Synaxis 1997 XV 1

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Nuova serie - XV/ 1 - 1997

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO CATANIA


ProprietĂ letteraria riservata

sta111pa

Tipolitografia Galatea Tel. 095/894844 - Fax 095/894825 Via Piernonte, 84 - Acireale


INDICE

Sezione teologico-morale LA LAVANDA DEI PIEDI. Il coinvolgirnento dei discepoli nell'esodo di Gesl1 1nediante l'ainorc [continuazione] {Attilio Ga11ge111i)

Parte terza: Le azioni di Gesti (vv. 4.5) Parlc quarta: Rilettura globale di Gv 13,1-5

7 69

FEDE CRISTIANA ED ESPERIENZA UMANA IN S. TOMMASO D'AQUINO (Fra11cesco Ve11tori110)

l. 2. 3. 4. 5.

Significato dell'esperienza umana L'esperienza de!!a fede L'assenso della fede I segni e la grazia L'atto della fede .

89 93

99 105 110

PENSIERO E PREGHIERA NELL'ESPERIENZA SPIRITUALE DI SIMONE WEIL. Per un pri1no opproccio al ten1a (Giuseppe Schil/aci) J. Il problcrna 2. Un pensiero che nasce da un'esperienza 3. L' «0111bra e !a grazia»

117 119

4. La nozione di hypo111oné

128 142

5. Conclusione

147

TEMI ASCETICO-PEDAGOGICI NEL Il LIBRO DELLO SPECULUM CARITATIS DI AELREDO DI RIEVAULX (Enrico Piscione)

Introduzione [. 11 conflitto fra i «physica argun1cnta» e i «praecepta apostolica»

1S1 154

2. La «confutazione» di s. Paolo 3. La dottrina 8elrediana delle «tre visite» e un confronto con s. Bernardo 4. Un n1on1ento altainenLe pedagogico: il dibattito con i! novizio e il teina del dono delle lacri1ne 5. La lotta contro le concupiscenze: il vano piacere dell'udito e degli occhi 6. La superbia della vita e il pi8cere del don1inio

J 57 158

164 167 l 72

Sezione miscellanea con documenti e stndi I PREDICATI PARTICIPIALI DI JHWH NEL DEUTERO-ISAIJ\ (Dionisio Candido). Introduzione l. I predicati participiali (lipologia letteraria) 2. Il lessico teologico dei predicati participiali 3. L'agire di Jhwh nella storia (orizzonte teologico)

177

180 183 189

203


NOTE SULLA FACOLTÀ DI TEOLOGIA DELL'UNIVERSITÀ DI PALERMO [continunzione] (Francesco Conig/iaro) 2. La classe teologica (2.4. Professori) 3. La soppressione delle facoltà teologiche 4. Conclusione Appendici

219 250 262 268

LA "COMUNIA" NELL'AREA NISSENA: MODELLO GIURIDICO E FINALITÀ PASTORALI (Adolfo Looghi1a110) Introduzione 1. Origine, natura, finalità, elen1enti costitutivi della co1nunia 2. La con1unia nei docu1nenti siciliani del secolo XVI 3. Evoluzione della comunia. L'influsso esercitato dai cspitoli della cattedrale e delle collegiale 4. Le leggi eversive del 1867 e la fine delle cornunie Conclusione

283 285 292 297 308 309

LA FONDAZIONE DELLA DIOCESI DI CALTANISSETTA (Gaeta110 Zito)

O. Prcn1cssa ! . Le circoscrizioni ecclesiastiche dcli 'isoltl ali 'inizio ciel sec. XIX 2. La fondazione di nuove diocesi nel l 844 3. Iter per la creazione di Caltanissella Appendice

Recensioni

311 312 321 331 348

353

V. MOSCA, Alberto Patriarca di Gerusa/e111111e, Ron1a l 996 (Ado(!O Lo11ghita110); H. Wn.FRJED, [Jogn1atik, Berlin-Ne\.Y York 1995 (Roberto Osculati); J. A. EMERTON, Congress \10!11111e, Leiden - New York - KO!n 1995 (Antonino Minissa/e); PH. REYMOND, Dizionario di Ebraico e Ara111aico biblici, Ron1a 1995 (A11to11i110 Minissa/e); J. HAUSMANN, Studien zu1n Me11sche11bi!d der iifteren iVeisheit, TUbingcn 1995 (Antonino Minissafe).

NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO

373


Sezione teologico-morale

Synaxis XVIl ( 1997) 7-87

LA LAVANDA DEI PIEDI IL COINVOLGIMENTO DEI DISCEPOLI NELL'ESODO DI GESÙ MEDIANTE L'AMORE

ATTILIO GANGEMI'

Parte terza:

LE AZIONI DI GESÙ (VV.

4.5)

"si alza dal ban.chetlo - pone le vesti - e, avenclo preso un asciugatoio, cinse se stesso. Quindi versa acqua nel catino e co111inciò a lavare i piecli clei cliscepoli e acl asciugarli con l'asciugatoio cli cui era cinto" 288 Se teniamo conto dei verbi diretti, le azioni di Gesù sono cinque'"; se poi teniamo conto che il verbo Tfpfarn introduce due infiniti coordinati 290 , le azioni diventano sei 291 •

* Professore di Esegesi biblica nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. La prin1n parte cli questo studio è stata pubblicata su Synaxis 14 (1996) 2, 27-

120.

288 Il senso si1nbolico delle azioni di Gesù è percepito già da C.I-I. Dooo, Tlie l11te17Jretatio11 r~f the Foul'fh Gospel, London I 953\ cd. it., L'inte1JJretazio11e del quarto vangelo, Brescia l 974, 491-492; A. SCHLATIER, /)er E\lc111ge!ist Johannes, Stutlgarl 1930, 280, nota che nei vv.4.5 si 1nanifesta la prontezza di Gesù al servizio

e la perrezione della co1nunanza che Gesù accorda ai suoi. 2 9

·~ €yc{pcTaL - TieryaLv - 8ti(wacv - j3dÀÀEl - ifp(aTo.

2911

v{TTTElV - ÉKµdaaELV.

291

Prescindendo dall'espressione participiale Àaj3Wv ÀivTLov.


Attilio Gangemi

8

Una lettura più attenta rivela delle distinzioni che nella serie cli azioni di Gesù l'evangelista introduce. Anzitutto la distinzione è data dalla particella Efra che separa le prime tre azioni dalle seguenti. In questo modo ogm parte, dopo forme verbali al presente, è caratterizzata da una fonna verbale a1I1aoristo292 • Ma un'altra distinzione è pure possibile evidenziare, precisamente tra i tre verbi al presente (ÉyEipETOL - r[fJr/aw - (3riME1) e i due verbi all'aoristo (8LÉ(woEv- ifp/;aro). La relazione tra i tre verbi al presente è detennìnata da una tensione che se1nbra partire dal complemento cli moto da luogo (éc rov &irrvov) e culmina nel complemento di moto a luogo (Eis- rov VLTTr€pam). La relazione tra i due verbi all'aoristo è determinata dalla ripresa, in relazione al secondo (ffp/;aro), di elementi già introdotti in relazione al primo (81€(wuEv),

292 Si oltienc uno schcrna non perfeltainenle parallelo: un aoristo che segue due fonnc al presente nella pri1na parte, un aoristo che segue ad un solo presente nella seconda parte, benchè i due infiniti restituiscano il parnl!elisn10 cli Lre azioni per parte: [_ Éy€fp€TGl I. f3d!.Act 2. TfBryaLV v{rrTElV 3.

BLÉ(WO'€V

3. lfp(am ÉJ<µdacrEtv

29J Jn tutte le Lre espressioni il verbo sta a! pr!rno posto. Ogni verbo è seguito rispettivainente ds un con1plen1ento di n1oto da luogo (€K wV Bélrrvou), d<1 un con1plc1ncnto oggetto (rà lµdrta), da un con1p!e1ncnto oggetto e un co1nplc1nento cli 1noto a luogo (fJOwp - Els- TÒV vtrrrijpa). Si può evidenziare il seguente sche1na strutlurale: J. ÉyEfpéTGl €K roU Bélrrvov 2. r[()ryatv rà lµdrla 3. f3d Uc t

fJQwp -

Efç TÒV VlTTTT)pG

Pare che ci sia un n1ovi1nenro che pnrte da ÉK mV 8Efrrvov e che, passando attraverso rà lµdrta e fJ8wp, culn1ina in Els- rèv vtrrri]pa. Sul senso di questo eventuale 1novi1nento, clisculere1no in seguito.


La lavanda dei piedi

9

detern1inando una relazione strutturale che incentra l'azione di Gesù di lavare e asciugare i piedi 29-1,

l. Si alza dal banchetto (Éydpc:ra1 ÉK rn v &fovov) In modo più generale, il verbo Éydpoµm, nella forma media, ha nel NT il senso di alzarsi 295, ma anche il senso più specifico di risorgere 296 ,riferito in particolare alla resurrezione di Gesù 297 ; inoltre anche sorgere 298 nel senso di nascere 299 , o, in senso ostile, i11sorgere:>. 1Hi. All'attivo significa suscitare (Mt 3,9; Le 1,69; 3,8; At I 3,22; Fil 1,17), tirar.fuori (Ml 12,11), alzare (Mc 1,31; 9,27; At 10,26; 12,7), svegliare (Mt 8,25; Mc 4,38), resuscitare (Mt 10,8; At 26,8; Eb 11, 19)")[; all'intransitivo: svegliarsi (Ef 5, I4); alzarsi (Mt 9,5.6; Mc 2, I I; 3,3; 5,41; I 0,49; Le 5,23.24; 6,8; 8,54; Ap 11, I).

