mai sentito. Questa moda manieristica sulle nuove tendenze riguardanti le parti gravi fu, tuttavia, di breve durata; le voci maschili per la polifonia sacra erano normalmente, nel tardo Rinascimento, Bassus, Tenor, Altus, (solitamente eseguita da tenori acuti) e Cantus o Discantus (generalmente cantato da falsettisti fino alla fine del XVI secolo).

Nella polifonia antica ha giocato un ruolo importante il cantare in falsetto, la cui tecnica fu probabilmente descritta molto tempo prima. Jerome di Moravia nel XIII secolo, nel trattato “Discantus positio vulgaris”, descrisse tre registri vocali: vox pectoris, vox guttoris, vox capitis (registri di petto, gola e testa). Fino al XIX secolo ogni accenno alla vox capitis (poi definita voce di testa) può essere preso come riferimento per il falsetto. La consapevolezza sulla distinzione dei registri vocali divenne più pronunciata dal tardo Medio Evo, allorquando l'estensione delle linee melodiche della polifonia, con particolare riguardo alla musica sacra che era cantata esclusivamente da voci maschili, cominciò ad espandersi. L'uso delle voci dei ragazzi per le parti alte è menzionato per la prima volta verso la fine del IX secolo, quando l'autore del testo “Scolica enchiriadis” permise che nell'esecuzione dell’organum “la voce più alta può essere sempre sostenuta dalle voci dei ragazzi”. L'evidenza delle immagini ci sembra

Pochi cantori prima della seconda metà del XVI secolo sembrano essere stati famosi come solisti. Il cantore, che era solamente un interprete della musica di altri compositori, non viene mai menzionato negli scritti antichi e i primi cantori i cui nomi sono conosciuti furono trovatori e trovieri dall'XI al XIII secolo, per una tradizione che voleva poeta, compositore e cantore come usualmente una sola persona. Il quasi contemporaneo Minnesänger era visto come aristocratico cantore e come poeta e

indicare, tuttavia, che nei secoli a seguire le linee acute della polifonia erano più spesso eseguite non

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suonare strumenti presso le corti europee, fino al XVI secolo, erano cortigiane, ed è probabilmente una delle ragioni per cui è difficile rintracciare la loro presenza attraverso i registri finanziari dell’epoca o altra documentazione erudita. All'inizio del XVI secolo, tuttavia, un numero di donne di nobile rango divenne seriamente interessato all’arte musicale. Un notevole esempio fu Isabella d'Este,

compositore del repertorio che eseguiva. Il compositore-cantore continuò a perdurare nello sviluppo della musica dalla fine del XIV secolo all'inizio del secolo XVI nei centri culturali in Francia, Paesi Bassi e Italia. Philippe de Vitry fu appellato, in un trattato anonimo del XIV secolo (una volta attribuito a Theodoricus de Campo), come il “fiore e gemma dei cantori” e Paolo da Firenze fu probabilmente solo uno dei tanti compositori che erano anche cantori. Dufay, La Rue, Josquin, Obrecht, Agricola e altri, che spesero la loro carriera presso varie corti europee, agirono sia come compositori che come cantori. Dalla seconda metà del XV secolo, non appena alcune corti italiane come Napoli, Milano, Firenze cominciarono a emulare il coro del Papa, ci fu grande richiesta dei cantori fiamminghi, e per la prima volta cantori di un'altra nazionalità furono richiesti per esibirsi in un Paese diverso dal proprio. Verso la metà del XVI secolo cominciarono ad apparire trattati di musica che rivelavano un nuovo approccio all’arte del cantare; stiamo parlando del “Fontegara” di Ganassi dal Fontego (1535), del “Trattado de glosas” di Diego Ortiz (1553) e del “Compendium musices” di Adrianus Petit Coclico (1552). Cantare divenne sempre più connesso con l'arte ornamentale e, sotto l'influenza della pratica strumentale, molti di questi trattati furono indirizzati principalmente a suonatori di flauto, viola da gamba, ecc... Sebbene gli ornamenti potevano essere applicati ai mottetti e ad altre composizioni sacre, i cantori utilizzarono questa nuova arte principalmente nella musica profana ed in particolare nei madrigali. L’innovazione più significativa nella storia del canto durante la seconda metà del XVI secolo fu l'apparizione della voce femminile (specialmente come soprano) sia come importante esecutrice che come fattore influenzale nella composizione. Vi sono abbondanti prove dal Medio Evo in avanti della presenza di voci femminili nell'esecuzione di musica profana, ma la loro partecipazione al canto non si riflette in alcuna richiesta obbligatoria per tale voce nelle composizioni del periodo. Probabilmente la maggior parte delle donne dedite al canto o a

Marchesa di Mantova (1474-1539), appassionata mecenate delle arti in generale e della musica in particolare, collezionista di strumenti, liutista, e cantante. Nella sua epoca tutta la musica profana (frottole e primi madrigali) utilizzava estensioni vocali confortevoli per voci maschili, con le parti di falsetto che non erano mai al di sopra del RE’’. I madrigali delle decadi seguenti riflettono la “scoperta” della voce di soprano. Nella metà del XVI secolo il compositore ferrarese Nicola Vicentino operò una distinzione tra composizioni “a voce mutata” (senza voci femminili) e “a voce piena” (con voci miste) e scrisse madrigali che portarono la voce di soprano fino al SOL’’. Questo sviluppo, avvenuto in varie corti del nord Italia così come a Roma, raggiunse il suo apice in Ferrara durante il regno di Alfonso II d'Este che formò un ensemble di virtuosi, diventato poi il famoso “Concerto delle Dame”, che includeva Lucrezia Bendidio, Tarquinia Molza e Laura Peverara (a quest'ultima furono

