TAI - CATALOGO EDIZIONE 2015

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TAI - Tuscan Art Industry “I giorni del contemporaneo nell’archeologia Industriale Toscana” Catalogo pubblicato in occasione dell’edizione: TAI - Tuscan Art Industry 2015 Progetto a cura di: Studio Corte 17 Collaboratori all’edizione 2015 SARETTO CINCINELLI - Curatore e Critico d’Arte ALESSANDRO GALLICCHIO - Docente e curatore d’Arte STEFANIA RINALDI - Operatrice Didattica GIUSEPPE GUANCI - Presidente ASVAIP e membro AIPAI STEFANO ROIZ - Design della Comunicazione GIULIO RAFANELLI - Web Development MARCO SANTAMBROGIO - Organizzazione tecnica TATIANA MANCUSO - Europrogettista Immagine di Copertina: Stefano Roiz Fotografie di: Stefano Roiz - Pag. 4-5 / 50 -69 / 78 / 83 - 89 Maurizio Chiocchetti - Pag. 71 / 80 / 82 Simone Ridi - Pag. 90-91 / 99 Stefania Rinaldi - Pag. - 96 - 97


Iniziativa realizzata con la collaborazione del centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci nell ambito del progetto regionale: “Cantiere Toscana Contemporanea” e Regione Toscana. In collaborazione con il Comune di Prato e l’Assessorato all’Urbanistica di Prato.




Conversazione tra Artext e Chiara Bettazzi:

Da dove nasce la tua urgenza ad occuparti della memoria e di elaborarla attraverso i supporti quali oggetti d’affezione, tracce mnesiche della luce, della chimica organica. E’ difficile teorizzare cose che in maniera pratica realizzi solo perché ti appartengono. Per questo credo che il termine urgenza sia adatto a descrivere un bisogno, che è poi ciò che sta alla base della mia quotidianità e del mio ricercare continuamente stimoli che riportino alla memoria qualcosa che credo sia disperso, il mio lavoro si fonda essenzialmente su questa necessità: recuperare e far emergere immagini che credevo perdute. I miei ricordi e le mie immagini persistono e si riattualizzano nel presente. Da sempre, gli oggetti che ho accumulato e collezionato in studio, in parte li ho cercati nei mercatini, negozi di usato e vecchie case da svuotare, altri invece arrivano come per magia, mentre molti altri appartengono alla mia infanzia. Gli oggetti che trovo, è come se mi appartenessero già, perché vengono scelti nel momento esatto in cui la loro biografia si intreccia con la mia. In quel preciso momento si innesca un meccanismo che considero fondamentale alla creazione del lavoro, l’immagine assume un ruolo generativo per quello che accadrà più tardi. Fino a quel momento l’immagine vive in uno stato di dimenticanza, di sospensione e latenza. La visione acquista sempre più nitidezza nel momento in cui il lavoro comincia a prendere forma, liberandosi dalle regioni del pensiero e del sentimento per emergere dalla mia memoria e strutturarsi attraverso gli oggetti e le loro combinazioni, per mezzo di una relazione e di un rapporto empatico. Attraverso un attento studio gli oggetti vengono spesso accorpati o trasformati in altro, restituendo così una nuova sorprendente visione ai miei occhi, scegliendo vari media che in quel momento a seconda della necessità decido di usare. Il mio spazio si può definire simile ad un inventario, in cui le varie collezioni che posseggo sono suddivise per tipologie e gruppi. Sulle cose sono depositate storie e narrazioni personali o di sconosciuti, spesso plasmate da una stratificazione temporale e dall’uso che se ne fa; sono il mezzo con il quale riesco a ricreare una mappatura interna di me stessa attraverso quelle che chiamo “verifiche incerte sull’ambiguità dell’essere”. In tutti i miei lavori c’è una costante esplorazione del desiderio di classificare, riordinare e selezionare, legata profondamente all’aspirazione che un uomo ha verso il controllo e il dare ordine nella vita. Il mio desiderio di preservare e conservare passa attraverso l’idea della collezione, della trascrizione continua attraverso gli scatti fotografici che registrano i vari spostamenti in studio. In questi anni sei impegnata anche nella definizione della realtà antropologica e spaziale circostante il tuo territorio. In collaborazione con architetti e urbanisti hai preso ad analizzare i temi dell’Archeologia Industriale: i luoghi e le tecnologie dei processi produttivi, le tracce archeologiche generate da questi. Puoi raccontare di questa avventura e di un possibile collegamento tra l’arte e l’architettura che deriva da una rilettura critica e contemporanea di spazi industriali.


