Paesaggi letterari. Le prose di Sergio Maldini nei quadri di Errante Parrino

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PAESAGGI LETTERARI Le prose di Sergio Maldini nei quadri di Errante Parrino


Sergio Maldini, prefazione a “Errante Parrino. Quadri di Viaggio, Edizioni La Bassa, ottobre 1996”

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Pittore e scrittore, questo Dodo Errante Parrino è un perenne transfuga da se stesso, tra Venezia e il Friuli, tra la grande madre adriatica e la solitudine del più estremo Nord Est. Se Venezia gli ha dato i natali, la cultura e una memoria storica dalla quale non si prescinde, il Friuli diventa una specie di patria adottiva, in cui trasalire certe domeniche invase dai rintocchi delle campane e riflettere sulle ragioni della propria esistenza. Si aggiunga che Dodo Errante Parrino è in parte sardo: di qui una tendenza all’insularità che spesso in Friuli diventa una condizione umana, se non il senso di una reiezione o una colpa. «Sono nato veneziano» confessa, «e possedendo la normale intolleranza di un adolescente non del tutto stupido, crescendo tra gondolette con la musichina, fidanzatini di vetro e falsi Guardi, ho provato disgusto per questo armamentario di cianfrusaglie create ad uso turistico». Venezia, inoltre, rivela la sua povertà dietro «vetrine fatue e luminose» e in «magazzini scalcinati, appartamenti decrepiti, impianti precari, rattoppi, negoziucci periferici». È il momento in cui Errante Parrino si sente stanco della condotta di una madre truffaldina, e allora emigra in Friuli dove il mondo è più nudo, più netto, più puro, forse più misterioso: la sua (del Friuli) malinconia non deriva da depositi culturali, da una immedesimazione storicistica del passato, ma piuttosto da una natura che ha pudore di sè. Errante Parrino compie coscienziosamente il suo petit tour, e descrive pagina dopo pagina i luoghi che dipinge: se i controlli sono ancora quelli di un veneziano colto, cresciuto fra antiquari scaltri e visitatori cosmopoliti, la materia poetica della sua pittura si direbbe provocata dalle epifanie friulane. O si tratta di un’osmosi tra Venezia e Santa Marizza, di investimenti reciproci, della necessita di un «altro da sè» per dare più forza al proprio gesto creativo? Di certo i vagabondaggi di Errante Parrino ricordano, con Ie dovute proporzioni, quelli ad es. di un Henry James sospeso fra la sua terra americana e la Parigi di Maupassant e di Flaubert, o più tardi, di un P.M. Pasinetti oscillante tra la California e il Canal Grande, con la nostalgia perpetua di un altrove in cui rinvenire un «io» più stabile e forse più felice. Ma questa non è la sola duplicità di Errante Parrino. L’altra è la concorrenza di pittura e scrittura. Anche qui si tratta di gelosi prestiti interni: sono i paesaggi da portare sulla tela a sollecitare la scrittura, o viceversa? Errante Parrino non viene mai meno a un certo estetismo nella vita (ha fatto anche l’attore e il regista teatrale), e non è escluso che un aggettivo possa fargli usare un blu di Prussia o che, al contrario, un verde Veronese susciti in lui il desiderio di descrivere una calle veneziana: lo scrittore e il pittore si ricongiungono. Comunque egli continua a dipingere paesaggi del Friuli dove «torno puntuale ogni domenica come si usava fare con Ie morose lontane». E i dipinti eccoli qui, in questa mostra coerente e organica, che indica perfettamente la parabola culturale del suo autore. In effetti Errante Parrino dipinge sempre lo stesso quadro, anche se eterogenei gli stimoli mondani e Ie suggestioni della memoria, E l’«unico» quadro di Errante Parrino rivela sempre una restituzione metafisica della realtà: pareti cieche abitate da un lungo silenzio interiore, scure masse vegetali, i cieli indistinti della laguna veneta, Ie linee geometriche di una rigorosa concezione dello spazio. Siamo fra De Chirico, Morandi, Carrà , e forse Rosai e un sospetto di Mondrian. Ma di fatto, tra lo stupore morandiano e il mistero di un De Chirico, esiste una cifra che appartiene a Errante Parrino, e a Errante Parrino soltanto. II veneziano deluso della «falsità» degli orpelli lagunari, usa tutta la propria intelligenza pittorica per darci un Friuli privo di connotati naturalistici, consegnato a quel linguaggio di muri sfumati e celesti, superfici di una dolce tinta marrone, di cui dicevamo, o alle striscie di qualche americano della pop art. I valori cromatici sono avvolti dall’antica sonnolenza degli stessi oggetti rappresentati. La carica magica, ancestrale, prototipica del Friuli più profondo, si riversa in componenti materiche di alto profilo, permeate di quella che, con un termine antiquato, definiremmo tout court poesia.

