A quatre mains et plus

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a cura di / sous la direction de Giuseppe Lotti Khadija Kabbaj Ilaria Serpente

A quatre mains et plus Design per la ceramica della regione di Tanger-Tétouan in Marocco Design et poterie dans la région de Tanger-Tétouan au Maroc

Edizioni ETS


Paths, tracks of explorations, research paths, sometimes tortuous, often crossed, constructed step by step. Knowledge, diversity of knowledge built over time, tacit and explicit, cultural landscapes in the world. Projects, experiments for a future that moves from relationship with the places and interpreted traditions. The series explores architecture and design, tangible and intangible culture in places near and far, on objects and ideas, on knowledge and beliefs. Lands, knowledge, culturally, socially and environmentally sustainable innovation, scenarios of present and future challenges. Sentiers, pistes d’exploration, parcours de recherche, parfois tortueux, souvent entrecroisées, explorés pas après pas. Savoirs, diversités des connaissances façonnées dans le temps, tacites et explicites, paysages culturels du monde. Projets, expérimentations pour un futur bâti sur la spécificité des lieux et l’interprétation des traditions. Cette collection est une enquête sur l’architecture et le design, les cultures matérielles et immatérielles, les lieux proches et lointains, les objets et les idées, les connaissances et les croyances. Territoires, connaissances, innovations soutenables au niveau des cultures, des sociétés et de l’environnement, scénarios des défis présents et futurs. Sentieri, tracce di esplorazioni, percorsi di ricerca, talvolta tortuosi, spesso incrociati, costruiti passo dopo passo. Saperi, diversità di conoscenze costruite nel tempo, tacite ed esplicite, paesaggi culturali del mondo. Progetti, esperimenti per un futuro che muove dal rapporto con luoghi e con tradizioni interpretate. La collana indaga su architettura e design, su culture materiali e immateriali, su luoghi vicini e lontani, su oggetti e su idee, su saperi e credenze. Territori, conoscenze, innovazioni culturalmente, socialmente ed ambientalmente sostenibili, scenari delle sfide presenti e future.

Cover photograph by – photo de couverture – foto copertina: Flavia Veronesi, Stefano Visconti

Sentieri Saperi Progetti edit by - sous la direction de - curata da

Giuseppe Lotti - Saverio Mecca




«Grazie allo straniero siamo portati a chiederci, forse per la prima volta, chi siamo, che cosa vogliamo, da dove veniamo. E per effetto di questa domanda siamo portati a trasformarci». «De par l’étranger, nous sommes amenés à nous demander, peut-être pour la première fois, ce que nous voulons et d’où nous venons. Et suite à cette question, nous sommes amenés à nous tranformer». Barbara Spinelli, 2005



Design per la ceramica della regione di Tanger-Tétouan in Marocco Design et poterie dans la région de Tanger-Tétouan au Maroc

A quatre mains et plus

a cura di/sous la direction de

Giuseppe Lotti Khadija Kabbaj Ilaria Serpente

Edizioni ETS


Il libro nasce all’interno del Progetto Integrato “Sviluppo dei saperi artigianali tradizionali e integrazione dei MinisterodelloSviluppoEconomico sistemi produttivi in Marocco e Italia”, finanziato dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica Programma di Sostegno alla Cooperazione Regionale - APQ Mediterraneo, Linea 2.1 Marocco, coordinato dalla Regione Sardegna e promosso dal Ministero degli Affari Esteri e Ministero degli AffariE steri Ministero dello Sviluppo Economico. Le livre s’inscrit dans le cadre du Projet Intégré “ Développement des savoirs artisanaux traditionnels et intégration des systèmes productifs au Maroc et en Italie”, financé par le Programme de Soutien à la Coopération Régionale - APQ Méditerranée, Ligne 2.1 Maroc, coordonné par la Région Sardaigne et soutenu par le Ministero degli Affari Esteri et le Ministero dello Sviluppo Economico. Coordinamento sottoprogetto Coordination du projet en Toscane Regione Toscana - Direzione Generale Competitività del Sistema Regionale e Sviluppo delle Competenze Maria Giovanna Tiana / Internazionalizzazione e Promozione Economica Sviluppo Toscana S.p.A. Gaelle Barré / Progetti Europei ed Internazionali

Con la collaborazione di Avec la collaboration de Università degli Studi di Firenze / Facoltà di Architettura / Corso di Laurea in Disegno Industriale e Magistrale in Design Institut National des Beaux Arts de Tétouan

Hanno partecipato al Workshop sulla ceramica, dal 18 al 28 luglio 2010, nella Regione di Tanger-Tétouan in Marocco: Les participants au Workshop sur la poterie du 18 au 28 juillet 2010, en Région Tanger-Tétouan au Maroc, sont décrits ci-dessous: Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze con / avec Institut National des Beaux Arts de Tanger-Tétouan Association Assaida Alhorra di M’diq – Tétouan ADEO - Association pour le Développement de la Région de Oued Laou Sviluppo Toscana S.p.A. Coordinatori / Coordinateurs: Khadija Kabbaj / Giuseppe Lotti / Ilaria Serpente Studenti / Etudiants: Khalid Bastrioui, Donata Mariasole Betti, Tarik Farsi, Youssef Messoudi, Ghizlan Mourabit, Serena Petrella, Elena Salusti, Abdeljalil Souli. Grazie agli studenti del corso di Design per la Sostenibilità del Corso di Laurea Magistrale in Design della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Merci aux les étudiants du cours de “Design per la Sostenibilità” du Cours de Laurea Magistrale en Design de la Faculté d’Architecture de l’Università des Etudes de Florence. Martina Bailoni, Sonia Belloni, Donata Mariasole Betti, Alessia Brischetto, Marcella Calabrese, Cristina Cani, Chiara Cugusi, Sofia D’Amico, Grazia De Carlo, Daniele De Francesco, Giovanni Fabbri, Federica Francini, Matteo Gennaioli, Vanessa Graziano, Stefania Guerri, Hamid Reza Hazarkheil, Matteo Iori, Valentina Mazzanti, Luca Occhialini, Serena Petrella, Laura Pierleoni, Martina Roghi, Elena Salusti, Cristina Tambellini, Alessandra Taurisano. Grazie a Ilaria Bedeschi che, con grande impegno, in una prima fase, ha lavorato al progetto, poi, giustamente dedicandosi ad altro. Benvenuta Virginia. Grazie anche a Fulvia Bracciali. Grazie infine al Centro Sperimentale del Mobile e dell’Arredamento. Merci à Ilaria Bedeschi qui dans un premier temps et avec un grand effort, a travaillé au project, pour, par la suite, se dédier à autre chose. Bienvenue à Virginia. Merci aussi à Fulvia Bracciali. Merci, enfin, à Centro Sperimentale del Mobile e dell’Arredamento. Referenze fotografiche / Photographies Flavia Veronesi e Stefano Visconti, www.itacafreelance.it Alice Cappelli pp. 78, 80, 81 Filippo Agnoletti pp. 89,91,92 Matteo Giannerini p. 85 Christian Ullmann p. 86

© Copyright 2011 www.edizioniets.com

Progetto grafico Susanna Cerri EDIZIONI ETS Piazza Carrara 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione: PDE ISBN 978-884672936-1

Traduzioni / Traduction Interpreti di Conferenza, Firenze.

Per Fatima e le altre / Pour Fatima et les autres


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Progetti mediterranei

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Projets Méditerranéens

La Regione Toscana ha, nel tempo, sviluppato progetti rivolti ai paesi del Sud del Mediterraneo. Molteplici le direzioni di intervento: da quelle più proprie della cooperazione decentrata (sanità, educazione, parità, aiuti allo sviluppo) a quelle finalizzate a verificare le possibili sinergie tra sistemi produttivi. Relativamente a quest’ultime e, in particolare, alle tematiche dell’abitare, la Regione ha coordinato il progetto Interreg IIIB MEDOC EUROMEDSYS che, tra gli altri risultati, ha portato alla realizzazione di scambi progettisti-imprese tra i paesi coinvolti (Italia, Francia, Spagna, Tunisia, Algeria e Marocco) che si sono concretizzati nella realizzazione di prototipi e, in alcuni casi, di prodotti oggi in catalogo. In occasione del progetto qui presentato, Sviluppo dei Saperi artigianali tradizionali e Integrazione dei sistemi produttivi in Italia e Marocco, la Regione ha agito, attraverso il coordinamento del suo ente attuatore, Sviluppo Toscana, nel nord del Marocco, regione di Tanger-Tétouan lavorando con donne artigiane che operano sulla ceramica nella realtà rurale di Ifrane Alì ed urbana di M’diq. Da un punto di vista strettamente scientifico l’attività è stata condotta dall’Università di Firenze – Facoltà di Architettura – Corso di Laurea Magistrale in Design con la collaborazione locale dell’Institut National des Beaux Arts di Tétouan. I risultati concreti del progetto emergono con evidenza dalle pagine della pubblicazione e ci parlano di tecniche tradizionali e calibrate innovazioni, di colori e forme che si scambiano, arricchendosi, di “culture” materiali ed immateriali (dalla scrittura alla cucina) che realizzano incroci talvolta impensabili. Un confronto tra alterità che porta a riflettere sulla propria identità che, inevitabilmente, ne esce in parte trasformata. Al di là dei prodotti delle artigiane marocchine che ci auguriamo possano trovare la strada del mercato contribuendo a migliorare le condizioni di vita di chi li ha realizzati, resta l’idea di un modello di scambio e collaborazione fruttuosa tra regioni e paesi che gravitano sul Mediterraneo. Un mare troppo spesso alla ribalta per dolorosi fatti di cronaca, e che, invece, come confine strategico, sempre più appare come luogo in cui, più da vicino, si gioca la sfida di una società – nei fatti – plurale.

Gianfranco Simoncini

Assessore Attività Produttive, Lavoro e Formazione Regione Toscana Assesseur Economie, Travail et Formation, Région Toscane

La Région Toscane a depuis longtemps développé des projets s’adressant aux pays du sud de la Méditerranée, et ce dans un grand nombre de domaines: de la coopération décentralisée (santé, éducation, parité hommes-femmes, aides au développement) aux interventions visant à étabilir des passerelles entre différents systèmes de production. En ce qui concerne ces dernières et notamment sur les thèmes de l’habitat, la Région a coordonné le projet Interreg IIIB MEDOC EUROMEDSYS qui, entre autres résultats, a conduit à la réalisation d’échanges concepteurs/entreprises entre les pays concernés (Italie, France, Espagne, Tunisie, Algérie et Maroc) qui se sont concrétisés dans la réalisation de prototypes et, dans certains cas, de produits présents aujourd’hui dans les catalogues. Dans le cas du projet présenté ici Développement des Savoir-faire artisanaux traditionnels et Intégration des systèmes productifs en Italie et au Maroc, la Région a œuvré à travers la coordination de son agence d’exécution, Sviluppo Toscana, dans le nord du Maroc, la région de Tanger-Tétouan, en travaillant avec des femmes artisanes travaillant la poterie dans les zones rurales de Ifrane Alì et dans la ville de M’diq. Du point de vue strictement scientifique l’activité a été conduite par l’Université de Florence – Faculté d’Architecture – dans le cadre du cours de Laurea Magistrale en Design, avec la collaboration locale de l’Institut National des Beaux arts de Tétouan. Les résultats concrets du projet ressortent clairement des pages de l’ouvrage et nous parlent de techniques traditionnelles et d’innovations calibrées, de couleurs et de formes qui s’échangent, en s’enrichissant, de «cultures» matérielles et immatérielles (de l’écriture à la cuisine) qui réalisent parfois d’étonnants croisements. Une confrontation entre altérités qui amène à réfléchir sur sa propre identité qui inévitablement en ressort en partie transformée. A part les produits des artisanes marocaines qui pourront nous le souhaitons être écoulées sur le marché, contribuant par là à améliorer les conditions de vie de celles qui les ont réalisés, il reste l’idée d’un modèle d’échange et de collaboration fructueuse entre régions et pays qui bordent la Méditerranée. Une mer trop souvent sur le devant de la scène pour des faits divers douloureux, de plus en plus un lieu où, en y regardant de plus près, se joue le destin d’une société, dans les faits, plurielle.


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Marocco e Italia: sviluppo dei saperi artigianali ed integrazione dei sistemi produttivi Maroc et Italie: développement des savoir-faire artisanaux et intégration des systèmes productifs

Marco Sechi

Regione Autonoma della Sardegna Direzione Generale della Presidenza Servizio Affari Comunitari e Internazionali Région Autonome de la Sardaigne Direction Generale de la Présidence Service Affaires Communitaires et Internationales


Le projet intégré Développement des savoir-faire artisanaux traditionnels et intégration des systèmes productifs au Maroc et en Italie naît dans le cadre du Programme d’appui à la Coopération Régionale APQ Pays de la rive sud de la Méditerranée. Les trois objectifs généraux pour ce projet sont: 1. soutenir le système régional italien afin de profiter de ses meilleures compétences et capacités afin que le système Italia accroisse ses compétitivités à travers le renforcement du partenariat entre les régions italiennes, et avec les autorités centrales et territoriales des deux zones de référence en vue de la promotion d’une collaboration de longue durée ainsi qu’à travers davantage d’animation et d’implication des sujets techniques actifs sur les territoires régionaux; 2. déclencher un processus de développement socio-économique stable et durable à travers un processus de sauvegarde des spécificités culturelles, techniques et exécutives des savoir-faire artisanaux traditionnels; 3. promouvoir l’intégration économique entre des zones spécifiques de l’Italie et du Maroc et le renforcement des rapports de coopération à travers des actions visant à relier les systèmes productifs respectifs et à soutenir l’intégration des marchés italo-marocains au sein des chaînes de valeur et des processus d’internationalisation euro-méditerranéens. Plus précisément le projet se compose de deux sous-projets qui prévoient respectivement des interventions: - visant à sauvegarder et à valoriser les savoir-faire artisanaux traditionnels en en adaptant les caractéristiques aux demandes des marchés internationaux ; - de promotion de la coopération économique afin de favoriser la communication directe entre les systèmes productifs des deux rives et de repérer les possibilités d’intégration et de collaboration dans le cadre des chaînes mondiales de la valeur euro-méditerranéenne. Le projet part de la recherche de problématiques communes et de caractéristiques spécifiques pour chaque réalité territoriale concernée. Le secteur de l’artisanat typique et traditionnel au Maroc revêt un rôle de grande importance dans le développement économique du Pays en termes de contribution au Produit Intérieur Brut, d’emploi, de devises étrangères et de consommation intérieure. La création d’une zone de libre échange entre le Maroc et l’Europe représentera une ultérieure opportunité de développer ces marchés dans un rapport direct et non plus par l’intermédiaire des flux touristiques. Toutefois les possibilités de développement économique du secteur sont limitées par la structure de l’entreprise, parfois peu organisée, ou bien par la limiteé capacité d’innover au niveau du produit ou du processus. A cela s’ajoute la perte des connaissances et des compétences nécessaires au maintien de normes qualitatives élevées, qui a provoqué progressivement une difficulté croissante de répondre aux demandes d’un marché européen et international de plus en plus exigeant en termes de

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Il progetto integrato Sviluppo dei saperi artigianali tradizionali ed integrazione dei sistemi produttivi in Marocco e Italia nasce nell’ambito del Programma di sostegno alla Cooperazione Regionale APQ Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Tre gli obiettivi generali del progetto: 1. sostenere il sistema regionale italiano per mettere a frutto le sue migliori competenze e capacità affinché il sistema Italia aumenti le proprie competitività attraverso: il rafforzamento del partenariato tra le regioni italiane e con le autorità centrali e territoriali delle due aree di riferimento in vista della promozione di una collaborazione di lungo periodo; la maggiore animazione ed il maggior coinvolgimento dei soggetti tecnici attivi sui territori regionali; 2. attivare un processo di sviluppo socio-economico stabile e duraturo attraverso un processo di salvaguardia delle specificità culturali, tecniche ed esecutive dei saperi artigianali tradizionali; 3. promuovere l’integrazione economica fra specifiche aree dell’Italia e del Marocco ed il rafforzamento dei rapporti di cooperazione attraverso azioni mirate al collegamento fra i rispettivi sistemi produttivi ed al supporto dell’integrazione dei mercati italo-marocchini all’interno delle catene di valore e dei processi di internazionalizzazione euromediterranei. In dettaglio il progetto è stato articolato in due sub-progetti, che prevedono interventi: - che mirano a recuperare e valorizzare i saperi artigianali tradizionali, adeguandone le caratteristiche a quelle richieste dai mercati internazionali; - di promozione della cooperazione economica che mirano a favorire la comunicazione diretta fra i sistemi produttivi delle due sponde e ad individuare le possibilità di integrazione e collaborazione nell’ambito delle catene globali del valore euromediterranee. Alla base del progetto l’individuazione di problematiche comuni e di caratteristiche specifiche per ciascuna realtà territoriale coinvolta. Il settore dell’artigianato tipico e tradizionale in Marocco riveste un ruolo di grande importanza nello sviluppo economico del Paese in termini di contributo al Prodotto Interno Lordo, di occupazione, di valuta estera e di consumo interno. La creazione di una zona di libero scambio tra il Marocco e l’Europa costituirà un’ulteriore opportunità per sviluppare questi mercati in un rapporto diretto e non più mediato dai flussi turistici. Tuttavia le possibilità di sviluppo economico del settore sono limitate dall’assetto aziendale talvolta poco organizzato, o dalla non elevata capacità di innovazione di prodotto e di processo. A ciò si aggiunge la perdita delle conoscenze e competenze necessarie al mantenimento di standard qualitativi alti, che ha determinato progressivamente una crescente difficoltà di rispondere alle richieste di un mercato europeo ed internazionale sempre più esigente in termini di prodotto e di design. In tal senso è riscontrabile una difficoltà locale nell’affrontare con metodologie e mezzi adeguati il


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rapporto tra tradizione e innovazione nella produzione di oggetti legati alle tecniche artigianali locali. La difficoltà nel proporre innovazione formale rende problematica l’individuazione e la diversificazione del mercato di riferimento. Si riscontra inoltre una mancanza di rapporti con realtà produttive maggiormente strutturate di altri paesi con le quali poter innescare un ciclo produttivo/commerciale “virtuoso” e favorevole alla creazione di valore aggiunto competitivo per entrambe. Da considerare inoltre la difficoltà a comprendere le dinamiche e le evoluzioni di un mercato che non sia prettamente locale. Come riconosciuto da accreditati studi internazionali sul settore, inoltre, è necessario considerare la forte consistenza dell’economia informale in Marocco, in particolare nel settore dell’artigianato tradizionale: questa realtà è rilevante sia sul piano economico che occupazionale, contribuendo per il 24% alla formazione del PIL nazionale e svolgendo un ruolo sociale significativo nella formazione del reddito e nel miglioramento delle condizioni di vita di ampie fasce di popolazione. Peraltro, anche in Italia, la grande tradizione artigianale che ha contraddistinto alcune aree di produzione regionale risente dell’analoga perdita di conoscenze e competenze che caratterizza, anche se in maniera differente, il mercato marocchino. La mancanza di un’adeguata politica di salvaguardia dei settori dell’artigianato tradizionale non ha portato all’elaborazione di soddisfacenti sistemi di custodia e valorizzazione di questi saperi, causando in alcuni casi un’importante perdita di valore aggiunto nei territori. Per raggiungere l’obiettivo di un maggior collegamento dei produttori marocchini ed italiani e valorizzare la filiera complessa italo-marocchina nell’ambito delle catene globali del valore e dei processi di internazionalizzazione “euromediterranei”, al fine di favorire l’accesso ai mercati potenziali, è cruciale realizzare un processo di “riqualificazione” delle imprese e dei prodotti marocchini che passi anche attraverso interventi sui sistemi di lavorazione e sulle condizioni economiche e sociali in cui si svolgono queste lavorazioni. Esiste, infatti, una richiesta di supporto istituzionale, in particolare da parte delle PMI che hanno minore facilità di accesso agli strumenti di aiuto del governo centrale, per favorire più stabili rapporti di cooperazione fra i sistemi economici italiani e marocchini. L’obiettivo del collegamento tra le imprese marocchine e gli altri mercati non deve dunque essere visto come “peculiare” di quel Paese. Dall’integrazione dei mercati deriveranno benefici reciproci e concreti, che rispondono proprio al bisogno di rivitalizzare, anche nel contesto italiano, il settore artigianale, dove molte tecniche e produzioni che stanno divenendo desuete possono essere recuperate o reinterpretate grazie al contatto con la realtà marocchina. Il workshop per la ceramica del nord del Marocco presentato in questo libro è un contributo allo scenario così prefigurato.

produit et de design. On constate une difficulté locale à affronter avec méthodes et moyens adéquats le rapport entre tradition et innovation dans la production d’objets liés aux techniques artisanales locales. La difficulté de proposer l’innovation formelle rend problématique le repérage et la diversification du marché de référence. On remarque en outre un manque de rapports avec des producteurs plus structurés d’autres pays avec lesquels il puisse se créer un cycle productif/commercial «vertueux» et favorable à la création de valeur ajoutée compétitive pour les deux parties. Il faut en outre considérer la difficulté objective de comprendre les dynamiques et les évolutions d’un marché non strictement local. Comme des études internationales sérieuses sur le secteur le disent, de plus, il faut considérer l’importance de l’économie informelle au Maroc, notamment dans le secteur de l’artisanat traditionnel : cette situation pèse lourd tant sur le plan de l’économie que de l’emploi, car elle contribue pour 24% à la formation du PIB national et joue un rôle social majeur dans la formation du revenu et dans l’amélioration des conditions de vie de vastes pans de la population. Par ailleurs en Italie aussi la grande tradition artisanale qui a caractérisé quelques zones de production régionale enregistre une perte analogue de connaissances et de compétences que l’on retrouve, bien que de façon inégale sur le marché marocain. Le manque d’une politique de sauvegarde des secteurs de l’artisanat traditionnel n’a pas conduit à la mise en place de systèmes satisfaisants de conservation et de valorisation de ces savoir-faire, entrainant par là la perte importante dans certains cas de valeur ajoutée sur les territoires. Pour atteindre l’objectif d’une plus grande liaison des producteurs marocains et italiens et valoriser la filière complexe italo-marocaine dans le cadre des chaînes mondiales de valeur et des processus d’internationalisation «euro-méditerranéens» afin de favoriser l’accès aux marchés potentiels, il est capital de déclencher un processus de «requalification» des entreprises et des produits marocains, qui passe aussi par des interventions sur les systèmes de fabrication et sur les conditions économiques et sociales dans lesquelles se déroulent ces fabrications. Il existe en effet une demande de soutien institutionnel, notamment de la part des PME qui ont moins de facilités pour accéder aux outils de soutien du Gouvernement Central, pour favoriser des rapports plus stables de coopération entre les systèmes économiques italiens et marocains. L’objectif de la liaison entre les entreprises marocaines et les autres marchés ne doit donc pas être vu comme «propre» à ce pays. De l’intégration des marchés découleront des bienfaits réciproques et concrets, qui répondent justement au besoin de revitaliser, dans le contexte italien, le secteur de l’artisanat, où beaucoup de techniques et de productions qui sont en train de tomber dans l’oubli peuvent être relancées ou réinterprétées grâce au contact avec la réalité marocaine. Le workshop sur la poterie du nord du Maroc présenté dans cet ouvrage a pour but de contribuer à la vision qui vient d’être présentée.


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manca testo e traduzione


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Nord-Sud, design condiviso Nord-Sud, design en partage Massimo Ruffilli

Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Design dell’Università di Firenze Président du Cours de Laurea Magistrale en Design de l’Université de Florence


Giuseppe Lotti et son groupe de recherche se sont appliqués encore une fois à explorer un thème aussi actuel que complexe, aussi partagé qu’incompris, aussi connu et considéré que négligé aujourd’hui encore et sous-estimé. C’est une bataille qui semble dépassée, dont certains disent qu’elle est déjà gagnée, mais qui au contraire est encore à poursuivre et à comprendre. Malgré tout, le Nord et le Sud du monde existent encore. Ils existent parce que la richesse et la pauvreté subsistent et que la modernisation a produit des effets différents au Nord et au Sud, avec un Sud qui, malgré tous ses problèmes a encore beaucoup à enseigner. Sur ce plan la Méditerranée a une importance toute particulière, en tant que lieu d’échanges, de confrontation culturelle entre plusieurs modèles de développement, une véritable frontière cruciale. Sur ces thèmes et dans un tel contexte, l’École de Design Florentine a déployé des efforts au fil du temps. Ainsi le projet HabitatMed dans le cadre d’EUROMEDSYS I et II du Programme Interreg IIIB MEDOC a conduit à la définition d’un Manifeste sur l’identité de l’Habitat méditerranéen – rendue par cinq mots clés: “beauté”, Équilibre”, “Identité”, “Appartenance”, “Ritualité”, comme clés de lecture et de recherche. Le projet a développé des expériences d’interaction, de croisement entre artisanat et production industrielle, entre art et design, entre matériaux et technologies qui se sont concrétisées, entre autres, sous forme d’un séminaire qui a réuni en Tunisie cinq écoles de design de la Méditerranée. Dans ce cas les étudiants, porteurs d’innovation, ont conçu des ustensiles innovants, provenant de la tradition, au nom d’un métissage culturel fructueux. Avec le concept de forme et fonction de matrice rationaliste qui est dépassé par l’idée de partage des aspects communs aux sud du monde, lieux de contradictions, mais aussi de grandes valeurs – le rapport harmonieux avec l’environnement, la permanence des savoir-faire propres de la culture artisanale et paysanne, la capacité de s’exprimer manuellement, une certaine sobriété dans le style de vie, des rapports humains intenses, le maintien de la valeur du don et de l’échange, - qui peuvent nous apprendre beaucoup. La Méditerranée donc comme terrain de recherche, comme expérience de confrontation, où beaucoup de projets expérimentaux peuvent s’exprimer et se définir. Cet ouvrage contient la dernière expérience, cette fois-ci dans le nord du Maroc, dans un contexte caractérisé par une tradition productive qui survit depuis des milliers d’années, et où justement à cause de cela il semble difficile d’intervenir en termes d’innovation. Le risque est de faire vaciller des équilibres accumulés dans le temps sans proposer un nouveau modèle réellement applicable. Il apparait donc fondamental de poursuivre une innovation réellement durable du point de vue non seulement environnemental mais aussi social et culturel ; d’où l’idée d’une conception d’objets nouveaux, très respectueux des formes et des chromatismes traditionnels dans une dialectique fondée sur le partage – A quatre mains et plus comme l’annonce le titre – sur lequel se base de façon cohérente l’expérience du design «avec les Sud du monde».

