Cuneo
Nel Def 3 miliardi per sostenere i salari. In stand by quota 41 per le pensioni
Vanessa Ciccarelli a pagina 23
L'equidistanza da Cina e Usa proposta da Macron divide gli alleati europei
Attilio Geroni a pagina 28
L'intervista
Nicastro (AideXa): «Banche più solide ma attenti ai rischi per l'edilizia non residenziale»
Mariarosaria Marchesano a pagina 32
settimanale il
diretto da CLAUDIO BRACHINO
UN PO SECCO
L'Eneide
Qui
ALLARME SICCITÀ
La peggior crisi idrica da 70 anni fa scattare l’allarme: in campo il governo con un maxi-piano. Intanto il fiume più lungo d’Italia, che attraversa 4 regioni che valgono il 40% del Pil, è ridotto in alcune zone a una spiaggia. Celebrato da Dante, Guareschi e Bacchelli, temuto per le sue piene, è il triste simbolo del cambiamento climatico
Non è il personaggio mitologico della grande epopea virgiliana, quello che fugge dalle rovine della sua città in fiamme, Troia conquistata dai Greci, e dopo mille peripezie approda sulle coste del Lazio per dare il via alla storia di Roma. Il nostro Enea è un piccolo essere indifeso protagonista di un semplice, commovente pezzo di cronaca. È stato abbandonato, probabilmente dalla madre, nella culla della vita alla Mangiagalli di Milano con una lettera che in sostanza dice questo: lo amo ma prendetevi cura di lui, io non sono in grado. Non è certo la prima volta che mettere al mondo qualcuno vuol dire poi accompagnarlo nel mondo, crescerlo, educarlo, istruirlo, farlo diventare a tutti gli effetti un adulto capace di badare a se stesso e affrontare le sfide della vita. Per tutto questo ci vogliono gli attributi e un bel po’ di soldini. Per questo il piccolo Enea diventa non un eroe epico, ma il protagonista suo malgrado del più potente racconto neo-realistico di Pasqua. Ci ricorda che in questo paese, qualunque siano state le ragioni anche poco etiche di chi lo ha abbandonato, esistono le cosiddette fragilità, terra di mezzo fra l’essere e l’avere, e che non tutti quelli che vengono alla luce godono davvero delle stesse chance. Ecco il punto è proprio questo, Enea non è solo il simbolo della
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GIORNALE ECONOMICO POLITICO L'editoriale
EURO 3,00 ● VENERDÌ 14 APRILE 2023 ● ANNO 2 / N°32/33
fiscale Le incertezze della Ue
Il Salone del mobile Boom di imprese e buyer, Milano verso il tutto esaurito
California La frontiera dell'intelligenza artificiale riaccende la corsa all'oro
Paola Guidi, Franca Rottola, Paolo Cova alle pagine 34-39
Ernesto Sirolli a pagina 26
Inchiesta di Chiara Giannini e Roberta Favrin, con un ricordo di Roberto Pazzi alle pagine 8-11
L'Eneide
...continua dalla prima pagina
povertà, quello è evidente. È soprattutto il simbolo della disuguaglianza che ormai divide sempre di più gli italiani in due paesi. Uno che sta molto bene o comunque bene, che lavora, guadagna e a Pasqua spende (le casse del nostro turismo laicamente ringraziano) per il meritato riposo, che riempie le città d’arte, mangia al sole in spiaggia o si gode l’ultima sciata. L’altra che rimane a casa a guardare calcio, reality o serie a go-go, oppure fa la gita di Pasquetta nel parco più vicino. Se va bene. Sennò, anche peggio, fa i conti per mutui e bollette e non compra neppure l’uovo di cioccolato al supermercato. Della colomba neanche l’odore, e hanno fatto discutere proprio nella Milano dove è stato abbandonato Enea le colombe luxury di alcune pasticcerie a più di 400 euro. E ancor più ha fatto discutere che c’era gente che se le comprava. A proposito di discussioni, siccome lo diciamo sempre noi siamo gli eredi nevrotici dei guelfi e dei ghibellini, anche il povero, in tutti i sensi, Enea non ha solo commosso ma ha fatto pure litigare. La pietra dello scandalo è stato il supervip, e presumiamo super ricco Ezio Greggio che nell’anelito di aiutare chi ha abbandonato il piccolo a riprenderselo ha sbagliato linguaggio, tipo il bambino ha bisogno di una madre vera etc etc. Subito i social lo hanno sbranato e subito l’associazione di turno, quella dei genitori adottivi, è insorta. Conosco Ezio da tanto tempo, gli studi dove per anni ho fatto Studio Aperto erano confinanti con Striscia la notizia, non credo che abbia voluto offendere nessuno, tantomeno l’autenticità dell’amore di chi adotta un bambino. Giuste le precisazioni,
però per me la generosità vince sul politicamente corretto, mentre purtroppo con il web non abbiamo nulla da fare, entra ormai anche negli affreschi del neo-realismo moderno. Allora, più che ai social torniamo al messaggio sociale della storia. Nessuno deve dimenticare chi ha di meno, noi tutti come cittadini, le istituzioni locali e nazionali, la Politica con la p maiuscola. La discussione è già a livelli alti sul reddito di cittadinanza ma con l’equivoco ideologizzato della definizione di povertà assoluta. Una democrazia non può non proteggere chi deve essere aiutato in toto, ma ha il dovere di assicurare la dignità del lavoro a tutti, come prevede il primo articolo fondante della nostra Costituzione. Poi attenzione, mentre la ricchezza si concentra in tutto il mondo e anche da noi in poche mani, una parte di una sterminata classe media del XXI seco lo si impoverisce sempre di più. Se Virgilio nell’e poca del progresso tecnologico è un po’ passato di moda, le Eneidi dei nostri poveri giorni leggetele e rileggetele con grande attenzione. n
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pagina 3 VENERDÌ 14 APRILE 2023 L’EDITORIALE ils
Claudio Brachino claudio.brachino@ ilsettimanale.pmi.it
pagina 4 SOMMARIO ils 34 16 42 22 IL FATTO Migranti, l’Italia dichiara lo stato di emergenza 7 L’INCHIESTA Po, un’agonia lunga 652 chilometri 8 Riso amaro, la siccità stravolge le coltivazioni 10 La salinità uccide le vongole nel Delta e in Laguna 10 Roberto Pazzi: «L’umiliazione di Eridano» 11 LE OPINIONI Umberto Rapetto 13 Cesare Damiano 15 Luigi De Magistris 25 Antonio Dini 47 NEL MONDO DELLE IMPRESE Neveplast, le piste sintetiche da sci che colorano il mondo 16 Epi: le magliette di Juve, Inter e Milan parleranno americano 18 Napoli culla della nautica tra riscatto e criticità 19 La farmacia diventa un centro della salute 20 Innovation di Barbara Millucci 21 LA SETTIMANA POLITICA Indiscreto: nomine, pareggio Meloni-alleati 22 Focus: Cuneo fiscale, un taglio a sorpresa da tre miliardi 23 Qui California: IA, la frontiera che riaccende la corsa all’oro 26 Qui Bruxelles: Stop all’obsolescenza programmata 27 LA SETTIMANA INTERNAZIONALE L’equilibrismo di Macron inciampa nel tappeto rosso di Xi 28 Jordan Bardella: asse con l’Italia sui migranti 28/29 L a Cina vista da un imprenditore italiano 29 SOSTENIBILITÀ GemaTEG la startup che raffredda i data center 30 Dimmi come consumi e ti dirò come risparmiare 31 FINANZA E IMPRESA Nicastro (Aidexa): «Attenzione alla bolla immobiliare degli uffici» 32 Lo scudo ideale contro l’iper-inflazione 33 SALONE DEL MOBILE 2023 Così la fiera riconquista imprese e buyer 34 Anche gli americani vengono a copiare 34 Parole d’ordine e nuove tendenze 35 Milano fa il tutto esaurito soprattutto con il Fuorisalone 36 Made in Italy senza frontiere: export al 53% 37 Lumina accende la luce grazie alle stelle del design 38 Valle: «Ecco come Home Italia è sbarcata in Cina» 39 ECONOMIA DELLA CONOSCENZA Weekend a misura d’uomo a Ljubljana 40 Mostra/1: Ipnotizzati dall’occhio animale 42 Mostra/2: Arte al tempo del Metaverso 43 Dischi, la buona musica è No Gender 44 Enologia sartoriale 44 Mostra/3: Evasioni, esperienze quotidiane di vita 45 Serie Tv: il lato oscuro del capitalismo 46 8
Il dramma dei migranti, l’emergenza dichiarata dall’Italia messaggio per la Ue
Il governo Meloni ha decretato lo Stato di emergenza nazionale per l’immigrazione in Italia. È vero, da diversi anni a questa parte, l’emergenza è diventata un’opzione sempre più frequente della politica per affrontare i problemi, basti vedere il Covid o quanti chiedono oggi uno stato di emergenza per il clima. Ma è anche un chiaro sintomo di crisi delle democrazie occidentali perché prevede un’eccezione alla normalità.
Anche (ma non solo) per queste ragioni proviamo a scandagliare la scelta del governo italiano sull’immigrazione che prevede un commissario straordinario, lo stato di emergenza nazionale e la stretta sulle protezioni umanitarie. Si tratta di tre aspetti che puntano a cercare di contenere l’ondata degli sbarchi sulle coste italiane mai così massiccia e intensa come in questi ultimi mesi (e il caldo e l’estate
devono ancora arrivare). Secondo alcune stime degli apparati di sicurezza, entro la fine dell’anno potrebbero arrivare circa 300mila persone in Italia. La crisi della Tunisia, l’instabilità della Libia, le rotte dalla Turchia rappresentano punti di partenza di migliaia e migliaia di persone che guardano all’Italia come approdo d’Europa in cerca di una vita migliore.
E qui emerge il primo rilievo all’Unione europea: non dovrebbe essere l’Italia a proclamare l’immigrazione una emergenza bensì l’Europa perché i migranti guardano, per un futuro migliore, al Vecchio Continente di cui il nostro Paese è la frontiera, il confine meridionale nel Mediterraneo. Sei mesi di emergenza in Italia – con uno stanziamento iniziale di 5 milioni di euro che arriveranno a 20 – con tutta la buona volontà del governo Meloni non risolvono la questione immigrazione, tutt’al più –
come dicevamo – cercano di contenerla. Ma soprattutto segnalano all’Unione europea, che tanto guarda ai conti italiani, che c’è un’emergenza che riguarda uomini e donne e non dei parametri. Ecco, se l’emergenza italiana servisse a svegliare l’Ue sull’immigrazione togliendola dalle pigrizie cui la legano diversi Stati non mediterranei, soprattutto del Nord, sarebbe un successo politico. Vedremo. Intanto, oltre alla lentezza Ue vi è un’altra questione di politica internazionale che va affrontata sul tema immigrazione. E riguarda la Tunisia, Paese da cui salpa verso l’Italia una gran parte dei migranti. Il Paese nordafricano sta attraversando una crisi politica e economica profonde e avrebbe bisogno urgente del sostegno occidentale, a cominciare dalla sblocco del prestito da 1,9 miliardi di euro del Fondo monetario internazionale, ancora fermo perché l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, chiedono riforme a Tunisi. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha riferito di recente al segretario di Stato Usa, Antony Blinken, le preoccupazioni per una Tunisia in crisi e per la massiccia immigrazione, chiedendo almeno l’erogazione di una tranche del prestito al Paese africano; ma gli Stati Uniti sembrano ancora non fidarsi del presidente tunisino, Kais Saied. A Washington dovrebbero tenere conto, però, che in tempi così complicati, con la guerra russa in Ucraina e le tensioni con la Cina crescenti, un Mediterraneo instabile per una pressione migratoria potente e per le crisi di Paesi nordafricani come Tunisia e Libia (dove le tensioni durano da anni) non è affatto un elemento di stabilità geopolitica. Anzi. Intanto il tempo passa e l’emergenza immigrazione continua, con l’Italia che si trova da sola (o quasi) ad affrontarla. n
pagina 7 IL FATTO VENERDÌ 14 APRILE 2023 ils
di Silvio Magnozzi
Entro l’anno attesi 300mila sbarchi nel nostro Paese, porta d’ingresso di un’Europa che dovrebbe trovare soluzioni concrete e immediate e invece è bloccata dall’inerzia di alcuni Paesi del Nord
Un’agonia di 652 chilometri: Po simbolo dell’Italia a secco Piano di salvataggio con laghi, dighe e desalinizzatori
Èla peggior crisi degli ultimi settant’anni, con un calo della disponibilità idrica del 20% e una prospettiva di risoluzione per ora molto difficile. La morsa della siccità che tiene l’Italia col fiato sospeso trova nel Po, il fiume più lungo dello Stivale, con i suoi 652 chilometri di percorso, l’esempio più eclatante. Con la stagione delle semine alle porte, tanto per capire la gravità della situazione, al Ponte della Becca, in provincia di Pavia, è arrivato a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come accade in estate. E questo è un bel problema, perché le conseguenze di una secca così importante sono innumerevoli: meno acqua per 16 milioni di persone, meno specie viventi, meno risorse per le aziende delle quattro regioni attraversate dal fiume (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto), che tutte insieme producono circa il 40% del Pil nazionale.
Stando ai dati riportati in uno studio dell’Adbpo (Autorità di bacino distret-
tuale del fiume Po), «sul bacino sono localizzate circa un terzo delle imprese italiane (il 46% degli occupati in Italia), con un numero degli addetti prevalente nel settore industriale (oltre 3 milioni) e terziario (oltre 2,7 milioni). Il settore produttivo agricolo è molto sviluppato e occupa il più ampio nucleo di terre coltivate (3.400.000 ettari) sul totale nazionale, e copre il 35% della produzione nazionale».
Dal Po, per intenderci, ogni anno vengono prelevati circa 20 miliardi di metri cubi di acqua dedicati all’agricoltura e all’industria. Una secca così devastante che persino la sonda europea Sentinel-2 è riuscita a fotografarla dallo spazio. Ma quali sono le ragioni di una siccità così importante?
Stefano Mariani, ricercatore dell’Ispra, spiega al Settimanale che «la situazione a cui stiamo assistendo è dovuta a un deficit di precipitazioni che sull’Italia del Nord in particolare si registra già da fine 2021. In sostanza, si tratta di un per
durare di una mancanza di piogge che si somma a un aumento delle temperature che in alcuni mesi dello scorso anno è stato anche estremo».
Che cosa si può fare per risolvere questa situazione? «In primis – continua Mariani – bisogna dire che abbiamo registrato da un po’ di tempo una minore disponibilità media di risorse idriche sul territorio nazionale. In particolare nell’ultimo trentennio climatologico, ovvero dal 1991 al 2020, la disponibilità idrica è diminuita del 20% se rapportata al dato storico più vecchio disponibile che abbiamo, ossia quello del trentennio 19211950. Ecco perché servono misure importanti».
Va detto che «si deve agire sulla riduzione delle emissioni di gas serra che però avranno un impatto non nell’immediato e al contempo bisogna operare tenendo in considerazione che abbiamo meno disponibilità di risorsa idrica e quindi dobbiamo gestirla in maniera differente. Le soluzioni attuali sono molteplici: da
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misure di tipo strutturale a un attento monitoraggio che nel breve periodo può farci rendere conto di quanta acqua disponiamo e come utilizzarla al meglio».
Su questo fronte, già nel Pnrr sono stati inseriti interventi ad hoc per il Po e il governo ha appena approvato il Decreto siccità, che prevede misure a breve e lungo termine, con la creazione di un commissario nazionale. Misure che «troveranno immediata attuazione» e serviranno per affrontare il problema da tutti i punti di vista: dalla raccolta e l’utilizzo di acqua piovana, alla depurazione delle acque reflue, agli impianti di desalinizzazione.
Si potranno realizzare vasche di raccolta di acque meteoriche per uso agricolo entro un volume massimo stabilito e riutilizzare le acque reflue depurate per uso irriguo, tra le tante cose. Nel decreto si parla anche di desalinizzazione dell’acqua marina e dell’aumento dei volumi utili degli invasi. La realizzazione delle opere rinvia al modello Pnrr e vi sarà una cabina di regia che effettuerà la ricognizione degli interventi di urgente real-
izzazione per far fronte, nel breve termine, alla crisi idrica. In sede di Pnrr per le misure per contrastare la secca del Po sono stati stanziati 357 milioni di euro utili a «rendere efficiente la risorsa idrica all’interno dell’asta del fiume».
I due attori attivamente coinvolti sono Aipo e l’Autorità di bacino. Il programma interessa 28mila ettari e sono 56 i siti di intervento sul Po già mappati. Ciò a cui si sta puntando è il favorire una «maggiore circolazione dell’acqua, intervenendo anche sulle difese artificiali». E poi piantumazioni e riattivazione delle vecchie lanche adesso occluse. Insomma, ci si sta dando da fare, come in Veneto. Il governatore Luca Zaia racconta al Settimanale: «La siccità è un problema reale, è sotto gli occhi di tutti. Siamo in un periodo dell’anno durante il quale l’alveo dei fiumi e le falde dovrebbero essere vicini ai massimi della loro capacità. Invece, a inizio primavera, stiamo fronteggiando un’emergenza idrica. Possiamo aggrapparci alla speranza, nelle piogge, che arriveranno. O possiamo –come stiamo facendo in Veneto – lavorare
perché il tema dell’acqua sia centrale nella pianificazione. Siamo una delle poche regioni italiane che ha scelto di istituire, ad esempio, una propria società in house per la gestione dell’acqua. È Veneto Acque: orientata alla progettazione e costruzione del Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto: una rete composta da grandi infrastrutture idriche che interconnettono i gestori locali, in grado di garantire sicurezza negli approvvigionamenti, risparmio idrico ed energetico e di aumentare la resilienza complessiva a fenomeni come quello della siccità». E prosegue: «Stiamo investendo in impianti e infrastrutture, per contenere lo spreco e trattare le acque: cito solo, fra i vari cantieri, la nuova rete che collegherà Camazzole, fra le province di Vicenza e Padova, con il delta del Po, portando 950 litri al secondo di acqua potabile dove il cuneo salino compromette la possibilità di poterla utilizzare, anche per usi civici. Serve quindi investire in infrastrutture, ma anche in modelli di utilizzo consapevole e oculato: la parola ‘spreco’ non deve potersi più affiancare all’acqua». Il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Edoardo Rixi, ci chiarisce che «dopo il Codice degli appalti il governo ha semplificato anche il settore idrico. Il livello idrometrico del fiume Po è allarmante in vista dell’estate e registriamo anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino e appenninico. Sul bacino sono previsti interventi di manutenzione straordinaria delle traverse di regolazione dei grandi laghi naturali come Garda, Maggiore e Iseo. Siamo al lavoro sul miglioramento e la riduzione delle perdite dai grandi canali irrigui, come il canale Villoresi, insieme alla progettazione e al miglioramento delle opere a protezione del cuneo salino nei diversi rami del Delta del fiume». E ancora: «Sono previsti nuovi adduttori acquedottistici, anche con prelievo da grandi dighe anziché da falda come l’acquedotto Valle Orco in Piemonte. Siamo pronti poi con interventi per ottimizzare la gestione dell’acqua in ambito di distretto in alcune città del bacino idrografico tra cui Milano, Bologna e Piacenza. Misure chiave in vista della prima riunione della cabina di regia sulla crisi idrica guidata dal ministro Matteo Salvini, quando verranno approfonditi anche gli aspetti economico-finanziari». La senatrice Simona Petrucci (FdI) in commissione ambiente, tiene a dire: «Riguardo alla crisi idrica si è fatto in questi anni un gran parlare, senza risultati degni di nota. La consapevolezza, da sola, non basta. Per la prima volta questo governo ha iniziato a considerare la questione non più come un’emergenza ma come un problema strutturale. In particolare, la situazione di perdurante sofferenza del Po, con conseguente rischio per l’ecosistema e per le imprese che vi traggono energia, rischia di continuare ad aggravarsi. Ecco perché il governo, con il decreto siccità, ha dato una risposta i cui effetti saranno presto visibili e soprattutto misurabili». n
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La peggior emergenza idrica da 70 anni sta prosciugando il fiume che ha segnato la storia del Paese, con pesanti conseguenze economiche, sociali e ambientali: bagna 4 regioni che valgono il 40% del Pil, e ogni anno fornisce 20 miliardi di metri cubi d’acqua a industria e agricoltura. Ma ora in diverse zone l’alveo è ridotto a spiaggia
VENERDÌ 14 APRILE 2023
di Chiara Giannini
Riso amaro, la siccità stravolge le coltivazioni
Dalle sorgenti al delta del Po la carenza di acqua condiziona le semine e spinge molte aziende verso colture meno bisognose di irrigazione
Le risaie le aree più colpite (8mila ettari in meno), soffre anche il mais
In Emilia raddoppia il costo dell’erba medica per gli allevamenti
Un cielo che preoccupa e un tempo limite per la prossima semina. Dalle sorgenti al Delta del Po gli agricoltori vivono le stesse ansie e, per molti versi, la stessa sensazione di impotenza. Neve e pioggia non si comandano, le falde si asciugano come i fiumi e i laghi, la terra si spacca, dura come una pietra, polverosa come la sabbia nel deserto. I più speranzosi sono in campo, altri temporeggiano. Vale per il riso come per il mais. Il viaggio inizia tra le risaie, 218mila ettari tra Novara, Vercelli e Pavia. Nel 2022 sono stati seminati 9mila ettari in meno e si sono prodotti 15 milioni di quintali: la siccità ha falciato il 17% del raccolto totale, ma qualcuno ha perso ben di più, dal 40 al 65%. Per questo molti hanno deciso di cambiare strada. «Un sondaggio dell’Ente Risi lanciato ha stimato che quest’anno si perderanno altri 8mila ettari di riso – segnala Giovanni Daghetta, storico risicoltore pavese e consigliere del Consorzio di Irrigazione Est Sesia – la Pac ne incentiva la coltivazione, il clima no». Qualcuno ha già optato per le colture autunno vernine che si raccolgono a giugno, altri stanno valutando le alternative: il mais, la soia o meglio ancora il sorgo, decisamente meno bisognoso di irrigazione. «La semina del riso può attendere fino a fine aprile, metà maggio al massimo, io spero ancora nella pioggia», dice Daghetta. Un intero comparto a rischio? «Le risaie, grazie al riutilizzo dell’acqua per più volte e alla progressiva restituzione della stessa ai fiumi, rappresentano un esempio virtuoso di impiego della risorsa idrica – risponde – dobbiamo utilizzare al meglio le falde sotterranee e a mio avviso riprendere la semina in acqua, via via abbandonata nell’ultimo decennio. Va detto, poi, che ogni zona ha il suo affanno: lo scorso anno il
Sesia stava meglio del Po, quest’anno, se guardiamo ai dati di aprile, la situazione è esattamente opposta».
Il risparmio dell’acqua è un “must”, un obbligo perentorio per tutti. Come realizzarlo è un problema a soluzione aperta. Piersilvano Borella, allevatore e vicepresidente di Cia Agricoltori Centro Lombardia critica apertamente l’irrigazione a goccia sostenuta da molti colleghi: «È adatta solo ad alcuni tipi di terreno e soprattutto ha una dispersione esorbitante: il 70% dell’acqua evapora, il 30% resta sulla pianta, quindi nulla finisce nella falda – afferma – con il sistema a scorrimento, invece, il 70-80% dell’acqua irrigata torna alla falda e alimenta tutti i terreni lungo gli impianti, senza distinzione».
Scendiamo in Emilia Romagna, terra d’elezione del Parmigiano che significa oltre 3mila allevamenti e più di 300 caseifici, 4,1 milioni di forme per un valore alla produzione di circa 1,8 miliardi. Sulla riva destra del Po i terreni sono argillosi e lo stress idrico, per ora, si percepisce meno. L’erba medica seminata a febbraio ce la farà, ma dopo? Se non piove, da metà di maggio in poi soffriranno il mais e gli sfalci successivi delle foraggere che già sono molto più costose. L’erba medica valeva 1517 euro al quintale, oggi 27-30. Lo sa bene Roberto Gelfi, imprenditore del settore zootecnico, amministratore del Consorzio del Parmigiano Reggiano e presidente di Confagricoltura Parma: «La Dop Parmigiano Reggiano è obbligata a ricavare il 70% delle foraggiere nella sua area di produzione – spiega – nel momento in cui la siccità riduce la capacità produttiva va in sofferenza tutta la filiera».
Il tema dell’acqua che non c’è diventa un’incogni-
ta ancora più pesante se ci si proietta all’estate: che sia al pascolo o in stalla, ogni bovina da latte consuma da 100 a 150 litri di acqua al giorno. «Bisogna salvare le falde, migliorare la gestione dei consorzi irrigui, utilizzare sistemi di irrigazione più efficienti, accelerare la sperimentazione in campo di varietà resistenti a stress idrico e fitopatogeni», suggerisce Gelfi.