29-1 Gli ele1ncnti ripresi sono: il tcrn1inc ÀÉvTtov e il verbo Ota(WvvvµL. Sì può proporre il seguente schcn1a: I. avendo preso un asciugatoio, cinse se stesso 2. corninciò: a. a lavare b. i piedi c. dei discepoli d. ad asciugare 3. con /'asciugatoio di cui era cinto In questo schcrna si rivela centrale non solo l'azione di Gcslt, nia pili spccificainenlc gli elen1enli i piedi - dei discepoli, che appaiono g!i elen1enli pili centrali Ji tullo il brano. Ulteriori relazioni strutturali saranno considerale pili nvanli. 2" 5 Mt 1,24; 2,t3.t4.20.2t; 8,15.26; 9,9.17; Mc 2,9.t2; 4,27; 12,26; 14,42; Le 7,t4; tt,8.31; t3,25; Al 9,8; Rm 13,11. 2"" Mt 9,25; 11,5; 14,2; 27,52; Mc 6,14.16; Mc 6,14.16; Le 7,22; 9,7; 20,37; I Cor l 5, 16.29.32.35.42.43.44.52. 297 Ml 16,21; 17,9.23; 20,19; 26,32; 27,63.64; 28,6.7; Mc 14,28; 16,6.14; Le 9,22; 24,6.34; Rm 4,25; 6,4.9: 7,4; 8,34; 15,4.12.13.14.16.17.20; 2Cor 5,15; 2Ttn 2,3. 2"" Ml 24, 11.24; Mc 13,22. 299 ML I !,I!; Le 7,16. 3011 lVIt 24,7; Mc 13,3; Le 21,10. 101 · Riferito a Gesù (oggello), in Al 3,7.15; 4,10; 5,30; 10,40; 13,30.37; Rin 4,24; 8,11.11; 10,9; JCor 6,14; 15,15.15; 2Cor 1,9; 4,14.14; Gal 1,1; Ef 1,20; Col 2,12; JTs 1,10; Gc 5,15; IPt 1,21.


Attilio Gangemi

10

In Giovanni il verbo €yàpw si legge 13 volte; all' attivo, riferito al tempio che Gesù costruisce in tre giorni (2,19.20); nel senso più generico di alzarsi (5,8), resuscitare (5,21; 12, 1.9.17). Al mediopassivo è riferito alla resurrezione di Gesù (2,22; 21,14); è usato pure nel senso più generale di alzarsi ( 11,29). Il verbo ÈyE{pw è costruito raramente con dJT6' 02, una sola volta con

Vrr6' 0 \

in genere con ÈK·'0 \

specialmente nell'espressione ÉK

105

l/EKpWv • Due testi in particolare si possono notare nei vangeli sinottici, Mt 26,46; Mc 14,42, che contengono il comando di Gesù ai discepoli al Getsemani: €ydpECJ(}E, aywµEv con cui Gesù esorta sè e i suoi ad alzarsi e andare incontro al traditore, la cui venuta onnai è im1ninente. Tale comando non si legge in Luca; Giovanni ne ha uno analogo in 14,31, dove Gesù ai discepoli rivolge il cornandocsortazione ÉyEipEaBE, éi.ywµEv ÉVTEVBEv-' 116, allo scopo preciso che il inondo sappia che lui an1a il Padre e, con1e ha con1andato a lui il Padre, così egli fa.

2. Pone le vesti (r[BT/mv ra lµdna) Il senso immediato di questa espressione appare bene: Gesù pone le vesti, cioè si spoglia. Si può notare però che l'espressione

1112 Mt 14,2; 27,64; At 9,8; cfr. lSan1 2,8; 2San1 12,17; 1Esd 3,23; Sal 112(113],7; ls 41,25. 11 1 -' · Mt 1,24. ·10 ~ Mt 3,9; Le 3,8; Gv 7,42; Rin 13,11; cfr. Gdc 16,!4; Pr 6,9; Sir 48,5; ls 14,9. 1" 5 Mt 17,9; Mc 6,14; Le 9,7; Gv 2,22; 12,1.12.17; 21,14; At 3,15; 4,10; 13,30; Rrn4,24; 6,4;.9; 7,4; 8,11.11.34; 10,9; lCor 15,12.20; Gal 1,1; El' 1,20; 5,14; Col 2,12; lTs 1,10; 2Trn 2,8; Eb 11,19; lPt 1,21. 1116 Rispetto all'espressione di Mt 26,46 e Mc 14,42, l'espressione di Giovanni aggiunge l'avverbio ÉVT€ilB€v.


La lavanda dei piedi

I I

TifJl)mv Ta iµriTla, nel senso di spogliarsi, è del tutto insolita"": non s1 legge 1nai altrove nel NT308 , nè nei LXX30'>. L'espressione stessa sta in relazione all'espressione del v.12 €Aaf3Ev

Ta 1µriTla avrnv 11 ". Stanno in relazione i due verbi TiBryµL - Aaµf3dvw.

307 Gli interpreti vi vedono ancora un gesto di un1iliazìonc; Così AGOSTINO, In Joannis Evange/iun1 Traci L\!, PL XXXV, col. 1787: prese la fonna di servo (Agostino però richian1a pure lo spogliarnento pri1na della crocifissione); BEDA YEN, /11 S. Joannis Eva11ge!ii1111 expositio, PL XCII, c.x lii, col. 802: richiaina la croce; pili 1natcrial1nente J.H. BERNARD, A Criticai and Exegetical Con1111e11rary 011 the Gospel according to S. fohn, Il, Edinburgh 1928, 459: si leva il 1nantello e appare solo con la tunica; all'u1niltiì ri1nanda ancora BONAVENTURA, Con1111e11tari11s in Evangeliu111 S. Joannis, in ,5. !3011ave11t11rae Opera, VI, Co!l. S. Bonaventurac, Ad Clnras Aquas 1893, 424 (tangitur hic secundun1, scilicet Christi hun1ilitas); E.C. HOSKYNS - F.N. DAVEY, The Fourth Gospel, !947~, 437: si richiainn il fatto cli porre la vita; B. LlNDARS, The Gospel of .fohn, Grand Rapids 1986, 450: azione di un servo; G. MALDONATO, Co111111e111arii in quatuor E1 a11gelistas, li, cd. J.t\1. Raieh, Mogunliae 1874, 842: prende un aspetto servile; L. MORRIS, The Gospel according to .fohn, Gnind Rapids 1971, 615 n.15: Gesù agisce co1nc uno schiavo; J.N. SANDEl~S - B.A. MASTIN, A Co111111enf(//)1 011 the Go:-,pel according fo S.John, Lonclon 1968, 306, invece riinandano, co1ne azione si1nbolica, alla n1orlc di Gesù; J.N. SUGGIT, .fohn J 3, l-30. The Mystery !~fthe lncarnation and (~fthe E11charist, Ncotesl 19 (1985) 67: si spiegn il senso dell'incarnazione che culrnina nella croce. 308 Nel senso dì spogliarsi è usato talora EKBVw (Mt 27,28.31; Mc 15,20; Le 1

10,30; 2Cor 5,4); il verbo drror{()TJµt ha piuttosto il senso di deporre, allonf(l11are (Er 4,22). Nel senso di Feslirsi, sono usati Év8Vw (Mt 6,25; 22,11; 27 ,28.31; Mc 1,6;

15,20... ), rrEp1f3d!.!.w (Ml 6,29.31; 25,36.38.43; Mc 14,51: 16,5; Le 12,27 ... ) 309 Nei LXX al eontn:irio il verbo T{8TJµl è usato all'attivo nel senso di ri\lestire (Es 19,6; Sai 20[21],3; 68l69l,1 I; Is 50,3). Pure nei LXX il verbo usunle, nel senso di spog!iarsi,èÉ1<BVw (Gen 37,23; Lv 16,23.24; N1n 20,26.28;

ISa1n 18,4; 19,24 .. ),

h&8vm@ (ISam 31,8; Ne 4,23[17]; il; 3,5[3]); rrcpw1piw (Gen 34, 14.19;

Es

34,34; Dl 21,13; Gdt t0,3; Pr 27,13), d<f;mpiw (Es 33,5; Esl 4,4; Gb t9.9; 22,6; Os 2.9[LXX]; Zc 3,4; ls 20,2; 22,171LXX]; Ez 26,t6). ~ 10

Le due espressioni presentano però delle differenze:

v.4: Ti8I]alv rà lµdTLa v.12: {Àaj3Ev Td lµdrla aVToiJ Nel v. 12 il verbo j3dAAN è espresso all'aoristo; presente; il tennine Td lµdrLa legnto al prono1ne aVroV.