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Giuseppe Lotti ed il suo gruppo di ricerca si sono impegnati ancora una volta in una tematica tanto attuale quanto complessa, tanto condivisa, quanto incompresa, tanto conosciuta e considerata quanto ancora trascurata e sottovalutata. È una battaglia che sembra superata, che alcuni dicono sia già stata vinta, ma che, viceversa, è ancora tutta da combattere e da comprendere. Nonostante tutto, il Nord ed il Sud del mondo esistono ancora. Esistono perché esistono ancora la ricchezza e la povertà e la modernizzazione ha sortito, e sorte ancora, un effetto differente tra Nord e Sud. Con il Sud che, pur con tutti suoi problemi ha oggi, più che mai, ancora tanto da insegnare: ed in ciò il Mediterraneo assume una particolare importanza, come luogo dello scambio, del confronto culturale, tra modelli di sviluppo, una vera e propria frontiera cruciale. Su queste tematiche ed in un tale contesto la Scuola di Design Fiorentina ha, nel tempo, operato. Così il progetto HabitatMed in ambito EUROMEDSYS I e II del Programma Interreg IIIB MEDOC ha portato alla definizione di un Manifesto sull’identità dell’abitare mediterraneo – espressa da cinque parole chiave: “Bellezza”, “Equilibrio”, “Identità”, “Appartenenza”, “Ritualità”, come chiavi di lettura e ricerca. Il progetto ha sviluppato esperienze di interazione, di commistione tra artigianato e produzione industriale, tra arte e design, tra materiali e tecnologie che si sono concretizzate, tra l’altro, in un workshop che ha riunito in Tunisia cinque scuole di design del Mediterraneo. In questo caso gli studenti, attori di innovazione, hanno progettato nuovi oggetti d’uso, muovendo dalla tradizione, in nome di un proficuo meticciamento culturale. Con il concetto di forma e funzione di matrice razionalista che viene superato dall’idea di condivisione degli aspetti comuni ai Sud del mondo, luoghi di contraddizioni, ma anche di grandi valori - il rapporto armonico con l’ambiente, il persistere delle capacità proprie della cultura artigiana e contadina, la capacità di esprimere abilità manuali, una certa sobrietà del vivere, i forti rapporti umani, la permanenza del valore del dono e dello scambio, - che molto possono insegnarci. Mediterraneo come territorio di ricerca, quindi, come esperienza del confronto, dove diverse sperimentazioni progettuali possono esprimersi e definirsi. In questo libro è presentata l’ultima esperienza, questa volta nel nord del Marocco, in un contesto caratterizzato da una tradizione produttiva che sopravvive da migliaia di anni, in cui, proprio per questo, appare difficile intervenire in termini di innovazione. Il rischio è quello di sovvertire equilibri tanto sedimentati senza proporre un nuovo modello veramente applicabile. Fondamentale appare dunque percorrere un’innovazione realmente sostenibile da un punto di vista non solo ambientale, ma anche sociale e culturale. Ne è scaturita la progettazione di oggetti nuovi, fortemente rispettosi delle forme e dei cromatismi tradizionali in una dialettica basata sulla condivisione – A quatre mains et plus, come recita il titolo – su cui correttamente si basa l’esperienza del design “con i Sud del mondo”.


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Conoscere, imparare, produrre Connaître, apprendre, produire Abdelkrim Ouazzani

Direttore dell’INBA Institut National des Beaux Arts de Tétouan Directeur de l’INBA Institut National des Beaux Arts de Tétouan


Développer le savoir faire artisanal et l’intégrer dans le circuit productif, tel était l’ambition qui animait les organisateurs de cet atelier. Autrement dit, puiser dans les sources pour alimenter et nourrir les champs fertiles de l’imagination des jeunes artistes qui ont bénéficié de cette opportunité. Je tiens à remercier les initiateurs du projet ainsi que la Présidence de la faculté d’Architecture de l’Université de Florence, les associations d’accueil et toute l’équipe qui s’est mobilisée avec enthousiasme et dévouement pour accompagner et encadrer les participants. Cette expérience demeurera pour nous, à l’INBA, un modèle de coopération exemplaire et marquera j’espère le début d’une coopération fructueuse entre nos deux établissements. Il y va de l’intérêt de nos étudiants et de nos pays respectifs de promouvoir et multiplier de telles occasions de rencontres entre les jeunes artistes sur une thématique productive et créatrice d’œuvres d’art liés au patrimoine culturel. A travers les activités de l’atelier et les productions réalisées, cette rencontre a pu mutualiser les compétences, développer et compléter les connaissances et les savoir faire de nos jeunes étudiants en même temps qu’elle a impulsé une interaction culturelle sur le terrain à la fois entre les étudiants et entre les étudiants et les artisans marocains femmes et hommes qui les ont accueillis. Hormis la valeur esthétique des articles produits à l’issu de cet atelier, j’y vois personnellement l’incarnation de valeurs hautement symboliques, des valeurs de rapprochement, d’ouverture et de coexistence entre plusieurs cultures et milieux sociaux. Nos étudiants ont été effectivement imprégnés d’un nouvel état d’esprit de travail et de création. Ils sont revenus animés d’une plus grande volonté et d’un plus grand enthousiasme de connaître, d’apprendre et de produire. C’est pour cela que je réitère mon souhait de voir se multiplier de telles rencontres et j’espère qu’à l’avenir, nous pourrons mettre en place des modalités de coopération à même d’asseoir des échanges plus fructueux.

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Sviluppare il know-how artigianale ed inserirlo nel ciclo produttivo, era l’ambizione degli organizzatori di questo workshop. In altre parole attingere alle fonti per alimentare e nutrire i fertili campi dell’immaginazione dei giovani che hanno fruito di questa opportunità. Desidero ringraziare gli ideatori del progetto così come la Presidenza della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, le associazioni ospitanti e tutto il gruppo che si è mobilitato con entusiasmo e abnegazione al fine di accompagnare ed inquadrare i partecipanti. Questa esperienza costituirà per noi dell’INBA un modello di cooperazione esemplare che spero segnerà l’inizio di una fruttuosa collaborazione fra i nostri due Istituti. È nell’interesse dei nostri studenti nonché dei nostri rispettivi Paesi che si promuovano e si moltiplichino tali occasioni di incontri fra giovani artisti su tematiche produttive e generatrici d’opere d’arte legate al patrimonio culturale. L’attuale incontro ha permesso di scambiare competenze, sviluppare e completare le conoscenze ed i knowhow dei nostri giovani studenti proprio attraverso l’attività del seminario e le produzioni realizzate. Esso ha altresì dato impulso ad un’interazione culturale sul campo anche fra gli studenti e gli artigiani marocchini, donne e uomini, che li hanno accolti. Oltre al valore estetico degli articoli prodotti quale risultato del workshop, personalmente vedo in questo l’incarnazione di valori altamente simbolici, valori di avvicinamento, apertura e coesistenza fra diverse culture e ambienti sociali; i nostri studenti sono stati effettivamente impregnati da un nuovo stato d’animo sia a livello di lavoro che di creazione.; essi s\ono tornati animati da una profonda volontà e da un maggior entusiasmo di conoscere, imparare e produrre. Per questo ribadisco il mio auspicio di veder moltiplicarsi tali incontri e spero che in futuro potremo stabilire modalità di cooperazione in grado di porre le basi per scambi ancor più fruttuosi.


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ADEO per l’artigianato femminile nei villaggi del bacino di Oued Laou ADEO pour l’artisanat féminin des douars du bassin versant d’Oued Laou


L’activité d’artisanat féminine est pratiquée depuis des siécles dans le bassin versant d’Oued Laou. Cet artisanat présente une très grande variété dans la technique du point. De génération en génération, les femmes ont trasmis aux jeunes filles cette culture artisanale et artistique. Outre la poterie – tajine, marmite, cruche, téhière, bougeoir, cendrier… – les manufacturés pour les femmes – panier, sac, chapeau, balai… – sont élaborés à partir des ressources naturelles locales. La grande partie de ces produits est commercialisée dans le Souk Sebt de Beni Said qui se situe au centre du bassin versant d’Oued Laou. Le projet de développement socioéconomique avec perspective du genre dans les douars du bassin versant d’Oued Laou a pour objectif la sauvegarde du savoir-faire, la valorisation et la promotion des métiers féminins dans cette zone à travers la commercialisation, l’organisation des femmes et la création d’un centre d’exposition artisanal au Souk Sebt de Beni Said près du siège de ADEO – Association de Développement et de protection de l’environment de Oued Laou et de son bassin versant.

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Nella regione del bacino di Oued Laou, le donne svolgono attività artigianali da secoli. L’artigianato che realizzano presenta una grande varietà di pezzi e le donne si tramandano la tecnica, artigianale ed artistica, di generazione in generazione. Centrali sono i manufatti in terracotta – tajine, pentole, caraffe, teiere, portacandele, posacenere ecc… Non mancano altri prodotti realizzati dalle donne – tra cui ceste, sacchi, cappelli, scope – elaborati con materie prime naturali locali. La maggior parte della produzione viene commercializzata nel Souk Sebt di Beni Said, al centro del bacino di Oued Laou. Il progetto di sviluppo socio-economico, incentrato sul lavoro delle donne, punta alla salvaguardia dei saperi locali, alla valorizzazione ed alla promozione dei mestieri femminili di questa regione grazie alla commercializzazione, all’organizzazione delle lavoratrici e alla creazione di un centro espositivo artigianale al Souk Sebt di Beni Said, presso la sede dell’ADEO – Association de Développement et de protection de l’Environment de Oued Laou et de son bassin versant (Associazione di Sviluppo e di Tutela dell’Ambiente dell’Oued Laou e di tutto il bacino).


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La ceramica di Beni-Said La poterie de Beni-Said Agnes Goffart Associazione / Association Terres des Femmes


La région a deux souks très importants: Beni-Saïd et Oued Laou. Le douar Ifrane-Ali, abrite environ 60 familles éparpillées sur trois collines autour d’un affluent de l’Oued Laou. L’argile est de très bonne qualité et tout le douar vit de la production de poterie. Toutes les femmes sont potières, des plus âgées aux plus jeunes. Elles façonnent une poterie simple, lissée à l’aide d’un bout de bois ou d’un galet, avec un décor en relief. La moindre petite pièce est bien façonnée, nerveuse, symétrique. Les formes sont très variées et pourraient équiper toute une cuisine: bougeoirs, cruches, pichets, théières, gobelets, bols, soucoupes, saladiers, plats, marmites, tajines de toutes dimensions. Parmi les potières, citons: Assia Izri, Rama Ilkadoum, Rachida Bouzerèse, Oum Keltoum, Fatima Bozekri… Les fours assez performants sont traditionnellement construits en terre argileuse et sont suffisamment spacieux pour introduire le combustible et des dizaines de pièces. La cuisson dure 5 à 6 heures. Il serait nécessaire de les encourager à remplacer le bois de cuisson coûteux, par d’autres combustibles (bouses de vache séchées, briques de déchets d’olive). Une fois la production prête, les hommes participent au transport dans tout le pays et aux transactions commerciales. Les quantités exposées en permanence sur les routes du Nord, dans les villes du pays et à l’étranger, font croire à une poterie industrielle. Malheureusement ces potières profitent bien peu de leur travail vu les prix d’achat dérisoires. Aussi, l’Association «Terres des femmes» leur commande régulièrement des objets aux formes nouvelles qu’elle achète à un prix équitable. Dans ce but elle a été très heureuse de l’initiative de Sviluppo Toscana. Elle espère que cette expérience serra renouvelée en ciblant bien les besoins des ces potières.

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Nella regione si trovano due souk molto importanti: Beni-Said e Oued Laou. La valle di Ifrane-Ali è abitata da circa 200 famiglie, distribuite su tre colline intorno ad un affluente dell’Oued Laou. L’argilla è di eccellente qualità e l’intera valle vive della produzione di oggetti in terracotta a cui si dedicano tutte le donne, dalle più anziane alle più giovani. Producono una terracotta semplice lisciata con un pezzo di legno o un ciottolo e con decorazioni in rilievo. Anche il più piccolo manufatto è ben modellato, dinamico, simmetrico. Le forme sono estremamente varie e potrebbero attrezzare un’intera cucina. Portacandele, caraffe, boccali, teiere, bicchieri, ciottole, piattini, insalatiere, piatti, pentole, marmitte e tajine di ogni dimensione. Fra le vasaie vorrei citare Assia Izri, Rama IIkadoum, Rachida Bouzerèse, Oum Keltoum, Fatima Bozekr… I forni, abbastanza efficienti, vengono costruiti tradizionalmente in terra argillosa e lo spazio interno è sufficiente per permettere di introdurvi sia il combustibile che decine di pezzi la cui cottura richiede da 5 a 6 ore. Sarebbe necessario incoraggiare le artigiane a sostituire la costosa legna da forno con altri combustibili (sterco di vacca secco o mattoncini in scarti di olive). Una volta terminata la produzione, gli uomini partecipano al trasporto in tutto il paese nonché alle transazioni commerciali. Le quantità che vengono esposte continuamente sulle strade del Nord, nelle città del paese e all’estero potrebbero far pensare ad una produzione ceramica industriale. Purtroppo invece le artigiane traggono ben poco profitto dal loro lavoro dati i prezzi d’acquisto irrisori. Per questo l’Associazione “Terre des femmes” ordina loro regolarmente oggetti dalle forme innovative che acquista a prezzi equi. In questo contesto l’Associazione ha accolto con molta gioia l’iniziativa di Sviluppo Toscana e spera che tale esperienza verrà ripetuta focalizzando bene i bisogni di queste ceramiste.


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Il lavoro all’Associazione Assaida Al Horra A quatre mains et plus

Le travail à l’Association Assaida Al Horra Laila El Maslouhi Associazione / Association Assaida Al Horra

Nell’insieme un’esperienza di grande interesse. Arte ed artigianato coniugati per dare vita a manufatti innovativi. Studenti del Corso di Laurea in Design della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze e dell’Institut National des Beaux Arts de Tétouan che hanno condiviso talenti e creatività per incontrare il sapere artigianale. L’Associazione per la cittadinanza e le pari opportunità, Assaida Al Horra si trova in una piccola e graziosa cittadina del Mediterraneo, chiamata M’diq. Assaida Al Horra significa “La donna libera” e trae il suo nome da un celebre personaggio storico, la Principessa Al Horra che ha regnato sul nord del Marocco per quasi 30 anni. La sezione M’diq è stata fondata ufficialmente nel 2008, tuttavia il Dipartimento di Arte della Ceramica era già stato creato nel 2003 nella stessa sezione grazie a potenzialità e talenti naturali presenti in zona. L’idea del workshop è stata appunto quella di promuovere un aiuto reciproco fra due gruppi di studenti, marocchini e italiani. Tutto ciò si è concretizzato in un workshop sulla ceramica, organizzato da Sviluppo Toscana, dal 18 al 28 Luglio 2010, nella regione di Tanger-Tétouan. I partecipanti erano esperti dell’Università di Firenze ed una designer marocchina, Khadija Kabbaj, nominati da Sviluppo Toscana nonché studiosi di economia della cooperazione. Il programma, coordinato dalla Regione Toscana, si è totalmente concentrato sull’arte della ceramica attraverso la quale gli studenti avrebbero dovuto realizzare ma-

nufatti innovati legati alla tradizione della regione attraverso l’apporto del design. L’immaginazione degli studenti si è posta al servizio di tale progetto, nell’intento di coniugare il loro talento con le creazioni tradizionali di artigiani ed artigiane. Tutte le idee, frutto della creatività progettuale degli studenti, sono state presentate attraverso disegni a computer e su carta ed hanno portato alla realizzazione di prototipi. Gli sforzi non sono stati inutili e studenti ed artigiani hanno potuto constatare con gioia che il loro progetto era giunto a compimento. E se la perfezione è impossibile da raggiungere, i prodotti finali raccontano un impegno fortemente condiviso e totalizzante. Anche la loro percezione dell’avvenimento era positiva, poco importava la fatica, determinati come erano a raggiungere in qualunque modo il loro obbiettivo. L’Associazione Assaida Al Horra li ha aiutati ed accompagnati durante il loro percorso. I ceramisti della sezione di M’diq hanno facilitato il lavoro degli studenti, coinvolgendo l’intera squadra della sezione. L’associazione ha contribuito anche all’organizzazione della logistica – l’ottenimento del permesso legale di lavoro per stranieri, trovare alloggio, etc… Nella sezione M’diq hanno trovato persone aperte e ospitali che hanno reso il clima degli incontri caloroso, andando così incontro positivamente alle aspettative dei due gruppi. Per concludere, desidero augurare a tutti gli studenti quanto di meglio nelle loro “magiche carriere” e che possano continuare a praticare la passione artistica che nutrono e a consacrare il loro talento artistico e nei rapporti interpersonali. Le porte dell’Associazione Assaida Al Horra e del Dipartimento di Arte della Ceramica saranno sempre aperte a tali talenti e potenzialità.


tisans et artisanes. Les œuvres artistiques ont toutes été le fruit de l’imagination des étudiants; leurs concepts ont été transposés sur papier et réalisés sous forme de prototypes en poterie. Mais leurs efforts n’ont pas été vains, ils ont pu constater avec satisfaction que leur projet s’est finalement transformé en une œuvre. Ils voulaient atteindre la perfection et ils savaient qu’ils pouvaient le faire car ils avaient un grand potentiel et du talent à revendre. Leur perception également a été positive ; ils n’ont pas ressenti la fatigue car ils étaient vraiment déterminés à atteindre leur objectif. L’association «Assaida Al Horra» les a aidés dans leur cheminement, et les travailleurs de la section de M’diq ont facilité le travail des étudiants. Ils ont déployé tous leurs efforts pour inclure toute l’équipe de la section et les aider à obtenir l’autorisation légale de venir travailler en tant qu’étrangers dans le Département de la Poterie, à trouver un logement etc… Dans la section M’diq ils ont trouvé des personnes chaleureuses qui les ont accueillis dans une bonne ambiance de sorte que l’impression a été bonne et a satisfait les attentes des deux côtés. En conclusion, je souhaite bonne chance aux étudiants dans la conduite de leur «carrière magique» et les engage à pratiquer leur passion artistique ainsi qu’à consacrer leur talent à l’art et aux personnes. L’association Assaida Al Horra et le Département Poterie seront toujours ouverts aux talents et aux potentiels.

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Une belle expérience, un mélange d’art et d’artisanat pour faire de très belles pièces. Les élèves du Cours de Laurea en Dessin Industriel de la Faculté d’Architecture de l’Université de Florence et de l’Institut des Beaux Arts de Tétouan ont rassemblé leurs talents et leur créativité pour concevoir des œuvres d’artisanat. Dans une petite ville méditerranéenne appelée M’diq, au nord du Maroc, se trouve l’association Assaida Al Horra, association pour la citoyenneté et l’égalité des chances. Fondée en 1996, «Assaida Al Horra» signifie «La femme libre» tirant son origine du nom d’un personnage historique célèbre, la Princesse Al Horra, qui régna sur le nord du Maroc pendant presque trente ans. La section M’diq a été fondée officiellement en 2008 ; le Département de l’art de la poterie, ou art de la poterie a été mis en place en 2003 dans la même section profitant de talentueux artisans présents sur le territoire. L’idée du workshop visait à promouvoir la rencontre de deux groupes d’étudiants, marocains et italiens. Elle s’est concrétisée par un atelier sur la poterie (ou art de la poterie) organisé par Sviluppo Toscana du 18 au 28 juillet 2010 dans la région Tanger-Tétouan au Maroc. Les participants étaient des experts de l’Université de Florence et une designer marocaine, Khadija Kabbaj, nommés par Sviluppo Toscana, ainsi que des experts en économie de la coopération. Coordonné par la Région Toscane, le programme était consacré entièrement sur l’art de la poterie et visait à réaliser des objets de design en terre cuite liés aux traditions régionales. Les étudiants ont conjugué leurs talents à la création traditionnelle des ar-


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Un progetto comune Un projet commun Khadija Kabbaj Designer Associazione / Association Extramuros - l’art et la culture pour tous


Un été pas comme les autres pour les étudiants de l’Institut National des Beaux Arts de Tétouan ainsi que pour les étudiants de l’Ecole d’Architecture de Florence. A priori, rien ne prédestinait ces jeunes gens à se rencontrer et encore moins à réaliser un projet en commun autour de la poterie du nord du Maroc. Un travail visant à mettre en avant le savoir faire des artisans et le talent créatif des étudiants dans le but de créer une collection «artisanat design». Un été bien chaud pour ces méditerranéens des deux rives. Nous sommes à Tétouan et plus précisément à l’Institut National des Beaux Arts. Première rencontre, l’un des étudiants nous présente son travail de fin d’année, nous écoutons, nous découvrons, nous apprécions, nous commentons; premier partage. Puisque nous passerons du temps ensemble à échanger, à découvrir, à créer, à imaginer, place au dialogue. Peu importe la langue, arabe, français, italien, anglais... l’essentiel est de communiquer. Révéler son design, raconter son histoire et sa culture mettre en commun ses différences sont les points essentiels de notre rencontre. Cinq étudiants d’Italie, cinq étudiants du Maroc sortis de leur contexte et réunis tous autour de femmes artisanes potières de Ouad Laou Ifrane Ali et d’artisans potiers de Tétouan M’diq vivront pleinement un projet autour du design. Design, voilà bien un terme qui ne parle pas à tout le monde et encore moins à Fatima, à Aïcha à Rahma, leurs voisines du coin, oui ces femmes artisanes nichées dans les montagnes et inconnues du reste du monde. Ces femmes artisanes, pourtant que nous comptons par dizaine à Ouad Laou – Ifrane Ali, sont le moteur de cette région. Toutes ces familles ne vivent que de leurs productions. De quoi s’agit-il au juste? et bien de toutes ces poteries couleur terre aux formes simples et fonctionnelles qui ornent le bord des routes marocaines du Nord et qui font le bonheur de tous. Oui ces tagines, ces plats, ces cruches que tout le monde achète sans se poser trop de questions et sans même connaître leur origine. Ces femmes dont le quotidien est rythmé par la production de la poterie nous ont reçus chez elles à Oued Laou dans le douar d’Ifrane Ali. Nous les avons rencontrées, nous les avons côtoyées, nous avons réalisé un projet en commun. Ocre rouge, la terre change de couleur au fil du jour. Nous irons la chercher, je dis nous, je veux dire, les femmes artisanes, nous ne faisons que les suivre. Quelques kilomètres à pied pour atteindre le gisement. Pioche à la main, un geste, trois mouvements, elles sont déjà au fond de la grotte à piocher

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Un’estate decisamente diversa per gli studenti dell’Institut National des Beaux Arts di Tétouan e del Corso di Laurea Magistrale in Design della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze. A priori, niente sembrava predestinare questi giovani ad incontrarsi e meno ancora a mettere in opera un progetto in comune sull’arte della ceramica del nord del Marocco. Un lavoro volto a far emergere sia il know-how degli artigiani che il talento creativo degli studenti, e questo allo scopo di creare una collezione “Artigianato Design”. Un’estate a dir poco calda per questi abitanti delle due sponde del Mediterraneo. Ci troviamo a Tétouan, più precisamente all’Institut National des Beaux Arts. Primi incontri. Uno studente ci presenta il suo lavoro di fine anno, ascoltiamo, scopriamo valutiamo, commentiamo: primo momento di condivisione; poiché trascorreremo altro tempo insieme per scambiare idee, scoprire, creare, immaginare. Spazio al dialogo! La lingua? Ha poca importanza, arabo, francese, italiano, inglese... l’essenziale è comunicare. Rivelare il proprio design, raccontare la propria storia e cultura, mettere in comune le proprie differenze, questi i punti essenziali del nostro incontro. Totalmente fuori dal loro contesto abituale, riuniti intorno alle artigiane di Ifrane Ali, e in seguito, ad artigiani ceramisti di M’diq – Tétouan, tre studenti italiani e cinque studenti marocchini, vivranno pienamente questo progetto centrato sul design. Design, un termine che dice ben poco a molti e ancor meno a Fatima, a Aïcha, a Rahma e alle loro vicine del villaggio, queste donne arroccate nelle montagne e sconosciute al resto del mondo. E tuttavia, queste donne, che abbiamo scoperto a decine a Ouad Laou – Ifrane Ali – costituiscono il motore della regione. Tutte le famiglie vivono solo grazie ai loro manufatti. Ma di cosa si tratta in realtà? Ebbene di tutti quegli oggetti in terracotta dal colore naturale, dalle forme semplici e funzionali che ornano i bordi delle strade marocchine del Nord e che sono apprezzati da tutti. Certo, tajine, piatti, caraffe che tutti comprano senza porsi molte domande e senza neanche conoscerne l’origine. Queste donne il cui quotidiano è scandito dalla produzione di oggetti in terracotta ci hanno ospitato nelle loro case. Così le abbiamo incontrate, conosciute ed abbiamo realizzato un progetto in comune. Ocra rossa, la terra cambia colore con l’avanzare del giorno; noi andremo a cercarla, dico noi, ma in realtà voglio dire queste donne, noi non faremo altro che seguirle. Alcuni chilometri a piedi per raggiungere il giacimento. Zappa in mano, un gesto, tre semplici movimenti, le donne sono già in fondo alla grotta per estrarre la terra. Un lavoro fisico incredibile; verrebbe naturale pensare che tale compito fosse affidato agli uomini... e invece!


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I nostri studenti non possono trattenersi: uno alla volta nella grotta aiutano in questa corvée inevitabile. Siamo alla nostra prima tappa di lavoro. Per queste artigiane maneggiare la materia per modellarla a loro gusto è un gesto quotidiano come impastare il pane. Il paragone vale sia per il rito del pane che per il modo di lavorare la terra. Nessun tornio, nessun strumento specifico per dare forma alla materia. Spazio all’improvvisazione! Qualunque cosa a portata di mano è utile per contribuire all’elaborazione di un oggetto; una tavoletta di legno invecchiata dal tempo e collocata su una pietra funge da tornio, un ciottolo che servirà per lisciare la forma, un tappo in plastica, una molletta da biancheria, una matita serviranno per dare l’ultimo ritocco. Tutti questi vari utensili, completamente reinventati si dimostrano un sistema concreto ed ingegnoso, senza difetti. Studenti, designer, professori, artigiani; proveniamo tutti da continenti diversi, apparteniamo a culture diverse e tuttavia per dieci giorni condivideremo le nostre esperienze, le nostre creazioni, le nostre produzioni, i nostri progetti. Perché non è cosa comune mettere insieme persone che non hanno l’abitudine di incontrarsi: è ciò che ha reso il progetto un’esperienza viva e palpitante. La spontaneità, sia da parte degli studenti che degli artigiani è stata emozionante e vibrante. Tutto sta nell’abbattere le barriere sia fisiche che mentali. Voler fare emergere l’artigianato in Marocco significa agire necessariamente attraverso scambi reali; non tramite una semplice importazione di know-how, ma piuttosto tramite una mescolanza di pratiche diverse che si accostano. L’innovazione artigianale è raramente il risultato della pura e semplice invenzione di tecniche innovative e nuovi prodotti, è il frutto della ricchezza in risorse umane, dell’incontro fra designers, artigiani, economisti. In questo senso workshops come il nostro costituiscono degli strumenti per dare un nuovo respiro al design artigianale. Esperienze condivise. Nord, sud Come è stato possibile che queste artigiane, all’inizio reticenti, quasi ermeticamente chiuse a qualunque contatto estraneo ci abbiano aperto la loro porta, il loro cuore e concesso la loro fiducia? Come è stato possibile che queste donne quasi analfabete, le cui conoscenze e capacità si trasmettono di madre in figlia e i cui gesti si ripetono di generazione in generazione si siano lasciate trascinare e si siano entusiamate al lavoro di squadra con studenti designers? Come è accaduto che i giovani studenti il cui supporto di lavoro è la carta ed oggigior-

la terre. Un travail physique phénoménal, on pourrait imaginer que ce travail serait alloué aux hommes, et pourtant! Nos étudiants ne peuvent résister; à leur tour dans ce grand trou; ils les soulageront momentanément de cette corvée incontournable. Nous sommes à notre première étape de travail. Jouer de la matière pour la modeler à leur guise, est un geste routinier, comme pétrir le pain pour ces femmes artisanes. La comparaison est valable aussi bien pour le rite que pour la manière de travailler la terre. Pas de tour, pas d’outils spécifiques pour donner forme à la matière; place à l’improvisation. Toute chose qui traîne est valable pour contribuer à l’élaboration d’une poterie; une petite planche de bois vieillie par le temps et placée sur une pierre, fait office de tour, un galet qui servira à lisser la forme, un bouchon en plastique, une pince à linge, un crayon, fera l’affaire pour donner la dernière touche. Ces divers outils inventés de toute pièce s’avèrent être un véritable système ingénieux sans faille. Etudiants, designers, professeurs, artisans, nous appartenons tous à des continents différents, nous sommes de cultures différentes, et pourtant durant dix jours nous partagerons nos expériences, nos créations, nos productions, nos projets. Parce qu’il n’est pas commun de mettre ensemble des gens qui n’ont pas l’habitude de se rencontrer, le projet s’est avéré palpitant. Cette spontanéité, aussi bien de la part des étudiants que des artisans était touchante et vibrante. Tout est question de décloisonnement, aussi bien physique que mental. Vouloir faire émerger l’artisanat au Maroc, cela passe par des échanges réels, non pas par une importation de savoir faire mais par une mixité de pratiques différentes qui se côtoient. L’innovation artisanale est rarement le fruit d’une invention pure et simple de techniques ou de produits nouveaux, mais celui d’une richesse de ressources humaines, rencontres entre designers, artisans et économistes. C’est dans ce sens que les workshops de ce genre sont l’un des outils pour apporter un nouveau souffle au design artisanal. Expériences partagées. Nord, sud Comment ces femmes artisanes, réticentes au première abord, quasiment hermétique à tout contact étranger, nous ont ouvert leur porte, leur cœur, livré leur confiance? Comment ces femmes illettrées dont le savoir faire se transmet de mère en fille et dont le geste se répète de génération en génération se sont prises au jeux et se sont emballées par le travail d’équipe avec les étudiants designers?


