Après coup ( dischiusure ) a cura di Saretto Cincinelli Ex Fabbrica Lucchesi TAI 2015

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Après coup (dischiusure) Chiara Bettazzi, Emanuele Becheri, Daniela De Lorenzo, Elena El Asmar, Carlo Guaita, Paolo Meoni, Anna Rose, Andrea Santarlasci a cura di Saretto Cincinelli Un’esposizione -non è certo il caso di dirlo- è lì a proporre degli oggetti, a offrirci delle immagini. Ma un’ esposizione è anche, a sua volta e in quanto tale, un’immagine. Una cornice, di tempo e di luogo, che delimita l’area che ci troviamo ad osservare Giulio Paolini Après coup (dischiusure) ¹ si concentra su 8 artisti delle ultime generazioni: Carlo Guaita (Palermo, 1954), Daniela De Lorenzo (Firenze, 1959), Andrea Santarlasci (Pisa, 1964), Paolo Meoni (Prato, 1967), Emanuele Becheri (Prato, 1973), Chiara Bettazzi (Prato, 1977), Elena El Asmar (Firenze, 1978), Anna Rose (Massachusetts, USA, 1982), operanti nel territorio ma con alle spalle una ricerca riconosciuta, sia pur secondo differenti misure, a livello nazionale e, in alcuni casi, non solo nazionale. Nonostante gli evidenti scarti generazionali esistenti tra i diversi artisti, la mostra non si propone come una ricognizione sulla scena regionale degli ultimi vent’anni: Toscana vale qui, infatti, non come artificiosa rivendicazione di una presunta specificità territoriale ma come semplice indicazione e delimitazione di un luogo in cui nascono e si dispiegano linguaggi e poetiche capaci di misurarsi con il panorama artistico contemporaneo. Le opere proposte, edite ed inedite, pongono al loro centro il paesaggio urbano, l'architettura e le sue trasformazioni, ma anche, a livello più metaforico, i concetti di anacronismo, resto, traccia, intervallo... e testimoniano la capacità dei singoli artisti di relazionarsi con uno spazio industriale dismesso. Sorto nei primi anni del 1900, l'ex Lanificio Lucchesi non si presenta come un asettico spazio espositivo che tende ad annullarsi in favore del contenuto, ma come un luogo in cui, ancor prima di offrirsi alla vista, in quanto tali, le opere, si danno a vedere, contestualizzandosi. Proprio per questo, ancor prima di realizzare i propri lavori o pensare ad una loro possibile localizzazione, gli artisti in mostra hanno dovuto misurarsi con la sua irriducibile preesistenza. Più che inserirsi mimeticamente in una cornice data, le loro opere sembrano, infatti, aggiungersi o sottrarsi ad essa, contribuendo con ciò a fondare nuovi luoghi per lo sguardo. E' il caso delle opere di Anna Rose, giovane artista americana che si fotografa ripetutamente in immobili dismessi, che paiono duplicare, in una sorta di mise en abyme, lo spazio stesso che -in questa occasione- le ospita (autorappresentazioni celate che lasciano intuire il senso di "una nudità intima, sotterranea", che si installa, in maniera sempre precaria, instabile e azzardata in ambienti disastrati, come in attesa della "fine di un incantesimo"2) o di quelle fotografiche di Paolo Meoni, artista da sempre attento alle trasformazioni urbane delle periferie cittadine, i cui video pongono l'attenzione sullo spazio del mutamento, assumendo il volto di una sovrapposizione tra ciò che non è più e ciò che che non è ancora o di Chiara Bettazzi che ripropone in immagini fotografiche di grande formato, porzioni decontestualizzate del proprio studio, anch'esso ricavato in un ex spazio industriale, popolato da oggetti desueti e inservibili, trovati e perduti, fantasmi di oggetti d'affezione che mostrano tutto il sex appeal dell'inorganico. Decisamente più metaforici gli interventi di Daniela De Lorenzo, Andrea Santarlasci ed Elena El Asmar nelle cui ricerche si intrecciano temi e motivi soggetti a costanti approfondimenti. Nella opere di Andrea Santarlasci, in costante equilibrio tra emozionalità e concettualità, emergono esplicitamente oltre alle relazioni tra naturale e artificiale, visione e rappresentazione, meccanismi visivi di sdoppiamento e riflessione... che mirano progressivamente a modificare, la dimensione spaziale e contestuale. Accostando, senza soluzione di continuità, l’immagine al suo doppio al suo inverso o ad una proliferazione di simili, Santarlasci proietta l’identico “nell’ambito della differenza”, mostrandoci l’enigmatica “gemmazione del molteplice all’interno dell’uno” (R. Kraus). In Daniela De Lorenzo il desiderio di "creare una cosa che sia contemporaneamente due cose" ha condotto l'artista a sostituire il paradigma spaziale del suo precedente lavoro, con un paradigma temporale, maggiormente capace di accogliere al proprio interno l’ipotesi della metamorfosi. Da tempo per De Lorenzo, molteplice non è più sinonimo di ciò che è composto da molte parti ma di ciò che è piegato in molti modi. Nel suo lavoro tutto tende, infatti, a duplicarsi ed a complicarsi per tornare a vivere più di una volta. Le sue stesse foto mostrano après coup e con l’evidenza di 'immagini cristallo' che la sua stessa scultura -declinata ripetutamente come abito, spoglia, involucro di un corpo sottratto alla vista- “ex-siste nella dimensione del possibile e non già sopprimendola”(M. Cacciari). Abitare la distanza sembra essere l'aporetico intento che muove la ricerca di Elena El Asmar, artista di origine libanese, nelle cui installazioni la distanziazione -continua riscoperta della distanza e dell'alterità- si rovescia paradossalmente in una modalità dell'approssimarsi che ci colloca contemporaneamente dentro e fuori, vicino e lontano rispetto all'opera stessa, in un luogo in cui L’esercizio del lontano rende plausibile la trasfigurazione di vetri avvolti in trame arabescate, in una sorta di paesaggio capace di restituire, “il sogno fenicio” dell'artista: l'apparenza intermittente di uno sfavillante paesaggio medio-orientale sospeso in un interno occidentale dismesso.