La mia analisi di temi legati all’Archeologia Industriale ha la sua origine dal mio ambiente di lavoro, un ex edificio industriale dove ho allestito il mio studio e dove passo la maggior parte del mio tempo. Il mio spazio si trova all’interno di una vecchia corte industriale fatta rivivere attraverso l’apertura di diversi studi dedicati a vari ambiti della creatività. Ho aperto il mio studio personale circa dieci anni fa, a quel tempo la corte era in parte abbandonata e in parte vi erano ancora alcune attività produttive al suo interno; ricordo una filatura, un fabbro, un meccanico e un maglificio. È stato interessante osservare come attraverso alcuni eventi legati all’arte visiva, questi spazi si sono trasformati, destando la curiosità delle persone che vi si sono avvicinate. In anni passati a Prato questi edifici sono stati distrutti a favore di costruzioni di nuovi palazzi, spesso anonimi, pensati senza rispettare la peculiare estetica del territorio, quindi per me privi di sentimento, senza che fosse presente una reale richiesta di strutture ex novo. Negli anni ho visto la città trasformarsi architettonicamente perdendo gradualmente le tracce storiche e identitarie. Credo che i macro contenitori che un tempo erano serviti alla produzione industriale continuino a racchiudere un vissuto sociale legato ai nostri ricordi e ai momenti di forte espansione economica, sono inventari del passato che aiutano a formare la nostra percezione e interpretazione di quella che è stata la storia tessile caratterizzante la nostra vita lavorativa. Inizialmente non ero consapevole del perché avessi scelto un luogo industriale in cui allestire il mio studio e nel quale strutturare il mio lavoro, cercavo uno spazio in cui respirare un sapore originale. Ma negli anni questa decisione è divenuta sempre più una scelta consapevole e chiara, fino ad arrivare ad una presa di posizione nei confronti della mancata tutela del patrimonio che possediamo.

SC17, Via Genova, Prato, Italy


Per questo nel tempo, è nata la voglia di collaborare e di confrontarsi con architetti e urbanisti interessati come me a questi luoghi, e’ nata la voglia di aprirsi alla città e andare oltre la corte industriale per cercare altre aree simili in attesa di riqualificazione ancora presenti a Prato. Sono sempre stata sedotta dallo stato di abbandono di questi spazi dimenticati ma dalla forte presenza. Sono convinta che siano luoghi che nascondono un grosso potenziale di riattivazione. Le vecchie fabbriche sono strutture perfette nella disposizione dei volumi e degli spazi, nella presenza voluta della luce naturale, nella stratificazione temporale che vi si deposita. Sono spazi con un alto senso teatrale. Lavorarci all’’interno, rappresenta sempre una grande sfida, perché vuol dire essere a contatto con strutture che mostrano un’ anima profonda. L’ inserimento di opere, o gli interventi site specific da parte di artisti, designer o architetti possono generare un fascino che trova la sua origine nel contrasto tra un edificio consumato dal passaggio distruttivo del tempo e la limpidezza e pulizia del nuovo. Dal contrasto che ne scaturisce si crea uno scarto che diviene lo stimolo perfetto per azionare qualcosa di diverso: idee, visioni, immagini per questi luoghi, che potrebbero riaprirsi a nuovi usi, laboratori, studi, set fotografici. Credo che siano strutture che il territorio ci offre in maniera spontanea, sta a noi decidere di preservarli e riattivarli. Il tuo studio SC17 è in realtà una ex fabbrica, dove negli anni hai sperimentato il tuo lavoro d’arte e ospitato in determinati periodi e con serate dedicate i lavori di alcuni artisti a te vicini. Come nascono e si dispiegano questi progetti in linguaggi e poetiche capaci di misurarsi con il panorama artistico contemporaneo. La naturale ampiezza del mio spazio si è sempre piacevolmente prestata ad una apertura verso altri progetti. E’ sempre stato interessante per me innestare al suo interno qualcosa di estraneo, per aggiungere un ulteriore stimolo alla mia pratica artistica che vive di un rapporto empatico stabilito con il luogo, necessitando al contempo di contaminazioni dall’esterno. Negli anni ho invitato artisti, performer, musicisti a lavorare all’interno, sia in occasione del Contemporanea Festival con il quale ho collaborato per quattro anni, sia per aperture condivise insieme ad altri spazi indipendenti. Un grande stimolo è stata anche la condivisione dello spazio per circa un anno con l’Associazione Nub Project Space, un interessante progetto dedicato all’uso del suono nell’ambito dell’arte e della performance contemporanea; Le contaminazioni e le collaborazioni mi hanno portato nel Settembre 2014 ad invitare in residenza una giovane artista francese, Emma Grosbois, una fotografa che ho invitato in studio da me in una condivisione di spazio. Da questa esperienza è nato un progetto condiviso che ha portato alla realizzazione di un lavoro a quattro mani, un’istallazione, una documentazione del periodo di lavoro, presentata in occasione dell’edizione del 2014 del Contemporanea Festival e ha fatto nascere una bella amicizia che dura nel tempo. Tutti gli artisti che ho scelto nel corso degli anni hanno sempre destato in me una certa curiosità. Ciò che mi piacerebbe che ancora accadesse in futuro è verificare attraverso l’incontro e la nascita di nuovi lavori condivisi, possibili affinità di luoghi interiori comuni. Il paesaggio urbano, l’architettura e le sue trasformazioni, sono diventati lo sfondo ideale della nuova mostra: TAI “Tuscan Art Industry 2015”. Come ti sei relazionata a questa autentica “impresa” restando contemporaneamente organizzatrice ed artista ospite in mostra.