L’ultima tappa del viaggio è in Polesine. In provincia di Rovigo c’erano oltre 26mila ettari coltivati a granturco: «La siccità dello scorso anno e quella che si prospetta da qui a fine estate ha ridotto la semina del 60%», denuncia Cia Rovigo. Claudio Greguoldo ha un’azienda agricola di 40 ettari a Porto Tolle, sul Delta del Po: «Questa è la terra dei miei nonni, io ho 71 anni e una siccità così non l’ho mai vista. La terra si spacca, il cuneo salino riempie le falde di acqua salata, non si può irrigare, ho rinunciato a metà del raccolto». Si prova con colture meno idroesigenti come grano, girasole, orzo. I tecnici agricoli prevedono che in pochi si cimenteranno con il secondo raccolto di soia, perché bisognerebbe irrigarla con regolarità tra fine giugno e luglio quando la crisi potrebbe essere al culmine. «Siamo in mezzo a sette rami del Po, non abbiamo acqua dolce ma paghiamo lo stesso il servizio al Consorzio irriguo: non si può andare avanti così – denuncia Greguoldo – chi ha autorità e mezzi deve intervenire subito: bisogna trattenere l’acqua dolce quando c’è e dissalare quella del mare. Senza acqua la prossima vittima è la pianta umana». Il presidente di Cia Veneto, Gianmichele Passarini, si appella al commissario straordinario nazionale per l’emergenza idrica: «L’acqua è a disposizione di tutti, nessuno potrà beneficiarne più di altri». n
La salinità uccide le vongole nel delta e in laguna
L’aumento della salinità lungo la costa soffoca le vongole veraci, eccellenza della laguna veneta e del Delta del Po. La ridotta portata di acqua del fiume sta stravolgendo gli equilibri naturali e la biodiversità dell’ambiente salmastro: «Lo stress salino indebolisce i mitili rendendoli più sensibili all’attacco del Murice, predatore che si sta diffondendo in laguna – denuncia Mauro Mantovan, consigliere nazionale di Pescagri Cia – la produzione di vongole è in caduta libera, fino all’80% in meno rispetto a una decina di anni fa». Il Libro Bianco elaborato da Ambrosetti per la Regione (presentato a giugno 2022) stima che il solo comparto della vongola verace rappresenti in valore il 37,8% dell’intera produzione regionale di pesca e acquacoltura: 157,6 milioni (nel 2020). Il Veneto assicura il 39,5% del prodotto nazionale: «Ci sono 2.300 famiglie che vivono di questo, 1500 nella sacca di Goro –sottolinea Alessandro Faccioli, responsabile di Coldiretti Imprese Pesca
Veneto – bisogna salvaguardare questo patrimonio che è insieme economico ed ambientale perché la bellezza e la biodiversità delle lagune è unica».
Nel frattempo qualche impresa sta sperimentando la coltivazione dell’ostrica piatta Ostrea edulis, storica abitante della laguna veneziana almeno fino alla fine del XIX secolo. A lanciare il progetto su scala scientifica è stata l’Università Ca’ Foscari, nel 2021, con la biologa marina Camilla Bertolini, ricercatrice del programma Marie Curie in Ecologia dell’ateneo veneziano. Con la collaborazione di acquacoltori locali sono state seminate 2.200 ostriche “mamme”, importate dalla Croazia per diventare le capostipiti della nuova colonia lagunare. Il progetto pilota si avvia alla conclusione e sembra che le indicazioni siano incoraggianti per lo sviluppo di un’acquacoltura sostenibile, per l’ambiente e per gli allevatori. n
pagina 10 L’INCHIESTA ils
di Roberta Favrin
Panta rei, l’umiliazione di Eridano che fin da piccoli abbiamo imparato a temere
Fa male vedere agonizzare un fiume da sempre visto con sospetto da chi abita vicino per le sue inondazioni, ma che ritma le nostre abitudini. Protagonista di racconti e ambientazioni da Dante a Tasso, da Bacchelli a Guareschi
Fa davvero male veder agonizzare quel Po che accoglie con gli affluenti delle sue due rive l’anima del Bel Paese dalle Alpi agli Appennini, nella sua parte più settentrionale. Quel Po la cui lunghezza, fin da bambini, avevamo imparato essere di ben 652 chilometri. Nato dal Monviso, in Piemonte, traversata tutta la pianura, il fiume si getta «su la marina dove il Po discende / per aver pace co’ seguaci sui», come narra Francesca da Rimini nell’Inferno dantesco. Vivendo a Ferrara, a soli sette chilometri dal Po, sono cresciuto nell’abitudine a temerlo per le sue ricorrenti e devastanti inondazioni. Spettro di un’antica paura di morire affogati è nella mia città l’assoluta rarità di fontane, quasi a voler rimuovere la costante minaccia dell’acqua dalle fantasie dei ferraresi. Ho ancora negli occhi i giorni del novembre del 1951 in cui il Po a lungo rimase sospeso nell’immaginario padano per la possibilità di esondare sulla riva destra, a Ferrara. Ricordo ancora mio nonno Virgilio salire i 92 gradini di casa mia, nel centro della città, con un sacco di farina sulle spalle, prevedendo di trasferirsi da mio padre con gli altri suoi figli, visto che abitavamo più in alto di loro. E lassù, a casa mia, nel palazzo della Cassa di Risparmio, i miei nonni avrebbero fatto il pane per tutta la famiglia, raccoltasi come in un’arca di Noè, in attesa che le acque tornassero a scorrere nel loro consueto alveo. Il Po ruppe invece il 14 novembre nel Veneto, facendo vittime e danni tali da suscitare una generosa gara di solidarietà e di soccorsi, dei “fratelli d’Italia”.
Quell’alveo, a vederlo oggi da Torino, stretto come un ruscello fra i suoi “murazzi”, sembra la pallida ombra di sé stesso. Attra-
verso ben quattro regioni, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia il Po, con la sua odierna magrezza, ci ricorda che il pianeta azzurro si sta velocemente riscaldando mentre molte specie animali si stanno estinguendo. Né ci conforta rammentare che ci sia stata nella storia della Terra un’altra “grande moria” tale da uccidere quasi il 90% della vita per il surriscaldamento. Ora tocca a noi impedire, ricchi di tutta la nostra scienza, l’irreversibilità di questo immane disastro, rimediando il male che abbiamo ereditato e aggravato. Se non ci cogliesse il dubbio che proprio la tracotanza della nostra scienza, con le applicazioni delle sue metastasi tecniche, abbia ridotto a questo stato il nostro clima. Sta di fatto che oggi ci sono punti in cui nel suo medio corso, si può attraversare il Po a piedi, emergendo sabbie e isole dalle acque che eravamo abituati a vedere di un perenne cupo verde. In certi punti la navigazione diventata impossibile, ha umiliato il Po a fiumiciattolo, fra barche arenate, ponti superflui, pontili abbandonati. Immagini che evocano la desolata desertificazione di certe regioni siberiane del prosciugato lago Aral. E pensare che da ragazzo, in un mese di luglio degli anni Settanta, per una siccità di proporzioni ben più modeste, profittai
dell’esiguità delle acque per fare un bel bagno nel Po e stendermi poi sulla sabbia, ad asciugare al sole. La cosa proibita, anche per il pericolo delle nascoste correnti, tingeva di sfida il piacere inusuale di quel bagno, in acque ancora pulite. Quel giorno in mezzo al Po evocavo i versi di Ungaretti: «Stamani mi sono disteso/ in un’urna d’acqua / e come una reliquia/ ho riposato … e qui meglio/ mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’universo».
Difficile non evocare un’altra fotografia del Po, questa volta del 1929, quando invece, per un inverno di straordinario rigore, le acque gelate consentivano a ferraresi e ai vicini veneti, di attraversarlo a piedi, sulle lastre spesse di ghiaccio. Da tempi degli Etruschi, quando si chiamava Eridano, il Po ritma le nostre abitudini, le nostre stagioni, le nostre attese, come un custode della nostra vita, piantati qui come siamo al centro della pianura più vasta d’ Italia. A Ferrara più sensibile è quel vuoto per l’assoluta mancanza di riferimenti visivi che spezzino l’orizzonte, come una montagna, una collina, un lago, un mare. In quel vuoto quasi sarmatico, il genio dell’Ariosto collocò la compensazione del pieno con le leggende medievali rivissute con animo rinascimentale nel suo Orlando furioso. E al Belvedere, in mezzo al Po, l’isola oggi inesistente, la corte Estense riunita intorno al duca Alfonso II assisté nel 1573 alla prima rappresentazione dell’Aminta del Tasso, l’altro grande poeta di Ferrara. In tempi più vicini a noi, un’altra penna ha immortalato il mito del Po, legandolo alla storia e alle sue mutevoli stagioni, quasi il fiume sia una stella fissa, nel firmamento del divenire che travolge ogni forma della civiltà. Ed è la penna magistrale di Riccardo Bacchelli, con Il mulino del Po. Il romanzo dall’età napoleonica narra una saga famigliare che arriva fino ai nostri giorni. Ma è tutto il corso del Po ricco di echi letterari, di rimandi a varie interpretazioni poetiche, fra epica e narrativa. Come dimenticare, nella bassa reggiana, Brescello, il paese affacciato sul Po dove l’Enza vi confluisce, immortalato dalla satira di Giovannino Guareschi, con i suoi libri su Don Camillo e Peppone? Quelle pagine dell’eterno scontro fra Ghibellini e Guelfi, aggiornate al contrasto fra comunisti e democristiani, sono nel dna della nostra moderna identità storica. Ma è forse nella metafora eraclitea del panta rei, del “tutto scorre”, che il Po riconosce la verità più alta della sua forza simbolica, quella del Tempo, lungo le cui rive nasciamo e scompariamo, in un eterno divenire n
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di Roberto Pazzi
VENERDÌ 14 APRILE 2023
Roberto Pazzi Scrittore, poeta e giornalista
Spettro di un’antica paura di morire affogati è nella mia città l’assoluta rarità di fontane, quasi a voler rimuovere la costante minaccia dell’acqua dalle fantasie dei ferraresi. Oggi ci sono punti in cui, nel medio corso, si può attraversare il Po a piedi...
Quando “staccare la spina” causa guai come un vero attacco hacker...
Umberto Rapetto Generale Gdf – già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche
Esperienza diretta vissuta in un ufficio postale della Capitale: un blackout di tutti i servizi (in diverse sedi) che sembrava suggerire un assalto pirata
Mercoledì 6 aprile alle ore 17 nei sistemi informatici di Poste Italiane qualcosa comincia a non funzionare. Il mattino successivo molti uffici sono bloccati e chi entra vede che il “totem”, che distribuisce i biglietti per mettere in coda la clientela, è spento. Nella sala, normalmente affollata in maniera composta, si sente la voce di una delle impiegate che, con tono deciso e al contempo rassegnato, ripete “non c’è linea”. L’utenza, costituita da vivaci teenagers degli anni Sessanta, rimane attonita. I tanto arzilli quanto arrancanti ex-ragazzini si guardano tra loro e qualcuno pensa (o spera) di aver capito male per un guasto dell’apparecchio acustico.
Qualche diversamente giovane viene invitato a rivolgersi ad altri uffici postali in zona perché non si sa quando il servizio possa riprendere vita. Il fatto che gli “sportelli alternativi” si trovino ad un chilometro o due di distanza non deve spaventare i vecchini già faticosamente approdati a quella sede. È una opportunità di fitness rivitalizzante. Qualcuno alza lo sguardo ai display su cui campeggia il volto sorridente di Mara Venier e si chiede se la camminata suggerita possa costituire la prima fase contrattuale del passaggio a Poste Energia e preveda altre prove di forza e vigore…
Sui monitor è visualizzata la scritta “Inizializzazione in corso 10.55.209.x” dove – in questo articolo – quella “x” indica l’ultimo numero che varia da botteghino a botteghino del lungo bancone, testimoniando che nessuno dei computer riesce a connettersi al sistema.
Gli “oldies but goldies” (vecchi ma dorati) maggiormente propensi ad occuparsi di questioni tecnologiche si affrettano ad immaginarsi spettatori di un assalto hacker in diretta, una fortuna che – come la stella cometa che porta alla notte dell’Epifania – tocca in sorte solo a pochi eletti (non si fraintenda, non parliamo di seggi assegnati e baciati dalla Dea bendata…). Abituato a disastri informatici, qualunque ne sia la radice, ho sfogato la bile accumulata nell’inutile attesa sintetizzando il Calvario (il periodo pasquale porta a facili paragoni, specie in presenza di tanti “povero Cristo”) e ponendo su Internet il sibillino quesito “Attacco hacker?”. Nel pomeriggio, una telefonata garbatamente mi rimprovera di aver fatto aleggiare lo spettro di un arrembaggio di terribili pirati informatici di cui non si sarebbe vista nemmeno lontanamente l’ombra.
Non faccio in tempo a prendere atto – con estremo piacere – che fosse “no” la risposta al mio interrogativo: il rimbrotto, infatti, non era concluso. La persona dell’Ufficio Stampa di Poste Italiane, dopo avermi detto che in realtà non fosse successo nulla o quasi nonostante sul web si parlasse di un certo numero di uffici in giro per l’Italia, mi ha costretto a guardare le foto sul mio smartphone per darmi pace e convincermi di non aver avuto allucinazioni.
L’episodio era da ricondurre ad un minuscolo problema di alimentazione elettrica. «Ah, quindi è bastata l’interruzione della corrente?» ho timidamente domandato a chi stava dall’altro capo del telefono. La planare conferma ha sbriciolato la gioia di sapere che non c’era lo zampino di qualche criminale digitale.
Ho dunque appreso – senza particolare entusiasmo – che certi grandi sistemi informatici a elevata criticità (come quello di una holding che si occupa di logistica, gestisce il risparmio, fornisce servizi assicurativi e così a seguire) non hanno alcun bisogno di incrociare i guantoni con il “Mike Tyson del bit” per finire miseramente al tappeto.
Il pensiero di un addetto alle pulizie che fischiettando inciampa nel cavo di alimentazione di un server, interrompendo le attività di tutte le stazioni di lavoro che avevano bisogno di collegarsi proprio a quella “macchina”, evoca le esilaranti scene di Hollywood Party in cui Peter Sellers si rende protagonista di incidenti grotteschi e impensabili. Qualche altro cinefilo ricorda la suora che – ne L’aereo più pazzo del mondo – con la sua chitarra stacca la flebo alla ragazza trasportata a bordo con tanto di barella… La vicenda invita a riflettere parecchi soggetti perché gli errori sono almeno di duplice natura.
Sul fronte tecnologico è ovvio che qualcosa è andato storto (proprio come appariva sul display quando cercavo di prendere appuntamento tramite la apposita “app”), come facilmente rilevabile (per entità e durata) dai “log” che registrano le attività svolte dai diversi operatori abilitati ad utilizzare i computer per i servizi al pubblico. Parliamo di un “termometro” che evidenzia (a prova di qualsivoglia smentita) il malessere che avrebbe “fiaccato” almeno una parte degli uffici sul territorio già dal pomeriggio di mercoledì. E il fatto che si sia manifestato più o meno – Federico Garcia Lorca docet – “a las cinco de la tarde” non può ammettere la maldestra affermazione «e comunque alle 19 gli sportelli chiudevano…», con cui si tentava di ridimensionare l’accaduto. Sul versante della comunicazione limitiamoci a riconoscere la necessità di non nascondere la polvere sotto il tappeto e di avere un approccio differente con chi scrive dopo esser stato sul “luogo del delitto”.
A questo punto gli hacker passano inesorabilmente in secondo piano. Tocca mutuare Joel ed Ethan Cohen, nonché ovviamente Cormac McCarthy che ha scritto il romanzo che li ha ispirati. Non è un Paese per vecchi. Soprattutto per quelli che vanno all’ufficio postale. n
pagina 13 IN-CYBER VENERDÌ 07 APRILE 2023 ils
Ho appreso, senza particolare entusiasmo, che certi grandi sistemi informatici a elevata criticità non hanno bisogno di un Mike Tyson dei bit per finire al tappeto
è stato ricondotto ufficialmente a una temporanea “assenza di linea”
Il welfare aziendale come strumento sociale
Cesare Damiano Ex ministro del Lavoro Presidente Associazione Lavoro & Welfare
I cambiamenti nel mercato del lavoro hanno acceso ancora di più il faro sul welfare “secondario” complementare a quello pubblico, in arretramento.
I nodi? La frammentarietà e le nuove esigenze dei lavoratori più giovani
Il mercato del lavoro è attraversato da nuovi fenomeni: la scarsità di lavoratori da destinare sia alle alte specializzazioni (settore industriale) sia ai lavori di bassa qualifica (turismo e ristorazione); un crescente rifiuto di occupare posti di lavoro, anche quando si tratta dell’impiego stabile della Pubblica Amministrazione, se la retribuzione e la possibilità di valorizzazione delle competenze non sono ritenute adeguate e se non viene soddisfatto l’equilibrio tra vita e lavoro. In questo quadro assume sempre più importanza, ai fini della fidelizzazione dei lavoratori, il profilo sociale dell’impresa e l’adozione di misure di welfare aziendale. Quando parliamo di welfare aziendale ci riferiamo ad una eterogenea categoria di prestazioni, opere e servizi, rivolti alla generalità o a specifici gruppi omogenei di lavoratori dipendenti, erogati in natura o sotto forma di rimborso: buoni spesa e carburante, benessere e sport, viaggi e cultura, assistenza alla famiglia, ecc. Negli ultimi anni il legislatore ha più volte contribuito alla incentivazione del welfare secondario quale strumento complementare di quello pubblico, tenuto conto del progressivo processo di arretramento di quest’ultimo, in atto da molti anni a questa parte. In questo contesto gli strumenti di welfare aziendale perseguono lo scopo sociale di migliorare il complessivo benessere dei lavoratori e delle loro famiglie, in una logica di contemporaneo accrescimento della produttività dell’impresa.
Per alcuni anni consecutivi le leggi di Bilancio hanno rappresentato un “appuntamento normativo” di rilievo per la definizione e il miglioramento delle misure di welfare aziendale. Ci riferiamo, in particolare, alle leggi di Stabilità per il 2016, il 2017 e il 2018. Anzitutto, è opportuno evidenziare come gli strumenti di welfare secondario assumano diverse accezioni: i “flexible benefits” di natura retributiva non monetaria, disciplinati dal TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi); il “welfare organizzativo”, finalizzato soprattutto alla conciliazione vita-lavoro (work-life balance); e il “welfare di produttività”, nel quale sono ricondotti i Premi di Risultato di ammontare variabile. In questo contesto alcune leggi di Stabilità hanno definito incentivi fiscali riassumibili in tre interventi: la fissazione della aliquota Irpef agevolata al 10% per le somme afferenti la produttività aziendale nel privato; la possibilità per i lavoratori di convertire i premi moneta-
ri con misure di welfare aziendale erogate in natura; l’ampliamento del campo di applicazione delle esenzioni dal reddito da lavoro dipendente. In sostanza, il legislatore ha intercettato l’opportunità di conciliare le esigenze dei lavoratori e dei datori di lavoro, rendendoli entrambi beneficiari della riduzione degli oneri fiscali. È poi fondamentale sottolineare che il Parlamento ha deciso di incentivare il “welfare contrattato” tra sindacati e datori di lavoro, includendolo nel vantaggio fiscale prima riservato alle misure unilaterali dell’impresa. Lo scopo è stato soprattutto quello di dedicare particolare enfasi alla contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello, ora investita di un ruolo primario. A tal riguardo l’articolo 51 del TUIR prevede infatti la totale deducibilità del costo del lavoro per quegli strumenti adottati in applicazione di piani di welfare aziendale definiti da negoziazioni sindacali. Si tratta nel complesso di un quadro normativo volto ad introdurre strumenti di rilevante utilità sociale e di grande capacità attrattiva per le imprese, la cui concreta fruibilità richiede però una approfondita conoscenza non solo del correlato paniere di beni e servizi, ma anche delle relative tecniche di negoziazione; fattori, entrambi, tutt’altro che scontati. A tal proposito, il XXI Rapporto Cnel su “Mercato del lavoro e contrattazione collettiva” del 2019 contiene un’interessante analisi quantitativa sulla applicazione delle misure di welfare aziendale, da cui emerge un quadro disomogeneo in relazione a livelli contrattuali, distribuzione territoriale, settori produttivi e dimensione delle imprese. In sintesi, sui Premi di Risultato l’applicazione dei contratti aziendali risulta di gran lunga prevalente (77,3%) rispetto a quelli territoriali; i lavoratori beneficiari dei Premi di Risultato sono in prevalenza impiegati in aziende con oltre i 250 dipendenti (78,7%) e nel Nord (77,3%); la possibilità di conversione dei Premi in misure di welfare coinvolge un numero elevato di lavoratori (76,3%) perché maggiormente prevista nei contratti applicati dalle grandi imprese. E ancora, se parliamo di misure di welfare aziendale, anch’esse sono previste in oltre il 70% dei contratti applicati dalle imprese con oltre i 250 dipendenti, che sono scarsamente diffuse, mentre, su base territoriale, si riscontra un’altissima concentrazione nel Nord (78,8%). La palese frammentarietà applicativa apre la riflessione sulla reale fruibilità degli strumenti di welfare da parte delle imprese di piccole dimensioni e nelle aree del Mezzogiorno. Di certo, l’attuale ginepraio di norme richiede un know-how specialistico ed una capacità organizzativo-gestionale di cui poche imprese sono provviste. La direzione intrapresa dal legislatore, che associa la leva fiscale al crescente ruolo della contrattazione collettiva, è risultata particolarmente vincente, aprendo la strada a nuove tecniche regolatorie capaci di coinvolgere Stato, imprese e sindacati nel processo di miglioramento delle condizioni di vita della risorsa umana e della produttività. Questa scelta risulta ancor più indispensabile in un momento di ulteriore grande trasformazione del mercato del lavoro, a partire dalla richiesta che proviene dalle giovani generazioni di conciliare maggiormente il tempo di lavoro, non più concepito come esclusivo e totalmente identitario, con il tempo della vita individuale e familiare. n
L’INCHIESTA pagina 15 VENERDÌ 14 APRILE 2023 IL LAVORO ils
L’attuale ginepraio di norme richiede un know-how specialistico ed una capacità organizzativo-gestionale di cui poche imprese sono provviste
Lo sci che non teme il cambio climatico: da Bergamo le piste che colorano il mondo
Grazie a una mescola esclusiva brevettata, la Pmi orobica Neveplast è leader mondiale nella realizzazione di impianti in materiale sintetico. Un primato tecnologico rigorosamente made in Italy, nato per gioco
di Dino Bondavalli
Le loro piste da sci in materiale sintetico fanno divertire gli appassionati di tutto il mondo. Dall’Argentina alle Mauritius, dall’Australia all’India, da Dubai al Cile, dalla Corea del Sud agli Stati Uniti, dall’Europa all’Iran, gli impianti realizzati da Neveplast sono infatti in ogni angolo del pianeta.
D’altra parte, questa azienda bergamasca che ha da poco battezzato una nuova pista di 500 metri sulla collina di Hammarbybacken, nel cuore di Stoccolma (in Svezia), dove grazie all’impianto progettato dal colosso svedese SkiStar si potrà sciare in città in tutte le stagioni dell’anno, estate compresa, è leader mondiale nel suo setto-
re. Tra le sue realizzazioni più note ci sono quella sul termovalorizzatore di Copenaghen, in Danimarca, disegnata dall’archistar Bjarke Ingels, e lo ski-dome di Dubai situato all’interno del Mall of the Emirates, dove i tappeti realizzati da Neveplast sono presenti sotto la neve artificiale per l’80% della superficie, contribuendo a un minor consumo di neve e a una maggiore stabilità delle piste. E pensare che l’avventura di questa piccola impresa di Albano Sant’Alessandro (Bergamo), fondata nel 1998 da Niccolò Bertocchi con il padre Aldo e il fratello Edoardo, prematuramente scomparso nel 2017, è iniziata quasi per gioco come divertimento tra
amici e parenti. «Papà aveva avuto la pazza idea di inventarsi un materiale sintetico su cui sciare, con il quale facemmo i primi esperimenti sui terreni di alcuni amici», racconta Niccolò, oggi managing director di Neveplast.
Fu così che ebbe origine il tappeto in materiale plastico che consente di sciare anche in assenza di neve e con qualsiasi temperatura. Da lì al perfezionamento di un prodotto con caratteristiche tecniche adeguate a offrire le medesime sensazioni che si provano sulla neve e in grado di resistere non solo all’usura, ma anche ai forti sbalzi di temperatura tra le diverse stagioni dell’anno, ci vollero diversi anni di ricerca.
A Bergamo una pista per le scuole superiori diventa la palestra di città
Avvicinare i ragazzi delle scuole superiori allo sci e allo snowboard. E consentire anche a due istituti che non hanno una palestra attrezzata per l’ora di educazione fisica di garantire ai propri studenti la possibilità di fare attività. È un progetto che meriterebbe di essere replicato all’infinito, ma che al momento rappresenta un’esperienza unica in Europa,
quello realizzato da Neveplast con lo Urban ski lab. Fortemente voluta da Edoardo Bertocchi, l’iniziativa lanciata dall’azienda orobica in collaborazione con gli istituti superiori Mariagrazia Mamoli e Caterina Caniana di Bergamo prevede che durante le lezioni di educazioni fisica i ragazzi possano apprendere le basi dello sci e dello snowboard o perfezionare il proprio stile nel caso in cui avessero già raggiunto un livello avanzato.