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faceva nella musica strumentale. Nel suo “Nuove musiche e nuova maniera di scriverla” (1614) quest’arte è segnata in ogni dettaglio. Questo stile riguardava non solo l'elaborata ornamentazione ma anche l'uso estensivo dell’inflessione dinamica, della declamazione e del portamento. Elemento importante per il futuro della musica vocale, lo stile monodico pose grande attenzione alla libera declamazione ritmica del testo coniando il termine “quasi favellando in armonia”. Questo manierismo, primo gradino verso l'invenzione dello “stile recitativo” fu per due secoli al servizio di un'indispensabile parte del linguaggio musicale che si può trovare nella cantata, nell'oratorio, e nell'opera. Lo “stile recitativo” è il più fulgido esempio di prassi esecutiva nell'arte del canto che influisce sulla struttura della musica e sull'intero approccio alla composizione vocale.

dedicati un notevole numero di madrigali). Questo nuovo suono eseguito da un ensemble di voci alte, per lo più femminili, è usato, per esempio, nel primo libro dei madrigali di Monteverdi (1587), dove, di fatto, il basso entra solo, quale stratagemma musicale, dopo otto o più battute di pausa.

Il periodo tra il 1575 e il 1625 testimonia due preponderanti sviluppi nella storia del canto: la nascita del castrato e l'invenzione dell'opera. La voce del castrato ha la sua prima significativa apparizione nei cori da chiesa. L’impiego della voce femminile del soprano nella musica profana creò una nuova ed entusiasmante sonorità che la Chiesa contro riformata non poteva più farne a meno. Con la proibizione della partecipazione femminile nella musica da chiesa, solo il castrato avrebbe potuto provvedere al suono richiesto e così gli scrupoli morali riguardo la castrazione furono messi da parte. La voce del castrato fu velocemente scoperta dai compositori dell'opera, tuttavia, chi fece il miglior uso di queste speciali qualità furono i compositori della musica sacra cattolica. I castrati sopravvissero in chiesa fino alla fine del XX secolo. Nel 1913 il castrato Alessandro Moreschi si ritirò dal ruolo di direttore della Cappella Sistina; di lui rimangono numerose registrazioni fatte all'inizio del secolo in quanto morì nel 1922.

Il nuovo stile portò con sé un forte elemento di virtuosismo che interessò tutti i cantori, dai bassi alle voci più alte. Il rovescio della medaglia fu che spesso gli ornamenti improvvisati furono estremi e di cattivo gusto, e perciò soggetti ad essere criticati. Giovanni de' Bardi, nel suo discorso sulla musica antica e sul buon modo di cantare (1578) si rivolse a Caccini lamentandosi dei cantori che “con i loro disordinati passaggi rovinavano un madrigale in un modo tale che neanche il compositore stesso lo avrebbe riconosciuto come sua personale creazione”. Una simile lamentela fu espressa da Pietro Cerone, nel suo “El melopeo y maestro” (1613). Alcuni compositori, come Giaches De Wert nell'ottavo, nono, decimo libro dei madrigali composti tra il 1586 e il 1591, cominciarono a scrivere i virtuosismi all’interno della musica stessa, sperando di abolire la libera improvvisazione. La passione per l'ornamentazione vocale trovò uno sfogo più adatto nella monodia. L'esponente per eccellenza di questo nuovo genere fu Giulio Caccini (1554-1618) che nella sua prefazione a “Le nuove musiche” descrisse un elaborato stile di ornamentazione vocale che, egli spiega, era distinta e diversa dagli usi che se ne

(Ricerca effettuata con ausilio del New Grove Dictionary of Music)

(*) Direttore di FARCORO, dell’International Choral Bulletin dell’IFCM, dell’Ensemble Vocale “Musicaficta” e del Coro Polifonico “Carla Amori” di Rimini.

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Farcoro – esperienze

Itinerari di Musica Corale a Bologna XX Edizione organizzata e curata dall’AERCO di Puccio Pucci (*)

elementi di una cultura minore, ha sicuramente creato un solco ancora più profondo tra le vecchie e le nuove generazioni, sottovalutando i profondi valori morali e culturali che da essi possono essere tratti.

La ventesima edizione della Rassegna musicale che l’AERCO organizza, nell’ambito delle iniziative culturali promosse nella settimana della “Festa della Storia”, è stata dedicata in particolar modo al settore della musica di ispirazione popolare. “Itinerari” ha assunto quest’anno anche un significato certamente molto attinente al tema che il Dipartimento di Studi Storici dell’Ateneo Bolognese ha proposto per celebrare la Festa: “Oltre i confini, i linguaggi, l’eredità della Storia”.

La Storia invece, che ha puntualmente registrato queste “cose dimenticate”, non si è limitata ad essere testimone muta e archiviatrice fredda di eventi, come può fare un moderno strumento informatico, ma ha permesso a ricercatori e studiosi di esplorare ricordi e sentimenti, che restavano a volte nascosti soltanto nella memoria delle persone. Ha consentito quindi di conservare linguaggi, esperienze e tradizioni popolari e di ricavare da esse anche l’aspetto scientifico e morale, stimolandone la conoscenza e lo studio.