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no sempre di più il computer, si siano messi a lavorare l’impasto d’argilla con le mani e del tutto a loro agio? Abbiamo assistito ad un lavoro a quatto mani, se non di più. In un contesto irrazionale dove il sogno è permesso parlerei di alchimia o piuttosto di alterità. Indubbiamente la ricchezza risiede nella diversità fra gli esseri. Oggetti funzionali che raccontano storie, storie di vita, con una forte carica umana ed affettiva. Abbiamo toccato con mano questa sensazione nel lavoro svolto in comune, al crocevia della tradizione e della sperimentazione del know-how. Potremmo parlare di un design emotivo. M’diq, città balneare, un formicolio di gente, tutto è movimento e vociare. Ci rechiamo a Assaida Al Horra, un’associazione per la cittadinanza e le pari opportunità gestita da donne impegnate. Il luogo è calmo. Iniziamo la seconda tappa del nostro workshop. Il laboratorio di ceramica è ben più sofisticato rispetto a quanto abbiamo visto in precedenza. Torni, piattelli, grandi forni elettrici, accessori adeguati. Tutto è a disposizione. Una volta di più, mano nella mano, artigiani e studenti vivranno momenti di interscambio. Pur se artigianale, il ritmo della produzione sembra procedere di buon passo... Un progetto comune fra due paesi delle sponde del Mediterraneo, l’Italia ed il Marocco, ambedue noti per la loro ricchezza di know-how artigianale. Senza dubbio valorizzare le persone sulla base delle loro esperienze e competenze favorisce la nascita di innovazioni a beneficio dell’economia. Questi incontri costituiscono occasioni per ristabilire contatti fisici e scambi con le materie, tra le culture e di creare ponti interregionali e intercontinentali.

Comment ces jeunes étudiants dont le support de travail est le papier et de plus en plus l’ordinateur aujourd’hui, ont pu, avec grande aisance mettre la main à la pâte. Nous assistons à un travail à quatre mains et plus. Dans un contexte irrationnel où le rêve est permis, je parlarais d’alchimie, ou plutôt d’altérité. La richesse est incontestablement bel et bien dans la différence entre les êtres. Objets fonctionnels qui racontent des histoires, histoires de vie, avec une forte charge humaine et affective. Nous palpons cette sensation dans ce travail en commun au carrefour de la tradition et de l’expérimentation du savoir faire. Nous parlerons d’un design émotionnel. M’diq, cité balnéaire, ça grouille de monde, tout est mouvement et brouhaha. Nous nous rendons à Assaida Al Horra, une association pour la citoyenneté et l’égalité des chances, tenue par des femmes engagées. Le lieu est calme. Nous entamons notre deuxième étape du workshop. L’atelier de poterie est nettement plus sophistiqué que ce que nous avions connu aupravant. Tours, tournettes, grands fours électriques, accessoires adéquats, tout y est. Main dans la main, artisans et étudiants, une fois de plus vivront des moments d’échange. Bien qu’artisanal, le rythme de la production semble aller bon train. Un projet commun, entre deux pays des rives de la méditerranée, l’Italie et le Maroc connus tous deux pour leur richesse du savoir faire artisanal. Nul doute, valoriser les gens par leurs expériences et leurs savoir faire, favorise l’émergence d’innovations au profit de l’économie. Ces rencontres sont autant d’occasions de rétablir des contacts physiques et des échanges avec les matières, les cultures, de créer des passerelles interrégionales et intercontinentales.


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Workshop, diario di bordo Atelier, journal de bord Ilaria Serpente

UniversitĂ di Firenze UniversitĂŠ de Florence


“18/07/2010 – 28/07/2010 MAROC + ITALIA – Khadija – Abdeljlil – Tarik – Khalid – Yassin – Ghizlan – Donata – Serena – Elena – Ilaria – Flavia – Stefano – Giuseppe – Enrico – Youssef – Fatima”. Questo è ciò che gli studenti che hanno partecipato al workshop sulla ceramica nella regione di Tanger-Tétouan hanno scelto di scrivere sul piatto che hanno realizzato alla fine del lavoro. Il workshop rappresenta la conclusione di un lungo lavoro svolto con gli studenti delle due scuole coinvolte – la Laurea Magistrale in Design dell’Università degli Studi di Firenze e l’INBA, Institut National de Beaux Arts de Tétouan – lungo tutto il primo semestre del 2010. Durante i mesi di preparazione gli studenti italiani hanno approfondito il tema dell’artigianato marocchino, con particolare attenzione alla ceramica ed hanno sviluppato progetti mirati a valorizzare la tradizione locale reinterpretandola attraverso la propria cultura. Dei numerosi progetti che sono risultati alla fine del corso di Design per la Sostenibilità, sono stati selezionati i più rappresentativi e sono stati scelti tre studenti con il compito di realizzare i prototipi insieme agli artigiani. Contemporaneamente a Tétouan venivano selezionati cinque studenti dell’INBA. Il gruppo di lavoro composto da studenti provenienti dai due paesi ha l’obiettivo di creare progetti condivisi in cui si riconoscano le due culture e si realizzi un meticciamento progettuale, anche in vista di una possibilità di commercializzazione dei prodotti in entrambi i paesi. Gli studenti, durante i dieci giorni di workshop, hanno avuto l’opportunità di lavorare in due realtà molto diverse tra loro sia per le caratteristiche dell’ambiente che per il tipo di prodotto realizzato: prima l’artigiana Fatima di Ifrane Ali, nelle cui preziose mani ci ha consegnati l’associazione ADEO – Association de Développement et de Protection de l’Environnement de Oued Laou et de son Bassin Versant – ed in seguito gli artigiani dell’Association Assaida Al Horra di M’diq – Tétouan. Nel gruppo di lavoro è stato inserito anche un esperto di economia informale del laboratorio ARCO – Action Research for CO-development – del Polo Universitario Città di Prato PIN, con il compito di individuare strategie e possibilità di commercializzazione per i prodotti realizzati. Il gruppo è stato coordinato da due esperti Italiani e un’esperta marocchina, ed accompagnato dagli obiettivi attenti di due fotografi, pronti a cogliere tutte le immagini e le sensazioni di questa bellissima esperienza…

Ce que je vous conseille par conséquent, c’est d’entreprendre un voyage sur les traces de Vénus, comme je le fais moi-même. N’achetez jamais de tapis aux marchands des bazars, mais allez directement chez les tisseuses, dans chaque pays que vous visiterez. Les tisseuses adorent cela car les marchands des bazars leur donnent des sommes ridicules. En plus vous avez droit au thé et à la conversation. Fatema Mernissi

“18/07/2010 – 28/07/2010 MAROC + ITALIA – Khadija – Abdeljlil – Tarik – Khalid – Yassin – Ghizlan – Donata – Serena – Elena – Ilaria – Flavia – Stefano – Giuseppe – Enrico – Youssef – Fatima”. Le texte ci-dessus représente des ècrits sur un plat réalisé en fin d’atelier par les étudiant ayany partecipé au workshop dans la région de TangerTétouan, sur le plat qu’ils ont réalisé à la fin de l’atelier. Le workshop est le friut d’un long travail effectué avec les étudiants des deux écoles concernées – celle de la Laurea Magistrale in Design de l’Università degli Studi de Florence et l’INBA, Institut National des Beaux Arts de Tétouan – pendant tout le premier semestre de 2010. Pendant les mois de préparation les étudiants italiens ont approfondi le thème de l’artisanat marocain, et plus précisément de la poterie et ils ont développé des projets visant à valoriser la tradition locale en la réinterprétant à travers leur propre culture. Des nombreux projets aboutis, à la fin du cours de Design Durable, les plus représentatifs ont été sélectionnés et trois étudiants ont été choisis pour aller réaliser les prototypes avec les artisans. En même temps à Tétouan ont été selectionnés cinq étudiants de l’INBA. Le groupe de travail composé des étudiants provenant des deux pays a pour but de créer des projets partagés dans lesquels les deux cultures se reconnaissent et de réaliser un métissage de projets, en vue également d’une possibilité de commercialisation des produits dans les deux pays. Les étudiants, pendant les dix journées d’atelier ont eu l’opportunité de travailler dans deux milieux très différents entre eux tant au niveau de l’environnement qu’à celui du produit réalisé : tout d’abord l’artisane Fatima d’Ifrane Ali, aux mains précieuses que nous a confiés l’association ADEO – Association de Développement et de Protection de l’Environnement de Oued Laou et de son Bassin Versant – et ensuite les artisans de l’Association Assaida Al Horra de M’diq – Tétouan. Dans le groupe de travail on a aussi inclus un expert d’économie informelle du lab. ARCO – Action Research for CO-development – du Pôle Universitaire Città di Prato PIN, chargé de définir stratégies et possibilités de commercialisation pour les produits réalisés. Le groupe a été coordonné par deux experts italiens et une experte marocaine, et accompagné par les objectifs attentifs de deux photographes,

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Quel che vi consiglio, dunque, è di intraprendere un viaggio sulle tracce di Venere, come faccio io. Non comprate mai tappeti dai negozianti dei bazar, ma andate direttamente a casa delle tessitrici, in ognuno dei paesini che attraversate. Le tessitrici adorano questa cosa perché i negozianti dei bazar le pagano cifre ridicole. In più avete diritto al the e alla conversazione. Fatema Mernissi


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18/22 Luglio 2010 Guarda guarda Valle di Ifrane Ali – Oued Laou – Regione di Tanger-Tétouan Se dovessi chiedere a coloro che hanno partecipato al workshop in Marocco alcune parole simbolo di questa esperienza sono sicura che non mancherebbe il “Guarda Guarda” della piccola Fatima, nostra mascotte ad Ifrane Ali. “Guarda Guarda” è una parola che Fatima ha individuato come via di comunicazione con noi. Nella sua lingua lo stesso suono corrisponde alla parola “fiore” e il fatto che nei suoni incomprensibili che noi emettevamo ci fosse un suono a lei familiare l’ha resa così soddisfatta che per i tre giorni successivi non ha smesso di ripetere queste parole correndo da una parte all’altra della casa in cui la zia – che porta lo stesso nome – passa tutte le sue giornate a lavorare la terra trasformandola in oggetti. L’esperienza ci insegna quanto sia difficile comunicare con gli artigiani rurali, quanto spesso la lingua sia un ostacolo che inizialmente sembra insormontabile, ma ci insegna anche che dove, non arrivano la lingua e le convenzioni – misure, colori, forme geometriche etc…–, si possono trovare altre forme di comunicazione che ci permettono di stabilire un contatto e di mischiare le nostre conoscenze ed idee con quelle di colei/colui che le trasformerà in “cose” donandogli forma e funzione.

prêts à saisir toutes les images et les sensations de cette très belle expérience… 18/22 juillet 2010 “Guarda guarda” (en fr: regarde, regarde) Vallée d’ Ifrane Ali – Oued Laou – Région de Tanger-Tétouan Si je devais demander à ceux qui ont participé à l’atelier au Maroc quels mots symbolisent cette expérience, je suis sûre qu’ils diraient: “Guarda, guarda”, les paroles de la petite Fatima, notre mascotte à Ifrane Ali. «Guarda, guarda» est un mot répété sans arrêt par Fatima qu’elle adopté comme moyen de communication avec nous. Dans sa langue, le même son correspond au mot «fleur» et le fait que dans les sons incompréhensibles que nous émettions, il y ait un son qui lui était familier, lui a fait tellement plaisir que pendant les trois jours suivants elle n’a pas arrêté de répéter ces mots en courant de tous les côtés de la petite maison où sa tante – qui porte le même nom – passe toutes ses journées à travailler la terre pour la transformer en objets. Nous savons par expérience combien il est difficile de communiquer avec les artisans ruraux, combien la langue est souvent un obstacle qui


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Fatima l’artigiana – zia di Fatima la mascotte – lavora la ceramica, come tutte le donne di Ifrane Ali, una valle vicino alla località balneare di Oued Laou. La ceramica di Ifrane Ali è famosa per due motivi: il primo è che si tratta di una delle tipologie di ceramica protette dal ministero dell’artigianato Marocchino sia per la qualità della materia prima che per la sua tecnica di realizzazione. Siamo di fronte ad una tecnica molto antica che è rimasta pressoché immutata fino ad oggi conservando un’estetica essenziale ed una forte prevalenza della funzione. Queste ceramiche si distinguono dalle altre ceramiche marocchine per la totale assenza di decorazione cromatica, che viene sostituita da una decorazione tridimensionale di intagli che producono disegni solitamente geometrici; il secondo motivo per cui queste ceramiche sono piuttosto conosciute lo abbiamo appreso a Tétouan, nei souk, quando, non appena ci avvicinavamo alle ceramiche rosse, ci spiegavano che provenivano da Ifrane Ali e che tutto il processo produttivo di queste ceramiche era svolto dalle donne della valle. Ad Ifrane Ali ci sono circa 200 famiglie, tutte piuttosto numerose, che vivono in case di terra e pietra, a cui spesso si affiancano piccole costruzioni in cemento, simbolo dell’emancipazione economica della famiglia che le possiede. L’attività economica di tutta la valle si basa sul commercio dei prodotti in ceramica, ed in questa attività ven-

semble insurmontable de prime abord, mais là où la langue et les conventions s’arrêtent – mesures, couleurs, formes géométriques etc.. on peut trouver d’autres formes de communication qui nous permettent d’entrer en contact et de mélanger nos connaissances et nos idées avec ceux, qui transformeront nos idées en «objets» en attribuant une forme et une fonction. Fatima l’artisane – tante de Fatima la mascotte – fait de la poterie, comme toutes les femmes d’Ifrane Ali, vallée située près de la station balnéaire de Oued Laou. La poterie d’Ifrane Ali est réputée pour deux raisons: la première c’est qu’il s’agit d’un des types de poterie protégés par le ministère de l’artisanat marocain grâce à la qualité de la matière première mais aussi à sa technique d’exécution. Il s’agit d’une technique très ancienne qui est restée pratiquement inchangée jusqu’à nos jours, en conservant une esthétique essentielle et une forte prévalence de la fonction. Ces poteries se distinguent des autres poteries marocaines de part l’absence totale de décoration chromatique, qui est remplacée par une décoration tridimensionnelle d’incisions reproduisant des dessins habituellement géométriques;


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gono impiegate, con diverse mansioni a seconda della loro età, tutte le donne della famiglia, sette giorni su sette durante tutto il giorno. Ci viene spiegato che l’attività ha un ciclo settimanale: 1-2 giorni per la raccolta e la preparazione della terra, 3-4 di produzione, 1 per la cottura dei pezzi, fino ad arrivare all’ultimo giorno, il sabato, in cui le donne vestono il vestito tradizionale e si recano al souk per la vendita. Nella maggior parte dei casi i mariti si occupano della commercializzazione e ne gestiscono i proventi. I mariti trattano anche la vendita dei prodotti agli intermediari che giungono nella valle durante la settimana ed acquistano ad un prezzo basso (intorno ad 1 euro al pezzo) i prodotti che verranno poi venduti nei souk di tutto il paese per cifre superiori. La famiglia di Fatima rappresenta un’eccezione, suo marito e suo figlio Mohsin rimangono con noi durante tutto il tempo del workshop, collaborando all’interpretazione e traduzione dei disegni. Spesso prendono i fogli con i progetti e discutono a lungo tra loro in arabo, indicano, pensano, parlano, chiedono altri disegni, fanno domande, discutono di nuovo finché… “waha waha” Fatima si siede e comincia a dare forma alla terra; a volte si ferma e fa altre domande, ci chiede come lo vogliamo, se va bene, se lo deve cambiare o rifare… il tutto sotto lo sguardo attento di suo marito e del figlio Mohsin sempre pronti ad intervenire e dare consigli sulla realizzazione. Fatima ha quattro figli, tre maschi ed una femmina, la ragazza si occupa di dare la finitura ai pezzi, lo fa passando un sasso levigato bagnato nell’argilla molto liquida dopo che i pezzi si sono asciugati al sole. Questa finitura permette di ridurre la porosità della ceramica e di renderla più resistente ed impermeabile. Non lavora con noi nel “laboratorio” – la parte posteriore della casa – un po’ per mancanza di spazio e un po’ per paura delle macchine fotografiche, ma la vediamo spesso comparire per portare i pezzi finiti e prendere quelli che devono ancora ricevere la finitura. Il primo giorno, al nostro arrivo, lei e Fatima ci portano a prendere la terra su una collina sulla quale c’è un grande viavai di asini. Sulla cima della collina si aprono numerose grotte sotterranee scavate dalle stesse artigiane; una delle due scende nella grotta con un piccone, estrae la terra, la raccoglie in ceste di fibra e sollevandole le passa all’altra che si occupa di caricarle sull’asino. Mohsin ci racconta che le grotte sono molto instabili – arrivano ad essere piuttosto ampie e alte non più di 1,5 m – e, come si può facilmente intuire, sono frequenti gli incidenti causati dai crolli. Solo una parte della terra che è stata raccolta serve per la produzione: una volta tornata a casa Fatima la setaccia per eliminare le impurità e le parti più grosse, ed in seguito la impasta manualmente con l’acqua. Il processo viene ripetuto più volte fino ad ottenere la quantità di argilla necessaria per la produzione di tutta la settimana. L’impa-

la deuxième raison nous l’avons apprise à Tétouan, cette poterie à la terre rouge était spécifique au travail des femmes de la vallée. A Ifrane Ali vivent environ 200 familles, toutes plutôt nombreuses, qui vivent dans des maisons en terre et en pierre, souvent flanquées de petites constructions en ciment, symbole de l’émancipation économique de la famille qui les possède. L’activité économique de toute la vallée se base sur le commerce des poteries, et dans cette activité sont employées toutes les femmes de la famille, avec des tâches différentes selon l’âge, sept jours sur sept pendant toute la journée. On nous explique que l’activité a un cycle hebdomadaire, 1-2 jours pour la récolte et la préparation de la terre, 3-4 de fabrication, un pour la cuisson des pièces, jusqu’au dernier jour, le samedi, jour où les femmes portent l’habit traditionnel et se rendent au souk pour la vente. La plupart du temps ce sont les maris qui s’occupent de la vente et en gèrent les bénéfices. Les maris négocient aussi la vente des produits aux intermédiaires qui arrivent dans la vallée en semaine et achètent à un prix très faible (1 euro la pièce environ) les produits qui seront ensuite revendus dans les souks du pays à des prix bien supérieurs. La famille de Fatima représente une exception: son mari et son fils Mohsin restent avec nous pendant tout le temps de l’Atelier, en collaborant à l’interprétation et à la traduction des dessins. Souvent ils prennent les feuilles avec les dessins et ils discutent longuement entre eux en arabe, ils indiquent, pensent, parlent, demandent d’autres dessins, posent des questions, discutent de nouveau jusqu’à ce que… «waha waha» Fatima s’assied et commence à donner une forme à la terre; parfois elle s’arrête et pose d’autres questions, elle nous demande comment nous le voulons, si ça va ou bien si elle doit le changer ou le refaire… le tout sous le regard attentif de son mari et de son fils Mohsin, toujours prêts à intervenir et à donner des conseils sur l’exécution. Fatima a quatre enfants, 3 garçons et une fille; la fille s’occupe de la finition des pièces, elle le fait en passant un galet trempé dans l’argile très liquide après que les pièces aient séché au soleil. Cette finition permet de réduire la porosité de la poterie et de la rendre plus résistante et plus imperméable. Elle ne travaille pas avec nous dans le «laboratoire» – la partie arrière de la maison – un peu par manque de place, un peu par peur des appareils photo, mais nous la voyons souvent apparaître pour apporter les objets finis et pour prendre ceux qui doivent encore recevoir sa finition. Le premier jour, à notre arrivée, Fatima et elle nous emmènent chercher la terre sur une colline sur laquelle il y a une noria d’ânes. Au sommet de la colline s’ouvrent beaucoup de grottes souterraines creusées par les


artisanes elles-mêmes; l’une des deux descend dans la grotte avec une pioche, elle extrait la terre, la ramasse dans des paniers d’osier et en les soulevant elle les passe à l’autre qui s’occupe de les charger sur l’âne, Mohsin nous raconte que les grottes sont très instables – elles sont parfois très larges mais d’une hauteur maximum de 1,5m – et comme on le comprend aisément, il y a fréquemment des accidents dus à des effondrements. Une partie seulement de la terre qui a été recueillie sert à la production: une fois rentrée à la maison Fatima la tamise pour ôter les impuretés et les gros morceaux, puis elle la mélange à la main avec l’eau. L’opération est répétée plusieurs fois jusqu’à l’obtention de la quantité d’argile nécessaire pour la production de toute la semaine. La pâte est conservée sous plastique pour éviter qu’elle ne se dessèche prématurément. Fatima s’assied par terre à côté de son argile et en prélève un peu, elle en fait une boule en la façonnant et elle la pose sur une pierre en forme de disque, posé lui sur une autre pierre convexe – c’est son tour de potier – qui commence à bouger sous la poussée de la main gauche pendant que la droite façonne la terre. Elle fabrique habituellement une pièce en moins de 5 minutes et elle le fait avec une précision et une vitesse telles qu’on dirait qu’il y a un moule invisible auquel elle est simplement en train d’adapter la terre. La mesure des pièces est dans ce moule imaginaire, elles sont toutes parfaitement égales et au cas où la pièce serait composée de plusieurs morceaux – par exemple un tajine – pas besoin de vérifier que celles-ci s’adaptent, elles le feront certainement. Une fois la pièce terminée, Fatima la fait tourner en l’observant, elle réfléchit à la façon dont elle la décorera. La décoration est la seule chose qui distingue le produit de notre Fatima de celui d’une autre Fatima; chaque artisane appose sa signature, sa «marque de fabrique» de cette façon, les petits signes gravés dans l’argile permettent de distinguer son propre produit de celui des autres, vu que toutes les artisanes fabriquent le même type d’objets. Chaque artisane a ses propres outils pour décorer: Fatima dispose d’une roulette pour la pâte, d’un bâtonnet en bois, d’un stylo, de l’un des crayons que nous avons offerts à notre mascotte et de ses doigts naturellement. Il y a quelques mois, pendant notre première visite exploratoire à Ifrane Ali, nous avons rencontré une artisane qui décorait la plupart de ses pièces avec la crénelure d’un bouchon en plastique, en obtenant un effet plutôt intéressant; l’utilisation du bouchon en plastique représente peut-être le seul élément d’innovation introduit par rapport au passé, en remplaçant les décorations traditionnelles faites avec les coquillages présents dans les poteries de tout l’Antiquité.

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sto viene conservato sotto un telo di plastica per evitare che si secchi prima del tempo. Fatima si siede per terra accanto alla sua argilla e ne preleva un po’, ne fa una palla lavorandola e la appoggia su un disco di pietra, a sua volta sistemato su un’altra pietra convessa – questo è il suo tornio – che comincia a muoversi sotto la spinta della mano sinistra mentre la destra dà forma alla terra. Normalmente produce un pezzo in meno di 5 minuti, lo fa con una tale precisione e velocità che sembra esistere uno stampo invisibile al quale lei sta semplicemente adattando la terra. La misura dei pezzi è in quello stampo immaginario, essi sono tutti perfettamente uguali e, nel caso che il pezzo sia composto da più parti – ad esempio un tajine – non è necessario verificare che esse corrispondano, lo faranno di sicuro. Una volta terminato il pezzo Fatima lo fa girare osservandolo, sta pensando a come decorarlo. La decorazione è l’unica cosa che distingue il prodotto della nostra Fatima da quello di un’altra Fatima; ogni artigiana mette la sua firma, il suo “marchio di fabbrica” in questo modo, i piccoli segni incisi nell’argilla permettono di riconoscere il proprio prodotto da quello degli altri, visto che tutte le artigiane producono le stesse tipologie di oggetti. Ogni artigiana ha i suoi strumenti per decorare, Fatima dispone di una rotella per la pasta, uno stecco di legno, una penna, una delle matite che abbiamo regalato alla nostra mascotte, e delle sue dita, ovviamente. Qualche mese fa, durante il nostro primo sopralluogo ad Ifrane Ali, abbiamo incontrato un’artigiana che decorava gran parte dei suoi pezzi con la zigrinatura di un tappo di plastica ottenendo un effetto piuttosto interessante; l’utilizzo del tappo di plastica rappresenta forse l’unico elemento di innovazione introdotto rispetto al passato andando a sostituire le tradizionali decorazioni fatte con le conchiglie e presenti nelle ceramiche di tutto il mondo antico. La decorazione impiega più tempo della realizzazione del pezzo, e tutto il processo è svolto con molta attenzione e ricerca delle geometrie e della simmetria. Fatima è una donna molto intelligente, interpreta i nostri disegni e fa molte domande, a differenza di molti altri artigiani rurali non ha difficoltà a creare un prodotto partendo dal disegno, modifica prodotti che realizza da una vita, per arrivare ai nostri senza difficoltà e li decora con attenzione. Su alcune cose la vediamo un po’ dubbiosa e ci rendiamo conto che il dubbio rappresenta il limite oltre il quale non possiamo spingerci. Il nostro scopo è lavorare insieme a lei per creare un prodotto che lei senta suo e che, facendo le modifiche che lei ritiene opportune, possa eventualmente entrare nella sua produzione senza compromettere la tradizione. Sulla base di queste considerazioni decidiamo di rinunciare alla realizzazione di alcuni dei progetti che avevamo inizialmente selezionato ed invitiamo i ragazzi a progettarne di nuovi muovendo da quelli che Fatima realizza abitualmente. Si cerca di operare ap-


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portando semplici modifiche e cambiando leggermente la destinazione d’uso, in modo che tali prodotti possano risultare appetibili anche per il mercato locale. Attraverso piccole variazioni nella forma, brocche e salvadanai diventano piccoli contenitori per le salse, un braciere diventa una zuppiera, il coperchio di un tajine si raddoppia diventando un portafrutta. Anche Mohsin, il figlio di Fatima, ci propone una variazione sul tema tajine, suggerendo di utilizzare la maniglia del coperchio come portaspezie; così ora abbiamo un tajine tradizionale, uno che potrebbe essere interessante per il mercato locale – disegnato da Mohsin – ed uno per pesce, magari rivolto ad un mercato europeo, disegnato da Yassin, uno degli studenti marocchini. Pochi giorni dopo quando i pezzi sono pronti ci rendiamo conto di come Fatima sia soddisfatta del proprio lavoro. In nostra assenza ha fatto delle copie di tutti i prodotti e ne ha modificati alcuni, ha aggiunto dei pezzi, ha sistemato altri su dei vassoi, ha rifatto quelli di cui non era soddisfatta. Quando arriviamo ci aspetta davanti al forno, è sabato, ma questa settimana non andrà a vendere al souk perché, avendo lavorato per noi, non ha avuto tempo per la sua produzione. I due forni di terra che si trovano a lato della sua casa sono stati accesi il giorno prima e riempiti, i pezzi hanno cotto tutta la notte ed ora sono pronti. Fatima si infila nella minuscola apertura del forno e comincia ad estrarre i pezzi ancora caldi. Alcuni sono rotti, ce li mostra dispiaciuta e continua a svuotare il forno.