/ 00 Salvatore Errante Parrino al lavoro nel suo studio di Santa Marizza (Varmo) Foto Vinicio Scortegagna

Qualcosa di Hopper, qualcosa di De Chirico. Le considerazioni di natura estetica finiscono prima di cominciare. Chi scrive mastica di arti figurative quel tanto che il tempo libero gli permette di frequentare musei e gallerie. Chi scrive, però, condivide con il pittore Errante Parrino un’inclinazione di altra natura, quella letteraria, dove già si respira un’aria di famiglia. Inclinazione specifica: un romanzo contro un romanzo. L’autore, lo stesso: Sergio Maldini. Il romanzo – la nostra passione condivisa - “La stazione di Varmo”, 1994, nato come sequel – richiesto dall’editore Cesare De Michelis – de “La casa a Nord-Est”, premio Campiello 1992. Parrino, di Maldini amico e vicino di casa a Santa Marizza di Varmo, confessa di preferire « da sempre i suoi monologhi» e lo trova «eccezionale nel descrivere i paesaggi». Monologhi e paesaggi, ecco “La stazione di Varmo”, superiore alla sua più blasonata sorella anche per struttura narrativa. Che, oltre a rivelarsi sicura nelle ampie digressioni colte – mai fini a se stesse, sempre affini al suo autore - sta soprattutto nella novità (rispetto alla “Casa”, ma anche al più remoto “I sognatori”, premio Hemingway-Mondadori 1952) dell’io narrante, contrapposto a un alter ego che cela, dietro la maschera del personaggio Gregotti, tre persone reali. Una è Maldini – il sé sognato, avventurosamente aperto alla vita - l’altra Elio Bartolini – l’esprit de finesse insospettabile sotto una fitta coltre di prosa, la terza, appunto, Errante Parrino – veneziano con una storica camiceria in calle Vallaresso, creduto antiquario nella realtà, e pirandellianamente costretto a indossarne la maschera nel romanzo. «Per la mia passione riguardante l’antico – ci spiega Parrino - molti a Santa Marizza, e lo stesso impresario, cui avevo affidato i lavori di ristrutturazione del rustico che oggi abito insieme a mia moglie Federica, credevano che facessi l’antiquario: quando conobbi Maldini, gli raccontai le mie avventure come ricercatore di cose antiche e dissi che ero riuscito a trovare presso un raccoglitore due opere inedite di Girolamo Brusaferro, pittore veneziano vissuto tra la fine del seicento e gli inizi del settecento. Ma Maldini seppe subito della mia reale professione…». Un “tormentone” - quello del Brusaferro, nome che l’autore della “Stazione” credette a lungo frutto di uno dei beffardi divertissement parriniani - capace di restituire immediatamente quell’atmosfera – a metà tra l’allegra Accademia da gentiluomini di campagna e l’ombrosa separatezza dell’intellettuale nauseato dalla città – che, vivi Maldini Bartolini (e vegeto) Errante Parrino – fu Santa Marizza, quattro case e tre artisti sprofondati «tra il sonno e una misteriosa felicità» (“Stazione”, cap. I). Il veneziano che – ancora tra le pagine della “Stazione” - restaura una casa vicino a quella del narratore, alimentando una patologica ansia di possesso verso la stessa Santa Marizza, «piccola isola dorata nel dormiente arcipelago della Bassa» (cap. XIII), il veneziano con cui – rotto il ghiaccio di una naturale diffidenza - condividere giochi letterari e omaggi poetici di sapore alessandrino è sempre lui, Salvatore Errante Parrino che – come in un racconto di Borges –nella quotidianità paesana si trasforma paradossalmente in un alias di Gregotti: «L’identificazione Gregotti- Errante venne subito avvertita da chi ci conosceva, ma in modo esagerato e distorto, sino a pensare – Gregotti nel romanzo si ammala e giunge a essere in punto di morte - che io veramente fossi malato». Nell’ottobre 1996, due anni dopo “La stazione di Varmo”, sarà lo stesso Maldini – chiamato a prefare (il testo maldiniano è riprodotto integralmente in seconda di copertina, ndr) un altro catalogo di “Dodo”, epiteto condiviso dalla moglie Federica Ravizza – a cancellarlo pubblicamente dall’anagrafe di carta, restituendolo a una (seppur vagamente sognante) realtà biografica: «Pittore e scrittore, questo Dodo Errante Parrino è un perenne transfuga da se stesso, tra Venezia e il Friuli, tra la grande madre adriatica e la solitudine del più estremo Nord-Est. Se Venezia gli ha dato i natali, la cultura e una memoria storica dalla quale non si prescinde, il Friuli diventa una specie di patria adottiva». Ed è ancora il Friuli, quello del progetto “Terre di Mezzo”, sette Comuni che si guardano dalle due rive del Tagliamento, sprofondati nel verde e nel silenzio della media pianura, a dare asilo a questa nuova mostra di “Dodo il transfuga”, una monografica di venticinque tele appaiate ad altrettante scelte antologiche che Parrino ha tratto dalla “Stazione” e che stanno lì a dimostrare – se di dimostrare ancora si sentisse il bisogno – che tra gli alias reali dell’io narrante e di Gregotti «c’era sintonia, perché parecchi dei dipinti esposti non sono stati realizzati per questa mostra, ma coincidono egualmente con le atmosfere del romanzo». « Voleva che gli insegnassi l’uso del colore – rivela infine l’artista - e ci sarebbero stati altri bei battibecchi. Era un amico: peccato, è morto prima». Davide Lorigliola Coordinatore progetto “Terre di Mezzo”