T{8TJµL, al v.4 invece, è al

nel v.4 è espresso in 1nodo assoluto, nel v.12 è


Attilio Gangemi

12

Il verbo Àaµf3avw nel v.12 ha il senso di prendere, prendere le vesti, rivestirsi. In questo senso però ne1nmeno il verbo Aaµ(Jdvw è usuale-' 11 .

La relazione tra i due verbi Ti(}ryµL (v.4) - j3riMw (v.12), con oggetto lµriTLa, suggerisce un'altra relazione degli stessi verbi, con diverso oggetto però. In 10,11, nel contesto di una sua autodefinizione come buon pastore' 12, Gesù definisce il buon pastore a partire dalla opera:

Tl/v !f;v;tiw

avTov Tiel)CJLV

s11a

per le sue pecore. Nel v.15 poi

applica a sè la definizione. Nei vv.17.18 poi spiega che il Padre lo ama pcrchè egli pone la sua vita per poi riprenderla di nuovo"'· Precisa che nessuno gliela toglie, ma egli la pone da se stesso" 1•1 e affenna di avere il potere di porla e il potere anche di riprenderlam. Questo stesso linguaggio, ma solo il verbo Ti(}ryµL, tornerà in 13,37.38, dove Pietro

" 11 Nel senso di

\!csth·si nc!l' AT sono usati i verbi lv6Vw (pili frequente: Gcn

3,21; 27.15; 38,19; 41,42; Es 28,27141]; 29, 5.8.30; 40,13.14 ... );

1T€p1(3d,\,\w (

Gcn 24.65; 28,20; 38.14.19; Lv 13,45; Dt 22, 12 ... ); Év8l8Vo-Kw (2Sam 1,24; 13, I 8; GuL 9,1. .. ); 1T€pl(wvvvµ1

(Es 12,11; ISam 2,18; 2Sam 3,31; 20,8; IRc 21[20]; 32;

2Rc 1,8; 3,21 ... ); CJTDÀi(w (lEsd 1,2; 5,59; 7,9; 2Escl 3,18 ... ). ' 12 Si an1111cne talora il richia1no nl c. l O. Cfr. C.K. BARRETT, The Gospel according ro Sr . .fohn, Lonclon 1985 (Thircl llnpression) 439: pili nonnale sarebbe stato infatti il verbo drror{OryµL; R.E. BRO\VN, 7'/ie Gospel accordi11g to .fohn, Il, New York 1970, ccl. il., Gio1Y11111i, Citt<:1clella, Assisi !986, 655, che 11011 esclude un parallclis1no intenzionale a !O,l l.!5.17.18; su qucslo rapporto R. FABRlS, Gio1 1anni, Ro1n<1 1992, 730, si interroga; per N. GU!LLLJdElTE, Hungri 110 111ore. .fohn, Makati 1989, 170, !'allusione intenzionale (cfr. i verbi Àaµf3dvr.v-r{6ryµL) ricollega l<1 lavanda dci piedi alla 1norte cli Gesli; inoltre R. KYSAR, lohn, lVlinneapolis.l\1innesoLa 1986, 208; L. l\10RR!S, op.ci!., 615 n.15, che ha già notato (614 n.10) la singolarità dell'espressione con r{6ryµL; R.V.G. TASKER, The Gospel occording lo St . .fohn, London 1960, repr. 1992, 155.157, secondo cui si richia1n<1 il clono della proprié! vi la eia parie ciel pastore. La relazione a Gv 1O però è ritenuta fantastica eia B. L!NDAll.S, op.cii., 450 . .ìl.l crr. v.17. }I.I Cfr. V.J8a che si riferisce però SOIO al fatto cli porre. }IS Cfr. v. I 8b: potere ho di porre (r{8ryµL) essa e potere ho cli nuovo di prendere (J..af3EÌ.v) essa.


La lavanda dei piedi

13

pretenziosamente dichiara: "la mw vita (njv lf!vxi/v) per te porrò

(81rrw)" e, ironicamente, Gesù replica: "la tua vàa (lf!vxryv) per me

porrai (81rrEl5')?".

3. Avendo preso un asciugatoio, cinse se stesso (Àaf3wv ÀÉvTwv i5LÉ{!ùO"EV ÉaVTOV)

In questa espressione il primo elemento che emerge è MvTwv, i cui due usi giovannei, nel contesto, sono i soli in tutta la bibbia greca. Comune1nentc il tennine è ritenuto una grecizzazionc del tennine latino linteum"'', ed indica un panno di lino. Il verbo i5w{wvvvµ1 è molto raro: si legge nel NT solo tre volte e sempre in Giovanni (13,4.5; 21,7)m Nei LXX più frequente è TTEp1{wwvµ1 (46 volte)"', ma anche il semplice {wvvvµL (22v)""-

-116

Cfr. dizionari: W. BAUER, Griechisch-Deutsches \Var1er/J11ch, 1\ipelrnann, Berlin 1963" s.v.; 1-1.G. L!DJJEU, - R. SCOTT, A Greek-English Le.rico11, Thc Clrn·cndon Prcss, Oxford 1968'! (rcpr.) s.v.; F. ZORELL, Le.ricon Groec11111 Nol'i Testa111e111i, Lclhic!lcux, Paris l96J-1 s.v.; crr. inoltre H.L. STRACK - P. BJLLERBECK, Ko111111entar 2 211111 11e11e11 Testa111e11t a11.1· Ta!111ud und !Hidrash, li, t\1Unchen !956 , 556.557: si richirnna il lenzuolo cl! lino in cui ci si avvolgeva nel lriglio dei capelli (p.Schab I ,3a, 23), n1a soprattutto il lenzuolo per asciugarsi dopo avere fallo i! bagno (p.Schab 3,6a, 26). Mri è pure sirnbolo di schiavitù: in Ja!q11t Schi111 I, par 95 (a Gentile 21,!4) si legge di AbrDlllO che rin1andò Agar con un libello di ripudio e le cinse i firinchi perchè si sapesse che era una schiava. A un latinismo riinandano C.K. BARRErr, op.cit., 439; \V. BAUER, Das Joha1111e.1·e11r1nge!iu111, 'J\ibingen 1933\ 168; L. MonR!S, op.cii., 617 n. 16; L. llAllN, R(J/// 1111d Ro11u111isn1us ù11 griechisch-rò111ischen ()sten, Leipzig 1906, 235.262.265. 317 Si leggono però altri verbi derivati: il se111plice (lSvvvµL, tre volle, due in Giovnnni (21,18.18) e una volla in Atti (12,8); dva(Wvvvµt, una sola volta in IP! I ,l 3; 7TEpl(ri5vvvµt, un pò pili frequente nel NT, sci volte (Le 13,35.37; 17 ,8; Ef 6, 14; Ap 1.13: 16,6). m Es 12,11; Gdc 3,16: 18.11.16.17; ISam 2.4.18 .. qy Es 29,9; Lv 8,7.13; 16,4; Gdc 18,l l. .. Rarissiini sono i verbi 8La(u5vt/Vµl (solo Ez 23, J 5) e dva(tSvvvµL (solo Gdc 18, 16; Pr 31, 17).


Attilio Gangemi

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4. Quindi versa acqua nel catino (ET rn (XiMEL wwp dc;- Tov vwnjpa)

La particelia ElTa detennina una ripresa di azione, quasi il passaggio ad un nuovo stadio di azione. Essa non è frequente nel NT320 , in Giovanni si legge solo tre volte-121 • L'espressione più singolare però è (JaMEL vowp, unica sia nel NT sia nei LXX322 • Essa però si può accostare a dei testi analoghi dove è usato il verbo (JriMw, pur con diversi oggettim; ciò dice che l'evangelista avrebbe potuto anche usare questa espressione in modo casuale. Tuttavia non si può evitare un accosta1nento tra le due espressioni nel contesto di 13,2 e 13,5: 13,2: TOV 8w(36Aov ~OT] j3E(3ÀT)KOT05" (3aM€L wwp

13,5:

dc;- rryv 1rnp5iaP

dc;- TOV vwnjpa

In questo 1nodo si detennina una relazione da precisare tra l'azione del diavolo che getta nel cuore di Giuda di tradire e l'azione di Gesù che getta acqua:n.i.

