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Uno chef sul mare Adriatico, il sogno di un grande ristorante italiano
from Swed in Mag 06/2023
by Swedlinmag
Intervista allo chef Nikita Sergeev
Lo chef è approdato nelle Marche e qui ha aperto il suo ristorante, ma il suo amore per l’Italia parte da più lontano e lo ha portato a studiare, viaggiare e conoscere il nostro Paese, prima di fermarsi. L’Arcade, aperto nel 2013, è il suo ristorante, dove usa prodotti locali intrepretandoli attraverso la sua sensibilità in menù sempre aggiornati in rispetto alla stagionalità. La chiacchierata che Nikita ha fatto con noi di Swed in Mag porta a galla riflessioni sulla professione di ristoratore, la distanza che esiste tra sogno e realtà e come avvicinare questi due punti con una coraggiosa pianificazione.
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Buongiorno Nikita, i lettori di Swed in Mag non è detto che ti conoscano perché il nostro magazine è distribuito in fiere del settore in tutta Italia. Sei un giovane chef di origine russa che propone piatti di mare sulla costa Adriatica, ma più che ripercorrere il tuo passato professionale e personale, ti chiedo di dirci cos’è l’Arcade oggi e cosa lo caratterizza.
Per raccontare il ristorante in poche parole chiave, quelle giuste, userei innanzitutto buono: il cibo deve esserlo e dobbiamo concentrarci su questo. Se il cliente vuole imparare qualcosa – anche se è un verbo poco adatto perché al ristorante non si viene per imparare – e ama conoscere le nostre creazioni, io e la mia squadra ne siamo molto felici, quindi la seconda parola che scelgo è creatività. Adesso abbiamo il sogno di essere un grande ristorante italiano, quindi l’ultima parola è eleganza: partendo dal nostro privato, quando una domenica a pranzo ospitiamo qualcuno, cerchiamo di apparecchiare nel modo più curato, usando la tovaglia più bella, comprando dei fiori di stagione e così via. Questo gusto, unito al desiderio di offrire un’esperienza bella ai nostri ospiti, è ciò che vogliamo ci caratterizzi: il desiderio di lasciare un buon ricordo. Riassumendo, quindi, L’Arcade è bontà, creatività ed eleganza.
Al tuo ristorante è collegato anche il bistrot Banco 12, che occupa uno degli spazi del mercato coperto cittadino. Secondo te, conviene investire sempre nella qualità o c’è un limite a questo tipo di ricerca, magari legato al territorio che ti ospita?
L’apertura è stata nel giugno del 2019, prima della pandemia, e stiamo vivendo delle fasi, compresa quella dei lockdown che, aldilà della tragedia umana, ha portato a galla le falle della ristorazione. Abbiamo visto tanti colleghi che si sono buttati con gran fiducia nel servizio di asporto, pensando che anche dopo la pandemia sarebbe potuto continuare a essere un’importante fonte d’introito, mentre noi siamo stati sempre scettici a riguardo: la ristorazione non può essere raccontata in un pacchetto, per quanto ben confezionato, ma è un’esperienza che va vissuta nel luogo adeguato. Quello è solo un servizio aggiuntivo, almeno per noi. Al Banco 12 noi copriamo l’intera giornata, dalla colazione alla sera, con una grande cantina di vini e con l’asporto di alcuni piatti. Con il tempo stiamo iniziando a capire la richiesta del territorio: il locale si trova al centro, in una zona dove le persone possono muoversi a piedi, vengono per fare la spesa e noi siamo stati un richiamo per far frequentare più assiduamente il mercato coperto anche a chi magari prima non lo faceva. Venuti da noi, hanno poi acquistato nelle bancarelle e di conseguenza i contadini e gli altri banconisti hanno investito, mettendo più cura nei prodotti offerti, con una maggiore rifinitura e un servizio migliore.