Considero la parte di progettazione e organizzazione dell’evento TAI connessa alla mia pratica artistica e quindi alla mia ricerca che da anni porto avanti. La mia formazione è passata attraverso l’esperienza che nel tempo ho maturato con il mio studio, considerandolo uno spazio aperto che negli anni ho fatto vivere anche per mezzo di contaminazioni con altri. Ciò che profondamente muove la mia parte organizzativa deriva indissolubilmente dalla mia poetica. Da sempre il mio fare si compone di due aspetti; da un lato la pratica personale artistica e dall’altro la parte organizzativa che mi vede attiva all’interno dei progetti che ho creato e che hanno fatto nascere in me la voglia di condividere con altri la bellezza e l’uso di spazi a disposizione sul territorio. Intorno al progetto “TAI” hanno collaborato persone con le quali ho stabilito nel tempo una relazione e uno scambio da un punto di vista professionale e nuovi rapporti nati nell’ambito del progetto. Ho quindi collaborato con esperti nella comunicazione, nella didattica e nella curatela. TAI non è stato e non vuole essere solo una mostra, ma un’insieme di parti che formano un progetto più complesso; infatti la sua struttura è composta da una serie di approfondimenti tematici denominati Diari Urbani, nati dallo studio del territorio, allo scopo di creare un’archiviazione fotografica in progress e da eventi collaterali, svoltesi in concomitanza con le date di apertura e fruizione della mostra. Tra gli eventi è stata organizzata la proiezione del film Giovanna di Gillo Pontecorvo, girato all’interno della Fabbrica La Romita, oggi demolita per far posto a un complesso residenziale, alcune visite archeoindustriali, percorsi didattici, presentazioni di carattere culturale e una performance sonora. Per questa prima edizione la curatela della mostra denominata “Apres Coup” è stata affidata a Saretto Cincinelli che ha curato la scelta degli artisti e l’allestimento dello spazio. Per realizzarlo è stato fondamentale creare un’interazione con professionisti che hanno reso completo il progetto in tutte le sue parti. L’archivio (in divenire) che sembra prospettarsi come argine di una dispersione temporale è esso stesso un insieme trasformabile. Come descriverlo, come utilizzarlo nella sua totalità in quanto noi stessi ne parliamo al suo interno, siamo dentro le sue regole, le sue possibilità L’archivio è insito all’interno del mio lavoro; i miei oggetti, i miei lavori vengono raccolti in studio, le mie immagini, spesso anche il materiale di scarto, non viene quasi mai gettato ma conservato, pronto per essere usato o trasformato. L’Idea della conservazione e della memoria delle cose che ci circondano credo sia fondamentale per non perdere le tracce di una visione e di una trasformazione futura. Questo è indispensabile nel mio processo lavorativo in cui la creazione è sempre strettamente connessa a ciò che era in precedenza e a ciò che diviene un attimo dopo, in una specie di filo che unisce tutto il processo lavorativo in atto. L’archivio è per me una memoria fisica, è il luogo in cui catalogarla, sta a noi organizzarlo, disporlo e decidere cosa tenere e cosa invece eliminare, cosa evidenziare e cosa nascondere. L’archivio è la struttura e l’ossatura su cui ho basato l’intero progetto TAI; iniziando quindi a pensare a Diari Urbani come i diari del mio sguardo (la registrazione del mio modo di vedere le cose e la prosecuzione delle mie annotazioni che compongo in studio regolarmente e che raccolgono tutte le fasi del processo lavorativo e il rapporto tra me, gli oggetti e il mio spazio).


Ho iniziato partendo dallo studio di 16 fabbriche storiche che risalgano ai primi del ‘900, menzionate all’interno di un catalogo degli anni ‘80 di Alberto Breschi, la Città Abbandonata, in cui venivano descritte e fotografate. Percorrendone le tracce ho compreso come il tempo e l’uomo avessero cambiato queste strutture e ho registrato questo cambiamento fotografando con l’ identica angolazione questi luoghi, mettendo poi a confronto le due immagini, presente e passato. Da qui parte il mio archivio fotografico di strutture abbandonate ubicate non solo a Prato ma anche in Val di Bisenzio, un inventario dello stato attuale degli edifici, creato allo scopo di far si che ne rimanga memoria, non solo attraverso un approccio documentaristico che racconti lo stato in cui si trovano attualmente questi locali abbandonati, ma anche attraverso lo sviluppo di un successivo linguaggio artistico basato da un lato sulla trasformazione dello spazio e dall’altro sull’inserimento di oggetti, opere e interventi attraverso la ripulitura e l’allestimento di questi vecchi spazi. La formazione di un archivio è per me quindi fondamentale, affinchè si possa tramandare il racconto di un processo e un cambiamento costantemente in atto. In questa direzione va anche il progetto TAI, che credo possa servire a valorizzare il nostro patrimonio archeologico industriale per avvicinare a quelle che sono le nostre radici antropologiche, storiche, sociali e identitarie del nostro territorio. Che modalità di sopravvivenza stai adottando in questi anni di emergenza e di esistenza precaria per le condizioni economiche che invece governano le nostre vite. Credo essenzialmente che l’emergenza più grande che ho da sempre sia cercare di fare ciò che amo fare e quindi trovare ogni volta un modo per rendere questo possibile. Penso sia fondamentale per me dedicare il tempo al mio lavoro, che si identifica con la mia passione, ponderando le difficoltà di fare questa professione in questo paese. Questo mi ha sempre portato ad alcuni compromessi, ma credo che la libertà delle mio tempo sia la cosa più importante. La mia esigenza più grande è realizzare i miei progetti, senza i quali la mia quotidianità non avrebbe senso. Tutto quello che per me riguarda le modalità di sopravvivenza diventa casuale e connesso ai vari momenti che passo nella vita. E’ una sfida continua a cui cerco di far fronte ogni volta. Quando ho iniziato a costruire il progetto TAI ho attuato una riflessione anche in questo senso; mi sono resa conto che le interconnessioni create tra gli attori di questa operazione generavano una sinergia inedita di intenti, con lo scopo di recuperare e ridare vita a degli edifici ma anche di guardare al futuro sotto un’altra prospettiva. Ipotizzando un nuovo percorso per queste strutture dismesse si genera infatti una nuova linfa con nuove opportunità lavorative per moderne figure professionali, che si confrontano con il tessuto sociale contemporaneo, facendo nascere così nuove risorse economiche.