Jlo Solo l O volte. ·121 Oltre il nostro tcslo, in 19,27 e 20,27. ·122 I verbi usati nel LXX sono €Kx€w (Es 30,18; Nin 19,17 .. ),

Érnxiw (2H_e

3, 11 ), paivw (Ez 36,25), 1TEPlXCW (Gen 2,6). 12 1 - : Ml 9,17 (Òvov), cfr. v.17b; Mc 2,22; Le 5,37.38; Mt 10,34 (€lp1jv17v); inoltre anche Mt 27,6; Mc 7,33; 12,41.43; Le 21,1.2.3.4; Ap 2,4. crr. in Giovanni,

18,11 (njv µdxmpav); 20,25 (TÒV Oal<TVÀOV).25 (njv xcipa).27. 32

~ Si può notare tra le due espressioni un !cga1ne slruuurale:

I. j3€j31\TJK6T05"

2. r:L's- ITy Kap8{av 3. l'va rrapa8ol 4. (3dAM1

5. V8lup 6. f"i5" Tiv VlTTl]pG Lo schen1a è insien1e alternato e concentrico.


La lavanda dei piedi

15

E 1 i1nportante però nel vangelo di Giovanni la nozione di acqua. Essa nei suoi usi appare studiata. Complessivan1ente il tennine V8wp si legge 25 volte, di cui 21 usi sono compendiati secondo un ordine preciso: a. prima in relazione al Battista che deve battezzare lll ocqua (1,26.31.33) b. poi in relazione all'evento a Cana (2,7.9.9.) c. quindi nel contesto del dialogo tra Gesù e Nicodemo, nella prospettiva di una nascita dall'acqua (3,5}125 d. ancora il teina del1 1acqua è il prin10 preciso argo1nento del dialogo tra Gesù e la Samaritana (4,7.10.11.13.14.14.14.15)'26 e. infine quattro usi del c.5 sono legati all'episodio dell'uomo infermo alla piscina probatica (vv.3.4.4.7)127 . In uno studio specifico l'ordine di questi usi andrebbe accuratamente studiato. Al nostro scopo interessa notare che da 5,7 in poi il tennine diventa rarissi1no. Si legge solo tre volte e in n1odo equidistante: 7,38, dove Gesù si appella alla Scrittura: "fiumi dal suo seno escono di acqua viva"; 13,5, il nostro testo; 19,34, dove l'evangelista, al colpo di lancia di un soldato, nota che uscì sangue e

acqua. Il termine vwnjp presenta due problemi di critica testuale. Il cod O, i codici elencati da Ferrar (p) e la Siro-sinaitica leggono Àa(Jrlw Wù1p (Ja,\ÀEL; il P 66 modifica il termine in rro8ovwri/pa. Quanto alla prin1a modifica, D, gli altri codici e la Siro-Sinaitica vollero probabilmente colmare un vuoto logico: donde aveva Gesù quest'acqua? ovvia1nente la prese da qualche parte. Si volle perciò specificare che Gesù prese quest'acqua, in analogia all'espressione precedente riguardante il

ÀÉl/TLOV

dove l'evangelista specifica che lo

>25 In 3,8 la presenza del lennine VOwp è incerta; nel v.23 ancora il (cnninc è relazionato all'attività baltczzatricc di Giovanni. ;.](,In 4,46 il tennine VBwp torna ancora in relazione a Cann. :. 27 I vv.3b.4 sono però critic;:uncntc incerti.


Attilio Gangemi

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prese (Aa(3wv) pnma di cingersene. L'analisi seguente permetterà di concludere che questa aggiunta non solo non chiarisce il testo ma svia dalla sua retta co1nprensione. Quanto alla seconda 1nodifica, è necessaria una previa considerazione dei due termini. Il termine vmTl)p deriva dal verbo

v[(w (viTTTW) che significa lavare, purificare; il termine indica il recipiente dove tale azione di lavare avviene.1 28 : in questo recipiente Gesù versa acqua. Esso non si legge più nè nel NT nè nella bibbia greca e probabilmente nemmeno nella grecità, almeno prima del NT. Prescindo dal problema se esso sia stato conialo dal nostro evangelista o egli lo abbia mutuato da un certo uso popolare. Bisogna quanto 1neno concludere che questo termine ha per l'autore la sua importanza. Al contrario, il termine TTo8avmTijp proposto da P'• 6 è attestato già (TTo8avLTTTryp) nella lingua greca, benchè assente nel NT e nella bibbia greca·129 • La differenza tra i due termini si percepisce bene: il TTo8avmTijp

è un recipiente destinato specifica1nenle a lavare i piedi, il vtrrTi;p, nella sua stessa eti1nologia, non indica una finalizzazione di uso a lavare i piedi e, in assoluto, potrebbe indicare un recipiente qualsiasi destinato a lavare qualsiasi cosa. Difficilmente si può accogliere come originale la lettura del P 66

TTo8avmTijp, nonostante l'antichità del papiro stesso (secc. II - III). Anzitutto la lettura del papiro pare isolata, non si riscontra in qualche

-' 28 Cfr. C.K. 13Ar<RETT, op.cit., 440; P. BEECKMANN, L'évangi!e se!on S. Jean, Bruges 1951, 291, rin1anda ad un oggello che deve trovarsi in tutte le case, donde l'articolo; R,E. Br<O\VN, op.cii., 655: un recipicnle per !avare e l'articolo indica che è un utensile nonnale per il posto. Nota che i! tcnninc ricorre solo in una iscri'zione a Cipro dell'epoca ro1nana; R. KYSAR, op.cii., 208: parola che non si trova nella Koiné fuori di questo passaggio; secondo M.J. LAGRANGE, /~'1 1 a11gi/e se/on S.Jean, Paris 1948 7 , repr. 1964, 35! non doveva essere un recipiente destinato al pediluvio (rro8avtrrrryp), n1a a lav;:irc !a biancheria e che doveva trovarsi in ogni casa. Pili sin1bolicarnentc, secondo J.C. THorvlAS, Footwasliing in John 13 and the Johonnine Co111111unity, Shéffield 1991, 89, il catino raffigura la funzione dcl servizio. -' 29 Per rro8avtrrrryp si cita Erodoto 2, 172., cfr. F. ZORELL, op.ci f., s. vtrrrrjp.


La lavanda dei piedi

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altro codice. Ciò però in assoluto non significa che esso non possa contenere la lettura originale. Ciò che sembra determinante è il fatto

che dietro a rro8avLrrTi}p c'è una certa tradizione di uso nella lingua greca, assente, a quanto pare, dietro a vwnjp. In questo senso vwnjp diventa la lectio difficilior e diventa incomprensibile il massiccio passaggio dei codici da un termine conosciuto nella letterarura greca (7To8avwTI/p) ad un termine inusitato (vwn)p). Il contrario si spiega più facilmente: il copista del papiro avrebbe voluto mutare l'insolito //l

1TTrjp nel più conosciuto rro8m-'L 1TTilP· Tuttavia la lettura del papiro è

provvidenziale perchè induce a interrogarsi sulla sfumatura di senso contenuta nel giovanneo vL rrTrjp. Sorprende però l'articolo davanti a vwnjp, che l'evangelista aveva omesso davanti al precedente

ÀÉVTLOV.

L'articolo rimanda ad

una realtà precisa, detern1inata e concreta. Ri1nane però il problema se questa detenninazione riguarda il piano materiale o sin1bolico.

5. Cominciò a lavare ... (rj'pçam Infine, l'ultima azione

virrTELV ... )

di Gesù si sviluppa in due aspetti,

ricondotti lelterarian1ente ad unità 1nediante l'unico verbo ifptaTo 1·ì0. Dal punto di vista della critica testuale, dopo il termine µafJr;Twv, il codice D ed altri pochi aggiungono avmv. Tale aggiunta però è trascurabile e, n1entre vuol precisare, finisce per svuotare il ter1nine µafJr;Twv della sua enfasi che gli proviene dal suo uso assoluto.

~.•o Le due parti, legate dal verbo ifp(aro, si sviluppano secondo un certo para!le!isn10:

co111i11ciò

a la1Yire i piedi dci discepoli

ad asciugare con l'asciugatoio con cui era cinto


Attilio Gangemi

18

Il verbo Tfpfarn esplicitamente presenta Gesù all'inizio della sua duplice attività: egli co1ninciò 331 a lavare 332 i piedi 3·' 3 dei discepoli e ad asciugarlP"~ con l'asciugatoio di cui era cinto 335 . Di una azione di lavare i piedi si parla in Gen 18,4, nell'episodio dei tre personaggi che visitano Abramo; essa appartiene, per così dire,

3 11 -

-ffpfaro: aoristo in ronna inedia di dpxw. Nel vangelo cli Giovanni, oltre l'uso di 8,9, si legge solo nel nostro testo. Diverse volte però, con -/fpfaro, si esprin1e nel NT l'inizio di una attività di Gesù (Mt 4, 17; 11, 7.20; I 2, 1; 16,21; Ivic

