Claps. Alla scoperta della civiltà dei sassi

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gli identikit della fede

David Maria Turoldo, di Coderno, il poeta vestito di saio che predicò povertà e umanità; la meretese Concetta Bertoli, che sapeva cavare la gioia dalle sofferenze più atroci; Jacopo Pirona, l’abate di Dignano in cui si mescolano parola divina e parola friulana; Gilberto Pressacco, da Turrida di Sedegliano, il musicografo di Dio; Gian Domenico Bertoli, Mereto di Tomba, canonico dell’Aquileia cristiana e cultore di quella romana. Eppoi il flaibanese Celso Cescutti, detto Argeo, che Pasolini annoverò tra i migliori poeti dialettali italiani e, ancora, Angelo Pittana, nom de plume Agnul di Spere, ingegnere laureato alla Normale di Pisa, lirico e traduttore di Prévert e Hemingway. Eccoli, i nomi e cognomi della civiltà dei claps. Perché la cultura di un territorio non è fatta soltanto dei segni che si porta appiccicati addosso: il disegno intatto di borghi millenari, le pale sferraglianti dei mulini, i meandri verdeazzurri del Tagliamento, le oscure e fascinose rovine preistoriche, i fiduciosi bastioni contro le invasioni barbare, le chiese affrescate nei silenzi campestri ci mettono davanti al naso le risposte di pietra, bellezza e fatica che quassù, in un’arida eppure amatissima spianata ai limiti del mondo, gli uomini hanno saputo dare alle sollecitazioni della storia. Ma gli strumenti degli uomini non sono soltanto i sassi di fiume, le macine di pietra, gli argini di terra, i penneli e gli scalpelli: l’arma più forte, tra i claps, è sempre stata quella, invisibile e finale, della fede. Fede che innalza i tumuli principeschi dell’età del bronzo, cementa le comunità sbigottite dalla brutalità del turco, ingentilisce gli altari fastosi della Controriforma, certo, ma anche fede che governa le vie dei cuori e dei cervelli, costruendo modelli di coraggio, santità, erudizione, poesia. L’identità di un luogo, come le sue case e i suoi santuari, non si dà da sé: occorre che qualcuno disegni le fondamenta, pronunci una predica, scriva un verso, riscopra una verità. Illumini di senso uno spazio neutro. Turoldo, Concetta e Gian Domenico Bertoli, Pirona, Pressacco, Cescutti e Pittana, così, non sono soltanto i nomi di uomini e donne che hanno tradotto l’adesione incrollabile a un ideale più alto in opere e biografie diverse, ma tutte segnate da una forza irripetibile, bensì ‘sono’ il territorio stesso dei clòps, allo stesso modo in cui il corso deviato di una roggia o il sistema a corte di una casa di sasso sono la traccia galleggiante di una memoria comune. Che siano nati tutti qui, tra il Tagliamento e il Corno, lungo la ‘linea della sete’ che segna la pianura sopra la linea delle risorgive, non è, in fondo, l’elemento che ci sta più a cuore: ciò che conta, infatti, è che senza Sedegliano, Mereto, Flaibano e Dignano, la loro grandezza resterebbe inspiegata, le loro voci senza peso. Prendete David Maria Turoldo, forse la più conosciuta tra queste icone di Credo e cultura: «Ho sempre portato con me tutto il mio paese, convinto che ognuno porta con sé un baricentro», confessa nella propria autobiografia il frate servita partito da una Coderno poverissima (dove oggi è possibile visitare la sua casa natale, trasformata in museo e centro culturale [65]), e con i più poveri, come lui, spietata, per diventare filosofo, predicatore, poeta, 108

la fabbrica dell’acqua

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