Diari Urbani -SC17 Archivio di vecchie strutture produttive inattive. Il progetto, si esprime attraverso un’esplorazione all’interno della città che ha permesso di ridisegnare una mappa con traiettorie urbane inaspettate. La prima fase del progetto è nata nel 2014, con l’intento di attuare un’ osservazione del territorio con uno sviluppo temporale progressivo che mira alla creazione di un elenco di strutture a oggi abbandonate e degradate. Sono state individuate le prime 16 fabbriche storiche, partendo dallo studio di un catalogo pubblicato a Prato nel 1985, dal titolo “La città abbandonata”, (ricerca documentaria realizzata da un gruppo di ricercatori sui luoghi del lavoro costruiti nell’area pratese, nel periodo compreso tra la fine dell’800 e la seconda guerra mondiale, finalizzata ad un recupero e ad una conservazione).


1 - Lanificio Valbisenzio A.Peyron, Strada statale n.325 loc Le Piane Vernio


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


2 - Lanificio Romei Strada statale n.325 loc Cerbaia Vernio


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


3 - Lanificio Mazzini I째 Via la Crocchia Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


4 - Il Fabbricone Via Bologna Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


5 - Figli di Michelangelo Calamai I째 V.le Galilei Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


6 - Lanificio Mazzini II via Bologna-Via Battisti, Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


7 - Figli di Michelangelo Calamai II째 Via Proche Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


8 - A.& G di Beniamino Forti Via Bonicoli Casarsa Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


9 - SocietĂ Anonima Lanificio Calamai Via S.Paolo Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


10 - Lanificio Lucchesi P.zza Macelli Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


11 - Cimatoria Leopoldo Campolmi & C. Via S. Chiara Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


12 - Lanificio Cangioli SocietĂ Anonima Via Pomeria Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


13 - Stearineria e Saponeria Pietro Borsini Via Ferrucci – Via Pisano – Via Boni, Prato.


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


14 - Fabbrica Toscolani Via Ferrucci- Via Fra’ Diamante – Via Fra Bartolomeo, Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


15 - Fabbrica Sanesi Via Ferrucci Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17


16 - Fabbrica La Romita Via della Romita Prato


Foto storiche in bianco e nero tratte dal libro “La Città Abbandonata” a cura di A.Breschi, T.Caparrotti, P.Falaschi, F.M.Lorusso; Edizioni Comune di Prato 1985. Fotowork by: Stefano Roiz in collaborazione con Studio Corte 17