Nel campo delle tradizioni popolari abbiamo dovuto osservare, a volte con rammarico, che la cultura ufficiale ed alcuni suoi uomini rappresentativi non hanno ritenuto sempre di valorizzare in modo importante questo settore di nicchia, che non dovrebbe essere assolutamente sottovalutato per gli alti contenuti che esso comprende.

Ecco allora la proposta dell’AERCO per questa ventesima edizione della Rassegna Musicale Itinerari: offrire un percorso importante nel recupero di tradizione e di pezzi autentici di vita.

E ciò è avvenuto in momenti in cui lo spettacolo dal vivo, se da un lato pullula di molteplici esperienze multiculturali e multietniche, dall’altro sembra essersi quasi dimenticato delle nostre radici, anch’esse così fervide di storia e dinamicità culturale. Molteplici settori, da quello musicale e drammaturgico, a quello dei lavori ormai defunzionalizzati e degli strumenti di lavoro non più in uso, sono spesso confinati, per così dire, solo all’interesse museale o di archeologia industriale; anche nel campo linguistico, quale è quello dei dialetti, l’avere considerato tutto ciò

Sono stati infatti presentati due tra i più interessanti complessi corali che hanno da sempre dedicato la loro attenzione, in primo luogo alla ricerca sul territorio delle genuine espressioni musicali della nostra gente; quindi, attraverso l’opera musicale dei Maestri Vacchi e Monica, alla rielaborazione in forma corale a cappella dei più interessanti brani raccolti, per poi riproporli al pubblico.

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Si tratta di un modo diverso di fare educazione musicale che consente di consegnare alle attuali generazioni i sentimenti di chi un tempo, non avendo Storia, raccontava le proprie Storie semplicemente cantando, magari a veglia, nelle stalle durante l’inverno. Questo momento musicale introduttivo offerto dai Cori Stelutis di Bologna diretto da Silvia Vacchi e dal Coro Montecastello di Parma diretto da Giacomo Monica ha costituito l’accoglienza musicale dell’Emilia Romagna ad un Coro ospite, che merita la più attenta partecipazione per indubbie qualità artistiche, ma anche per aver vissuto una tragica esperienza il 6 aprile scorso.

La Rassegna si è svolta in un’unica serata Sabato 24 ottobre alle ore 21 in Aula Absidale S. Lucia.

Festa della Storia A cura del Dipartimento di Storia dell’Università di Bologna

Itinerari di Musica Corale XX Edizione Rassegna Musicale dell’Associazione Emiliano Romagnola Cori

Bologna 24 ottobre 2009 Aula Absidale S. Lucia ore 21

Ospite d’onore della serata è stato infatti il Coro della Portella di Paganica, diretto da Vincenzo Vivio, che nel sisma che ha sconvolto l’Abruzzo ha pianto la morte di un corista e della sua famiglia e ha visto totalmente distrutta la Chiesa trecentesca, in cui la loro attività corale era nata e si svolgeva insieme a quella della intera coralità della Regione abruzzese.

Coro Stelutis di Bologna Diretto da Silvia Vacchi

Coro Montecastello di Parma Diretto da Giacomo Monica

Coro della Portella di Paganica (AQ) Diretto da Vincenzo Vivio

Questa Rassegna ha voluto così superare il confine luttuoso che la Storia dell’evento del terremoto ci ha lasciato, per consentire alla Storia di scrivere e registrare un futuro evento di nuova vita.

(*) Segretario dell’AERCO e Presidente del Coro Stelutis di Bologna.

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Farcoro – esperienze 2

Riflessioni: La Vocalità antica di Mauro Uberti (*)

non di questa o quell'epoca. La problematica psicocustica del vibrato è poi così complessa che fare affermazioni in materia senza un minimo di conoscenze scientifiche è piuttosto pericoloso.

Il recupero della musica antica e della sua prassi è incominciato con gli strumenti, mentre al problema della vocalità ci si è avvicinati molto più tardi. Non dimentichiamo che, mentre ai tempi in cui la musica antica era moderna gli strumenti erano tributari della voce, oggi avviene esattamente il contrario: la voce segue la prassi strumentale e il fatto si riflette anche nell'esecuzione della musica antica. È comunque mancata, in tutti questi anni, una seria ricerca sulla vocalità per un equivoco: si è creduto, infatti, che fosse sufficiente allontanarsi dalla prassi romantica e verista per fare vocalità antica, ma ci si è dimenticati del fatto che ogni epoca ha le sue radici in quelle che la precedono. Ecco allora, ad esempio la "guerra del vibrato".

Superata questa fase che io definisco "calvinista", di reazione a tutto ciò che potesse avere un qualche riferimento con Romanticismo e Verismo, si è arrivati ad accettare un tipo di vocalità che avesse almeno caratteri liederistici. Di fatto, la pratica attuale del canto antico deriva più dalla tradizione liederistica che da un ricerca autentica sulla vocalità preromantica. La ricerca dovrebbe consistere, ad esempio, nella disamina dei caratteri dell’espressione verbale nelle diverse culture ed epoche. E a questo punto il discorso si fa ampio. Si dimentica intanto che le due grandi scuole vocali, prima che si formasse quella tedesca, furono quella italiana e quella francese, ciascuna delle quali aveva caratteristiche legate alla propria cultura e alla propria lingua. Pensiamo al problema della prosodia. Nell’italiano abbiamo un’articolazione in frasi principali e secondarie, con un accento principale che, di solito, cade sulla penultima sillaba della frase mentre quelli secondari lo precedono con una intensità molto variabile. Il periodo ha quindi una dinamica assai varia e un andamento morbidamente ondulato. Il francese, viceversa,

Meccanismo del vibrato: a ogni aumento di pressione la trachea si allunga e la laringe risale. La cartilagine tiroide, vincolata allo sterno dai muscoli sterno-tiroidei, si inclina in avanti e in basso stirando le corde vocali e modulandone la frequenza di vibrazione.