Abbiamo visto cosa funzionava meglio e cosa peggio e abbiamo trovato una linea da seguire, adatta al luogo. Quest’anno abbiamo aperto da un paio di settimane (il 4 maggio è il giorno dell’intervista, n.d.r.) e abbiamo deciso che sia arrivato il momento di attuare la sostenibilità, quella cosa di cui si parla realmente da almeno 30 anni, oggi molto di moda, ma da pochi compresa: la sostenibilità non è limitarsi a fare la raccolta differenziata degli scarti o l’istallazione di pannelli solari, riguarda tutti gli aspetti dell’azienda. La sostenibilità riguarda anche il tempo di lavoro e come gestirlo per i dipendenti: nella ristorazione lavoriamo per tante ore e dobbiamo dare loro la possibilità di avere degli orari concentrati, che permettano di vivere degli spazi di tempo libero. Cosa vuol dire questo? Durante la settimana conosciamo la quantità delle persone che vengono a trovarci, che si spalmano sull’intero orario di apertura, così se concentriamo i servizi, i clienti si raggruppano e le ore lavorate dai dipendenti saranno minori, più intense, ma riusciremo così a poter dare più mezze giornate libere. Un’altra scelta è stata quella di rinunciare al menù alla carta, preferendo un menù degustazione non descrittivo perché noi cambiamo l’offerta in base a quello che offre il mercato, che è sì stagionale, ma non sempre prevedibile nel dettaglio: un prodotto può non essere della qualità giusta, del prezzo giusto o della pezzatura giusta e il nostro menù, cambiato ogni tre settimane circa, deve poter essere flessibile in base a questo. Il risultato è un’offerta fresca e di qualità per il cliente finale, cosa che è già apprezzata ma che credo con il tempo sarà compresa ancora di più.
Un po’ come la Swedlinghaus, che si occupa di un mondo tecnico e si rivolge anche al consumatore finale, sviluppando tante competenze al suo interno, anche tu sei dovuto andare oltre le tue competenze in cucina per diventare un imprenditore che gestisce un’azienda e deve affrontare il rapporto con il cliente e la comunicazione con esso. Come sei riuscito a trovare un equilibrio tra le figure dello chef, dell’imprenditore e del comunicatore?
Sono tutti ruoli che riferiscono a me e di conseguenza da me partono per quanto riguarda le idee, ma per ogni settore ho dei referenti: io gestisco due aziende, all’Arcade abbiamo dai 15 ai 17 dipendenti e al Banco ne sono 5 di media. Ogni dipendente vuole il tuo tempo e gli va riconosciuto perché non sentirsi ascoltato crea situazioni che da niente si fanno enormi solo per una mancata comunicazione, per questo è importante offrire occasioni di dialogo. Al Banco 12 c’è Francesco che gestisce la brigata, come all’Arcade ho il mio sous chef che si occupa del personale, in sala ho il maître ma io sono lì ogni giorno, conosco le problematiche e le dinamiche e i miei responsabili si possono confrontare sempre con me per risolverle, anche se loro gestiscono direttamente ogni rapporto. Questo riguarda i dipendenti, la stessa cosa vale per i fornitori: le mie persone di riferimento si occupano degli acquisti e hanno carta bianca per l’approvvigionamento. Per questo credo sia importante saper incaricare persone capaci e delegare a loro, senza voler per forza accentrare ogni decisione perché sarebbe impossibile gestire tutto al meglio. Per la comunicazione vale lo stesso discorso: sino a un certo punto puoi gestirli da solo i social, canale importantissimo oggi, ma esistono scuole e lauree a riguardo, vuole dire che quello del comunicatore digitale è un vero lavoro, con delle competenze che non si improvvisano. A un certo punto bisogna scegliere un ufficio stampa o comunque una figura che, rispetto alle dimensioni della mia azienda, sappia gestire la mia immagine e sa farci arrivare a più persone possibili perché siamo un’azienda che si occupa di vendita e quindi abbiamo bisogno di essere noti nel mercato.