Après coup (dischiusure) CHIARA BETTAZZI, EMANUELE BECHERI, DANIELA DE LORENZO, ELENA EL ASMAR, CARLO GUAITA, PAOLO MEONI, ANNA ROSE, ANDREA SANTARLASCI. A cura di Saretto Cincinelli Un’esposizione -non è certo il caso di dirlo- è lì a proporre degli oggetti, a offrirci delle immagini. Ma un’ esposizione è anche, a sua volta e in quanto tale, un’immagine. Una cornice, di tempo e di luogo, che delimita l’area che ci troviamo ad osservare Giulio Paolini Après coup (dischiusure) ¹ si concentra su 8 artisti delle ultime generazioni: Carlo Guaita (Palermo, 1954), Daniela De Lorenzo (Firenze, 1959), Andrea Santarlasci (Pisa, 1964), Paolo Meoni (Prato, 1967), Emanuele Becheri (Prato, 1973), Chiara Bettazzi (Prato, 1977), Elena El Asmar (Firenze, 1978), Anna Rose (Massachusetts, USA, 1982), operanti nel territorio ma con alle spalle una ricerca riconosciuta, sia pur secondo differenti misure, a livello nazionale e, in alcuni casi, non solo nazionale. Nonostante gli evidenti scarti generazionali esistenti tra i diversi artisti, la mostra non si propone come una ricognizione sulla scena regionale degli ultimi vent’anni: Toscana vale qui, infatti, non come artificiosa rivendicazione di una presunta specificità territoriale ma come semplice indicazione e delimitazione di un luogo in cui nascono e si dispiegano linguaggi e poetiche capaci di misurarsi con il panorama artistico contemporaneo. Le opere proposte, edite ed inedite, pongono al loro centro il paesaggio urbano, l’architettura e le sue trasformazioni, ma anche, a livello più metaforico, i concetti di anacronismo, resto, traccia, intervallo... e testimoniano la capacità dei singoli artisti di relazionarsi con uno spazio industriale dismesso. Sorto nei primi anni del 1900, l’ex Lanificio Lucchesi non si presenta come un asettico spazio espositivo che tende ad annullarsi in favore del contenuto, ma come un luogo in cui, ancor prima di offrirsi alla vista, in quanto tali, le opere, si danno a vedere, contestualizzandosi. Proprio per questo, ancor prima di realizzare i propri lavori o pensare ad una loro possibile localizzazione, gli artisti in mostra hanno dovuto misurarsi con la sua irriducibile preesistenza. Più che inserirsi mimeticamente in una cornice data, le loro opere sembrano, infatti, aggiungersi o sottrarsi ad essa, contribuendo con ciò a fondare nuovi luoghi per lo sguardo. E’ il caso delle opere di Anna Rose, giovane artista americana che si fotografa ripetutamente in immobili dismessi, che paiono duplicare, in una sorta di mise en abyme, lo spazio stesso che -in questa occasione- le ospita (autorappresentazioni celate che lasciano intuire il senso di “una nudità intima, sotterranea”, che si installa, in maniera sempre precaria, instabile e azzardata in ambienti disastrati, come in attesa della “fine di un incantesimo”?) o di quelle fotografiche di Paolo Meoni, artista da sempre attento alle trasformazioni urbane delle periferie cittadine, i cui video pongono l’attenzione sullo spazio del mutamento, assumendo il volto di una sovrapposizione tra ciò che non è più e ciò che che non è ancora o di Chiara Bettazzi che ripropone in immagini fotografiche di grande formato, porzioni decontestualizzate del proprio studio, anch’esso ricavato in un ex spazio industriale, popolato da oggetti desueti e inservibili, trovati e perduti, fantasmi di oggetti d’affezione che mostrano tutto il sex appeal dell’inorganico. Decisamente più metaforici gli interventi di Daniela De Lorenzo, Andrea Santarlasci ed Elena El Asmar nelle cui ricerche si intrecciano temi e motivi soggetti a costanti approfondimenti. Nella opere di Andrea Santarlasci, in costante equilibrio tra emozionalità e concettualità, emergono esplicitamente oltre alle relazioni tra naturale e artificiale, visione e rappresentazione, meccanismi visivi di sdoppiamento e riflessione... che mirano progressivamente a modificare, la dimensione spaziale e contestuale.


Accostando, senza soluzione di continuità, l’immagine al suo doppio al suo inverso o ad una proliferazione di simili, Santarlasci proietta l’identico “nell’ambito della differenza”, mostrandoci l’enigmatica “gemmazione del molteplice all’interno dell’uno” (R. Kraus). In Daniela De Lorenzo il desiderio di “creare una cosa che sia contemporaneamente due cose” ha condotto l’artista a sostituire il paradigma spaziale del suo precedente lavoro, con un paradigma temporale, maggiormente capace di accogliere al proprio interno l’ipotesi della metamorfosi. Da tempo per De Lorenzo, molteplice non è più sinonimo di ciò che è composto da molte parti ma di ciò che è piegato in molti modi. Nel suo lavoro tutto tende, infatti, a duplicarsi ed a complicarsi per tornare a vivere più di una volta. Le sue stesse foto mostrano après coup e con l’evidenza di ‘immagini cristallo’ che la sua stessa scultura -declinata ripetutamente come abito, spoglia, involucro di un corpo sottratto alla vista- “ex-siste nella dimensione del possibile e non già sopprimendola”(M. Cacciari). Abitare la distanza sembra essere l’aporetico intento che muove la ricerca di Elena El Asmar, artista di origine libanese, nelle cui installazioni la distanziazione -continua riscoperta della distanza e dell’alterità- si rovescia paradossalmente in una modalità dell’approssimarsi che ci colloca contemporaneamente dentro e fuori, vicino e lontano rispetto all’opera stessa, in un luogo in cui L’esercizio del lontano rende plausibile la trasfigurazione di vetri avvolti in trame arabescate, in una sorta di paesaggio capace di restituire, “il sogno fenicio” dell’artista: l’apparenza intermittente di uno sfavillante paesaggio medio-orientale sospeso in un interno occidentale dismesso. Minimi e interstiziali, infine, gli interventi di Carlo Guaita ed Emanuele Becheri: Guaita propone, da una parte, una sorta di atlas di hangar e capannoni industriali che fanno specularmente il paio con una serie di frontespizi e indici di libri di fisica, geologia e filosofia mentre, dall’altra, gioca con una sorta di trasfigurazione e riedizione mentale di alcuni di essi, in scala fortemente ridotta: maquettes fantasma che assumono le remote vesti di sculture minimaliste, realizzate con la grazia e la sprezzatura di un bricoleur intellettuale che, prolunga, attraverso immagini video, il gioco tra interno ed esterno, pieno e vuoto e, tramite interventi plastici, quello tra piedistallo e scultura (sulla scia di una infinita tematizzazione brancusiana). Becheri, infine, tramite Beaux arts, sorta di anomalo, inusitato, readymade, frutto di un fortuito ritrovamento, pare voler indagare una dimesione interstiziale del tempo e dello spazio, che prende esplicitamente corpo a partire dalla nozione di resto, una dimensione che informa, sia pur in maniera indiretta, anche la serie di fotografica Hauntology. Qui, sopprimendo nello spazio rappresentato ogni indicatore che permette di creare un effetto di congruenza con lo spazio topologico di chi guarda, l’artista autonomizza e libera lo stesso spazio di rappresentazione. Il taglio praticato dalle foto trasforma, infatti, la spazialità preliminare a tal punto che, visivamente, queste opere possono essere esposte sia in orizzontale che in verticale, senza che la loro plausibilità o la loro enigmaticità si dissolva. A ben vedere non c’è un tema che sostenga l’operazione dall’esterno, così come non c’è un unico filo rosso che la percorra integralmente: se essa resiste, è solo in virtù di una compresenza di motivi che, come in una partitura musicale, si irrobustiscono vicendevolmente sovrapponendosi e intrecciandosi l’un l’altro per dar vita ad un’immagine o -come scrive Paolini- a una cornice, di tempo e di luogo, che delimita l’area che ci troviamo ad osservare. Attraversamento mentale di uno spazio abbandonato più che sua mera utilizzazione Après coup (dischiusure) non vuole modellare una prospettiva unica dello sguardo ma, eludendo preventivamente l’obbligo di adeguare l’opera al contesto o di ridurre quest’ultimo a semplice sfondo, tende a inaugurare uno spazio di transito. La mostra parla a più voci, per restituire oltre il verbo essere delle produzioni individuali dei singoli artisti, l’accadere plurale di un evento che si realizza nel suo stesso farsi e trae senso primariamente dal rapporto con il luogo che la ospita. E’ in quest’ ottica che la mostra, in anticipo rispetto alla data dell’inaugurazione, sarà visitabile già in fase di allestimento, trasformando dunque lo stesso montaggio in una sorta di cantiere aperto che testimoni il suo work in progress. 1. La mostra promossa da Studio Corte 17, si inserisce all’interno di Tuscan Art Industry. I giorni del contemporaneo nell’archeologia industriale toscana del 900 http://www.tuscanartindustry.com/ . Iniziativa realizzata con la collaborazione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, nell’ambito del progetto regionale “Cantiere Toscana Contemporanea” 2. Il riferimento è a Alberto Mugnaini, Figure del contrattempo, in: Arrêts sur images, a cura di Saretto Cincinelli, Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno, 2014.