Sembrava che bastasse cantare con voce fissa per realizzare la prassi antica, senza capire, fra l’altro, che il vibrato è una componente fondamentale dell’espressione vocale umana e

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si trovano in coincidenza degli aggettivi, mentre quasi tutte, per non dire tutte, le esecuzioni moderne sottolineano i sostantivi seguendo la logica espressiva d’oggi. La conseguenza è che tutta l'esecuzione, anche se presentata come filologica, prende i caratteri di un corale tedesco invece che di un madrigale italiano.

non distingue fra accenti principali e accenti secondari. Nella lingua tedesca, come in quella italiana, si hanno accenti principali e secondari, ma l’accentuazione viene ottenuta sottolineando le parole importanti col risultato, al nostro orecchio, di una prosodia "puntuta", che calchiamo quando vogliamo farne la caricatura. Il merito del recupero della vocalità italiana antica compete certamente agli inglesi. Il guaio è che essi cantano usando spontaneamente la prosodia della propria lingua, che è affatto diversa dalle altre tre e i risultati sconfinano sovente nel grottesco. Non solo: bisogna ricordare che la prosodia cambia anche nel tempo, per cui c’è una grossa differenza tra l'affrontare la Rappresentatione di Anima, et di Corpo di Emilio de' Cavalieri o un melodramma di Vivaldi.

Purtroppo non esiste una corretta scuola vocale per la musica antica. E dirò di più: è anche ferma la ricerca su tutta la musica antica, perché, dopo aver scoperto gli aspetti più superficiali del problema – intendendoli come quelli che, stando alla superficie, potevano essere più facilmente coltivati – ci si è accontentati e si è smesso di ricercare. Si sono capite fondamentalmente due cose: la prima, che l’espressività moderna è caratterizzata da una tensione continua (carattere che ha in comune con tutte le altre arti) mentre quella antica presenta un'articolazione che viene progressivamente riducendosi nel tempo per essere sostituita da altre componenti espressive. Di conseguenza si è compresa la necessità del recupero della variabilità, dell’ineguaglianza, fattori senza i quali la musica antica rimane poco comprensibile e quindi noiosa. In secondo luogo, si è capito che le musiche antiche erano da abbellire, ma è mancata la ricerca sulla funzione rappresentativa degli abbellimenti e dei loro codici espressivi. L’esecuzione delle diminuzioni, soprattutto da parte dei cantanti, risponde quasi sempre a una schematizzazione elementare e ripetitiva, che non tiene conto, ad esempio, di quanto si potrebbe ricavare dall’analisi sistematica del rapporto fra parole e musica nei casi, che sono infiniti, in cui le diminuzioni sono scritte.

Un esempio dei problemi legati alla prosodia: se consideriamo il caso dei madrigali di Monteverdi, ad esempio l’inizio della Sestina composta in morte di Caterinuccia Martinelli ("Incenerite spoglie, avara tomba / fatta del mio bel Sol terreno cielo", ecc.), vediamo in modo inequivocabile che le esclamazioni e le sottolineature del testo, date dalle note puntate,

Per eseguire correttamente la musica antica occorrerebbe indagare, per esempio, su quanto c’è di idiomatico nelle espressioni musicali

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variabilità fonetica della voce con la conseguenza che gioia e dolore vengono espresse con lo stesso colore vocale; le voci femminili rispettano certamente la gamma originale della scrittura, ma tradiscono il personaggio. Io, di fronte ad una donna che sul palcoscenico manifesta sentimenti d’amore per un’altra donna, rimango sempre perplesso. Allora, tradimento per tradimento, anche se so di scandalizzare molti, tolti i casi in cui esigenze concertanti non impongano di impiegare voci acute – e allora opto per le donne in quanto più espressive – preferisco una terza soluzione: utilizzare voci maschili di classe corrispondente. So benissimo che Haendel a Londra, non avendo a disposizione castrati, utilizzava voci femminili; ma la situazione socio-culturale era diversa dalla nostra e, per quanto mi riguarda, credo che a teatro siano fondamentali l'espressività della parola cantata e la credibilità del personaggio, per cui preferisco le voci maschili e quelle femminili al falsetto. Quando si tratterà di cantare le arie delle Remarques curieuses di Benigne de Bacilly sarà tutto un altro discorso.

vocali strumentali, in quanto la voce e ciascuno strumento hanno modi espressivi propri, che, oltre a tutto, cambiano a seconda delle culture e delle epoche. Sarebbe opportuno approfondire la ricerca sulle culture nazionali (culture in senso antropologico), che nel passato erano molto diverse fra loro. Nel caso della musica vocale dovremmo anche considerare i guasti provocati dal successo commerciale odierno dei falsettisti, che hanno fatto certamente parte della cultura francese, ma che sono sempre stati estranei a quella italiana in quanto da noi, e non c’è da vantarsene, si preferiva castrar bambini in omaggio al santo principio paolino e papalino: "mulieres in ecclesiis taceant".