La décoration est plus longue à exécuter que le façonnage de la pièce, et tout le processus nécessite grande attention et recherche au niveau de la géométrie et de la symétrie. Fatima est une femme très intelligente, elle interprète nos dessins et elle pose beaucoup de questions, contrairement à beaucoup d’artisans ruraux elle n’a pas de mal à créer un produit en partant d’un dessin, elle modifie les produits qu’elle réalise depuis toujours, pour arriver aux nôtres sans difficultés et elle les décore avec attention. Sur certaines choses nous la voyons un peu dubitative et nous nous apercevons que le doute représente la limite au-delà de laquelle nous ne pouvons pas aller. Notre but est de travailler avec elle afin de créer un produit qu’elle ressente comme sien et qui, en apportant les modifications qu’elle juge opportunes, puisse éventuellement entrer dans sa production sans compromettre la tradition. En nous fondant sur ces considérations nous décidons de renoncer à l’exécution de certains des projets que nous avions retenus au départ et nous invitons les jeunes à en concevoir de nouveaux en partant de ceux que Fatima réalise habituellement. On essaie de travailler en apportant de simples modifications et en changeant légèrement sa future utilisation, de manière à ce que les produits puissent être intéressants pour le marché local également. Grâce à de petites variations au niveau de la forme, cruches et tirelires deviennent de petits contenants pour les sauces, un brasero devient une soupière, le couvercle d’un tajine superposé à un autre devient une coupe à fruits.


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23/28 luglio 2010 Romagna mia, Marocco mio Associazione Assaida Al Horra di M’diq – Regione di Tanger-Tétouan Mentre ad Ifrane Ali Fatima sta svuotando il forno, a M’diq i torni a pedale girano al suono di Romagna mia. Alcuni degli studenti sono rimasti a finire i pezzi nella sede dell’associazione Assaida Al Horra che ci ospita per la seconda parte del workshop e, mentre rifiniscono i pezzi modellati al tornio, i ragazzi e gli artigiani si scambiano canzoni tradizionali dei paesi di appartenenza. Al nostro arrivo la scena si presenta più o meno così nel cortile dell’associazione: artigiani e studenti marocchini che lisciano, decorano e ritoccano mentre si esercitano ad intonare Romagna mia coordinati dalle studentesse italiane, anche loro impegnate a ritoccare i loro pezzi, si canta e si festeggia: dopo tre giorni di intenso lavoro a M’diq tutti i pezzi sono pronti per essere cotti il giorno dopo. L’associazione Assaida Al Horra è un luogo molto diverso dalla casa di Fatima ad Ifrane Ali, si trova a M’diq, una piccola città a pochi chilometri da Tétouan, nota località balneare della costa mediterranea marocchina. È qui che molti marocchini vengono a trascorrere le proprie ferie. È fine luglio e la città è in piena attività stagionale. L’associazione si occupa di diritti delle donne ed organizza corsi di formazione in vari ambiti, tra cui la ceramica. La sede dell’associazione possiede un grande labora-

Même Mohsin, le fils de Fatima, nous propose une variation sur le thème du tajine: il conseille d’utiliser la poignée du couvercle comme porteépices, de sorte que nous avons un tajine traditionnel, qui peut être intéressant pour le marché local – dessiné par Mohsin – et un pour le poisson, qui s’adresse plutôt à un marché européen – dessiné par Yassin, l’un des étudiants marocains. Quelques jours après, quand les objets sont prêts, nous nous rendons compte que Fatima est satisfaite de son propre travail. En notre absence elle a réalisé des copies de tous les produits et elle en a modifiés certains, elle a ajouté des pièces, elle en a mis d’autres sur des plateaux, elle a refait ceux dont elle n’était pas satisfaite. Quand nous arrivons elle nous attend devant le four, c’est samedi, mais cette semaine elle n’ira pas vendre au souk parce que, ayant travaillé pour nous, elle n’a pas eu le temps de s’occuper de sa production. Les deux fours en terre qui se trouvent sur le côté de sa maison ont été allumés la veille et remplis; les pièces ont cuit toute la nuit et maintenant elles sont prêtes. Fatima pénètre à travers la minuscule ouverture du four et elle commence à extraire les pièces encore chaudes. Certaines sont cassées, désolée, elle nous les montre et continue à vider le four.


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torio dotato di torni a pedale e manuali, numerosi strumenti ed un forno elettrico. Youssef è il mâalems-artisan del laboratorio, durante tutto l’anno si occupa di insegnare alle ragazze la lavorazione della ceramica; sono trent’anni che lavora la ceramica, ha fatto sempre questo nella sua vita, ci spiega orgoglioso. Nella zona da cui proviene, e nella maggior parte del Marocco, sono gli uomini a lavorare la ceramica, solo nel Nord del paese questa attività è svolta dalle donne; per questo tutti gli insegnanti di ceramica della scuola sono uomini, essi provengono da varie zone, ognuna caratterizzata da una propria produzione locale. A luglio gran parte delle ragazze che frequentano l’associazione lavora come stagionale nei numerosi alberghi e ristoranti della zona; per questo motivo al workshop partecipano solo due di loro e due assistenti di Youssef. L’associazione ci accoglie con molto affetto, dimostrandoci che credono molto nel nostro progetto. Gli studenti, dopo i primi giorni di “rodaggio” ad Ifrane Ali, si sentono molto più sicuri nel relazionarsi con gli artigiani e dopo un lungo brainstorming comincia la produzione. Gli artigiani ci accolgono nel laboratorio dimostrandoci la loro abilità al tornio con una gara: modellano l’argilla creando forme altissime incitandosi a vicenda e battendo le mani. Le ceramiche prodotte nel laboratorio sono molto diverse da quelle con cui abbiamo avuto a che fare nei giorni precedenti, sono ricchissime di colori e forma, decorate ad

23/28 juillet 2010 Romagna mia, Marocco mio Association Assaida Al Horra de M’diq – Région de Tanger-Tétouan Alors qu’à Ifrane Ali Fatima vide le four, à M’diq, les tours à pédale tournent au son de Romagna mia. Quelques étudiants sont restés pour finir les pièces au siège de l’Association Assaida al Horra qui nous accueille pour la deuxième partie de l’Atelier; pendant qu’ils peaufinent les pièces modelées au tour, les jeunes et les artisans entonnent à tour de rôle des chansons traditionnelles de leurs pays respectifs. A notre arrivée dans la cour de l’Association la scène qui s’offre à nous est la suivante : artisans et étudiants marocains qui polissent, décorent et retouchent pendant qu’ils s’exercent à chanter Romagna mia, sous la houlette des étudiantes italiennes, elles aussi occupées à retoucher leur pièces; on chante et on fête l’évènement : après trois jours de travail intense à M’diq toutes les pièces sont prêtes pour être cuites le lendemain. L’association Assaida Al Horra est un lieu très différent de la maison de Fatima à Ifrane Ali, elle se trouve à M’diq, petite ville à quelques kilomètres de Tétouan, station balnéaire bien connue de la côte méditerranéenne marocaine. C’est ici que beaucoup de marocains viennent passer les vacances. C’est la fin du mois de juillet et la saison bat son plein.


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L’Association s’occupe de droits des femmes et organise des cours de formation dans différents domaines, dont la poterie. Le siège de l’Association possède un grand laboratoire doté de tours à pédale et manuels, de nombreux outils et un four électrique. Youssef est le mâalems-artisan du laboratoire, tout au long de l’année il s’occupe d’enseigner aux jeunes filles le travail de la poterie ; il exerce ce métier depuis trente ans, c’est ce qu’il a toujours fait dans la vie, nous explique t’il avec fierté. Dans la région d’où il provient, et dans presque tout le pays, ce sont les hommes qui fabriquent la poterie ; ce n’est qu’au nord du Maroc que cette activité est pratiquée par les femmes. C’est pour cela que tous les enseignants de poterie de l’école sont des hommes; ils viennent de différentes régions, chacune ayant sa propre production locale. En juillet une grande partie des jeunes filles qui fréquentent l’association travaille dans les nombreux hôtels et restaurants de la zone, voilà pourquoi deux d’entre elles seulement participent à l’atelier outre deux assistantes de Youssef. L’association nous accueille très chaleureusement, en nous montrant qu’ils croient beaucoup à notre projet. Les étudiants sont beaucoup plus assurés dans leurs relations avec les artisans, après les premiers jours de rodage à Ifrane Ali, et après un long échange la fabrication commence. Les artisans nous accueillent dans le laboratoire, et nous montrent leur adresse sur les tours dans une sorte de concours : ils modèlent l’argile, créant des formes très hautes, en s’encourageant mutuellement et en tapant des mains. Les poteries fabriquées dans le laboratoire sont très différentes de celles auxquelles nous avons eu à faire lors des jours précédents: elles sont très riches au niveau de la forme et des couleurs, elles sont gravées et émaillées avec des motifs géométriques et des dessins de différentes sortes. Les formes et les décorations ne suivent pas un style typique local; dans de nombreux cas il s’agit de poteries artistiques, dans d’autres de simples expérimentations, dans d’autres encore de fabrication d’objets d’usage quotidien. Sur certaines pièces on remarque une forte contamination d’autres cultures qui prennent le pas sur les formes et les décorations traditionnelles. Si d’un côté cela nous permet de nous sentir plus libres de proposer des produits plus innovants par rapport à ceux de la tradition, de l’autre cela nous fait réfléchir sur la nécessité de réhabiliter et de valoriser cette tradition qui risque de se perdre et d’être remplacée par des éléments extérieurs. Particulièrement utile dans cette optique la visite au souk de Tétouan, au


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intaglio o smaltate con geometrie e disegni di vario tipo. Sia le forme che le decorazioni non si rifanno ad uno stile tipico locale: in molti casi si tratta di ceramiche artistiche, in altri di semplice sperimentazione, in altri ancora di produzione di oggetti per tutti i giorni. In alcuni pezzi si nota una forte contaminazione di culture che va a sostituire forme e decorazioni tradizionali. Se da un lato questo ci permette di sentirci più liberi di proporre prodotti con maggior livello di innovazione rispetto a quelli tradizionali, dall’altro ci fa riflettere sulla necessità di recuperare e valorizzare quella tradizione che rischia di perdersi e di essere sostituita da elementi esterni. Molto utile a questo scopo risulta la visita al souk di Tétouan, durante la quale abbiamo modo di osservare i prodotti tradizionali, valutarne la qualità e conoscerne i prezzi. La produzione è molto veloce, riusciamo a prototipare tutti i pezzi che avevamo selezionato all’inizio del workshop, decidiamo anche di provare a realizzare delle copie di alcuni dei prodotti realizzati ad Ifrane Ali per poter fare un confronto sui risultati. L’attrezzatura del laboratorio ci permette di produrre pezzi molto più complessi di quelli realizzati ad Ifrane Ali: un tavolo per henné di 80 cm di diametro (che però darà problemi in cottura), due set per the alla menta, uno più semplice ed uno molto elaborato le cui forme nascono della scrittura araba e numerosi piccoli oggetti legati soprattutto alle tradizioni locali – e non – del cibo. Molto interessante risulta anche il prodotto realizzato da due studenti – una italiana e uno marocchino – che progettano insieme un centro-tavola partendo da un’opera di arte contemporanea marocchina. I ragazzi decidono anche di realizzare due piatti del workshop sui quali incidono i nomi di tutti i partecipanti nelle due lingue e i nomi delle scuole e delle associazioni che hanno partecipato. Purtroppo negli ultimi due giorni il tempo non ci è favorevole e non riusciamo a vedere i prodotti smaltati prima della partenza, la pioggia e l’umidità rallentano i tempi di seccaggio e lasciamo l’associazione vedendo i prodotti appena usciti dal forno e non smaltati. Decidiamo di far smaltare i prodotti di bianco inserendo dei dettagli nei colori tipici della ceramica di Tétouan – azzurro, verde, nero e ocra – per creare un riferimento con la tradizione locale, ma, in seguito – per semplificare il lavoro agli artigiani e rendere i prodotti più omogenei – preferiamo utilizzare solo uno di questi, l’azzurro, il colore che prevale nella tradizione mediterranea e che è diffuso su tutto il territorio marocchino. La smaltatura avverrà dopo la nostra partenza, e ci riserverà qualche sorpresa, che in alcuni casi si rivelerà più che positiva: i difetti di smaltatura hanno creato su alcuni oggetti un interessante effetto, il vaso progettato da una delle studentesse italiane, appare quasi impreziosito dai difetti della superficie.

cours de laquelle nous avons eu l’occasion d’observer les produits traditionnels, en évaluer la qualité et en connaître les prix. La fabrication est très rapide de sorte que nous arrivons à réaliser les prototypes de toutes les pièces que nous avions sélectionnées au début de l’Atelier; nous décidons également d’essayer de faire des copies de certains produits réalisés à Ifrane Ali afin de confronter les résultats. L’équipement du laboratoire nous permet de réaliser des pièces beaucoup plus complexes que celles faites à Ifrane Ali: une table de henné de 80 cm de diamètre (qui cependant donnera des problèmes à la cuisson), deux services à thé à la menthe, un assez simple et l’autre plus élaboré, dont les formes naissent de l’écriture arabe, et de nombreux petits objets liés surtout aux traditions locales – et autres – de la nourriture. Autre produit très intéressant, un projet réalisé par deux étudiants – une italienne et un marocain – d’un centre de table inspiré d’une œuvre d’art contemporain marocain. Les jeunes décident aussi de réaliser deux plats pour commémorer l’atelier, sur lesquels ils gravent les noms de tous les participants dans les deux langues et les noms des écoles et des associations qui ont participé. Malheureusement pendant les deux derniers jours le temps ne nous est pas favorable, et nous n’arrivons pas à voir les produits émaillés avant le départ, la pluie et l’humidité ralentissent le processus de séchage et nous quittons l’association en ayant vu les produits juste sortis du four mais non émaillés. Nous décidons de faire vernir les produits en blanc, en ajoutant les détails dans les couleurs typiques de la poterie de Tétouan – bleu ciel, vert, noir et ocre – afin de créer un lien avec la tradition locale, mais par la suite – pour simplifier le travail des artisans et rendre les produits plus homogènes – nous préférons utiliser seulement une de ces couleurs, le bleu azur, la couleur dominante dans la tradition méditerranéenne et qui est répendu sur une partie du territoire marocain. L’émaillage aura lieu après notre départ et nous réservera quelques surprises, dans certains cas très positives: les défauts de vernissage ont créé sur certains objets un effet intéressant; le vase conçu par une des étudiantes italiennes, semble encore plus précieux grâce aux défaut de la surface.


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Conclusioni Probabilmente più che di conclusioni dovremmo parlare di introduzioni dato che immaginiamo questa esperienza come una scintilla che possa contribuire al miglioramento delle condizioni di vita degli artigiani, alla presa di coscienza delle loro capacità e alla valorizzazione delle loro tradizioni, processi che possono avvenire solo nel momento in cui vengono portati avanti e condivisi dalla comunità stessa. “Focalizzare l’individuo sulla comunità ed incoraggiare la popolazione a lavorare in gruppo, facendo sì che l’interesse generale venga prima dei bisogni privati, era una millenaria tradizione nel Marocco degli amazigh, uomini che ci tenevano a rimanere liberi.” (Fatema Mernissi, 2004)

Conclusions Plus que de conclusions nous devrions parler d’introductions étant donné que nous envisageons cette expérience comme une «étincelle» qui puisse contribuer à l’amélioration des conditions de vie des artisans, à la prise de conscience de leurs capacités et à la valorisation de leurs traditions, processus qui ne peuvent avoir lieu qu’à partir du moment où ils sont pris en charge et partagés par la communauté elle-même. «Focaliser l’individu sur la communauté et encourager la population à travailler en groupe, en faisant en sorte que l’intérêt général passe avant les besoins individuels, était une tradition millénaire du Maroc des Amazigh, des hommes qui avaient à cœur de rester libres.» (Fatema Mernissi, 2004)


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Tra formale e informale: sentieri di upgrading delle attività informali artigiane di Oued Laou Entre formel et informel: pistes de revalorisation des activités artisanales informelles de Oued Laou Enrico Testi

Direttore Esecutivo laboratorio ARCO (Action Research for CO-development) Directeur Exécutif Laboratoire ARCO (Action Research for CO-development)


Le secteur informel comprend l’ensemble des activités économiques non gérées par les institutions légales et les lois en vigueur, et/ou celles qui sont organisées de façon différente par rapport aux activités qui caractérisent les activités économiques typiques d’une économie «moderne»1. Les activités du secteur informel peuvent être regroupées en deux groupes : celui des activités non avancées, l’agriculture vivrière, et les activités non agricoles à faibles revenus ; et un groupe contenant les activités plus avancées comme les petites et micro-entreprises, tant dans les zones urbaines qu’en zone rurale. Penser à l’économie informelle comme une économie résiduelle et détachée de l’économie formelle peut susciter des malentendus ; les deux types d’économie sont en effet fortement reliés entre eux, au point que l’expansion-réduction de l’une influence l’expansion-réduction de l’autre d’une façon non antagoniste la plupart du temps. Par exemple une augmentation de travailleurs (ou de revenu) dans le secteur formel peut provoquer une expansion du secteur informel par le biais de la création de services aux personnes, comme les rickshaws, les cireurs de chaussures, les vendeurs ambulants etc…, ou aux entreprises, au moyen de la sous-traitance de la part du secteur formel de parties de la production. Le rôle du secteur informel va donc bien au-delà de la simple subsistance, en effet, suivant les différentes formes qu’il prend2, il peut engendrer des emplois; réduire la pauvreté (à travers des salaires et la diversification des sources de revenu); fabriquer des produits; étendre les opportunités d’échange interne/domestique; former des chefs d’entreprise émergents; développer les ressources humaines locales; transformer les économies en investissements; accroître les compétences et la production orientée vers la satisfaction de la demande locale3. L’économie informelle marocaine se décline en différents secteurs productifs et contribue d’après les estimations1, à près de 40% de la formation du PIB. Parmi les secteurs productifs où il y a une plus grande présence d’économie informelle on trouve celui du bâtiment, de l’artisanat et de l’agriculture. La situation des 200 artisanes de Oued Laou dans la région de Tanger-Tétouan4, qui fabriquent des objets en terre cuite, est principalement celle d’une activité génératrice de revenu non assimilable encore à la microentreprise, bien qu’elle présente des caractéristiques qui pourraient faciliter un passage (upgrading) de la première à la seconde.

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Il settore informale è composto dall’insieme di quelle attività economiche non governate da istituzioni legali e leggi in vigore e/o quelle organizzate in maniera differente rispetto alle attività che caratterizzano le attività economiche tipiche di una “moderna” economia1. Le attività del settore informale possono essere raggruppate in due gruppi: un gruppo costituito dalle attività non avanzate, agricoltura di sussistenza e attività non agricole a basso reddito; e un gruppo contenente le attività più avanzate come le micro e piccole imprese, sia nelle aree urbane sia in quelle rurali. Pensare all’economia informale come residuale e staccata dell’economia formale può essere fuorviante. I due tipi di economia sono infatti fortemente collegati tra loro, tanto che l’espansione-riduzione di una influenza l’espansione-riduzione dell’altra in modo, il più delle volte, non antagonistico. Ad esempio un aumento di lavoratori (o di reddito) nel settore formale può portare ad un’espansione del settore informale tramite la creazione di servizi rivolti alle persone, come i risciò, pulisci scarpe, venditori ambulanti etc., o alle imprese tramite la sub-fornitura da parte del settore formale di parti di produzione. Il ruolo del settore informale quindi va ben oltre la semplice sussistenza, esso infatti, conformemente alle varie forme che assume2, può generare occupazione; ridurre la povertà (tramite salari da lavoro e la diversificazione delle fonti di reddito); creare prodotti; espandere le opportunità di scambio interno/domestico; formare imprenditori emergenti; sviluppare le risorse umane locali; trasformare i risparmi in investimenti locali; accrescere le competenze e la produzione orientata alla soddisfazione della domanda locale3. L’economia informale marocchina si articola lungo diversi settori produttivi e contribuisce, secondo alcune stime, tra il 20% e il 40% alla formazione del PIL. Tra i settori produttivi in cui vi è una maggiore presenza di economia informale si annoverano quello delle costruzioni, l’artigianato e l’agricoltura. La realtà delle circa 200 artigiane di Oued Laou nella regione di Tanger-Tétouan4, che producono oggetti di terracotta, è, seguendo le caratteristiche elencate nella Tabella 1, principalmente un’attività generatrice di reddito non ancora assimilabile alla micro-impresa anche se esistono alcuni presupposti che potrebbero facilitare un upgrading dalla prima alla seconda.


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Caratteristiche distintive delle attività generatrici di reddito e microimprese

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attività generatrici di reddito

microimprese

1. Scarsi o nulli reinvestimenti 2. L’attività si fonde con l’economia domestica 3. Forza lavoro familiare 4. Scarsi o nulli investimenti sull’ambiente di lavoro 5. Tecnologia tradizionale 6. Scarse o nulle strutture fisse 7. Occupazione del proprietario a part-time o stagionale 8. Competenze tradizionali 9. Scarso o nullo livello scolastico 10. Contabilità scritta scarsa o assente 11. Attività non registrate legalmente quindi evasione fiscale e contributiva

1. Bassi reinvestimenti 2. Tendenza alla separazione tra attività economica e economia domestica 3. Forza lavoro familiare, apprendisti e lavoro salariato 4. Tendenzialmente pochi investimenti sull’ambiente di lavoro 5. Tecnologia obsoleta 6. Poche e moderate strutture fisse 7. Occupazione full-time 8. Competenze di livello medio-alto 9. Livello scolastico medio-basso 10. Contabilità scritta scarsa 11. Spesso le attività non sono legalmente registrate quindi mancanza di pagamento delle tasse

Fonte: Chiara Benvegnù, Università di Parma, Lezioni di micro-finanza

Nel seguente schema sono riassunte alcune delle peculiarità delle attività generatrici di reddito delle artigiane della zona di Oued Laou riscontrate durante la missione5: Caratteristiche delle attività generatrici di reddito delle artigiane di Oued Laou Forza lavoro impiegata

1-2 persone della famiglia di sesso femminile per la parte di produzione, 1-2 persone della famiglia di sesso maschile per la vendita.

Organizzazione

L’organizzazione del lavoro è su base familiare, le artigiane non hanno interesse ad unirsi in una cooperativa o a specializzarsi su di un prodotto (dato che sarebbe molto più rischioso per loro).

Caractéristiques des activités génératrices de revenu et micro-entreprises activités génératrices de revenu micro-entreprises 1. Investissements rares ou nuls 2. L’activité est basée sur l’économie domestique 3. Main d’œuvre familiale 4. Investissements rares ou nuls dans l’environnement de travail 5. Technologie traditionnelle 6. Équipements fixes rares ou nuls 7. Emploi du propriétaire à temps partiel ou temporaire 8. Compétences traditionnelles 9. Niveau scolaire faible ou nul 10. Comptabilité écrite faible ou absente 11. Activité non enregistrée légalement, donc évasion fiscale et sociale

1. Faibles réinvestissements 2. Tendance à la séparation entre activité économique et économie domestique 3. Main d’œuvre familiale, apprentis et travail salarié 4. Tendance à peu investir dans l’environnement de travail 5. Technologie obsolète 6. Équipements fixes rares et modérés 7. Emploi à plein temps 8. Compétences de niveau moyenélevé 9. Niveau scolaire moyen-faible 10. Comptabilité écrite rare 11. Souvent les activités ne sont pas légalement enregistrées donc défaut de paiement des impôts

Source: Chiara Benvegnù, Université de Parme, Leçons de micro-finances

Dans le schéma suivant sont résumées quelques particularités des activités génératrices de revenu des artisanes de la zone de Oued Laou, observées pendant la mission5. Caractéristiques des activités génératrices de revenu des artisanes de Oued Laou Main d’œuvre employée

Materie prime Argilla

Estratta localmente dalle donne in buche e tunnel molto rischiosi.

Organisation

Legno per forno

Procurato da uomini, spesso non della famiglia, in altre zone. Il legno è ginepro, sembra che non vengano abbattuti alberi ma si usino piante ormai secche.

Matières premières

Specifiche della produzione

La terra viene preparata a mano, la produzione non utilizza torni moderni, si usano forni fatti di terra per cuocere l’argilla. Circa il 20%-30% dei prodotti si rompe durante la cottura. Nei mesi invernali la produzione si ferma per mancanza di sole.

1-2 personnes de la famille de sexe féminin pour la partie production, 1-2 personnes de la famille de sexe masculin pour la vente L’organisation du travail est fondé sur la famille, les artisanes n’ont pas intérêt à se regrouper en coopérative ou à se spécialiser sur un produit (car ce serait beaucoup plus risqué pour elles).

Argile

Extraite localement par les femmes dans des trous et des tunnels dangereux.

Bois de chauffe

Procuré par les hommes, souvent externes à la famille, dans d’autres zones. Le bois est du bois de genévrier, bien qu’il ne semble pas que l’on abatte les arbres mais que l’on utilise des arbres devenus secs.


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Earth/Lands Terra/terre A quatre mains et plus


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Specifiche del prodotto

I prodotti sono standardizzati con differenze minime da produttore a produttore. Scarsa o nessuna innovazione di design.

Distribuzione

Parte della produzione venduta direttamente al mercato locale (principalmente dai membri maschi della famiglia), una parte tramite intermediari e una parte minima tramite lo showroom di ADEO.

Fonte: elaborazione dell’autore

Le artigiane sono affiancate dall’organizzazione non governativa ADEO (Association de Développement et de Protection de l’Environnement de Oued Laou et de son Bassin Versant) che dà loro la possibilità di vendere i propri oggetti ai turisti o al mercato locale attraverso lo showroom dell’organizzazione. La presenza di un’organizzazione di raccordo ed erogatrice di servizi specifici può essere uno dei fattori che rendono possibile un upgrading da un’attività artigiana come attività generatrice di reddito a microimpresa artigiana. Infatti, in un’ottica di upgrading delle attività delle artigiane di Oued Laou, è possibile delineare i seguenti percorsi di sviluppo6 A,B,C. Il percorso A parte da un rafforzamento organizzativo di ADEO, il percorso B da un miglioramento del prodotto (qualità, design etc.) e il percorso C da un aumento o cambiamento dei fattori produttivi. A

B Rafforzamento organizzativo di ADEO

Diminuire ricorso agli intermediari

Miglioramento del prodotto

Commesse esterne dal mercato formale

Vendita sui mercati esteri formali

Vendita su mercato locale prodotti a maggior valore aggiunto

Aumento di reddito

Aumento di produzione

Messa in sicurezza dei tunnel di estrazione, servizi di microcredito e microassicurazione

Figura 1. Possibili sentieri di upgrading delle attività informali delle artigiane di Oued Laou Fonte: elaborazione dell’autore

Nuovi addetti C

Nuovi sistemi di produzione

Spécifications de la production

La terre est préparée à la main, la fabrication ne prévoit pas de tours modernes, on utilise des fours faits en terre pour cuire l’argile. Près de 20 à 30% des produits se cassent au cours de la cuisson. Pendant les mois d’hiver elle est préparée à la main, la fabrication s’arrête par manque de soleil.