Sergio Maldini, prefazione a “Errante Parrino. Quadri di Viaggio, Edizioni La Bassa, ottobre 1996”

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Pittore e scrittore, questo Dodo Errante Parrino è un perenne transfuga da se stesso, tra Venezia e il Friuli, tra la grande madre adriatica e la solitudine del più estremo Nord Est. Se Venezia gli ha dato i natali, la cultura e una memoria storica dalla quale non si prescinde, il Friuli diventa una specie di patria adottiva, in cui trasalire certe domeniche invase dai rintocchi delle campane e riflettere sulle ragioni della propria esistenza. Si aggiunga che Dodo Errante Parrino è in parte sardo: di qui una tendenza all’insularità che spesso in Friuli diventa una condizione umana, se non il senso di una reiezione o una colpa. «Sono nato veneziano» confessa, «e possedendo la normale intolleranza di un adolescente non del tutto stupido, crescendo tra gondolette con la musichina, fidanzatini di vetro e falsi Guardi, ho provato disgusto per questo armamentario di cianfrusaglie create ad uso turistico». Venezia, inoltre, rivela la sua povertà dietro «vetrine fatue e luminose» e in «magazzini scalcinati, appartamenti decrepiti, impianti precari, rattoppi, negoziucci periferici». È il momento in cui Errante Parrino si sente stanco della condotta di una madre truffaldina, e allora emigra in Friuli dove il mondo è più nudo, più netto, più puro, forse più misterioso: la sua (del Friuli) malinconia non deriva da depositi culturali, da una immedesimazione storicistica del passato, ma piuttosto da una natura che ha pudore di sè. Errante Parrino compie coscienziosamente il suo petit tour, e descrive pagina dopo pagina i luoghi che dipinge: se i controlli sono ancora quelli di un veneziano colto, cresciuto fra antiquari scaltri e visitatori cosmopoliti, la materia poetica della sua pittura si direbbe provocata dalle epifanie friulane. O si tratta di un’osmosi tra Venezia e Santa Marizza, di investimenti reciproci, della necessita di un «altro da sè» per dare più forza al proprio gesto creativo? Di certo i vagabondaggi di Errante Parrino ricordano, con Ie dovute proporzioni, quelli ad es. di un Henry James sospeso fra la sua terra americana e la Parigi di Maupassant e di Flaubert, o più tardi, di un P.M. Pasinetti oscillante tra la California e il Canal Grande, con la nostalgia perpetua di un altrove in cui rinvenire un «io» più stabile e forse più felice. Ma questa non è la sola duplicità di Errante Parrino. L’altra è la concorrenza di pittura e scrittura. Anche qui si tratta di gelosi prestiti interni: sono i paesaggi da portare sulla tela a sollecitare la scrittura, o viceversa? Errante Parrino non viene mai meno a un certo estetismo nella vita (ha fatto anche l’attore e il regista teatrale), e non è escluso che un aggettivo possa fargli usare un blu di Prussia o che, al contrario, un verde Veronese susciti in lui il desiderio di descrivere una calle veneziana: lo scrittore e il pittore si ricongiungono. Comunque egli continua a dipingere paesaggi del Friuli dove «torno puntuale ogni domenica come si usava fare con Ie morose lontane». E i dipinti eccoli qui, in questa mostra coerente e organica, che indica perfettamente la parabola culturale del suo autore. In effetti Errante Parrino dipinge sempre lo stesso quadro, anche se eterogenei gli stimoli mondani e Ie suggestioni della memoria, E l’«unico» quadro di Errante Parrino rivela sempre una restituzione metafisica della realtà: pareti cieche abitate da un lungo silenzio interiore, scure masse vegetali, i cieli indistinti della laguna veneta, Ie linee geometriche di una rigorosa concezione dello spazio. Siamo fra De Chirico, Morandi, Carrà , e forse Rosai e un sospetto di Mondrian. Ma di fatto, tra lo stupore morandiano e il mistero di un De Chirico, esiste una cifra che appartiene a Errante Parrino, e a Errante Parrino soltanto. II veneziano deluso della «falsità» degli orpelli lagunari, usa tutta la propria intelligenza pittorica per darci un Friuli privo di connotati naturalistici, consegnato a quel linguaggio di muri sfumati e celesti, superfici di una dolce tinta marrone, di cui dicevamo, o alle striscie di qualche americano della pop art. I valori cromatici sono avvolti dall’antica sonnolenza degli stessi oggetti rappresentati. La carica magica, ancestrale, prototipica del Friuli più profondo, si riversa in componenti materiche di alto profilo, permeate di quella che, con un termine antiquato, definiremmo tout court poesia.

