FARCORO, May 2009

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Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Bologna”

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori

N° 2 Maggio — Agosto 2009

Farcoro


Farcoro – Indice

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EDITORIALE di Andrea Angelini

DIDATTICA Divisioni territoriali e contaminazioni culturali nel territorio reggiano di Fedele Fantuzzi

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Divisioni territoriali e contaminazioni culturali

DIDATTICA I difetti del gesto direttoriale secondo la tecnica classica di Walter Marzilli

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Convegno Le frontiere della coralità

DIDATTICA La vocalità corale di Daniela Contessi

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ESPERIENZE Convegno Le frontiere della coralità di Pier Paolo Scattolin

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ESPERIENZE Concorso Corale Internazionale di Rimini di Loris Tamburini

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ESPERIENZE Un’ispirante esperienza

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Daniele Venturi: Il mare è tutto azzurro

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Al via il Corso AERCO per Direttori

di Andrea Angelini

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COMPOSIZIONI Il mare è tutto azzurro di Daniele Venturi

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CURIOSITA’ Erisimo, l’erba dei cantanti di Pierfranco Pucci

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NOTIZIE Al via il Corso AERCO per Direttori dalla Redazione di FARCORO


FARCORO Quadrimestrale dell’Aerco Associazione Emiliano Romagnola Cori Maggio‐Agosto 2009 Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Spedizione in abbonamento postale DL 353/2003 Art. 1, comma 2 DCB, Bologna Direttore Responsabile Andrea Angelini Comitato di Redazione Fedele Fantuzzi Giacomo Monica Puccio Pucci Edo Mazzoni Loris Tamburini Matteo Unich Mario Pigazzini Grafica e impaginazione Andrea Angelini Sede Legale c/o Aerco – Via San Carlo 25/f 40121 Bologna Contatti Redazione: farcoro@hotmail.it +39 347 2573878


Farcoro - editoriale

Future prospettive Ore 7:45 del 17 Dicembre 2024. Mattia, studente bolognese di Quarta Elementare, come ogni mattina prepara la cartella per recarsi a scuola ed accanto al sussidiario, al libro di lettura e ai testi di lingua Inglese e di Informatica, ripone il metodo del “Cantar leggendo” ed alcuni brani del miglior repertorio corale dedicato alle voci bianche. Nel corso delle varie notizie, il conduttore del Telegiornale delle 13 annuncia con soddisfazione che i fondi destinati dalla nuova Legge Finanziaria alle Associazioni concertistiche amatoriali sono aumentati del 30%, considerato i buoni risultati e l’alto indice di gradimento della stagione precedente. Dopo cena il babbo e la mamma di Mattia si recano alle prove del loro Coro in vista di un imminente concerto….. No, non è un racconto di Jules Verne e, spero, nemmeno una folle utopia! Sarà la normalità delle cose, anche e finalmente in Italia, tra una quindicina di anni! Certo non sarà facile cancellare dalla testa dei nostri governanti le teorie sull’inutilità dello studio obbligatorio della Musica inculcate con tanta cura da Francesco De Sanctis, primo Ministro dell’Istruzione agli albori del neonato Regno d’Italia ma L’AERCO, nel suo piccolo, sta facendo grandi sforzi affinché l’attenzione generale del “sistema” si focalizzi sul canto corale e sulla musica in genere. Come saprete, dopo la pausa estiva, prenderà il via il progetto “Coro adotta una scuola, Scuola adotta un coro” che, se diffuso capillarmente, darà senz’altro quei benefici che tutti ci auspichiamo ovvero la riscoperta di quel modo semplice ed affascinante di far musica: con la propria voce! Sempre il prossimo autunno vedrà la partenza del Corso residenziale AERCO per la formazione dei Direttori di Coro. All’interno della Rivista troverete i dettagli di questo ambizioso progetto coordinato dalla Commissione Artistica in collaborazione anche con docenti esterni di chiara

esperienza. A tutto ciò si aggiungono i tanti corsi programmati in loco dalle Delegazioni Provinciali, le Rassegne, gli Incontri e i Seminari. Tutta la famiglia dell’Associazione sta veramente gettando le basi perché il quadro descritto all’apertura di questo editoriale possa compiersi naturalmente! Sono trascorsi solo pochi mesi dall’uscita del primo numero della nuova Rivista e quindi è difficile trarre un bilancio; devo però riferire delle tante telefonate e dei messaggi di apprezzamento da parte dei cori associati. Ciò mi ha reso felice perché mi servirà da stimolo per proseguire con questo stile; cercherò ovviamente di apportare quelle continue migliorie che, come la logica pretende, serviranno a rendere FARCORO vicino a tutte le realtà corali, qualunque sia il genere di espressione e le doti musicali. Naturalmente resto aperto a tutte le forme di collaborazione che giungeranno dall’esterno perchè la Rivista non dovrà essere partorita dalle menti di un ristretto gruppo di musicisti. Cercherò anche di avere sempre la massima attenzione per la qualità dell’informazione che, esprimendo un parere personale ma spero condiviso, non significhi per forza “fare dell’accademia”. Vorrei, alla fine di questo Editoriale, citare il M° Pierpaolo Scattolin e i suoi collaboratori, che ho sbadatamente omesso nel numero scorso, tra coloro che hanno retto la direzione di FARCORO sino a pochi mesi fa. Anzi, va senza dubbio ricordato e ringraziato l’amico Pierpaolo per il prezioso apporto artistico e per l’abnegazione dimostrata in tutti questi anni, come Presidente dell’AERCO e come Responsabile Editoriale. Sono certo che saprà fornire futura linfa a queste pagine che richiedono professionalità e competenza. Doti che ha in abbondanza! Bologna, 20 Giugno 2009

Andrea Angelini andrea@angelini.cc

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Farcoro – didattica

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Divisioni territoriali e contaminazioni culturali nel territorio Reggiano, dal crinale al Po di Fedele Fantuzzi (*)

Comincerei cercando in breve di tracciare la storia, certamente non esaustiva, di quasi due secoli di ricerche, studi o saggi sulla poesia popolare, perché quel percorso ha portato in qualche misura alla attuale situazione per ragionare sulle cosiddette “aree omogenee” anche se, come dice il Conati: “stabilire rigorosi confini territoriali fra culture contigue è pura utopia. Mentre i documenti etnofonici in genere hanno delle precise linee di demarcazione, l’esistenza di un intreccio di rapporti culturali che si estende oltre queste linee dimostra spesso il prevaricare dello spirito campanilistico delle popolazioni, quindi l’insussistenza di ”aree regionali o provinciali” vere e proprie.

viaggio e gira quasi tutta la penisola raccogliendo molto materiale… poi per tutto il secolo successivo si ricercherà da Roma alla toscana fino alla lontana Venezia. Ma intanto già la nuova passione era venuta di moda anche fra gli studiosi italiani anche se in maniera scientificamente modesta così per un quarantennio alcuni pionieri pubblicheranno diversi canti o poesie contadinesche. Si arriva così al biennio 1841-42 in cui a Venezia esce la grande raccolta del Tommaseo dal titolo: “Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci”; siamo cioè alla prima fase storica dei nostri studi, quella che si potrebbe chiamare romantica della ricerca, che terminerà con intatta passione ma anche con uno spirito già rivolto al romanticismo scientifico con il Rubieri e la sua” storia della poesia popolare in Italia” del 1877. Nello stesso anno si pubblica la poderosa “Poesia popolare italiana” del D’Ancona che si può presentare come opera inauguratrice di una fase seconda che chiameremo (con cautela) scientifica. Per la prima volta, assistiamo ad una spiegazione storica dei canti popolari e soprattutto ad un vastissimo accentramento di confronti, modello di comparazione per ogni futuro lavoro di ricerca e base d’operazione. Il D’Ancona a che teoria era arrivato, pur nel limite della sistemazione confusa del materiale regionale? Alla monogenesi dei canti popolari italiani che semplicisticamente consiste nel dare alla Sicilia il titolo di “culla del canto popolare”,

Si può partire con la data del 1760 con la pubblicazione dei “Canti di Ossian” che rivendica la bellezza delle ballate inglesi nazionali contro quelle franco-italiane, si giunge al 1765 con la grande raccolta del Percy e fino alla fine del secolo ne verranno pubblicate diverse. Intanto in Germania più che in Inghilterra si fa strada la cosiddetta ”chiarificazione teoretica” e nel 1778 si pubblica una vasta raccolta dell’Herder dal titolo: “Voci di popolo nelle loro canzoni”. E’ il periodo in cui si teorizza la originalità “nazionale” della poesia popolare come unico elemento, ma in seguito nella prima metà dell’ottocento, si rinnegherà questa “creazione collettiva” dei canti popolari. Nel frattempo in Italia erano scesi i primi romantici anglosassoni, assetati ricercatori di poesia popolare; il Goethe per esempio nel 1768 fa un lungo

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il trecento come secolo di diffusione di tale canto in tutta la penisola secondo la direttrice sud-nord e la toscana come suo principale centro irradiatore ed elaboratore.

composizione metrica della poesia popolare arrivando a sostenere che la presenza di una struttura come lo strambotto o il ritornello (endecasillabo con desinenza piana o ossitona…) bastava di per sé ad indicare la provenienza dall’Italia inferiore-media; per contro la poesia con struttura simile alla canzone (potremmo chiamarla BALLATA) si marca la provenienza dall’Italia settentrionale.

Si delinea così una differenza tra settentrione e centro-meridione, ed è su questa divisione del canto in due specie: lirico ed epico-lirico, con la susseguente localizzazione geografica meridione=canto lirico, nord=canto epicolirico che imposterà la sua ricerca filologica Costantino Nigra, che durerà diversi lustri culminante con la famosa ricerca etnomusicologica dal titolo: “Canti Piemontesi” del 1888.

Per scendere alle ragioni più interne, storiche ed etniche si spinse a studiare i substrati (dialetti), concludendo che l’Italia rispetto alla poesia popolare (come ai dialetti) si divide in due zone: l’Italia inferiore con substrato italico cioè di derivazione latina, dalla Toscana in giù e dall’Italia superiore con substrato celtico. Roberto Leydi nella sua pubblicazione “i canti popolari Italiani” del 1972 spiega bene i confini dell’area settentrionale che ci riguarda: “…territorio che possiamo in termini generali, considerare comprendere la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia occidentale, il Veneto, con l’eccezione forse della fascia costiera, fino all’Istria”. L’area settentrionale si collega lungo diverse direttrici con la più grande area europea, pur presentando alcune caratterizzazioni specifiche. I suoi legami sono sia verso la Francia sia verso i vicini paesi di lingua tedesca e slovena, con propaggini, da un lato fino alle isole della Bretagna e dall’altro fino alla Germania e ai Carpazi. Siamo così arrivati al nostro secolo; dopo la fase romantica e la fase scientifica, si può pensare ad una fase estetica o teorica di ripensamento filosofico. E’ con il saggio di Benedetto Croce del 1929 intitolato “poesia popolare d’arte” che cambia l’approccio con la ricerca e lo studio. Come esempio di questa nuova impostazione prenderei le conclusioni che ha ripreso per altro il Gramsci, a proposito di una divisione e distinzione dei

Costantino Nigra: Villa Castelnuovo 1828 - Rapallo 1907

In buona sostanza il Nigra parte dallo studio dei caratteri esterni cioè comparando la