Minimi e interstiziali, infine, gli interventi di Carlo Guaita ed Emanuele Becheri: Guaita propone, da una parte, una sorta di atlas di hangar e capannoni industriali che fanno specularmente il paio con una serie di frontespizi e indici di libri di fisica, geologia e filosofia mentre, dall'altra, gioca con una sorta di trasfigurazione e riedizione mentale di alcuni di essi, in scala fortemente ridotta: maquettes fantasma che assumono le remote vesti di sculture minimaliste, realizzate con la grazia e la sprezzatura di un bricoleur intellettuale che, prolunga, attraverso immagini video, il gioco tra interno ed esterno, pieno e vuoto e, tramite interventi plastici, quello tra piedistallo e scultura (sulla scia di una infinita tematizzazione brancusiana). Becheri, infine, tramite Beaux arts, sorta di anomalo, inusitato, ready-made, frutto di un fortuito ritrovamento, pare voler indagare una dimesione interstiziale del tempo e dello spazio, che prende esplicitamente corpo a partire dalla nozione di resto, una dimensione che informa, sia pur in maniera indiretta, anche la serie di fotografica Hauntology. Qui, sopprimendo nello spazio rappresentato ogni indicatore che permette di creare un effetto di congruenza con lo spazio topologico di chi guarda, l'artista autonomizza e libera lo stesso spazio di rappresentazione. Il taglio praticato dalle foto trasforma, infatti, la spazialità preliminare a tal punto che, visivamente, queste opere possono essere esposte sia in orizzontale che in verticale, senza che la loro plausibilità o la loro enigmaticità si dissolva. A ben vedere non c’è un tema che sostenga l’operazione dall’esterno, così come non c’è un unico filo rosso che la percorra integralmente: se essa resiste, è solo in virtù di una compresenza di motivi che, come in una partitura musicale, si irrobustiscono vicendevolmente sovrapponendosi e intrecciandosi l’un l’altro per dar vita ad un'immagine o -come scrive Paolini- a una cornice, di tempo e di luogo, che delimita l’area che ci troviamo ad osservare. Attraversamento mentale di uno spazio abbandonato più che sua mera utilizzazione Après coup (dischiusure) non vuole modellare una prospettiva unica dello sguardo ma, eludendo preventivamente l’obbligo di adeguare l’opera al contesto o di ridurre quest’ultimo a semplice sfondo, tende a inaugurare uno spazio di transito. La mostra parla a più voci, per restituire oltre il verbo essere delle produzioni individuali dei singoli artisti, l’accadere plurale di un evento che si realizza nel suo stesso farsi e trae senso primariamente dal rapporto con il luogo che la ospita. E' in quest' ottica che la mostra, in anticipo rispetto alla data dell'inaugurazione, sarà visitabile già in fase di allestimento, trasformando dunque lo stesso montaggio in una sorta di cantiere aperto che testimoni il suo work in progress. 1. La mostra promossa da Studio Corte 17, si inserisce all'interno di Tuscan Art Industry. I giorni del contemporaneo nell'archeologia industriale toscana del 900 http://www.tuscanartindustry.com/ . Iniziativa realizzata con la collaborazione del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, nell'ambito del progetto regionale "Cantiere Toscana Contemporanea" 2. Il riferimento è a Alberto Mugnaini, Figure del contrattempo, in: Arrêts sur images, a cura di Saretto Cincinelli, Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno, 2014.


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