Spécifications produit

Les produits sont standardisés avec des différences minimes d’un fabricant à l’autre. Rares sont les innovations au niveau du design.

Distribution

Une partie de la production est écoulée directement sur le marché local (principalement par les membres masculins de la famille), une partie à travers des intermédiaires et une partie minime à travers le showroom d’ADEO.

Source: élaboration de l’auteur

Les artisanes sont accompagnées par l’organisation non gouvernementale ADEO (Association de Développement et de Protection de l’Environnement de Oued Laou et de son Bassin Versant) qui leur donne la possibilité de vendre leurs objets aux touristes ou sur le marché local à travers l’espace d’exposition de l’association. La présence d’une organisation de raccordement qui apporte des services spécifiques peut être l’un des facteurs qui rendent possible la revalorisation d’une activité artisanale qui génère un revenu à une micro-entreprise artisanale. En effet, dans une optique de revalorisation des activités des artisanes de Oued Laou, on peut imaginer les parcours de développement6 A,B,C. Le parcours A part d’un renforcement de l’organisation d’ADEO, le parcours B d’une amélioration du produit (qualité, design etc ) et le parcours C d’une augmentation ou d’un changement des facteurs de production. Le parcours C, qui voit dans l’augmentation des facteurs de production la façon d’augmenter la production et le revenu, se heurte au fait qu’une plus grande production ne se traduit pas automatiquement en une augmentation de revenu puisque le marché pourrait ne pas être prêt à absorber un plus grand nombre de produits standardisés. Une production plus importante devrait donc être accompagnée d’une intervention d’amélioration/diversification du produit. De plus, le fait de se doter de nouveaux systèmes de production ou de nouveaux employés pourrait ne pas être possible à cause du credit-constraint auquel les familles de la zone sont assujetties (dans le cas d’achat de machines ou du paiement de personnel n’appartenant pas à la famille) et des bar-


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Il percorso C, che vede nell’aumento dei fattori produttivi il modo per aumentare la produzione e il reddito, si scontra con il fatto che una maggiore produzione non necessariamente si traduce in un aumento di reddito dato che il mercato potrebbe non essere pronto ad assorbire un maggior numero di prodotti tutti standardizzati. La maggior produzione quindi dovrebbe accompagnarsi ad un intervento di miglioramento/diversificazione del prodotto. Inoltre il dotarsi di nuovi sistemi di produzione o di nuovi addetti potrebbe non essere possibile a causa del credit-constraint cui sono soggette le famiglie delle zona (nel caso dell’acquisto di macchinari o del pagamento di personale al di fuori della famiglia) e delle barriere culturali (gli uomini della famiglia non producono gli oggetti in terracotta). Nel percorso B l’intervento sul design diventa una delle strategie fondamentali dato che permette da un lato di rivolgersi ad una clientela più attenta all’aspetto del prodotto in Marocco, dall’altro, in una prospettiva di rafforzamento organizzativo dell’associazione ADEO (percorso A), rappresenta anche una possibilità di accesso ai clienti dei mercati internazionali. Il percorso B senza il percorso A è comunque destinato ad influire poco sul reddito e il benessere delle artigiane. Infatti queste, non potendo accedere ai mercati internazionali, sono costrette a rivolgersi essenzialmente al mercato locale e, nel far questo, a fare affidamento, nella maggior parte dei casi, agli intermediari. Gli intermediari sono uno dei motivi di mancato sviluppo di queste attività poiché, appropriandosi di gran parte del valore dei beni commerciati, non consentono né l’accumulazione di capitale né gli investimenti. Inoltre gli intermediari fungono anche da prestatori di denaro durante il periodo invernale in cui le donne sono inattive ed hanno bisogno di credito per far fronte alle spese del nucleo familiare. Il percorso A, invece, seppur più ambizioso, avrebbe sicuramente un maggiore impatto sulla vita delle artigiane. Poiché queste non sono interessate ad auto-organizzarsi in cooperative o in altre forme organizzative e non intendono (o non possono, o non gli è consentito) lavorare fuori dalla propria abitazione, l’organizzazione potrebbe fungere da intermediario, a condizioni più vantaggiose per le artigiane, erogando allo stesso tempo servizi di micro-finanza e micro-assicurazione. Il vantaggio di erogare questi servizi per l’organizzazione è rappresentato sia dalla prossimità con le artigiane e dalla loro consapevolezza, sia dalla conoscenza del loro potenziale produttivo e del reddito da loro ottenibile (dato che queste venderebbero all’organizzazione). In questo caso non vi sarebbe bisogno di preoccuparsi, almeno in un primo momento, della possibilità di trovare mercato per un maggior numero di prodotti come nel percorso C dato che questi, solitamente, vengono già venduti sul mercato locale dagli intermediari. L’organizzazione potrebbe anche facilitare l’accesso ai mercati internazionali. Nel caso A i problemi sono rappresentati da un lato dal dotare l’organizzazione di professionalità adatte e dedicate alla commercializzazione, dall’altro dalla prevedibile opposizione

Figure 1. Parcours possible de revalorisation des activités informelles des artisanes de Oued Laou. Source: élaboration de l’auteur

rières culturelles (les hommes de la famille ne fabriquent pas d’objets en terre cuite). Dans le parcours B, l’intervention sur le design devient une des stratégies fondamentales car il permet d’un côté de s’adresser à une clientèle plus attentive à l’aspect du produit au Maroc, d’autre part, dans une perspective de renforcement de l’organisation de la part de l’association ADEO (parcours A), cela représente aussi une possibilité d’accéder aux clients des marchés internationaux. Le parcours B sans le parcours A est de toutes façons destiné à n’influencer que peu le revenu et le bien-être des artisanes. En effet celles-ci ne pouvant pas accéder aux marchés internationaux sont obligées de s’adresser essentiellement au marché local et pour cela à se fier dans la plupart des cas aux intermédiaires. Les intermédiaires sont l’un des obstacles au développement de ces activités, car en s’appropriant d’une grande valeur des biens commercialisés, ils ne permettent ni l’accumulation de capital ni les investissements. En outre les intermédiaires servent aussi de prêteurs d’argent pendant la période d’hiver où les femmes sont inactives et ont besoin d’emprunter pour faire face aux dépenses du ménage. Le parcours A par contre, bien que plus ambitieux, aurait certainement un plus grand impact sur la vie des artisanes. Puisque celles-ci ne sont pas intéressées à l’autogestion en coopératives ou autres formes d’organisation, et n’ont pas l’intention (ou ne peuvent pas, ou n’y sont pas autorisées) de travailler en-dehors de chez elles, l’organisation pourrait servir d’intermédiaire, à des conditions plus avantageuses pour les artisanes, en apportant en même temps des ser-


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Franco Volpi, Le attività informali nei PVS, Università degli Studi di Firenze, Mimeo, 1995. Per più ampie informazioni vedi / Pour de plus amples reinsegnements voir: Nicolò Bellanca, Mario Biggeri, Renato Libanora, Mariano Pavanello, Le forme dell’economia e l’economia informale, Editori Riuniti Università Press, Roma 2008. 3 Mario Biggeri, “Attività informali e cluster come strategia di sviluppo e di lotta alla povertà in Africa sub-sahariana”, ivi. 4 M. Richard Walther, La formation professionnelle en secteur informel: Rapport sur l’enquête terrain au Maroc, Document de travail, Agence Française de Développement, Paris, 2006. 5 La missione si è svolta dal 18 al 28 luglio 2010 all’interno dell’ Accordo di Programma Quadro “Programma di sostegno alla cooperazione regionale - Paesi del Mediterraneo” Linea 2.1 Marocco. Progetto Integrato “Sviluppo dei Saperi artigianali tradizionali e Integrazione dei sistemi produttivi in Italia e Marocco”. In collaborazione con: Sviluppo Toscana Spa e Regione Toscana, finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero degli Affari Esteri. La mission s’est déroulée du 18 au 28 juillet 2010 conformément à l’accord de programme cadre “Programme d’appui à la coopération régionale – Pays de la Méditerranée” Ligne 2.1 Maroc. Projet Intégré Développement des Savoir-faire traditionnels et Intégration des systèmes productifs en Italie et au Maroc ». en collaboration avec : Sviluppo Toscana Spa et Région Toscane, financé par le Ministère du Développement Économique et Ministère des Affaires Étrangères. 6 I percorsi sono stati identificati durante una breve missione di campo e non sono quindi esaustivi né tengono conto di tutte le variabili. Per fare ciò sarebbe necessario uno studio più approfondito che per ragioni di tempo non è stato possibile condurre. Les parcours ont été identifiés lors d’une brève mission sur le terrain et ne sont donc pas exhaustifs, ils ne tiennent pas compte de toutes les variables. Pour cela il faudrait faire une étude approfondie qu’il n’a pas été possible de mener. 1 2

vices de micro-finance et de micro-assurance. L’avantage d’apporter ces services pour l’organisation consiste en la proximité avec les artisanes et le fait de les connaitre, ainsi que dans la connaissance de leur potentiel productif et du revenu qu’elles peuvent générer (puisque celles-ci vendraient à l’organisation). Dans ce cas nul besoin dans un premier temps de se préoccuper de la possibilité de trouver des débouchés pour un plus grand nombre de produits, comme dans le parcours C, puisque ceux-ci sont déjà vendus habituellement sur le marché local par les intermédiaires. L’organisation pourrait aussi faciliter l’accès aux marchés internationaux. Dans le cas A le problème consiste d’une part à doter l’organisation de figures professionnelles adéquates et dédiées à la commercialisation et d’autre part à faire face à l’opposition prévisible des intermédiaires. Le parcours A aurait aussi l’avantage de faire en sorte que l’organisation, en fournissant des services de micro-assurance, s’intéresse activement aux risques liés au travail des artisanes (par exemple les tunnels dangereux d’où elle extraient l’argile). De plus l’organisation pourrait développer des services annexes (comme l’instruction, la fourniture de services sanitaires de base) pour faire en sorte que le développement économique soit accompagné d’un développement humain et durable. Dans ces pistes de développement, quoique seulement esquissées, le rôle du secteur formel est évident car le rapport avec ce dernier permet d’accéder à un revenu supérieur. Il est évident que pour les activités artisanes de Oued Laou du moins, quelques canaux formels, surtout les plus rentables, présentent des barrières à l’entrée qui ne peuvent être surmontées par les artisanes elles-mêmes qu’en mettant sur pied un canal formel (représenté par l’organisation) qui agisse dans leur intérêt et qui représente de fait, du moins pendant les premières années de transition des activités génératrices de revenu à micro-entreprises, le maillon manquant entre secteur informel et secteur formel.

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degli intermediari. Il percorso A avrebbe anche il vantaggio di far sì che l’organizzazione, fornendo servizi micro-assicurativi, si interessi attivamente anche dei rischi legati al lavoro della artigiane (ad esempio i pericolosi tunnel da cui queste estraggono l’argilla). Inoltre l’organizzazione potrebbe sviluppare servizi accessori (come istruzione, fornitura di servizi sanitari di base) per far sì che ad uno sviluppo economico si accompagni uno sviluppo umano e sostenibile. In questi sentieri di sviluppo, seppur abbozzati, è evidente il ruolo del settore formale in quanto il rapporto con questo consente di accedere ad un maggiore reddito. È chiaro che almeno per le attività artigiane di Oued Laou alcuni canali formali, soprattutto i più redditizi, presentano delle barriere all’ingresso che non possono essere superate dalle singole artigiane se non attivando un canale formale (rappresentato dall’organizzazione) che agisca nel loro interesse e che di fatto rappresenti, almeno nei primi anni di transizione da attività generatrici di reddito a micro-imprese, l’anello di raccordo tra settore informale e settore formale.


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Le mani e l’intelletto Les mains et l’intellect Alice Cappelli Designer


Par elles l’homme prend contact avec la dureté de la pensée. Elles dégagent le bloc. Elles lui imposent une forme, un contour et, dans l’écriture même, un style. […] Mais les voyants eux aussi ont besoin de leurs mains pour voir, pour compléter par le tact et par la prise la perception des apparences […] L’action de la main définit le creux de l’espace et le plein des choses qui l’occupent. Surface, volume, densité, pesanteur ne sont pas des phénomènes optiques. C’est entre les doigts, c’est au creux des paumes que l’homme les connut d’abord. L’espace, il le mesure, non du regard, mais de sa main et de son pas. Le toucher emplit la nature de forces mystérieuses. Sans lui elle restait pareille aux délicieux paysages de la chambre noire, légers, plats et chimériques.

Henri Focillon1

A quatre mains et plus renferme la pensée de Henri Focillon en arrivant à toucher avec les mains le vide d’un espace moins dimensionnel que culturel de notre temps, en nous montrant comment, en fait, celui-ci peut être un lieu de rencontre et d’échange. Comme le sociologue et philosophe Zygmunt Bauman nous le rappelle dans La vie liquide, que la place a toujours été l’un de ces espaces, à partir de l’Agorà de la Grèce antique où se déroulait la vie sociale de la polis, lieu caractérisé aujourd’hui en revanche par des processus d’exclusion, des limitations, des peurs et non par les échanges culturels et de pensée qui l’ont toujours caractérisée. Le monde globalisé a fait de la place un concept plus ample, hors échelle, qui ne se distingue plus par sa forme ou sa taille mais par des flux internes matériels et immatériels au niveau mondial. Un scénario qui permet des connexions inédites entre plusieurs territoires avec la possibilité de construire des réseaux aussi bien économiques que culturels fondés sur l’échange et la croissance réciproque. Concept qui toutefois semble presque utopique si par contre nous nous mettons à raisonner sur la réalité des faits: les filières créées dans ce contexte se sont concentrées sur la délocalisation des ressources dans des pays où elles trouvent un avantage économique. Et voilà la création de notre espace vide à explorer pour ses opportunités cachées. Le regard se tourne vers l’autre à des fins purement capitalistes, avec exploitation des ressources, tant humaines que natu-

A quatre mains et plus racchiude il pensiero di Henri Focillon riuscendo a toccare con le mani il vuoto di uno spazio non tanto dimensionale ma culturale dei nostri giorni, mostrandoci come in realtà esso può essere luogo di incontro e di scambio. Come il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman ci ricorda nel suo Modernità liquida, la piazza è sempre stata uno di questi spazi, a partire dall’Agorà dell’antica Grecia dove si svolgeva la vita sociale della polis, e luogo ad oggi caratterizzato invece da processi di esclusione, limitazioni, paure e non dagli scambi culturali e di pensiero che l’hanno sempre connotata. Il mondo globalizzato ha reso la piazza un concetto più grande, fuori scala, non più contraddistinto da forma o dimensione ma da flussi interni materiali e immateriali a livello globale. Uno scenario che permette connessioni inedite tra più territori con la possibilità di costruire reti sia economiche che culturali fondate sullo scambio e la crescita reciproca. Sembra però un concetto quasi utopico se invece ci fermiamo a ragionare su quale è la realtà dei fatti: le filiere create in questo contesto si sono concentrate sulla delocalizzazione delle risorse in paesi in cui trovano un vantaggio economico. Ed ecco la creazione del nostro spazio vuoto da esplorare per le sue opportunità oscurate. Lo sguardo si rivolge verso l’altro per scopi puramente capitalisti, con sfruttamento delle risorse, sia umane che naturali, e i cui valori guida delle scelte sono puramente economici ed etnocentrici, sminuendo così le vere ricchezze di interi pae-

Henri Focillon1

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Grazie ad esse l’uomo prende contatto con la dura consistenza del pensiero, arriva a forzarne il blocco. Sono le mani ad imporne una forma, un contorno, e, nella scrittura, uno stile. […] Anche i vedenti hanno bisogno delle mani per vedere, per completare attraverso il tatto e la presa la percezione delle apparenze. […] L’azione della mano definisce il vuoto dello spazio e il pieno delle cose che lo occupano. Superficie, volume, densità, peso, non sono fenomeni ottici. L’uomo li riconosce innanzitutto tra le dita, sul palmo della mano. Lo spazio non si misura con lo sguardo, ma con la mano e il passo. Il tatto colma la natura di forze misteriose. Se il tatto non esistesse, infatti la natura apparirebbe simile ai deliziosi paesaggi della camera oscura, lievi, piatti e chimerici.


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si, la loro potenzialità e la loro identità. Tutto questo avviene ignorando i piccoli sistemi locali, le loro necessità e possibili scelte con il risultante appiattimento delle differenze culturali in assenza di un confronto capace di arricchire economicamente e socialmente entrambe le parti in causa. Le nuove forme di produzione e di rapporti umani sono anonime, mutevoli, effimere. Una condizione umana in cui “nulla è destinato a durare, sopratutto per sempre: gli oggetti e le persone utili e indispensabili oggi sono i rifiuti di domani”2 . Si figura così il passaggio da una una società di consumi ad una società di oggetti di consumo, in cui gli individui stanno perdendo la capacità di analisi critica e di interazione con gli altri individui. Nascono dunque il desiderio e il riavvicinamento all’idea di comunità, come forma di identificazione da parte della persona e luogo nel quale si trova riparo dalle incertezze moderne. Forme di aggregazione dentro alle quali l’individuo torna ad essere critico e spesso usando proprio il consumo che da soggetto di critica si trasforma in oggetto di critica. Uno strumento individuale tramite il quale si afferma l’identità del consumatore stesso ma con una ricaduta rispetto alle problematiche di interesse collettivo: diritti umani, ambiente, sviluppo sostenibile, ingiustizia sociale ed economica. Un’evoluzione di campagne boycott, legate ad un’élite politicoculturale ben precisa e maggiormente coinvolta per praticare l’azione, in azioni economiche di buycott con un ampliamento di fasce sociali più o meno abbienti e di diverso

relles, et dont les valeurs inspirant les choix sont purement économiques et ethnocentriques, diminuant ainsi les véritables richesses de pays entiers, leur potentiel et leur identité. Tout cela advient au mépris des petits systèmes locaux, de leurs besoins et des choix possibles, d’où un nivellement des différences culturelles en l’absence d’une confrontation apte à enrichir économiquement et socialement les deux parties en cause. Les nouvelles formes de production et de rapports humains sont anonymes, changeantes, éphémères. Une condition humaine dans laquelle «rien n’est destiné à durer, surtout pour toujours: les objets et les personnes utiles et indispensables aujourd’hui sont les déchets de demain»2. C’est ainsi que se dessine le passage d’une société de consommation à une société d’objets de consommation, dans laquelle les individus sont en train de perdre leur capacité d’analyse critique et d’interaction avec les autres individus. On voit alors pointer le désir et le rapprochement de l’idée de communauté, comme forme d’identification de la personne et lieu dans lequel elle peut se mettre à l’abri des incertitudes modernes. Formes d’agrégation dans lesquelles l’individu redevient critique et souvent en utilisant justement la consommation qui de sujet de critique se transforme en objet de critique. Un instrument individuel par lequel on affirme l’identité du consommateur lui-même mais avec une retombée par rapport aux problèmes d’inté-


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raggruppamento sociale. Il consumo trasmette sempre più l’identità dell’individuo, l’individualismo si combina con la solidarietà e sopratutto l’individuo torna ad essere critico ed ad interagire con ciò che lo circonda definendo così se stesso e gli altri. Questo ci deve portare a riflettere su come, in realtà, il consumAttore si trova alla fine della filiera di produzione e come in realtà non bastano le decisioni di un consumatore per ricostruire una società che si riappropri delle capacità di analizzare, pensare e valutare criticamente rispetto a quanto avviene nel mondo e nella società globale. Questo deve avvenire alla radice, deve essere discusso e affrontato nei luoghi in cui si forma parte della società e della sua cultura: l’Università. A quatre mains et plus ci porta a riflettere proprio su queste tematiche affrontate presentandoci un lavoro che include una sinergia di saperi, l’artigianato e il design, all’interno del flusso culturale universitario. Non si presenta un antidoto ma un’esperienza capace di far riflettere su molti aspetti della nostra attuale società e quindi in grado di riportare i giovani ad un pensiero critico con l’ausilio della cultura. Un progetto di collaborazione in cui Università e Istituzioni, Design e Artigianato mettono in gioco la loro potenzialità in un processo creativo come luogo di incontro tra culture che dialogano, creano, evolvono rafforzando il know-how dei soggetti e l’identità territoriale: l’artigianato come veicolo culturale, il design come metodo di identificazione e di innova-

rêt collectif: droits de l’homme, environnement, développement durable, injustice sociale et économique. Une évolution de campagnes boycott, liées à une élite politico-culturelle bien précise et plus impliquée pour pratiquer l’action, dans des actions économiques de buycott avec un élargissement de couches sociales plus ou moins aisées et de la part de groupes sociaux différents. La consommation transmet de plus en plus l’identité de l’individu, l’individualisme se combine avec la solidarité et surtout l’individu recommence à être critique et à interagir avec ce qui l’entoure en définissant ainsi lui-même et les autres. Cela doit nous conduire à réfléchir à la façon dont, en réalité, le consumAttore (consommateur/acteur) se trouve au bout de la filière de production et comment en fait les décisions d’un consommateur ne suffisent pas pour reconstruire une société qui se réapproprie des capacités d’analyser, de penser et d’évaluer de façon critique par rapport à ce qui se passe dans le monde et dans la société mondiale. Ceci doit avoir lieu à la racine, cela doit être discuté et affronté dans les lieux où se forme une partie de la société et de sa culture: l’Université. A quatre mains et plus nous amène à réfléchir sur ces thèmes traités en nous présentant un travail qui inclut une synergie de savoir-faire, l’artisanat et le design, au sein du flux culturel universitaire. On ne présente pas


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un antidote mais plutôt une expérience apte à faire réfléchir sur de nombreux aspects de notre société actuelle et donc en mesure de renvoyer les jeunes à une pensée critique au moyen de la culture. Un projet de collaboration dans lequel Universités et Institutions, Design et Artisanat mettent en jeu leur potentiel dans un processus créatif comme lieu de rencontre entre cultures qui dialoguent, créent, évoluent en renforçant le savoirfaire des sujets et l’identité territoriale : l’artisanat comme véhicule culturel, le design comme méthode d’identification et d’innovation des spécificités locales et l’université comme pont entre la connaissance locale et le système mondial. L’artisanat redécouvre un rôle déterminant pour une identité locale retrouvée. Chaque partie du monde présente son propre artisanat, selon le milieu ambiant et les matières premières disponibles. L’homme avec sa technique dialogue avec la nature en faisant naître des produits qui racontent des histoires. Ces derniers représentent la matérialisation de créativités, traditions, rites, cultures, besoins, et dans cette diversité un même matériel peut être interprété donnant lieu à formes et fonctions différentes selon le pays. La figure de l’artisan joue ainsi le rôle de détenteur de la culture matérielle et à plusieurs égards, de la culture immatérielle de chaque peuple. La synergie existant entre artisanat et design nous ramène au thème de la relocalisation comme «stratégie qui se fonde sur le territoire, c’est-à-dire dans la conception de la réalité locale comme champ d’interaction entre acteurs sociaux, milieu physique et patrimoine territorial»3. Dans les projets de coopération avec les pays en voie de développement le lien avec l’artisanat devient presque incontournable si l’on suit une logique bottom-up, dans laquelle c’est la communauté elle-même qui travaille pour promouvoir sa propre implication et son développement. Cela parce que d’un côté c’est l’une des principales sources de revenu pour une grande partie de la population mais surtout à cause de la possibilité, inhérente à la profession elle-même, de travailler à la réalisation de sociétés autonomes à travers des instruments comme: retrouver, réintroduire, réhabiliter, réévaluer et relocaliser4. Le design recouvre donc un rôle stratégique dans ce type d’opérations car il est à même d’interpréter plusieurs cultures et d’en capter les valeurs, les savoir-faire traditionnels, les coutumes pour les traduire en solutions de consommation innovantes à l’aide d’un instrument fondamental: le projet. Le verbe «projeter» lui-même montre quelle doit être la véritable profession du designer: il vient du terme latin projectare, composé de pro «avant» et de iacere «jeter», d’où sa signification de «jeter en avant», «an-

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zione delle specificità locali e l’università come ponte tra la conoscenza locale e il sistema globale. L’artigianato ricopre un ruolo determinante per una ritrovata identità locale. Ogni parte del mondo presenta il proprio artigianato, a seconda dell’ambiente circostante e delle materie prime disponibili. L’uomo con la sua tecnica dialoga con la natura dando vita a prodotti che raccontano storie. Sono la materializzazione di creatività, tradizioni, riti, culture, bisogni, e, nella loro diversità, uno stesso materiale può essere interpretato dando vita a forme e funzioni diverse per ogni paese. La figura dell’artigiano ricopre così il ruolo di detentore della cultura materiale e, per molti aspetti, della cultura immateriale di qualsiasi popolo. La sinergia creata tra artigianato e design ci riporta al tema della rilocalizzazione come “strategia che si fonda sul territorio, ovvero nella concezione della realtà locale come campo di interazione tra attori sociali, ambiente fisico e patrimonio territoriale”3. In progetti di cooperazione con paesi in via di sviluppo il legame con l’artigianato diventa quasi inscindibile se si segue una logica bottom-up, in cui è la stessa comunità che lavora per promuovere il proprio coinvolgimento e il suo sviluppo. Questo sia perchè rimane una delle maggiori fonti di reddito per gran parte della popolazione ma soprattutto per la possibilità, insita nella professione stessa, di lavorare alla realizzazione di società autonome attraverso strumenti come: ritrovare, reintrodurre, recuperare, rivalutare e rilocalizzare4. Il design si ritrova ad avere un ruolo strategico in questo tipo di operazioni in quanto capace di interpretare più culture e captarne i valori, i saperi tradizionali, le usanze per tradurle in soluzioni di consumo innovative con l’ausilio di uno strumento fondamentale: il progetto. La stessa parola progettare esplica qual è la vera professione del designer: deriva dalla parola latina projectare, composta da pro ‘avanti’ e da iàcere ‘gettare’, per cui il suo significato è di ‘gettare avanti’, ‘anticipare’. Significa quindi ideare qualche cosa e proporre anche il modo di attuarla, ma relazionandosi con il mondo contemporaneo e le sue nuove necessità. Una sorta di uso creativo dei materiali e delle tecnologie, per risolvere un problema quotidiano attraverso l’osservazione e la riflessione, la ricerca e la sperimentazione, l’immaginazione e l’interazione fino ad accorgimenti che regolano la realizzazione finale del prodotto. Gli oggetti hanno la capacità di esprimere l’evoluzione della società, ed è compito del designer fare in modo che ciò avvenga. Il processo di internazionalizzazione che nasce con l’interazione del design e dell’artigianato in paesi considerati in via di sviluppo è una delle possibili strade capaci di esprimere l’idea di una nuova globalizzazione. Il lavoro sul campo rimane un momento, forse il momento, fondamentale per l’individuazione e la verifica delle problematiche che si riscontrano progettando per lo sviluppo dell’artigianato e per la creazione di rapporti