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canti popolari formulata da quel Ermolao Rubieri citato prima: 1) i canti composti dal popolo per il popolo, 2) quelli composti per il popolo ma non dal popolo, 3) quelli scritti né per il popolo né dal popolo ma da questo adottati, perché conformi alla sua maniera di pensare e di sentire. Mi sembra questa terza categoria molto vicina alle caratteristiche che contraddistinguono il canto popolare come mezzo per concepire la vita e il mondo in contrasto spesso con la società ufficiale. Dopo Benedetto Croce operano in Italia studiosi come il Barbi o il Novati e l’etnomusicologia diventa una disciplina autonoma. La problematica si fa capillare e visto l’allargamento del campo di studi, dovuto all’aumento del materiale raccolto in Italia e l’aggiornamento con le grandi ricerche folcloristiche anglosassoni, francesi e spagnole, si richiede necessariamente un apporto, da parte dello studioso, sempre più dotto e istruito.

assottigliare nel tempo quelle divisioni che sembravano nette agli studiosi ottocenteschi. Volendo provare a ragionare su elementi conosciuti circa la conformazione geografica, di condizioni sociali, ecc… riguardo alla nostra regione, diremo che: l’Emilia dal punto di vista etnomusicale, si differenzia molto dalla Romagna, l’asse ovest-est che si allontana progressivamente dalla pianura padana fino a confondersi con il litorale adriatico e l’Appennino forlivese con l’Italia centrale, divide benissimo due zone distinte e diverse: l’Emilia e la Romagna. L’Emilia è profondamente sbilanciata verso nord dal punto di vista dell’etnomusicologia, quasi chiusa da un Appennino che le ha impedito sostanzialmente, di subire importanti influenze toscane. Se togliamo la zona di confine regionale (l’alto crinale nel nostro caso) ove tale influenza a volte è netta, si può dire che gran parte del territorio emiliano fa parte della cultura dell’Italia settentrionale, seguendo due direttrici: la pianura, omogenea con quella lombardo veneta e l’Appennino profondamente legato alla montagna e collina ligure ma soprattutto al Piemonte. In Emilia si fa inoltre palese l’imprecisione dei confini amministrativi regionali. Per esempio alcune zone del piacentino sono decisamente influenzate dalla cultura lombarda e non emiliana; addirittura recenti studi comparativi evidenziano che molte lezioni della Val Nure o Val Trebbia possono essere influenzate dal “trallallero” genovese ancor più dal canto corso o sardo. In altre zone come i territori che costeggiano il Po, appartengono musicalmente all’Emilia e non al mantovano come ci si aspetterebbe. Cito ancora il Conati a proposito di contaminazioni culturali nella zona della val d’Enza che ci riguarda da vicino: “…a parte il fatto che per alcuni secoli , fino al 1847, tutta la riva

A questo punto sarebbe troppo lungo elencare tutte le raccolte, i piccoli o grandi contributi dati alla ricerca “sul campo”, in questo periodo, perché in ogni regione o provincia c’è qualche studioso letterato o semplice appassionato che raccoglie cataloga i canti popolari. Si deve altresì notare come già da tempo riviste popolari accolgano volentieri saggi o piccole raccolte etnomusicologiche e questo aumenta di molto le possibilità di comparazione e analisi del materiale raccolto. Ma per tornare al tema iniziale: “divisioni territoriali…..” non sarà apparso difficile dopo tante ipotesi, teorie, intuizioni assai diverse fra loro, capire chiaramente che non si può parlare di confini ben delineati; troppi fattori sociali, culturali e storici hanno contribuito ad

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destra del fiume Enza (quella reggiana) da Ramiseto a S.Ilario, con Ciano e Rossena fece parte del ducato di Parma e Piacenza, è da osservare che i rapporti socioeconomici ancor oggi sono orientati verso il parmense…” In ogni caso la riva destra dell’Enza rientra nell’etnofonia parmense allo stesso titolo per cui la Lunigiana vi entra anche se in territorio amministrativo toscano; viceversa i documenti dell’alta Val di Taro risentono di influenze liguri e quelli della zona del Po partecipano a quella lombarda o meglio cremonese. Per contro molti documenti dell’alta val d’Enza e Cedra nonostante il dialetto sia simile al dialetto parmigiano partecipa alla tradizione toscana. Di più difficile collocazione è il territorio bolognese situato al termine dell’Emilia e non ancora in Romagna nettamente, dove è possibile trovare le matrici della musica popolare emiliano - romagnola, quella settentrionale e quella centrale che integratesi hanno generato uno stile per così dire nuovo specialmente nella musica popolare strumentale “a ballo”. Soprattutto per quanto riguarda l’Emilia c’è poi un altro fattore che ha inciso profondamente: la netta e storica separazione fra montagna e pianura sancita come una linea ideale dalla via Emilia. Questi due territori hanno sempre avuto vite differenti soprattutto economicamente e di tale distanza è possibile cogliere tracce sensibili nelle culture musicali: moderna, attiva “padana” la pianura, arcaica e conservatrice la montagna (appenninica), anche se la qualità del materiale etnofonico raccolto sull’Appennino, dimostra che c’è una vivacità culturale assai presente a dispetto di chi ha sempre messo in relazione la decadenza o arretratezza dei “montanari” con la scarsità culturale. La provincia Reggiana pertanto, ci appare culturalmente molto unita ed omogenea dotata di caratteri autonomi; essa partecipa direttamente ad una cultura musicale che la unisce a sud con l’Appennino toscano e ad

ovest con quello ligure e tramite questo alla più vasta e arcaica cultura musicale popolare piemontese. Se dunque la montagna appare protagonista di

una produzione culturale profondamente radicata nel tempo, non altrettanto si può così facilmente affermare per la pianura. A tutti sono noti i grandi cambiamenti economici e culturali che hanno caratterizzato le campagne emiliane negli ultimi cento anni; cito ancora il Leydi: “….non è altro che il riflesso della vicenda storica e sociale del nostro paese, giunto all’unificazione in epoca assai recente passando attraverso esperienze varie e contrastanti…”. Soltanto il repertorio popolare e popolaresco si presenta con una certa superficiale uniformità. La pianura si è così trasformata modernizzandosi non solo economicamente ma anche dal punto di vista culturale e musicale. Se c’era una cultura contadina prima per esempio delle grandi opere di bonifica è stata quasi cancellata da quella recente bracciantile, modificando nella sostanza gli aspetti principali portando alla ribalta per esempio il canto teso, sforzato, corale… Confrontando le raccolte del secolo scorso con le attuali, si può meglio capire l’influenza dei cambiamenti sociali nel repertorio; se prima era relativamente facile

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reperire canti narrativi, ballate epico-liriche ecc...ora in gran parte è perso o radicalmente trasformato. I grandi lavori di bonifica, il lavoro nelle risaie con annesso il fenomeno di migrazione, il servizio militare nazionale, la scolarizzazione obbligatoria, le guerre, la resistenza, i mezzi di comunicazione di massa ecc. hanno reso la musica popolare della pianura, sostanzialmente simile a quella delle altre regioni dell’Italia settentrionale, annullando quasi di colpo secolari differenze.

assoluta importanza è il centro etnografico Ferrarese diretto da G.P. Borghi, nella provincia Reggiana ricorderei il grande lavoro di Giorgio Vezzani (in particolare sui “maggi e le compagnie di maggiarini”), la raccolta trentennale del coro “La Baita” di Scandiano e la ricerca del M° Mario Fontanesi nel territorio Toanese. Alla luce di queste considerazioni credo che la conclusione sia che rimane certamente un'utopia la divisione in territori o aree geografiche "ben definite", il cammino di studio ricerca, catalogazione di questo meraviglioso patrimonio è ancora lungo, e soprattutto che il canto popolare non ha confini ma appartiene "a tutti…" pertanto mi auguro che in futuro ci siano sempre più appassionati ricercatori di canto popolare con materiale a disposizione per poter continuare in questa affascinante opera di esplorazione etnomusicale.

Ma finora si è ragionato solo sulla poesia popolare cioè sulla composizione metrica del componimento, tralasciando la parte musicale. Non è possibile però cercare distinzioni geografiche o aree di influenza senza studiare o comparare le melodie. E’ proprio la comparazione purtroppo la ricerca più in ritardo, solamente da una sessantina d’anni i ricercatori hanno capito l’importanza di trascrivere anche la parte melodica. Il primo vero lavoro organico di trascrizione è stato fatto da Alan Lomax e Diego Carpitella che nel ’45 iniziano a girare l’Italia in lungo e in largo e poi nelle successive pubblicazioni compaiono scritte le melodie, lasciate così come erano state registrate dagli informatori. Se togliamo l’empirico lavoro di un maestro friulano ceco, che per conto della Società Filologica Friulana pubblica nel 1930 la sua ricerca con le melodie scritte a mano, si deve costatare il ritardo rispetto alla tradizionale e incompleta ricerca etnofonica comparata solo nei testi poetici. Nella nostra regione ci sono da citare opere di ricerca importanti: a Bologna il grande lavoro del compianto M° Giorgio Vacchi, pioniere di questo appassionato lavoro, il centro provinciale di Piacenza, a Parma molti contributi da singoli, in particolare: il M° Giorgio Branchi, la ricerca di Marcello Conati, la ricerca accurata del M° Giacomo Monica, di

(*) Presidente AERCO e Direttore del Coro “La Baita” di Scandiano (RE) Bibliografia: Marcello Conati “canti popolari della val d’Enza e della val Cedra”1975 a cura delle comunità delle valli dei cavalieri Roberto Leydi “ i canti popolari Italiani”-1978 Oscar Mondadori-MI Giuseppe Ferraro “canti popolari Piemontesi ed Emiliani-1977 ed. Rizzoli-MI Giuseppe Ferraro “canti popolari della prov. Di Reggio Emilia”-1969 Forni editore-BO Costantino Nigra “canti popolari del Piemonte”-1888 reprints Einaudi 1974-TO Giuseppe Vettori “i canti popolari Italiani”-maggio 1995 Newton-ROMA Maria Elena Giusti “ballate della raccolta Barbi”-1990 Arnaldo Forni editore-BO Franco della Peruta, Roberto Leydi, Angelo Stella a cura di: “Milano e il suo territorio”-1985 Silvana editoriale-MI Benedetto Pergoli “saggio di canti popolari Romagnoli” 1894ristampa 1967 Forni editore-BO Vittorio Santoli “i canti popolari Italiani ricerche e questioni” 1940-riedizione ampliata 1968 G.C.Sansoni s.p.a.-FI Diego Carpitella “l’etnomusicologia in Italia”-1975 S.F.Flaccovio-PA Maria Angela Marzola “ballate e canzoni narrative in Emilia”2000 università degli studi di Bologna

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Farcoro – didattica

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I difetti del gesto direttoriale secondo la tecnica classica di Walter Marzilli (*)

Questo e i prossimi articoli che seguiranno traggono ispirazione da una serie di scritti che sono apparsi sulla Rivista “La Cartellina”. Costituiscono inoltre un breve estratto e una anticipazione di un libro sulla direzione del coro che sarà pubblicato in seguito. L’intento è quello di aprire il panorama, fornendo al direttore gli strumenti utili per districarsi nella selva degli interrogativi e delle implicazioni che la direzione di un coro comporta, nel tentativo di allontanarlo il più possibile dalle facili soluzioni personalistiche e soggettive. Queste ultime corrono il rischio di apparire come le uniche soluzioni valide o le sole addirittura possibili, non appena su di esse faccia in tempo a depositarsi la patina della consuetudine. La sclerotizzazione di eventuali cattive abitudini le quali non mostrano nessun freno nel dilagare rovinosamente sugli aspetti fondamentali della direzione quali la concertazione, l’emissione vocale e la gestualità - è spesso causa di un drammatico declino del coro, che purtroppo ha termine solo con la sostituzione del direttore.