A loro disposizione una pista lunga 60 metri con il 18% di pendenza, un anello per lo sci di fondo da 100 metri e un impianto di risalita con tapis roulant. Lo ski lab fornisce, inoltre, sci, tavole, scarponi e racchette come un vero e proprio negozio di noleggio di attrezzature invernali di quelli che si trovano nelle locali-
tà sciistiche. La pista in materiale sintetico, installata nel 2016, imita per prestazioni la neve compatta e sparata e ha riscosso un notevole successo. Non solo tra gli studenti e gli insegnanti dei due istituti superiori, ma anche tra i tanti sci club e bambini che hanno approfittato della possibilità di sciare in città durante tutto l’anno, estate compresa, per divertirsi sciando, per apprendere le basi degli sport invernali o per affinare le proprie capacità.
La pista orobica è, infatti, diventata la palestra cittadina per gli allenamenti di tantissimi bambini e ragazzi, utile sia per presentarsi allenati alla stagione sciistica invernale, sia per fare pratica durante tutto l’anno, ore serali comprese, senza doversi sobbarcare le fatiche (e i costi) di una trasferta con la famiglia in montagna. Per maggiori informazioni su corsi e iniziative è possibile consultare il sito www. urbanskilab.it”. n
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Edoardo Bertocchi
Il risultato fu una mescola coperta da brevetto grazie alla quale Neveplast è riuscita a imporsi rapidamente in un mercato di nicchia, ma in costante espansione.
«Il primo impianto lo abbiamo fatto a Selvino (sulle montagne della Bergamasca, ndr), dove abbiamo realizzato un percorso per snow tubing, la discesa con gommoni e slittini gonfiabili, e una pista da sci», ricorda Bertocchi. «Poi ci siamo lanciati con un marketing più incisivo e abbiamo cominciato ad aprirci anche ai mercati esteri».
L’idea è quella di fare di Neveplast
«non tanto un’alternativa alla neve – prosegue il managing director – ma uno strumento per promuovere la montagna e lo sci anche in città, dove si può imparare a sciare in maniera confortevole e più economica rispetto a quanto non comporti una trasferta in montagna». Non solo. Con il global warming e le difficoltà sempre più alte nel trovare luoghi dove sciare sulle Alpi, le piste sintetiche stanno diventando uno strumento utile per chi, come gli sciatori professionisti, ha l’esigenza di fare allenamenti durante tutto l’anno, compresi i mesi estivi. «La scorsa estate per la prima volta sono stati chiusi tutti i ghiacciai su cui normalmente le squadre nazionali si allenano, cosa che ha fatto aumentare la richiesta di utilizzo delle nostre piste», conferma a malincuore Bertocchi. «A noi la cosa dispiace, perché oltre a lavorare per promuovere la passione per la montagna e lo sci, siamo noi stessi grandissimi appassionati, ma capiamo anche quanto sia importante per il settore turistico poter comunque garantire la possibilità di sciare con poca o nessuna neve, come riusciamo a fare con i nostri prodotti».
Nessuna sorpresa, quindi, che il 2022 di Neveplast, realtà con una dozzina di dipendenti e altrettante persone occupate nell’indotto, si sia chiuso con un nuovo record di fatturato, arrivato sopra quota 5 milioni di euro, in crescita del 25%
rispetto al 2021 e del 20% rispetto al 2019 e ai dati pre-Covid. «Più dell’80 % della nostra produzione è destinata all’estero. Nel 2022 abbiamo ottenuto un’importante certificazione internazionale che garantisce la tracciabilità dei nostri prodotti lungo una complessa filiera. Il nostro obiettivo in un’ottica di sviluppo sempre più green, è trovare il giusto equilibrio tra fonti rinnovabili e materie prime secondarie, con prodotti sempre più sostenibili. Due anni fa abbiamo lanciato una nuova versione del nostro prodotto di punta per le piste da sci, NP30 Freeski, più facile soprattutto per bambini e sciatori intermedi» sottolinea il managing director. Ma i progressi in termini di sostenibilità ambientale non si fermano qui. «Quest’anno realizzeremo in Norvegia un impianto di tubing e drifting con materiali riciclati al 90%» annuncia Bertocchi. «Si tratta di una nuova mescola sviluppata da noi e prodotto al 100% in Italia. Tutti i nostri tappeti, infatti, sono made in Italy e vengono prodotti da terzisti che si trovano nel raggio di 50 chilometri dalla nostra sede, per una filiera molto breve che ci consente di monitorare la qualità, di customizzare i prodotti in tempi molto rapidi e di adattare le produzioni sulla base delle esigenze dei clienti». Decisamente niente male per un’avventura cominciata per gioco. n
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Epi accelera con l’innovazione: le magliette di Juve, Inter e Milan parleranno americano
Quadrivio Group ha ceduto la società italiana. leader dal 1996 nel merchandising calcistico della Serie A, al gruppo Usa Fanatics, colosso dell’e-commerce sportivo attivo in oltre 60 paesi
di Paolo Cova
L’innovazione tecnologica e la digitalizzazione rivestono un ruolo fondamentale per la crescita e la internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane. L’ennesima conferma arriva da Quadrivio Group, realtà che da oltre vent’anni opera nel private equity. Il gruppo, tramite Industry 4.0 Fund, il proprio fondo che investe nella digitalizzazione delle Pmi, ha ceduto Epi, società italiana specializzata nella vendita di merchandising sportivo dei principali club calcistici di serie A, al gruppo americano Fanatics, piattaforma digitale globale e leader nel merchandising sportivo, presente in oltre 60 Paesi. Fanatics ha all’attivo partnership con i più rinomati club calcistici internazionali: come la Premier League inglese, la Liga, Bundesliga e la Ligue 1 clubs; oltre che con realtà facenti capo alla US Sports Leagues (NFL, NBA); così come al mondo del golf, del rugby, della Formula 1 e del tennis.
La cessione è avvenuta ai primi di aprile al termine di un percorso che ha visto in due anni e mezzo crescere Epi, specializzata nelle vendite “click and brick” (cioè sia tramite negozi sia on line), grazie appunto alla digitalizzazione e
alla innovazione tecnologica portate da Industry 4.0 Fund, la cui mission è investire nell’innovazione tecnologica e nella transizione digitale delle Pmi italiane del settore manifatturiero e dei servizi. Quadrivio Group aveva acquisito Epi nel novembre 2020. L’investimento aveva come obiettivo quello di sostenere la partecipata, rafforzandone la presenza nel segmento di riferimento, oltre che creare un polo dell’e-commerce e del retail sportivo. Da allora la società ha realizzato un’importante creazione di valore e registrato un incremento significativo delle vendite, pari a circa il 125%, e più che raddoppiato la redditività nello stesso periodo. Di qui l’interesse del colosso americano per acquisire la società. Tra gli obiettivi perseguiti con successo dal gruppo anche l’efficientamento e il potenziamento del canale e-commerce, con una maggiore attenzione all’user experience, e gli investimenti effettuati nella logistica e nella digitalizzazione dell’intero processo produttivo.
Come step intermedio di rafforzamento di Epi, nel novembre 2021 era stata acquisita Free Time Management Group S.r.l., azienda a cui faceva capo Calcioshop – oggi rinominato The Pitch – re-
tail ed e-shop specializzato nella commercializzazione di abbigliamento e attrezzatura calcistica. L’operazione ha ulteriormente consolidato il posizionamento di Epi, che vanta partnership storiche e ne ha nel tempo attivate di nuove con realtà come AC Milan, ACF Fiorentina, Atalanta, SS Lazio, FC Inter, Juventus FC, Bologna Calcio, FGC, Olimpia Milano, NBA e molte altre ancora. Epi è stata tra i pionieri dello sviluppo del canale e-commerce nel settore del merchandising sportivo, fin dalla sua nascita nel 1996. Segue l’intera catena del business, dall’acquisto dei prodotti alla spedizione al consumatore finale. Il suo fondatore, Lorenzo Forte, rimarrà nella compagine societaria come socio e general manager.
Soddisfazione in Quadrivio Group per l’operazione: «L’exit di Epi e la vendita della stessa a un Gruppo industriale internazionale – ha commentato Alessandro Binello, ceo di Quadrivio Group – conferma la valenza strategica del nostro investimento e il grande potenziale di sviluppo e di internazionalizzazione delle Pmi italiane, se adeguatamente supportate. Questa operazione evidenzia come i fondi di private equity possano, anche in un arco di tempo limitato, creare valore per la società in portafoglio e generare importanti ritorni per i nostri investitori». Sulla stessa linea Pietro Paparoni, Investment Director di Industry 4.0 Fund: «Il contributo di Quadrivio è stato fondamentale per rafforzare il posizionamento nell’e-commerce del calcio, attraverso lo sviluppo interno di piattaforme custom altamente performanti e per la creazione del nuovo hub logistico automatizzato. Abbiamo raggiunto l’obiettivo di creare un campione italiano del merchandising riconosciuto nel mercato e al servizio dei grandi club calcistici e di tutti gli appassionati di questo popolare e bellissimo sport». n
pagina 18 NEL MONDO DELLE IMPRESE ils
Non solo made in Italy: la nautica da diporto volàno per il territorio
momento di riflessione sui temi legati al comparto con implicazioni dirette su turismo, cultura, enogastronomia e artigianato d’eccellenza.
posti barca
Gianni Lepre
Il 2023 è partito all’insegna del riscatto e della valorizzazione del settore mare di cui sia la pandemia da Covid-19 che la crisi economica e geopolitica, avevano un po fatto perdere le tracce. Ma la tenacia e la buona volontà dell’industria italiana, insieme alle preziose fiere di settore, hanno riaperto i battenti di un comparto che trova nel mar Tirreno la sua ragion d’essere. Infatti, con la 49a edizione del “Nautic Sud” di Napoli, una delle capitali più acclamate della diportistica, il trend si è invertito e si tornati a parlare di una delle filiere d’eccellenza del made in Italy.
Nonostante l’eccellenza, però, è un dato oggettivo il fatto che a Napoli continui ad essere sottovalutato e sottostimato il settore nautico, nonostante la forte volontà delle istituzioni locali di ricucire il rapporto tra la città e il mare. Il sindaco Gaetano Manfredi ha ultimamente sottolineato l’interessamento dell’amministrazione cittadina alle criticità che colpiscono il settore, in primis la penuria di posti barca che rende tutto molto più complicato. Un fatto è certo: il danno all’economia globale, e non solo di settore, è enorme se consideriamo anche gli indotti. La mancanza di ormeggi sicuri e attrezzati nel golfo più bello del mondo si è trasformato in un vero e proprio handicap, basti pensare che su 10 potenziali barche prodotte, 5 di esse non troveranno ormeggio nei porti turistici cittadini. In questo caso, calcolare i danni è una semplice operazione matematica se consideriamo che una stagione, che in genere dura sei mesi, costa per un’imbarcazione media tra i 12 e i 15mila euro. Ovviamente l’impasse non è solo economica, va ben oltre intaccando anche il mercato del lavoro. Ma andiamo per ordine, anzi, andiamo ai dati, quelli che meglio fotografano quella che è la débâcle economica. Come detto, mancano all’appello circa 600 posti barca, ciò significa in soldoni 300 milioni di mancate commesse; 6 milioni di mancati incassi per rimessaggio; 8 milioni il danno per la carenza di ormeggi, con 11 milioni di mancati incassi sull’indotto del settore, quindi
danari sottratti alla ristorazione, alle strutture ricettive, al commercio al dettaglio, in pratica tutto l’indotto. Drammatici anche i numeri che riguardano l’occupazione. Sono 6mila i posti di lavoro persi per mancate commesse legate ai posti barca; 100 invece i posti derivanti dalla filiera, e un altro centinaio quelli relativi al personale di bordo, per un totale complessivo di oltre 6.300 posti di lavoro bruciati, insieme a 126 milioni di mancate retribuzioni. La matematica non è un’opinione, e questi sono numeri importanti per la città, una ferita aperta nell’economia locale che, volente o nolente, ha il mare come centro di gravità. Su questa linea la 49a edizione del “Nautic Sud”, edizione 2023 organizzata da Afina (Associazione filiera italiana della nautica), ha inteso tra le altre cose concentrarsi sulla promozione del settore nautico partendo proprio dall’impatto economico che esso ha sul territorio. Infatti il salone nautico della Mostra d’Oltremare, al di la delle indicazioni sui trend di produzione di imbarcazioni tra i 5 e i 25 metri, è stato un
La Nautica a Napoli è da sempre una leva imprescindibile di sviluppo economico e valorizzazione delle bellezze e dei paesaggi. Ma la marcia in più è rappresentata dall’apprezzamento e dalla vicinanza del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che in una missiva al presidente di Afina Gennaro Amato ha tenuto a sottolineare: «La nautica rappresenta un settore di punta del nostro made in Italy, ancora una volta il genius loci italico riesce a concentrare innovazione e tradizione, artigianato e buon gusto in tutte le componenti del settore: meccanica, tecnologia, design, mobile arredo e componentistica». Il ministro ha poi continuato: «Siete un settore composito, ma ciascuno di voi racconta il meglio dell’Italia che il governo da subito si e impegnato a mantenere e potenziare. In particolare, nella legge di bilancio, oltre al rifinanziamento di misure da sempre gradite alle imprese come i contratti di sviluppo e la Nuova Sabatini, abbiamo introdotto nuove iniziative a sostegno del made in Italy». Urso ha poi concluso: «Il ministero delle Imprese e del made in Italy è la casa di chiunque abbia voglia di fare per migliorare la nostra nazione che da sempre punta sul mare come risorsa per crescere». Con questi presupposti, Napoli e la diportistica possono stare tranquilli perché il rilancio del settore è parte integrante dei progetti governativi su impulso e rilancio dell’industria localizzata, dove il mare assume un aspetto preponderante. n
pagina 19 VENERDÌ 14 APRILE 2023
Napoli e la Campania culle dell’industria di settore con numeri importanti e le solite criticità: a cominciare dai pochi
di
La farmacia diventa un centro della salute
di Alessandro Luongo
La farmacia 4.0 ideale si trova a Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, ed è stata inaugurata in viale Rinascita 80. Farmacia Comunale 1 punta difatti sulla telemedicina con tanti servizi (in parte già attivi, altri sono in dirittura di arrivo), un nuovo punto salute super specializzato e l’apertura di un centro estetico. «La farmacia che abbiamo inaugurato –precisa Guido Bosotti, presidente Amf (Azienda multiservizi farmacie) di Cinisello Balsamo – è stata pensata per le nuove esigenze della popolazione. Qui sarà possibile accedere anche alla medicina dello sport, sempre più importante per indirizzare soprattutto i giovani a migliori stili di vita, e a una serie di servizi in ambito pediatrico, in modo da garantire ai più piccoli e ai loro famigliari risposte a bisogni particolari».
Va chiarito che tutto questo ha un co-
sto, perché non sono servizi convenzionati. «Non siamo accreditati dalla regione Lombardia – precisa subito il direttore generale di Amf, Stefano Del Missier – ma i nostri sono prezzi calmierati. Ad esempio, 28 euro per un elettro-cardiogramma, meno del costo del ticket; e riceviamo il referto da un apposito centro cardiologico entro mezz’ora. Siamo un’azienda municipale multiservizi che si può permettere di offrire queste opportunità alla comunità, al di fuori del semplice spazio fisico di una farmacia».
Qui alle porte di Milano, fra la nuova sede, il suo piano superiore e la vecchia sede di viale Rinascita, ci saranno: logopedista, ambulatorio infermieristico, sportello psicologico, fisioterapia, riabilitazione, medicina estetica. Grazie ad un’app scaricabile gratuitamente, sarà possibile infine prenotare farmaci e prestazioni specialistiche,
acquisire la consulenza di una nutrizionista e disporre di un piano nutrizionale personalizzato. Insomma: avere terapie giornaliere personalizzate. La Farmacia Comunale 1 è solo la testa d’ariete di un ambizioso “piano per la salute” che tutte le Farmacie Amf stanno perseguendo; un piano che va dalla prevenzione alla diagnosi (anche grazie al supporto della telemedicina) e alla cura, soprattutto per le popolazioni più fragili, i malati cronici, per i quali è al varo un progetto di aderenza terapeutica che supporti pazienti e cargiver. La farmacia del terzo millennio, dunque, non sarà più solo una farmacia di servizio, ma un vero terminale della sanità sul territorio finalizzata alla salute del cittadino, come Pnrr (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) comanda e come, in una nazione fatta di territori, è giusto che sia.
pagina 20 NEL MONDO DELLE IMPRESE ils
Non più solo negozio di farmaci: l’Amf inaugura a Cinisello Balsamo (Milano) un nuovo format che fornirà anche visite specialistiche e accertamenti diagnostici a prezzi calmierati
A sinistra il sindaco Giacomo Giovanni Ghilardi, a destra, Guido Bosotti, presidente Amf
n
Le colonnine aumentano ma la strada resta lunga
In Italia i punti di ricarica per auto elettriche sono raddoppiati in due anni, oggi sono oltre 41mila, Lombardia in testa. Il nodo dei bonus, ancora senza i decreti attuativi, e dei 700 milioni del Pnrr a rischio
Sono oltre 41mila le colonnine di ricarica installate in Italia e 7 i principali gestori dove caricare la propria e-car: A2A, Acea e-mobility, Plenitude+Be Charge, Duferco Energia, Enel X Way, Ionity e Tesla Supercharger. Ci sono poi una decina di gestori minori, ad esempio aziende di supermercati come Lidl Italia, con circa 500 punti vendita sparsi sul territorio nazionale, che propone un’offerta di energia low cost studiata appositamente per l’Italia: Lidl Energia. L’insegna entra a far parte del mondo della fornitura energetica grazie a un accordo con MPE Energia, altro protagonista del mercato libero nazionale dell’energia elettrica. In alcuni store Lidl, sono stati allestiti anche dei corner Lidl Energia, dove poter capire meglio come funziona il sistema di charge. Ogni operatore ha chiaramente una propria app da scaricare, per cui per chi deve “fare il pieno” non è proprio facile orientarsi. Ionity, la joint venture fondata da Bmw, Daimler, Ford, Hyundai e il gruppo Volkswagen, dà accesso alla maggiore rete di ricarica in Europa, nonché la più veloce. L’app consente l’accesso a colonnine ultra fast con una potenza di ricarica fino a 350 kW, disponibile per tutti i veicoli elettrici con standard CCS
(Combined Charging System). Ewiva, invece, nasce da un accordo tra Enel X Way (l’azienda di Enel dedicata alla mobilità elettrica), e il Gruppo Volkswagen. La joint venture prevede punti di ricarica presso 500 sedi entro l’anno, con l’obiettivo di raggiungere i 3mila punti di ricarica entro il 2025, ognuno con una potenza fino a 350 kW alimentato al 100% con energia rinnovabile. Nell’arco di due anni esatti i punti di ricarica presenti in Italia sono praticamente raddoppiati: da 20.757 a 41.173. La Lombardia è la Regione con il maggior numero di punti di ricarica (oltre 6 mila) ma la Campania è quella dove i punti di ricarica nell’ultimo trimestre sono cresciuti di più: +81% rispetto allo stesso periodo del 2022. Il problema sono però gli incentivi come ad esempio il bonus colonnine per famiglie e aziende, al momento non ancora utilizzabile, dato che mancano i decreti attuativi da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy con cui dovranno essere definite le disposizioni procedurali per l’erogazione del beneficio. I fondi stanziati ammontano a 40 milioni per il 2023, 40 milioni per il 2024, per un totale di 120 milioni tenendo in considerazione anche il 2022. Il bonus tanto atteso da famiglie
dovrebbe coprire l’80% dei costi di acquisto e posa in opera delle colonnine in ville di privati e condomìni, rispettivamente fino a 1.500 e 8.000 euro. Fronte aziende, la Legge di Bilancio 2022 aveva prorogato fino al 2024 il bonus per le colonnine auto elettriche: introdotto dal Ministero per la Transizione Ecologica, il benefit mette a disposizione 90 milioni di euro di risorse per supportare le operazioni di acquisto e installazione di colonnine e infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici, coprendo le spese fino al 40% mediante un contributo in conto capitale. Anche qui i decreti attuativi sono al pit stop, in attesa di attuazione. Rischiano di andare in fumo anche i 700 milioni di euro, le risorse destinate alle infrastrutture di ricarica a uso pubblico dal Pnrr, se non si interviene subito con un decreto ad hoc. A lanciare l’allarme è Motus-E, la più grande associazione di categoria della mobilità elettrica. La direzione di marcia di Bruxelles è chiara anche se non ancora definita: stazioni di ricarica per le e-car da installare ogni 60 Km entro il 2026 sui principali assi stradali ed impianti di distribuzione dell’idrogeno da realizzare ogni 200 chilometri entro il 2031. Noi siamo appena al primo miglio. n
pagina 21 INNOVATION VENERDÌ 14 APRILE 2023
A cura di Barbara Millucci
La partita delle nomine Pareggio Meloni-alleati
Fino a mercoledì mattina sembrava che la Meloni avesse stravinto la prima partita di potere del suo mandato. Invece la reazione di Lega e Forza Italia ha scompaginato le carte, soprattutto all’Enel
di Pasquale Napolitano
La Lega e Forza Italia siglano la tregua con Giorgia Meloni. Sulle nomine ai vertici dei colossi dello Stato il premier non stravince. Ma decide di accontentare (con Enel) gli alleati già pronti alla guerra. All’Eni la capitolazione di Salvini: il Carroccio chiedeva un cambio radicale. Il premier conferma l’ad uscente Claudio Descalzi. 1 a 0: palla al centro. Per la
presidenza c’è il nome di Giuseppe Zafarana. Completano il Cda Eni: Cristina Sgubin (consigliere), Elisa Baroncini (consigliere), Federica Seganti (consigliere), Roberto Ciciani.
All’Enel lo scontro è violentissimo. Alla fine il capo dell’esecutivo accetta i due nomi degli alleati: Paolo Scaroni (quota FI) va alla presidenza. Per l’ad si punta su Flavio Cattaneo (Lega). Per la guida
di Leonardo la lite si sposta in Fratelli d’Italia. La musica non cambia. Tra Meloni e Crosetto decide il premier. Al posto di Alessandro Profumo il ministro della Difesa voleva Lorenzo Mariani. Il primo nome del capo dell’Esecutivo è stato fin dall’inizio Roberto Cingolani, l’ex ministro del governo Draghi, passato da Grillo a Meloni. Per la presidenza la scelta ricade su Stefano Pontecorvo. Al timone di Poste Italiane Meloni rinnova l’incarico a Matteo Del Fante, manager renziano ma confermato da Gentiloni e Conte. Silvia Rovere ricoprirà l’incarico di presidente. Al posto di Donnarumma a Terna sbarca una donna: Giuseppina Di Foggia, ex manager di Nokia Italia, per la presidenza scelto Igor Di Blasio. Il puzzle si completa con la scelta dei vertici di Enav: Pasqualino Monti ad e Alessandra Bruni presidente. Il presidente del Consiglio blinda anche Consob con due nomine: Gabriella Alemanno e Federico Cornelli. Nel settore Trasporti il vicepremier Matteo Salvini avrà maggior agibilità: Luigi Corradi viaggia verso la riconferma. A Rfi potrebbe sbarcare dalla Grecia Lo Bosco. n
pagina 22 ils LA SETTIMANA POLITICA
INDISCRETO
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni
di Vanessa Ciccarelli
«Un documento prudente». Il ministro all’economia Giancarlo Giorgetti ha definito così il primo Def del governo Meloni approvato martedì pomeriggio a palazzo Chigi. L’ossatura di quella che sarà la politica economica dei prossimi anni è stata fissata guardando alla «stabilità, credibilità e crescita» ha chiarito la premier in riunione con i ministri. Una strada tracciata all’insegna dell’ambizione responsabile attraverso la quale è prevista una crescita del Pil al +1% con un rapporto del deficit attestato al 4,5%.
Gradualità è la parola chiave del Def 2023 che tiene conto di un quadro economico-finanziario che, nonostante l’allentamento negli ultimi tempi degli effetti negativi derivanti dalla pandemia e dal caro energia, rimane “incerto e rischioso a causa della guerra in Ucraina, del rialzo dei tassi di interesse ma anche per l’affiorare di localizzate crisi nel sistema bancario e finanziario internazionale” spiegano fonti del Mef
aggiungendo che “in questo contesto, l’economia italiana continua a mostrare una notevole dose di resilienza e vitalità”.