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con attori locali. Il progetto si rende così un vero e proprio strumento di individuazione di bisogni e non solo come risposta a esigenze di mercato ma per rafforzare le capacità individuali e collettive. Si possono così elaborare metodologie di intervento operative per il design che non si fermano solo all’innovazione dei prodotti, ma anche delle tecniche con un interesse puntato verso l’individuazione di processi interni alla comunità. Ricerca e sperimentazione si muovono all’interno di quattro possibili strade: 1. innovazione formale e funzionale dei prodotti e della tecnica artigianale con l’obiettivo di accrescere, attraverso l’azione progettuale, la capacità di innovazione dei prodotti artigianali; 2. contaminazione tra materiali con l’obiettivo di far interagire le diverse competenze in modo dinamico e creativo per innovare i prodotti e allargarne il mercato; 3. sperimentazione su tecniche e trasferimento su altre tipologie di prodotto con l’obiettivo di creare un sistema relazionale tra le varie produzioni artigianali locali e internazionali; 4. individuazione di processi per la creazione di un sistema all’interno della stessa comunità e tra le varie produzioni artigianali locali rafforzandole e valorizzandole. Queste quattro metodologie di intervento, come possibili orientamenti da seguire per il designer, frutto di una ricerca metaprogettuale che porta a concentrarsi non solo sul progetto di prodotti ma sulla costruzione di ponti e connessioni (anche culturali) definiti da nuove filiere di progetto con un forte valore culturale legato al territorio. Il design svela così un altro suo ruolo fondamentale come attore capace di individuare e progettare processi di internazionalizzazione. Se identifichiamo la globalizzazione come un fenomeno di crescita progressiva delle relazione e degli scambi, l’internazionalizzazione incentiva un tipo di globalizzazione guidata dalla crescita di relazioni culturali internazionali. L’Università in tutto questo gioca un ruolo fondamentale come ponte tra la conoscenza locale e il sistema globale. La sua attenzione verso l’individuo, inteso come risorsa per creare un patrimonio distintivo a livello internazionale, è la prima a dover individuare modalità di collaborazione per affrontare i nuovi assetti socio – economici globali. Muhammad Yunus, nel descrivere la fondazione della Grameen Bank, racconta come insieme agli studenti “giravamo per i villaggi in cerca di una soluzione ai problemi che saltavano agli occhi; non c’erano soluzioni nei libri di testo, così decidemmo di chiudere i libri, che ci avevano dato occhiali che non ci permettevano di vedere la realtà così com’era. Osservando la realtà con gli occhiali dei libri di testo, vedevamo immagini distorte.”5. Già nella prima formazione dello studente è doveroso trasmettere questa pratica progettuale fondata sull’analisi di problemi tangibili e non slegati dalla realtà. L’Università è l’attore che occupa un ruolo centrale e strategico in questo poiché è

ticiper». Cela signifie donc créer quelque chose et proposer également la façon de la mettre en œuvre, mais en se rapportant au monde contemporain et à ses nouvelles nécessités. Une sorte d’utilisation créative des matériaux et des technologies, pour résoudre un problème quotidien en utilisant observation, réflexion, recherche et expérimentation, imagination et interaction jusqu’aux démarches nécessaires pour la réalisation finale du produit. Les objets ont la capacité d’exprimer l’évolution de la société, et c’est au designer de faire en sorte que cela se réalise. Le processus d’internationalisation qui a lieu avec l’interaction du design et de l’artisanat dans les pays considérés comme en voie de développement, est l’une des pistes possibles pour exprimer l’idée d’une nouvelle mondialisation. Le travail sur le terrain reste un moment, peut-être LE moment, fondamental pour le repérage et le contrôle des problèmes que l’on rencontre en projetant pour le développement de l’artisanat et pour la création de rapports avec des acteurs locaux. Le projet devient ainsi un véritable outil de repérage des besoins et pas seulement comme réponse à des besoins du marché mais pour renforcer les capacités individuelles et collectives. On peut de cette façon mettre au point des méthodes d’intervention opérationnelles pour le design, qui ne se limitent pas à l’innovation des produits, mais aussi à celle des techniques avec un accent mis sur le repérage des processus internes à la communauté. Recherche et expérimentation évoluent à l’intérieur de quatre voies possibles: 1. innovation formelle et fonctionnelle des produits et de la technique artisanale dans le but d’accroître, au moyen de l’action de projeter, la capacité d’innovation des produits artisanaux; 2. contamination entre matériaux dans le but de faire interagir les différentes compétences de façon dynamique et créative pour innover au niveau des produits et en élargir le marché; 3. expérimentation sur techniques et transfert sur d’autres types de produits dans le but de créer un système relationnel parmi les différentes productions artisanales locales et internationales; 4. définition des processus en vue de la création d’un système au sein de la communauté elle-même et entre les différentes productions artisanales locales en les renforçant et en les valorisant. Ces quatre méthodes d’intervention, comme orientations possibles à suivre pour le designer, fruits d’une recherche allant au-delà du projet qui vise à se concentrer non seulement sur la conception de produits mais sur la construction de ponts et de connexions (culturelles également) définis par de nouvelles filières de projet avec une forte valeur ajoutée cultu-


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relle, liée au territoire. Le design révèle ainsi un autre rôle fondamental qui lui appartient, celui d’un acteur capable de repérer et de projeter des processus d’internationalisation. Si nous identifions la mondialisation comme étant un phénomène de croissance progressive des relations et des échanges, l’internationalisation encourage un type de mondialisation guidé par la croissance des relations culturelles internationales. Dans tout cela l’université joue un rôle fondamental de passerelle entre la connaissance locale et le système global. Son attention envers l’individu, dans le sens d’une ressource afin de créer un patrimoine distinct au niveau international, est la première à devoir trouver des modalités de collaboration pour affronter les nouveaux équilibres socio-économiques mondiaux. Muhammad Yunus, décrivant la fondation de la Grameen Bank, raconte que avec les étudiants «nous faisions le tour des villages à la recherche d’une solution des problèmes qui sautaient aux yeux, il n’y avait pas de solution dans les livres, de sorte que nous décidé de fermer les livres qui nous avaient affublés de lunettes qui ne nous permettaient pas de voir la réalité telle qu’elle était. En observant la réalité avec les «lunettes» des livres, nous voyions des images déformées.»5. Dès la première formation de l’étudiant d’ailleurs il est fondamental de transmettre cette manière de concevoir, fondée sur l’analyse des problèmes tangibles et non détachés de la réalité. L’Université est l’acteur qui occupe un rôle central et stratégique en cela car c’est le seul qui peut agir à la fois sur recherche, éducation et innovation, comme triangle de la connaissance afin de renouveler les professions qui y travaillent à l’intérieur. Tomás Maldonado, qui fut longtemps directeur de l’école d’Ulm, estimait que le métier de designer était celui d’un intellectuel-technicien qui a un rôle social important dont découlent des responsabilités vis-à-vis de la collectivité. D’où le besoin d’une forte empreinte éthique et d’une base culturelle ample et solide, qui caractérisèrent l’école sous sa direction, mais qui ont aussi jeté les bases identitaires professionnelles du designer. Tout ceci étant posé l’université peut jouer un rôle de premier plan dans les projets de coopération entre occident et pays en voie de développement. Une internationalisation de l’enseignement conduit à un changement de mentalité des étudiants, des chercheurs, des professeurs et autres acteurs concernés par ces nouveaux flux culturels. L’Université et les institutions locales deviendraient le noyau central pour la connexion de réseaux internationaux. On ne parle pas d’homologation mais de rapport entre cultures mondiales et cultures locales avec des formes d’internationalisation visant à marquer les différences, en créant des réseaux internationaux de connaissance, dans lesquels chaque acteur contribue,


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avec ses spécificités locales à la construction de valeur du système. Le résultat est le développement et la spécialisation de chaque acteur, mais avec une force d’innovation inhérente à la rencontre de cultures qui dialoguent, créent ensemble et évoluent en suivant ce que sont les exigences d’un monde globalisé. A quatre mains et plus nous démontre donc que tout cela est réellement possible pour la création d’un monde globalisé non plus seulement autour de la recherche du profit mais par la culture matérielle et sociale. Artisanat, Design et Université se sont fondus, intellect et adresse manuelle ont collaboré. Une formation réciproque pour un langage complémentaire et non primaire dans lequel la vision rationaliste d’un designer s’associe à la charge symbolique du travail artisanal, en donnant une âme à ces objets, unique en son genre. Toucher de la main les problèmes d’aujourd’hui conduit à la construction d’ «une société qui trouve dans les objets et dans leur nature pulvisculaire, non seulement la réponse à ses propres besoins de fonctionnement, mais aussi à son propre système d’identité»6. La capacité technique s’est rendue indispensable au processus créatif. Mais quels sont les premiers acteurs de tout cela ? Les Mains et l’Intellect. «La main est la fenêtre de l’esprit». (Kant)

1 Henri Focillon, La vie des formes, suivi de L’eloge de la Main, Presse Universitaire de France, Paris, 1939; trad. it a cura di / sous la direction de E. De Angelis, S. Bettini, Einaudi, Torino 2002. 2 Zygmunt Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge, 2000; trad. it a cura di / sous la direction de S. Minucci, Laterza, Roma-Bari 2002. 3 Serge Latouche, Le pari de la décroissance, Libraire Arthème Fayard, 2006; trad. it a cura di / sous la direction de M. Schianci, Feltrinelli, Milano 2008. 5 Muhammad Yunus, Il credito come diritto umano, “CNS-Ecologia Politica”, nn.1-2, Gennaio – Giugno 2004, Anno XIV / Janvien-Juin 2004, Année XIV. 6 Richard Sennet, The craftman, Yale University Press, New Haven & London; trad. it a cura di / sous la direction de A. Bottini, Feltrinelli, Milano 2008.

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l’unico capace di agire contemporaneamente su ricerca, educazione e innovazione, come triangolo della conoscenza per rinnovare le professioni che vi operano all’interno. Tomás Maldonado, che fu a lungo direttore della scuola di Ulm, riteneva che il mestiere del progettista fosse quello di un’intellettuale tecnico che ha un importante ruolo sociale da cui derivano responsabilità nei confronti della collettività. Da qui la necessità di una forte impronta etica e di una base culturale ampia e solida, che andarono a caratterizzare la scuola durante la sua direzione, ma che hanno anche posto le basi identitarie professionali del designer. Muovendo da questi presupposti l’Università può avere un ruolo centrale nei progetti di cooperazione tra occidente e paesi in via di sviluppo. Un’internazionalizzazione della didattica porta ad un cambiamento di mentalità degli studenti, dei ricercatori, dei professori e degli altri attori coinvolti all’interno di questi nuovi flussi culturali. L’Università e le istituzioni locali si trasformerebbero nel nodo centrale per la connessione di network internazionali. Non si parla di omologazione ma di rapporto tra culture globali e culture locali con forme di internazionalizzazione che mirano ad evidenziare le differenze, creando reti internazionali di conoscenza, in cui ogni attore contribuisce con le sue specificità locali alla costruzione di valore del sistema. La risultante è lo sviluppo e la specializzazione di ogni singolo attore, ma con una forza innovativa insita nell’incontro di culture che dialogano, creano insieme ed evolvono seguendo quelle che sono le esigenze di un mondo globalizzato. A quatre mains et plus ci dimostra quindi come tutto questo è realmente possibile per la creazione di un mondo globalizzato non più solo dalla ricerca di profitto ma dalla cultura materiale e sociale. Artigianato, Design e Università si sono fusi, intelletto e abilità manuali hanno collaborato. Una formazione reciproca per un linguaggio complementare e non primario in cui la visione razionalista di un designer si unisce alla carica simbolica del lavoro artigianale, donando un’anima a questi oggetti unica nel suo genere. Toccare con mano le problematiche odierne porta alla costruzione di “una società che trova negli oggetti e nella loro natura pulviscolare, non solo la risposta alle proprie necessità di funzionamento, ma anche al proprio sistema d’identità” 6. La capacità tecnica si è resa inseparabile dal processo creativo. Ma quali sono i primari attori di tutto questo? Le Mani e l’Intelletto. “La mano è la finestra della mente”. (Kant)


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Design con i Sud del mondo Design avec les Sud du monde Giuseppe Lotti

Università di Firenze Université de Florence

Iuav Venezia, Bottega solidale di Genova e Cooperativa di artigiani Copabu con Alice Cappelli, Progetto Amahoro, lavorazione della fibra Itaratara, Centro d’accueil et de formation San Marco, Kigali, Rwanda Iuav Venezia, Atelier Solidaire de Gênes et Coopérative d’artisans Copabu avec Alice Cappelli, Projet Amahoro, travail de la fibre Itaratara, Centre d’accueil et de formation San Marco, Kigali, Rwanda


Design avec le Sud du monde. Pour une définition de Nord et de Sud qui ne contienne pas de jugements de valeur sinon, comme le dit Franco Cassano «la dimension clé» de l’idée de Sud «réside dans la conviction qu’il est possible de construire une idée de richesse différente, loin de la course effrénée vers le profit et l’appropriation privée, riche de biens communs. Le Sud ne doit pas qu’apprendre, il a aussi quelque chose à enseigner. Sa résistance au changement n’est pas seulement un boulet de nature conservatrice, mais aussi une demande de vigilance critique sur le présent et donc aussi une suggestion pour le futur1 «…la modernisation du Sud est une modernisation imparfaite ou insuffisante, ou bien n’est ce pas plutôt la seule modernisation possible, la modernisation réelle?»2. Le thème, au sein d’un plus large débat autour du local et du global, est récent et manque de théorisation systématique. C’est au milieu des années 60 que, en s’intéressant davantage aux implications à caractère sociopolitique, on s’est interrogés pour la première fois à la contribution que le design pouvait apporter au développement des pays du sud du monde. Les premières théorisations remontent à ces dernières années ; ainsi Victor Papanek3: “pour sortir de l’impasse du design, aplati sur les logiques de la production et de la consommation, il faut repérer de nouveaux secteurs d’intervention en décidant de frapper à des portes qui n’ont jamais été ouvertes auparavant… l’UNESCO, l’UNICEF et nombre d’organisations non gouvernementales qui s’intéressent dans le monde aux besoins de larges couches de la population mondiale”. Campant sur des positions semblables Gui Bonsiepe envisage la possibilité que dans les pays du sud s’affirme un modèle de développement alternatif au notre. Dans cette optique la conception (le design) peut se présenter comme facteur de décolonisation en se consacrant à la production d’objets avec des matériaux locaux et à faible technologie; à intensité de travail et pas de capital; à la préservation des identités culturelles; au fait de travailler pour les classes moins favorisées. Principes qui sont tous appliqués concrètement au moyen de laboratoires pendant la brève et dramatique expérience au Chili de Unidad Popular de Salvador Allende4. Parmi les expériences conduites dans les pays du sud, selon une approche non conceptuelle mais principalement analytique, le travail au Brésil de Lina Bo Bardi5, ouvertement opposée à l’industrialisation sauvage du pays, à la prolifération spéculative du design qui trop souvent conduit à la production d’objets-gadgets, pour la plupart superflus en-

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Design con i Sud del Mondo. Per una definizione di Nord e Sud che non contiene giudizi di valore. Semmai con Franco Cassano: “La dimensione chiave” dell’idea di Sud “sta nella convinzione che sia possibile costruire un’idea di ricchezza diversa, autonoma dalla rincorsa infinita dei profitti e dell’appropriazione privata, ricca di beni comuni. Il Sud non ha solo da imparare, ma anche qualcosa da insegnare. La sua resistenza al cambiamento non è solo zavorra conservatrice, ma anche la richiesta di una vigilanza critica sul presente e quindi anche un suggerimento per il futuro”1 “…la modernizzazione del Sud è una modernizzazione imperfetta o insufficiente o non è piuttosto l’unica modernizzazione possibile, la modernizzazione reale2?”. Il tema, all’interno di un più ampio dibattito tra locale e globale, è recente e manca di una sistematica teorizzazione. È alla metà degli anni ’60 che, nell’ottica di un più ampio interesse verso le implicazioni di carattere socio-politico, per la prima volta, ricerca e progetto si sono interrogati sul contributo che il design può dare allo sviluppo dei paesi del Sud del mondo. Di questi anni i primi contributi di carattere teorico. Così Victor Papanek3: “per uscire dall’impasse del design, appiattito sulle logiche della produzione e del consumo, occorre individuare nuovi settori d’intervento, decidendo di bussare a porte che non sono mai state aperte prima... l’UNESCO, l’UNICEF e molte altre organizzazioni non governative che nel mondo si interessano delle necessità di base di ampie fasce della popolazione mondiale”. Su posizioni analoghe anche Gui Bonsiepe che guarda alla possibilità che nei paesi del Sud si affermi un modello di sviluppo alternativo al nostro. Il quest’ottica la progettazione può presentarsi come decolonizzazione affidandosi alla produzione di oggetti con materiali locali ed a bassa tecnologia; all’intensità di lavoro e non di capitale; al preservare le identità culturali; al lavorare per le classi meno abbienti. Tutti principi applicati concretamente attraverso la realizzazione di laboratori durante la breve, drammatica esperienza nel Cile di Unidad Popular di Salvatore Allende4. Tra le esperienze condotte nei paesi del Sud, con un approccio non progettuale ma principalmente analitico, il lavoro in Brasile di Lina Bo Bardi5, apertamente schierata contro l’industrializzazione selvaggia del paese, la proliferazione speculativa del design che, troppo spesso, porta alla produzione di oggetti-gadgets, nella maggioranza dei casi superflui e conduce alla fine di una vera cultura autoctona. In nome de “la capacità di dire no”. No alla società così concepita, no al modello di vita attuale, no ad una produzione dominante.


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IUAV, Timbro in legno per ceramica con decorazione Imigongo, Butare, Rwanda IUAV, Timbres en bois pour poterie avec dĂŠcoration Imigongo, Butare, Rwanda

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Oggi, dopo anni di scarsa attenzione alle implicazioni sociali della professione, un design che ha avvertito nuovamente l’urgenza di un approccio più critico al progetto guarda con rinnovata attenzione ai paesi del Sud del mondo. Il tema è ampio; con un’attenzione principalmente dedicata alle grandi problematiche – fame, acqua, energia. In tal senso, l’esperienza più importante è sicuramente rappresentata dalla recente mostra del Cooper-Hewitt, National Design Museum, Design for the other 90%6. Ma anche l’interesse verso le tematiche più strettamente legate allo sviluppo produttivo è crescente. Il tutto nell’ottica di un modello di sostenibilità intesa nella sua eccezione più ampia, non solo ambientale, quindi, ma anche sociale e culturale. L’attenzione nasce anche dal tentativo di recuperare la carica creativa di realtà ancora non contaminate dalla globalizzazione, per un mercato maggiormente sensibile a prodotti particolari, magari unici. In più sono passati quasi quaranta anni dai lavori di Papanek, Bonsiepe e Bo Bardi ma la situazione dei paesi del Sud in troppi casi non è cambiata ed anzi il divario economico, se possibile, si è addirittura incrementato. Tra gli attuali contributi del design alla cooperazione internazionale l’esperienza più strutturata appare sicuramente quella promossa dalla Design Academy di Eindhoven che, nell’ambito del Master Man and Humanity, ha sviluppato progetti come Design Solidàrio (Brasile, 2001), Enjoy the difference (Kenia, 2002), Home in India (2004)7. Nelle pubblicazioni che descrivono i progetti emergono le difficoltà che inizialmente si presentano in interventi di questo tipo: il primo momento di smarrimento di fronte ad una realtà sconosciuta; la gravità dei problemi che affliggono le popolazioni con cui si entra in contatto; il conseguente coinvolgimento emotivo; il ruolo delle donne che, tra le molte difficoltà, possono rappresentare il motore di trasformazione; il progetto come motore di cambiamento; i rischi di imporre (ancora una volta) una visione occidentalizzante. Al di là del lavoro della Design Academy, interessante anche il progetto di collaborazione tra la Biennale di Dakar e quella di Saint-Etienne che nel 2003 ha riunito per tre settimane di lavoro designers africani e francesi. Le regole del gioco, come evidenziato dalla pubblicazione che raccoglie i risultati del progetto, concernevano nella concezione e realizzazione di un oggetto con le risorse umane, naturali, materiali e tecniche della regione ed in reale partenariato con gli artigiani locali; per un design che, messo di fronte alle sue responsabilità etiche, sia in grado di esaltare ricchezze e potenzialità creative locali senza cadere nel pittoresco né nella diffusione omogeneizzante dei modelli8. A livello italiano da citare l’esperienza del Corso di Laurea in Disegno Industriale dello IUAV di Venezia, coordinata da Gaddo Morpurgo, che ha avviato un rap-

gendrant ainsi la fin d’une véritable culture autochtone. Au nom de la «capacité de dire non»; non à la société ainsi conçue, non au modèle de vie actuel, non à une production dominante. Aujourd’hui, après des années d’aveuglement vis-à-vis des implications sociales de la profession, le monde du design qui a ressenti de nouveau l’urgence d’une approche plus critique par rapport au projet, porte un regard plus intéressé sur les pays du sud de la planète. Vaste sujet; l’attention se porte principalement sur les grands problèmes – faim, eau, énergie. Dans ce sens l’expérience la plus importante est certainement celle de l’exposition récente du Cooper-Hewitt, National Design Museum, Design for the other 90%6. Mais on s’intéresse de plus en plus aux thèmes plus étroitement liés au développement de la production; le tout en vue d’un modèle de durabilité au sens large du terme, et donc non seulement au niveau de l’environnement mais aussi au plan social et culturel. L’attention nait aussi de la tentative de récupérer la charge créative de personnes n’ayant pas encore été contaminées par la mondialisation, pour un marché plus sensible aux produits particuliers, voire uniques. En outre, plus de quarante ans sont passés depuis les travaux de Papanek, Bonsiepe et Bo Bardi, mais la situation des pays du sud à bien des égards n’a pas changé, au contraire le fossé économique s’est creusé encore davantage. Parmi les contributions actuelles du design à la coopération internationale, l’expérience la plus structurée semble être certainement celle de la Design Academy de Eindhoven, qui dans le cadre du Master Man and Humanity, a développé des projets comme Design Solidàrio (Brésil, 2001), Enjoy the difference (Kenya, 2002); Home in India (2004)7 Dans les publications qui décrivent les projets on retrouve les difficultés qui se présentent d’emblée dans des interventions de ce genre: le premier moment de perte de repères face à une réalité inconnue; la gravité des problèmes qui affligent les populations avec lesquelles on entre en contact; le bouleversement émotif qui s’en suit; le rôle des femmes qui, parmi maintes difficultés, peuvent représenter le véritable moteur du changement; le projet comme moteur de transformation; les risques d’imposer (encore une fois) une vision «occidentalisante». Outre le travail de la Design Academy, remarquons aussi le projet intéressant de collaboration entre la Biennale de Dakar et celle de Saint Etienne qui, en 2003, a réuni pendant trois semaines de travail des designers africains et français. Les règles du jeu, comme l’explique la publication qui recueille les résultats du projet, concernaient la conception et la réalisation d’un objet avec les ressources humaines, naturelles,


Numerose appaiono le questioni aperte dai lavori sopra ricordati che riassumono solo alcune delle problematiche proprie del design per i Sud del mondo e delle implicazioni in termini di sostenibilità del modello di intervento. Progetti che si presentano inevitabilmente complessi. Molteplici appaiono infatti le variabili – i rapporti sociali, le conoscenze produttive, le capacità progettuali… -; così come gli attori in gioco – gli artigiani, gli intermediari, le associazioni, i diversi livelli di potere politico… Una complessità che necessita di un approccio di tipo strategico, nel senso letterale del termine. Con Edgar Morin: “Non c’è ricetta sem-

matérielles et techniques de la région et mettaient en place un partenariat réel avec les artisans locaux; pour un design qui, placé devant ses responsabilités d’ordre éthique, soit en mesure d’exalter richesses et potentiels créatifs locaux sans tomber dans le pittoresque ni dans la diffusion «homogénéisante» des modèles8. Au niveau italien citons l’expérience du Cycle de formation (Corso di Laurea) en Design Industriel du IUAV de Venise, coordonné par Gaddo Morpurgo, qui a entamé un rapport de collaboration avec le Consortium Botteghe della solidarietà, qui s’occupe de commerce équitable et s’est engagé dans le projet SuDesign réalisé dans le district de Bac Nonh au Vietnam du Nord. D’autre part, plus récemment, avec le siège de Saint Marin du IUAV a réalisé, dans le cadre d’une série d’initiatives sur le thème du design pour les Sud du monde (création d’un centre d’études, participation à des expositions, mise en place d’ateliers) l’Atelier Ruanda, Laboratoire de recherche et des projets d’innovation de design en Afrique9. Même le Cycle de formation en Dessin industriel (Corso di Laurea) et le Cycle Magistral de Design (Corso Magistrale) ont mis en place depuis quelques années des projets sur les thèmes qui font l’objet de cet exposé: par exemple, l’action menée en collaboration avec ADEDRA, Association pour le développement de la Vallée du Drâa, ONG œuvrant dans la Province de Zagora (Maroc) dans le cadre du projet Valorisation et innovation de la production artisanale liée au palmier dattier10. Plus récemment, au sein du projet Développement des Savoir-faire artisanaux traditionnels et Intégration des systèmes productifs en Italie et au Maroc, le Corso a travaillé avec l’Institut National des Beaux Arts de Tétouan et les associations ADEO – Association de développement et de protection de l’environnement de Oued Laou et de son bassin versant d’ Ifrane Ali et Assaida al Horra à M’diq. Dans le cadre du projet Interreg IIIB Euromedsys il a été mis en place un atelier Poterie / Méditerranée / Agroalimentaire à Sousse (Tunisie) auquel ont participé outre le Corso di Laurea en dessin industriel, l’ISIA de Florence, la Seconde université de Naples, l’École des Beaux Arts de Marseille et l’Institut des Beaux Arts de Sousse11. Dans un autre contexte, mais en partant du même principe, le projet Design Possivel, mis sur pied dans les favelas de San Paulo en collaboration avec l’Universiade Presbiteriana MacKenzie – territoire de la métropole brésilienne particulièrement apte à tester les logiques de la rencontre, de l’échange, de la contamination – en rapport avec les ONG qui travaillent à la réutilisation des déchets pour la réalisation d’objets: Aldeia do Futuro, Monte Azul, Projeto Arrastão12.

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porto di collaborazione con il Consorzio Botteghe della Solidarietà che opera sul commercio equo e solidale, concretizzatosi nel progetto SuDesign nel distretto Bac Nonh nel Vietnam del Nord. Mentre, più recentemente, sempre lo IUAV nella sua sede di San Marino, nell’ambito di una serie di iniziative sul tema del design per i Sud del mondo (creazione di un centro studi, partecipazione a mostre, attivazione di workshops) ha realizzato l’Atelier Ruanda, Laboratoire de recherche et des projets d’innovation de design en Afrique9. Anche il Corso di Laurea in Disegno Industriale e Magistrale in Design di Firenze hanno sviluppato nel tempo progetti sulle tematiche oggetto di questo scritto. Così l’azione condotta in collaborazione con ADEDRA, Association pour le dévelopement de la Valleé du Drâa, ONG che opera nella Provincia di Zagora – Marocco nell’ambito del progetto Valorizzazione ed innovazione della Produzione Artigianale legata alla palma10. Mentre, più recentemente – come raccontato in questo libro –, all’interno del progetto Sviluppo dei Saperi artigianali tradizionali e Integrazione dei sistemi produttivi in Italia e Marocco, il Corso ha operato con l’Institut National des Beaux Arts de Tétouan e le associazioni ADEO – Association de développement et de protection de l’environnement de Oued Laou et de son bassin versant e con Assaida Al Horra a M’diq. Nell’ambito del progetto Interreg IIIB Euromedsys è stato poi sviluppato un workshop Ceramica / Mediterraneo / Agroalimentare a Sousse (Tunisia) che ha coinvolto, oltre al Corso di Laurea in Disegno industriale, l’Isia di Firenze, la Seconda Università di Napoli, l’Ecole des Beaux Arts de Marseille e l’Institut des Beaux Arts de Sousse11. In altro contesto, ma muovendo dallo stesso principio, il progetto Design Possível sviluppato nelle favelas di São Paulo in collaborazione con la Universiade Presbiteriana MacKenzie – un territorio, quello della metropoli brasiliana, particolarmente adatto a verificare le logiche dell’incontro, dello scambio, della contaminazione – in rapporto con le ONG che operano sul riuso dei rifiuti per la realizzazione oggetti: Aldeia do Futuro, Monte Azul, Projeto Arrastão12.