Analizziamo il tipico gesto in quattro movimenti secondo le normali consuetudini della tecnica gestuale. Esso può essere rappresentato graficamente in questo modo:1

Fig. 1

Di facile e immediata rappresentazione grafica all’interno di un lavoro a stampa, questa schematizzazione impatta contro tutti i limiti con i quali si imbatte chi deve parlare di gestualità senza poter mostrare altro che alcune linee su un foglio di carta. Ad ogni modo è un ottimo punto di partenza per riconoscerne i difetti. Quattro punti di lavoro… Con questo tipo di gesto il direttore colpisce ben quattro diversi punti nell’aria. Durante il complicato flusso di informazioni – limitiamoci solo a quelle di ordine ritmico, senza considerare quelle relative alla concertazione, al fraseggio, al suono ecc. - tra il direttore e gli

E’ necessario raggiungere innanzitutto il possesso di una tecnica di movimento chiara e ineccepibile in qualunque situazione concertativa. Stiamo per mostrare dove la tecnica direttoriale classica nasconde numerosi punti deboli.

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Ciò che diremo a proposito del gesto in quattro movimenti vale anche per i gesti degli altri tempi semplici.

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esecutori, avviene un fatto strano: il direttore si mette a percuotere un tamburo inseguendolo dappertutto,2 come se qualche bizzarro buontempone si divertisse a spostarlo continuamente di qua e di là, di sopra e di sotto, facendogli assumere le quattro improbabili posizioni raffigurate in Figura 2.

direttore spontaneamente si allargano. I quattro punti, che il coro si era ormai abituato in qualche modo a riconoscere, vengono allora improvvisamente destabilizzati e sostituiti con altri quattro, necessariamente tutti spostati verso l’esterno (ma di quanto?). Queste nuove zone di lavoro daranno vita a inevitabili imprecisioni nella risposta degli esecutori, come si può intuire dalla Figura 3.

Fig. 2 Fig. 3

Si capisce bene come questo continuo “girovagare” del direttore finisca per ostacolare il processo comunicativo del suo pensiero musicale verso gli esecutori.

Le nuove linee tratteggiate sono infatti facilmente causa di una indeterminatezza di azione da parte degli esecutori, che non sanno prevedere dove e quando si fermerà la mano del direttore, dopo aver oltrepassato il consueto punto. Alcuni cantori cercheranno di fare qualcosa all’incirca nel vecchio punto (già: chi glielo ha detto che non è più valido?), altri prenderanno l’iniziativa durante il movimento del braccio lungo la linea tratteggiata, i più attenti e i più fedeli reagiranno più o meno nel nuovo punto, infine la maggioranza del coro sarà capace di reagire dopo aver visto il nuovo punto, ma con i tempi di reazione propri di ogni individuo, diversi l’uno dall’altro. E’ facile

Il rallentando… Ma quello che appare più grave - e che dovrebbe spingere a cercare una soluzione migliore - è costituito dal fatto che in occasione di un rallentando le dimensioni del gesto del 2

In fondo, dal punto di vista puramente tecnico e descrittivo, il direttore non fa altro che percuotere un invisibile tamburo quando deve ritmare una esecuzione. Non a caso i primi direttori d’orchestra impugnavano un bastone con il quale percuotevano il pavimento. Un retaggio di questo primitivo modo di dirigere lo si può ancora intravedere nella figura del mazziere della banda. Egli apre la processione dei musicanti, agitando in alto e in basso un elegante bastone rifinito con frange, senza ormai più arrivare a percuoterlo sul terreno. Anzi, per la visibilità durante la marcia della banda, normalmente il tactus ritmico viene colpito dal basso in alto…

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immaginare quale possa essere il risultato.3 Durante questo periodo di indeterminatezza, l’indecisione sarà interrotta solo dall’intraprendenza di qualche corista. A muoversi saranno soprattutto i cantori che sono considerati le guide delle sezioni,4 in buona compagnia di quelli notoriamente più distratti o superficiali.5 I primi finiranno per prendere le redini della situazione e stabilire i contorni di questa poco definita circostanza. Tutto si svolge in poche frazioni di secondo, ma un ascolto attento, magari in cuffia, metterà a nudo le numerosissime situazioni simili a questa che regolarmente avvengono durante le incisioni discografiche, anche nel caso di complessi corali o orchestrali di grande fama, sia dal vivo che in studio.

maggiore visibilità, che però si rivela illusoria. Questo allungamento del gesto costringe infatti il braccio del direttore a muoversi molto più velocemente, dal momento che deve riuscire a coprire un percorso maggiore in un tempo minore (a causa dell’accelerazione che si vuole imprimere al tempo). Nel caso che il direttore scelga di rimpicciolire il gesto per indicare l’accelerando vorrà dire che ciò che in un rallentando si verifica verso l’esterno dei precedenti quattro punti adesso si verificherà all’interno. Nel frattempo in entrambi i casi il coro si mette alla ricerca dei nuovi quattro punti di lavoro… Le cause di indeterminazione gestuale ed esecutiva, come si vede, non mancano nemmeno in questa circostanza.

L’accelerando…

Le cose non migliorano durante l’indicazione di un crescendo. Anche in questa occasione il desiderio di comunicare questo importante elemento del fraseggio e la necessità di risvegliare la reattività del coro, costringono il direttore ad ingrandire notevolmente il suo gesto, anche per sottolineare meglio l’accresciuto spessore sonoro. Succede però che la durata dei quattro movimenti rimane la stessa (o meglio, dovrebbe), mentre è aumentata la distanza da coprire. Risultato: il gesto diventa più veloce e il coro accelera. Inoltre si patisce la stessa indeterminatezza ritmica del rallentando, a causa dello spostamento verso l’esterno dei quattro punti.

Il crescendo…

L’ipotesi di un accelerando, seppure meno frequente di quella di un rallentando, diminuisce la gravità della situazione, ma non gli effetti deleteri. Essi risultano però meno espansi rispetto ad un rallentando, a causa delle dimensioni ridotte dello spazio e del tempo impiegato. Nella realtà pratica il gesto del direttore, anziché subire una contrazione spaziale che ne riduca le dimensioni - come sarebbe necessario in situazioni come queste – può subire anche in questo caso una dilatazione, conseguenza della ricerca di una 3

Il più lampante sarà la sovrapposizione di note che appartengono a due accordi diversi. Il meno in vista, seppure ugualmente dannoso, sarà la perdita dei suoni armonici, causata dalla mancanza di contemporaneità nell’emissione delle note, con il conseguente indebolimento del timbro.

Il decrescendo… In un decrescendo, invece, il direttore spontaneamente rimpiccolisce il suo gesto, ma anche in questo caso, dato che l’andamento dovrebbe rimanere costante, il gesto tende a rallentare, in modo da coprire una distanza minore nello stesso tempo. Il risultato è

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E questo contribuirà a rafforzare la loro prestanza psicologica e la necessità della loro presenza fisica, alle quali si attaccheranno volentieri i cantori più deboli, con il risultato di diminuire l’autorità del direttore… 5

Questo caso è certamente assai peggiore del precedente, perché il rallentando, che è un momento molto importante e qualificante dell’esecuzione, sarà privo di maturità artistica.

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analogo al precedente, ma contrario: il coro rallenta.

Se poi ad essere suddiviso dovesse essere tutto il brano a causa di un adagio allora questo è il tipico gesto in grado di mettere in imbarazzo qualunque direttore di fronte agli esecutori, mancando totalmente di eleganza e maturità espressiva.

In definitiva possiamo affermare che se il coro accelera nel crescendo e rallenta nel decrescendo, seguendo una consuetudine tanto radicata quanto inaccettabile, la colpa non deve essere attribuita ai cantori, ma unicamente al gesto inesatto del direttore, legato a quella che ormai potremmo iniziare a definire una tecnica gestuale sorpassata, o quanto meno da superare.6

Ineguaglianza… Probabilmente ce n’è abbastanza per mettere in dubbio una tecnica che possiamo considerare almeno lacunosa, ma per concludere aggiungiamo un ultimo aspetto da non sottovalutare. Osservando le figure precedenti non si può non notare come il primo movimento percorra una linea più lunga rispetto al secondo, e così il terzo rispetto al quarto. Nel caso del primo e del terzo movimento si tratta infatti delle due diagonali di un poligono; il secondo e il quarto sono invece i lati, che geometricamente sono in genere più corti delle diagonali. Se si trattasse solo di una raffinatezza pitagorico-euclidea sarebbe superfluo trattare la questione. In realtà un ascolto attento della prassi comune può evidenziare una certa “fretta esecutiva” del quarto movimento di una battuta, soprattutto in occasione di una cadenza in rallentando. Oppure, quando va bene, si vede la mano del direttore compiere elaborati giri prima di cadere sul primo tempo della battuta successiva, perché deve percorrere uno spazio più breve in un tempo maggiore… In effetti, anche in condizioni di normale scorrevolezza del fraseggio, la regolarità del tactus mal si combina con la irregolarità dei segmenti che la mano deve percorrere.

La suddivisione… Il gesto descritto in Fig. 1 possiede altri aspetti negativi sui quali è opportuno far convergere l’attenzione. Può infatti capitare che all’interno di una cadenza si renda necessaria la suddivisione degli ultimi due movimenti della battuta, o della battuta intera. In questi casi, non possedendo il gesto al suo interno una insita suddivisione, si deve ricorrere a qualcosa che lo trasformi in un altro movimento, fatto rispettivamente di 6 o 8 spostamenti, sparsi un po’ alla meglio nello spazio intorno:

Fig. 4

In realtà la situazione può essere ancora più critica di come sia stata finora descritta, dal momento che il classico gesto di Fig. 1 è stato espresso per mezzo di semplici segmenti. Nella pratica direttoriale esso invece appare sempre annebbiato e confuso da inevitabili curve e

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Essa risulta comunque più apprezzabile dell’ancor più antico sentore solfeggistico emanato dal fatidico “due in battere, due in levare”. Anche Carlo Maria Giulini alla fine si “convertì” alla tecnica moderna, quella del cosiddetto punto focale, abbandonando le sue caratteristiche curve…

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artistici arabeschi, e gli esecutori sono costretti a cercare di seguire il girovagare delle mani del direttore nello spazio per capire quale sarà il momento giusto per reagire.7

suddiviso in sei movimenti anziché in due. La causa è da ricercarsi direttamente nell’eventuale sinuosità del gesto e nella rotondità delle sue curve, prive di un punto chiave che possa indicare agli esecutori il momento esatto in cui reagire. In presenza di tali curve, l’aderenza del coro al gesto del direttore diventa estremamente labile.9

Fig. 5

Ascoltando con attenzione il risultato sonoro, si potrà notare come il coro e anche gli strumentisti normalmente siano soliti procedere in ritardo rispetto al gesto del direttore. Questo fatto ha causato la diffusione della falsa credenza secondo la quale il gesto del direttore debba essere sempre in anticipo rispetto alla risposta degli esecutori. Niente di più illusorio e ingannevole, dal momento che in questo modo risulterebbero falsati tutti i parametri di reazione ai comandi del direttore, ma soprattutto pericolosamente filtrate e indebolite tutte le sue intenzioni dinamiche, agogiche e concertative in generale.8 Tale pesantezza nell’andamento diventa palpabile durante l’esecuzione di un tempo composto in sei, anche nel caso in cui il gesto del direttore sia

(*) Docente di Direzione di Coro nel biennio specialistico del Conservatorio F. Cantelli di Novara e di Vocalità Corale presso il Conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria. Insegna Psicoacustica presso l’Accademia Mediterranea di Arti-terapia di Salerno, specializzazione in Musicoterapia, e Direzione di Coro presso la Scuola Superiore per direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo. È professore Ordinario di Direzione Corale presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.

