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forme contemporanee di sviluppo urbano

A space for all people: esploriamo le potenzialità dello spazio pubblico come spina dorsale per la creazione dell’identità delle comunità.

C+S Architects è lo studio di Carlo Cappai e Maria Alessandra Segantini. I due architetti si sono incontrati frequentando negli stessi anni lo IUAV di Venezia, dove hanno frequentato i corsi di maestri come Tafuri, Scolari, Pastor, Siza, Moneo, Rossi, Gregotti e Valle. Partito da un piccolo spazio di 43 mq. a Venezia nei primi anni ‘90, oggi lo studio C+S Architects, con sedi a Treviso e Londra, può vantare un portfolio di progetti che si confrontano con temi e contesti differenti su scala internazionale. I lavori di C+S sono stati presentati al Museo di Arte Moderna a

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New York, alla Triennale di Milano, alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine a Parigi, all’Architekturzentrum a Vienna e al RIBA a Londra, e tra i tanti riconoscimenti ottenuti ricordiamo il BigMat Award 2018 (Premio Nazionale), il German Design Award 2020, il Premio speciale della Medaglia d’Oro dell’Architettura Italiana 2012, il Premio Sfide 2009 del Ministero Italiano dell’Ambiente e la selezione al Mies van der Rohe 2022 e 2009.

Abbiamo incontrato Carlo e Maria Alessandra nel loro studio di Treviso per farci raccontare la loro visione degli spazi pubblici e condivisi, focus di questo numero del magazine, che sono stati e sono tutt’oggi uno dei principali temi del loro lavoro.

Sui progetti costruiti dei vostri edifici scolastici sono state basate le linee guida per la progettazione di scuole in Italia, ed è forse proprio questo il settore che ha maggiormente caratterizzato l’opera di C+S. Perché proprio le scuole?

Maria Alessandra Segantini - Non è un caso. Le scuole hanno qualcosa di unico rispetto a qualsiasi altro edificio pubblico, un elemento distintivo che diventa una grande potenzialità nelle periferie senza identità che caratterizzano il paesaggio urbano europeo: è il loro carattere di “obbligatorietà”. Le scuole diventano dei piccoli centri che tutti devono, per forza, frequentare a livello locale. Per questo abbiamo definito le scuole “piazze della periferia”: lavorando su questi edifici cerchiamo di contribuire a rendere le città più vivibili.

Carlo Cappai - Sono la massima espressione del carattere funzionale dell’architettura. L’architettura deve “servire”, cioè sia rivelarsi utile che essere al servizio. E niente più delle scuole rappresenta la concretizzazione di questo concetto.

Avete citato le piazze. Nel 2018 è stato completato l’intervento su progetto di C+S per una piazza che potremmo definire “emblematica”: quella del Palazzo del Cinema al Lido di Venezia, che ogni anno è sotto gli occhi del mondo durante le settimane della Mostra. Avete sentito un po’ di pressione nel disegnare un luogo tanto simbolico e carico di storia?

CC - In realtà la responsabilità la sentivamo soprattutto verso gli abitanti del Lido, che sono i veri fruitori di quello spazio, cioè coloro che vivendolo quotidianamente gli danno un significato che va oltre il “momento”. E siamo orgogliosi di avergli restituito un pezzo della loro terra e del loro vissuto.

MAS - Crediamo fermamente nelle potenzialità di uno spazio pubblico libero, ben disegnato e capace di essere reso vivo dalle persone, dai loro ricordi e dai loro sogni, che ne scriveranno la storia e contribuiranno a crearne la memoria futura. Abbiamo realizzato uno spazio fatto per incontrarsi, dialogare, sedersi e riposare. Abbiamo trasformato il tappeto rosso delle star in un tappeto bianco per tutti!

Tanti architetti realizzano opere con tratti ricorrenti molto evidenti, che ne caratterizzano la “firma”. I vostri edifici invece sono molto diversi l’uno dall’altro. Perché?

MAS - È vero, e può sembrare strano detto da un architetto, ma C+S non ha uno stile. Questo però, anche se forse funziona meno in termini “commerciali”, ci consente di non avere pregiudizi e vincoli quando ci approcciamo a un nuovo lavoro.

Non è in fondo un po’ contraddittorio dire di volersi calare nel contesto, variabile di volta in volta, e produrre opere che si assomigliano un po’ tutte? Per noi l’elemento più importante in un progetto è il “prima”. Ad esempio, il nostro Palazzo di Giustizia a Venezia riprende una forma primordiale Veneziana: due muri paralleli, un tetto a falde. Anche nei materiali vive il “prima”: il rame ossidato che rimanda alle cupole delle chiese veneziane. Ci sentiamo traduttori, lavoriamo sull’interpretazione di riferimenti culturali per dar vita a spazi contemporanei. Unici, come il contesto nel quale si inseriscono.

CC - Proprio la scelta dei materiali è un aspetto che spesso determina la “firma” di un progettista. Per noi invece non esistono materiali migliori di altri, materiali ricchi e materiali poveri. Per la palestra di Ponzano Veneto abbiamo lavorato con la schiuma e i listelli di legno realizzando uno spazio con un costo di 926 Euro al m2, e poco dopo ci siamo confrontati con i materiali preziosi del progetto esecutivo del Fondaco dei Tedeschi a Venezia. Per noi tutti gli spazi hanno uguale dignità, e meritano lo stesso coinvolgimento.

Quale pensiate che sia il valore più profondo di quello che fate?

MAS - Credo che quando riusciamo a contribuire, attraverso i nostri progetti, a definire o consolidare l’identità di una comunità, allora stiamo interpretando al meglio il significato dell’essere architetti oggi.

CC - Sono d’accordo... e sono convinto che lo si possa fare davvero soltanto coniugando bellezza e pragmatismo, ricercando costantemente il perfetto equilibrio tra questi due elementi.

Ma le comunità, che sono i principali “destinatari”, possono avere un ruolo attivo in tutto questo?

MAS - I progetti devono essere partecipati. La riqualificazione degli spazi urbani deve avvenire per gradi, anche attraverso progetti bottom-up, e le istituzioni devono garantire la deburocratizzazione dei processi e l’equilibrio tra aspetti economici (chi investe deve, giustamente, avere un ritorno economico) e culturali. Per aspetti culturali intendo iniziative e azioni che riguardano la sfera della trasmissione della conoscenza, dell’educazione e del tempo trascorso assieme agli altri in modo proattivo. L’edificio per “vivere” ha bisogno di tutta una serie di attività aperte, condivise, pubbliche, è questa la vera sfida che noi progettisti abbiamo di fronte quando ci approcciamo a un nuovo intervento.

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