/ 00 Salvatore Errante Parrino al lavoro nel suo studio di Santa Marizza (Varmo) Foto Vinicio Scortegagna

Qualcosa di Hopper, qualcosa di De Chirico. Le considerazioni di natura estetica finiscono prima di cominciare. Chi scrive mastica di arti figurative quel tanto che il tempo libero gli permette di frequentare musei e gallerie. Chi scrive, però, condivide con il pittore Errante Parrino un’inclinazione di altra natura, quella letteraria, dove già si respira un’aria di famiglia. Inclinazione specifica: un romanzo contro un romanzo. L’autore, lo stesso: Sergio Maldini. Il romanzo – la nostra passione condivisa - “La stazione di Varmo”, 1994, nato come sequel – richiesto dall’editore Cesare De Michelis – de “La casa a Nord-Est”, premio Campiello 1992. Parrino, di Maldini amico e vicino di casa a Santa Marizza di Varmo, confessa di preferire « da sempre i suoi monologhi» e lo trova «eccezionale nel descrivere i paesaggi». Monologhi e paesaggi, ecco “La stazione di Varmo”, superiore alla sua più blasonata sorella anche per struttura narrativa. Che, oltre a rivelarsi sicura nelle ampie digressioni colte – mai fini a se stesse, sempre affini al suo autore - sta soprattutto nella novità (rispetto alla “Casa”, ma anche al più remoto “I sognatori”, premio Hemingway-Mondadori 1952) dell’io narrante, contrapposto a un alter ego che cela, dietro la maschera del personaggio Gregotti, tre persone reali. Una è Maldini – il sé sognato, avventurosamente aperto alla vita - l’altra Elio Bartolini – l’esprit de finesse insospettabile sotto una fitta coltre di prosa, la terza, appunto, Errante Parrino – veneziano con una storica camiceria in calle Vallaresso, creduto antiquario nella realtà, e pirandellianamente costretto a indossarne la maschera nel romanzo. «Per la mia passione riguardante l’antico – ci spiega Parrino - molti a Santa Marizza, e lo stesso impresario, cui avevo affidato i lavori di ristrutturazione del rustico che oggi abito insieme a mia moglie Federica, credevano che facessi l’antiquario: quando conobbi Maldini, gli raccontai le mie avventure come ricercatore di cose antiche e dissi che ero riuscito a trovare presso un raccoglitore due opere inedite di Girolamo Brusaferro, pittore veneziano vissuto tra la fine del seicento e gli inizi del settecento. Ma Maldini seppe subito della mia reale professione…». Un “tormentone” - quello del Brusaferro, nome che l’autore della “Stazione” credette a lungo frutto di uno dei beffardi divertissement parriniani - capace di restituire immediatamente quell’atmosfera – a metà tra l’allegra Accademia da gentiluomini di campagna e l’ombrosa separatezza dell’intellettuale nauseato dalla città – che, vivi Maldini Bartolini (e vegeto) Errante Parrino – fu Santa Marizza, quattro case e tre artisti sprofondati «tra il sonno e una misteriosa felicità» (“Stazione”, cap. I). Il veneziano che – ancora tra le pagine della “Stazione” - restaura una casa vicino a quella del narratore, alimentando una patologica ansia di possesso verso la stessa Santa Marizza, «piccola isola dorata nel dormiente arcipelago della Bassa» (cap. XIII), il veneziano con cui – rotto il ghiaccio di una naturale diffidenza - condividere giochi letterari e omaggi poetici di sapore alessandrino è sempre lui, Salvatore Errante Parrino che – come in un racconto di Borges –nella quotidianità paesana si trasforma paradossalmente in un alias di Gregotti: «L’identificazione Gregotti- Errante venne subito avvertita da chi ci conosceva, ma in modo esagerato e distorto, sino a pensare – Gregotti nel romanzo si ammala e giunge a essere in punto di morte - che io veramente fossi malato». Nell’ottobre 1996, due anni dopo “La stazione di Varmo”, sarà lo stesso Maldini – chiamato a prefare (il testo maldiniano è riprodotto integralmente in seconda di copertina, ndr) un altro catalogo di “Dodo”, epiteto condiviso dalla moglie Federica Ravizza – a cancellarlo pubblicamente dall’anagrafe di carta, restituendolo a una (seppur vagamente sognante) realtà biografica: «Pittore e scrittore, questo Dodo Errante Parrino è un perenne transfuga da se stesso, tra Venezia e il Friuli, tra la grande madre adriatica e la solitudine del più estremo Nord-Est. Se Venezia gli ha dato i natali, la cultura e una memoria storica dalla quale non si prescinde, il Friuli diventa una specie di patria adottiva». Ed è ancora il Friuli, quello del progetto “Terre di Mezzo”, sette Comuni che si guardano dalle due rive del Tagliamento, sprofondati nel verde e nel silenzio della media pianura, a dare asilo a questa nuova mostra di “Dodo il transfuga”, una monografica di venticinque tele appaiate ad altrettante scelte antologiche che Parrino ha tratto dalla “Stazione” e che stanno lì a dimostrare – se di dimostrare ancora si sentisse il bisogno – che tra gli alias reali dell’io narrante e di Gregotti «c’era sintonia, perché parecchi dei dipinti esposti non sono stati realizzati per questa mostra, ma coincidono egualmente con le atmosfere del romanzo». « Voleva che gli insegnassi l’uso del colore – rivela infine l’artista - e ci sarebbero stati altri bei battibecchi. Era un amico: peccato, è morto prima». Davide Lorigliola Coordinatore progetto “Terre di Mezzo”