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E’ il caso in particolare del direttore d’orchestra, la cui gestualità si può dimostrare a volte fin troppo ridondante di movimenti e curve, in parte anche causate dalle particolari e inevitabili necessità collegate con il mondo dell’immagine e con le industrie dello spettacolo e della comunicazione. Se a questo fatto si aggiunge il numero esiguo di prove a disposizione del direttore d’orchestra e la sua mobilità contrattuale, allora la situazione diventa davvero difficile. In questi casi l’orchestra ha tutto l’interesse - e anche la necessità - di rifugiarsi nel primo violino. Figura importantissima e insostituibile, con la quale il direttore è sempre attento a cercare una particolare complicità, o per lo meno un sano accordo. Il suo archetto, a volte visibilmente in nettissimo ritardo dopo un gesto particolarmente fumoso del direttore, costituisce l’unico vero segno per l’orchestra, e la sua posizione centrale all’interno della formazione contribuisce ad amplificarne l’efficacia.

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Se la dipendenza del cantore dal gesto è certamente una cosa positiva, dobbiamo anche ammettere la necessità che il direttore non si metta a fare troppo il “misterioso”, ma faccia capire esattamente agli esecutori quali siano le sue reali volontà e le sue precise intenzioni. Se egli ne fosse privo, allora varrebbe la pena di nascondersi dietro gesti pieni di curve e poco definiti. 8

Il transitorio d’attacco della voce e soprattutto degli ottoni è piuttosto lento, specialmente nelle sonorità e negli attacchi leggeri, e questo contribuirebbe ad aumentare il discostamento del suono dal gesto. Ferma restando, in condizioni normali, una particolare attenzione nell’attacco agli ottoni.

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Farcoro – didattica

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La Vocalità Corale di Daniela Contessi (*)

Premesso che in Italia possiamo distinguere due tipologie di formazioni corali, il coro così detto “amatoriale” e quello professionale, entrambe a mio parere, devono, pur con le dovute distinzioni, perseguire gli stessi obiettivi qualitativi. E’ quindi possibile un percorso tecnico circa la vocalità del corista? Non solo è possibile ma necessario.

Infatti, quando ci troviamo di fronte ad un coro, si parte proprio dall’analisi del suono che un determinato gruppo di persone può emettere. Questo varia in base a tanti fattori, quali il numero dei componenti, l’età, le condizioni ambientali e alla tradizione musicale che è diversa da regione a regione. L’apprendimento della tecnica sarà così utilizzata per ottenere un “colore” uniforme e specifico di quella realtà corale.

Se è vero che il cantare in coro, diventa un importante momento di aggregazione e di sviluppo delle qualità creative degli individui, è altrettanto vero che, attraverso l’attività artistica che le varie associazioni corali mettono a disposizione generosamente, si viene a creare un importante strumento di diffusione della cultura musicale a vasto raggio.

Consapevole che non è possibile in poche pagine esporre un “metodo” di educazione vocale, prenderò in esame alcuni punti essenziali che, ho sviluppato durante la formazione di un coro, con voci non educate al canto. In questo caso la figura professionale preposta allo scopo è il direttore del coro medesimo. Poiché come per ogni percorso didattico, la trasmissione di determinate competenze dà ottimi risultati se sono il frutto dell’esperienza diretta. Va da se che, se il direttore del coro ha compiuto studi di canto in modo approfondito, otterrà risultati di gran lunga migliori di chi si affida ad un esperto che lo affianca durante le prove.

Quindi se è questo l’obiettivo, la preparazione vocale è un requisito imprescindibile e, il coro, a meno di scelte circoscritte per motivi specialistici, dovrebbe essere in grado di cantare il repertorio di qualsiasi epoca o stile, così come un pianista può eseguire bene Mozart o Chopin usando un tocco diverso. Nello specifico, non si dovrebbe sentire cantare Brahms con la stessa vocalità che si usa nel repertorio rinascimentale, poiché non è solo una questione di interpretazione, ma di qualità del suono ottenuto.

Infatti, se è vero che un direttore d’orchestra è chiamato a dirigere un gruppo di persone che conoscono perfettamente la tecnica del loro strumento, altrettanto vero non è per un direttore di coro. A meno che non lavori con un coro lirico alle dipendenze di un teatro, ma, anche in questo caso, spesso occorre

Quindi il lavoro del direttore di coro, figura con una specifica formazione di musicista, si svolge anche attraverso una costruzione lenta e paziente della vocalità del corista.

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intervenire sulla tecnica per ottenere un suono omogeneo, il suono del coro.

componenti che entrano in funzione, si comportano diversamente dalla semplice respirazione per le normali funzioni vitali. Se chi canta, prende coscienza del fatto che, respirando correttamente risparmia fatica e la voce, oltre ad aumentare di volume diventa più bella, questa pratica diventerà piacevole da coltivare e da approfondire nel tempo.

Entrando nel merito, prenderò in esame in modo scientifico, le componenti coinvolte e le funzioni, che, se usate correttamente portano ad una buona fonazione. Il primo punto parte dalla conoscenza dell’apparato respiratorio, che si compone di gabbia toracica, muscoli inspiratori ed espiratori, polmoni e di un sistema muscolare di supporto non propriamente facente parte dell’apparato respiratorio, ma la cui funzione come vedremo è fondamentale, i muscoli addominali.

Chi suona uno strumento ne conosce perfettamente le caratteristiche, quindi chi canta, a maggior ragione, non può ignorare qual è, dove si trova e come funziona lo strumento preposto alla generazione del suono, ossia le corde vocali che fanno parte dell’apparato laringeo, e siamo al secondo punto della nostra analisi.

Nella fase d’inspirazione ed espirazione, il lavoro muscolare è svolto da:    

Come abbiamo visto, la respirazione controllata, provvede anche alla giusta pressione sottoglottica (la glottide è lo spazio che si trova fra le corde vocali nel momento in cui sono aperte) necessaria a generare il suono vocale e, a questo punto, possiamo valutare la qualità del suono ottenuto. Spesso s’incorre nell’errore di un’errata pressione sottoglottica, col risultato di un suono troppo teso (duro), quando questa pressione è troppa, oppure soffiato quando la pressione è insufficiente.

Muscoli intercostali esterni (inspiratori) Diaframma (muscolo involontario) Muscoli intercostali interni (espiratori) Muscoli addominali (superiori e inferiori)

Abbiamo quindi due fasi che si completano a vicenda: appoggio, attraverso il quale il corista esercita un controllo per rallentare la risalita del diaframma nella fase espiratoria, favorendo una giusta pressione sottoglottica; e sostegno del fiato in cui il soggetto mantiene costante la colonna d’aria durante la fase della fonazione. In entrambe le fasi il ruolo fondamentale è esercitato dai muscoli addominali, che il corista impara a controllare e a distinguere quando questo controllo è più efficace utilizzando maggiormente quelli inferiori o quelli superiori o entrambi.

Il terzo punto che vorrei esaminare, riguarda la caratteristica principale di ogni individuo, il timbro vocale. Ritengo che fra gli scopi di sviluppare una buona tecnica, ci sia quello di mettere in evidenza il migliore timbro già esistente per le caratteristiche dell’individuo. Sappiamo bene che alcune voci sono per natura dotate di un bel timbro, altre meno. In ogni caso, sarà un accurato lavoro sui risuonatori, e con questo intendo una buona gestione delle cavità di risonanza e di articolazione, che darà ottimi risultati. Il timbro, infatti, cambia a seconda della conformazione e dell’ampiezza dei risuonatori, ossia, tutti quegli spazi che si

Partendo da queste basi, la respirazione deve diventare col tempo uno strumento naturale, evitando di ridursi a un esasperato meccanismo muscolare, ma gradualmente il soggetto svilupperà la consapevolezza che, per cantare, le

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trovano al di sopra delle corde vocali. Tali spazi costituiscono l’apparato di risonanza, e sono la cavità faringea, cavità orale e nasale.

Sappiamo che ogni direttore di coro deve anche svolgere il delicato compito di decidere in quale sezione far cantare un nuovo aspirante corista. Per una corretta indagine, i criteri usati più frequentemente per classificare una voce sono:

Pertanto la consapevolezza del cambiamento del timbro a seconda di come apriamo la bocca e di come pronunciamo le vocali e le consonanti, in sintesi, la graduale presa di coscienza delle posizioni dei suoni e delle problematiche relative all’emissione, porteranno a un miglioramento del suono, sia in termini di qualità che di quantità.

   

Estensione Tessitura Passaggi di registro Timbro

Inoltre vi sono criteri anatomici e fisiologici quali la struttura corporea e le dimensioni delle corde vocali. Nel primo caso, anche se questo è un parametro piuttosto generico, osservando un corpo alto, longilineo nell’uomo di solito ci troviamo di fronte alla voce di basso/baritono, al contrario, osservando un aspetto tarchiato su una struttura più bassa, un tenore. Comunque, l’indagine attraverso strumenti scientifici quali la laringoscopia e la stroboscopia, ci fornirà un supporto assai più valido circa la tipologia delle corde vocali che, a seconda della lunghezza e dello spessore, ci indicano i vari tipi di voci.

Considerando che questo lavoro è svolto sul coro e non sul singolo individuo, avremo gradualmente lo sviluppo di un particolare suono corale, ottenuto tramite la capacità dei coristi di portare il suono avanti e di ampliare/cambiare con naturalezza le cavità di risonanza. Un altro problema che si pone all’attenzione di chi canta, è quello dell’intelligibilità del testo tramite una corretta dizione, soprattutto nella musica corale, dove il significato delle parole è compromesso già dalla scrittura di tipo polifonico.

Nel coro, distinguiamo Soprani, Contralti, Tenori e Bassi, con i relativi sottogruppi Mezzo Soprano (o Soprano secondo), Tenore secondo e Baritono.

Un uso appropriato e consapevole della funzione della lingua nell’articolazione delle vocali e del punto in cui si articolano le consonanti, contribuisce a valorizzare non solo il timbro, ma anche una corretta dizione.

Un altro aspetto da non sottovalutare nelle voci non ancora educate, è quello concernente i passaggi di registro. Inoltre, quando ascoltiamo una voce non ancora educata, la

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conoscenza delle note del passaggio ci fornisce un valido aiuto per confermare l’idea che ci siamo fatti circa la classificazione di quella voce.

tre registri di “testa”, “centro” e “petto”. Anche se questa terminologia non è da tutti condivisa, la concentrazione su detta percezione, dà sicuramente dei buoni risultati in termini di proiezione del suono.

Registro Vocale Soprano-Tenore:

Registro Vocale Baritono:

Registro Vocale Mezzosoprano:

Per concludere, aggiungo che un lavoro condotto su queste basi, ci propone la figura di un corista più consapevole e quindi più affidabile, sia da un punto di vista tecnico perché ha imparato a usare il proprio “strumento voce”, sia in termini di entusiasmo, poiché è stato messo in condizioni di scoprire le proprie potenzialità che, senza un adeguato percorso, non sapeva di avere. Inoltre, essere coscienti di come si sta utilizzando lo “strumento voce”, ai fini dell’interpretazione musicale, crea quella condivisione degli obiettivi in empatia fra chi dirige e chi canta, in altre parole, ognuno, sta impiegando i propri mezzi tecnici al servizio della buona esecuzione musicale.