1,45; 4,1; 5,20; 6,2.7.34; 8,31; 10,32; 11,45; 12,1; 13,5; 14,33; Le 4,21; 7,24; 12,1; 19,45; 20,9; At 1,1). -'-' 2 I! verbo v{rrrw è prcvalcntc1ncnlc giovanneo: 13 volte (nel nostro capitolo e nel c.9, in relazione alla guarigione ciel cieco nato: 9,7.7.11.15; 13,5.6.8.8.10.12.14.14). Nel resto ciel NT si legge solo 4 volte: Mt 6,17; 15,2; Mc 7,3; ITm 5,10. 33 :i I piedi sono 1nenzionati diverse volte nel vangelo di Giovanni: 8. sono i piedi di Gesù, oggetto dell'azione di Maria, che unge e asciuga ( ! 1,2; 12,3), davanti ai quali ella si prostra (l l,32) b. rncnzionati assie1ne al!e inani, sono i piedi di Lazzaro, legati ne! sepolcro assien1e ad esse ( 11,44) c. sono i piedi dei discepoli (13,5.10.12.14) e di Pietro (13,6.8.9); i piedi che i discepoli debbono lavarsi a vicenda ( 13, 14) d. rnenzionati assietnc al corpo (20,12), csprin1ono la posizione degli angeli al sepolcro. Gli usi del tern1i11e rr68éç appaiono ben caratterizzati. Nel testo di 20, 12, l'i1111nagine degli angeli alla testa e ai piedi dove giaceva Gesù nel sepolcro, può richiarnarc, per qualche aspetto, La7,zaro legato n1ani e piedi nel sepolcro. Tuili gli altri usi gravitano attorno a Gesù, co1ne oggetto dell'azione della Maddalena, e con1e soggetto della sua azione ai discepoli. 3 :i..i Il verbo EKµdo-aUJ è raro nel NT. Possian10 dire che esso è lucano e giovanneo. Si legge infatti in Le 7,38.44 (l'azione della peccatrice verso Gesù in casa di Sin1one il fariseo) e poi tre volte in Giovanni, riferito all'azione di Maria verso Gcsl1 (! J,2; 12,3) e all'azione di Gesù verso i discepoli nel nostro testo (13,5). Nei LXX si legge tre volte, in testi di lingua greca (Sir 12, l l; EpGer 13.24), 111a senza nlcuna relnzione ai piedi. 335 Bla(uJvvvµl nel NT è esclusivo giovnnneo. Oltre 13,4.5 si legge ancora in 21,7, riferito a Pietro. Nel NT si legge (r.Jvvvµl (3 volle), riferito a Pietro in Gv 21, 18.18 e anche a lui, ma in altro senso, in AL 12,8. Nel NT si legge anche rrEp1(cJvvvµ1 (Le 12,35.37; 17,8; Er 6,14; Ap 1,13; 16,6), dva(1Jvvvµ1 (!Pt t,13). Nei

LXX

pili frequente è lTEpl(Nvvvµl, 1na si legge anche (rJvvuµL, {ila(uJvvvµt (solo Ez

23, J 5) e dva(uJvvvµl (solo Gdc 18, 16 e Pr 3 J, J 7).


La lavanda dei piedi

19

ad un rituale di accoglienza: dopo infatti è proposto il riposo a cui dovrà seguire il banchetto. Si comprende bene che, dopo un viaggio, si ha bisogno di un pediluvio, e questa è la prima attenzione verso un ospite. Si può notare però che non è Abramo a lavare i piedi: egli s1 1in1ita a far portare acqua e a comandare che ai tre personaggi gli si lavino 1 piedP·16 . Il coniando stesso non va oltre il senso dell'accoglienza e dell'ospitalità. All' uomo inviato da Abramo a prendere moglie a Isacco, e accolto in casa, Labano diede acqua per lavarem i piedi (Gen 14,32). Poi gli fu posto innanzi da mangiare (v.33). Così pure in Gen 43,24, in casa di Giuseppe in Egitto il maestro di casa fece portare acqua perchè si lavassero i piedi''"· In Ode 19,21 l'uomo di Gabra, che accolse in casa sua il levita di passaggio, diede foraggio agli asini. Si legge poi che si lavarono i pier/;) 111angiarono e bevvcroJYi. In I Sam 25,4 I leggiamo la risposta di A bi gai I agli inviati di Davide che le notificano il desiderio di Davide di averla in moglie: "ecco la tua serva, con1e serva per lavare i piedi ai servi del lnio Signore", Lavare i piedi ha qui chiaramente un senso 1netaforico: dichiarandosi serva, costituita a lavare i piedi dei servi, Abigail espri1ne la sua umile sottomissione a Davide 3 ~ 11 •

.1.ì 6 Cfr.

l'espressione

oJ~'.J~ì t::1niì.

Nei LXX !'espressione vu/1drwaav

mìs

rr68a5', attiva senza soggetto espresso, ha un carattere indefinito. Secondo il TE sono

i Lre personaggi che debbono lavarsi i piedi (1::1nì), secondo i LXX altri, non ben definili, debbono lavarli. Cfr. la stessa espressione in Gen !9,2, riferita ai due angeli accolti da Lot; anche secondo i LXX loro stessi debbono lavarsi i piedi (vùj;aaec m Ì!:,~ rr65a5' V11/Ùv).

1-17 Ncn11neno Labano è il soggetto che lava i riedi (cfr. LXX: vl<f;aaOaL). L'espressione ciel TE "e lavarono i loro piedi" è arnbigua: possono essere stati loro stessi a lavarsi o altri glieli h1varono. Ne111111eno i LXX (vl<f;at) risolvono i I problen1a. TW Évl<f;avro: pare che a lavarsi i piedi siano gli stessi che si n1isero a 1nangiare e bere. In Es 30,19 ad Aronne è prescritto di lavarsi 111ani e piedi prin1a di entrare nel tabernacolo (cfr. v.21 e anche 40,31), 1na questi ullinli testi non illu1ninano l'azione di Gesù. 40 -' Questo testo però potrebbe presentare una certa analogia con l'azione di t\1aria nei confronti di Gesli. :i:i1>


20

Attilio Gangem;

Dall' AT emergono due aspetti dell'azione di lavare o lavarsi i piedi. E' anzitutto una esigenza di chi ha fatto un cammino: far lavare i piedi prima di mettersi a tavola a chi arriva da un cammino diventa così un gesto di ospitalità e di accoglienza. Dai testi appare però che non è nè il padrone nè un servo a compiere questo gesto, bensì probabilmente l'ospite stesso al quale è offerta acqua. In I Sam 19 ,21 lavare piedi appare però come il compito di un servo: metaforica1nente si esprime umile e totale sottomissione. Il NT ci offre un esempio in Le 7,38-46"'· A Simone il fariseo, che tra sè e sè critica I' accoglienza di Gesù della donna peccatrice; Gesù obietta che egli non gli ha dato acqua ai suoi piedi, lasciando intendere che Simone avrebbe dovuto non solo offrire acqua ma anche versarla sui piedi di Gesù 342 • E' difficile ricollegare a qualcuno di questi testi la nostra scena in Giovanni. Nè infatti i discepoli sono reduci da un viaggio, nè essa avviene prima del banchetto. Soprattutto nei testi dell'AT l'accento sta nel fatto che all'ospite è offerta acqua senza dir nulla sulla persona che la usa: pare anzi che sia lo stesso ospite a usarla. Nel nostro testo l'accento sta invece sulla persona stessa di Gesù che compie questo gesto 34 .i.

341 Recente1ncntc l.G. KITZBERGER, Love and Foolwashing: Joli11 13,1-20 and L11ke 7,36-50 read i11tertexr11ally, Biblnlerpr 2(1994) !90-206, ha prorosto una lettura interlesluale tra i due testi; sin1ile lettura andrebbe però riproposta con diversi 1netodi e criteri: quella proposta rischia di non evitare confusioni tra i due testi. :i~ 2 Così suggerisce l'espressione {8NKG5' €rr{: non si tratta di offrire <-tcqua per piedi, 1na di darla sui piedi, cioè versarln . .ì· 1 ~ Ne1111neno è facile ricollegare i! nostro testo a !Sani 25,41 o n Le 7 ,38ss; aln1eno dal punto di vista della donna, entrarnbi i testi si ricollegherebbero 1neg!io all'azione cli Maria a Betania che unse i piedi di Gesli. In tutti i testi citati però si possono recuperare gli aspelli pili generici dell'accoglienza (Gen 18,4; 19,2; 24,32; 43,24; Gdc 19,21) e del servizio (ISam 25,41).


La lavanda dei piedi

21

6. Rilettura delle azioni di Gesù Conviene perciò rileggere ancora il testo per vedere se dietro quella serie di azioni inusitate di Gesù, 1autore non abbia voluto nascondere un senso più profondo e scoprire quale esso sia. 1

6.1. Versc1 acqua nel catino Cominciamo la nostra rilettura dalla azione di Gesù

Eis' ròv

(JaÀÀEl

i!&p

vm~pa, perchè più esplicitamente permette di stabilire delle

relazioni. Abbiamo notato che il termine i!&p, dopo la sua concentrazione di usi nei cc.1-5, si legge in tre testi rarefatti nella posizione, ma quasi equidistanti: 7,38; 13,5; 19,34. Tra il testo di 7,38 e 13,5 non si può stabilire alcuna relazione letleraria oltre il tennine i!&p; tra 13,5 e 19,34 non si stabilisce nemmeno alcuna relazione

oltre il termine iJ&p; si stabilisce però una relazione tra 13,1 e 19,2830 per il sostantivo TÉÀ05' e il verbo TEÀÉw. E' possibile però stabilire una relazione tra 7,37-39 e 19,28-30.33-34'". Trovandosi il nostro

144 -

Tra il testo di 7,37-39 e 19,28-30 si può stabilire una relazione strutturale: 1.(7,37): chi ha sete.. 2. (7,38): con1e disse la Scriffura .. 3. (19,28): perchè si cornpisse fa Scrittura 4.(19,28): dice: ho sere Se si Lienc anche conto della tncnzionc dello Spirito, lo schema si arnplia: I. (7,37): se qualcuno ha sete 2.(7 ,38): co1nc disse la Scri!lura 3. (7 ,38): non ancora infalli era Spirito 4. (19,28): perchè si con1pisse la Scrittura 5. ( 19,28): dice: ho sete 6. (19,30): clonò lo Sì1iriro Lo schc1na è insicinc altenu1to e concentrico. Se poi tcniaino conto dcl tcrn1inc !J8r~ip in 19,34, si può proporre un'altra relazione strulturale: 1. (7,38): ... scorreranno di acqua viva 2. (7,39): non ancora infatti era Spirito 3. (7,39): non ancora era stato glonficato (É8o(da8ry) 4. ( J 9,30): donò lo Spirito