Hauntology 2007-2010 Emanuele Becheri


L’esercizio del lontano 2010-2015, Elena El Asmar


Senza titolo (dagherotipi) I,II,II,IV, V, VI, VIII 2015 Carlo Guaita Senza Titolo (Vuoti), I, II, III, 2009 Carlo Guaita




Atlas 2009, Carlo Guaita


L’identico e il differente, 2003 Daniela De Lorenzo



The Lookout 2013, Anna Rose Empty room 2013, Anna Rose Empty room 2014, Anna Rose Archive 2014, Anna Rose


Sospeso 2015, Anna Rose




Isole per interno 1994/5 Andrea Santarlasci




Spostamenti progressivi 1 2015, Chiara Bettazzi


AprĂŠs coup (dischiusure)



Spostamenti progressivi 2 2015, Chiara Bettazzi


Senza titolo 1996, Andrea Santarlasci




Stream 2007, Paolo Meoni


Stream 2007, Paolo Meoni


Beaux Arts 1993-10 Magazines Emanuele Becheri



Spostamenti progressivi 3 2015, Chiara Bettazzi


Spostamenti progressivi 3 2015, Chiara Bettazzi


Interno 2011, Carlo Guaita

Proiezione video di: EMANUELE BECHERI: Primo acquerello astratto, 2015, dvd video, b/n ., sonoro, 1’: 04” Secondo acqurello astratto, 2015, dvd video, b/n. sonoro, 3’: 25” Terzo acqurello astratto, 2015, dvd video, b/n. sonoro, 1’: 21” Sesto acquerello astratto, 2015, dvd video, b/n. Sonoro, 1’: 33” PAOLO MEONI Bound, 2008 : B/N., sonoro, 10’: 52’’ Unità residenziale d’osservazione, 2009: b/n, sonoro, 5’: 30’’ DANIELA DE LORENZO Geotropico, 2007, video, colore, sonoro, performer Ramona Caia, 2’:15’’, Geotropico, 2007, performer Ramona Caia, 2’:31’’ Aiutanti, 2009, video, colore, sonoro, 1’: 42” Aiutanti, 2009, video, colore, sonoro,1’: 18” ANNA ROSE Jump, 2013, video, colore, sonoro, 1’:15” Curtain, 2013, video, colore, sonoro, 4’:02”






ph: Stefano Roiz


Veduta finestre frontale illuminate del’ Ex Fabbica Lucchesi.


La cisterna e ciminiera illuminate del’ Ex Fabbica Lucchesi.