Quindi, per ottenere una certa omogeneità vocale, ovviamente questi passaggi non si devono avvertire e il percorso tecnico fin qui esposto, alimenta una percezione più consapevole della proiezione dei suoni, che a seconda dell’altezza li possiamo ricondurre ai

(*) Docente di Esercitazioni Corali presso il Conservatorio di Musica “A. Buzzolla” di Adria e Direttore del Coro “Accademia Vocale Città di Livorno”

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Farcoro – esperienze

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Convegno “Le Frontiere della Coralità” VI Festival Internazionale Città di Bologna – 23 Novembre 2008 di Pier Paolo Scattolin (*)

Orfeo: tra mito e realtà

in una parola significa la solidarietà, concetto obsoleto che oggi suona perfino retorico, archiviabile fra le cose vecchie.

Il cantare in coro potrebbe riassumersi come l’accoglienza e la ricerca dell’altro: l’altro come cantore più esperto o meno bravo di te, l’altro inteso come reciproco rispetto tra cantore e maestro, l’altro come il trovare una motivazione che non sia sentirsi il migliore, ma semplicemente collaborare per ottenere insieme un risultato, l’abbandonare il desiderio di arrivare primi ed avere successo per mettere invece a disposizione altrui le proprie capacità, il superamento insomma dell’Ego.

Ecco da dove nasce l’idea che la coralità abbia frontiere meno esibizionistiche ma molto solidali con la realtà del vivere quotidiano e con la rigenerazione catartica dell’essere umano: una piccola porzione del bello e del buono, infinita espressione del divino. Pier Paolo Scattolin

Il Corpo Corale Interrogarsi sulla coralità significa rimandare al corpo che canta ma anche al corpo che si pone in relazione con il mondo esterno. Questo dimostrano le prime interazioni dello sviluppo umano nelle quali la scoperta tattile e multisensoriale del corpo è arricchita e significata nell'abbraccio con la figura materna: tanto da risonanze dello stesso registro tattileolfattivo-simbolico, quanto da profonde esperienze vocali che costituiscono e costruiscono le primitive esperienze della coralità.

da destra Pier Paolo Scattolin, Pier Luigi Postacchini, Andrea Angelini, Alessandro Calò, relatori del Convegno; a sinistra Silvia Testoni, direttrice della Corale Cavallini di Modena

Crediamo che sia davvero venuto il momento di riflettere sul fatto che cantare in coro non vuol dire crogiolarsi dell’ammirazione altrui o vincere qualche concorso per dimostrare qualcosa a se stessi e agli altri, bensì riuscire a fare star bene chiunque sia a contatto con noi,

In questa accezione il corpo è tanto importante in quanto possesso di un corpo che ho (il Korper dei fenomenologi) quanto espressione di un vissuto interiore, il corpo che sono (il Leib della stessa fenomenologia).

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Il corpo viene pertanto abilitato alla conoscenza del mondo, ma anche può essere ri-abilitato alla costruzione di legami con la propria espressività ed alla relazione con il mondo esterno. L'esperienza della coralità costituisce un rimando primario a queste esperienze arcaiche e afferisce ed è pertinente a principi integrativi che costituiscono l'essenza della costruzione dell'identità. In questo senso ricordiamo: la integrazione spaziale, e cioè il riconoscimento di rapporti e delle conflittualità tra le varie istanze psichiche; la integrazione temporale, e cioè il riconoscimento della propria identità nonostante il fluire del tempo; infine la integrazione sociale, come gioco e rimando espressivo e comunicativo.

In questi ultimi anni sono state avviate alcune esperienze estremamente ricche e significative nell'ambito della coralità con pazienti portatori di handicap, tanto di natura fisica quanto mentale. Tali esperienze costituiscono un bagaglio ormai ricco sul quale è possibile avviare opportune e approfondite riflessioni. Queste ultime possono costituire la base per la comprensione psicopatologica, ed aiutano a orientare la operatività. Forniscono, inoltre, anche preziose indicazioni sulla genesi dei suoni e la loro articolazione. Pertanto possono costituire fertile materia di studio tanto per gli analisti della musica quanto per i compositori, oltre che per gli operatori della musicoterapia.

L'esperienza di cantare in gruppo costituisce una delle pratiche più profonde di identificazione e di riconoscimento personale: Si caratterizza infatti come appartenenza al gruppo etnico; come appartenenza ad un codice di simboli di significato fonosimbolico universale; come appartenenza a un complesso di regole, ad una sintassi e ad una grammatica, che orientano e organizzano tanto la conoscenza di un linguaggio quanto il fluire dei percorsi comunicativi. In tale contesto le esperienze emozionali costituiscono un supporto sostanziale ai processi comunicativi, sostanziandoli e dando loro contenuto ed orientamento.

Nel suo recente contributo, “Il canto degli antenati”, Steven Mithen analizza quelle espressioni stereotipate che compaiono nel linguaggio e nei mantra indiani, riproponendo il classico lavoro di Wray sulla origine del linguaggio olistico. L'autore contrappone gli studi sulla grammatica, nel linguaggio nella musica, rifacendosi:  ai classici studi di Chomsky sulla grammatica universale, poi ripresi, ma con risultati non brillantissimi, da Lerdhal e Jachendoff;  e agli studi sul ritmo, per descrivere come si modificano nel tempo il linguaggio e la musica, risultando le modificazioni della musica estremamente più veloci del linguaggio.

E’ innegabile come l'esperienza corporea del canto tragga radici dalla percezione dei propri movimenti interiori e fornisca conoscenze e supporto alla regolazione delle proprie reazioni emotive. Queste ultime, legate alla espressività ed al contesto relazionale, costituiscono l'esperienza ideale per vivere intense esperienze emotive di carattere regolativo ed organizzatore sullo sviluppo.

Questi sistemi di significazione sono fondati sulla trasmissione di informazioni e sulla referenzialità tipici del linguaggio, e sugli aspetti manipolativi tipici della musica, e, in parte, anche del linguaggio. Questo significa che non vi è una semplice trasmissione di informazioni

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tra un esecutore attivo e un ascoltatore passivo (pag. 26) quanto piuttosto “una produzione e una simultanea percezione di complessi schemi di suono in movimento” (vedi i “neuroni specchio”).

insieme dovuto alla "relazione- spontaneità quotidianità - artisticità". Il coro «Apparenti Stonature» crede che gli stonati non esistano, in caso contrario sono solo stonature apparenti. La musica funziona solo se sì crea una sottile forma di comunicazione interindividuale che permette di capire "dove tira il vento", quali energie circolano nel gruppo, quale senso ha l'intervento di ognuno in rapporto al tutto. Il percorso si basa sul rapporto "Motivazione/Piacere": la motivazione sta alla base di tutte le azioni umane e quindi di ogni sviluppo.

Rimane il fatto che gli enunciati linguistici sono prevalentemente composizionali, mentre le frasi musicali assumono una natura prevalentemente olistica. Pierluigi Postacchini

Coro “Apparenti Stonature” L’attività del coro “Apparenti Stonature” è iniziata nel 2002 presso il Centro Diurno della UFSMA dell’Az. Usl 5 di Pisa, zona Alta Val di Cecina. Da attività riabilitativa in contesto semiresidenziale, è diventata negli anni attività territoriale con finalità di tipo riabilitativo (attività di gruppo in cui si inserisce il percorso riabilitativo individuale del singolo utente), di inclusione e di comunicazione sociale. Negli ultimi anni si è posta particolare attenzione all’integrazione ed alla collaborazione con agenzie esterne, quali associazioni culturali e di volontariato, aumentando sempre di più le occasioni di contatto e confronto tra il contesto riabilitativo ed il contesto sociale.

Il coro è attualmente composto da circa 32 persone, tra utenti, operatori e volontari, questi ultimi in crescita nell’ultimo anno. E’ diretto dal maestro Alessandro Calò, musicista e musicoterapeuta. In questi anni il coro ha effettuato molti concerti, ricordiamo la partecipazione a congressi regionali, nazionali e ultimamente la partecipazione a diverse apparizioni televisive. Il coro collabora ormai stabilmente con l’Accademia della Musica “ Città di Volterra” l’Istituto comprensivo “Jacopo da Volterra”, attraverso percorsi musicali presso Scuole Materne e elementari di Volterra. Vorremmo concludere l’intervento con un frammento tratto dal Romanzo di Barbery Muriel “L’eleganza del riccio” esempio emblematico di ciò che viene vissuto all’interno del Coro “apparenti stonature” Ogni volta è la stessa storia, mi viene da piangere, ho un nodo alla gola e faccio di tutto per controllarmi, ma quando è troppo è troppo: a stento riesco a trattenermi dal singhiozzare. E quando c’è un canone, guardo per terra perché l’emozione è troppa tutta in una volta. È troppo bello, solidale, troppo meravigliosamente condiviso.

Il Coro “Apparenti Stonature” e’ formato da un gruppo di persone che credono nella Musica. E’ nato dal presupposto che cantare, e soprattutto cantare insieme, è una fra le più belle esperienze concesse all'uomo. I coristi sono persone a cui piace cantare, che vogliono prendere la parola, anche se può essere un sussurro, un grido e una "Apparente Stonatura". Il prodotto che emerge è un

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Io non sono più me stessa, sono parte di un tutto sublime al quale appartengono anche gli altri, e in quei momenti mi chiedo sempre perché questa non possa essere la regola quotidiana, invece di un momento eccezionale del coro.

brani originali composti da alcuni coristi. Inoltre la Cavallini ha, in quest’anno di attività, instaurato rapporti d’amicizia con altri organici sul territorio regionale tali da avviare vivaci scambi di repertori e imparare nuovi canti direttamente dalla fonte.

La Corale Cavallini di Modena Nata nel marzo 2007, la Corale Cavallini di Modena è condivisa da quanti, interessati a coltivare nel tempo libero la propria vocalità intesa come musicalità insita in tutti, riconoscono nell’esercizio del cantare in gruppo una forma sociale di aggregazione attraverso cui rispondere a bisogni di espressione, di stare insieme e di conoscenza. Pensata all’interno del Dipartimento di Salute Mentale di Modena e dedicata a Claudio Cavallini, un pioniere della musicoterapia italiana, la corale trova la giusta collocazione e realizzazione nei progetti avviati da Social Point, progetto che, grazie ad un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, ha tra i suoi primi obiettivi la socializzazione e l’integrazione nel territorio delle persone con disagio psichico.

La Corale Cavallini (nella foto) ha, in questo modo, riunito persone provenienti da ambienti, storie e età differenti, per cantare insieme brani dotati di popolarità e costituire un repertorio di canti da offrire al pubblico. Allora, in occasione di feste, momenti conviviali e iniziative pubbliche la corale si promuove, in modo immediato, come strumento per sensibilizzare i cittadini a una maggiore solidarietà nei confronti delle persone che sono affette da disturbi mentali e superare quei pregiudizi che diffondono esclusione, rifiuto, vergogna e solitudine.

Il coro si incontra tutti i lunedì dalle 15.30 alle 17.30 nella Polisportiva Modena Est. Questa risorsa risulta essere uno degli importanti nodi della rete, intessuta da Social Point, composta da molteplici realtà locali e associazioni di volontariato che sostengono i percorsi di integrazione sociale.

La Corale è ospite di numerose iniziative pubbliche: trasmissioni radiofoniche, feste sociali, manifestazioni musicali e convegni. A questo proposito desidera salutare gli organizzatori, il pubblico e quanti intervenuti lo scorso 23 novembre al VI Festival Corale internazionale Città di Bologna. Il Coro ricorda tutti gli invitati con affetto per il presente coinvolgimento e la co-partecipazione alla riuscita dell’evento.