Alessandro Moreschi (1858-1922): l’ultimo dei castrati

A proposito di parti scritte per castrati si presenta il problema di optare per esecuzioni moderne con falsettisti o quelle con voci femminili. Certo, sia l’impiego di falsettisti che di voce femminili implicano un tradimento: i falsettisti hanno gravi limiti espressivi perché la tecnica del falsetto riduce drasticamente la

(*) Già Docente ai Conservatori di Musica di Pesaro, Parma e Torino; Ricercatore e Direttore di Coro.

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Farcoro – esperienze

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Morten Lauridsen Intervista ad uno dei più apprezzati compositori dei nostri tempi di Andrea Angelini (*) ispirazione compositiva dai Madrigali di Monteverdi, Gesualdo o altri compositori italiani del Rinascimento. Tra queste sfaccettature vi sono un linguaggio cromatico armonico, (spesso spinoso), un intricato contrappunto, parole “dipinte”, variazioni improvvise ed audaci, un uso esteso di dissonanze e tonalità non armoniche e così via... Il mio ciclo di composizioni sui poemi astratti di Lorca, Cuatro Canciones per voce,

Morten Lauridsen è considerato uno dei più interessanti compositori americani contemporanei. I suoi brani figurano nel repertorio di molti cori e si caratterizzano per la cantabilità delle melodie e per l’aderenza ai testi. Il maestro conduce anche, impegni permettendo, una vita a contatto con la natura, nei boschi al confine tra gli Stati Uniti e il Canada. Non si concede facilmente ai giornalisti: la Redazione di FARCORO è stata fortunata e si sente onorata nel pubblicare questa intervista. AA: Maestro Lauridsen, lei è nato negli Stati Uniti, ma le sue origini provengono dall'Europa e precisamente dalla Danimarca. Qualche volta la musica corale da lei composta è stata paragonata allo stile di Duruflé o Fauré (Lux Aeterna) o a quella di Monteverdi o Gesualdo (Six Fire Songs on Italian Renaissance Poems). Cosa traspare nelle sue composizioni della tradizione musicale europea?

clarinetto, violoncello e pianoforte, è interamente atonale mentre Les Chansons des Roses su poemi francesi di Rilke contiene materiale stilistico che si riferisce alla musica degli anni venti delle chansons francesi. Entrambi i cicli di brani sul tema dell'Inverno basati sui poemi di Robert Graves e Howard Moss sono più neoclassici in linea con i componimenti e ciascuno dei Notturni, su testi di Rilke, Neruda, Agee, rimandano al contenuto, allo stile poetico, al linguaggio ed alla nazionalità dei poeti. Quindi, ciascuno dei miei cicli, su testi in cinque differenti linguaggi,

ML: Al centro del mio lavoro ci sono sette cicli vocali, brani a più movimenti basati su un tema poetico o più spesso su un poeta o sulla sorgente del testo. Il materiale musicale per ogni ciclo – armonie, melodie, ritmi, forme, riferimenti storici – è designato ad accompagnarsi armonicamente a quello dei testi. Il Lux Aeterna, basato su testi sacri in Latino, è tutto centrato sul tema della Luce, con rifermento caratteristico alla polifonia del Rinascimento (principalmente a quella di Josquin e Palestrina). I Madrigali “Six Fire Songs on Reinassance Italian Poems” prendono la loro

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parte selezionata in quando preferisco lavorare senza un termine di scadenza. Durante i sei anni come Compositore per la Los Angeles Master Chorale ho composto lavori progettati per il suo Direttore, il Maestro Paul Salamunovich, una autorità nel campo della liturgia Latina e della Musica Rinascimentale. I brani Lux Aeterna, O Magnum Mysterium e Ave Maria, incisi da Paul e dalla Los Angeles Master Chorale, sono inseriti in un CD che ha ricevuto la menzione dal premio Grammy e che ha stabilito un record di vendite. Lo stesso per le MidWinter Songs e per le Chancons des Roses. Stephen Layton assieme alla Britten Sinfonia e al Coro Polyphony hanno registrato due CD di successo, Lauridsen-Lux Aeterna e, più recentemente Lauridsen-Nocturnes (entrambi per l’etichetta Hyperion).

è abbastanza differente l’uno dall'altro, essendo attentamente progettati intorno al contenuto poetico. AA: Mi sembra di capire che nella sua musica il testo rappresenti un punto focale, un valore sostanziale. La scelta del testo è sempre venuta prima, o qualche volta non è accaduto così? ML: La scelta del testo è cruciale per me. Io leggo poesie ogni giorno e comincio sempre ogni mio intervento all'università leggendo un testo poetico. Non inizio mai una composizione prima di aver scelto il testo. Scelgo testi dei maggiori poeti che trattano di temi universali, sia direttamente che attraverso simbolismi. Il brano Lux Aeterna è centrato sul simbolo della “luce”, approfondito a livello spirituale, artistico, intellettuale. Composto nel mentre la malattia terminale conduceva mia madre alla morte ho volto la mia attenzione verso testi sacri eterni che personalmente trovavo molto confortanti, rassicuranti e pieni di ispirazione. L'inverno è il mio tema preferito in quando abbonda di simbolismi - luce e buio, morte e rinascita, freddo e caldo. I Notturni sono basati su testi di tre poeti aventi tre linguaggi diversi. Sia Les Chansons des Roses che i Madrigali hanno come tema centrale l'amore (ma in modi molto contrastanti). La poesia ci eleva ed io nutro una profonda ammirazione per coloro che scrivono testi poetici.