Diari Urbani - SC17 Approfondimenti didattici


itinerario cotemporaneo condotto da Stefania Rinaldi La riqualificazione di uno spazio industriale, così come di una strada, di un edificio, di un giardino o di un quartiere, nasce dal senso di appartenenza che il cittadino che vive quel luogo o vi abita vicino viene ad acquisire. L’idea di affezione ad un luogo si lega ai ricordi che ognuno di noi ha su quel determinato spazio e sulla storia e la funzione che in passato ne hanno rappresentato il motivo di genesi e che, con il cambio di destinazione d’uso e il successivo abbandono, rimane inscritta all’interno dell’involucro che invecchia e degenera con il passare del tempo. Il ricordo e la memoria spesso non passano solo dalla sistemazione e dal necessario intervento di messa ad opera della struttura ma dalle funzioni spontanee che ogni giorno si possono consumare nello spazio e che hanno, nel caso di una riattivazione per mezzo di processi culturali, la peculiarità di rendere quel luogo attivo e aperto a processi di relazione, scambio e confronto. L’intervento che si è inteso proporre con TAI – Tuscan Art Industry - 2015 ha una natura sicuramente innovativa; non si sviluppa infatti partendo all’interno del luogo scelto, che diventa invece punto di arrivo di un percorso didattico mirato a rendere questo luogo prezioso per la comunità. Il percorso di riqualificazione diventa quindi un processo partecipativo con una forte caratteristica didattica, rivolto a tutta la comunità. TAI – Tuscan Art Industry 2015 nasce come la prima edizione di un festival annuale che si pone l’obiettivo di attivare un laboratorio di sperimentazione delle arti visive contemporanee all’interno di strutture industriali dal valore storico e architettonico ormai consolidato che sono spesso in stato di abbandono e chiuse alla fruizione. Il festival 2015 si è sviluppato intorno alla mostra temporanea Apres-Coup (dischiusure) dove le opere sono state disposte come presenze contestualizzate in uno spazio che impone un inevitabile dialogo, apparizioni di mondi Altri che innescano riflessioni legate alla condizione sospesa del luogo che le ospita. Inedito e ridefinito è il ruolo della componente didattica che ricerca la creazione di un’attenzione al luogo e alle sue potenzialità partendo dal racconto della memoria, con un programma di visite guidate legate ai temi dell’archeologia industriale, la proiezione del film “Giovanna” di Gillo Pontecorvo, girato a Prato negli anni ‘50 all’interno della struttura storica industriale La Romita oggi non più esistente e un percorso di accompagnamento guidato alla comprensione delle Opere d’Arte Contemporanea e alla risposta attiva che lo spazio fino a quel momento silente restituisce con forza allo stimolo intellettuale. Il programma 2015 rappresenta un primo approccio verso la creazione di una serie di percorsi didattici rivolti ai bambini e ai ragazzi, che considero il punto di partenza per innescare la nuova consapevolezza del territorio in cui si trovano a crescere e di cui saranno futuri custodi. L’attivazione di laboratori didattici, visite e percorsi guidati di scoperta e consapevolezza territoriale uniti al racconto e al naturale processo di trasmissione orale e scritto della memoria storica diventa oggi necessario per permettere alle nuove generazioni di sviluppare il pensiero critico che sta alla base di scelte che in futuro condizioneranno l’andamento sociale. La sensibilizzazione e l’affezione alle proprie radici culturali, incarnate nella conservazione e rigenerazione dei luoghi che ne rappresentano il sunto e insieme la ricchezza sono la base per la creazione di una vera e propria sezione didattica rivolta a tutte le fasce d’età. Stefania Rinaldi



Itinerari Archeo Industriali condotti da Giuseppe Guanci “…Occuparsi di Archeologia Industriale in una città come Prato è qualcosa di particolarmente emblematico; Il tessuto urbanistico di questa città è fondamentalmente Archeologia Industriale... una città particolare che diciamo, negli anni ha stratificato tutta la sua storia fin dal Medioevo ai giorni nostri, sulla base di questo sitema produttivo sostanzialmente declinato al tessile che ha generato tutta una serie di contenitori pieni di storie umane di imprenditori di operai che vi hanno lavorato all’interno; di macchine quindi storie tecnologiche storie di prodotti, perchè qui sono stati prodotti dei tessuti che poi hanno fatto la storia di Prato e hanno reso in qualche misura Prato famosa in tutto il mondo …”



Conversazioni intorno al documentario di Giuseppe Maddaluno “…Anna Fondi, Pietrino Vannucci, Cesarina Tortelli, Gracco Giustini, Franco Morbidelli, Leda Antonini......in quell’inizio degli anni Cinquanta erano giovani che avevano conosciuto la guerra con le sue brutture e la Resistenza con le sue lotte e guardavano al futuro con grande speranza, forti del loro impegno ideale. Anche Gillo, Giuliano, Franco ed Elena erano giovani. Elena, così come Armida, era giovanissima e coltivava i suoi sogni di studentessa costumista all’Accademia. Armida era un’operaia che, sin da bambina, arrivava tutte le mattine a Prato dal Mugello. E giovanissimi erano tutti i ragazzi che frequentavano i circoli con le sale da ballo dove incontravano giovanissime ragazze; e, d’estate, nelle Feste dell’Unità nei Circoli si discuteva di politica, anche quella internazionale, ma anche di questioni locali, non mancavano pettegolezzi, nascevano storie importanti. Il mio documentario ha trattato in modo tangente questi aspetti antropologici e sociali, ma in definitiva può ben dirsi che abbia parlato della “gioventù” …”