22

Attilio Gangemi

testo tra 7,37-39 e 19,28-30.33.34, almeno per quanto riguarda l'uso del termine fJ&p, non può non risentire della loro prospettiva" 5 • I tre testi, oltre il termine v&p, hanno m comune un altro aspetto, il fatto che l'acqua è legata a Gesù; con delle differenze però: in 7,38 e 19,34 Gesù appare come la fonte da cui essa scaturisce''"', in 13,5 invece Gesù attivamente la dà ({3aÀÀEL). Entrambi i testi (7,38-39; 19,28-30.33-34) presentano una relazione tra acqua e Spirito),,_ In 7,38-39 tale relazione è più im1nediata: I' acqua viva è menzionata nel v .38 e lo Spirito nel v .39J48 . Si può notare che in 7,38 l'acqua viva è relazionata alla Scrittura, lo Spirito invece è relazionato alla glorificazio11eJ· 19 • 5. (19,34): ... lui 111orlo (r€{)vryK6ra) 6. ( 19,34) ... sangue e acqua Si ottiene ancora uno schc1na alternalo e concentrico. J 45 A!!'acqua è riferito un senso si1nbolico. Cfr. ALCUINO, Co111111e11torionu11 in Joa1111e111, PL C, col. 925: richiaina il Sangue. Alcuino intende le azioni di Gesù in senso storico-salvifico: discesa da! ciclo (si alza da cena) - l'autou1niliazionc (pone le

vesti)- l'effusione dcl sangue (versa acqua); secondo Arv!BROG!O, De Spiritu Sancto, I, 12-15, PL XVI, coll. 706.707, l'ncqua richian1a l'ctlusione dello Spirito; secondo A. LO!SY, Le quatriè111e évangi/e, Paris 192 ! 2, 386, l'acqun, che in genere significa la santificazione dell'a11in1a 1ncdiante il dono dello Spirito, nel nostro teslo rappresenta il dono spirituale dell'Eucaristia; J.N. SANDERS - B.A. MASTIN, op.ci!., 306, relazionano l'acqua alla purificazione dei discepoli acquisita 1nedianle la inorte di Gesli. 346 Le parole attribuite alla Scrittura: "fiu111i d<JI suo seno scorreranno cli acqua viva.. debbono essere riferite a Gesù non al credente, cfr. A. GANGEMI, L'utilizzazione del c. 55 del libro di Isaia nel vangelo di S. Giova1111i, in Synaxis 7 (1989) 41-45; cfr. inoltre in 19,34 il verbo É(~ÀOEv con i due oggetti sangue e acqua. :t1 7 In ordine inverso. Ciò può costituire un ulteriore legaine: I. (7,38): acqu(/ 11i110 2. (7,39). lo Spirito 3. ( 19,30): donò lo Spirito 4. ( 19,34): uscì sangue e acqu(/ 3'18 Cfr. il seguente schcn1a Jctter<Jrio che, nello sfondo del!' 6 TTtCJTEVUJP, accosta acqua e S'pirito: 7 ,38: l. colui che crede 2. dì acqua viva 7 ,39: 3. a riguardo dello Spirito 4. i credeoti 9 :i-1 Si ottiene il seguente schcn1a che accosta rn1cora acqua e Spirito: l. In Scrittura 2. di acqua viva


La lavanda dei piedi

23

Più complessa invece è la relazione tra acqua e Spirito nei testi del c. I 9, perchè i due elementi non si trovano nello stesso contesto, ma in contesti diversi. Lo Spirito è menzionato nel contesto dci vv.28-30, l'acqua è menzionata nel contesto dei vv.33-34. Tuttavia i due testi non sono senza relazione e ciò rende possibile il loro accostainento-'511 • Possiamo così concludere che in 7,38-39 e 19,28-30.33-34 l'acqua sta in relazione allo Spirito-151 , quasi che questi con essa si identifichi. Tra questi due testi, come ho detto, in modo equidistante, sta l'azione di Gesù di l 3,5. Da essi non può non ricevere luce, tanto più che essi stanno tra di loro in relazione e presentano anche un certo legame strulturale 3·'i 2 • Possiamo perciò concludere che in I 3,5, nell'espressione (36.MEL v&.p, il termine v&.p non richiama semplicemente l'acqua materiale,

bensì lo Spirito. Tutta l'espressione (36.MEL

v&.p non

richiama

3. lo Spirito 4. era stato glorificato -1511 ln cntran1bi è 1nenzionat<1 la Scrittura (f]

ypa<jJft). Si può stabilire la

seguente relazione strutturale: 19,28-30; I. perchè si con1pisse !a Scrittura 2. reclinato i! capo 3. donò In Sj,irilo 19,33-35; 4. 1norto S. sangue e acqua 6. perchè si adempisse la Scrilfura .. un'altra Scrittura .. Lo sche1na è insien1e concentrico e alternato. 151 · La relazione era stata già espressa in 3,5: nascere da acql!a e Spirito. Y> 2 Si può notare nei due lesti In sequenza:

7,38-39 l. disse la Scrillura 2. di acqua Piva 3. a riguardo dello SjJirito

19,28-30.33-35 ! . perchè si co1npisse la Scri!lura

2. lo SjJirito 3. acqua

4. perchè si aden1pissc la Scri!lura Se lenian10 conto della Scrittura citats, la relazione pili diretta di 7,38 è a 19,35. Si ottiene i! seguente schen1a concentrico: ! . (7 ,38): disse la Scrittura 2. (7 ,38): di acqua viva 3. (7,39): a riguardo dello SjJirito 4. (I 9,30): clonò lo Spirito S. (19,34): sangue e acquo 6. (I 9,36s): perchè si ade1npissc la Scrittura ... un'altra Scritll!ra


24

Attilio Gangemi

se1nplicen1ente l'azione di versare acqua 1nateriale in un catino, bensì l'effusione del dono dello Spirito 15 '. Alla luce di tutte le osservazioni fin qua proposte, l'espressione

(36).ÀéL i!&.p pone due problemi: perchè l'evangelista, diversamente da 7,38 c 19,34, fa dell'acqua un preciso oggetto di una azione di Gesù"'? Perchè usa il verbo (3dMw? Alla prima domanda si risponde facilmente: l'acqua da Gesù versata non scorre spontanean1ente da Gesù, 1na è presentata come suo preciso dono·' 55 . Più co1nplcssa appare invece la risposta alla seconda domanda: perchè l'evangelista usa il verbo (3dMw? Questa seconda domanda potrebbe essere facilmente elusa rispondendo sen1plice1nente che l'evangelista usò casualn1ente questo verbo. L'uso però dello stesso verbo nel v.2 (/3é{3ÀrjKoT05') sconsiglia di pensare ad un uso casuale,

111a

induce a pensare ad una

scelta oculata. La nostra espressione (3dMéL

i!&.p Ei5' TDV vLrrTl)pa

non è senza relazione a quella del v.2: ovendo il diavolo gettato

((3é{3Àl)KOT05') nel (Ei5')

cuore di

tradirlo

(rrapaooì.)w'.

Le

due

espressioni hanno lo stesso verbo (3aMw, un complemento di moto a

15 1 - - Per il versa1nento dell'scqua con1e con1pito di uno schiavo, cfr. anche J.A. Saint L11c - Saint Jea11, in Sainte Bible, avcc con1111entaire cl'c:iprès 00111 Calinet, Toinus XIV, Paris 1901, 415. :1 54 Nei due testi l'acqua è soggelto di una azione intransitiva: scorreranno (7,38), uscì (19,34). 155 Si può notare il verbo rrapa8[8wµt in 19,30 con soggetto Gcsì:1 e oggetto

PET!T,

TÒ rrvEVµa. Ma l'acqun, come preciso dono di Gesù, appare anche nel dialogo tra Gesù e la donna sainaritana (4, I 0.14.14.15). Cfr. anche v. 11: donde dunque hai ... ? A Cana è Gesù che con1anda di a/fingere acqua; il verbo dvrAt!w richiaina il dialogo tra Gcsì:1 e la donna sainaritana (4,7.15). Questo dialogo appare quasi corne una risposta nll'invito di Gesli in 7,37 a colui che ha sete a \!enire a bere. J 56 Tra le due espressioni si può stabilire una particolare relazione strutturale, insien1c alternata e concentrica: l. il diavolo avendo get!ato 2. a. nel cuore .. b. di tradirlo (rrapa8ol) 3. getta 4. b. acqua a. nel catino


La lavanda dei piec/;