A via XX Settembre si lavora sul “tesoretto” di 3 miliardi stipato per premere la frizione alla riforma fiscale e per introdurre un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi che opererà già sul periodo maggio-dicembre di quest’anno. Tra le le righe del documento finanziario si legge che “in tale contesto, le previsioni di crescita del Pil del Def sono le più prudenti, intente all’elaborazione di proiezioni di bilancio ispirate a cautela e affidabilità”. Nello scenario tendenziale a legislazione vigente, il Pil è previsto crescere in termini reali dello 0,9% nel 2023 con un rialzo rispetto allo 0,6% previsto nella manovra di novembre, mentre nello scenario programmatico si legge una crescita dell’1% quest’anno e dell’1,5% nel 2024. Mentre il debito programmatico per il 2022 si attesta al 144,4% per calare al 140,9%
nel 2025. Queste saranno le basi sulle quali, dopo gli aggiornamenti della Nadef, si baserà la prossima manovra finanziaria. «Questi dati ci dicono che stiamo andando nella giusta direzione», commenta il presidente della Commissione bilancio Roberto Pella da Montecitorio mentre il M5s, con il capogruppo in bilancio Stefano Patuanelli, attacca il governo dicendo che il documento «È una botta di austerità in piena regola». Per ora resta fuori l’anticipo pensionistico di Quota 41 caro alla Lega, «Noi abbiamo una priorità che è quella di sostenere imprese e famiglie», spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. I rischi per la crescita sono sempre gli stessi: l’inflazione, ma ancora di più la discussione sul Pnrr. La partita dei fondi europei, infatti, è molto importante per l’Italia: senza gli investimenti del Pnrr non si potrebbe avere quell’impatto da 3,2 punti di Pil al 2026. E, a quel punto, anche la sfida del debito diventerebbe più impegnativa. “Un tasso di crescita dell’1% è senz’altro alla portata della nostra economia, ma l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie e i ritardi sul Pnrr rischiano di compromettere gli andamenti economici del 2023” dice Confesercenti. Fondamentale anche un’altra partita europea che l’Italia dovrà affrontare: la riforma del Patto di Stabilità e crescita con il pressing della Germania, che spinge per avere vincoli più stringenti. n
pagina 23 VENERDÌ 14 APRILE 2023
Il primo Documento di Economia e Finanza approvato dall’esecutivo all’insegna della “stabilità, credibilità e crescita”. A sorpresa l’annuncio del nuovo deficit per sostenere i salari, in stand-by le pensioni a quota 41
Cuneo fiscale, un taglio da tre miliardi nel Def
FOCUS
“prudente” varato dal governo
di Vanessa Ciccarelli
«Un documento prudente». Il ministro all’economia Giancarlo Giorgetti ha definito così il primo Def del governo Meloni approvato martedì pomeriggio a palazzo Chigi. L’ossatura di quella che sarà la politica economica dei prossimi anni è stata fissata guardando alla «stabilità, credibilità e crescita» ha chiarito la premier in riunione con i ministri. Una strada tracciata all’insegna dell’ambizione responsabile attraverso la quale è prevista una crescita del Pil al +1% con un rapporto del deficit attestato al 4,5%.
Gradualità è la parola chiave del Def 2023 che tiene conto di un quadro economico-finanziario che, nonostante l’allentamento negli ultimi tempi degli effetti negativi derivanti dalla pandemia e dal caro energia, rimane “incerto e rischioso a causa della guerra in Ucraina, del rialzo dei tassi di interesse ma anche per l’affiorare di localizzate crisi nel sistema bancario e finanziario internazionale” spiegano fonti del Mef
aggiungendo che “in questo contesto, l’economia italiana continua a mostrare una notevole dose di resilienza e vitalità”.
A via XX Settembre si lavora sul “tesoretto” di 3 miliardi stipato per premere la frizione alla riforma fiscale e per introdurre un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi che opererà già sul periodo maggio-dicembre di quest’anno. Tra le le righe del documento finanziario si legge che “in tale contesto, le previsioni di crescita del Pil del Def sono le più prudenti, intente all’elaborazione di proiezioni di bilancio ispirate a cautela e affidabilità”. Nello scenario tendenziale a legislazione vigente, il Pil è previsto crescere in termini reali dello 0,9% nel 2023 con un rialzo rispetto allo 0,6% previsto nella manovra di novembre, mentre nello scenario programmatico si legge una crescita dell’1% quest’anno e dell’1,5% nel 2024. Mentre il debito programmatico per il 2022 si attesta al 144,4% per calare al 140,9%
nel 2025. Queste saranno le basi sulle quali, dopo gli aggiornamenti della Nadef, si baserà la prossima manovra finanziaria. «Questi dati ci dicono che stiamo andando nella giusta direzione», commenta il presidente della Commissione bilancio Roberto Pella da Montecitorio mentre il M5s, con il capogruppo in bilancio Stefano Patuanelli, attacca il governo dicendo che il documento «È una botta di austerità in piena regola». Per ora resta fuori l’anticipo pensionistico di Quota 41 caro alla Lega, «Noi abbiamo una priorità che è quella di sostenere imprese e famiglie», spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. I rischi per la crescita sono sempre gli stessi: l’inflazione, ma ancora di più la discussione sul Pnrr. La partita dei fondi europei, infatti, è molto importante per l’Italia: senza gli investimenti del Pnrr non si potrebbe avere quell’impatto da 3,2 punti di Pil al 2026. E, a quel punto, anche la sfida del debito diventerebbe più impegnativa. “Un tasso di crescita dell’1% è senz’altro alla portata della nostra economia, ma l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie e i ritardi sul Pnrr rischiano di compromettere gli andamenti economici del 2023” dice Confesercenti. Fondamentale anche un’altra partita europea che l’Italia dovrà affrontare: la riforma del Patto di Stabilità e crescita con il pressing della Germania, che spinge per avere vincoli più stringenti. n
pagina 23 VENERDÌ 14 APRILE 2023
Il primo Documento di Economia e Finanza approvato dall’esecutivo all’insegna della “stabilità, credibilità e crescita”. A sorpresa l’annuncio del nuovo deficit per sostenere i salari, in stand-by le pensioni a quota 41
Cuneo fiscale, un taglio da tre miliardi nel Def
FOCUS
“prudente” varato dal governo
Sul Pnrr è il Paese che è in ritardo ma a pagarne lo scotto come sempre sono gli enti locali
Magistris
I
governi nazionali, lenti e macchinosi, sono più preoccupati di avere la governance delle operazioni sul Recovery fund e i Comuni, che pure hanno colto la grande opportunità, si ritrovano a gestire tutto con poche risorse umane e pochissimi mezzi
Il denaro pubblico sta arrivando e scorrerà sempre di più. È finita la stagione terribile, che ho vissuto da sindaco di Napoli, quando non c’era un euro in cassa. Il Paese si è preparato a programmare e spendere presto e bene e non perdere questa opportunità ?
Purtroppo siamo indietro, il sud ancora di più. I governi nazionali sono lenti e macchinosi e sono più preoccupati a gestire dall’alto le scelte ed avere la governance delle operazioni. Gli enti locali che pure hanno colto la straordinaria opportunità e reagito con velocità, sicuramente maggiore rispetto ai governi, pagano lo scotto di dover gestire tutto con poche risorse umane e pochissimi mezzi. Già si dà per scontato che bisognerà chiedere una proroga all’Europa, senza però spiegare che l’Unione europea ci farà pagare tutto questo. È grave che ben tre governi che hanno gestito il Pnrr (Conte-Draghi-Meloni) non abbiano messo in campo adeguate iniziative per garantire alle istituzioni destinatarie dei finanziamenti risorse, mezzi e norme in grado di agire per tempo e farsi trovare pronti. Come capita spesso in Italia, tanto da far venire il sospetto che più che trattarsi di inadeguatezza vi sia una precisa volontà: quando si appalesano urgenza ed emergenza si adottano poteri speciali, si arriva alla eliminazione delle regole, sino alle mani libere per non disturbare il manovratore. La chiamano semplificazione, si legge discrezionalità assoluta ai limiti dell’arbitrio. I Comuni, soprattutto quelli piccoli, sono in evidente difficoltà e si stanno già perdendo dei fondi.
È brutto che si dia spesso l’immagine di un pubblico incapace, eppure dipende anche dalla capacità di trovare soluzioni quando si presentano opportunità.
Da sud posso raccontare che quando, recuperando con
una lotta giuridica un avanzo libero di amministrazione per centinaia di milioni di euro, misi in campo un piano strategico per investimenti, coinvolgendo tutti i Comuni, distribuendo i soldi in maniera oggettiva a seconda del numero di abitanti, facendo scegliere ai sindaci i progetti e venendo in soccorso dei Comuni in difficoltà quando non avevano personale e prevedendo la stazione appaltante in città metropolitana. Eppure da sindaco metropolitano potevo scegliere da solo, e invece coinvolgendo i sindaci dei 91 Comuni c’è stato un grande lavoro di squadra che ha consentito di programmare, investire, spendere. Ma accadono anche cose strane con il denaro pubblico. Un fatto grave sta avvenendo a Napoli. Già durante la campagna elettorale per le comunali, due anni fa, fu promesso da esponenti della maggioranza del governo Draghi di far arrivare tanto denaro pubblico qualora avesse vinto un determinato candidato. Soldi che spettavano alla città dopo anni che abbiamo fatto di lotte e ricorsi, ma che non erano mai giunti dolosamente perché governava un’amministrazione fuori dal sistema partitico. Andati via noi dopo il limite per legge dei due mandati, vince il candidato destinatario del patto elettorale, che aveva dichiarato che senza soldi non si sarebbe candidato, e viene siglato dal sindaco e dal presidente del Consiglio il patto per Napoli. Viene mediaticamente venduto come norma salvaNapoli, ma in realtà la città già era in sicurezza, mentre erano denari che servivano per migliorare servizi in città. Oggi si sta scoprendo che si è trattato di un “pacco” per Napoli. Più tasse per i napoletani, servizi che non sono migliorati e la vendita di molti gioielli della città (palazzi storici, beni monumentali, spazi pubblici di pregio) e la cessione in gestione per decenni al privato di beni comuni come Castel dell’Ovo e Maschio Angioino, il tutto per fare cassa. Il patto per Napoli per derubare la città. Dalla città dei beni comuni degli ultimi anni al film Totò Truffa. Prevenire è meglio che curare. Da pubblico ministero scoprii in Calabria tra il 2003 e il 2008 che avevano depredato circa 15 miliardi di euro, da sindaco ho fatto prevenzione. Si può fare, ma bisogna agire con onestà, libertà, competenza e coraggio. n
VIST0 DA SUD pagina 25 VENERDÌ 14 APRILE 2023 ils
Luigi De
Politico e scrittore
Come capita spesso in Italia, quando si appalesa un’urgenza si adottano poteri speciali, si eliminano le regole per lasciare mani libere al manovratore
Intelligenza artificiale, la frontiera che riaccende la corsa all’oro
Èrecente la notizia che quattro eminenti ricercatori di intelligenza artificiale hanno lasciato Google per fondare Mobius AI, una startup focalizzata sulla tecnologia dell’intelligenza artificiale in grado di creare i propri video e foto. Sebbene inizialmente incerta sul prodotto, la startup ha rapidamente attirato l’attenzione delle principali società di venture capital di Silicon Valley che, in una settimana, hanno deciso di co-finanziare la startup. L’offerta ha spinto Mobius, che aveva solo quattro membri e un laptop, a una valutazione di circa 100 milioni di dollari. Roba da poco rispetto al finanziamento da 10 miliardi di dollari ricevuto da OpenAI e dalla somma collettiva ricevuta dalle 616 startup di intelligenza artificiale che, secondo la ricerca di Crunchbase, hanno ricevuto investimenti di circa altri 6 miliardi di dollari in questi ultimi mesi. Ma perché stanno impazzendo tutti per questa nuova tecnologia? Jeff Bezos, ceo di Amazon, di recente ha detto che un giorno, se la sua azienda smetterà di investire in tecnologia, probabilmente andrà fallita: in questo momento la loro tecnologia fa affidamento su un minuscolo componente che Amazon non produce internamente. Lo stesso Bezos ha investito in una tecnologia emergente che, a suo avviso, «migliorerà ogni attività». Indovinate qual è? È la stessa che alcuni ricercatori di mercato ritengono che potrebbe potenzialmente valere fino a 15,7 trilioni di dollari!
Un articolo del New York Times, intitolato “Lascia che 1.000 fiori sboccino”
annuncia : «Intelligenza artificiale, la frenesia dei finanziamenti si intensifica. In poche settimane, una corsa all’oro nelle startup di AI è diventata una vera e propria mania». E la California di corsa all’oro ne sa qualcosa! Le più importanti startup di intelligenza artificiale del Golden State, secondo Wellfound, sono ben 305. Si calcola che collettivamente tutte le startup americane, in questo momento, stanno cercando 11.603 digital designers, 80.570 ingegneri, 21.964 figure nel marketing e 31.818 commerciali.
Cosa vi ricordano questi dati? A me ricordano le 275 startup che cercarono di imitare Facebook, le valutazioni pazzesche di piattaforme digitali sulla Borsa di Wall Street, l’investimento delirante di Elon Musk in Twitter e la bolla delle DotCom alla fine degli anni novanta. Mi ricorda anche che, per quelli che amano la preistoria, nell’anno 1900 in America c’erano 1.001 aziende che costruivano automobili! La storia si ripeterà con questa nuova tecnologia? Si, senza dubbio alcuno! Ci
vorranno i soliti venti anni per snellire il gruppo di contendenti e saranno pochi a sopravvivere. Possiamo però contare sul fatto che quelli che lo faranno trasformeranno il mondo come d’altronde lo hanno fatto le tecnologie delle ‘ere’ passate.
Dobbiamo stare attenti però su dove investire. Scriveva il ‘filosofo del management’ Peter Drucker che l’alta tecnologia è la «cima della montagna» ma la cima non può esistere senza la montagna e la montagna è creata da lavori a zero, bassa e media tecnologia! L’economia, in altre parole, non può basarsi sulla creazione solo di alta tecnologia perchè ci vogliono almeno vent’anni perchè l’high tech paghi dividendi. Nel frattempo il mondo deve andare avanti e i ponti non devono crollare per mancati investimenti. Non c’è vetta senza montagna e la montagna è costruita da noi, miliardi di persone che badano, quotidianamente, alle esigenze di vita di un’umanità che sogna nuove tecnologie, ma che nel frattempo usa gli strumenti che ha tra le mani. n
L’INCHIESTA pagina 26 QUI CALIFORNIA ils
Tra progresso e ingenuità umana, la Silicon Valley si innamora di una nuova tecnologia e, in stile prettamente californiano, getta il cuore oltre l’ostacolo: poi lo segue con investimenti miliardari
A cura di Ernesto Sirolli docente e consulente di economia aziendale
I prodotti vanno riparati, non buttati: stop all’obsolescenza programmata
Via libera della Commissione Ue agli ultimi tasselli del piano Ecodesign, che fissa nuovi obblighi per produttori e venditori. Altolà anche al green washing, le false rivendicazioni di caratteristiche verdi e prestazioni ambientali
Ogni anno, nell’Unione europea, vengono letteralmente buttati via prodotti, anche di cospicuo valore, che sono stati usati per poco tempo e che potrebbero essere benissimo riparati. Vanno invece a generare 35 milioni di tonnellate di rifiuti, con uno spreco di 30 milioni di tonnellate di risorse (componenti e materie prime riutilizzabili o riciclabili). Inoltre, questo spreco comporta l’emissione di 261 milioni di tonnellate di gas a effetto serra che potrebbe essere evitata, e una perdita economica per i consumatori, costretti alla sostituzione di prodotti che potrebbero essere riparati, stimata a quasi 12 miliardi di euro all’anno.
Questi dati, diffusi dalla Commissione europea, hanno indotto l’Esecutivo comunitario a presentare un articolato piano per garantire che i tutti prodotti industriali messi in vendita nell’Ue siano innanzitutto concepiti e progettati per essere interamente riciclabili e riparabili (“Ecodesign”); e che vi sia per i produttori l’obbligo di informare i consumatori sulla durata e riparabilità dei prodotti, con l’obiettivo di evitare sia l’obsolescenza programmata (la degradazione o il blocco del funzionamento dopo la fine della validità della garanzia legale) che il “greenwashing” (le false rivendicazioni di caratteristiche green e prestazioni ambientali). Il venditore dovrà fornire inoltre un “indice di riparabilità” (se applicabile), e altre informazioni messe a disposizione dal pro
duttore, come la disponibilità di pezzi di ricambio o un manuale di riparazione. Queste proposte (un nuovo regolamento “Ecodesign”, una modifica della direttiva sui diritti dei consumatori e un aggiornamento della lista nera della direttiva sulle pratiche commerciali sleali vietate) sono state tutte presentate dalla Commissione un anno fa, il 30 marzo 2022. Mancavano ancora, tuttavia, due atti legislativi specifici, necessari per completare il pacchetto, che sono stati presentati il 22 marzo scorso: una direttiva con i criteri comuni per contrastare il “greenwashing”, e soprattutto un’altra direttiva riguardante il “diritto alla riparazione” che verrà garantito per tutti i consumatori nel mercato unico europeo.
La proposta sul diritto alla riparazione, in particolare, fissa le norme comuni Ue per allargare quanto più possibile la possibilità di riparare i prodotti, privilegiando questa opzione rispetto alla loro sostituzione, quando questo è fattibile ed economicamente vantaggioso per il consumatore. La direttiva, tra l’altro, intende stimolare il settore della riparazione, composto in massima parte di Pmi, oltre che incentivare i produttori e i venditori a sviluppare modelli di business più sostenibili.
Le nuove norme si applicano sia al periodo di due anni di validità della garanzia legale post-vendita, nel quale starà ai venditori e produttori dare priorità alla riparazione gratuita dei prodotti difettosi rispetto
alla loro sostituzione (che oggi è sovente la scelta privilegiata), sia al periodo successivo alla scadenza della garanzia. In quest’ultimo caso, la riparazione dovrà essere facilitata e resa disponibile a un costo proporzionato, e non essere, come spesso accade oggi, impossibile o troppo cara. I produttori saranno tenuti a informare i consumatori sui prodotti per i quali dovranno garantire il diritto alla riparazione, sempre che siano tecnicamente riparabili.
La direttiva dispone che ogni Stato membro debba aprire e mettere a disposizione una piattaforma online sulla riparazione (“matchmaking repair platform”). La piattaforma permetterà di mettere in contatto i consumatori con i riparatori e anche con i venditori di beni riparati presenti nella loro zona. Questo faciliterà la ricerca e il confronto delle offerte più interessanti e aumenterà la visibilità dei riparatori. La Commissione presenterà un formulario europeo di informazioni sulla riparazione (“European Repair Information Form”), che i consumatori potranno richiedere a qualsiasi riparatore e che garantirà la trasparenza delle condizioni e del prezzo. L’Esecutivo Ue elaborerà anche uno standard europeo di qualità riguardo ai servizi di riparazione, per aiutare i consumatori a individuare i riparatori che si impegnano a offrire un servizio migliore. Questo standard sarà aperto a tutti i riparatori dell’Ue che intendono impegnarsi a favore di norme minime di qualità, basate ad esempio sulla durata o sulla disponibilità dei prodotti.
Un’opzione che è stata discussa a lungo dai servizi della Commissione, e che era richiesta in particolare dalle associazioni dei consumatori, era quella dell’estensione oltre gli attuali due anni della garanzia legale dei prodotti, soprattutto di quelli più durevoli. Alla fine, questa ipotesi è stata scartata perché, come hanno spiegato fonti della Commissione, è proprio nel periodo di validità della garanzia che avviene più spesso e facilmente la sostituzione di prodotti che sarebbero perfettamente riparabili.
La proposta della Commissione dovrà ora essere adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio Ue. n
L’INCHIESTA pagina 27 QUI BRUXELLES VENERDÌ 14 APRILE 2023
A cura di Lorenzo Consoli
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L’equilibrismo di Macron inciampa nel tappeto rosso di Xi Jinping
a cura di Attilio
Geroni
Com’era prevedibile, l’esito della visita di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Pechino, al cospetto del leader cinese Xi Jinping, ha creato confusione e malumore tra molti alleati europei, in particolare i Paesi dell’Europa Centro-orientale, e gli Stati Uniti. Le parole sull’autonomia strategica che deve essere perseguita sia rispetto agli Usa sia rispetto alla Cina, l’intervista a “Politico” nella quale il presidente francese asserisce che non è nell’interesse dell’Unione europea diventare un semplice “follower” dell’America e che non è nel suo interesse immischiarsi in potenziali conflitti, con riferimento piuttosto esplicito a Taiwan, non hanno certo giovato alla coesione della Ue.
Il difetto maggiore di questa visita è che ha reso ancora più incomprensibile quale posizione l’Europa intende adottare nei confronti della Cina. Sappiamo qualcosa attraverso una terminologia che rischia di essere fine a se stessa se non spiegata a fondo: i Ventisette non vogliono il decoupling, il disaccoppiamento dall’economia che gli Stati Uniti stanno mettendo in pratica nei confronti di Pechino. Cercano faticosamente di mettere in piedi un de-risking, una riduzione del rischio, che ancora non si è capito bene cosa sia rispetto al disaccoppiamento: per ora è la mezza consapevolezza che con la Cina i rapporti, anche economici, non potranno più essere quelli che sono stati nell’arco temporale compreso tra l’ingresso del gigante asiatico nella WTO e la prima metà inoltrata del secondo decennio (2015-2016).
Non sanno però – e la doppia visita Macron-von der Leyen ne è la testimonianza –come dare seguito a questa mezza consapevolezza senza cadere nelle contraddizioni. Prima del presidente francese era stato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, a recarsi a Pechino, anch’egli accompagnato da una nutrita schiera di imprenditori e manager di multinazionali.
In entrambi i casi, nonostante si sia ben consapevoli che le relazioni internazionali non sono fatte di carinerie e spesso sorvolano sui principi, l’effetto ottico non è stato dei migliori. Da un lato si chiede a Xi Jinping di intercedere presso Vladimir Putin per trovare una soluzione negoziale al conflitto in Ucraina; dall’altro si portano imprese a concludere contratti importanti nel più grande mercato del mondo. Sembra che la strategia tedesca del “Wandel durch Handel”, quella di indurre il cambiamento in
regimi autoritari attraverso il rafforzamento della cooperazione economica e che si è rivelata controproducente con la Russia, venga perpetuato dai due più importanti Paesi nell’attesa di spiegare a sé stessi come ridurre il rischio. In sé le parole di Macron non sono molto sorprendenti e fanno parte di un riflesso condizionato del Paese che si riassume nel mai sopito gollismo di ritorno. Il desiderio di affermare sé stessi e la propria indipendenza rispetto all’alleato tradizionale – gli Usa – che non per questo viene rimesso in discussione. Il problemi dell’uscita del presidente sono stati la tempistica e il luogo. Cercare per l’Europa – futuro terzo polo globale nei sogni di Macron, assieme a Cina e Stati Uniti – un’equidistanza da entrambe le grandi potenze mentre si è in visita ufficiale a Pechino, dà l’impressione di voler compiacere e blandire il leader di turno, in questo caso l’impenetrabile Xi. Ancora peggio se nella visita il padrone di casa, in nome del protocollo, utilizza un doppio standard riservando tappeti rossi e fiori e sei ore di colloquio al capo di Stato francese e un’accoglienza umiliante, invece, al capo della Commissione europea. Infine, ma non di minore importanza, resta il concetto di autonomia strategica, tanto caro a Macron, che dovrebbe essere secondo lui il fine ultimo della politica estera europea. Su questo si può essere anche d’accordo, ma forse sarebbe stato meglio chiarire meglio questo concetto, che “galleggia” nella cancellerie europee da qualche anno. Chiarire, ad esempio, la tempistica e dare il dettaglio dei settori nei quali si intende raggiungere questa autonomia, al di là del semplice elenco dei settori cosiddetti strategici. Il punto di caduta di questa autonomia, perché sia davvero strategica, è ovviamente la Difesa; ma per raggiungere l’obiettivo di una difesa unica europea, il primo a sapere che ci vogliono molti anni, probabilmente una generazione, è Emmanuel Macron. E nel frattempo, con una guerra alle porte d’Europa e nella quale l’Ucraina resiste anche grazie al sostegno di forniture militari occidentali (soprattutto americane e decisamente meno francesi) come si gestisce il lungo interregno?
Non certo gettando nella confusione e nello scompiglio la già tentennante strategia europea nei confronti della Cina andando a casa sua a giocare tra poliziotto buono (Macron) e poliziotto cattivo (von der Leyen). Vi sembra che uno come Xi possa restare impressionato da questo vecchio gioco delle parti? n
«Asse tra Italia e Francia sui migranti: basta sbarchi, rivedere il ruolo del Frontex»
Parla Jordan Bardella, presidente del Rassemblement National: un errore fermare l’utilizzo del nucleare, sulla guerra in Ucraina serve il dialogo
di Eleonora Tomassi
Jordan Bardella, 27 anni, presidente dell’attuale primo partito francese ‘Rassemblement National’ e l’uomo più vicino a Marine Le Pen. Lei si è più volte dichiarato contrario alla discussa riforma delle pensioni voluta dal capo dello Stato Macron. Perché pensa abbia scatenato una tale opposizione popolare? Si tratta di un innalzamento progressivo dell’età pensionistica di 2 anni, dai 62 a 64. Un livello comunque al di sotto di quello introdotto ormai da tutti gli altri grandi partner europei, Italia e Germania incluse. Perché tutto questo fervore?