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S. Errante Parrino La salita della risorgiva, 2007 Olio su tela, cm 70x40

S. Errante Parrino Orizzonte, 2005 Olio su tela, cm 50X60

«Nella Bassa ci sono più cieli e pianure che persone, i giorni trascorrono poveri di imprevisti, il silenzio del NordEst è un silenzio speciale, senza i piccoli crepitii e interruzioni degli altri silenzi europei. La nostra pace non ammette deroghe. Siamo tagliati fuori dal mondo, viviamo tra il sonno e una misteriosa felicità»

«Da bambino fissavo con terrore l’acqua immota del grande foro cilindrico, acqua che dicevano venisse da un fiume sotterraneo o dalla falda di una risorgiva»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1


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S. Errante Parrino La salita della risorgiva, 2007 Olio su tela, cm 70x40

S. Errante Parrino Orizzonte, 2005 Olio su tela, cm 50X60

«Nella Bassa ci sono più cieli e pianure che persone, i giorni trascorrono poveri di imprevisti, il silenzio del NordEst è un silenzio speciale, senza i piccoli crepitii e interruzioni degli altri silenzi europei. La nostra pace non ammette deroghe. Siamo tagliati fuori dal mondo, viviamo tra il sonno e una misteriosa felicità»

«Da bambino fissavo con terrore l’acqua immota del grande foro cilindrico, acqua che dicevano venisse da un fiume sotterraneo o dalla falda di una risorgiva»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1


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/ 04

S. Errante Parrino Villa - lato nord, 2007 Olio su tela cm 50x40

S. Errante Parrino La villa rosa, 2007 Olio su tela, cm 30x40

«Imitava la classica villa veneta, con un atrio centrale e due corpi laterali a un piano, di vaga impronta palladiana. So per certo che era appartenuta a tali conti Pagnacco, ricordati solitamente per la grande avarizia ed essere stati degli inguaribili baciapile»

«Avevo sempre di fronte le finestre chiuse, di abete scuro, con le bandelle arrugginite, e se da una parte una casa deserta suscita il senso di un abbandono e di una vita conclusa prima del tempo, dall’altra godevo tutti i vantaggi della libertà»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1


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S. Errante Parrino Villa - lato nord, 2007 Olio su tela cm 50x40

S. Errante Parrino La villa rosa, 2007 Olio su tela, cm 30x40

«Imitava la classica villa veneta, con un atrio centrale e due corpi laterali a un piano, di vaga impronta palladiana. So per certo che era appartenuta a tali conti Pagnacco, ricordati solitamente per la grande avarizia ed essere stati degli inguaribili baciapile»

«Avevo sempre di fronte le finestre chiuse, di abete scuro, con le bandelle arrugginite, e se da una parte una casa deserta suscita il senso di un abbandono e di una vita conclusa prima del tempo, dall’altra godevo tutti i vantaggi della libertà»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1


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/ 06

S. Errante Parrino La casa sul fiume, 2005 Olio su tela, cm 40x30

S. Errante Parrino La casa del romanzo, 2009 Olio su tela, cm 60x80 «Il fiume non si vedeva ma percepivamo il suo respiro nel vuoto della pianura. Nubi sfilacciate, portate dal vento, incombevano talvolta sul letto pietroso del fiume, e davano a quel paesaggio il profilo fuggitivo di un Nord del mondo sorvolato da uccelli affamati e anitre selvatiche»

«Lo spazio che separa la mia casa da quella dei Pagnacco non sarà più lo stesso: finestre chiuse da mezzo secolo si riapriranno, deboli rumori di stoviglie verranno dalla cucina, una faccia sconosciuta getterà uno sguardo distratto al pozzo in mezzo al cortile»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1


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S. Errante Parrino La casa sul fiume, 2005 Olio su tela, cm 40x30

S. Errante Parrino La casa del romanzo, 2009 Olio su tela, cm 60x80 «Il fiume non si vedeva ma percepivamo il suo respiro nel vuoto della pianura. Nubi sfilacciate, portate dal vento, incombevano talvolta sul letto pietroso del fiume, e davano a quel paesaggio il profilo fuggitivo di un Nord del mondo sorvolato da uccelli affamati e anitre selvatiche»

«Lo spazio che separa la mia casa da quella dei Pagnacco non sarà più lo stesso: finestre chiuse da mezzo secolo si riapriranno, deboli rumori di stoviglie verranno dalla cucina, una faccia sconosciuta getterà uno sguardo distratto al pozzo in mezzo al cortile»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 1


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S. Errante Parrino Le palle azzurre, 2008 Olio su tela, cm 70x50

S. Errante Parrino Santa Marizza, 2006 Olio su tela, cm 30x40 «Lo vedevo tornare dall’Arsenale, la sera, proprio dove Venezia si allarga e le nubi corrono più veloci sospinte dal vento, e sul lucido selciato giocano ragazzi con palle di pezza celeste, e le finestre e i portoni hanno tutti un’aria metafisica alla Magritte; forse pensava al trumoncino del Seicento o al Brusaferro, contrattati con altri antiquari figli di puttana come lui, o se invece pensava alla brevità della vita?»