Un consiglio per uno chef che sta per aprire o vuole rivedere l’assetto del suo ristorante: cosa non deve mancare in un progetto di ristorazione e cosa bisognerebbe evitare?
Gli spazi devono essere giusti o rapportati a quello che vuoi fare: ad esempio in una cucina di 15m2 non puoi fare certe cose perché non sei comodo, non hai la possibilità di avere il personale, di mettere delle attrezzature che non troverebbero spazio o non hai sufficienti KW di energia. Sono tante le cose da valutare prima di attivarsi e inaugurare un progetto di ristorazione: trovato il luogo, bisogna ragionare intorno a esso, modellando il nostro sogno alla luce dei fatti. Nella vita esiste una distanza tra ciò che immaginiamo e gli elementi che abbiamo a disposizione che, se considerata, ci permette di rendere le nostre aspirazioni reali, altrimenti ignorata porta al fallimento.
Altro aspetto, che io raccomando sempre di tenere in conto, è che o hai sufficiente personale ben preparato o hai le macchine giuste, che ti permettono di avere qualche dipendente in meno. Le attrezzature professionali ti danno una grande mano perché un conto è cuocere in una normale casseruola, un altro è cuocere in una grande brasiera con le temperature controllate, che prepara un prodotto per tante persone, dove il cibo non si appiccica: il risultato sarà differente. L’attrezzatura richiede un investimento iniziale che pesa sul portafogli, mentre il personale sembra costare meno, ma poi è una spesa costante, per questo ci vuole la giusta proporzione nelle scelte per capire dove è meglio investire.
Buongiorno Romina, per prima cosa ti chiedo di raccontarmi il tuo ruolo e la tua mansione all’interno della Swedlinghaus.

Ho questo ruolo da un paio d’anni, ma in ufficio sono l’impiegata con l’anzianità più alta e difatti sono in azienda da 22 anni. Sono passata dall’essere la ragioniera unica al ruolo attuale quando l’azienda si è maggiormente strutturata, cercando figure più specifiche per le varie mansioni. In passato, quindi, ho ricoperto diversi ruoli, tranne quello dell’ufficio estero, mentre ora mi occupo degli acquisti: insieme all’ingegnere gestionale Francesco Grassi seguo l’aspetto dei costi di produzione e dei listini prezzo.
Dal tuo punto di vista, ci puoi fare un quadro di come è cambiato il mercato delle materie prime dopo l’arrivo della pandemia da COVID?
Alla fine di quel periodo c’è stata una corsa all’approvvigionamento delle materie prime: l’aumento dei prezzi è arrivato in un secondo momento, il primo problema è stato reperire le materie prime per il picco di domanda che ha investito il mercato. Di conseguenza i prezzi sono cresciuti perché chi aveva un prodotto ha potuto decidere il prezzo, oltre che era diventato difficile rispondere alla richiesta, ma non so dirti bene in che percentuale queste due componenti hanno contribuito più dell’altra. Sicuramente qualcuno nel mercato ha avuto la necessità di recuperare le perdite perché i costi fissi erano stati costanti durante la pandemia, continuando a incidere sulle aziende. Parlando dell’alluminio e l’acciaio, che insieme compongono il 90% delle nostre affettatrici, il prezzo è quasi raddoppiato. A questo si è aggiunto l’aumento dell’energia, che ad aziende come le fonderie, imprese energivore, ha creato evidenti problemi, poi ricaduti anche su di noi. Adesso sta diminuendo il costo di un po’ di tutto, ma in modo molto lento rispetto a come è salito.
Abbiamo un nuovo gestionale che si occupa di tutti i costi di produzione. L’abbiamo adottato per capire come il cambiamento del costo delle materie prime incidesse sul prodotto finito: si parte con la distinta base di un prodotto, collegata alla parte della ricambistica, per avere un quadro completo dei costi. Anche se l’avevamo adottato prima, siamo partiti a lavorare con questo gestionale subito dopo i lockdown ed è stato un bene averlo in azienda perché eravamo già pronti. Adesso alcuni costi stanno diminuendo, ma in modo molto lento rispetto a come sono saliti.