PROIEZIONE FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO Sede EX Fabbrica Lucchesi Piazza dei Macelli. “Giovanna” film documentario degli anni 50, quasi dimenticato, fu l’esordio del regista neorealista Gillo Pontecorvo. Girato a Prato con attori non professionisti narra gli aspri conflitti sindacali delle lavoratrici tessili. Il film, finanziato da un’organizzazione femminile comunista della Germania est , fu presentato a Venezia nel 1956 ma non fu mai distribuito e subito dimenticato. Racconta la lotta delle operaie per difendere il loro posto di lavoro, contro i padroni e anche contro i loro stessi mariti che disapprovano l’occupazione della fabbrica e il loro protagonismo. La protagonista (Giovanna) fu Armida Gianassi, reclutata nella sala da ballo di una Casa del Popolo. I temi trattati sembrano molto attuali: licenziamenti e lavoro precario. Gli anni ’50, ’60 e ’70 non furono rose e fiori. I pratesi non furono tutti imprenditori. I diritti non vennero regalati. Il film fu girato nel Lanificio Giulio Berti. La fabbrica era detta anche “La Romita” perché formatasi intorno all’antico “Molino della Romita” sulla gora omonima che infatti si vede nel film, ancora ricolma d’acqua. Oggi abbattuta e quindi scomparsa per far posto ad anonimi palazzi.


proiezione film Giovanna di Gillo Pontecorvo



Diari Urbani - SC17 Contaminazioni


A meditation on violence: (Una meditazione sulla violenza) “A meditation on violence” si presenta sotto forma di uno slide show di fotografie scattate durante 10 anni di viaggi attraverso l’ Europa alla ricerca di spazi architettonici che riflettono le caratteristiche delle persone che abitano in zone di guerra, che sia una guerra tra popoli, religioni o intesa come forte tensione sociale. Partendo dal Nord, Belfast, e diretto al sud Italia, mostra paesaggi che testimoniano un accanito monitoraggio, confinamento e desolazione: dalle “linee della pace” di Belfast, mura a tutti gli effetti e che prevengono cattolici e protestanti dallo spararsi a vicenda da una casa all’altra; successivamente viaggiamo attraverso involucri edilizi non finiti, monumenti per la corruzione, attraverso territori militari protetti da mura e filo spinato, vediamo discariche di rifiuti seminascoste da un manto erboso, bunker della seconda guerra mondiale, una tomba incompiuta per Costanzo (“Ganascia”) Ciano, ministro del regime fascista. Nelle ultime immagini la natura riconquista il territorio sottratto dall’ uomo. Come in molte distopie del cinema la natura dilagante compie un atto redentore. Tuttavia, osservando da vicino, possiamo vedere il lento avvolgersi delle piante, una sopra l’altra, come in un lento walzer dove i danzanti diventano naufraghi che si affondano a vicenda per rimanere a galla. La natura può esistere solo in una tensione costante tra vita e morte, e l’ uomo, appartenendole, evidentemente non riesce ad allontanarsi completamente dalle sue orgini. I cicli della natura sono anche i nostri, e gli eventi sembrano ripetersi in eterno. Il lavoro è stato presentato da Pietro Gaglianò e Alessandro Gallicchio, il primo ha introdotto e il secondo ha approfondito, parlando sopratutto della collaborazione tra artista e curatore: il progetto è nato dopo che Dino Incardi vide la mostra “polymorphosis”, curata da Gallicchio, e ci chiese un contributo per l’ online magazine d’ arte “ARTEXT”. “A meditation on violence” vorrebbe diventare un vero e proprio libro stampato, che comprenderebbe anche i testi di Pietro Gaglianò, Peter T. Lang, Piero Frassinelli e di Adnan Softic. Eva Sauer


A meditatin on violence, Eva Sauer


Concrete Horizon - Dj Set - Gea Brown


GEA BROWN CONCRETE HORIZON – DJ SET

Concrete Horizon è un set creato per sonorizzare uno degli ambienti dell’ex-lanificio Lucchesi. Con la scelta di posizionare la console dentro la vasca di cemento in fondo alla sala principale, tutto l’accento si sposta sulla pavimentazione del luogo: un orizzonte di cemento su cui adagiare il proprio ascolto. Il flusso sonoro scivola a terra prima di prendere altre direzioni; l’immaginazione ridisegna lo spazio, lo oltrepassa. Con un background come storica dell’arte, Gea Brown si accosta al Djing ricercando differenti filoni musicali, in un intreccio continuo tra storia e presente. Nei suoi set musica elettronica degli esordi e minimalismo americano degli anni ‘60 entrano in dialogo con le ricerche contemporanee in campo elettronico e elettroacustico. Un approccio eclettico che attinge anche a musica etnica, noise e tribalismi, con una predilezione per l’elemento vocale proveniente da spoken word e sound poetry. Dal 2010 è parte del duo Alpin Folks, con cui porta avanti un progetto audiovisivo segnato dall’unione di musica drone e musica techno. Ha curato sonorizzazioni per eventi legati al design e alle arti performative, collaborando con diverse realtà che operano nel contemporaneo, quali Sync, IUAV, Radio Papesse, Spazio O’, Villa Romana, Basemental, Sincronie, Palazzo Strozzi. I suoi dj set sono stati presentati in rassegne e festival di musica sperimentale, tra cui International Feel, S/V/N, Terraforma. https://soundcloud.com/gea-brown






www.tuscanartindustry.com www.sc17.com

Iniziativa realizzata con la collaborazione del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci nell'ambito del pr ogetto regionale: "Cantier e Toscana Contemporanea", e Regione Toscana, in collaborazione con il C omune di Prato e l 'Assessorato all'Urbanistica del comune di Prato.


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