AA: Per concludere, Maestro Lauridsen, ringraziandola per il tempo che ci ha dedicato, cosa pensa che dovrebbe fare un Governo per sostenere le centinaia di cori amatoriali che si cimentano in questa superba arte? ML: Penso che i Governi europei siano più disponibili nel sostenere la attività artistiche rispetto all'esperienza che viviamo noi negli Stati Uniti, sebbene il National Endowment per la attività artistiche abbia recentemente finanziato un numero di innovativi programmi corali che riguardano cori sia professionisti che amatoriali. Naturalmente io auspicherei l'aumento di finanziamenti per tutti i tipi di arte da parte dei Governi di ogni Paese.

AA: Maestro Lauridsen può raccontarci le motivazioni che animano la sua creatività? Come nasce un nuovo lavoro: dalla sollecitazione di un Direttore di coro, su commissione di qualche Istituto Musicale, come risposta ad una necessità interiore?

(*) Direttore di FARCORO, dell’International Choral Bulletin dell’IFCM, dell’Ensemble Vocale “Musicaficta” e del Coro Polifonico “Carla Amori” di Rimini.

ML: Ho avuto più di trecento richieste di commissioni e accetto solamente una piccola

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sue opere sono state inserite in centinaia di CDs, tre dei quali hanno ricevuto la “Grammy nomination”. I suoi dischi sono pubblicati da Peermusic (New York – Amburgo) e da Faber Music (Londra).

Morten Lauridsen, compositore e direttore di coro di origini danesi ma nato a Colfax (Stati Uniti d’America) il 27 Febbraio 1943, ha studiato e si è perfezionato negli Stati Uniti frequentando il rinomato Whitman College e la University of Southern California dove si è specializzato in composizione. E’ stato compositore in carica presso la Los Angeles Master Chorale dal 1994 al 2001 e professore di composizione all’Università della California, Thornton School of Music, per oltre trent’anni.

Destinatario di tanti premi, borse di studio e commissioni, Morten Lauridsen è stato alla guida del Dipartimento di Composizione dell’Università della California, Thornton School of Music, dal 1990 al 2002 ed è, attualmente, emerito Professore di Composizione. Nel 2006 è stato nominato “American Choral Master” e nel 2007 ha ricevuto la “Medaglia Nazionale per le Arti” dal Presidente

La sua musica occupa un ruolo dominante nella produzione vocale del XX Secolo. I suoi sette Cicli Vocali – Les Chancons des Roses (Rilke), MidWinter Songs (Graves), Cuatro Canciones (Lorca), A Winter Come (Moss), Madrigali: Six Fire Songs on Renaissance Italian Poems, Nocturnes e Lux Aeterna – nonché la serie di mottetti sacri a cappella (O Magnum Mysterium, Ave Maria, O Nata Lux, Ubi Caritas et Amor e Ave Dulcissima Maria) sono regolarmente portati in concerto dai migliori Ensemble e Cori dovunque nel mondo. Gli spartiti di O Magnum Mysterium, Dirait-on (da Les Chancones des Roses) e O Nata Lux (dal Lux Aeterna) hanno battuto ogni record di vendita della Casa Editrice Theodore Presser, in attività dal 1783. Il musicologo e direttore Nick Strimple, trattando della musica sacra di Lauridsen nel suo libro “La musica corale nel Ventesimo Secolo” descrive il compositore americano come “l’unico nella storia della musica americana per coro che può essere chiamato mistico; i suoi lavori dall’atmosfera serena contengono un inafferrabile ed indefinibile ingrediente che lascia l’ascoltatore con l’impressione di avere avuto risposta a tutte le domande…. Dal 1993 la musica di Lauridsen è cresciuta di popolarità a livello internazionale e verso la fine del secolo ha superato Randall Thompson come il più eseguito compositore americano di musica corale. Le

Bush in una cerimonia alla Casa Bianca con la seguente motivazione “per le sue magnifiche composizioni corali che uniscono bellezza, forza e profondità spirituale e che hanno appassionato gli ascoltatori in tutto il mondo”. La Medaglia Nazionale per le Arti è il massimo riconoscimento concesso dal Governo Americano agli artisti e ai mecenati delle arti.

Grazie alla cortesia del Compositore è possibile ascoltare la versione intera di “O Magnum Mysterium” collegandosi a questo link: http://online.wsj.com/article/SB123516723329736303.html

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Farcoro – composizioni

Al niño Jesús Canto natalizio per coro femminile di Marialuisa Balza

nell’amor divino che desidero morire abbracciata alle tue fiamme o bambino maliardo.

Analisi poetico-musicale Il testo di Al niño Jesús è stato scritto dalle suore Cistercensi del Monastero di Santa Maria la Real da las Huelgas di Valladolid e pubblicato su “La voz del silenzio, poesía monástica femenina del siglo XX” edita da Biblioteca de Autores Cristianos. Ecco la traduzione del testo:

Analisi formale Il brano fa parte della raccolta Tres nanas (2009) per coro femminile a 5 voci ed è una pastorale in Sol dorico suddivisa in 4 parti AB-B1-A1. La prima parte (batt. 1-26) può essere suddivisa, a sua volta, in 2 periodi musicali batt. 1-11; batt.12-22, a cui segue una coda batt. 2326. Il primo periodo anch’esso è divisibile in due parti, la prima su pedale di tonica (Sol) al contralto batt. 1-7, la seconda su pedale di dominante (Re) al soprano batt. 6-11. A batt. 12 il tono di ninna nanna è interrotto dall’esclamazione Ay con tu cielo! e musicalmente da una cadenza evitata che introduce un nuovo disegno musicale di due battute, che viene ripetuto in progressione una terza sotto (batt. 12-15). Si tratta di una piccola modulazione perché poi a batt. 19 si ritorna su pedale di dominante (Re) sul quale si dispiegano le altre voci giocando sull’ambiguità modale della scala naturale, armonica e melodica di Sol minore. Segue la coda con carattere ritmico, come ad imitare il suono e il ritmo delle nacchere. La seconda parte (batt. 27-43) si può suddividere in due parti, da batt. 27 al battere di 36, e da batt. 36 a 43. Il tono di base rimane quello di Sol, ma il Si naturale crea per un attimo