«La poesia della vita è qui a Varmo, in questa campagna sconsolata, in questo cortile senza rumore, dove da un momento all’altro Gregotti dovrà pur venire»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 2

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 2


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S. Errante Parrino Le palle azzurre, 2008 Olio su tela, cm 70x50

S. Errante Parrino Santa Marizza, 2006 Olio su tela, cm 30x40 «Lo vedevo tornare dall’Arsenale, la sera, proprio dove Venezia si allarga e le nubi corrono più veloci sospinte dal vento, e sul lucido selciato giocano ragazzi con palle di pezza celeste, e le finestre e i portoni hanno tutti un’aria metafisica alla Magritte; forse pensava al trumoncino del Seicento o al Brusaferro, contrattati con altri antiquari figli di puttana come lui, o se invece pensava alla brevità della vita?»

«La poesia della vita è qui a Varmo, in questa campagna sconsolata, in questo cortile senza rumore, dove da un momento all’altro Gregotti dovrà pur venire»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 2

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 2


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/ 10

S. Errante Parrino La villa dell’antiquario, 2008 Olio su tela, cm 150x100

«Non voglio notizie! Voglio che tra me, la mia casa, la mia Varmo, e tutto l’altro universo, esista una distanza incolmabile e che il mio sonno della ragione non venga turbato dai pettegolezzi di un falso sapere. Niente mezzi di trasporto, giornali, dibattiti televisivi sulla caducità dei governi centrali, niente divi, anchormen, presentatori con la cultura di una trota… Non voglio notizie! Ambisco unicamente a starmene qui, con il privato ronzio del mio cuore, con i miei Longobardi uccisi dal tempo e dagli storiografi…» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 4

S. Errante Parrino Varmo, 2009 Olio su tela, cm 30x40

«L’unica speranza che mi resta è la noia di Varmo: se Gregotti si annoierà di Varmo, del suo clima appartato e forastico, allora sì, tornerebbe a Venezia per sempre, lasciandomi unico signore di quest’area incontaminata» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 6


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S. Errante Parrino La villa dell’antiquario, 2008 Olio su tela, cm 150x100

«Non voglio notizie! Voglio che tra me, la mia casa, la mia Varmo, e tutto l’altro universo, esista una distanza incolmabile e che il mio sonno della ragione non venga turbato dai pettegolezzi di un falso sapere. Niente mezzi di trasporto, giornali, dibattiti televisivi sulla caducità dei governi centrali, niente divi, anchormen, presentatori con la cultura di una trota… Non voglio notizie! Ambisco unicamente a starmene qui, con il privato ronzio del mio cuore, con i miei Longobardi uccisi dal tempo e dagli storiografi…» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 4

S. Errante Parrino Varmo, 2009 Olio su tela, cm 30x40

«L’unica speranza che mi resta è la noia di Varmo: se Gregotti si annoierà di Varmo, del suo clima appartato e forastico, allora sì, tornerebbe a Venezia per sempre, lasciandomi unico signore di quest’area incontaminata» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 6


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/ 12 S. Errante Parrino Periferia udinese, 2009 Olio su tela, cm 30x40

S. Errante Parrino La villa dal muretto rosa, 1999 Olio su tela, cm 70x50

«Quelle mattine di agosto, in un’Udine spalancata e senza rumore…Veniva a prendermi il mio compagno di classe Girolamo Passons, andavamo al campo Moretti in bicicletta. La città dormiva colpita a morte dall’estate, per le strade non c’era nessuno» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 7

/ 13 S. Errante Parrino Campagna friulana, 2009 Olio su tela, cm 30x70

«Siamo alla fine di settembre, le foglie della vite hanno preso quella tinta gialla e scarlatta che prelude all’inverno, una tenue malinconia è nel cielo di Varmo»

«No, Chiasiellis non la conosce, ma il nome di Driolassa non gli è nuovo. E poi c’è tutta la pianura al di là del Tagliamento, dico, con prati lisci come biliardi, e piccole città dai muri rosa»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 6

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 7


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S. Errante Parrino La villa dal muretto rosa, 1999 Olio su tela, cm 70x50

«Quelle mattine di agosto, in un’Udine spalancata e senza rumore…Veniva a prendermi il mio compagno di classe Girolamo Passons, andavamo al campo Moretti in bicicletta. La città dormiva colpita a morte dall’estate, per le strade non c’era nessuno» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 7

/ 13 S. Errante Parrino Campagna friulana, 2009 Olio su tela, cm 30x70

«Siamo alla fine di settembre, le foglie della vite hanno preso quella tinta gialla e scarlatta che prelude all’inverno, una tenue malinconia è nel cielo di Varmo»