Come può un’azienda gestire un tale imprevisto, per evitare di rimetterci e allo stesso tempo tenendo fidelizzati i clienti?
Noi ce la siamo cavata bene sia perché, come detto prima, l’azienda era già entrata nella riorganizzazione perché avevamo deciso d’investire innalzando lo stoccaggio di materie prime in magazzino. È stato un costo iniziale, che poi ci ha permesso di evitare ritardi.
Oltre alla gestione dei costi, c’è stata la penuria di materie prime, come abbiamo detto; si può gestire una situazione del genere senza scontentare i clienti?
I due problemi da risolvere erano il reperimento della materia prima e l’innalzamento dei costi: il primo ci ha toccato marginalmente proprio per l’investimento nel magazzino, inoltre la mia figura si occupa a tempo pieno del monitoraggio dei costi e questo ha permesso una pressione costante sui nostri fornitori, che ha portato risultati. Una volta portato il magazzino al livello auspicato, poi abbiamo continuato a lavorare normalmente. L’aspetto importante è acquistare con criterio perché chi non l’ha fatto, oggi ha qualche difficoltà in più, arrivando anche a svendere il proprio prodotto. Per quanto riguarda l’approvvigionamento è sempre più difficile fare una previsione, come abbiamo visto anche nei primi quattro mesi del 2023: le statistiche degli anni precedenti non hanno riscontro con gli ordini ricevuti, che ora presentano picchi imprevedibili.
Oggi non è facile fare certe operazioni perché non esiste strumento matematico sufficientemente sofisticato per prevedere con un buon margine il comportamento del mercato, cosa che 15 anni fa era possibile fare, quando il ritmo degli ordini era più costante. Un’altra cosa che stiamo facendo, sempre per seguire questa nuova tendenza del mercato, è rendere parte dei nostri componenti base compatibili per più linee di prodotto, ottimizzando la produzione. Si studiano tante soluzioni di fronte a scenari che ormai sono stravolti rispetto al passato: anche il commerciale ci aiuta, sapendo dove spingere e cosa tenere indietro rispetto al cliente. Fare squadra e la collaborazione tra i comparti dell’azienda è sicuramente la carta vincente per superare eventi inaspettati come la pandemia o cambiamenti di passo come gli attuali andamenti del mercato.
Immagino che davanti allo scenario prima descritto l’azienda non abbia aumentato i listini prezzo di conseguenza. Come si fa ad assorbire un tale stravolgimento per non perdere la fiducia dei clienti?
Ovviamente il recupero non è mai immediato: lo scorso anno l’azienda ha rinunciato a manifestazioni fieristiche per investire quelle risorse ed evitare l’aumento dei prezzi del listino. Nel nostro caso l’azienda fa sempre da cuscinetto davanti agli aumenti che subisce, finendo per toccare i prezzi per il cliente solo quando è necessario farlo. Anche l’aumento non è mai equivalente a quello subito come, ad esempio, nel caso delle materie prime, perché sul prezzo ci sono diversi fattori che incidono e si calcola sempre con le giuste proporzioni. Oltretutto il prezzo si fa anche grazie al confronto con la concorrenza, che aiuta a capire dove posizionarci, senza per forza essere costretti a conformarci alle scelte degli altri. Tutto questo porta alla creazione del prezzo per il cliente, un processo sicuramente meditato e che tiene conto delle nuove tendenze, che hanno visto una polarizzazione della richiesta: top di gamma e linee base hanno avuto la meglio rispetto al prodotto medio. Anche fidelizzare è un’operazione rara perché molti acquistano ogni volta da chi fa il prezzo migliore; solo chi ha un comparto tecnico all’interno dell’azienda sceglie la qualità a prescindere, ma questa è una tendenza diffusa nel mercato di oggi in senso trasversale.