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plice per la complessità… La complessità richiede strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio… La parola strategia non indica un programma predeterminato che è sufficiente applicare ne varietur nel tempo… Consente, muovendo da una decisione iniziale, di ipotizzare un certo numero di scenari per l’azione, che potranno essere modificati secondo le informazioni che arriveranno nel corso dell’azione e secondo le alee che sopraggiungeranno e perturberanno l’azione”13. La molteplicità dei fattori in gioco implica anche una risposta strutturata garantita da un gruppo multidisciplinare: un antropologo, un’economista, un esperto di mercato e, di volta in volta, un tecnico appropriato – ceramista, falegname... Si pensi a come nel progetto a Oued Laou le donne estraggono la terra ad un’ora di cammino e forse sarebbe possibile trovare materiale migliore più vicino o come per accendere il fuoco utilizzino il ginepro, un arbusto protetto o, nel caso di Tamegroute (nella valle del Drâa) i pneumatici con conseguenze negative sulla salute. Nei primi momenti del progetto la sensazione è che il mettere al centro lo sviluppo economico risulta meno importante di altri problemi – fame, igiene, salute, istruzione. Ad un’analisi più approfondita emerge invece come i problemi siano tra loro fortemente interrelati e come agendo sull’uno si finisce per intervenire su tutti. Così, ad esempio, lavorare con le donne della valle del Drâa aiutandole a trovare nuovi mercati per i propri prodotti significa contribuire alla loro emancipazione in famiglia e nella società. Quale interlocutore appare più opportuno per ottenere reali e durature ricadute sul territorio? Un ruolo importante è sicuramente esercitato dalle ONG locali – mentre più difficile appare il rapporto con quelle italiane talvolta autoreferenziali – che sole possono gestire la complessità dei rapporti e la correttezza degli stessi. Il limite è che, quasi sempre, le ONG locali hanno difficoltà a rapportarsi con il mercato che, per tradizione, non fa parte del proprio core business. Comunque le ONG da sole non possono risolvere tutti i problemi perché necessitano di donazioni costanti (che richiedono continue energie per procacciarle), devono confrontarsi con burocrazie lente e spesso, purtroppo, anche corrotte (non solo nei paesi di intervento), rischiano di condizionare, deresponsabilizzandolo, chi fruisce degli aiuti frenato nell’elaborazione di un autonomo piano di sviluppo14. La soluzione che appare più interessante è sicuramente quella dell’impresa sociale tracciata da Muhammad Yunus, una strada che va ben oltre il tema della responsabilità sociale dell’impresa (che è comunque sempre condizionata dalla ricerca del massimo profitto possibile)15. Si tratta di un’azienda di tipo nuovo che “fornisce un

Les travaux présentés plus haut laissent de nombreuses questions ouvertes car ils ne représentent qu’une faible partie des problématiques propres au design pour les Sud du monde et des implications en termes de durabilité du modèle d’intervention. Les projets sont inévitablement complexes; il y a en effet de multiples variables qui interviennent: les rapports sociaux, les connaissances productives, les capacités conceptuelles… ainsi que de nombreux acteurs en jeu: artisans, intermédiaires, associations, différents niveaux de pouvoir politique… Une complexité qui requiert nécessairement une approche de type stratégique, au sens propre du terme. Selon Edgar Morin: «Il n’y a pas de recette simple pour la complexité… la complexité appelle la stratégie. Il n’y a que la stratégie pour s’avancer dans l’incertain et l’aléatoire… le mot stratégie n’indique pas un programme prédéterminé qu’il suffit d’appliquer ne varietur au fil du temps… Elle permet, en partant d’une décision initiale, d’envisager un certain nombre de scénarios pour l’action, qui pourront être modifiés selon les informations qui arriveront au cours de l’action et selon les alea qui surgiront et dérangeront l’action.»13. La multiplicité des facteurs en jeu implique aussi une réponse structurée, assurée par un groupe transdisciplinaire: un anthropologue, un économiste, un expert de marché et, selon les cas, un technicien approprié – potier, menuisier… Pensez à la façon dont, dans le projet de Oued Laou, les femmes extraient la terre à une heure de marche et peut-être serait-il possible de trouver un meilleur matériau plus près… ou comment pour allumer le feu elles utilisent le genévrier, un arbuste… ou bien, dans le cas de Tamegroute (dans la vallée du Drâa) où elles utilisent des pneus, avec des retombées négatives sur la santé. Dans la phase initiale d’un projet, la sensation que l’on a est que le fait de mettre au centre le développement économique semble moins important que d’autres problèmes – faim, hygiène, santé, instruction. Quand on fait une analyse approfondie on remarque en revanche que les problèmes sont étroitement liés entre eux et que, en agissant sur l’un on finit par intervenir sur tous. Par exemple le fait de travailler avec les femmes de la vallée du Draa en les aidant à trouver de nouveaux marchés contribue à leur émancipation en famille et dans la société. Quel interlocuteur semble le plus opportun pour obtenir de véritables retombées durables sur le territoire? Un rôle important est certainement exercé par les ONG locales – le rapport avec les mêmes organisations italiennes, parfois autoréférentielles semble plus difficile – qui sont les seules à pouvoir gérer des rap-


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Amigos da terra - Amazonia Brasileira con Oficina Nomade, EMEC - Escola de Marcenaria e Ebanisteria Carlo Castiglione, lavorazione di specie locali di legno, Xapuri, Acre, Amazzonia brasiliana. Amigos da terra - Amazonia Brasileira avec Oficina Nomade, EMEC - Escola de Marcenaria e Ebanisteria Carlo Castiglione, travail de différentes espèces de bois locaux, Xapuri, Acre, Amazonie brésilienne.


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prodotto o un servizio che genera un ricavo attraverso la vendita e contemporaneamente, migliora la condizione dei poveri e la società in generale”16. Nel business sociale gli utili ottenuti in una libera competizione su un mercato sempre più attento alle valenze etiche non sono spartiti tra i fondatori, il cui credito viene saldato in una prima fase, ma reinvestiti sull’impresa stessa e sulla società che intorno ad essa gravita. Una tipologia, quella dell’impresa sociale, ancora da definire appieno – per Yunus si oscilla tra due estremi: quello della società per azioni costituite da investitori che hanno a cuore le sorti del mondo e quella formata da persone povere o disagiate, con molte soluzioni intermedie, nella consapevolezza che il modello “può risultare particolarmente seducente per i giovani di tutto il mondo e per quelli dei paesi ricchi in particolare, perché costituisce un antidoto alle frustrazioni che molti provano di fronte alla modestia morale delle sfide che si trovano ad affrontare all’interno dell’attuale sistema capitalistico”17. Interessante, nell’ottica di ricadute durature, è il ruolo delle Scuole ed Università locali; nel rapporto tra gli studenti, nell’empatia che si crea si colgono i germi della costruzione di una nuova società plurale, aperta al confronto ed allo scambio. Mentre decisivo appare il contributo delle donne che, attraverso la consapevolezza dell’importanza del proprio lavoro, possono progressivamente acquisire posizioni all’interno della famiglia e della società. Quale innovazione risulta sostenibile per il contesto di intervento? Spesso siamo di fronte a realtà fortemente tradizionali che presentano una continuità di produzione che si perde nel tempo e dunque occorre calibrare attentamente il livello di innovazione dei progetti. Fondamentale, in tal senso, appare la creazione di gruppi misti di lavoro – economisti ed antropologi – in grado di rispondere adeguatamente alla complessità del tema, ricordando comunque che nessuna cultura rimane “pura”, chiusa nel suo passato – ad Ifrane Ali il figlio di Fatima che alterna jallabah e T-shirt di Armani – e sarebbe sbagliato pretenderlo, un ennesimo retaggio di neocolonialismo. Per un’innovazione che spesso procede per piccoli passi. Ad esempio unire nello stesso prodotto materiali diversi presenti sul territorio – così a Tangroute è avvenuto per i gioielli in ceramica e palma, due materiali autoctoni che mai si erano “incontrati” prima. Con il lavoro degli artigiani che si trovano e reinterpretare i progetti proponendone dei nuovi che fa capire che il percorso di innovazione si è innescato e continuerà a dare i suoi frutti anche a progetto ultimato. In occasione del workshop a Sousse, gli artigiani hanno portato i loro torni nella scuola per “seguire” da vicino i lavori, mentre a Ifrane Alì, al momento dell’apertura del forno, abbiano trovato nuovi oggetti realizzati da Fatima a partire da quelli disegnati dagli studenti.

ports complexes et corrects. Le problème est que les ONG locales ont, presque toujours, des difficultés à se rapporter au marché qui traditionnellement ne fait pas partie de leur cœur de métier. Et de toutes les façons les ONG à elles seules ne peuvent pas résoudre tous les problèmes car elles ont besoin d’un flux constant de donations (qui requièrent beaucoup d’énergie pour les rechercher), et elles doivent affronter des bureaucraties lentes et souvent, malheureusement, corrompues également (non seulement dans les pays d’intervention), elles risquent de conditionner, en le déresponsabilisant, celui qui bénéficie des aides, freiné dans l’élaboration d’un plan autonome de développement14. La solution qui parait la plus intéressante est certainement celle de l’entreprise sociale imaginée par Muhammad Yunus, une voie qui va bien au-delà du thème de la responsabilité sociale de l’entreprise (qui est de toutes les façons toujours conditionnée par la recherche du profit maximum possible)15. Il s’agit d’une entreprise d’un type nouveau


p. 86 SEBRAE AP con Oficina Nomade, Projeto Louceiras de Maruanum, tecnica indios di impermeabilizzazione della ceramica con resina di jatoba, Vila de Maruanum, Amapá, Amazzonia brasiliana. SEBRAE AP avec Oficina Nomade, Projeto Louceiras de Maruanum, technique indios d’imperméabilisation de la poterie à base de résines de jatoba, Vila de Maruanum, Amapá, Amazonie brésilienne.

Come si presenta il progetto agli artigiani (forme, dimensioni, materiali)? La comunicazione non avviene quasi mai in forma tradizionale. Le misure sono affidate a gesti delle mani; i disegni tecnici appaiono di impossibile lettura mentre spesso il 3D viene accolto come qualcosa che già esiste e dunque non occorre copiare. Fondamentale appare soprattutto il confronto con oggetti esistenti che permette di lavorare per similitudine o differenza. È ciò che è avvenuto nella valle del Drâa dove panieri hanno “lasciato” la terza dimensione per divenire stuoie, oppure, miniaturizzati, sono diventati bijoux, orecchini e braccialetti.

Quelle innovation s’avère durable pour le contexte de l’intervention? Souvent nous nous trouvons face à des situations fortement traditionnelles qui présentent une continuité de production qui se perd dans le temps et donc il faut calibrer attentivement le niveau d’innovation dans les projets. Il est fondamental dans ce sens de créer des groupes mixtes de travail – économistes et anthropologues – pouvant répondre de façon adéquate à la complexité du thème; rappelons cependant qu’aucune culture ne reste «pure», enfermée dans son passé – à Ifrane Ali le fils de Fatima qui alterne djellaba et t-shirt d’Armani – il n’est d’ailleurs pas question de le prétendre, ce serait l’énième héritage du néocolonialisme. En faveur d’une innovation qui avance souvent à petits pas: par exemple unir dans le même produit les divers matériaux présents sur le territoire; ainsi à Tangroute ont été fabriqués des bijoux en poterie et palmier, deux matériaux autochtones qui ne s’étaient jamais «rencontrés» auparavant.

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Assocazione Amazonia Onlus Italia, lavorazione della creta estratta dal letto del fiume, riserva Xixuau-Xiparina, Roraima, Amazzonia brasiliana. Association Amazonia Onlus Italia, travail de l’argile extraite du fleuve, Réserve Xixuau-Xiparina, Roraima, Amazonie brésilienne.

qui «fournit un produit ou un service qui génère une recette à travers la vente et parallèlement améliore la condition des pauvres et de la société en général»16. Dans le business social, les bénéfices obtenus dans un régime de libre concurrence sur un marché de plus en plus attentif aux valeurs éthiques, ne sont pas répartis entre les fondateurs, auquel le crédit est remboursé dans un premier temps, mais ils sont réinvestis dans l’entreprise elle-même et dans la société qui gravite autour d’elle. La typologie de l’entreprise sociale doit encore être pleinement définie – selon Yunius on oscille entre deux extrêmes: celui des sociétés par action créées par des investisseurs qui ont à cœur le destin du monde et celui des entreprises composées de personnes pauvres ou en difficulté, en passant par de nombreuses situations intermédiaires, en sachant bien que le modèle «peut paraître particulièrement séduisant pour les jeunes du monde entier et pour ceux des pays riches notamment, car il constitue un antidote aux frustrations que beaucoup éprouvent face à la modestie morale des défis qu’ils doivent affronter au sein du modèle capitaliste actuel». Ce qui est intéressant par rapport aux retombées durables, c’est le rôle des Écoles et des universités locales; dans le rapport entre les étudiants, dans l’empathie qui se créé, on saisit les germes de la construction d’une nouvelle société plurielle, ouverte à la confrontation et à l’échange. Et la contribution des femmes semble être particulièrement décisive grâce à la prise de conscience de l’importance de leur travail, elles peuvent progressivement gravir des échelons au sein de la famille et de la société.


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Assocazione Amazonia Onlus Italia, intreccio di fibre naturali, Riserva Xixuau-Xiparina, Roraima, Amazzonia brasiliana. Association Amazonia Onlus Italia, tressage de fibres naturelles, RĂŠserve Xixuau-Xiparina, Roraima, Amazonie brĂŠsilienne.


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Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze, Progetto Elles peuvent, lavorazione della foglia di palma, Valle del Drâa, Marocco. Cours de Laurea en Dessin Industriel de Florence, Projet Elles peuvent, travail de la feuille de palme, Vallée du Drâa, Maroc.


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Quale mercato appare più interessante per i prodotti che scaturiscono dai progetti? Tradizionalmente si individuano più strade: 1. locale, diviso in: a. solo funzionale, b. evoluto (cittadino); 2. turismo; 3. export. Difficile appare operare per il mercato locale di tipo a. che esprime bisogni semplici in cui il design non può dare un reale contributo in termini di valore aggiunto. Mentre più appropriati appaiono quelli del turismo e per l’esportazione, verso i quali i designers dimostrano tradizionalmente maggiori competenze. Quale contributo può venire dalle economie di tipo informale? Economie, quelle informali, non governate da istituzioni legali e leggi in vigore, o comunque da regole tipiche di una moderna economia, caratterizzate da modalità di transazione a ragnatela, dalla particolarità e quasi unicità di ciascun bene o servizio che si caricano di un alto contenuto simbolico e cognitivo legato anche a chi lo offre… Il tutto nella considerazione che il settore informale “contrariamente a quanto si riteneva inizialmente… non è destinato a scomparire con la crescita economica. Al contrario è probabile che cresca con gli anni a venire…”18 e che lo sviluppo umano dell’Africa passi anche dalla diffusione di questo modello. Con la consapevolezza che il superamento della dicotomia e una nuova relazione tra l’economia formale ed informale possono rappresentare un’importante opportunità anche per quest’ultima. “Non appena… riconosciamo i tanti momenti che portano l’una modalità a compenetrarsi nell’altra (l’economia formale e quella informale), ogni schema dicotomico o dualistico si disintegra a favore di percorsi che sono ab origine misti o ‘sul confine’: al punto che quel confine, anziché un bordo tagliente, diventa un terreno vasto e ramificato nel quale si svolgono parecchi dei processi più innovativi dell’economia”19. Per un risultato complessivo che presenta evidenti implicazioni anche sul piano strettamente produttivo. La caratteristica degli oggetti contemporanei è infatti la complessità al momento della nascita e nello sviluppo – tanto che su una rivista come “Domus” si è coniata l’espressione “Geodesign”: “la gran parte dei prodotti del furniture design (e non solo) ha infatti oggi una variegata articolazione territoriale che investe aree diverse del mondo. Capita sempre più spesso che lo stesso oggetto venga ideato, assemblato, prodotto in serie, reso comunicabile, impacchettato, commercializzato e venduto in parti diverse del pianeta. E tutti questi luoghi diversi, come caratteri genetici, in qualche modo lo condizionano, lo plasmano, gli restano attaccati”20.

Les artisans se retrouvent à devoir réinterpréter les projets en en proposant de nouveaux, et ce travail fait comprendre que le parcours d’innovation s’est enclenché et continuera à porter ses fruits, même quand le projet est fini- a l’occasion de l’atelier de Sousse, les artisans ont apporté leurs tours de potier à l’école afin de «suivre» de près les travaux, alors qu’à Oued Laou, au moment de l’ouverture du four, nous avons trouvé de nouveaux objets réalisés par Fatima à partir de ceux dessinés par les étudiants. Comment se présente le projet aux artisans (au niveau des formes, des dimensions, des matériaux)? La communication ne se passe presque jamais de façon traditionnelle. Les mesures sont confiées aux gestes des mains; les dessins techniques semblent impossibles à lire alors que souvent le 3D est accueilli comme quelque chose qui existe déjà et donc inutile de copier. La confrontation avec les objets existants surtout semble fondamentale car cela permet de travailler par ressemblance ou par différence. C’est ce qui s’est passé dans la vallée du Drâa, où des paniers ont «quitté» la troisième dimension pour devenir des rabanes, ou bien, miniaturisés, ils se sont transformés en bijoux, boucles d’oreilles et bracelets. Quel marché est le plus intéressant pour les produits découlant des projets? Traditionnellement on indique plusieurs voies: 1. marché local, se partageant en: a. fonctionnel uniquement, b. évolué (citadin); 2. tourisme; 3. export. Il semble difficile de travailler pour le marché local de type a, qui exprime des besoins simples dans lesquels le design ne peut apporter une véritable contribution en termes de valeur ajoutée. Alors que ceux du tourisme et de l’exportation semblent plus appropriés, et d’ailleurs les designers montrent traditionnellement plus de compétences dans cette direction. Quelle contribution peut provenir des économies de type informel? C’est-à-dire des économies qui ne sont pas gouvernées par des institutions légales, les lois en vigueur ou bien les règles typiques d’une économie moderne, caractérisées par des modalités de transaction en toile d’araignée, par la particularité et le caractère quasi unique de chaque bien ou service qui se chargent d’un contenu symbolique et cognitif important lié également à celui qui l’offre…


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Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze, Progetto Elles peuvent, lavorazione della ceramica, Tamegroute, Valle del Drâa, Marocco. Cours de Laurea en Dessin Industriel de Florence, Projet Elles peuvent, travail de la poterie, Tamegroute, Vallée du Drâa, Maroc.


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Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze, Progetto Elles peuvent, lavorazione della foglia di palma, Valle del Drâa, Marocco. Cours de Laurea en Dessin Industriel de Florence, Projet Elles peuvent, travail de la feuille de palme, Vallée du Drâa, Maroc.


Come comunicare il vero valore aggiunto dei prodotti degli artigiani che è rappresentato dalla storia che vi sta dietro, dal lavoro, dalle difficoltà che questi incontrano, dalla vita che conducono? Interessante in tal senso la sensazione provata la prima volta nella sede dell’Associazione ADEO a Ifrane Alì, quella di prodotti estremamente semplici, dal basso valore aggiunto, che è cambiata completamente in occasione della visita presso la prima ceramista incontrata. Da qui l’idea di ripensare alla sede di ADEO a livello di allestimento con l’inserimento di pannelli esplicativi, di un video, magari di un laboratorio in cui le donne operano direttamente e il collocamento di una segnaletica-pannello esplicativo nella piazza del paese di Oued-Laou, sul mare, che indirizzi verso la sede. Inoltre, quale ruolo può giocare all’interno di tale contesto il Mediterraneo? “Per ‘alternativa mediterranea’ si può dunque intendere il tentativo di resistere, facendo leva su un recupero della tradizione e dei valori mediterranei, alla deriva universalistica e ‘monoteistica’ che viene dall’Occidente estremo – gli Stati Uniti d’America – e si abbatte con violenza sul vecchio mondo… L’’alternativa mediterranea’… vorrebbe valorizzare, piuttosto, la cultura del limes, dei molti dei, delle molte lingue e delle molte civiltà, del ‘mare fra le terre’ estraneo alla dimensione monista, cosmopolitica e ‘umanitaria’ delle potenze oceaniche”21. Mediterraneo, dunque, an-

Le tout avec l’idée que le secteur informel «contrairement à ce que l’on croyait au début… n’est pas destiné à disparaître avec la croissance économique. Au contraire il est probable qu’il s’accroisse à l’avenir…»18. et que le développement humain de l’Afrique passe aussi par la diffusion de ce modèle. Avec la conviction que le franchissement de cette dichotomie et une nouvelle relation entre l’économie formelle et informelle peut représenter une opportunité importante pour cette dernière. «Dès que… nous reconnaissons les nombreux moments qui amènent une modalité à pénétrer dans l’autre (la formelle et l’informelle), chaque schéma dichotomique ou dualiste disparaît en faveur de parcours qui dès le départ sont mixtes ou «à la limite», au point que cette limite, au lieu d’avoir un bord coupant, devient un terrain vaste et ramifié dans lequel se déroulent les processus les plus innovants de l’économie»19. Pour un résultat d’ensemble qui présente des implications évidentes sur le plan proprement productif. La caractéristique des objets contemporains est en effet la complexité au moment de la naissance et lors du développement – au point qu’une revue comme «Domus» a inventé le terme de «Géodesign»; en effet la plupart des produits du furniture design (et pas seulement) a aujourd’hui une articulation territoriale variée, qui investit différents endroits du monde. Il arrive de plus en plus souvent qu’un même objet soit conçu, assemblé, produit en série, rendu communicable, emballé, commercialisé et vendu dans différents endroits de la planète. Et tous ces lieux différents, comme caractères génétiques le conditionnent en quelque sorte, le modèlent, restent collés à lui»20. Et puis, sur le marché: comment est-il possible d’avoir des retombées et de garantir les droits des artisans? Les règles du commerce équitable semblent faire l’affaire, mais la complexité des contextes de référence et l’éloignement du nôtre demandent une attention particulière. Pensons au travail dans la vallée du Drâa et aux hypothèses de développement du travail du palmier dattier qui sur les grands ou moyens nombres peut compromettre un écosystème aussi fragile que celui de l’oasis. De plus: concernant le thème des coûts, il semble qu’il y ait de plus en plus d’occasions offertes dans la gamme haute du marché. Le problème est de comprendre quelle est la rétribution équitable pour les artisans – une hausse excessive provoquerait en effet un déséquilibre du marché. Il semble plus opportun d’employer l’excédent pour financer l’activité des associations au niveau des interventions sociales sur le territoire (éducation, santé, développement).

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Ed ancora, sul mercato: come è possibile avere delle ricadute e garantire i diritti degli artigiani? Le regole del commercio equo e solidale appaiono una sicura guida. Ma la complessità dei contesti di riferimento e la lontananza dal nostro richiedono una particolare attenzione. Si pensi al lavoro nella Valle del Drâa e ad ipotesi di sviluppo della lavorazione della palma che su grandi-medi numeri può minare un ecosistema estremamente fragile come quello dell’oasi. In più: relativamente al tema dei costi appaiono crescenti le opportunità offerte a livello di mercato alto. Il problema è capire qual è la giusta retribuzione per gli artigiani – un eccessivo incremento porterebbe infatti a squilibrare il mercato. Più opportuno appare impiegare il plus per finanziare l’attività delle associazioni a livello di interventi sociali sul territorio (educazione, salute, sviluppo). Sempre in relazione al mercato devono essere considerati attentamente i costi di trasporto che, più di altri, incidono, tenendo conto di soluzioni vantaggiose – ad esempio garantendo l’impilabilità. Mentre altri problemi sono rappresentati dal controllo qualità, dalla sua continuità, dalla costanza dim produzione che, generalmente, possono essere ridotti con l’individuazione di un partner affidabile in loco.


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cora come mare di mezzo, non solo tra terre, ma tra due modelli di sviluppo, quello comunemente definito come occidentale, il nostro, che ha portato mediamente a benessere economico ma che pecca sul piano della sostenibilità ambientale, nella disparità nei confronti di realtà a più basso tasso di sviluppo e non appare generalizzabile perché porterebbe in breve al tracollo del pianeta; quello proprio della riva sud, eccessivamente lento, soggetto alla minaccia di una occidentalizzazione incontrollata, ma che ancora si esprime in continuità con il territorio, in rapporto con la tradizione, in legami sociali forti. Ed infine: come è possibile operare progettualmente senza cadere nei rischi di un nuovo colonialismo? Se non esistono risposte valide in assoluto è certo che i progetti nascono fortemente condivisi, interpretati, trasformati, spesso in meglio con chi li costruisce; con gli studenti che magari, inizialmente, rimangono stupiti perché la realizzazione è diversa rispetto a ciò che avevano prefigurato nel progetto ma poi, pian piano, ne colgono il valore di condivisione, di contaminazione formale, di continuità con la tradizione, di concretezza materica, fino a preferirlo. Eteroprogettazione ed autoprogettazione, dunque, come estremi, con innumerevoli forme intermedie, espressioni di varietà nel rapporto tra alterità. Il tutto a tracciare una particolare fenomenologia del design che, perduta ogni tentazione assertiva, si fa strumento di condivisione e partecipazione. Recuperando in ciò i principi del relativismo antropologico, inteso come metodo e non come dottrina – “…l’antropologo si posiziona… Nel corso della ricerca, anziché banale neutralismo, si colloca di lato alle persone insieme alle quali svolge la ricerca (e non sulle quali), per svolgere una complessa relazione dialogica. E così al tradizionale e per tanti versi glorioso relativismo succede l’inter-soggettività, una reciproca interpretazione tra due o più soggettività che insieme cercano di dare il senso dello stare al mondo, attraverso un profondo umanesimo vissuto e partecipato contro e, meglio, oltre ogni ricorrente tentativo di restaurare anti-relativismi tardo-coloniali”22. Proprio l’assunzione del relativismo come metodologia di lavoro contrasta chi vede in questo, ora il cavallo di Troia contro l’Occidente e la sua cultura (neoconservatori e teocon), ora una disciplina da superare in nome del primato della politica (post-colonialisti). “…del relativismo come problema sollevato dallo studio della diversità, l’antropologia non si libererà tanto facilmente. Il relativismo come dottrina esiste invece quasi soltanto negli argomenti dei suoi oppositori, che lo agitano per cercare di sfuggire alla complessità di un’epistemologia che lascia ben poco spazio alle proprie certezze”23.