In polisportiva, quindi, sotto la guida del direttore Silvia Testoni, il coro si esercita al canto: diviene un punto d’incontro per una ventina di persone tra volontari, cittadini e persone con disagio. Il repertorio spazia tra le canzoni dei cantautori italiani, canzoni popolari d'amore, di lotta sociale e partigiana e

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All’interno della corale si è subito discusso di questo importante appuntamento. Grazie all’intervento di Andrea Angelini, l’AERCO ha annunciato di voler sostenere, in vario modo, quei gruppi che si pongono come principale l’obiettivo di avviare dialoghi sull’importanza dell’integrazione in situazioni difficili attraverso la coralità. L’idea di aggiungere alle rassegne organizzate dall’AERCO corali provenienti da esperienze diverse è sembrata a tutti noi un passo di gran valore culturale, in perfetta sintonia con i temi del convegno organizzato dal Coro Euridice. Fare della coralità un’arte fatta di voci, in grado di travalicare le frontiere poste dal pregiudizio, è una visione a noi cara. Con il Coro Euridice abbiamo, invece, stretto un’amicizia improntata sulla disponibilità all’incontro e allo scambio di conoscenze. Ascoltare il coro Apparenti Stonature ci ha aiutato ad avviare riflessioni sulla costituzione della nostra identità musicale, a partire dal confronto con le sue diverse caratteristiche. Tutto questo movimento è stato sostenuto dal dibattito sollevato dallo stimolante intervento di Pier Luigi Postacchini che, a partire dal tema il corpo corale, ha steso una rete di possibili connessioni tra lo sviluppo delle prime interazioni madre-bambino e l’esperienza del cantare in gruppo come sviluppo del senso di identità allacciandosi alle antiche origini sociali della coralità.

ATTIVITA’ FENIARCO

Questo progetto è curato da Fabio Albano, Paolo Curci e gli operatori di Social Point. Per informazioni: f.albano@ausl.mo.it; socialpoint@volontariamo.it tel. 059.213.47.00 o 059.21.20.03 (*) Docente di Direzione di Coro presso il Conservatorio di Musica “G.B. Martini” di Bologna e Direttore del Coro “Euridice” di Bologna.

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Farcoro – esperienze 2

Concorso Corale Internazionale di Rimini Qualcosa in più di una semplice competizione musicale! di Loris Tamburini (*)

Di diritto una menzione d’onore spetta subito al coro vincitore che quest’anno è risultato essere il Coro “Sv. Zlata Menglenska” da Skopje, Macedonia, ma al livello tecnico eccellente che ha contrassegnato tutto il concorso, così come ai volti dei coristi ed ai costumi curati ed assolutamente fantastici come sfondo coreografico, mi piace scoprire qualche altro elemento che ha reso queste giornate particolarmente ricche ed interessanti. Ho partecipato per il secondo anno consecutivo a questa seconda edizione del Concorso e come tanti altri volontari presenti in qualità di assistenti, presentatori, traduttori, tecnici, ho avuto la possibilità di vivere dietro le quinte questa grande esperienza non solo come evento esclusivamente musicale, ma anche e soprattutto come manifestazione sociale e culturale. Si, il cantare insieme è certamente nel nostro e soprattutto in altri paesi, come ad esempio quelli dell’Est Europeo, un grande fenomeno di aggregazione culturale e sociale per coristi di ogni età. Le corali italiane sono spessissimo frutto di aggregazioni fondate su motivazioni religiose, come nei numerosi cori parrocchiali, o da passioni folkloristiche, come nei tanti cori che propongono i canti della ricca tradizione popolare regionale. In ogni caso il corista ha sempre un impegno amatoriale ed una preparazione musicale approssimativa. L’elemento che invece contraddistingue i coristi di molti dei cori ospitati in questi due anni è davvero una grande professionalità, una

perfetta impostazione della voce, ed una eccellente preparazione musicale. Dove nascono queste differenze? Certamente il valore culturale che ogni stato dà ad un fenomeno musicale, come può essere ad esempio quello della coralità, genera poi dei risultati proporzionali. E proprio nella nostra bella Italia, paese ricco culturalmente per tradizione, in questo senso abbiamo visto cadere a picco l’interesse e l’attenzione per ogni forma di manifestazione artistica e culturale.

Per contro, un bell’esempio di come in alcuni stati la musica in generale sia tutt’ora un grande valore aggiunto per la società ce lo ha dato il maestro Vytautas Miskinis, presidente della giuria, nonché presidente dell'Unione dei cori lituani. Nell'ambito del concorso ha tenuto uno stage riservato ai direttori di coro e tutti abbiamo avuto occasione di conoscere

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affascinati le notevoli differenze che esistono nell’approccio e nel sostegno concreto che uno stato certamente povero come la Lituania, dà al fenomeno della coralità. La coralità è una componente onnipresente nella società. I bambini iniziano le loro esperienze di canto nelle scuole elementari, e poi via via, a diversi livelli, la loro vita prosegue parallelamente alla loro esperienza corale. Il cantare nel coro è considerato da stato ed insegnanti un fenomeno aggregativo importantissimo sicuramente più da un punto di vista sociale che religioso, ma attorno alla coralità vengono gestite tante altre attività che mantengono vivo l’interesse ed il coinvolgimento dei ragazzi nel coro, come campi scuola, concerti nei diversi paesi europei, attività sportive, ecc. Dai filmati e dai racconti del maestro Miskinis, ho avuto davvero l’impressione che i coristi fossero parte di una grande famiglia in cui non si mettevano solo in comune le ore dedicate a prove e concerti, ma anche allo studio scolastico, alle partite di pallavolo, alle vacanze estive, e tanto altro. Il coro direi quasi più come fenomeno di aggregazione che di esperienza musicale. E tutti questi momenti vissuti insieme dai coristi mi hanno riportato inevitabilmente col pensiero allo standard del nostro giovane adolescente italiano chiuso nella sua cameretta a chattare o inviare sms come forme ormai quasi esclusive di comunicazione e socializzazione.

legge nazionale in alcuni paesi dell'Est che obbliga il governo a sponsorizzare determinati eventi musicali di grande importanza e lo Stato se ne fa carico volentieri perché ritiene che grazie al fenomeno della coralità tanti giovani vengano sottratti alla strada ed alla delinquenza. Un investimento quindi non solo con finalità culturali, ma anche sociali. Come dire, meglio prevenire che curare … Vorrei concludere quindi con un invito alle nostre amministrazioni locali a guardare questi eventi con maggiore fiducia e generosità, in un’ottica non solo vincolata esclusivamente ad un’analisi costibenefici di natura economica, ma anche e soprattutto di natura sociale e culturale, beni questi che costituiscono davvero il patrimonio più importante ed invidiato di uno stato e di una società. Un altro invito lo rivolgo ad Andrea Angelini, l’organizzatore del Concorso Internazionale, di continuare con orgoglio e rinnovato impegno questo percorso, per poter avere anche nei prossimi anni splendide e costruttive occasioni di confronto musicale, culturale e sociale. L'appuntamento e l'invito a tutti alla prossima edizione 2009 del Concorso che si svolgerà sempre a Rimini dal 9 all'11 ottobre! Info a www.riminichoral.it (*) Direttore del Coro Polifonico “Nostra Signora di Fatima” di Rivabella di Rimini.

Tanti bambini scoprono piccolissimi a scuola il coro, crescono nel coro fino ad arrivare a quelle splendide formazioni universitarie che vediamo qui a Rimini al Concorso Internazionale! Ovvio che tanta cura per tanti anni, tanta passione, tante ore condivise insieme, con la direzione di validissimi musicisti possano portare poi i frutti che abbiamo sentito risuonare nel teatro Novelli di Rimini. E come può lo Stato farsi carico di tutto questo? Esiste addirittura una

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Farcoro – esperienze

Una ispirante esperienza Quando porre le giuste domande diventa fondamentale……. di Andrea Angelini (*)

Ogni tanto ho il privilegio di essere chiamato a far parte delle Giurie di Concorsi Corali Internazionali. Mi piace questo tipo di esperienza soprattutto perché il dover seguire e valutare gruppi, cori ed artisti è per me fonte di arricchimento professionale e personale. Qualche anno fa ricordo che ad un grande Festival in Inghilterra conobbi una collega di giuria, Vivien Pike, che aveva avuto una lunga carriera sia come direttrice di cori, insegnante in tutta Europa ed esperta di problemi di vocalità. Una mattina, durante i giorni del Festival, saputo che stava conducendo un Masterclass per cantanti, le chiesi se potevo seguire le lezioni, giusto come spettatore. Così, non appena la classe di concorso dove ero impegnato in giuria finì la sua prova, mi precipitai nella sala dove stava iniziando la sua lezione. Arrivai mentre un cantante stava tornando al suo posto e così sedetti, senza disturbare, nelle ultime sedie della stanza. Tirai fuori il mio fido notebook per scrivere tutto ciò che poteva essermi utile ricordare di quella lezione.

l’onere di imparare i nomi dei corsisti così da essere in grado di comunicare con loro in modo molto diretto evitando di dire solamente “Il prossimo, prego”.

Michael, un tenore allampanato e di statura elevata, si avviò nervosamente verso la pedana. Guardò verso il pianista collaboratore, si schiarì la gola e cominciò a cantare, purtroppo per lui, poco bene. Finita la sua esibizione ci fu da parte dei presenti un applauso di circostanza. Da lì a poco mi sarei aspettato che la Sig.ra Pike gli dicesse, pubblicamente, che avrebbe dovuto studiare molto di più per giungere a livelli accettabili. Invece lei lo guardò in modo

Lei stava seduta su una sedia vicino al pianoforte a coda, su un bassa pedana alla fine della sala, guardava verso i partecipanti seduti ed ad un certo punto disse: “Bene, Michael, vorresti venire qui a cantare qualcosa per noi?” Io annotai sul mio notebook “conosce il suo nome”; è stata questa la prima importante lezione che ho appreso quella mattina. Vivien si era presa

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incoraggiante e disse “Bene, Michael, quale era l’argomento del brano che hai appena cantato?” Lui la guardò un poco perplesso e rispose: “E’ la storia di due giovani innamorati”. “Sì” – aggiunse lei – “e cosa succede nel primo verso?” Michael ci pensò un attimo e disse “Il ragazzo dice questo e questo…. alla ragazza”. “Quasi giusto, Michael, ma cosa pensi che egli stesse veramente provando mentre glielo diceva?” La domanda colpì nel segno perché Michael, quasi subito, rispose: “Io credo che lui stesse pensando questo e questo….”. Poi Vivien, allo stesso modo, lo fece riflettere sul significato del secondo verso (altro non era che la risposta della giovane innamorata al suo ragazzo). Naturalmente Michael non aveva mai assolutamente considerato il significato vero del brano e così le domande della Sig.ra Pike lo avevano fatto riflettere molto più in profondità. Lei, continuando allo stesso modo per tutti gli altri versi, lo aiutò a ricreare nella sua mente cosa realmente stesse succedendo tra i due ragazzi, protagonisti di quel canto.

differenza ora! Quando eseguì il primo verso, interpretando l’innamorato, fremeva con grande veemenza mentre quando cantò la replica della giovane lo fece con delicatezza e passione. Fu una magnifica esecuzione che fece risorgere il brano a nuova vita e che gli riservò un tumultuoso applauso. Cosa e quanto disse Vivien per ispirare Michael a cambiare tanto drammaticamente la “performance”? Non disse proprio nulla! Si era semplicemente adoperata a tirar fuori da quel cantante quanto egli aveva nel suo animo ma che, inconsapevolmente, aveva relegato in uno spazio non accessibile agli abituali automatismi. Io ero stupito da quello che Vivien aveva raggiunto solamente ponendo le giuste domande e sono sicuro che non avrebbe mai potuto realizzare quella mutazione impartendogli delle “aride considerazioni tecnico-vocali”. Non ho mai più dimenticato quell’esperienza perché essa ha cambiato il mio modo d’insegnare. Quando lavoro con il Coro, cerco sempre di fare riflettere i cantori con domande del tipo: “Abbiamo veramente cominciato insieme?”, “Abbiamo cominciato il crescendo troppo piano o troppo forte?”, “C’era una nota sbagliata in quella battuta; qual’era? Chi mi può cantare quella giusta?” Porre la domanda corretta è un modo infallibile per assicurarsi che i cantanti ricorderanno al concerto quanto appreso durante le prove, proprio perché lo avranno fatto da loro stessi e solo con l’ausilio di piccoli stimoli utili a ragionare. Il mio debito a Vivien, per il metodo che quel giorno mi ha insegnato, è immenso e sono sicuro che esso sarà utile anche a tutti i colleghi direttori!