«No, Chiasiellis non la conosce, ma il nome di Driolassa non gli è nuovo. E poi c’è tutta la pianura al di là del Tagliamento, dico, con prati lisci come biliardi, e piccole città dai muri rosa»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 6

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 7


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S. Errante Parrino Il fiume e la campagna, 2000 Olio su tavola, 32x51

«Andava a camminare lungo il Varmo, nella strada che da Gradiscutta conduce a Codroipo, dove non c’era mai nessuno, e un boschetto di pioppi cresce solitario tra i ciuffi di verzura di un eden perduto» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 9

/ 16 S. Errante Parrino Le pietre e il fiume, 2009 Olio su tela, cm 50x70

S. Errante Parrino Inverno, 2009 Olio su tela, cm 50x70

«La neve continuò a cadere tutto il pomeriggio, e poi di sera e di notte. Aveva raggiunto i venti centimetri, e il silenzio della pianura, già abituale per noi, si allargò, si ingigantì, e ci fece sentire come naufraghi in un continente sepolto»

«Il Varmo…Da Ippolito Nievo in poi eravamo stati piuttosto inflessibili nella sua custodia. Nemmeno a Pasolini avevamo concesso gran che, lui se ne stava sul Tagliamento al di là da l’aghe appunto, con i suoi attoniti giovani contadini di Casarsa. Adesso arrivava un forestiero, un veneziano, e rubava il nostro Varmo. Gregotti, il ladro del Varmo…»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 8

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 9


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S. Errante Parrino Il fiume e la campagna, 2000 Olio su tavola, 32x51

«Andava a camminare lungo il Varmo, nella strada che da Gradiscutta conduce a Codroipo, dove non c’era mai nessuno, e un boschetto di pioppi cresce solitario tra i ciuffi di verzura di un eden perduto» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 9

/ 16 S. Errante Parrino Le pietre e il fiume, 2009 Olio su tela, cm 50x70

S. Errante Parrino Inverno, 2009 Olio su tela, cm 50x70

«La neve continuò a cadere tutto il pomeriggio, e poi di sera e di notte. Aveva raggiunto i venti centimetri, e il silenzio della pianura, già abituale per noi, si allargò, si ingigantì, e ci fece sentire come naufraghi in un continente sepolto»

«Il Varmo…Da Ippolito Nievo in poi eravamo stati piuttosto inflessibili nella sua custodia. Nemmeno a Pasolini avevamo concesso gran che, lui se ne stava sul Tagliamento al di là da l’aghe appunto, con i suoi attoniti giovani contadini di Casarsa. Adesso arrivava un forestiero, un veneziano, e rubava il nostro Varmo. Gregotti, il ladro del Varmo…»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 8

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 9


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S. Errante Parrino Friuli, 2008 Olio su tela, cm 70x50

S. Errante Parrino In penombra, 2007 Olio su tavola, cm 30x40

«Allora in quelle albe disperate uscivo dalla corte. C’erano ancora le penombre turchine del cielo notturno. Poi, con la nascita del giorno, il cortile si rischiarava, e io sfioravo le finestre di Gregotti»

«La mattina presto la campagna si dilatava in pigri respiri. Appariva addormentata, madida di sonno, ma qua e là un crepitio impercettibile veniva dalla terra»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 10

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 10


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S. Errante Parrino Friuli, 2008 Olio su tela, cm 70x50

S. Errante Parrino In penombra, 2007 Olio su tavola, cm 30x40

«Allora in quelle albe disperate uscivo dalla corte. C’erano ancora le penombre turchine del cielo notturno. Poi, con la nascita del giorno, il cortile si rischiarava, e io sfioravo le finestre di Gregotti»

«La mattina presto la campagna si dilatava in pigri respiri. Appariva addormentata, madida di sonno, ma qua e là un crepitio impercettibile veniva dalla terra»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 10

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 10


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S. Errante Parrino Lo Stellini, 2009 Olio su tela, cm 40x50

S. Errante Parrino La chiesa di Santa Marizza, 2008 Olio su tela, cm 30x40

«Lo Stellini eccolo là, forse era un convento, o un monastero, e ha sempre l’aria di un palazzotto con un passato»

«Qui la pianura è orizzontale come un mare calmo, senza il minimo soffio di vento: si vedono una chiesetta, le terre arate, i pacifici alberi, nevi lontane sui monti. Santa Marizza è una piccola isola dorata nel dormiente arcipelago della Bassa»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 11

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 13


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S. Errante Parrino Lo Stellini, 2009 Olio su tela, cm 40x50

S. Errante Parrino La chiesa di Santa Marizza, 2008 Olio su tela, cm 30x40

«Lo Stellini eccolo là, forse era un convento, o un monastero, e ha sempre l’aria di un palazzotto con un passato»

«Qui la pianura è orizzontale come un mare calmo, senza il minimo soffio di vento: si vedono una chiesetta, le terre arate, i pacifici alberi, nevi lontane sui monti. Santa Marizza è una piccola isola dorata nel dormiente arcipelago della Bassa»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 11