La Francia ha una storia di protezione
pagina 28 LA SETTIMANA INTERNAZIONALE ils
L’equidistanza della Ue da Usa e Cina, professata dal presidente francese, ha creato malumori tra gli alleati europei
sociale, che nasce dopo la seconda guerra mondiale: i francesi si difendono direttamente per tutelare i loro diritti sociali. Macron durante la campagna elettorale, per attrarre la parte di destra più liberale, aveva già promesso un innalzamento dell’età pensionabile. Ma questa riforma non si spiega dal punto di conti pubblici perché lo scostamento di bilancio è veramente minimo: 10 miliardi su 350 miliardi di costo delle pensioni. In realtà le proteste sono un rifiuto sociale di tutta l’agenda Macron, il tema pensionistico ne è solo uno strumento. Non a caso stanno partecipando anche i gilet gialli con le loro azioni di guerriglia. Il 65% dei francesi si oppone a questa riforma e pure i più poveri sostengono che non è questo il momento di attuarla, data la già pesante crisi energetica in corso e la paura di impoverimento che cresce di giorno in giorno.
A proposito di guerriglia, le manifestazioni sembrano essere sempre più dure..
Sì, in Francia non possiamo nemmeno più ricevere un capo di Stato straniero perché non siamo in grado di garantire la sua sicurezza. E Macron non è il partito dell’ordine. Prova un piacere malsano nel caos, come durante le manifestazioni dei gilet gialli, quando ha lasciato che il disordine si organizzasse.
Sull’immigrazione lei ha da poco ribadito una fermezza tale da permettere una “ripresa di controllo”. Cosa pensa dell’accordo tra la premier italiana Meloni e Macron, nel bilaterale di fine marzo, relativo alla missione congiunta in Tunisia, assieme all’Ue, e quindi della concordata collaborazione della Francia sul tema degli sbarchi?
Credo i francesi abbiano la stessa paura degli italiani di vedere il loro Paese scomparire. E che sempre i francesi come gli italiani non vogliano ricollocare gli immigrati all’interno dell’Unione, ma nei loro Paesi d’origine. Motivo per cui è necessario combattere affinché si varino delle leggi per consentire i rimpatri e i
respingimenti delle navi, e si riveda il ruolo di ‘Frontex’. La priorità dell’Europa dovrebbe stare nella legalizzazione di rimpatri e respingimenti. La Francia di sicuro non è fatta per essere un albergo e uno sportello sociale. Assistenza sociale e assegni familiari vanno riservati ai francesi. Ci tengo inoltre a sottolineare la mia origine italiana, e il mio auspicio che questo splendido Paese conservi la sua italianità.
Sempre nel vertice bilaterale, Macron avrebbe chiesto il sostegno della premier italiana Meloni sull’energia nucleare. Lei è favorevole all’atomo?
Emmanuel Macron è talmente a favore del nucleare che ha chiuso le centrali nucleari. La chiusura di queste e lo stop degli investimenti è una follia economica per la Francia. Da De Gaulle a Sarkozy tutti i leader si sono sempre battuti per la difesa del nucleare, un importante asset economico decisivo anche per la nostra sovranità energetica. Per questo chiedo anche all’Europa di non cedere agli “ayatollah” dell’ecologia e di non svendere il nucleare, ma di difenderlo. Il nucleare è molto più pulita di altri tipi di energia disponibili, ha meno emissioni. Sotto la pressione dei Verdi anche la Germania ha chiuso le centrali nucleari, e oggi inquina molto più visto che utilizza quelle a carbone.
Sulla guerra Russia-Ucraina, la Cina ha proposto un piano di pace di 12 punti. Macron subito dopo ha annunciato l’invio di altre forniture di armi pesanti al presidente ucraino Zelensky. Che ne pensa?
Con il mio partito abbiamo sempre condannato l’aggressione della Russia sull’Ucraina, ma ciò non significa che non dobbiamo essere vigili e attenti a non entrare in una escalation di guerra. La priorità è il dialogo e il primo passo per arrivarci è far comprendere alla Russia che nulla ha più da guadagnare da questa invasione e che deve perciò fermare le sue truppe. Potremmo anche essere a favore dell’invio di armi difensive, ma sicuramente non di missili a lungo raggio o di aerei che possono finire appunto per intensificare il conflitto. Un piccolo spoiler per le presidenziali francesi 2027: sarai tu il candidato del Rassemblement National?
Penso sia prematuro parlarne, ma la candidata naturale oggi rimane ancora Marine Le Pen. n
«Lei cosa ne pensa della Cina odierna?
Non mi lamento, se penso a come e dove vivevo quando ero un bambino, ai tanti periodi disgraziati che abbiamo dovuto passare. In cosa è migliorata la sua vita?
Faccio un lavoro duro, e lo stesso mia moglie, ma almeno sono sicuro di poter dare da mangiare alla mia famiglia e far studiare il nostro bambino. Inoltre, non è improbabile che un parente lontano abbia fatto fortuna e sapere di poterci contare in caso di emergenza…
Che cosa non funziona? Cosa dovrebbe cambiare?
La sanità dovrebbe essere più accessibile e meno cara; non è giusto che se un ricco commette un crimine riesce a salvarsi pagando qualche mazzetta; dovrebbero dare meno compiti ai bambini a scuola e poi la nazionale di calcio maschile, una vera vergogna!
Cosa pensa dei problemi con il Tibet, Taiwan, Xinjiang? Sono tutti territori Cinesi. Non penso che nessuno dovrebbe imbarazzarsi nei nostri affari interni.
Se vi fosse la possibilità di avere un nuovo sistema politico che permetta di risolvere i problemi di cui parlava, ne sarebbe contento?
L’importante è che non cambi il Partito. Come facciamo altrimenti ad andare avanti?».
È la prima cosa che ho cominciato a fare costantemente dopo aver acquisito sufficiente dimestichezza con il mandarino parlato: conversare con i tassisti e fargli sempre le solite domande.
L’ho usato negli anni come una specie di sondaggio Doxa di una categoria interessante, in quanto ha a che fare durante le corse da una parte all’altra della città, con persone di tutte le classi sociali. E colloquiando, senza avere la cultura necessaria a un’elaborazione complessa, immagazzina le idee di chi si siede sui sedili del proprio veicolo.
In qualità di straniero ho ricevuto un trattamento preferenziale, ossia poche reticenze e risposte genuine. Intendiamoci, non rispondevano tutti allo stesso modo, ho semplicemente immaginato una conversazione standard riportando le risposte più gettonate. L’unica risposta che è stata sempre la solita cambiando solo gli intercalari e la disposizione delle parole è l’ultima. Il partito non si tocca, questo il sunto, l’ultima riflessione che mi lasciava un sapore di déjà-vu in bocca ogni volta che pagavo la corsa e aprivo la portiera per uscire.
Che il popolo cinese sia segretamente in disaccordo con il proprio governo e sogni un cambio di sistema è una favoletta che ho sentito spesso da stranieri che parlavano di Cina senza avervi mai messo piede sulla base di reportage e servizi tv che definire di parte è un esercizio di diplomazia che mi impone la parola scritta.
Non sostengo questa ipotesi sulla base delle conversazioni avute con i tassisti, e sarei fuorviante se adducessi a motivazione le persone con cui ha parlato o avuto a che fare nella mia seppur non corta permanenza nel Paese di Mezzo. Quel che mi ha convinto sono state le innumerevoli conversazioni con gli stranieri che ho incontrato in varie città della Cina e che a loro volta avevano esperienza sul campo come la mia.
Il cittadino medio cinese ha visto un miglioramento delle proprie condizioni di vita impressionante, sia nelle città che nelle campagne, negli ultimi trent’anni. È migliorata la scolarizzazione, la qualità delle abitazioni, delle fogne, degli ospedali, dei servizi.
Che avere la pancia piena e poter andare al cinema e allo stadio non sia tutto, nei Paesi occidentali penso vi siano pochi dubbi, entrando in gioco obiettivi meno materiali come la serenità, la felicità, il benessere mentale su cui investiamo molta parte delle nostre energie. In Cina, sebbene ci sia uno Stato dirigista, il popolo usato nella sua accezione più ampia pensa soprattutto alla pancia, ai soldi, all’educazione dei figli e al riconoscimento sociale (su cui di potrebbe discutere per ore). n
pagina 29 VENERDÌ 14 APRILE 2023
«Ecco che cosa vogliono davvero i cinesi»
Le priorità sono avere la pancia piena e i soldi, l’educazione dei figli e il riconoscimento sociale
di Fredrik Meloni
di Eleonora Crisafulli
«Volevo fare qualcosa di significativo. Ho scelto la cosa più folle: una startup, a quasi 50 anni, in un settore che non conoscevo».
Maurizio Miozza, fisico di formazione, un passato nella ricerca e nel settore aeronautico, ha ideato un sistema innovativo per migliorare l’efficienza energetica dei datacenter. Un problema che riguarda tutti, visto l’impatto che i server hanno sull’ambiente. Ha fondato GemaTEG oltreoceano, a Seattle. Ma ha investito in Italia per far crescere qui, a Perugia, le attività di ricerca e sviluppo della startup.
L’idea nasce nel 2018. Siamo nella capitale del cloud, dove hanno sede i quartier ge-
nerali di Amazon Web Services e Microsoft Azure. «Non si può sfuggire ai problemi che riguardano l’infrastruttura cloud e il più urgente è lo smaltimento del calore. I grossi centri di calcolo sono come delle stufe elettriche che devono essere raffreddate per evitare che il sistema rallenti o si danneggi. E portare via il calore richiede energia». La soluzione sviluppata da GemaTEG, tra IoT e intelligenza artificiale, riesce a mantenere la temperatura dei microprocessori sotto controllo, consentendo di aumentare le prestazioni e ridurre i consumi energetici. «È come una pompa di calore in miniatura, ma intelligente: riconosce in autonomia quando il server si sta riscaldando ed estrae
La parabola di un fisico giramondo: da topo di laboratorio a businessman
Maurizio Miozza è il co-founder e chief creative officer di GemaTEG. Cresciuto a Perugia, dopo la laurea in Fisica, vince una borsa di studio all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che lo porta a viaggiare tra il Cern di Ginevra e i principali centri di ricerca di Germania, Francia, New Mexico. «Mi occupavo di fisica dei raggi cosmici» racconta. Alla fine degli anni ‘90 accetta un’offerta di lavoro di UmbraGroup (società attiva nel settore aeronautico) a Seattle. «Mi
Maurizio Miozza
sono reinventato: da topo di laboratorio a responsabile di una linea di business. Negoziavo contratti, portavo clienti, gestivo i rapporti con Boeing». Conosce così le dinamiche di un’impresa. Nel 2018 decide di rimettersi in discussione. Lo stesso ha fatto Manfred Markevitch, ceo e co-founder di GemaTEG, dopo una carriera in automotive e finanza. «Il nome della startup? È l’unione tra le iniziali dei nostri figli e la tecnologia ThermoElectric Generator». n
il calore in modo efficiente. Non raffredda sempre al massimo, ma solo quando e quanto è necessario».
Uno degli obiettivi della startup è dimostrare che la tecnologia può davvero fare la differenza. «Spesso l’approccio al tema sostenibilità è “stiamo inquinando troppo, dimentichiamo il benessere e torniamo all’età della pietra”. La nostra idea è che, grazie all’integrazione di diverse tecnologie, possiamo ridurre il nostro impatto sull’ambiente, senza sacrificare la crescita. Sostenibilità e sviluppo economico possono convivere».
Lasciato il lavoro di una vita, Miozza ricomincia da zero. Fonda la startup con Manfred Markevitch. «Abbiamo iniziato investendo i nostri Tfr» sorride. «Mi sono rimesso a studiare, a costruire schede elettroniche». Per la validazione dei dispositivi GemaTEG collabora con l’Università Bicocca e il Cnr di Lecco. Poi estende i rapporti ad altri enti, dal Politecnico di Milano all’Università di Perugia. Il primo lotto di produzione è pronto a gennaio 2023. La startup è ora in contatto con potenziali clienti, grandi aziende negli Usa e in Italia. Il sistema di raffreddamento potrà essere applicato anche ad altri ambiti: «L’elettronica utilizzata per auto elettriche, batterie, centraline di ricarica ha lo stesso problema dei server nei datacenter. Così stiamo valutando nuove opportunità».
GemaTEG ha raccolto 4 milioni di dollari in tre round. Ha vinto due bandi, Smart&Start di Invitalia e SmartUp della Regione Umbria. «Al di là del lato economico – sottolinea Miozza – sono un riconoscimento e ci danno una responsabilità: vogliamo generare valore qui». Così in Umbria amplierà il team, oggi composto da 12 persone. «Cerchiamo tecnici, fisici, ingegneri. L’Italia è piena di talenti. E noi vogliamo avere un impatto anche sociale». Non è stato facile reinventarsi, creare un’azienda tra Seattle e Perugia, gestire i ritardi dovuti alle condizioni geopolitiche. «È una sfida, si dorme poco, l’adrenalina è costante, ma facciamo impresa con uno scopo, ambiente e persone al centro». n
pagina 30 SOSTENIBILITÀ ils
GemaTEG, startup fondata da Maurizio Miozza tra Seattle e Perugia, ha ideato un sistema avanzato per migliorare l’efficienza energetica dei datacenter che ha già fatto incetta di bandi pubblici e investimenti. Concentrata in Umbria l’attività R&S
«Con la nostra rivoluzione termoelettrica raffreddiamo i server e recuperiamo il calore»
Che sia inverno o estate, dimmi come consumi e ti dirò come risparmiare
La veneta Green Project Agency studia le abitudini di consumo per offrire soluzioni di efficientamento energetico allo scopo di razionalizzare i costi di climatizzazione di privati e famiglie. Dal 2023 anche grazie agli impianti fotovoltaici.
di Alessandro Luongo
Un’azienda lungimirante, giovane e improntata alla trasparenza e onestà intellettuale. Green Project Agency nasce nel 2020 a Venezia con l’obiettivo di proporre soluzioni di efficientamento energetico ai privati e alle famiglie di tutta Italia. Project Agency è presente in tutta Italia con una rete vendita diffusa e in forte espansione.
«Miglioriamo gli impianti di climatizzazione invernale ed estiva delle abitazioni con lavori di termoidraulica, e, dall’inizio del 2023, siamo presenti sul mercato anche con il fotovoltaico», esordisce Tommaso Giuliano, che a trent’anni è titolare dell’azienda.
«Le politiche comunitarie sono orientate da tempo in questa direzione e il risparmio energetico è al centro dell’attenzione di tutta l’Europa. L’aumento dei costi delle materie prime, a causa dell’invasione dell’Ucraina dalla Russia, rende obbligatorio, anche per il nostro Paese, un investimento concreto sempre più importante nel campo dell’efficientamento energetico. La nostra azienda vuole dare il proprio contributo nel solco di questa grande tematica che rappresenta la vera sfida per il nostro futuro e soprattutto per il futuro delle nuove generazioni».
«Nel 1993 è stata introdotta la classificazione climatica dei comuni italiani che regolamenta la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia. Le caratteristiche morfologiche dei territori e le differenze climatiche delle nostre regioni devono essere il cardine quando si affronta il tema dell’efficientamento energetico.
Ad esempio, il sud , grazie alla persistenza del sole con estati più lunghi, è l’area ideale, con le sue enormi superfici disponibili, per installare tecnologie di solare termico, e con gli inverni miti è possibile utilizzare le pompe di calore per la riduzione progressiva dell’utilizzo del metano».
Fiore all’occhiello dell’impresa veneta è la chiarezza con il cliente. «Elaboriamo sempre analisi puntuali sulle abitudini di consumo e costi reali delle famiglie, proponendo progetti adeguati alle loro capacità di spesa».
Green Project Agency poi è riuscita ad alleviare i disagi recenti dovuti allo stop della cessione dei crediti dell’ecobonus grazie all’intervento prezioso di Micro Finance di Milano, agenzia in attività finanziaria di Cofidis e la «cui attività con i nostri clienti privati, ci ha permesso
di avere la liquidità per acquistare i materiali e andare avanti nel nostro lavoro, mentre aspettiamo la parte rimanente di credito dovuto dallo Stato».
Dal 2023 al 2027, infine, l’azienda veneta – dopo le sponsorizzazioni nel calcio – è diventata sponsor del team di ciclismo emiliano Green Project Csf di Bruno Reverberi – il cui ambassador è Davide Cassani. Come mai questo passaggio? «Abbiamo sempre avuto una sana passione per il ciclismo e abbiamo deciso di puntare su una vera squadra nazionale dal punto di vista tecnico e amministrativo. Il patron della squadra, Reverberi, fa grandi sforzi da quarant’anni lavorando da sempre sui giovani promettenti. Così siamo entrati nel ciclismo in maniera innovativa, con l’obiettivo di fare crescere un gruppo di giovani ciclisti e, grazie all’accordo quinquennale di sponsorizzazione, di dare continuità all’attività del team romagnolo, permettendo, anche con la partecipazione al prossimo Giro d’Italia, un salto di categoria decisivo». n
pagina 31 VENERDÌ 14 APRILE 2023
«Rischi per il credito all’edilizia non residenziale»
Parla Nicastro, cofondatore di Banca AideXa:
di Mariarosaria Marchesano
Roberto Nicastro è un banchiere che ha sia visto fallire vecchi modelli di business del credito (nel 2015-17 ha gestito il primo caso di bail-in in Europa, con la risoluzione delle quattro banche del centro Italia, Etruria, Marche, Ferrara e Chieti, la costituzione delle rispettive bad bank e la cessione sul mercato degli attivi) e sia ne ha visti nascere di nuovi, più moderni e fintech come Banca AideXa di cui è presidente e cofondatore assieme all’ad Federico Sforza e altri. Negli ultimi sette-otto anni molte cose sono cambiate nel sistema bancario italiano che ha curato le sue fragilità ed è diventato più forte rispettando le severe regole di vigilanza imposte dalla Bce, «ma non si può mai abbassare la guardia specie se proseguisse un forte rialzo dei tassi – dice Nicastro al Settimanale – per esempio, il credito all’edilizia non residenziale è a rischio, perché subisce l’impatto della recessione economica e allo stesso tempo del cambio degli stili di vita e di lavoro come la diffusione dello smart working, che ha indebolito la domanda di uffici».
Per Nicastro, l’Italia e l’Europa hanno lavorato ex ante per prevenire crisi bancarie con controlli e stress test, mentre gli Stati Uniti sono più efficaci ex post, sapendo, e potendo politicamente, gestire in modo tempestivo casi di crisi anche inaspettati com’è accaduto per le banche californiane. «Lì si riuniscono tre o quattro persone e in un week end trovano una soluzione – prosegue il banchiere – Noi in Europa non riusciamo a fare altrettanto, non abbiamo nemmeno ancora un’assicurazione europea comune dei depositi, ma nel nostro sistema c’è un maggior grado di fiducia proprio per l’incessante e puntiglioso lavoro di prevenzione su banche grandi e piccole, che in America non hanno fatto». Mondi diversi sulle due sponde dell’Atlantico, che, però, stanno per avvicinarsi perché gli Stati Uniti rafforzeranno la vigilanza sulle banche medie, che, come spiega Nicastro, si sono dimostrate più esposte «agli choc idiosincratici» provocati dall’inversione della politica monetaria. «La Bce, dopo aver immesso oceani di liquidità nel sistema, ha avviato un percorso di ritiro molto accelerato, ma dopo le ultime turbolenze ha dato segnali di avere a cuore la stabilità finanziaria oltre che la lotta all’inflazione. Il mercato ha interpretato questi segnali con una maggiore prudenza e cautela sulle future mosse sui tassi». Anche
perché se è vero che il sistema bancario dell’Eurozona si è dimostrato più resiliente, è anche vero che nella confederazione elvetica è stato scongiurato per un soffio un crac come quello di Credit Suisse, una banca sistemica, di quelle che non possono fallire perché rischiano di tirarsi dietro tutti gli altri. E nella stessa zona euro, istituti di grande rilevanza come Deutsche Bank sono finiti sotto attacco dagli hedge fund, malgrado i grandi passi avanti fatti con le ristrutturazioni degli ultimi anni.
Come va interpretata la relativa tranquillità seguita alle due settimane di fuoco che nel mese di marzo hanno fatto tremare i mercati, la tempesta è alle spalle? «Molto dipenderà dalla politica monetaria della Bce – osserva il banchiere – ulteriori forti rialzi dei tassi, che per la verità non mi aspetto, potrebbero esporre i punti di fragilità del sistema finanziario, come appunto, le esposizioni al settore dell’edilizia non residenziale». Esiste il rischio di un credit crunch, di stretta creditizia,
per le imprese? «Direi che una politica monetaria restrittiva come quella che sta attuando la Bce mette in conto il credit crunch perché il suo obiettivo è proprio quello di raffreddare l’economia per combattere l’inflazione. La stretta creditizia è già arrivata in Italia e gli ultimi dati del fondo centrale di garanzia lo dimostrano: nel primo trimestre 2023 i crediti erogati sono stati 11 miliardi rispetto ai 17 dello stesso periodo dello scorso anno, ed è un peccato perché in media le Pmi italiane sono più resilienti oggi di 5-10 anni fa. E stiamo parlando della principale fonte di credito a medio lungo disponibile alle piccole e piccolissime imprese».
In questo scenario, in cui la vita per le piccole imprese diventa sempre più complicata come si inserisce una banca fintech come AideXa? «Il nostro modello di business è focalizzato su attività di dimensioni molto piccole: dalle partite Iva ad aziende fino a 10 milioni di fatturato. Nel 2022 abbiamo erogato nuovo credito per 300 milioni e, a giudicare dalla crescita del primo trimestre, il 2023 è proiettato verso quasi un raddoppio». AideXa è ancora una start up nel mondo fintech, una sfida che grandi gruppi, come Generali con il 16 per cento, Banca Ifis e Banca Sella con il 10 per cento, Isa, Confartigianato e tanti piccoli investitori hanno lanciato in mezzo al Covid e che ha ottenuto la licenza bancaria a metà 2021.
Aidexa punta al break even a metà 2024. La raccolta avviene principalmente con depositi vincolati per i privati sotto i 100mila euro, quindi protetti dal Fondo di Garanzia. A fine marzo Aidexa ha lanciato Conto X, un conto corrente che serve da parcheggio di liquidità per le Pmi, che offre loro un rendimento dell’1% (quando sul mercato i conti imprese da oltre un decennio non sono in genere remunerati) anch’esso protetto dal Fondo se di ammontare inferiore ai 100mila euro. Quello della mancanza dell’assicurazione europea dei depositi è uno dei punti deboli del sistema bancario continentale: quando si arriverà ad averlo? «Punto complicato, temo occorra un ulteriore passo nel progetto politico europeo per dare forte spinta all’unione bancaria e al completamento del mercato unico dei capitali». n
FINANZA E IMPRESA pagina 32 ils
il sistema del credito si è rafforzato ma guai ad abbassare la guardia. Il nostro modello di business guarda a partite Iva e piccole imprese: nel 2022 erogati 300 milioni, quest’anno raddoppieremo
Roberto Nicastro banchiere
Materie prime e titoli di Stato a breve termine lo scudo contro l’iper-inflazione
di Massimiliano Volpe
L’inflazione è tornata prepotentemente a condizionare i mercati finanziari dopo un lungo periodo di tassi negativi. Di fronte all’aumento dell’inflazione, la Federal Reserve e la Bce hanno inasprito la politica monetaria alzando i tassi di interesse, con inevitabili riflessi negativi sulle diverse asset class. E i contraccolpi si sono già visti lo scorso anno, con forti cali sia sui mercati obbligazionari sia su quelli azionari.
La domanda che adesso si pongono tutti è: dove investire adesso il proprio denaro? In questo contesto la conservazione del potere d’acquisto dovrebbe essere l’obiettivo minimo per i rendimenti dei nostri investimenti. Più facile a dirsi che a farsi. Ma come si comportano le diverse forme di investimento in un contesto di elevata inflazione?
Per rispondere a questa domanda, Hans-Jörg Naumer di Allianz Global Investors ha esaminato l’andamento di diversi tipi di investimento in scenari inflazionistici molto diversi tra loro, dal 1971 a oggi negli Stati Uniti. Dal 1900 gli Usa hanno vissuto tre episodi di inflazione superiore al 5%: 1916–1921, 1945–1951 e la grande inflazione degli anni ‘70. Poiché l’obiettivo degli analisti è la conservazione del valore, tutti i rendimenti sono stati espressi come rendimenti reali.