Dormi, dormi, mia Vita, dormi e non piangere, io cullerò la tua culla con le mie canzoni, dormi, che desidero, che addormentato sogni… Oh, cielo! Hai freddo, Amor mio, tra codeste paglie? Ti farò qui un letto, dentro all’anima. Vieni, Gesù mio! Qui starai bene, non fa freddo. Già si è addormentato il Bambinello. Guardalo, sospira, le braccine allunga, mia dolce Vita; sorride e piange… taci! Che non si svegli! Sta sognando ora. Tu che sei venuto al mondo a portare il fuoco, fammi bruciare 27


in organo con il massimo dei voti e la lode e la Licenza in Composizione con i maestri Italo Bianchi e Valentino Miserachs Grau, contemporaneamente al diploma in composizione presso il Conservatorio A. Casella di L’Aquila. Ha ricevuto riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali quali il 1° premio alla Coppa pianisti d’Italia di Osimo

l’illusione del maggiore, subito dispersa dal sapore ispanico del modo frigio (Re, Do, Sib, Lab, Sol) di batt. 30. A batt. 31 la ripetizione della frase apre un arco verso l’acuto a cui segue una progressione discendente sulle parole Ven Jesús mío che si snoda sulla scala frigia mentre la voce grave tonicizza i gradi discendenti (Do, Sib, Lab, Sol). Alle batt. 36-43 si alternano accordi maggiori e accordi minori in progressione e la sezione si conclude a batt. 4243 con una cadenza frigia su Sol. La terza parte (batt. 44-62) è anch’essa divisibile in 2 parti, (batt. 44-54; batt.55-62). Riprende lo stesso tema di B però in Do maggiore come se la cadenza frigia sul Sol di batt. 42-43 fungesse anche da cadenza sospesa con funzione di dominante. A batt. 50 viene ripreso lo stesso inciso di batt. 36 con ritmo in battere e cadenza a batt. 51 su un VI grado, la. Seguono ben 4 battute su pedale di La, che acquista così un valore di tonica, sul quale viene raggiunto il climax del brano e 3 di Mi (dominante) di La dorico che segna il punto di ritorno tramite una trasposizione di tono (batt. 58-59) al tono principale del brano. L’ultima parte (batt. 6276), sebbene il testo sia differente, riprende musicalmente la prima parte fino a battuta 72 a cui segue una coda (batt. 73-76) su pedale di dominante dove le voci cercano di ricreare le immagini e lo schioppiettio delle fiamme. Il brano finisce con una cadenza frigia sulla dominante di Sol.

(1986), il 1° premio al Concorso vocale e strumentale internazionale Anemos di Roma (2001) e il 2° premio al Concorso organistico internazionale V. Urban di Toluca (Messico, 2000). Ha scritto musica per pianoforte, organo e vari complessi strumentali. Sue composizioni per orchestra e per vari organici sono state eseguite al teatro Bonci di Cesena, all’auditorium Pedrotti di Pesaro, alla Accademia Chigiana di Siena e in varie città italiane. Ė autrice di due opere tra cui La bottega dell’orefice su libretto tratto dal testo di Karol Wojtyla. Tra le composizioni per coro si possono menzionare Sei antifone mariane su canto gregoriano per coro femminile a 3-6 voci, Salve Regina per coro misto a 4-8 voci, Tre canti eucaristici per coro misto e Tres nanas per coro femminile a 5 voci. Dal 2004 è docente di armonia contrappunto fuga e composizione presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.

Marialuisa Balza NB: Il file MIDI di Al niño Jesús è scaricabile all’indirizzo www.aerco.it/editoria.htm

Marialuisa Balza, nata a Rimini nel 1970, si è diplomata in pianoforte nel 1989 presso il conservatorio G. Rossini di Pesaro e ha successivamente conseguito presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, il Magistero

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Farcoro – pillole

L’orecchio Una qualità necessaria alla direzione di Andrea Landriscina (*) precisione un’immagine sonora interiore. L’orecchio musicale richiederebbe una vastissima trattazione apposita che non ho intenzione nemmeno di sfiorare, per non esserne travolto13. Dirò solo che la parte che ci interessa in questo primo approccio è la memoria intervallica, la capacità, cioè, di riconoscere e riprodurre qualsiasi intervallo in qualsiasi combinazione, sia melodicamente che armonicamente. Per ottenere questo risultato, occorre inizialmente lavorare sull’acquisizione di alcune macro strutture (come scale, accordi, cadenze ecc. - in pratica l’orecchio tonale) che sono i mattoni con cui gran parte della musica occidentale è stata costruita. Ma, in seguito, occorre esercitarsi anche nelle micro strutture, basate su combinazioni di puri intervalli al di fuori dei contesti abituali. Infatti, se vogliamo affrontare dei generi musicali che vanno dal ‘900 ai giorni nostri oppure vogliamo affrontare musica antecedente al periodo barocco, l’orecchio tonale spesso non è di nessun aiuto, anzi, talvolta porta a risultati fuorvianti facendoci “inscatolare” all’interno di un