Toujours par rapport au marché il faut considérer attentivement les coûts de transport qui pèsent plus que d’autres et prendre en compte les solutions avantageuses, comme par exemple la possibilité d’empiler les objets. Il y a aussi d’autres problèmes comme le contrôle de qualité, sa continuité, le flux continu de commandes qui en général peut être garanti en trouvant sur place un partenaire fiable. Comment communiquer la véritable valeur ajoutée des produits des artisans, qui est constitué de la vie qui se trouve derrière, des difficultés que ceux-ci rencontrent, de la vie qu’ils conduisent? A noter dans ce sens la sensation éprouvée la première fois au siège de l’Association ADEO à Ifrane Alì, celle des produits extrêmement simples qui ont une valeur ajoutée très faible, qui a complètement changé à l’occasion de la visite chez la première potière rencontrée. D’où l’idée de revoir l’aménagement du siège d’ADEO avec l’ajout de panneaux illustratifs, d’une vidéo et peut-être d’un atelier où les femmes puissent travailler directement, et aussi l’installation d’une signalétique-panneau explicatif sur la place du village de Oued Laou, au bord de mer, qui oriente vers le siège. Et puis, quel rôle peut jouer la Méditerranée dans un tel contexte? On peut entendre par «alternative méditerranéenne» la tentative de résister, en misant sur une valorisation des traditions et des valeurs méditerranéennes, à la dérive universaliste et «monothéiste» provenant de l’Occident extrême – les États-Unis d’Amérique – qui s’abat avec violence sur l’ancien monde…L’ «alternative méditerranéenne» …voudrait valoriser en revanche la culture des limes, des nombreux dieux, des nombreuses langues et des civilisations multiples, de la «mer entre les terres» étrangère à la dimension moniste, cosmopolite et «humanitaire» des puissances océaniennes»21. Méditerranée donc, encore comme mer du milieu, non seulement entre les terres, mais entre deux modèles de développement, celui que l’on appelle occidental, le nôtre, qui a permis le bien-être économique mais pèche au niveau de la durabilité environnementale, de la disparité vis-à-vis de situations à plus faible taux de développement et ne semble pas généralisable car il conduirait rapidement à l’effondrement de la planète; celui propre à la rive sud, excessivement lent, sujet à la menace d’une occidentalisation incontrôlée, mais qui s’exprime encore en continuité avec le territoire, en rapport avec la tradition, en liens sociaux forts.


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Et enfin: comment peut-on élaborer des projets sans tomber dans le piège d’un nouveau colonialisme? S’il n’existe pas de réponses valables dans l’absolu, il est certain que les projets naissent fortement partagés, interprétés, transformés, souvent en mieux avec ceux qui les construisent; avec les étudiants qui peut-être, au départ, sont étonnés parce que la réalisation est différente de ce qu’ils avaient préfiguré dans le projet, mais petit à petit, ils en saisissent la valeur de partage, de contamination formelle, de continuité avec la tradition, de matérialité concrète, et en fin de compte la préfèrent. «Hétéro-conception» et «auto-conception» donc, comme extrêmes, avec d’innombrables formes intermédiaires, expressions de variété dans le rapport entre altérités. Le tout pour tracer une phénoménologie du design qui, une fois abandonnée toute tentation d’assertion, devient instrument de partage et de participation. On retrouve ici les principes du relativisme anthropologique, dans le sens de la méthode et pas de la doctrine – «…l’anthropologue se positionne… Au cours de la recherche, au lieu d’un neutralisme banal, il se situe à côté des personnes avec lesquelles (et pas sur lesquelles) il effectue la recherche, pour effectuer une rédaction dialogique complexe. C’est ainsi qu’au relativisme traditionnel et à maints égards glorieux succède l’intersubjectivité, une interprétation réciproque entre deux ou plusieurs subjectivités qui, ensemble, essaient de donner un sens à l’existence, à travers un humanisme profond, vécu et ressenti contre, ou mieux, au-delà toute tentative récurrente de restaurer les anti-relativismes du colonialisme tardi»22. Le fait même d’adopter le relativisme comme méthodologie de travail tranche avec ceux qui voient en cela, soit le cheval de Troie contre l’Occident et sa culture (Néoconservateurs et «teocon»), soit une discipline à surmonter au nom de la primauté de la politique (post-colonialiste) «…du relativisme comme problème soulevé par l’étude de la diversité, l’anthropologie ne se libèrera pas si facilement. Le relativisme en tant que doctrine existe en revanche presque seulement dans les arguments de ses opposants, qui l’agitent pour essayer de fuir la complexité d’une épistémologie qui laisse bien peu de place à ses propres certitudes»23. Encore à la Canevacci: «Le relativisme prend position… il n’est pas neutre, car il s’oppose à l’offensive de théories totalisantes… le nouveau relativisme déplace l’interprétation d’une culture de la tradition ethnocentrique à la vision du monde du sujet porteur de cette même culture: c’est une méthode et non pas une doctrine: elle prend position, elle n’est pas neutre; elle valorise les différences culturelles contre tout universalisme»24. Les démarches exposées ci-dessus tracent une première hypothèse de travail d’un design qui récupère du relativisme les principes méthodologiques en se rangeant du côté de la dialectique constructive entre altérités.

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Ancora alla Canevacci: “Il relativista prende posizione... non è neutrale, in quanto si oppone all’offensiva di teorie totalizzanti... il nuovo relativismo sposta l’interpretazione di una cultura dalla tradizione etnocentrica alla visione del mondo del soggetto portatore di quella stessa cultura: è un metodo non una dottrina: prende posizione, non è neutrale; valorizza le differenze culturali contro ogni universalismo”24. Le prassi sopra esposte tracciano una prima ipotesi di lavoro di un design che del relativismo recupera i principi metodologici schierandosi nella dialettica costruttiva tra alterità.


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Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze, Progetto HabitatMed, lavorazione della ceramica, Sousse, Tunisia. Cours de Laurea en Dessin Industriel de Florence, Projet HabitatMed, travail de la poterie, Sousse, Tunisie.


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Design et interculture

Ilaria Bartolini Designer


La nature des hommes est identique, ce qui les divise ce sont leurs coutumes. Confucio

Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione per le culture altre. Sia chi considera questa molteplicità culturale come ricchezza, sia chi, invece, la teme e la osteggia, mette in evidenza il fatto che esistono le differenze e che vanno prese in considerazione. Uno sguardo superficiale ci porta ad affermare che alcuni di noi sono simili e pertanto esponenti di una cultura specifica e diversa da quella degli altri, ma questo ci costringerebbe a sostenere che le nostre società siano state monoculturali prima dell’arrivo di altre persone e che comunque queste rappresentino la loro supposta cultura di partenza nelle società di destinazione. Mentre, come afferma con una similitudine in Eccessi di culture Marco Aime, “le culture sono cantieri sempre aperti e gli individui, muratori che costruiscono, smontano, modificano a seconda delle necessità”1. È chiaro d’altronde quanto sia fondamentale il ruolo della cultura nella vita delle persone. Essa rende possibili le relazioni tra individui e istituisce tra loro legami particolari attorno a determinati valori, usi e costumi. Importante però è non scambiarla per uno strumento di omogeneizzazione, come se fosse uno stampo che rende uniformi le persone. Come infatti sostiene Unni Wikan, ricercatrice della cultura e della società marocchina, “il riconoscere una diversità di approcci alla realtà, cioè una diversità di culture, non significa né accettare tutto di esse, né intenderle come entità fisse, rigide, come pacchetti preconfezionati, sigillati e impermeabilizzati”2. In un’epoca in cui i flussi globali sempre più rapidi trasportano persone, idee, immagini da un capo all’altro del mondo, connettendo in tempo reale comunità distanti e diverse tra loro, affermare “l’unità culturale” di uno Stato o di un territorio è perciò un’operazione semplicistica ed anche un po’ grossolana, che finisce per ignorare le numerose e frequenti differenze interne. È innegabile tuttavia affermare che oggi ci troviamo di fronte ad una realtà multiculturale ed è innegabile anche che la multiculturalità sia un fatto oggettivo della compresenza, in uno stesso spazio o territorio, di tante culture. Si tratta però di un processo statico, che non prevede un’interazione tra individui o gruppi. È da considerare perciò un’imprecisione, continuamente adottata nell’uso comune, il far coincidere questo termine con “interculturalità”, che invece rappresenta un processo dinamico. Interculturale infatti descrive uno specifico “progetto” di interazione entro le società multiculturali; è il modello secondo il quale le culture diverse si mettono in gioco in uno spazio sociale comune, che è poi quello che esse dovranno abitare. Mettersi in gioco significa farsi conoscere, comunicare con le altre culture, accettarle come risorsa, collaborare secondo un’idea di comune partecipazione e riconoscimento delle altre identità. Ciò è esplicitato chiaramente nell’origine del termine, composto dal pre-

Dernièrement on s’intéresse de plus en plus aux cultures autres. Il y a ceux qui considèrent cette multiplicité culturelle comme une richesse, et ceux qui au contraire la craignent et la repoussent, ce qui montre bien qu’il existe des différences et qu’elles doivent être prises en compte. Un coup d’œil superficiel laisse à penser que certains d’entre nous se ressemblent et sont par conséquent les représentants d’une culture spécifique et différente de celle des autres, mais cela nous obligerait à croire que nos sociétés ont été mono-culturelles avant l’arrivée d’autres personnes et que de toutes les façons ces dernières sont censées représenter leur culture de départ dans les sociétés de destination. En revanche, pour Marco Aime «les cultures sont des chantiers toujours ouverts et les individus, des maçons qui construisent, démontent, modifient selon les besoins»1, dit-il de façon imagée. Nul doute d’autre part que le rôle de la culture est fondamental dans la vie des personnes. Celle-ci rend possibles les relations entre individus et noue entre eux des liens particuliers autour de certaines valeurs, us et coutumes. Il ne faut cependant pas la prendre pour un outil d’homogénéisation, comme si c’était un moule rendant les personnes uniformes. Comme l’affirme en effet Unni Wikan, experte de culture et de société marocaine, «le fait de reconnaître une diversité d’appréhension de la réalité, c’est-àdire une diversité de cultures, ne signifie pas que l’on accepte tout de ces dernières, ni qu’on les considère comme des entités fixes, rigides, comme des paquets pré-emballés, hermétiquement fermés et imperméabilisés»2. A une époque où les flux mondiaux de plus en plus rapides transportent personnes, idées, images d’un bout à l’autre du monde, en connectant en temps réel des communautés distantes et différentes entre elles, affirmer «l’unité culturelle» d’un état ou d’un territoire est donc une opération simpliste et même un peu grossière, qui finit par ignorer les nombreuses et fréquentes différences internes. Il est toutefois indéniable qu’aujourd’hui nous nous trouvons face à une réalité multiculturelle et il est indéniable également que la multi-culturalité découle de la cohabitation dans un même espace ou territoire, de nombreuses cultures. Mais il s’agit d’un processus statique, qui ne prévoit pas d’interactions entre individus ou groupes. Il n’est donc pas tout à fait exact de faire coïncider ce terme, couramment utilisé, avec celui d’ «interculturalité» qui représente au contraire un processus dynamique. L’interculturel en effet décrit un «projet» spécifique d’interaction entre les sociétés multiculturelles ; c’est un modèle se-

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La natura degli uomini è identica, a dividerli sono i loro costumi. Confucio


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fisso inter, “tra”, che rimanda all’interazione, allo scambio, all’apertura, alla reciprocità, alla solidarietà, e dalla parola cultura, che indica qualcosa “tra la cultura o tra le culture”. Come sostiene Enzo Bianchi in L’altro siamo noi, “l’identità a livello sia personale, sia comunitario e sociale si è formata storicamente e si rinnova quotidianamente nell’incontro, nel confronto, nella relazione con gli altri”3. Così, nello scambio e nel dialogo, avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate nei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate, all’insegna di un métissage, che è la condizione necessaria per la costruzione di nuove abitudini, nuovi stili di vita, che sintetizzino le diversità culturali. Come può avvenire, ad esempio, per il linguaggio, per le culture alimentari, per gli abiti e gli oggetti d’uso quotidiano, fino poi, via via, per le mentalità. Il design in tale prospettiva deve investire su questa contaminazione di usi e saperi, come forma di comunicazione universale, grazie alla quale ci si confronta, si comprendono e si accettano le differenze. Più che il linguaggio, forme e gesti quotidiani esprimono la cultura di chi la pratica, sono depositari delle tradizioni, ad esempio artigianali, e

lon lequel les différentes cultures se mettent en jeu dans un espace social commun, qui est celui que celles-ci devront habiter à la fin. Se mettre en jeu signifie se faire connaitre, communiquer avec les autres cultures, les accepter comme ressource, collaborer selon une idée de participation commune et de reconnaissance des autres identités. C’est clairement explicité dans l’origine du terme, composé du préfixe inter, entre, qui renvoie à l’interaction, à l’échange, à l’ouverture, à la réciprocité, à la solidarité, et par le mot culture, qui indique quelque chose «entre la culture ou entre les cultures». Comme l’affirme Enzo Bianchi dans L’autre c’est nous, «l’identité au niveau tant personnel que communautaire et social, s’est formée historiquement et se renouvelle quotidiennement dans la rencontre, dans la confrontation, dans la relation avec l’autre»3. De sorte que, dans l’échange et dans le dialogue, a lieu la contamination des limites, ont lieu les traversées dans les territoires inconnus, s’ouvrent des voies inexplorées, à l’en-


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dell’identità di un gruppo, ma allo stesso tempo sono instabili e in continua ridefinizione, influenzati da scambi, incontri, contaminazioni, alleanze e conflitti. Questo linguaggio non verbale si predispone meglio della parola ad incoraggiare lo scambio tra popoli e la conoscenza delle culture geograficamente e storicamente lontane, con il positivo risultato di avvicinarle. È importante tuttavia distinguere ciò che pone un limite all’incontro tra due popoli, da ciò che invece presuppone un passaggio, attraverso il quale ognuno porta con sé i propri usi e costumi, in quanto parte costitutiva di quella cornice culturale in cui ognuno cresce, per scambiarli con quelli che troverà al di là di quello che impropriamente viene chiamato “confine”. È necessario quindi non escludere a priori ciò che ci sta attorno, perché inconsapevolmente potremmo accorgerci che ci assomiglia, ci appartenere, anche se percepibilmente lontano. Moni Ovadia, in una recente intervista per il Festival della Creatività 2010, ha affermato in riferimento al suo attuale progetto Noi/altri, che “se sentiamo certe musiche, ci emozioniamo immediatamente. [...] Noi facciamo parte di una sola umanità, che si emoziona per le stesse cose; che ha le sue emozioni particolari, che sono particolari di una gente, ma universali, perché toccano il cuore di tutti. [...] Noi siamo universali pur nelle differenze, perché le differenze sono la bellezza molteplice dell’universale umano”4. Progettare oggetti “meticci” e introdurli in mercati internazionali porterà chi ne usufruisce a riflettere oltre il suo ego individuale o collettivo, diventando così “strumenti” privilegiati per sviluppare l’educazione interculturale e comunicare un’idea di pluralismo, che riconosca il diritto di chi pensa diversamente, ma che si muova verso una società più aperta e dinamica. L’obiettivo è quello di superare divisioni e facilitare relazioni e mescolanze, abituando le persone al confronto e soprattutto all’interpretazione. In tal modo, quindi, l’accento non cade sulle differenze irriducibili, ma su ciò che di universale possiede ogni cultura, oggi ancor più enfatizzato dagli effetti della globalizzazione, cosicché ogni uomo ne sia superiore. Per questo, il design si presta bene come catalizzatore di incontri tra portatori di culture diverse, in quanto abitua al confronto e allo scambio, offre la scoperta di nuovi modi di pensare e di essere; è un continuo spostamento di confini, un superamento degli stereotipi, uno sconvolgimento delle consuetudini; è invenzione di nuovi scenari, di nuovi stili, di nuovi linguaggi; è un ponte per l’interculturalità, per costruire occasioni di dialogo e collaborazioni. Se qualcuno avrà da obiettare, proclamando l’importanza delle “identità” e delle “tradizioni” culturali, potremmo rispondere che esse non sono iscritte nel patrimonio genetico, ma si modificano e si ridimensionano incessantemente, adattandosi a situazioni sempre nuove, determinate dal contatto con culture diverse. Le identità non esistono al di fuori dello scambio e, tutelare la biodiversità, non significa chiudere ciascuna identità in un guscio, bensì metterle in rete per condividerle con altri. Massimo Montana-

seigne d’un métissage qui est la condition nécessaire à la construction de nouvelles habitudes, de nouveaux styles de vie, qui synthétisent les diversités culturelles, comme cela peut avoir lieu par exemple pour le langage, les cultures alimentaires, les vêtements et les objets d’usage quotidien, jusqu’aux mentalités. Dans cette perspective le design doit investir sur cette contamination des savoir-faire, comme forme de communication universelle, grâce à laquelle on se confronte, on se comprend et on accepte les différences. Plus que le langage, les formes et les gestes quotidiens expriment la culture de ceux qui les pratiquent, sont dépositaires des traditions, par exemples artisanales, et de l’identité d’un groupe, mais en même temps ils sont instables et évoluent continuellement, influencés par les échanges, les rencontres, les contaminations, alliances et conflits. Ce langage non verbal sert mieux que la parole à encourager l’échange entre les peuples et la connaissance des cultures éloignées au plan géographique et historique, en aboutissant au résultat positif de les rapprocher. Il est important cependant de distinguer ce qui met un frein à la rencontre entre deux peuples, et ce qui suppose en revanche un passage, à travers lequel chacun apporte avec soi ses propres us et coutumes, en tant que partie constituante de ce cadre culturel dans lequel chacun grandit, pour l’échanger avec ceux qu’il trouvera de l’autre côté de ce que l’on appelle maladroitement la «frontière». Il est donc nécessaire de ne pas exclure à priori ce qui est autour de nous, car nous pourrions nous apercevoir ensuite que cela nous ressemble, nous appartient, même si cela parait éloigné. Moni Ovadia a affirmé, dans un entretien récent au Festival de la Créativité 2010, en parlant de son projet actuel Noi/altri (Nous-autrui), que «si nous entendons certaines musiques, nous nous sentons tout de suite émus. […] Nous faisons partie d’une seule humanité, qui s’émeut pour les mêmes choses, qui éprouve des émotions particulières, qui sont le propre d’une population, mais qui sont universelles, car elles touchent le cœur de tous. […] Nous sommes universels malgré nos différences, car les différences sont la beauté multiple de l’univers humain»4. Concevoir des objets «métissés» et les écouler sur les marchés internationaux, conduira ceux qui en profitent à réfléchir au-delà de leur ego individuel ou collectif, devenant ainsi des «instruments» privilégiés pour développer l’éducation interculturelle et communiquer une idée de pluralisme qui reconnaisse le droit de celui qui pense différemment, et qui aille vers une société plus ouverte et plus dynamique. L’objectif est de surmonter les divisions et de faciliter relations et brassage, en habituant les personnes


Marcello Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004. cit. Marcello Aime, Gli specchi di Gulliver, Bollati Boringhieri, Torino 2006. 3 Enzo Bianchi, L’altro siamo noi, Einaudi, Torino 2010. 4 Moni Ovadia, intervista al / interview pour Tg-Festival della Creatività 2010, Intoscana.it, 24.10.2010. 5 Massimo Montanari, Il Mondo in cucina, Laterza, Roma-Bari 2002. 6 Moni Ovadia, op. cit. 1 2

à la confrontation et surtout à l’interprétation. De cette façon donc on ne met pas l’accent sur les différences irréductibles mais sur ce que possède d’universel chaque culture, plus accentué aujourd’hui encore à cause de la mondialisation, de sorte que chaque homme la domine. Voilà pourquoi le design peut servir de catalyseur de rencontres entre porteurs de cultures différentes, car il habitue à la confrontation et à l’échange, il offre la découverte de nouvelles façons de penser et d’être; c’est un déplacement continuel de frontières, un dépassement des idées reçues, un bouleversement des habitudes; c’est l’invention de nouveaux décors, de nouveaux styles, de nouveaux langages; c’est un pont pour l’interculturalité afin de construire des occasions de dialogue et de collaborations. Si d’aucuns se rebiffent, en proclamant l’importance des «identités» et des «traditions» culturelles, nous pouvons répondre que celles-ci ne sont pas inscrites dans le patrimoine génétique, mais se modifient et changent de forme continuellement, en s’adaptant à des situations toujours nouvelles, déterminées par le contact avec des cultures diverses. Les identités n’existent pas en dehors de l’échange et, sauvegarder la diversité ne signifie pas enfermer chaque identité dans un carcan, mais plutôt la mettre en réseau afin de la partager avec autrui. Massimo Montanari, dans son ouvrage Le monde en cuisine. Histoire, identité, échanges affirme que «toute tradition est le fruit d’une série d’innovations et de leur décantation dans la culture qui les a accueillies»5. A la fin de cette réflexion sur le thème «Design et Interculture» je voudrais encore une fois citer Moni Ovadia, toujours extrait de l’entretien cité plus haut, qui affirme en parlant de la créativité, attitude indispensable pour tout designer, artisan et plus en général pour tous, que «l’on n’est jamais créatif si l’on accepte les idées reçues. Il faut connaitre les grammaires mais l’on devient créatifs quand on brise les logiques pour accéder à d’autres grammaires, à d’autres syntaxes, qui seront à leur tour renversées par de nouveaux créatifs. Voilà le processus qui a conduit l’homme à ne pas en rester à l’âge des cavernes, mais à construire un projet»6.

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ri, nel suo Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi afferma che “ogni tradizione è il frutto di una serie di innovazioni e dell’assestamento che esse hanno indotto nella cultura che le ha accolte”5. A termine di questa riflessione sul tema “Design e Intercultura” vorrei ancora una volta citare Moni Ovadia, sempre nell’intervista sopra ricordata, che afferma a proposito della creatività, atteggiamento indispensabile per qualunque designer, artigiano e più in generale per tutti, che “non si è mai creativi, se si accettano gli stereotipi. Le grammatiche bisogna saperle, ma si diventa creativi quando si rompono per accedere ad altre grammatiche, ad altre sintassi, che verranno rotte da nuovi creativi. Questo è il processo che ha portato l’uomo a non rimanere all’età delle caverne, ma a costruire un progetto”6.


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A quatre mains et plus

AA.VV., Yamo. Sculpteur de lumière, Editane, Alger 2004.

Cultura materiale, artigianato e design in Marocco / Culture matérielle, artisanat et design au Maroc


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Indice / Sommaire

Progetti mediterranei Projets Méditerranéens / Gianfranco Simoncini

8

Marocco e Italia: sviluppo dei saperi artigianali ed integrazione dei sistemi produttivi Maroc et Italie: développement des savoir-faire artisanaux et intégration des systèmes productifs / Marco Sechi

10

Nord-Sud, design condiviso Nord-Sud, design en partage / Massimo Ruffilli

16

Conoscere, imparare, produrre Connaître, apprendre, produire / Abdelkrim Ouazzani

18

ADEO per l’artigianato femminile nei villaggi del bacino di Oued Laou ADEO pour l’artisanat féminin des douars du bassin versant d’Oued Laou

20

La ceramica di Beni-Said La poterie de Beni-Said / Agnes Goffart

22

Il lavoro all’Associazione Assaida Al Horra Le travail à l’Association Assaida Al Horra / Laila El Maslouhi

26

Un progetto comune Un projet commun / Khadija Kabbaj

28

Workshop, diario di bordo Atelier, journal de bord / Ilaria Serpente

34

Tra formale e informale: sentieri di upgrading delle attività informali artigiane di Oued Laou Entre formel et informel: pistes de revalorisation des activités artisanales informelles de Oued Laou / Enrico Testi

56

Le mani e l’intelletto Les mains et l’intellect / Alice Cappelli

66

Design con i Sud del mondo Design avec les Sud du monde / Giuseppe Lotti

78

Design e intercultura Design et interculture / Ilaria Bartolini

98

Bibliografia / Bibliographie

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Giuseppe Lotti-Ilaria Bedeschi (a cura di – sous la direction de), Elles Peuvent. Progetti per gli artigiani della Valle del Drâa in Marocco Projets pour les artisans de la Vallée du Drâa au Maroc, pp. 96. Lino Centi-Giuseppe Lotti (a cura di), Design ± Infinito. Percorsi del progetto critico, pp. 96. Saverio Mecca-Letizia Dipasquale (a cura di – edit by), Earthen Domes et Habitats. Villages of Northern Syria. An architectural tradition shared by East and West, pp. 480. Saverio Mecca, Letizia Dipasquale, Luisa Rovero, Ugo Tonietti & Vittoria Volpi (a cura di), Chefchaouen, Architettura e cultura costruttiva, pp. 216. Saverio Mecca, Silvia Briccoli Bati, Maria Cristina Forlani & Maria Luisa Germanà (a cura di – edit by), Earth/Lands. Earthen architectures in Southern Italy / Architetture in terra nell’Italia del Sud, pp. 304. Giuseppe Lotti, Territori & connessioni. Design come attore della dialettica tra locale e globale, pp. 124. Giuseppe Lotti-Khadija Kabbaj-Ilaria Serpente (a cura di – sous la direction de), A quatre mains et plus. Design per la ceramica della regione di Tanger-Tétouan in Marocco Design et poterie dans la région de Tanger-Tétouan au Maroc, pp. 132.

Next - Di prossima uscita Saverio Mecca, Letizia Di Pasquale (edit by), Terra Europae. Earthen architecture in the European Union.


Design con i Sud del mondo. Una categoria, tra le molte del design, giovane, ancora da teorizzare. La tematica è affrontata soffermandosi sulla complessità delle problematiche di intervento, metodologie e strumenti di lavoro, attori e competenze, ruolo specifico del design. Il tutto presentato attraverso il racconto di un progetto condotto nel Nord del Marocco con donne ceramiste nella realtà rurale di Ifrane Alì ed urbana di M’diq da studenti di università italiane e marocchine. Un racconto di scambi tra le due Rive del Mediterraneo che, al di là delle particolari implicazioni di natura progettuale, si carica di significati culturali, sociali e, perché no?, politici. Design avec les sud du monde. Une catégorie, parmi celles du design, jeune, encore à théoriser. La thématique est abordée sous l’angle de la complessité des problématiques d’interventions, des méthodologies et des instruments de travail, des acteurs et des compétences, rôle spécifique du design. Le tout présenté à travers le récit d’un projet conduit au Nord du Maroc, en présence de femmes céramistes issues des réalités rurales d’Ifrane Ali et urbaines de M’diq, conduit par des étudiants d’universités italiennes et marocaines. Une histoire d’échanges entre les deux rives de la Méditerrannée qui, au delà des implications particulières liées au projet, est chargée de significations culturelles. sociales et, pourquoi pas, politiques. Giuseppe Lotti Ricercatore, è docente al Corso di Laurea in Disegno Industriale e al Corso di Laurea Magistrale in Design dell’Università di Firenze. È autore di pubblicazioni sul design e curatore di mostre in Italia e all’estero. Dal 2010 ricopre la carica di Direttore del Centro Studi Giovanni Klaus Koenig. Chercheur universitaire, est enseignant au Corso di Laurea in Disegno Industriale et Corso di Laurea Magistrale in Design de l’Université de Florence. Il a publié de nombreuses oeuvres sur le design et a été directeur artistique d’exposition sur ce thème en Italie et à l’étranger. Il est depuis 2010 Directeur du Centro Studi Giovanni Klaus Koenig. Khadija Kabbaj Artista e designer, vive e lavora a Casablanca dove ha installato il suo studio KHK Création, specializzato in design. Ha partecipato a numerose esposizioni in Marocco e all’estero. Nel 2009 ha fondato l’associazione socioculturale ed artistica Extramuros, per lo sviluppo dell’arte e della cultura marocchina. Plasticienne et designer, vie et travaille à Casablanca où elle crée sa propre structure KHK Création spécialisée dans le design. Elle participe à de nombreuses expositions aussi bien au Maroc qu’à l’étranger. En 2009, elle fonde l’association socioculturelle et artistique Extramuros, pour le développement de l’art et la culture au Maroc. Ilaria Serpente Designer e collaboratrice del Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi di Firenze. La sua attività professionale si concentra sui temi del design per la sostenibilità – eco design, sviluppo di comunità rurali ed urbane. Ha lavorato su progetti in Sud America – regione amazzonica e periferie di São Paulo, Brasile. Designer et collaboratrice du Corso di Laurea in Disegno Industriale de l’Université de Florence. Ses activités professionnelles ont porté essentiellement sur le thème du design durable - eco design, développement pour les communautés rurales et urbaines. Elle a travaillé en particulier sur des projets en Amérique du sud - Amazonie et périphérie de São Paulo au Brésil.

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