25

luogo" 7, un oggetto'"· Pare che mediante lo stesso verbo {36).)w l'evangelista voglia accostare e contrapporre due azioni compiute rispettivamente dal diavolo e da Gesù. Si determina un contrasto molto forte tra 11azione del diavolo e quella di Gesù, che emerge ancora più chiaro se l'azione del diavolo e quella di Gesù si considerano rispettiva1nente il punto di partenza e il punto cuhnine di una vicenda che storicamente parte dall'azione di Giuda, ma che formalmente risale al diavolo. A capire questo aspetto, ci aiuterà ancora la narrazione della passione, alla quale esplicitamente ci rimanda la menzione del tradimento di Giuda (rrapa8o1). Abbiamo a suo tempo notato gli usi del verbo rrapa8!.8wµ1 nel vangelo di Giovanni, che paiono accuratan1ente studiati secondo un progresso logico nel vangelo. Tutti gli usi, fino al c. I 8, si riferiscono al tradimento di Giuda (6,64.71; 12,4; 13,2.J 1.21). Anche nel c.18 i primi due usi (vv.2.5) sono riferiti a Giuda. Gli usi di 18,30.35.36 e 19, 11.16 invece non sono più riferiti a Giuda. In 18,30 è espressa la consegna di Gesù a Pilato, 1na non si dice da parte di chi. Così anche in 19, 11. In I 8,35 sono espressamente indicati come soggetto la gente di Gesù e i giudei; nel v.36 Gesù evoca la sua consegna ai giudei . In 19, 16 l'evangelista narra la consegna di Gesù ai giudei da parte di Pilato perchè fosse crocifisso. Infine in 19,30 il verbo rrapa8!.8wµ1 ha come soggetto Gesù, il quale, reclinato il capo, donò (rrapÉOwKEv) lo Spirito. Questo testo pare il culmine di tutti gli usi di questo verbo nel vangelo"'· Si nota un progresso di sviluppo: Giuda consegna Gesù ai

57

nel cuore - nel catino. di fr{ldirlo - acqua. ·159 L'ulti1no testo in assoluto è 21,20 che riprende ancora il tradi1nc11to di "'

358

Giuda. Direttainente si rirerisce a 13,21ss, rna può riferirsi anche a 6,64, facendo con esso una inclusione a Lulli gli usi dcl verbo 1Tapa8[8wµL: 6.64: chi è colui che lo aFrebbe tradito (1Tapa8Wuwv) 2!,20; chi è colui che Li tradisce (1Tapa8l8oV:;) L'uso di 21,20 è !'ultirno del verbo 1Tapa8{8wµt, 111a non quello culinine.


Attilio Gangemi

26

giudei, questi lo consegnano a Pilato, Pilato ancora ai giudei, Gesù consegna lo Spirito. Il tradimento di Gesù da parte di Giuda culmina nella consegna dello Spirito da parte di Gesù"'". Il nostro testo amplia la prospettiva: la vicenda non parte dal tradimento di Giuda, benchè la sua menzione pare voglia alludere al suo concreto inizio storico, 1na risale alla sua causa formale, al desiderio omicida di Satana. Paradossalmente Satana ha dato inizio ad una vicenda che culmina nel dono dello Spirito.

6.2. Pone le vesti Il legame tra la glorificazione di Gesù e il dono dello Spirito in 7,39, tra l'azione di reclinare il capo (KAivaS' Ti)v KécpaA1v) e il dono dello Spirito in 19,30 e soprattutto il legame tra la morte di Gesù (nfJvryK6Ta) e la fuoruscita dell'acqua attraverso il colpo di lancia in

19,33, inducono, saltando per ora

l'espressione ,\af3wv

AÉvTwv

8tÉ{waEv ÉavT6v, a risalire alla precedente espressione al presenle Tlel]uLv TG. lµGrta, la quale da queste relazioni pare ricevere nuova

luce. Abbiamo a suo tempo notato la singolarità di questa espressione che richiama gli usi del verbo Tiel)µL con oggetto Ti)v i/JVx1v"'. Alla luce delle relazioni precedentemente notate, soprattutto tra la morte di Gesù e la fuoruscita dell'acqua in 19,33.34"', il richiamo di TifJ/)aw

J(io Si avverte tutta l'ironia giovannea. Paradossa!1nente il tradi1nento di Giuda, che n1irava a sopprin1crc Gesù, cul!nina e, in cerlo senso, al1ncno sroricainente, dctennina i! dono dello Spirito. 161 · La relazione è suggerita dn diversi elemenli: l'uso dc! verbo al presente con soggelto Gesli in questi soli testi (in 15,16 il verbo TfB!]µL è all'aorislo), la stessa fonnulazione leLLeraria (TfBryau.J n]v lf!vxrfv - TiOryalv TG lµdTla), l'uso ciel verbo

Aaµf3dvw nel v.12 (cfr. 10,17.18). 62 " Ma anche le a!Lre cclazioni stabilite in 7 ,38-39 e 19,30. Prescindo però dalla relazione Lra la glorificazione di Gesl1 (7,39), i! KÀ[va:; n'Jv 1<c<j;aÀrfv (19,30) e

il TE8Vry1<6Ta (19,34).


La lavanda dei piedi

27

a Ti(}rymv n)v !f;vx1v di 10,15.17 diventa molto probabile"'· L'azione di porre le vesti diventa azione simbolica allusiva al dono da parte di Gesù della propria vita'"'Ta

1µana

6.3. Si alza dal banchetto In questo contesto ci si può chiedere che senso ha la pnma azione ÉydpETaL é<

mv &fovov. Essa è più difficile da interpretare,

anche perchè gli indizi a nostra disposizione sono più tenui. Ci siamo ricollegati a suo tempo al comando di Gesù ai discepoli al Getsemani, riferito da Matteo e Marco, nella prospeltiva dell 1onnai i1nn1inente venuta del traditore. Questo stesso comando pare ripreso da Giovanni in 14,31 con l'aggiunta dell'avverbio ÉVT€V8Ev. Giovanni stesso però, nella narrazione stessa del Getsemani (18,4), preferisce un altro verbo

€6)).8Ev. Si può però stabilire un parallelismo tra Gv 13,4 e Gv 18,4 che rende non improbabile il richiamo da parte del nostro verbo ÉydpErnL al verbo ÉydpEu8E di Matteo e Marco, ripreso probabilmente in Gv 14,31 13,3-4 18,3-4 menzione del tradì1nento di Giuda venuta di Giuda365 coscienza di Gesù (d8Lii;-)

36 1 ·

coscienza di Gesù (Ei8Lii;-)""'

Si può stabilire così la seguente relazione: A (13,5) B (19,33.34)

1. TleT}alv rd lµdrta

2. (JdA!.Et iJ8ù!p

1. Té8vryK6Ta 2. i/;i)Aecv.. iJ8ù!p.

164

Ciò spiega l'uso dcl verbo r[0771n, inusitato nel senso di spogliarsi. Esso appare non casualn1ente usato, ina dc!iberatan1entc scelto per un preciso scopo allusivo; così con1e, per altri n1otivi già indicati, è dcliberalan1ente scelto il verbo

{JdÀÀù!. J 65 Nella n1enzionc di Giuda c'è un progresso Lra i due testi: in I 3,2ss la relazione è passiva rispetto al diavolo, in 18,3 è atliva rispetto alla coorlc e ai servi che ha preso, con i quali viene.


Attilio Gangemi

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Éydpam Se questa relazione è valida, possiamo supporre che I' ÉydpETm

mv

éc &irrvov simbolicamente alluda al cammino della passione. Ciò è confennato dal fatto che razione seguente, espressa all'indicativo presente ( T[el)mv), allude al dono della propria vita. Limitandomi in conclusione alle tre espressioni ali' indicativo presente, pare che esse richiamino tre momenti del cammino di Gesù:

I. ÉyEipam éc

mv i5d rrvov

ca1n1nino verso la passione

2. Tiel)CJLV Tà lµéma

dono della propria vita

3. (JaJv\EL Wwp

effusione dello Spirito

In questa terza espressione ho lasciato in sospeso il ter1nine

VLTTTi}pa che sarà utile riprendere in relazione all'altra i1nn1aginc del Mvnov.

6.4. IL Mvnov e la sua relazione alla tunica {19,23.24) Il ÀÉvnov è introdotto nel v.4, subito dopo la menzione della

deposizione delle vesti, anzi in stretta connessione con essa367 . Le due nozioni di vesti e asciugatoio stanno in stretta relazione. J(,(,

Abbiaino notato !a relazione tra 1' €i8r.Js- di 18,4 e quello di 19,28 e con1e

questi due él8u5ç sen1brano includere tutta l'opera di Gesù presupposta in ! 3,2.3. " 67 Le due espressioni pennettono una duplice relazione strullurale. Se tenian10 conto dci due verbi correlalivi r{OTJµL-Aa11f3dvM, si potrebbe avere !a seguente relazione pnrallela: T[ 8TJaL/J

Aaf3u5v

TG tµGTLG

ÀÉVTlO/J

Questa relazione però non è precisa, pcrehè è stabilita tra un verbo diretto e un participio, anche se i due verbi sono correlativi; inol!re il verbo principale (OtÉ(VJaEv) rirnane ruori. Meglio stabilire una relazione Ira i verbi diretli. Si olliene allora uno schc1na concentrico: rl OTJaLv

rd lµdrta Àaj3u5v ÀÉVTLO/J


La lavanda dei piedi

29

Queste due immagini presentano due caratteristiche diverse e, rn certo senso, opposte. Le iµaTw sono al plurale, il ÀÉvnov è al singolare. Inoltre le Td IµdTta si trovano nel contesto di

una

espressione Gesù-centrijirga (TL61)mv), il Mvnov si trova invece nel contesto di una espressione Gesù-centripeta (Aaj3wv ... 8u'(wrJfY). Queste due osservazioni, e inoltre lo stesso termine Td lµét.TtaJ 6''\ c1 conducono ad un altro testo, quello dì 19,23.24, l'episodio della spartizione delle vesti, dove troviamo un altro binomio: TU iµaTw T0v Xl TWva~ 69 •