Vivien non diede a lui alcun aiuto o consiglio di cosa dovesse fare per migliorare la tecnica vocale. No! Dopo avergli solamente rivolto quelle domande sul significato del pezzo, tutto ciò che aggiunse fu: “Bene Michael, ti prego di cantare nuovamente quel brano per me!”. E Michael cantò ancora. Ma, mio Dio, con quale

(*) Direttore di FARCORO, dell’Ensemble Vocale “Musicaficta” e del Coro Polifonico “Carla Amori” di Rimini.

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Farcoro – composizioni

Il mare è tutto azzurro Omaggio a Sandro Penna di Daniele Venturi

Analisi poetico-musicale

Analisi formale

In questa composizione corale su testo poetico di Sandro Penna ho filtrato numerosi aspetti mutuati dal mondo popolare, in particolare dal lavoro di ricerca, ascolto e trascrizione estemporanea che ho svolto dal 1987 ad oggi in numerose zone dell'Appennino emiliano e al porto di Messina.

Il brano è diviso in quattro zone formali: la prima va da battuta 1 a battuta 6, la seconda da battuta 7 a battuta 13, la terza da battuta 14 a battuta 18 e l'ultima da battuta 19 al fine. Ognuna di queste zone ha una propria dialettica musicale definita: la prima è propositiva, cioè propone un'idea musicale, la seconda è sospensiva e riprende l'idea musicale precedente con alcune varianti, la terza ha un carattere evolutivo, è da considerarsi come la zona di sviluppo della composizione, mentre l'ultima è conclusiva, andando a chiudere il discorso musicale.

Talvolta non ho registrato nulla, ma ho invece cercato di memorizzare o di trascrivere estemporaneamente su carta i numerosi dati musicali che ho udito. Spesso in questi luoghi, vive ancora un mondo ancestrale, con la presenza simultanea, di stratificazioni sonore di grande interesse polifonico.

La prima zona formale è caratterizzata dalla presenza di otto figure musicali, con diverse varianti di esse, che verranno riprese e variate nel corso del brano e che costituiscono il materiale germinante della composizione.

Ho cercato quindi di metabolizzare questo interessante e fantastico mondo sommerso e di reinventarlo in una serie di composizioni che vanno da Colapisci e il ponte sospeso (2003), opera in atto unico su libretto di Federico Berti, a questa, Il mare è tutto azzurro (2007), su testo poetico di Sandro Penna. La scrittura vocale è assai variegata e utilizza oltre alla maniera ordinaria di cantare, anche la voce parlata e gridata, con intonazione su tre registri: grave, medio e acuto, oltre a numerosi effetti onomatopeici e modalità di canto mediterranei. Continue acciaccature e frullati sulle consonanti sonore, oltre a momenti di grandissimo lirismo, come sulla parola cuore punto culminante del brano. Numerosi gli effetti madrigalistici e toccanti, in un contesto armonico ricco di dissonanze dolci e di mescolanze trai vari modi dell'uso vocale.

Ai bassi è affidata una figura di sfondo, dal carattere onomatopeico e madrigalistico allo stesso tempo. I tenori cantano una specie di grido nel registro medio della voce, mentre i contralti fanno da sfondo sonoro articolando un fraseggio più ricco. La presenza del portato ed in seguito del frullato della lingua sulla consonante r della parola mar, sono riconducibili a modalità presenti sia nel canto popolare, che in buona parte della musica colta contemporanea. Nel soprano sono evidenti alcuni modi di canto extraeuropei e acciaccature accentate, che calcano il transitorio d'attacco del suono vocale, ricordando alcuni colpi di glottide usati dai cantori nella musica libanese.

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Seguono due figure altrettanto interessanti: la prima il glissando, è mutuato dalla forma del lamento, che nel canto popolare è una delle massime espressioni drammatiche e dolorose. La seconda, il trillo (di seconda maggiore), è utilizzato dialetticamente come figura dal carattere sospensivo già presente ampiamente nella musica antica.

muovono all'interno della seconda maggiore (sol-la). Tutto ciò lascia presagire la conclusione di questa seconda zona che avviene a battuta 13, con i soprani nel registro grave estremo (si-do), quasi immobili e con tutte le voci del coro racchiuse nell'estensione di una terza minore (la-do). Tre suoni diatonici (la-si-do) a parti molto strette vanno a creare, una sonorità dolce e malinconica, con la presenza di un gioco imitativo all'unisono tra i soprani e i bassi. La voce più scura della sezione maschile nel registro acuto della voce, acquista qui un timbro molto particolare, quasi fanciullesco. I contralti per quasi tutta la battuta 13 fungono da basso d'armonia (la sotto il rigo). Questa altezza è rafforzata dai bassi all'unisono, solamente nell'ultimo ottavo della stessa battuta.

Appare innovativa invece la tecnica di pressione sul petto, che ricorda il lieve vibrato che si può produrre con gli armonium indiani, mentre il frullato sulla consonante r che abbiamo già incontrato nella figura di sfondo del contralto è una trasposizione vocale di una tecnica di largo impiego nella produzione del suono del flauto traverso. Al fine della battuta 5 si trova la prima conclusione in sospensione con l'intervallo di settima minore (do#-si) che sintetizza anche l'estensione di registro del coro, che è compresa in questo intervallo.

La terza zona è quella di sviluppo, cioè di evoluzione dei disegni precedenti e del graduale raggiungimento del climax (culmine espressivo).

Dall'ultimo ottavo di battuta 5 abbiamo il ritorno del coro parlato, nel registro gravissimo delle voci, che amplificano il significato del testo della parola calmo. Il potere semantico della scrittura è rafforzato inoltre, dalla dinamica assai ridotta delle voci.

Questa zona comincia con la polarità che ha caratterizzato l'inizio del brano (il fa# posto sul primo spazio nella chiave di sol) per raggiungere con un glissando ascendente l'ottava superiore (fa# sul quinto rigo). La scala utilizzata è di quattro suoni (re#-mi-fa#-sol) con alternanza di semitono, tono, semitono. A queste tre altezze si aggiunge la ripresa della polarità di si, nota più acuta della zona precedente e suono conclusivo della prima scala di sette suoni.

Nella seconda zona (batt.7-13) c'è la ripresa del materiale precedente (batt.1-6), con la trasposizione della polarità iniziale un'ottava giusta verso il basso. Inoltre, all'aspetto ritmico del coro parlato affidato a soprani e contralti, si aggiunge la tecnica del frullato di lingua e quella di pressione sul petto, si crea così un gioco di echi in contrappunto quadruplo tra le varie voci. È una sorta di effetto delay (ritardo) costruito non elettronicamente, ma con la scrittura musicale. A battuta 9 si aggiunge alla commistione delle varie figure viste in precedenza, l'improvviso sprofondamento dei contralti nel registro gravissimo della voce (sol sotto il rigo).

Abbiamo quindi la presenza di un solo suono non udito il re#, che chiude il disegno della voce dei contralti a battuta 15. Il forte slancio di battuta 14 è enfatizzato dall'improvviso innalzamento della dinamica (mf-f-ff) sul raggiungimento della parola cuore, ed è un chiaro esempio di madrigalismo dal carattere espressivo. Quindi un gioco imitativo tra le tre voci superiori sfocia nel punto culminante del brano (batt.16) con i soprani che raggiungono il sol sopra al rigo, con una graduale dissolvenza dello

La profondità e la dolcezza timbrica delle voci femminili sono amplificate dalla dinamica molto ridotta (p-mp fino al nulla) e dall'estensione limitata delle voci stesse, che si

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l'intervallo di 20a maggiore (dal sol sul primo rigo in chiave di fa al mi sul quarto spazio in chiave di sol). La scala utilizzata è la seguente (mi-fa-sol-la-sib-sibeq.-do), con la comparsa degli ultimi tre suoni che vanno a completare il totale cromatico (dodici suoni della scala cromatica, producibili sui tasti bianchi e neri del pianoforte) il fa, il sib e il do. La disposizione delle voci nell'accordo finale tiene in considerazione il concetto fisico degli armonici, cioè la maggior distanza tra il primo ed il secondo armonico, in questo caso tra la voce dei bassi e quella dei tenori. Come accade quindi nello spettro delle armoniche di un suono, gli intervalli vanno a stringersi dal basso verso l'alto. Questo principio sta alla base, inoltre, delle regole dell'armonia classica e dei principi di orchestrazione. Entrambi i concetti bandiscono gli intervalli stretti tra le due voci più gravi, salvo la ricerca di un particolare colore vocale o orchestrale (si vedano a proposito gli interessanti libri di Nikolaj Rimskij-Korsakov Manuale d'armonia e Principi d'orchestrazione).

spessore vocale, che porta ad una sorta di “assolo” dei soprani stessi, nella parola urlo. L'idea poetica è quella del grido solitario, quasi una sorta di “voce nel deserto”. In questa zona è anche presente un notevole ampliamento del registro vocale, che è compreso all'interno della 13a minore (si sotto il rigo- sol sopra il rigo della chiave di sol) e che contribuisce ad aumentare la tensione espressiva del brano. Segue la conclusione (batt.17-18) con il coro nel registro acuto della voce gridata sulla parola di gioia, che mette in luce un'altra idea madrigalistica, rafforzata dal fatto che l'indicazione del registro nella voce parlata o gridata è puramente indicativa: ne uscirà, sopratutto in un coro molto numeroso, un affascinante cluster vocale. La quarta parte è di carattere conclusivo e va dalla battuta 19 al fine. La scelta del registro delle voci è abbastanza particolare: i bassi iniziano il loro disegno da una nota grave, il la sul primo spazio in chiave di basso e si muovono con una sorta di dolce cantilena all'interno dell'intervallo di terza minore (la-sibsol). I tenori invece sono nella tessitura vocale acuta (fa-mi-re), nel particolare registro di falsetto, mentre ai contralti è affidato il registro centrale della voce, nell'estensione compresa all'interno della quarta giusta (mi-fa-sol-la). Nella voce di contralto ricompaiono, inoltre, alcune figurazioni onomatopeiche di carattere mediterraneo, che erano presenti nella prima zona a battuta 4, mentre ai soprani è affidato un registro vocale medio-acuto compreso nell'intervallo di quinta giusta (la-mi) e l'intervallo di terza minore, che nel mondo popolare simboleggia la morte. È una chiara rappresentazione sonora della morte graduale, a cui il mare sta andando incontro, per mano dell'uomo.