In estrema sintesi dalla ricerca emerge che solo le materie prime e i titoli di Stato a breve termine riescono a proteggere i portafogli dei risparmiatori da un’inflazione molto elevata. Da Allianz Global Investors sottolineano però che lo studio si basa su dati puramente storici e non può essere considerato un modello per il futuro, né tiene conto degli attuali sviluppi delle economie o dei mercati finanziari.
Ma vediamo nel dettaglio cosa succede alle diverse
asset class osservando quanto riportato nel grafico qui in pagina.
Inflazione sopra l’8% Quando l’inflazione è superiore all’8%, come nel periodo in cui stiamo vivendo da quasi un anno, le uniche asset class che storicamente hanno registrato rendimenti molto positivi sono state le materie prime e in particolare l’oro. In questo contesto, performance positive vengono messe a segno anche dai titoli di Stato a breve termine. Particolarmente penalizzate invece le obbligazioni societarie e i titoli di Stato con duration più lunghe. Male, anche se con un grado minore, le azioni (Usa e globali).
Inflazione al 6-8% Storicamente, in un contesto di inflazione compresa nel range 6-8%, le migliori performance sono state registrate dalle commodity, seguite dalle obbligazioni societarie e dai titoli di Stato a breve scadenza. Quelli a lungo termine presentano in questo contesto un andamento prossimo alla parità. Negativi invece i rendimenti delle azioni (Usa e globali) e, a sorpresa, anche quelli del metallo giallo.
Inflazione al 4-6%
Quando l’inflazione si trova compresa nel range 4-6% le materie prime registrano in media l’andamento migliore, seguite dalle azioni (Usa e globali) e dall’oro. Rendimenti positivi sono registrati anche da tutta l’asset class obbligazionaria con in testa quelle societarie, seguite dai titoli di Stato a lungo termine e poi da quelli a breve.
Inflazione al 2-4%
Infine, nell’intervallo di inflazione 2-4%, tutte le asset class presentano rendimenti positivi ma molto diversi tra loro. Le migliori performance
vengono messe a segno dalle azioni (Usa e globali), seguite dalle materie prime, dalle obbligazioni corporate, dall’oro, dai titoli di Stato a lungo termine e poi da quelli a breve termine.
Cosa succede quando i tassi scendono
Gli scenari che si prospettano indicano una possibile attenuazione delle pressioni inflazionistiche già nei prossimi mesi e pertanto la fase di rialzo dei tassi di interesse potrebbe raggiungere il culmine entro l’estate. Dall’analisi delle serie storiche emerge che quando i tassi di inflazione tornano a scendere, dopo avere toccato un massimo, l’apparente vantaggio delle materie prime e dei metalli preziosi si è ribaltato.
I metalli preziosi sono stati particolarmente colpiti da questo punto di vista. Secondo gli esperti di Allianz Global Investors, la regola generale che sembra valere è la seguente: quanto più forte è l’inflazione, tanto maggiori sono le perdite in termini reali quando questa torna a scendere. Al contrario, le azioni e le obbligazioni hanno registrato un andamento molto positivo. In particolare i risultati delle obbligazioni rispecchiano un esito quasi ideale: quando i tassi di inflazione (o le aspettative di inflazione) diminuiscono, anche la parte di rendimento obbligazionario che compensa gli investitori per l’inflazione può diminuire. Ceteris paribus, il calo dei rendimenti nominali porta a un aumento dei prezzi delle obbligazioni. Attenzione ai punti di svolta
È bene prestare attenzione al fatto che, prima di vedere una fase di ribasso dei tassi di interesse, le banche centrali manterranno invariate le loro politiche monetarie a lungo per favorire il calo dell’inflazione. Storicamente in questa fase i mercati azionari vanno a toccare nuovi minimi, prima di iniziare un nuovo ciclo duraturo di rialzi.
Per questo motivo, secondo Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, l’anno della ripresa per i listini sarà il 2024, quando le banche centrali inizieranno a tagliare i tassi di interesse. «I prossimi mesi saranno dunque da sfruttare per una lenta e graduale accumulazione di rischio. In questa fase la liquidità potrà essere fruttuosamente parcheggiata in strumenti brevi e sicuri» conclude Fugnoli. Ricadute sui portafogli
L’inflazione penalizza anche il tradizionale portafoglio bilanciato 60-40, tipico dei risparmiatori italiani. Coloro che lo adottano sperano che la discesa delle azioni sia compensata dal rimbalzo delle obbligazioni e viceversa. Cercare la diversificazione è sempre positivo, ma secondo Amadeo Alentorn, lead investment manager, Systematic Equities, di Jupiter Asset Management, l’allocazione in due sole asset class non è in grado di offrire un sufficiente grado di diversificazione ai portafogli.
«Il nostro approccio market neutral, tipico della gestione attiva, è stato ideato per non essere influenzato dai movimenti del mercato azionario, ma per generare alfa. Questo approccio ha permesso, nel corso del tempo, di ottenere rendimenti con una bassa correlazione con le asset class azionarie e obbligazionarie» conclude l’esperto della società di gestione inglese. n
pagina 33 VENERDÌ 14 APRILE 2023 Più info su Wall Street Italia e wallstreetitalia.com/
Studio di Allianz Global Investors sui risultati storici delle varie asset class, dalle azioni ai bond e all’oro, in funzione dei movimenti dei tassi e del carovita
La nuova forma del design: così la fiera di Milano riconquista imprese e buyer
Finite o quasi le polemiche sulla nuova formula espositiva, finiti i timori di non rivedere i buyer stranieri, debutta martedì 18 aprile il 61° Salone Internazionale del Mobile, nei padiglioni della Fiera Rho-Milano. I quasi 2mila espositori, dei quali il 30 per cento da Paesi esteri, avranno la prova che il nuovissimo format messo a punto dal gruppo di studio del Salone su progetto dello Studio Lombardini 22, oltre che essere molto atteso dagli operatori, è stato da subito apprezzato, e cioè da quando in gennaio è stato presentato alla stampa internazionale. Biglietti, soggiorni ed eventi sono infatti andati a ruba. Esauriti i posti in albergo a Milano e Lombardia, sono arrivate prenotazioni anche in Svizzera come ai tempi d’oro pre-Covid.
Maria Porro, presidente del Salone, ha dunque visto giusto quando ben prima dell’annuncio di gennaio, e subito dopo le edizioni ridotte del 2021 e del 2022, aveva captato il grande rischio che correva l’evento di design più importante al mondo e cioè di perdere gran parte delle Pmi. Anche perché i costi esorbitanti per partecipare al Salone, per i soggiorni del personale e per la preparazione del’azienda e dei prodotti, non erano più sostenibili. E soprattutto perché le fiere virtuali, i webinar, i nuovi modi di presentare aziende e novità sui social, stavano diventando sempre più praticati. Cosa ha invertito questo negativo trend, e messo le basi di quello che viene considerato l’inevitabile riferimento per chi organizza le fiere specializzate internazionali post-Covid? «Subito dopo la pandemia abbiamo deciso di presentare, insieme al vertice di Federlegno Arredo, FLA, il nostro programma per il Salone in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Cina e India. Questa road show – spiega Porro – si è
rivelata molto positiva, ha creato un crescente interesse degli operatori a tutti i livelli. Il successo più ampio lo abbiamo riscontrato negli Usa, dove abbiamo anche registrato il maggior aumento di import dall’Italia e da quanto ci risulta anche per gli arrivi».
Quanto ai timori di grandi rinunce da parte delle Pmi, la presidente del Salone è stata molto chiara: «La nuova formula si sviluppa per la prima volta solo su un piano, quello a terra, senza dispersioni, con stand lineari e quindi con la possibilità per tutti di avere visibilità ed evidenza. Ma è il layout ad anello della biennale Euroluce che anticipa quella che sarà l’ulteriore completamento del nostra progetto». Lo sviluppo ad anello, cioè su superfici semicircolari dove
si alternano prodotti, eventi, aree di incontri, happening per creare atmosfere e non solo esposizioni di aziende, diventerà – se avrà successo – sempre più generalizzato.
I trend del Salone sembrano privilegiare alcuni grandi temi, come quello delle riedizioni dei “pezzi” iconici e un diffuso minimalismo di gamma alta e medio alta che sembra adeguarsi all’international style dei grandissimi operatori del real estate del contract. E una dichiarazione di ecosostenibilità della quale tutti si vantano ma che spesso non ha le necessarie certificazioni a supporto. «Il minimalismo per noi non è mai omologazione – risponde Maria Porro – ma una costante ricerca della purezza, dell’essenzialità profondamente radicata nel nostro settore, una caratteristica
Il Salone del Mobile si estende su 170.308,50 mq di superficie netta espositiva con 1.962 espositori di cui ben 550 i giovani designer del Salone Satellite; l’intera area a terra è occupata ma per i percorsi – resi molto facili per le guide virtuali su smartphone, personalizzabili in tempo reale, senza lunghe preparazionici sono i tapis roulants del primo piano. Da non perdere Euroluce, il cuore spettacolare del Salone, costruito come un involucro magico e luminescente che raccoglie oggetti, mobili e lampade luminosi da tutto il mondo e che si apre poco per volta per invitare a entrare e scopri-
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La rassegna fa tendenza: gli americani vengono a copiare
Pagine a cura di Paola Guidi e Franca Rottola
Maria Porro presidente del Salone
SALONE DEL MOBILE 2023
Il 18 aprile via alla 61a edizione del Salone del Mobile, il più importante al mondo, rinnovato per venire incontro alle esigenze delle Pmi: quasi 2mila gli espositori
del design italiano che sa anche conferire comfort, calore e qualità alla casa. Quanto alle riedizioni si è vero, è la nostra storia ma dobbiamo ricordare, come sottolineava Enzo Mari, che l’innovazione continua può solo venire dal dialogo tra progettisti e imprenditori coraggiosi, che ha connotato sin dall’inizio il design italiano». Una tendenza importante – continua Porro – sarà «la domotica, la tecnologia come si potrà vedere a Euroluce, perché oggi illuminare significa creare atmosfere, effetti speciali ispirati addirittura alle neuroscienze. Un’altra tendenza è in atto, la crescita dei prodotti per l’outdoor, quello spazio esterno che, dopo il Covid, è diventato sempre più importante».
Dietro il successo della nuovo Salone ci sono numeri significativi, comunicati in questi giorni da FLA. Dopo due anni di crescite a due cifre, ci si aspettava uno stop, che non è arrivato perché, come ha comunicato Claudio Feltrin, presidente di FLA, l’anno è cominciato bene e si prevede una chiusura a +5%. «Il traino è e sarà l’export: nel 2022 si è verificato il boom degli Usa con +25,7%; la Cina è stabile, un calo previsto e assorbito della Russia e un grande aumento dei mercati degli Emirati e dell’India. Il 2023 sarà anno della normalizzazione. Ripartiranno investimenti per digitale, transizione ecologica, risorse umane e internazionalizzazione». Questi i numeri chiave di una filiera che vale 56,6 miliardi di euro, pari al 4,6 del totale fatturato Italia. E dove la “gemma” è l’arredo-design. n
re non solo il lato tecnico, progettuale, commerciale. Ovunque, mostre che creano architetture luminose con percorsi, bagliori, ritmi, giochi per trasformare gli spazi, per suggerire ambientazioni e per emozionare, e con luoghi per incontri liberi e stimolanti dove sarà possibile fare approfondimenti ulteriori sul tema della luce artificiale con professionisti del settore di risonanza mondiale.
La formula che mixa sapientemente business, intrattenimento, cultura e affari (qui si firmano sempre fior di contratti) ha attirato l’attenzione di enti fieristici di tutti i continenti. Dal 17 aprile sarà presente a Milano il vertice della associazione americana dei produttori e importatori dei prodotti per la casa – la potente National Kitchen+Bath Association, Nkba (15mila aziende associate) che organizza ogni anno la prima esposizione nordamericana del settore il Kbis (Kitchen & Bath Industry Show). Con lo scopo di osservare con attenzione l’evoluzione del Salone, destinata a fare tendenza, ma anche per attirare i nostri gioielli del design: le Pmi e i grandi progettisti che, insieme, hanno creato l’inconfondibile stile italiano di vivere la casa. n
Parola d’ordine per le imprese: prodotti ecosostenibili
Da qualche anno i parametri di ecosostenibilità dei manufatti del legno italiani hanno raggiunto primati pari se non superiori a quelli tedeschi. Da qui derivano il consolidarsi e l’aumento delle vendite sui mercati europei, più sensibili al tema dell’ecologia come la Germania e la Francia, certamente più attenti alla protezione ambientale. Ma poiché il legno ha raggiunto prezzi esorbitanti – in calo solo da poco –quello che viene importato o riciclato richiede lavorazioni e finiture speciali e difficili: è diventato praticamente impossibile vendere nei negozi, come nei contract mobili, senza certificazioni ambientali. Più della metà dei consumatori a livello mondiale pagherebbe di più per prodotti sostenibili, secondo una ricerca Accenture. Un sondaggio del 2022 del Conference Board indica che oltre il 70% degli intervistati della generazione Z ammette che le azioni di un marchio sul clima influenzano le loro scelte di acquisto. Le aziende si stanno già attrezzando, costrette dai consumatori che vogliono informazioni su origine dei materiali, tipo di manodopera o emissioni. Va detto che molte Pmi italiane nella comunicazione eccedono con dichiarazioni di ecosostenibilità. Anche per questo Federlegno Arredo ha in atto un percorso di formazione per la sostenibilità destinato a supportare le piccole imprese. E gli eventi organizzati dall’associazione, come il Salone, sono già certificati secondo la norma ISO 20121; il primo audit avverrà proprio in Fiera.
Boom dell’arredo outdoor
Maxipolo tra 3 big del settore
Tra i 10 trend che nel 2020, secondo una ricerca del Sole 24 Ore, hanno cambiato il mondo del real estate spicca quello dell’aumento costante del valore delle abitazioni dotate di uno spazio outdoor, a seguito delle difficoltà incontrate dalle famiglie nel corso del lungo lockdown. E di questo trend hanno beneficiato i produttori italiani, considerati i primi per la qualità dei materiali e soprattutto per la loro ecosostenibilità, con un 60% di esportazione nei Paesi più ricchi e in location spesso esclusive. L’hanno ben compreso tre aziende, KE, Varaschin Outdoor e Piscine Castiglione che hanno di recente varato una partnership con il nome OLC – Outdoor Leading Companies – che offre prodotti di fascia alta a architetti, designer e progettisti. Complementari nell’offerta, hanno tutte e tre un elevato livello di innovazione: Varaschin, progetta e produce arredi e complementi di ispirazione naturale e materiali selezionati per il relax nelle zone pranzo esterne. KE, marchio di BAT Group, da 35 anni è specialista in sistemi ombreggianti hi tech e realizzati nel rispetto per l’ambiente, grazie all’impiego dell’alluminio e dell’acciaio inox. Piscine Castiglione è celebre per l’esclusiva tecnologia modulare, perfetta anche per piscine in aree sismiche grazie a resistenza e leggerezza senza pari.
Focus su materiali naturali tra artigianato e sistemi hi-tech
Sarà un Salone ricco di proposte di arredi e complementi d’arredo che definiscono, oltre a una qualità estetica, anche un’identità materica e un ruolo funzionale all’interno degli spazi dell’abitare. Un’attenzione particolare è dedicata ai materiali spesso naturali, alle forme essenziali e dalle geometrie decise, dall’attenzione ai dettagli e alle finiture, con rimandi alla storia, sempre interpretati con gusto ed estetica contemporanei. Ma anche riedizioni di arredi e oggetti iconici e grande spazio a tutto ciò che coinvolge gli spazi outdoor anche di piccolissime dimensioni. Tra le tendenze e novità quelle di Margraf, con la nuova collezione Ipogeo®, che integra le tecniche e le arti più antiche di lavorazione artigianale della materia litica con tecnologie robotiche a controllo numerico, per soddisfare la crescente richiesta di personalizzazioni esclusive, caratterizzata da una lavorazione grezza che esalta le origini della materia, come se fosse stata appena estratta, ci racconta Silvio Xompero, presidente Margraf. E ancora, il nuovo sistema Architype™ di Caccaro, composto da Boiserie e Porta, progettato per dialogare e completare con i Sistemi Freedhome® e Wallover®, grazie a una integrazione di finiture, dimensioni e funzionalità, per creare un ambiente fluido dove gli ambienti sono polifunzionali e integrati tra di loro, spiega Roberto Caccaro, direttore commerciale di Caccaro.
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La città verso il tutto esaurito, record di affitti extralberghieri
Milano è in fibrillazione: il succedersi in poche settimane del ponte pasquale, del Salone del Mobile e dei due ponti del 25 Aprile e del 1° Maggio rappresenta una occasione unica per aprirsi al mondo e mettersi in mostra nel miglior modo possibile. Gli albergatori già segnalano numeri interessanti sulle prenotazioni e ciò si ripercuote, a cascata, su taxi, ristoranti, shopping, affitti brevi, b&b. Il fatto è che, come ha sottolineato recentemente Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo con delega a Moda e Design del Comune di Milano, «rispetto alle sfilate di moda (l’altro evento clou mondiale di Milano, oltre al Gran Premio di Monza, ndr) Salone del Mobile e Fuorisalone si caratterizzano per un coinvolgimento della città unico, diretto, con tante attività diffuse nei
diversi quartieri». E dunque quanto valgono, per Milano e il suo hinterland, il Salone e il Fuorisalone? Confcommercio Milano Monza Brianza Lodi ha fatto due conti: l’edizione 2022 (tenutasi a giugno) ha visto 400mila presenze in città e 263mila visitatori a Rho (nell’aprile 2019, prima della pandemia, i visitatori a Rho erano stati 386mila) con un impatto economico di 247 milioni di euro sul sistema dell’ospitalità.
Dati confermati in sostanza da Marco Celani, amministratore delegato di Italian Way, primo operatore sul mercato italiano degli affitti brevi per destinazioni coperte e numero di immobili gestiti, e dal 2020 anche presidente dell’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi, Aigab: «Aprile rappresenta tradizionalmente un 15% di tutte le presenze in
Con il Fuorisalone
1.200 eventi in una settimana
Ci sarà, tanto per dire, anche Ikea. In via Tortona, a Milano, proporrà l’evento “Assembling the future together”, il cui simbolo è la piccola chiave per brugola che tutti abbiamo usato almeno una volta per montare un mobile del colosso svedese. A significare che il Fuorisalone ribadisce il suo carattere di apertura e partecipazione a tutti gli amanti del bello: designer, architetti, scuole, università, istituzioni, pubblico in generale. Quest’anno, dal 17 al 23 aprile, a Milano saranno circa 1.200 gli eventi proposti nei tradizionali distretti di Brera, via
Durini, Tortona, 5Vie, cui si aggiungono le novità di Porta Venezia, Darsena, ex Macello, area del Cimitero Monumentale. Il tema sarà “Laboratorio Futuro”. «Fuorisalone non è solo un punto di riferimento per un settore che rappresenta la qualità del Made in Italy nel mondo, ma anche una grande opportunità per Milano. Installazioni, mostre, eventi diffusi riaccenderanno distretti e quartieri della città confermando il suo ruolo di capitale del design» ha detto Alessia Cappello, assessora comunale al Lavoro e Sviluppo con deleghe a Moda e Design. n
città. Il Salone del Mobile, il Fuorisalone e tutto quanto vi gira attorno valgono 50 milioni di euro solo per gli affitti extralberghieri, cui vanno aggiunti altri 210 milioni tra pernottamenti alberghieri, ristorazione, shopping, trasporti, calcolando che ogni euro speso per dormire ne produce altri quattro spesi per mangiare, divertirsi, viaggiare, fare shopping».
Tutto questo comprendendo anche il privato che, disponendo di due camere da letto, ne affitta una per il periodo del Salone «o addirittura decide di andarsene per due settimane e affittare casa». Cifre e valutazioni che valgono per «Milano, l’hinterland, la Brianza, anche Torino e Modena, che sono ben collegate al capoluogo lombardo e che quindi risentono del Salone. Non così Bergamo, ad esempio, o il Canton Ticino».
Celani svela però anche una curiosità: «Ad oggi (11 aprile, ndr) il tasso di occupazione delle case in affitto breve è attorno al 60%. Credo così anche per gli alberghi. Le piattaforme di affitti brevi risentono della concorrenza di quei privati indipendenti che, appunto, offrono online stanze a tariffe inferiori. Credo però che nei giorni a ridosso del Salone si possa arrivare al tutto esaurito. È successo anche per Pasqua: il tasso di riempimento delle case a Milano era al 20-30 per cento una settimana prima. Poi è arrivato al 99,5%, grazie ai turisti italiani. Per questo non prevedo aumenti di prezzi rispetto al 2022. Oggi online ci sono ancora 17mila case». Senza dimenticare un’altra ricaduta del Salone: il business dell’allestimento. «I grandi marchi dell’arredo progettano i loro stand mesi e mesi prima della data di apertura – racconta il responsabile produzione di un’azienda di verniciatura di mobili e pavimenti in Brianza – e per l’allestimento coinvolgono, nelle settimane precedenti l’evento, falegnami, verniciatori, muratori e arredatori». Commenta Katia Celli, presidente dell’Asal (Assoallestimenti): «In una fiera standard sono impegnati in media 2.400 allestitori con punte, per il Salone del Mobile, di 9.600 operatori». n
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Cresce l’impatto economico per Milano e hinterland dal Salone del Mobile: si stima un giro d’affari di 250 milioni tra ristorazione, pernottamenti, taxi e shopping. Molti i privati che affittano stanze o addirittura l’intera abitazione
SALONE DEL MOBILE 2023
Pagina a cura di Paolo Cova
Marco Celani, presidente della Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi
Gusto e innovazione vincono all’estero: export a quota 53%
Paola Guidi e Franca Rottola
Il fatturato alla produzione della filiera legno-arredo è cresciuto del 12,6% – secondo il centro Studi di Federlegno Arredo, FLA, passando così dai 43,2 miliardi del 2019, ai 50,2 del 2021 fino agli attuali 56. Il +12,6% è la sintesi di un +12,2% delle vendite Italia (35,6 miliardi di euro) e di un +13,3% delle esportazioni (21 miliardi di euro) che rappresentano il 37% delle vendite totali. L’export della filiera è stato trainato soprattutto dagli Usa (+25,7%) che sono diventati la seconda destinazione davanti alla Germania (+9,7%) e dopo la Francia (+9,5%), che si conferma primo mercato di sbocco. Il risultato dell’export è figlio di un +12,6% registrato dal macrosistema dell’arredamento (15 miliardi di euro) e di un +14,9% del sistema legno (5,5 miliardi di euro).
Ma è soprattutto l’arredamento che registra il record di esportazioni con una quota sul fatturato (29 miliardi di euro, +11%) che rappresenta il 53% del fatturato totale. La mappatura dell’export vede la Francia confermarsi - con il 16% del totale - come primo Paese con 2,4 miliardi di fatturato e +8% di crescita. Seguono gli Usa che, con un export di circa 1,9 miliardi e una variazione del +25,5%, si confermano la seconda destinazione con una crescita pari a 380 milioni. Terza destinazione la Germania (1,4 miliardi, +5,3%), seguita da Regno Unito (799 milioni, +8,9%) e Svizzera (728 milioni;+14,7%). Cina stabile al settimo posto con un incremento molto contenuto (+2,1%).
Come si esporta costantemente e in mercati evoluti come quelli europei e del Nordamerica? Non si tratta di estemporanee grandi commesse una tantum sia pure frequenti ma di flussi consolidati che fanno leva su brand noti da decenni e di grandi capacità innovative. E nemmeno appartenenti a aziende di notevoli dimensioni o che producono una vasta gamma di tipologie. Perché spesso è la specificità del materiale, della destinazione o di particolari e uniche lavorazioni che rende forti anche sui mercati mondiali e molto competitivi le Pmi. E, soprattutto, conta per i grandi compratori esteri, l’identificazione del brand con il fondatore, non un semplice uomo d’affari con il fiuto per il design, ma molto molto di più.
Uno degli esempi più evidenti è la marchigiana Fiam (70% export, fatturato 10,8 milioni)
fondata nel 1968 da Vittorio Livi, artigiano vetraio per conto terzi ma che decide di diventare imprenditore applicando nuove tecnologie e al tempo stesso innovazioni formali di design contemporaneo. Inventa un forno speciale per creare il curvo vetro con il quale debutta sulle riviste di tutto mondo collezionando premi ovunque, con la celebre Ghost, una grande solidissima trasparente poltrona. Dagli anni 70, collaborando con i maggiori designer, con archistar e con artisti come Giò Pomodoro, rimane fedele alla materia prima, il vetro, e presenta spettacolari mobili-sculture, con tecnologie uniche per rendere leggero ma molto resistente il vetro.
E per renderlo sempre diverso, con finiture e tecniche fusorie raffinate, brevettate, che trasformano il mobile, gli specchi per cui Fiam è famosa in tutto il mondo, e i multipli in sculture dinamiche dalle superfici cangianti e materiche.