Dicono molti orchestrali che la caratteristica principale che contraddistingue i direttori dagli altri musicisti è quella di essere completamente sordi. Questa è, ovviamente, una malignità ingenerosa, ma nasce dal fatto che la dote che secondo le aspettative dovrebbe essere maggiormente sviluppata nel direttore è proprio quella dell’orecchio musicale. L’attività direttoriale più onerosa è sempre quella della concertazione, attività che richiede moltissimo tempo: nelle grandi orchestre sinfoniche la prova può durare 3 o 4 volte il tempo di esecuzione, ma se ci portiamo verso le realtà semi - professionali, didattiche o amatoriali vediamo che per preparare un singolo programma occorre lavorare anche molti mesi. Senza un ottimo orecchio non è possibile né provare né insegnare, perché non si saprebbe cosa dire agli esecutori e cosa poter migliorare; inoltre non ha nessuna utilità il capire genericamente che qualcosa non va o che qualcosa potrebbe essere perfezionato: se non si individua con grande precisione il problema e non lo si espone chiaramente, nessun errore potrà mai essere corretto e nessuna soluzione potrà essere mai adottata. L’orecchio non è (o non è solo) un dono del cielo, ma è anche il frutto di un allenamento quotidiano intelligente e volonteroso che produce il risultato voluto. Tutti i più moderni orientamenti della didattica musicale moderna, infatti, danno allo sviluppo dell’orecchio musicale una enorme importanza. È cosa risaputa che per imparare a dirigere occorre, per prima cosa e imprescindibilmente, imparare ad ascoltare e a riprodurre con

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L’orecchio musicale è un crocevia di un numero impressionante di discipline e può essere affrontato da numerosissimi e fantasiosi punti di vista. Se ne occupano infatti l’anatomia, la fisiologia, l’acustica, la psicoacustica, la psicoaudiofonologia (disciplina fondata da Alfred Tomatis), la pedagogia e la didattica musicale, la musicoterapia, le numerose branche della psicologia (psicologia della percezione, psicologia musicale, ecc.) e tante altre discipline che a fatica potrebbero essere elencate esaustivamente, anche perché ogni giorno ne nascono di nuove.

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la musica senza che questa venga prodotta all’esterno. Chiunque avrà provato a sentire dentro di se un motivo o un intero pezzo e quindi questa è capacità già nota ad ogni musicista. Tuttavia, perché questa capacità sia molto utile nella direzione, è importante che abbia un certo livello di precisione. Occorre abituarsi, quando si studia una partitura, ad ascoltare interiormente una voce per volta, soprattutto le parti interne, e poi tutte le voci complessivamente. Questo allenamento, in fase di studio, porta a formare una chiara immagine interiore della musica, in maniera che, durante le prove, qualora il risultato sonoro ottenuto si discosti significativamente dall’immagine interiorizzata, si sia in grado di correggere ogni inesattezza. Appare chiaro, a questo punto, che chi sarà in grado di studiare una partitura comodamente seduto sul divano di casa o sul sedile di un treno si troverà comunque molto più avvantaggiato rispetto a colui che per studiare la medesima partitura avrà bisogno di un pianoforte o di un altro strumento polifonico. L’interpretazione di un brano, inoltre, è qualcosa che viene forgiata e scolpita all’interno dell’immagine sonora interiore, e per questo motivo più questa funzione viene sviluppata più le capacità musicali complessive aumenteranno. Una delle caratteristiche che più formano un buon direttore, infatti, è quella di avere un orecchio interiore molto più sviluppato degli altri. L’orecchio interiore è pure un elemento importante delle memoria musicale, e per questo ulteriore motivo è un elemento discriminante tra chi può accingersi a dirigere e chi no.

contesto tonale ciò che tonale non è affatto. Questo tipo di esercizi va fatto in sedi apposite, con testi idonei e con insegnanti esperti, imparando a cantare (il canto è il principale

sistema di verifica dell’apprendimento e di memorizzazione degli intervalli) qualsiasi successione intervallica svincolata da qualsiasi contesto, oppure in contesti estremamente differenti da quelli consueti, come il contesto modale14. Gli ausili informatici (i programmi di ear training) possono essere utili fino ad un certo stadio di apprendimento, ma sono molto limitati nei loro presupposti metodologici, almeno relativamente a quei programmi che ho potuto conoscere finora. Dell’orecchio abbiamo parlato finora in termini di riconoscimento e di riproduzione degli intervalli. Tuttavia esiste un’altra funzione psichica legata all’orecchio indispensabile per un direttore. L’orecchio interiore è la capacità di ascoltare interiormente 14

Nella mia personale attività didattica lavoro inizialmente sull’orecchio atonale, utilizzando il celeberrimo Modus Novus di Lars Edlund, passando poi all’orecchio modale, dove utilizzo i numerosi metodi che venivano usati nel ‘500 e nel ‘600, poi passo a lavori sull’orecchio armonico, infine utilizzo il depistage, tecnica tipica della didattica francese, dove lavoro su numerosi tipi di contesti musicali.

NB: Il presente articolo costituisce un breve estratto dal “Manuale di Direzione” di Andrea Landriscina. (*) Musicologo, Docente di Direzione di Coro e Repertorio Corale per Didattica della Musica al Conservatorio “G. Tartini” di Trieste.

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