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 13


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S. Errante Parrino La villa, 2005 Olio su tela, cm 50x40

S. Errante Parrino Villa Mainardi a Gorizzo, 1997 Olio su tela, cm 50x40

«La casa dei Bellavitis stava tra la villa e il castello, con un portale ad arco, una torre sovrastante sui muri qua e là ciechi, o tagliati da sottili feritoie»

«Andavo a trovare i Bellavitis soprattutto d’inverno, nella loro grande casa dai caminetti accesi. Fuori c’era il vento freddo del Sud-Est europeo, che veniva dalle brughiere russe e si univa alle bore triestine. D’inverno la bassa rivelava un grigiore natalizio, la terra e il cielo senza soluzioni di continuità, in un orizzonte color piombo»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 14

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 14


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S. Errante Parrino La villa, 2005 Olio su tela, cm 50x40

S. Errante Parrino Villa Mainardi a Gorizzo, 1997 Olio su tela, cm 50x40

«La casa dei Bellavitis stava tra la villa e il castello, con un portale ad arco, una torre sovrastante sui muri qua e là ciechi, o tagliati da sottili feritoie»

«Andavo a trovare i Bellavitis soprattutto d’inverno, nella loro grande casa dai caminetti accesi. Fuori c’era il vento freddo del Sud-Est europeo, che veniva dalle brughiere russe e si univa alle bore triestine. D’inverno la bassa rivelava un grigiore natalizio, la terra e il cielo senza soluzioni di continuità, in un orizzonte color piombo»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 14

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 14


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S. Errante Parrino Pianura, 2007 Olio su tela, cm 70x50

S. Errante Parrino Pallore di un rustico, 2009 Olio su tela, cm30x40

«Gregotti si ammalò. La sua malattia diffuse un’ombra di grande tristezza nel nostro cortile. Guardavamo le imposte semichiuse della sua casa sperando di vederlo riapparire, sorridente e disinvolto come sempre. Sapevo che dormiva in una camera a Ovest , sulla campagna aperta, dove c’era un pioppeto»

«Sì, sono solo, mi dicevo. Il mare della pianura, sterminato e grigiastro come un oceano, non vedevo terra da nessuna parte, una pena profonda in petto, l’acqua a destra, a sinistra e dappertutto, il cielo indifferente, e una grande paura di inabissarmi»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 15

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 21


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S. Errante Parrino Pianura, 2007 Olio su tela, cm 70x50

S. Errante Parrino Pallore di un rustico, 2009 Olio su tela, cm30x40

«Gregotti si ammalò. La sua malattia diffuse un’ombra di grande tristezza nel nostro cortile. Guardavamo le imposte semichiuse della sua casa sperando di vederlo riapparire, sorridente e disinvolto come sempre. Sapevo che dormiva in una camera a Ovest , sulla campagna aperta, dove c’era un pioppeto»

«Sì, sono solo, mi dicevo. Il mare della pianura, sterminato e grigiastro come un oceano, non vedevo terra da nessuna parte, una pena profonda in petto, l’acqua a destra, a sinistra e dappertutto, il cielo indifferente, e una grande paura di inabissarmi»

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 15

Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 21


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S. Errante Parrino Santa Marizza, 2009 Olio su tela, cm 60x80

«Santa Marizza non si vedeva, ma si intuiva dai tetti rossastri e scombinati che disegnavano il profilo all’orizzonte. Era, Santa Marizza, il tiepido nido che un Patriarca dell’Anno Mille aveva adagiato sulla terra soffice delle risorgive. Nella profonda quiete dei suoi cortili alcuni centenari senza ricordi piantavano gli occhi rimpiccioliti contro la forte luce del cielo friulano, riluttanti a morire. Anch’io ero riluttante a morire» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 21


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S. Errante Parrino Santa Marizza, 2009 Olio su tela, cm 60x80

«Santa Marizza non si vedeva, ma si intuiva dai tetti rossastri e scombinati che disegnavano il profilo all’orizzonte. Era, Santa Marizza, il tiepido nido che un Patriarca dell’Anno Mille aveva adagiato sulla terra soffice delle risorgive. Nella profonda quiete dei suoi cortili alcuni centenari senza ricordi piantavano gli occhi rimpiccioliti contro la forte luce del cielo friulano, riluttanti a morire. Anch’io ero riluttante a morire» Sergio Maldini. La stazione di Varmo. cap. 21


Il presente catalogo e la relativa mostra sono stati realizzati nell’ambito del 3. Festival regionale del racconto nelle Terre di Mezzo Comuni di Camino al Tagliamento, Casarsa della Delizia, Codroipo, Colloredo di Monte Albano, Varmo, Cordovado, Sedegliano Assessorati regionali alla Cultura e alle Attività produttive www.terredimezzo.fvg.it

Foto Vinicio Scortegagna / Grafica Chiara Bonan / Stampa Arti Grafiche Friulane - IMOCO spa. Tutti i diritti riservati - settembre 2009


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