Livi e la Fiam si mantengono fedeli anche negli anni difficili all’origine: l’imprenditore-artista-designer rimane ma lascia il posto alla seconda generazione, il figlio Daniele. L’inesauribile innovazione del catalogo Fiam – al Salone presenta molte proposte inedite – nasce continuamente dalla presenza di artisti e designer creativi. «In ogni azienda dovrebbe esserci un artista – afferma Vittorio Livi – perché sperimentare e inventare non è solo una sfida imprenditoriale ma anche un divertente confronto e un costante apprendimento culturale».
Altro caso è il distretto degli imbottiti di Forlì, che ha messo a segno il record dell’aumento delle esportazioni con un +69,4%. Ma è tutto il comparto italiano di questa tipologia che procede a ritmi molto sostenuti. Carola Bestetti, ceo di Living Divani, che rappresenta la seconda generazione di uno dei due fondatori, Luigi Bestetti (l’altra è stata Renata Pozzoli) e che ha sede in Brianza, ha dichiarato a Il Settimanale che la quota di vendite sui mercati esteri ha raggiunto nel 2022 il 79% del fatturato totale, che ha superato i 30 milioni di euro. «Sono stati due anni molto soddisfacenti, nonostante le difficoltà dettate dalla situazione pandemica – risponde Bestetti – acuite dalla condizione di emergenza in Russia e in Ucraina. Non ci siamo però mai fermati, registrando un +57% nel biennio, e abbiamo continuato a lavorare con energia e
costanza per mantenere alto il nostro valore qualitativo. L’Europa rimane il mercato più maturo e incidente, guidato dalla Germania e seguito da Francia e Belgio, mercati cresciuti e consolidati negli ultimi anni, con note positive anche per Olanda e Spagna».
I buyer esteri, quando stendono la lista degli ordinativi inseriscono ormai di default l’outdoor e chi ha saputo adeguarsi alle nuove tendenze chiude contratti d’oro, soprattutto per il contract. «Il nostro catalogo è composto da un’articolata offerta – spiega ancora Carola Bestetti – che si sviluppa intorno al sistema imbottito, sia esso da indoor o outdoor, da una collezione di letti, complementi come sedie, poltroncine, tavoli, tavolini, librerie, contenitori e tappeti, per creare un ambiente unico, da quello più essenziale e rigoroso a quello più eclettico e decorativo». La forza del Salone è di aver creato nei decenni una solida base di incontri tra i buyer internazionali e le PMI e ancora adesso si parla di un 30% delle esportazioni che transita dalle fiere. Soprattutto per i giovani designer. Marva Griffin, giornalista e esperta in design, ha avuto 24 anni fa la straordinaria idea di creare proprio nel Salone, uno spazio apposito, il Salone Satellite, che ospitasse le proposte dei giovani sotto i 35 anni che non potevano permettersi i costi onerosi del Salone e del Fuori Salone. E che fossero visibili agli occhi delle aziende e dei grandi buyer. «Il Salone Satellite ha creato occasioni uniche per tanti progettisti e oggi viene copiato da molti organizzatori di fiere – dichiara Marva – ma nessuno è riuscito ad avere il nostro successo. E infatti accanto a Euroluce troverete il Salone Satellite e in grande evidenza a Sate Light, gli oltre 80 progetti che sono diventati reali prodotti diffusi in tutto il mondo. Molti degli attuali e celebrati designer sono stati ospitati ai loro inizi dal Salone Satellite e hanno potuto creare rapporti speciali e continui con gli imprenditori dell’arredo italiano. E ci tengo molto a sottolineare – aggiunge Griffin – che sin dall’inizio i giovani che debuttavano anno dopo anno sottolineavano sempre scelte senza compromessi per la sostenibilità, anche in tempi in cui questo tema non era affatto diffuso. Chi verrà in fiera vedrà anche la grande creatività delle 28 scuole e università del design di tutto il mondo che abbiamo invitato». n
L’arredamento made in Italy non conosce crisi grazie al valore dei brand e alle figure dei fondatori: i casi di Fiam e Living Divani
di
VENERDÌ 14 APRILE 2023
Daniele Livi, Ceo Fiam Italia in allto la sua poltrona Ghost.
L’azienda che accende la luce grazie alle stelle del design
Lumina, controllata dalla famiglia Cimini, fattura 5 milioni ed esporta il 95%.
Una Pmi dal successo planetario grazie soprattutto a Daphine, lampada di cui si sono innamorati i più grandi architetti, a cominciare da Norman Foster
Un esempio perfetto, costruito con tenacia e fedeltà all’origine, di come e perché una piccola azienda che fabbrica solo illuminazione, riesca a diventare un brand di eco mondiale con il 95% di export. Lumina – nome anche su misura – è stata fondata dalla famiglia Cimini: fattura intorno ai 5 milioni di euro e rappresenta la più coerente attuazione della formula della Bauhaus, Form und Funktion. Con una coerenza che l’ha resa più famosa e venduta all’estero che in patria, perché all’estero e persino in Medio Oriente il raffinato minimalismo degli apparecchi illuminanti è particolarmente apprezzato.
Come recita la presentazione online, Lumina è luce pura da sempre. «Tant’è vero che la lampada di maggior successo e tuttora la più ricercata dai progettisti in tutto il mondo è la prima, la Daphine – sottolinea Ettore Cimini, titolare dell’azienda – con un’idea di base semplice ma efficace: un diffusore orientabile, un braccio articolato in due segmenti e un trasformatore elettromeccanico su una base cilindrica tra due calotte metalliche».
Daphine nasce dalla filosofia progettuale del padre Tommaso Cimini: «Tanta luce, poca lampada», che è ancora l’essenza di ogni prodotto che porta il nome di Lumina, l’azienda fondata nel 1980. Non solo Daphine ma anche altre collezioni firmate da archistar, che raramente accettano impegnativi progetti per le Pmi, interpretano il principio di una razionalità senza tempo. Un nome per tutti: Foster+Partners, un big dell’architettura è tra i designer di Lumina.
Il segreto di questo savoir faire così speciale?
«La nostra fortuna è di aver sempre realizzato tutto all’interno dell’azienda – spiega Ettore Cimini – tutto è controllato sin dall’inizio, comprese le fasi della verniciatura e solo escludendo i componenti elettronici. E poter vantare e offrire un made in Italy realmente 100% italiano diventa un grande vantaggio competitivo. Ma anche nelle nostre presenze negli
anni, al Salone, abbiamo cercato di differenziarci, dimostrando e mostrando in vetrine illuminate e in evidenza tutti i componenti che progettiamo e realizziamo in fabbrica. Questo per raccontare l’iter progettuale e costruttivo, per dimostrare in trasparenza la qualità della manifattura italiana. Noi cerchiamo sempre dei contenuti, tecnici e formali, perché devono tradursi in quelle che io chiamo macchine illuminanti e funzionanti».
Una ispirazione così netta e costante agli ideali del good design delle origini e della Bauhaus ha creato intorno a Cimini e a Lumina un’immagine difficile da umiliare o sminuire con la contraffazione. Perché vanta un’altra prerogativa esclusiva tutta italiana: quella di saper fare rete, dalla quale escono prodotti difficili da riprodurre perfettamente su scala industriale di massa. Difficile e troppo costoso. «Mi piacciono le sfide, ma soprattutto quando posso coinvolgere altre aziende con le quali collaborare, perché è dalle diversità che emergono le soluzioni».
Oggi Lumina appartiene per il 61% a Ettore e per il 32 al fratello Andrea che segue la parte amministrativa. Ed Ettore segue tutto l’iter tecnico, anche perché ha saputo mettere a frutto il percorso di studi al rinomato istituto tecnico Ettore Conti di Milano, fucina di esperti in progettazione e manifattura della miglior meccanica. «La mia fortuna è che ho potuto frequentare ben presto il mondo del design, perché nel laboratorio di famiglia a Baggio, vicino a Milano, venivano realizzati
per conto della Artemide molte lavorazioni». Ma furono i fratelli Cassina a suggerire di tentare la via della produzione in proprio, dal momento che aveva acquisito un ‘esperienza preziosa, realizzando i trasformatori. Così nel 1975, alla Fiera Campionaria di Milano, debutta la prima lampada, quella Daphine che diventerà pietra miliare e simbolo stesso della futura azienda che si chiamerà Lumina nel 1980.
«A consacrare il nostro successo – ricorda Cimini – fu una giornalista della rivista tedesca Shoener Wohnen che scrisse una recensione così entusiasta da procurarci quasi subito molti compratori e arredatori. Da allora il mercato tedesco è sempre stato il più importante e il più costante e oggi rappresenta il 30% del fatturato». Che cosa ammirano di più i progettisti di questo percorso così improntato a un minimalismo molto lontano dai “birignao” del lusso tanto di moda? «Rispondo con una frase del grande Magistretti: ‘un buon progetto si deve poter raccontare per telefono’, come risultato di una grande semplicità e essenzialità». Ed è questo mix di tradizione assistita dalla tecnologia scelta con misura e senza eccessi, che attirò irresistibilmente l’archistar Norman Foster nel 2009, quando “scoprì” Daphine e la comprò per le sue case. Cominciò così un sodalizio, seguito da altri con celebrati architetti, che ha arricchito il catalogo raffinatissimo di Lumina. Con sempre al centro la star, Daphine, declinata in tante versioni di un’attualità senza tempo ma, per il suo minimalismo, adatta a qualsiasi spazio e location. n
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SALONE DEL MOBILE 2023
di Paola Guidi e Franca Rottola
«Ecco come da piccolo general contractor ho conquistato la Cina»
Storia di Luca Valle, da calciatore professionista a imprenditore che dietro il magazine Home Italia ha creato un gruppo con 75
Luca Valle è il direttore di Home Italia, rivista che non è più soltanto una rivista ma è diventata la vetrina di un’impresa che realizza ovunque vere case made in Italy. Come è avvenuto il passaggio da magazine di design all’architettura reale?
Il passaggio è arrivato cinque anni fa, quando ci siamo resi conto che vendere solo pubblicità per le aziende di arredamento made in Italy lasciava un po’ il tempo che trovava, così ci siamo trasformati in general contractor: oggi all’interno di Home Italia ci sono 75 studi di architettura da tutto il mondo e 30 aziende italiane d’arredo. Con questa squadra ci presentiamo sui mercati internazionali dove il nostro core business è il servizio chiavi in mano al cliente finale. Ad esempio, se un cliente compra casa a Miami possiamo realizzare tutto il progetto e tutto l’arredamento made in Italy; alla fine lo pubblichiamo sul magazine, quindi oggi la rivista è diventata un biglietto da visita.
Voi realizzate l’intera struttura a livello ingegneristico, mentre l’hardware viene fatto da altri.
Non siamo un’impresa di costruzione, quindi quando i clienti ce lo richiedono affidiamo il subappalto a terzi, possiamo però realizzare il progetto da zero.
Qual è la parte del mondo da cui vi arrivano più richieste?
Oggi il 68% del fatturato lo realizziamo in Cina, è quello il nostro mercato: i cinesi vogliono le case all’italiana. Poi vengono America ed Emirati Arabi. L’ultima richiesta che abbiamo avuto è stata a Shanghai, dove un grande costruttore ha realizzato tre alberghi e ci ha chiesto di fare tutto il progetto chiavi in mano. Abbiamo comprato gli arredamenti dalle nostre imprese e in questo caso abbiamo gestito anche il trasporto, quindi la dogana, lo sdoganamento e tutti i certificati di origine. Abbiamo completato queste tre strutture dopo tre mesi, perché ora c’è sempre qualche imprevisto legato alla distribuzione e ai prodotti dei materiali, con i tempi che si sono allungati a causa del Covid e dell’aumento delle materie prime.
Quali sono i nuovi paesi in cui vi aspettate di espandere il business?
Negli Emirati Arabi stiamo crescendo tanto, è un buonissimo mercato, anche se è partito già
da anni e c’è molta concorrenza di tante aziende italiane. Tel Aviv in Israele secondo me è un mercato molto interessante che sta nascendo adesso, dobbiamo essere pronti a entrarci. Quanti dipendenti ha Home Italia?
Abbiamo una struttura di 21 persone e diverse società esterne che collaborano con noi. Possiamo quindi definirla una Pmi del made in Italy: la storia di un giovane che ha inventato qualcosa che non c’era e sta creando posti di lavoro, una struttura che andrà avanti anni e che rappresenta un modo industriale di trasformare il made in Italy. Sono storie professionali, non filosofiche e intellettuali… È più facile nascere con una famiglia alle spalle che ti consegna l’azienda, in quel caso devi solo portare avanti una continuità. Se guardiamo alle molte realtà e alle molte storie si scopre che i figli tante volte non sono all’altezza dei genitori ma questo è un tema molto delicato. Nel mio caso sono partito da zero: fino a 32 anni ho giocato a pallone, prima nel Cesenatico – città dove sono nato – poi ho fatto fino alla serie C1. Sicuramente se avessi giocato in serie A magari non avrei iniziato a lavorare, a fare l’imprenditore, avrei gestito i soldi in campi diversi. Ma se giochi come me a livelli medio-alti, quando smetti devi reinventarti. Ho lavorato per un anno come commerciale in un giornale di moda e dopo mi sono messo in proprio perché avevo questa indole, il calcio e lo sport a livello professionistico ti portano comunque ad allenarti, a provare sempre a essere il numero uno. Bisogna avere tanta perseveranza, nei primi anni ho avuto dei momenti in cui avrei voluto mollare perché le difficoltà sono state tante. Oggi ho 42 anni, le cose stanno
andando abbastanza bene perché cerco sempre di crescere. E se dovessero andare male avrei la consapevolezza che io e il mio team abbiamo comunque sempre dato il massimo. Prospettive, sogni?
Crescere sempre di più senza fare il passo più lungo della gamba. Un mio sogno nel cassetto è quello di creare una serie di showroom
Home Italia nel mondo. Anticipo che il 20 aprile all’Hotel Gallia di Milano, in occasione della kermesse del Salone del Mobile, faremo un evento per ufficializzare l’apertura del primo showroom Home Italia nella sede del Louvre Furnishing Art Center a Guangzhou, in Cina. È un grande traguardo rincorso da diversi anni perché trovare il cliente cinese che garantisse anche un piano di espansione nel tempo non è stato facile: ce l’abbiamo fatta e ora abbiamo la possibilità di presentare e soprattutto distribuire quelle aziende del made in Italy che oggi non sono ancora presenti in Cina.
Della Cina si parla sempre come di una potente protagonista della nuova geopolitica, conflittuale con l’America per quanto riguarda il primato della componentistica e dell’elettronica, con un mondo distante e complicato. Com’è, in concreto, il rapporto con i cinesi quando ci si tratta personalmente?
La mia impressione è che sono persone con tanta voglia di fare. Sono grandissimi lavoratori e si stanno avvicinando moltissimo al made in Italy, alla nostra architettura, al nostro design, sono cresciuti tanto in questi anni, anche se al Salone del Mobile si vedono ancora i cinesi che fanno le foto ai nostri arredi per copiarli e riprodurli… Qual è stata la chiave vincente della vostra comunicazione?
Il marketing è la cosa più importante, oggi molte società hanno al loro interno dei fondi d’investimento. Per diventare un brand devi essere conosciuto nel mondo e per fare questo, come azienda d’arredamento, devi avere gli showroom. Ci sono aziende che ne hanno 50, 100 in ogni angolo del pianeta e diventano brand. Ma sono casi in cui esiste sempre una potenza economica di sostegno. Noi di Home Italia siamo auto liquidati, non abbiamo fondi d’investimento e abbiamo fatto tutto con le nostre forze. La chiave, nel nostro piccolo, è stata la correttezza, la perseveranza e il passaparola. Poi abbiamo ovviamente investito tanto su sito e social. n
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studi di architettura e 30 aziende di Claudio Brachino
VENERDÌ 14 APRILE 2023
Luca Valle direttore di Home Italia
Ljubljana, un weekend a misura d’uomo
Adagiata sul fiume Ljubljanica, Ljubljana appare a prima vista come una cartolina, ma basta poco per accorgersi che si tratta di una città piena di vita, oltre che di Storia.
Con meno di 300mila abitanti, è tra le capitali più piccole d’Europa, il che la rende ideale per un tranquillo weekend, oppure come tappa in un itinerario di più giorni in Slovenia, Paese che sempre più sta conquistando l’interesse degli italiani, complice la vicinanza geografica, il patrimonio verde, la cultura eno-gastronomica e le numerose proposte per le vacanze.
Nel cuore di Ljubljana
Tutte le vicende della capitale sono racchiuse nel suo centro storico. Ci sono i vicoli stretti della città medievale, ci sono i palazzi e i segni del Barocco (come il Municipio e la Fontana dei Tre Fiumi Carnoliani), ci sono i segni della moderna visione urbanistica del Novecento, con le soluzioni innovative di Jože Plečnik e i dettagli dei palazzi Art Nouveau. Il punto di partenza non può che essere la Piazza Prešeren , che prende il nome dal più grande poeta sloveno. A renderla inconfondibile c’è la Chiesa di San Francesco , costruita in stile barocco e
dipinta di rosso, un tributo all’ordine francescano moderno. Ma c’è qualcosa che è davvero unico in questo luogo: il Triplice Ponte , ingegnosa opera di Plečnik che nel 1929 aggiunse due ponti pedonali a quello già esistente. Di Plečnik sentirete parlare molto spesso in città; l’architetto, di fatto, modellò Lubiana portandola alla modernità.
La vita scorre lungo il fiume e i mercati Sulle rive della Ljubljanica il movimento non si ferma mai, anzi si adegua al passaggio delle ore, dai pranzi agli aperitivi, sino alle luci notturne che disegnano una città nuova. Arrivando dal Triplice Ponte, subito si incontra una delle opere più note di Plečnik: il Mercato Coperto, che con la sua curvatura segue l’andamento naturale del fiume, in un susseguirsi di piccoli negozietti gastronomici e ristorantini. Di fronte, accanto alla Cattedrale di San Nicola, il mercato all’aperto, luogo emblematico della vita di Ljubljana dove ogni giorno si fa la spesa, e il sabato (da marzo sino a fine ottobre), si possono provare i piatti degli chef sloveni.
I simboli della città
Il Castello e il Ponte dei Draghi sono i due luoghi più ico-
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Visita alla capitale slovena, tra Medioevo, Barocco e Art Nouveau. Senza tralasciare l’aperitivo lungo il fiume Ljubljanica, un giro per acquisti golosi, una buona cena
di Chiara Carolei
La “cartolina” del centro storico. Il castello di Ljubljana è l’attrazione della capitale slovena.
La chiesa di San Francesco si specchia nelle acque della Ljubljanica.
nici di Ljubljana. Il primo lo si scorge praticamente da qualsiasi punto della capitale, basta volgere lo sguardo un po’ all’insù. Lo si raggiunge facilmente da piazza Krekov a piedi. Per chi non volesse affrontare la salita al colle, c’è in funzione una funicolare. La costruzione non ha quasi più nulla al suo interno di quella originale, ma ospita un
bel museo e ha un’impagabile vista sulla città! Quanto al Ponte dei Draghi, è solo uno dei tanti luoghi a Ljubljana in cui compaiono questi animali fantastici, a cui la città è legata da una leggenda. Ma è anche la prima costruzione in cemento armato e uno dei primi e anche più grandi ponti di questo tipo nell’Europa di allora. Era il 1900. n
Sopra, vista del Castello. A destra e sotto scorci del centro storico.
Cosa sapere
DORMIRE
Grand Hotel Union Eurostars Quattro stelle in uno splendido palazzo Art Nouveau. Camere con vista sulla Chiesa di San Francesco.
✉ Miklošičeva cesta 1, Ljubljana
☎ +386.1.3081270 grandhotelunioneurostars.com
Ibis Styles Ljubljana Centre
A cinque minuti a piedi dalla stazione dei treni, un moderno tre stelle di design. Ideale anche per chi viaggia con il proprio cane.
✉ Miklošičeva cesta 9, Ljubljana
☎ + 386.31.395869
- all.accor.com
MANGIARE
Breg
Sul lungofiume , esperienza gourmet informale e divertente, grazie alla cucina dello chef Jorg Zupan.
✉ Breg 20, Ljubljana
☎ +386.8.2056005
- breg-ljubljana.com
Figovec
Trattoria che propone piatti tradizionali. Da assaggiare gli imperdibili i taglieri di salumi e formaggi.
✉ Gosposvetska cesta 1, Ljubljana
☎ +386.1.4264410
- figovec.si/en/
COMPRARE
Učilna okusov
Se volete portarvi a casa prodotti tipici della campagna slovena, come pane, latticini, carne e succhi artigianali, questo è l’indirizzo giusto.
✉ Ljubljana Central Market, AdamičLundrovo nabrežje 5, Ljubljana
☎ +386.1.2927785
Catbriyur
Manufatti in porcellana, dalle tazzine ai vassoi. È il brand di due designer locali Katja e Jure Bricman.
✉ Ciril-Metodov trg 19, Ljubljana
☎ +386.41.499528
- catbriyur.com
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Ipnotizzati dall’Occhio
Animale
A Milano, fino al 29 aprile, in esposizione i ritratti posati, a grandezza naturale, di orsi, gorilla, cani, cavalli, ippopotami nati dalla creatività di Saverio Polloni
Il gorilla ti scruta, attento. Nei suoi occhi ci puoi leggere tanto, millenni di evoluzione, interrogativi irrisolti, sospetto, ma anche un pizzico di attrazione per l’essere umano che lo sta osservando oltre la tela, suo lontano “parente”. Sembra indeciso, se fidarsi o meno… Non solo gorilla, ma anche ippopotami, cavalli, cani, puma, orsi e tanti altri “personaggi” del mondo animale sono protagonisti di una affascinante mostra inaugurata il 12 aprile a Milano alla Maurizio Nobile Fine Art (sito privato Bagatti Valsecchi, via Santo Spirito 7, fino al 29 aprile) dal titolo Occhio
Animale. L’autore è Saverio Polloni, artista cha da vent’anni si dedica a ritrarre animali, con un’attenzione certosina per gli occhi. Specchio dell’anima, come vengono tradizionalmente descritti, filtri che lasciano fluire emozioni, metafora della vita, riflessi in cui
inevitabilmente ci si specchia. «Mi rifaccio all’impostazione classica del ritratto, solo che invece di persone metto in posa gli animali, ritratti a grandezza naturale, rispettando le proporzioni», spiega l’artista a Il Settimanale.
Lavorare sugli animali è piuttosto complesso. Com’è nata questa sua passione? I suoi dipinti sembrano figli di quella ritrattistica barocca, tipica dell’arte fiamminga e anglosassone.
Ho sempre avuto un’attrazione per il soggetto animale, anche se ho cominciato a ritrarli a 40 anni. Prima mi occupavo di illustrazioni pubblicitarie, lavoravo nel campo della moda e del disegno industriale, avevo un mio studio, erano gli anni Ottanta. Però gli animali mi hanno sempre affascinato e incuriosito, così ho pensato di metterli in posa come facevano i grandi ritrattisti classici. Dipingerli a grandezza naturale ha un effetto molto impattante in chi li osserva».
Infatti, imbattersi in un suo gorilla o in un mastodontico ippopotamo è comunque un’esperienza da provare…
Lavoro molto sulla loro postura, gli animali trasmettono naturalmente empatia. A differenza di personaggi famosi dove puoi avere un sentimento positivo verso quel dipinto ma anche una reazione opposta, con i miei soggetti questo non accade.
Il punto di attrazione fondamentale di un
suo dipinto è lo “sguardo animale”. Per questa ragione la galleria Maurizio Nobile ha scelto di focalizzare la scelta dei miei lavori, concentrandosi proprio sugli occhi. In esposizione ci sono una ventina di tele, tra cui una molto piccola, 15x15 centimetri, che raffigura un singolo occhio di tigre.
La sua, però, non rientra nella categoria della pittura scientifico-naturalistica... No, non lo è. È un ritratto vero e proprio e, come tale, un’interpretazione di quella determinata specie animale, filtrata dal mio modo di percepirla. Non si tratta nemmeno di “pittura fotografica”. Tutti gli occhi dei miei animali hanno un qualcosa di umano. Il bulbo oculare è difficilissimo da disegnare perché se si prolungano le palpebre di un millimetro da una parte o dall’altra il dipinto si riduce a un’umanizzazione tipica di un fumetto o di una caricatura.
Insomma, l’occhio vuole la sua parte! Sono l’ultima cosa che dipingo. Spesso lascio i quadri incompiuti per mesi, poi li riprendo, li studio, li rimetto da parte se non sono convinto. Alcuni li ho fermi da quattro, cinque anni. Di una tela raffigurante un orso polare dell’altezza di 2 metri e 20 centimetri ho impiegato più tempo a rappresentare gli occhi che tutto il resto!
Quale tecnica pittorica usa?
È il frutto di un intero anno di studio e spe-
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Pagine a cura di Beppe Ceccato
rimentazione. È una sovrapposizione di colore acrilico, ideale per dipingere i peli perché mi garantisce un tratto nitido, senza sbavature, a cui sovrappongo velature a olio per dare profondità.
Perché è così affascinato dal ritratto come soggetto pittorico?
