Noi matti

Page 1

Noi matti

(talvolta gli scemi, pi첫 spesso il villaggio)


«I miei vangeli non sono quattro... Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo De Andrè, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori.» Don Andrea Gallo (1928 – 2013)



Era il 1971 e Fabrizio De Andrè pubblicava il concept album Non al denaro, non all’amore né al cielo



I testi arrivavano dai lontani villaggi statunitensi di Lewistown e Petersburg‌



‌e Fernanda Pivano con un registratore sotto il letto di nascosto gli strappava un’intervista



I testi delle canzoni sono liberamente ispirati alle poesie dell’intramontabile Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters, pubblicata definitivamente nel 1916.



244 personaggi, ormai morti, riflettono, in forma di epitaffio, sulla loro esistenza, ritrovando, quasi paradossalmente, quella capacitĂ di comunicare che non avevano avuto in vita.




La prima edizione italiana dell’Antologia venne pubblicata il 9 marzo del 1943, nella traduzione di Fernanda Pivano che racconta:



Ero una ragazza quando ho letto per la prima volta Spoon River: me l'aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c'è tra la letteratura americana e quella inglese



Iniziò così a tradurre segretamente quei testi per avvicinarsi di più ai personaggi, alla loro “scarna semplicità”. Poi un giorno Pavese scoprì quelle traduzioni e convinse l’editore Einaudi a pubblicarle.



Ma era l’epoca del ventennio fascista e tutto ciò che arrivava dall’estero era guardato con sospetto, soprattutto se arrivava dagli Stati Uniti ed esprimeva idee libertarie. Pavese riuscì ad eludere la censura trasformando il titolo da Spoon River in un improbabile San River.




«Era superproibito quel libro in Italia”, racconta la Pivano, “Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare [...], e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto»



Grazie a questa coraggiosa traduzione, De Andrè legge l’opera a 18 anni, gli resta dentro e ci torna per trasformarla in musica.

L’operazione chirurgica a cui sottopone i testi, come lui stesso ebbe modo di affermare in un’intervista alla Pivano, aveva come scopo quello di “strapparli “alla piccola borghesia della piccola America del 1919 ed inserirli nel nostro tipo di vita sociale”.


Sceglie 9 fra i 244 personaggi, toglie loro il nome e il cognome che avevano nell’Antologia, per renderli piÚ universali; talvolta modifica leggermente le vicende di ciascuno per ragioni compositive fino a schierarli lÏ, nell’ordine:


Un matto


Un giudice


Un blasfemo


Un malato di cuore


Un medico


Un chimico


Un ottico



Per la stesura dei testi, De Andrè collabora con Giuseppe Bentivoglio, mentre gode del contributo di un giovanissimo Nicola Piovani per le musiche.



Tutti i brani avrebbero meritato la nostra attenzione, ma noi ne abbiamo scelto uno che abbiamo sentito più vicino al nostro mondo e che ci ha colpito per la sua attualità: Un matto, un testo ispirato alle vicende di Frank Drummer, che ha come temi l’invidia e l’emarginazione.





Il matto di cui si parla è un giovane balbuziente che ha un mondo nel cuore e non riesce a esprimerlo con le parole. Vuole disperatamente sentirsi accettato e compreso e a tal fine compie dei gesti improbabili come imparare a memoria l’enciclopedia; ma proprio quei gesti, per la loro assurditĂ , finiscono per far considerare il giovane matto oltre che scemo.




Con il sottotitolo della canzone “Dietro uno scemo c’è sempre un villaggio”, De Andrè punta il dito su quei comportamenti che portano all’emarginazione e che sono frutto di superficialità e mancanza di attenzione, di cui spesso non siamo consapevoli, presi dalla nostra brama di “normalità”.





E se è vero che siamo talvolta vittime di una società che ci impone i suoi modelli, è vero anche che molto più spesso da vittime ci trasformiamo in carnefici.

Ovvero, da matti diventiamo villaggio.





Sono lo scemo quando non riesco ad esprimere le mie idee. Sono il villaggio quando non lascio che altri esprimano le loro idee.

Sono lo scemo quando vengo deriso per il mio aspetto fisico. Sono il villaggio quando derido gli altri perchĂŠ troppo alti o troppo bassi, troppo magri o troppo grassi.





Sono lo scemo quando gli altri mi accusano per cose che non ho fatto. Sono il villaggio quando accuso gli altri prima ancora di sapere se hanno fatto o no qualcosa di male.

Sono lo scemo quando le persone mi parlano male alle spalle o quando mi usano per un loro interesse. Sono il villaggio quando critico altri che non sono presenti, quando sfrutto gli altri per un mio tornaconto.






Sono lo scemo quando cerco parole sicure per farmi ascoltare.

Sono il villaggio quando uso parole come scure per fare star male.

Sono lo scemo quando cerco di parlare e gli altri non mi badano, quando vengo escluso dalle conversazioni. Sono il villaggio quando alzo il tono di voce per parlare mentre altri stanno parlando, quando li escludo dalle conversazioni.






Sono lo scemo quando vengo criticato per il mio modo di vestire, quando vengo deriso per i voti che prendo a scuola. Sono il villaggio quando critico gli altri se non hanno abiti firmati, quando ostento i miei voti e godo degli insuccessi degli altri. Sono lo scemo quando vengo criticato per l’accento che ho, per le mie origini, per la mia situazione economica. Sono il villaggio quando critico gli altri per il loro accento, quando li giudico per il colore della loro pelle o in base alla loro ricchezza.






Sono lo scemo quando vengo preso in giro perchĂŠ vado in Chiesa tutte le domeniche. Sono il villaggio quando rido e punto il dito contro chi prega cinque volte al giorno.

Sono lo scemo, e non vorrei esserlo, quando un amico di cui pensavo di potermi fidare mi tradisce. Sono il villaggio quando tradisco la fiducia che un amico aveva riposto in me.







Sono lo scemo quando sogno il meglio. Sono il villaggio quando mi credo il meglio.

Sono lo scemo quando agisco senza pensare. Sono il villaggio quando mi schiero dalla parte del pi첫 forte e non da quella pi첫 giusta.




Istituto Comprensivo «I. Nievo» San Dona’ di Piave (VE) Classe III G a.s. 2012/2013 Docente: Laura Bartolotta


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.