Un esempio corale assai interessante nel '900 storico è l'Ave Maria di Igor Strawinsky, dove il concetto della distanza tra le voci gravi è assai forzato nella battuta 16 della composizione: abbiamo qui infatti due esempi di intervallo di dodicesima giusta tra basso e tenore (sol-re/ lami) sulla parola ventris tui. Questo lavoro, come altre mie composizioni di questi anni, intende sensibilizzare le coscienze sulle sorti del nostro pianeta e la salvaguardia dell'ambiente contro un “progresso” che non sempre tutela l'uomo e il suo habitat naturale. Un sentito ringraziamento al nuovo direttore della rivista Farcoro Andrea Angelini, per avermi coinvolto in questa avventura, alquanto faticosa, che è “l'autoanalisi”, compito che talvolta, può risultare più impegnativo della composizione stessa del brano.

Nel finale vi è l'idea di grande apertura del registro, una sorta d'imitazione di un ampia onda del mare, o di ultimo sussulto di esso. Il registro vocale si amplia assai, comprendendo

Daniele Venturi

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Daniele Venturi nasce a Porretta Terme in provincia di Bologna nel 1971.

per voce recitante ed elettronica, quelle per Ombre di luci (2008) per mimo, arpa e live electronics, dedicate all'arpista Paola Perrucci e le musiche di scena per Ricor-dare (2008-2009) per controtenore, violino e live electronics su testi dei deportati nei campi di concentramento.

Compositore e direttore di coro tra i più apprezzati della giovane generazione, è diplomato in Musica Corale e Direzione di Coro e in Composizione. Si è perfezionato in Composizione con Giacomo Manzoni, Fabio Vacchi e Ivan Fedele e in Direzione d'orchestra con Piero Bellugi. Ha seguito inoltre le masterclasses di Franco Donatoni, Adriano Guarnieri, Gérard Grisey, Jean Jacques Nattiez, Luis de Pablo e Fausto Razzi. E' fondatore e direttore del coro d'ispirazione popolare Gaudium e dell'ensemble vocale Arsarmonica, con cui approfondisce in particolare, il repertorio corale contemporaneo.

Per coro a cappella o con accompagnamento organistico si contano ad oggi sette lavori: Il bambino che gioca (1998) per voce recitante e coro da camera su testo poetico di Franco Fortini, Il mare è tutto azzurro (2007) per coro da camera su testo di Sandro Penna, L'anima (2007-2008) per coro da camera su testo di Sabina Guidotti, Agnus Dei II (2007-2008) per coro misto a cappella inserito nel progetto della Missa Eclectica, Kyrie (20082009) per coro misto a cappella, Ave Maria (2008) per coro a otto voci e O sacrum convivium (2009) per coro misto e grande organo. Ha ricevuto commissioni da importanti enti e sue composizioni sono state eseguite in numerosi festival di musica contemporanea da artisti di fama internazionale. Nel marzo del 2009 è stato tra i due compositori italiani selezionati, per rappresentare l'Italia al convegno internazionale dell' I.A.M.I.C. a Toronto (International Association of Music Information Centers). Nel settembre del 2009 uscirà il suo primo disco "Quattro lembi di cielo", che comprende dodici lavori cameristici, per l'etichetta discografica Bongiovanni di Bologna.

Trai suoi oltre sessanta lavori spicca la produzione teatrale: Colapisci e il ponte sospeso (2003) su libretto di Federico Berti (secondo premio ex-equo al concorso internazionale di composizione Gino Contilli di Messina 2003), Il Festino in tempo di peste (2004) da Alexandr Puskin, opera in un atto unico per soli, triplo coro misto e grande orchestra, le musiche di scena per Giuda (2006) monologo teatrale di Sabina Guidotti per violoncello e live electronics, le musiche di scena per Typhoon (2007) da Joseph Conrad

[sito web: www.danielventuri.it]

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Farcoro – curiosità

Erisimo, l’erba dei cantanti Buono da sapere! di Pierfranco Pucci Ho un amico, che canta. Su suo invito, mi è capitato di assistere alle prove del suo Coro. Prima della prova dei brani in repertorio, il maestro dirige i coristi in una vera e propria “ginnastica” per le corde vocali. Tale prassi previene, di certo, eventuali inconvenienti a carico delle corde vocali stesse. Con questo mio amico in alcune circostanze ci siamo intrattenuti in merito ad aspetti correlati all’attività del canto. Egli lamentava, talvolta, nel corso di un concerto, di non avere dato il meglio di sé, accusando fastidio “fisico” nel cantare. Approfondita la questione dal mio punto di vista, quello di persona con una certa familiarità professionale con le problematiche dell’alimentazione, ho rilevato in questo corista alcune abitudini alimentari non corrette per chi si appresta ha sostenere un impegno di canto. Questi i suggerimenti che potrebbero interessare anche a tutti coloro che frequentano un'attività corale. In primo luogo, mantenere le corde vocali sempre idratate, non solo bevendo molta acqua durante le 24 ore, ma anche assumendo frutta e verdura. Tale precauzione tende a favorisce e mantenere l’elasticità delle corde vocali. In secondo luogo, nelle tre ore antecedenti il concerto, conviene evitare di assumere un pasto copioso. Sempre è poi da evitare l’assunzione di sostanze come caffè, bibite ricche in caffeina, alcolici e sostanze irritanti come, ad esempio, peperoncino e salse piccanti. Altre regole: non fumare; quando possibile far riposare la voce; mantenere una giusta umidità ambientale. Chi fa uso impegnativo della voce rischia nell’incappare in un disturbo che costringe l’interessato a rinunciare per qualche giorno non solo a cantare, ma pure a parlare. Mi riferisco alla “raucedine”, variazione del timbro vocale, non volutamente provocata, tale da

rendere il suono emesso nel parlare più stridulo e acuto (raucedine “aspra”), oppure roco (raucedine “secca”). La voce risulta diversa dal solito, fino ad arrivare quasi all’afonia temporanea (incapacità totale di emettere suoni). Per riprendersi da questo caratteristico abbassamento di voce una cura naturale è quella di far ricorso a preparazioni a base di Sisymbrium officinale, pianta conosciuta col nome di “Erisimo” e di “erba dei cantanti”. Si tratta di una pianta officinale, di cui si utilizzano in erboristeria le infiorescenze e le foglie. Questa pianta si è rivelata particolarmente efficace proprio nel risolvere problemi di gola come afonia e raucedine. L’Erisimo è comune nei terreni incolti e vicino ai centri abitati in tutta Europa. Il nome Erisimo deriva dal greco “Euro” (io salvo) e “Oimos” (il canto), mentre il nome botanico Sisymbrium sarebbe una dedica a “Sisymbria”, attrice dell’antica Grecia. Per il suo contenuto in composti solforati, all’Erisimo si ascrivono proprietà soprattutto antinfiammatorie, emollienti e antispastiche per le vie respiratorie. Tale indicazione appare coerente con i principi della stessa medicina classica, che consiglia cure termali solforose per alleviare e risolvere i disturbi alle vie respiratorie. Dal punto di vista pratico, il mio amico ha trovato giovamento per risolvere le sue ricorrenti raucedini assumendo un infuso di Erisimo, preparato con 4 grammi della porzione aerea della pianta in 100 ml di acqua: addolcire molto, eventualmente con miele e assumere una tazza, a cucchiai, nelle 24 ore. Attenzione: quando l’abbassamento di voce è associato a raffreddore, tosse, laringite e faringite per la cura occorre rivolgersi comunque al proprio medico di fiducia. Pierfranco Pucci

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Farcoro – notizie

Al via il Corso AERCO per Direttori Grande attesa per un’importante iniziativa Dalla Redazione

AERCO organizza un corso di formazione per

materia. E' gratuito per i residenti della Regione

Direttori di Coro, destinato a coloro che

Emilia-Romagna, mentre per gli aspiranti allievi

intendono acquisire una preparazione specifica

provenienti da altre regioni è prevista una quota

nel campo della direzione corale sia legata al

di € 70. Si ritiene importante che il corsista

repertorio colto che popolare, approfondendo

abbia una buona conoscenza delle elementari

conoscenze e criteri didattici sulla fisiologia

basi teoriche: solfeggio, armonia (almeno sulla

della voce, sull'analisi, sulle basi teoriche, sulla

natura degli accordi), lettura cantata e

concertazione,

e

conoscenza legata all'ascolto delle forme

sull'interpretazione. Inoltre due ultimi incontri

più significative della letteratura corale sia

separati

e

antica che contemporanea. Anche gli allievi

sull'informatica musicale saranno di sicuro

uditori, oltre a far parte del Coro Laboratorio,

interesse perchè il direttore moderno è

potranno

chiamato oggigiorno ad occuparsi anche di

esercitazioni pratiche legate alla concertazione,

questi aspetti. Il corso si articolerà in sette

alla gestualità finalizzate all'interpretazione.

incontri

prima

L'Associazione spedirà ai maestri iscritti le

domenica del mese in orari pomeridiani, dalle

partiture utili per il lavoro di concertazione e

15 alle 19, a partire dal 4 ottobre, e si terrà alla

direzione. Alla fine del Corso verrà rilasciato un

"Tiz", sede del Coro Stelutis, via Pallavicini 21,

attestato di frequenza ai partecipanti che

Bologna (salvo alcuni incontri che, per motivi

avranno seguito almeno 5 incontri sui 7

logistici, verranno effettuati altrove e dei quali si

previsti. Le iscrizioni si ricevono entro il 15

darà comunicazione ai coristi a tempo debito).

Settembre e potranno essere formalizzate

Il corso è aperto a un massimo di 20 allievi

compilando il form online disponibile sul sito

effettivi, mentre non c'è limite per gli allievi

www.aerco.it, oppure inviando il modulo sotto

uditori, tra i quali saremo lieti di ospitare anche

riportato alla Segretaria AERCO per posta

coristi interessati all'approfondimento di questa

oppure per e-mail (aercobologna@libero.it)

sulle

sulla

gestualità

problematiche

mensili,

generalmente

gestionali

la

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partecipare

direttamente

alle


Questo il Calendario degli incontri e i temi delle lezioni:

4 ott. 2009

Dr. F. FUSSI (Foniatra) G. GIOVANNINI (cantante e vocal trainer)

Fisiologia della voce, respirazione, vocalità

8 nov. 2009

M° M. PIGAZZINI (Dir. coro Farnesiano – Piacenza)

Vocalità infantile

13 dic. 2009

M° M. GEMMANI (maestro della Cappella Marciana – Venezia)

Gestualità e tecnica della direzione 1 (repertorio corale classico)

10 gen. 2010

M° F. FANTUZZI (Dir. coro “La Baita” – Scandiano e Presidente AERCO)

Gestualità e tecnica della direzione 2 (repertorio corale popolare)

7 feb. 2010

M° G. MONICA (Dir. coro “Montecastello” – Parma e Vicepresidente AERCO)

Analisi di partiture polifoniche corali, classiche e popolari, e relativa concertazione

M° A. ANGELINI (Dir. coro “Carla Amori” – Rimini e Direttore del giornale “FarCoro”) 7 mar. 2010

Ing. P. PUCCI (Presidente coro “Stelutis” – Bologna e segretario AERCO)

Problematiche di gestione organizzativa, amministrativa ed artistica dei cori

4 apr. 2010

M° E. MAZZONI (Dir. coro “Gerberto” – Bobbio PC e Webmaster sito AERCO)

Informatica applicata alla coralità

Il luogo del Corso (La Tiz, sede del Coro Stelutis di Bologna, Via Pallavicini 21):

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