Sono nato nel 1957, ho frequentato l’Accademia di Brera negli anni Settanta. In quel periodo storico ci è stata negata la pittura. Ricordo la Biennale di Venezia del 1981: non c’era esposta nemmeno un’opera pittorica. E questo era un atteggiamento solo italiano. Ho iniziato a dipingere animali per un mio piacere personale, poi, un mio amico gallerista romano mi chiese se potevo imprestargli un quadro dei miei da mettere in vetrina, voleva allestirla in un modo nuovo. Gli ho mandato la testa e il collo di una giraffa, una tela di due metri e mezzo d’altezza con sfondo un drappo viola, come si usava nei ritratti ottocenteschi. Appena esposta mi chiama chiedendomi quanto costasse: l’aveva venduta in un’ora!
Quindi s’è convinto a cambiare mestiere?
Erano gli anni 96/97, avevo appena deciso di chiudere la mia precedente attività e darmi alla pittura a tempo pieno. Allora i dipinti a soggetto faunistico erano una novità, in Italia non abbiamo mai avuto una forte tradizione di ritrattistica animale. E poi, 25 anni fa non esistevano né Instagram né Facebook con tutti quei gattini e cagnolini fotografati di continuo…
Escludendo l’animale vivo, cosa usa come modelli? Fotografie?
No, parto da un bozzetto fatto a mano, quindi vado a cercare tantissime foto, tutti particolari anatomici per studiare le spalle, la conformazione delle orecchie, quella degli occhi, della bocca, la prospettiva del muso. Devo tenere conto anche della dimensione reale del soggetto ritratto, facendo le debite proporzioni per ogni parte del corpo. Dipingo anche animali di profilo. In questi casi il soggetto ha l’occhio che ruota, anche se nella realtà non è così. È una mia interpretazione per renderlo più empatico. n
Emozioni e presente, l’arte al tempo del Metaverso
«Una mostra che spero possa avvicinare i puristi della tradizione ai nuovi codici espressivi derivanti dalle tecnologie più attuali, le quali, lungi dall’essere asettiche e “disumanizzate”, si mettono al servizio dell’atto creativo in tutte le sue forme, offrendo all’artista e ai suoi fruitori nuovi strumenti per esplorare l’ineffabile mistero del fare arte». Il professor Emmanuele F.M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale nella sua attività di mecenate, filantropo ed esperto d'arte non ha dubbi in proposito: Ipotesi Metaverso, a Roma, Palazzo Cipolla (via del Corso 320), mostra nata da una sua idea e inaugurata il 5 aprile - chiuderà il prossimo 23 luglio - ha proprio questo scopo: investigare su nuove forme d’arte e dimostrare quanto la tecnologia (inevitabile) possa essere un bene al servizio dell’umanità. L’arte da sempre intercetta e “studia” il progresso dell’uomo. Lo elabora, nel bene e nel male, “traducendo” attimi di esistenza. Per dirla con le parole del prof. Emanuele: «Entrando nel merito della mostra sul Metaverso, termine opportunamente coniato, si ipotizza la coesistenza di esperienze multisensoriali e multimediali di artisti di oggi con riferimento alle opere del passato che hanno avuto come epicentro scenari e testimonianze vitali diverse. Questo apparente contrasto attraverso lo strumento multimediale, che sarà utilizzato nella mostra, stimolerà in maniera assoluta il visitatore consentendo ma, a mio modo di vedere, mettendo an-
che sotto il riflettore della valutazione, la possibilità concreta della percezione del mondo reale attraverso la tecnologia». Gli artisti chiamati a elaborare il Metaverso provengono da tutto il mondo: Corea, Mongolia, Australia, Turchia, Colombia, Italia, Francia, Germania, Inghilterra. Sono "punti di vista", libere interpretazioni sul tema. Spiega Mario Klingemann, uno degli artisti coinvolti: «Essendo cresciuto con le promesse mai mantenute del “Cyberspazio”, rimango scettico riguardo al suo successore, il “Metaverso”. Nonostante il clamore che lo circonda, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che il metaverso rimarrà sempre un concetto sfuggente, un punto lontano all’orizzonte verso il quale ci dirigiamo, ma che non raggiungeremo mai veramente. Ma il fascino di un mondo digitale perfetto è troppo potente per resistere e forse, mentre inseguiamo questa stella guida, potremmo fare alcune scoperte interessanti durante quel viaggio». Gli fa eco PAK, uno dei più affermati artisti di arte digitale: «Il Metaverso è un concetto fino a quando non definiamo insieme gli standard. In un vero Metaverso: nessuno stile, ma tendenze. Nessun proprietario, ma comunità. Nessun regolamento, ma norme. Un vero Metaverso appare come un Internet 2.0 È un pezzo unico. È decentrato. È costruito dai suoi utenti. È bellissimo». Ai visitatori il compito di capire quale significato abbia questo “mattoncino” posto nell’evoluzione umana. La libertà di conoscere e capire un mondo di cui già siamo parte integrante. n
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A Roma, una grande mostra ideata da Emmanuele F.M. Emanuele racconta il futuro attraverso artisti digitali. Per definire l’uomo
La buona musica?
È No Gender
Il fisarmonicista Danilo Di Paolonicola ha pubblicato un disco ispirato dai passi di danze del mondo. Pura Worldmusic! di Beppe Ceccato
No Gender sono due parole che appartengono al lessico comune. Se applicate alla musica acquistano un alto significato: «La musica non ha confini e, dunque, non la si può incanalare in generi. È una forma d’espressione universale, libera». Danilo Di Paolonicola ne è convinto. Bimbo prodigio alla fisarmonica diatonica, laureato al conservatorio di Pescara, ora docente al conservatorio de L’Aquila ha appena pubblicato il suo nuovo lavoro No Gender II (via Interamnia World Music) che arriva dopo il primo “capitolo” uscito nel 2017. «Quello era un disco per fisarmonicisti, piuttosto ostico al grande pubblico, Questo è esattamente il contrario», racconta. Otto brani dove il filo conduttore sono i passi di danza, a testimoniare che le due arti si compenetrano e legano indissolubilmente, nonostante l’ascolto “classico” abbia obbligato a una cesura tra palco e pubblico, dove la musica popolare dei vari Paesi si fonde con il jazz (musica popolare per eccellenza). «Quando compongo non mi metto paletti. Scrivo quello che viene e poi dò colore e ritmo». Ecco, dunque, che una cellula ritmica della pizzica o del tango (Boleo), o del Walzer o anche di una ballata country esplodono in mille
Enologia sartoriale
Cantine Emanuele Angelinetta La moglie del re
Emanuele Angelinetta ha raccolto il testimone della passione per la viticoltura di Gianfranco Miglio, il noto politologo della Lega della prim’ora. Fu infatti l’ex senatore a ridare impeto alla viticoltura sul lago di Como, da sempre alternata alla coltivazione di gelsi e ulivi. Una viticoltura fatta di terrazzamenti, sudore e una meraviglia tutta locale, il Verdese , uva a bacca bianca utilizzata sino agli anni Cinquanta come uva da taglio e senza pretese. Alcuni accorgimenti tecnici in vigna e in cantina hanno permesso di esaltarne i delicati profumi di pera Williams e la salinità; le bottiglie di una decina d’anni si esprimono invece con sorprendenti evoluzioni di liquirizia al naso e una bocca grassa che sopperisce alla scarsa alcolicità. La bottiglia è vestita con un’etichetta del tutto speciale, il bozzetto di un’opera d’arte di Felice Beltramelli, Lamoglie del re . Il risotto al pesce persico può risultare un buon modo per metterla alla prova.
✉ Via Pozzolo, 16 - Domaso (CO)
☎ 3343504713
Podere Còncori
Còncori Bianco
note surfando sul pentagramma con estrema eleganza. Il primo brano, la Pizzica delle Fontanelle (è un quartiere popolare di Pescara dove vivono molti Rom), racconta la “fuitina” d’amore di due giovani. «Le voci narranti, inclusa la disperazione della madre alla notizia della scappatella, è stata registrata in presa diretta da una famiglia Rom che si è prestata alla mia richiesta, bravissimi attori», continua l’artista. Parte con un incedere beethoveniano per finire in una pizzica scatenata.
Payduska, invece, è un ritmo bulgaro chiamato Horo, «una danza che inizia in 7/8 per poi passare agli 11/16». In realtà, ammette Danilo, «ballarla è piuttosto complicato, visti gli improvvisi cambi di tempo».
Seven Steps, invece è un Sirtaki in 7/8, mentre Applejacker è un bluegrass nato tra i monti Appalachi, mix di sonorità irlandesi, scozzesi e inglesi. In quest’avventura ricca di suoni hanno lavorato ben 21 musicisti a partire da Flavio Boltro, grande trombettista. C’è anche Lino Patruno con un bell’assolo di banjo. Chi vuole ascoltare Danilo dal vivo si segni questa data: 14 settembre a Castelfidardo per il Festival della Fisarmonica, nella versione Ethnic Project, il suo collaudato e fantastico quartetto. n
Gabriele Da Prato non ha dubbi: è la composizione silicea e gessosa del terreno, la costante ventilazione di questa parte d’Appennino e l’influenza del fiume Serchio ad averlo condotto verso l’ideale combinazione di Pinot bianco e Chenin blanc che ricorda i vini della Loira, minerali ma con piacevole morbidezza. Un percorso lungo quasi trent’anni che ha qualificato la Garfagnana, area poco conosciuta e blasonata per la produzione di vino. Nata all’inizio come passatempo, ritagliando i periodi di libertà dell’osteria di famiglia, la passione della vigna ha preso il sopravvento e si è trasformata in strumento di riscossa enoica di un’intera area. I due piccoli appezzamenti situati nella parte più alta dell’abitato di Còncori, Selvapiana e Prete, hanno il pregio di esaltare al meglio quelle caratteristiche che fanno del CòncoriBiancouno speciale compagno di viaggio per gli aperitivi di pesce, specie i crostini con burro e alici.
✉ Località Còncori, 1 - Gallicano (LU)
☎ 3396323092
Cantine Abitante
L’Emigrante
Le vite di Filippo Abitante e Giovanna Ciminelli si incrociano in vigna quando decidono di dare inizio alla produzione di etichette lucane alle falde del Pollino. Era il 2012. Su quella stessa terra il nonno di lui otteneva vino informale, da bere in famiglia o con gli amici. Trascorso un decennio, la scelta di non produrre vini a indicazione geografica coincide con l’idea di libertà di scegliere e trasformare le uve che sono adatte a raggiungere il risultato desiderato. Come accade per un emigrante è importante ottenere una nuova vita lontano dalle proprie radici, L’Emigrante porta con sé la propria terra, la annuncia con i profumi e il gusto. Ne è, in qualche modo, portatore di cultura. Nero di Troia in purezza, trascorre almeno 6 mesi in barrique di rovere di primo passaggio per smussare le asperità dei tannini e diventare succo corpulento e austero, rubino intenso, che l’usanza rurale abbina con il panino ripieno di peperoni, cipolle e altre verdure ripassate in padella.
✉ Contrada Fontanelle - Francavilla in Sinni (PZ)
☎ 3200151710
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CONOSCENZA ils
ECONOMIA DELLA
Piccoli produttori e grandi bottiglie – a cura di Riccardo Lagorio
DISCHI
Danilo Di Paolonicola. Sopra, No GenderIIuscito il 21 marzo.
Evasioni, esperienze quotidiane di vita
Fino al 7 maggio ai Musei di San Salvatore in Lauro di Roma si potrà visitare la personale di Julia Breiderhoff. Piccole, grandi storie raccontate sulla tela
di Beppe Ceccato
ARoma, nella Galleria Umberto Mastroianni nei Musei di San Salvatore in Lauro, a due passi da via dei Coronari, fino al 7 maggio si potrà visitare Evasioni, la personale di pittura di Julia Breiderhoff curata da Marco Di Capua. Tedesca di nascita, romana d’adozione, Julia presenta venti opere, tra cui un suo autoritratto, dove il tema conduttore, l’evasione, appunto, si carica di più significati ed esperienze. «Si può evadere in tanti modi, dalla quotidianità, andando in un luogo che ti faccia stare bene, da una vita che non ti realizza più, dalla fama», spiega l’artista. Il mare che si trova in molte opere, rappresenta l’evasione per eccellenza: addirittura viene ritratto in un quadro dentro a un altro quadro, come nel caso della serie sugli stendibiancheria che diventano da semplice oggetto d’uso comune una forma di «straordinaria quotidianità».
Perché proprio il mare?
È il simbolo dell’evasione. Da bambina i miei mi portavano al mare in Francia. Le emozioni che provavo allora le sento ancora oggi. Fissare il mare mi rilassa, il silenzio mi fa sentire bene. E poi mi piace osservare la gente in spiaggia o che gioca tra le onde.
I tuoi quadri sono per lo più di grande formato, c’è un motivo?
Mi piacciono perché prendono una vita propria, li inizi in un modo ma lo spazio ti impone di cambiare, di ripensarli, di creare altro. Sono belli e impegnativi.
Sei nata in Germania, tuo padre è un architetto, sei vissuta in mezzo all’arte...
Sì, infatti ho frequentato il liceo artistico. Poi,
appassionata di teatro e recitazione, sono andata a studiare ad Amburgo. Lì ho avuto la possibilità di iscrivermi a un seminario di recitazione a Roma con un insegnante americano. Ci sono andata e non mi sono più mossa da qui!
E ti sei laureata in fisica! La fisica non è poi così lontana dall’arte. Ho deciso di iscrivermi dopo aver letto Il Tao della fisica (1975) di Fritjof Capra. La Fisica ti obbliga ad andare in profondità nel tuo pensiero, sa essere creativa. Prendi il paradosso del gatto di Schrödinger, dove l’animale può essere vivo e morto contemporaneamente... Il mondo è stato spiegato attraverso le intuizioni di persone che hanno creato e costruito la scienza. C’è voluta e ci vuole ancora una grande creatività per fare ricerca, studiare, scoprire.
La straordinaria quotidianità è uno dei tuoi temi fondamentali. Da cosa attingi?
Dopo la laurea ho iniziato a lavorare come riflessologa, aprendo uno studio. Lo so, sembrano tutte cose slegate tra loro, l’arte, la fisica, la riflessologia. In realtà fanno parte della costruzione logica di un mio percorso. Sono esperienze che mi hanno offerto molti spunti, ho imparato a conoscere l’essere umano. Quella piccola, straordinaria quotidianità sono per me i momenti più veri e intensi da raccontare. Osservo molto le persone, riempio i miei quaderni di appunti che poi trasformo in dipinti.
Quindi, lo stendibiancheria fa parte di questa tua filosofia di vita?
Per me è un simbolo dell’intima quotidianità. Chi non usa uno stendino? Nel quadro dove adagiato sopra lo stendino c’è un abito da sposa e alle spalle un dipinto con il mare, ho voluto raccontare lo scorrere dell’esistenza: cresci, hai tanti progetti, ti innamori, ti sposi, poi la quotidianità ti assorbe, l’amore cambia come la tua vita. Il vestito è nostalgia ma anche consapevolezza che la mutazione è un’evoluzione e non necessariamente in peggio.
In esposizione ci sono anche ritratti di donne famose. Anche lì si tratta di evasione? Avevo iniziato con Marlene Dietrich e Marylin Monroe, giovani donne che sognavano il glamour, la fama. Le dive evadono dalla loro origine verso la divinità. Per questo le ho raffigurate con dietro le bandiere di appartenenza (c’è anche Anna Magnani, con il tricolore come sfondo, ndr). C’è anche un ritratto di Martin Luther King davanti a una bandiera trasparente, in attesa d’essere riempita di colori. Quelli dell’uguaglianza e della fratellanza». n
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A fianco Julia Breiderhoff al lavoro. Sopra il suo autoritratto. La mostra Evasioni chiuderà il prossimo 7 maggio.
Lo stendino, oggetto utilizzato dalla pittrice per rappresentare la quotidianità. Sopra Anna Magnani.
Il lato oscuro del capitalismo
In attesa del finale di Succession scopriamo come la tv racconta oggi i ricchi e i potenti
di Sara Sagrati
I ricchi e potenti esercitano da sempre un grande fascino sugli autori televisivi. Serial di grande successo come Dallas e Dynasty hanno caratterizzato l’immaginario catodico degli anni ‘80. Anche i ricchi piangono, si intitolava una celebre telenovela messicana, definendo involontariamente un fortunato filone che negli anni ha riempito i palinsesti di rivalità, consigli d’amministrazione e amori tormentati. Soap opera di lusso che perpetuavano il cosiddetto American dream: odiavamo il cattivo J.R. ma volevamo essere lui. Oggi quella messa in scena patinata risulta decisamente datata. I ricchi e potenti continuano a essere perversamente affascinanti, a calarci in location da favola, farci sognare vite inarrivabili ma rappresentano il lato oscuro del capitalismo. Una tendenza sottolineata dal financial thriller Diavoli tratto dal romanzo di Guido Maria Brera e prodotto da Sky (due stagioni e una terza in arrivo l’anno prossimo) che abbandona l’idea dell’epopea famigliare e, attraverso la fittizia storia del trader Massimo Ruggero (Alessandro Borghi), ci porta dietro le quinte di fatti realmente accaduti (come la crisi dei
PIIGS) mostrando letteralmente i peccati del sistema finanziario. O come nel bellissimo Scissione (Severance) di Dan Eerickson diretto da Ben Stiller (su Apple Tv+) in cui i dipendenti della Lumon Industries sono sottoposti a una procedura di separazione tra i ricordi della vita lavorativa e quella personale. Un viaggio affascinante e metaforico della spersonalizzazione del lavoro ai tempi della crisi. Nella spietata serie antologica The White Lotus ideata da Mike White per Hbo (in Italia su Sky e Now) ci immergiamo nelle vacanze di lusso di ospiti ultra facoltosi. Alle Hawaii nella prima stagione, a Taormina nella seconda e in Thailandia nella prossima, ricchi vacanzieri e personale locale, chiusi in una bolla dorata di agio e privilegio, danno sfogo a pulsioni e repressioni, sopraffazioni e violenza, dipingendo il ritratto impietoso della nuova impossibile lotta di classe. La tradizione dei ricchi e potenti torna in Succession che segue la famiglia del magnate Logan Roy, rappresentazione di quell’1% che detiene il 45,6% della ricchezza mondiale. Nelle sue tre stagioni Succession, ideata da Jesse Armstrong e prodotta dall’attore Will Ferrell e dal regista Adam McKay (La grande scommessa, Don’t Look Up), ha conquistato cinque Golden Globe, otto Emmy e il pubblico di tutto il mondo, affascinato dai disperati tentativi dei quattro rampolli Roy nel prendere il timone dell’impero mediatico di famiglia. Questa volta non ci sono amori impossibili o outsider con cui immedesimarsi, ma solo l’aridità dei sentimenti di un padre padrone feroce e quattro fratelli coltelli in preda a egoismo e autocommiserazione, impauriti dal prendere posizione e maestri nella contrattazione economica al rialzo. Un ipnotico e sconcertante ritratto di chi detiene il potere della comunicazione ma non sa palare se non a se stesso. Nella quarta e ultima stagione, dal 3 aprile su Sky e Now, i figli ribel-
li Kendall, Siobhan e Roman sembrano finalmente andarsi incontro, gettando però i semi per un finale senza esclusione di colpi. La famiglia Roy imparerà dai propri errori o, come da tradizione gattopardesca cambierà tutto per non cambiare niente? Il mondo della finanza sembra gradire l’impietoso ritratto, tanto che Brian Cox, il monumentale attore scozzese che interpreta il patriarca Logan, ha aperto la borsa di Londra in un corto circuito tra fiction e realtà. Come dice Roy, you make your own reality. n
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Sopra, Brian Cox in Succession Sotto, Patrick Dempsey e Alessandro Borghi in Diavoli. In basso, TheWhiteLotus: Sabrina Impacciatore nella seconda stagione.
SERIE TV
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ECONOMIA DELLA CONOSCENZA il
L’arma della distrazione di massa: il killer della felicità ce lo portiamo in tasca
Antonio Dini Giornalista e scrittore
Nessun altro animale si distrae come l’essere umano, colpa soprattutto del cellulare: uno studio di due ricercatori Usa dimostra che quasi la metà del tempo in ufficio lo passiamo pensando ad altro rispetto al lavoro
Qual è lo sport preferito delle persone? Distrarsi. Alle volte distrarsi anche dalle distrazioni (càpita a quelli che tirano fuori il cellulare mentre guardano la televisione, per esempio). Ci rende più felici? No. Allora perché ci piace tanto distrarci?
È un mistero. Ci hanno lavorato psicologi, antropologi, neuroscienziati, ma una risposta univoca non c’è. Evidentemente si tratta non solo di un vantaggio evolutivo ma anche di una peculiarità della specie umana, perché nessun altro mammifero superiore si distrae tanto quanto ci distraiamo noi. Nessun animale passa le sue giornate pensando a cose che non succedono in quel momento e nel posto dove si trova. Gli esseri umani sì, è una nostra prerogativa. Che sta aumentando rapidamente. In vacanza in una città straniera ma con gli occhi sul telefonino ed è un attimo distrarsi e tornare a casa propria, alle grane di lavoro, ai gruppi whatsapp con gli amici.
Oppure, gli scroll senza fine di Instagram, TikTok e degli altri social: difficile non perderci mezz’ora già la mattina, appena svegli. O l’occhiata che cade sulle notifiche mentre siamo a prendere un caffè con un amico o a cena con una bella signora? Un classico.
Il Garante avrebbe dovuto vietare i telefonini anziché ChatGTP: i danni sono maggiori e le conseguenze ancora più nefaste di quelle dell’intelligenza artificiale chiacchierona.
La realtà, però, è ancora più complicata. Torna di attualità una vecchia ricerca, fatta da due psicologi dell’università di Harvard, Matthew A. Killingsworth e Daniel T. Gilbert nel 2010.
I ricercatori hanno analizzato la distrazione delle persone rispetto al lavoro e ha scoperto che quasi la metà del tempo che passiamo in ufficio lo passiamo pensando ad altro: il 46,9%, per la precisione. «La mente umana – scrivono Killingsworth e Gilbert – è una mente abituata a vagare, e una mente che vaga è
Le vite sono pervase dalla non-presenza: perché ci comportiamo così resta un mistero. E ciò non ci rende certo più felici: al contrario, lo siamo quando siamo più concentrati e presenti a noi stessi
una mente infelice. La nostra capacità di pensare a ciò che non sta accadendo è una conquista cognitiva che ha un costo emotivo molto elevato».
Siamo solo noi quelli che pensano a cose che non stanno succedendo: magari ripensiamo a cose successe, o ci preoccupiamo di cose che devono succedere, o addirittura che non accadranno mai. Però il risultato è sempre lo stesso: la mente vaga e lo fa continuamente, qualsiasi sia l’attività in cui siamo impegnati. Sia che si stia camminando, mangiando, facendo la spesa, guardando la tv. Una delle poche attività in cui non ci distraiamo “quasi” mai è mentre facciamo all’amore, ma conosco persone che evidentemente sono l’eccezione che conferma la regola. Le nostre vite sono pervase dalla non-presenza. È una pratica talmente forte che abbiamo deciso di amplificarla usando anche gli strumenti elettronici: gli smartphone sono degli strumenti di comunicazione e di efficienza straordinari ma li usiamo per la maggior parte come modi per pensare ad altro. E ci rendono infelici, oltre che dipendenti. Infatti, tutto questo si ripercuote sulla nostra capacità di stare bene. Perché quando ci assentiamo da noi stessi e lasciamo vagare la mente siamo meno felici. Diventiamo più felici quando siamo più concentrati e presenti a noi stessi. O meglio: secondo i ricercatori la mente vaga perché non siamo felici. Nel senso che non reggiamo la piccola pressione di essere presenti in un momento che non ci fa stare bene, e allora trasferiamo altrove la nostra coscienza, distraendoci.
Il problema, avrete capito, è che tutto questo non va bene. Secondo i ricercatori, infatti, non è fuggendo dal presente che si trova la felicità, ma al contrario vivendo e interpretando meglio l’attimo in cui siamo. «Molte tradizioni filosofiche e religiose – scrivono Killingsworth e Gilbert – insegnano che la felicità si trova vivendo nel momento, e i praticanti sono addestrati a resistere al vagabondaggio della mente e a “essere qui ora”. Queste tradizioni suggeriscono che una mente che vaga è una mente infelice».
L’esercizio di chiudere i ponti con le distrazioni e provare a vivere da adulti, consapevolmente e con intenzione i momenti della nostra giornata, sia nel privato che sul lavoro, sono la chiave per non lasciar vagare troppo la nostra mente. E, alla fine, essere non solo più gradevoli per chi vive assieme a noi e più efficaci sul lavoro, ma anche un po’ più felici. È così difficile?
Sì, soprattutto se tenete gli occhi incollati sul telefonino tutto il tempo: la vera arma di distrazione di massa che sta facendo strage della nostra felicità... n
LEISURE pagina 47 PENSIERO LATERALE VENERDÌ 07 APRILE 2023