I due binomi Tu iµétna - Mvnov I Tu iµétna Tov XL Twva presentano diversi ele1nenti di relazione. Anzitutto lo stesso tern1inc

con1une rd lµdrta; il fatto che entran1bi i binomi riguardano dei vestiti; il fatto che il primo (Tu iµdna) è plurale, il secondo (ÀÉvTLOI/ XLTLJv) è singolare; infine il fatto che, in entrambi i lesti, il termine TU

Iµdrta è oggetto

di

un

movi1nento

Gesù~centrifugo,

co1npiuto

Bu!{waEv Éavr6v J(, 8

Il Lern1ine lµdrLov si legge 6 volte nel vangelo di (Jiovanni, a due a due; ogni paio è nello stesso contesto. I prirni due usi sono al plurale, in l 3,4 e I 3, 12: prescindo, a!tneno per ora, sulla relazione Lra questi due testi. I secondi due usi, in 19,2.5, sono al singolare e si riferiscono a! 111a11tel/o cli porpora di cui rivestirono Gesl1 dopo la flagellazione. I terzi due usi si leggono, al p!urnle, nel contesto dell'episodio delliJ spnrtizione delle vesti (19,23.24): il priino evoca i! fatto ("presero le \!esti"), il secondo appartiene alla citazione della Scrillura ("si divisero le inie \'esti"). Si olliene così il seguente sche1nn: I. rà lµdrLa (13,4)

rà lµdna ( 13, 12) 2. l11drlov rropif;vpoVv rropif;vpoVv lµdrlov

( 19,2) ( 19,5)

3. rà lµdna (19,23)

rà lµdna (l 9,24) ~ 69

Il bino1nio rd lµdrta rOv XLTwva è ripetuto due volle secondo uno schcn1a concenlrico: rd lµdrLa (v.22a) - ròv XlTt;Jva (v.23b) -

O XLTWv(v.23c)- rd lµdrta (v.24b)


Attilio Gangemi

30

rispettivamente da Gesù stesso ( 13,4: Titil)aw) e dai soldati (Oaj3ov-

Il movimento delle iµana perciò è chiaro ed uguale nei due testi: Gesù-ce11triji1go. Meno chiaro invece è il movimento dei due elementi al singolare (ÀÉvnov -XlTWV). Più precisamente, il ).,,!vnov appare oggetto di un movimento Gesù-centripeto, del descrive una situazione statica (i)v

x1 TWV

invece si

8{ . .). Ma se leggiamo

più

attentamente i due testi, essi sono caratterizzati da un 1novi1nento rispettivamente ascendente (ÀÉvnov) e discendente (Xl TWV ). Il ÀÉVTWV

è oggetto di un movimento ascendente verso Gesù (Àaj3wv) che cuhnina nell'azione con1piuta da Gesù stesso di cingersi-171 ; il XLTWv è soggetto

di

una

situazione

statica,

presentata

come

frutto

e

~ 70 A questi eleinenti di relazione se ne può aggiungere un quinto, forse pili

sottile, 1na non per questo 1neno presente, la particella 8Ld, legata, per il J..€vrLov, al

verbo 8La(Wvvvpl (19,4) e, per la xtrWv, all'espressione 8l 0Àov (19,23). Tra i due testi si nota un rnovin1ento inverso: per il Àivrtov la particelln 8td riguarda Gcsl1 in 1novin1enlo ascendente da esso verso di lui, per la XtTWv riguarda la XtTWv stessa in un 1novi1nento discendente che parte dall'alto: Gcsl1 (8td) ÀÉVTLOV 371

ÉK TWv é!1/w8€v

XL Tu5v (8td)

Nell'azione di cingersi di un ÀÉVTtov si vede ancora la siinbologia di uno schiavo. Cfr. C.K. BARRETT, op. cit., 168, che cita Svetonio, Caligola 26; G.R. BEASLEY-MURRAY, Joh11, \Vaco-Texas 1987, 233, che cìta l'ese1npio di Agar (cfr. il J'vlidrash a Gen 21,14, citato da Strack-Billerbeck, ll, 557); F.M. BRAUN, É1Y111gile se/011 Saint Jean, in L. PJROT - A. CLAMER, i.Li Sainte Bible, Torne X, Paris l 950 (nouvelle édition) 419; R.E. BRO\VN, op. cit., 655; D.A. CARSON, The Gospel accordi11g to John, Gnrnd Rapids 1991, 463; W. HENDRIKSlN, The Go.1pe/ (~/" Sr. J ohn, Lonclon 1959 (repr. 1969) 229 (lascia però perplessi la sua ricostruzione storic8 circa l'esigenza di lavarsi i piedi al ritorno da Betanin); E.C. l-IOSKYNS - F.N. DAVEY, The Fourth Gospel, London 1947", 437; \V. LAUCK, Das E1Y111gelùon 1111d die Briejé des heiligen Joha1111es, Frciburg i. Br. 1941, 321; S. SC!-!ULZ, Das l':Fonge!h1111 nach Johannes, GO!lingen 1972)2, 173; R.V.G. TASKER, 7'l1e Gospel accordi11g to St. Jo!rn, Lonclon 1960 (repr. 1992) 155: richia1na ls 53,12. In senso pili si1nbo!ico si espri1ne BEIJA YEN, /11 S. Joa1111is Hva11geli11111 expositio, PL XC!!, c. Xlii, col. 802: Gesl1 avrebbe deposto il corpo che rivestì, non senza dolori, 1na con In lunga tribolazione della croce.


La lavanda dei piedi

31

conseguenza di un movimento discendente (ÉK TUJV GVUJ@Ev), di cui è oggetto. I due testi, messi insieme, permettono strutturale:

1. Aaf3wv

simile relazione

movin1ento ascendente

2. Afvrwv

3. i5L{(Wr5Ev rfE 4.

ifv 8t

azione dinamica situazione statica

5. XlTWV 6. ÉK TWu éivw8r;v movi1nento discendente In questo sche1na stanno in relazione aspetti con1plementari: 1novi1nento ascendente e n1ovin1ento discendente, azione dinarnica e azione statica. Si può perciò concludere sulla relazione e sulla complementarietà del À{vrwv e del Xl rwv m.

6.5. Relazione tra l'asciugatoio (À{vnov), il catino (vmrryp) e la

tunica (Xl rwv) Un'altra relazione è in1portante ancora stabilire, tra il

ÀÉVTlOV

e il

ròv vmITipr5 di cui si parla nel v.5.

Del tern1ine TÒv vLrrIT,pa sorprendono due cose, la singolaritù stessa del termine, come ho già notato, e l'uso dell'articolo. Questi due elementi ci guidano verso un senso più profondo che non quello concreto di un se1nplice recipiente materiale. Benchè tra il ÀÉVTLov e il

ròv

l/LTTTi}pa l'autore introduca una divisione detern1inala

-'72 Il

XLTWv si trova così al centro di due altre

irn111<1gini, il

ÀÉVTLOV

dalla

e il

TO

(13,4.5) - XLTWv (19,23.24) - TO 8{KTVOV (21,6.11). Per Ja relazione tra la tunica e la rete, cfr. il 111io studio: I racconti postpasq11ali nel \!angelo di S. Gio1'a1111i, JJJ, Galatea, Acireale 1993, 325-340. 8{KTvov:

ÀÉvTLov


Attilio Gangemi

32

particella EITa, le due espress10111 s1 legano mediante una relazione strutturale:

Àaf3wv ÀÉVTLOV aÉ(ùKTÉV CfE

(3aÀÀEL Wù!p

Els-

TOV Vl7TIT/PO

Le due nozioni sono oggetto di due movi1nenti inversi e complementari, entrambi gravitanti attorno a Gesù, di cui egli è il soggetto. Il ÀÉvnov è oggetto di un movimento che culmina in Gesù, il Tov vwTijpa è termine di una azione che parte da Gesù. Il Mvnov è nel contesto di un movimento Gesù-centripeto, il vwTijpa è nel contesto di un movimento Gesù-centrifugo.

Volendo adesso, alla luce anche delle osservazioni proposte, tentare di cogliere il senso

sopra

del Mvnov e del vwTijpa,

ritengo opportuno procedere per gradi. Il ÀÉvnov si trova nel centro di due relazioni, con il Tov vwTijpa e con l'

o XLTWV

Ritengo irnportante perciò caratterizzare come prin1a cosa

di 19,23.24.

r

6 xtrWv.

Di essa, la tunica cioè, si parla, in 19,23.24, in relazione di contrapposizione con le vesti (Tà iµdna). Di questi si descrive l'azione di divisione e di alienazione operata dai soldati; della tunica invece si descrive la sua intrinseca unità e la deliberazione dei soldati di non

scinderla e di tirare a sorte di chi è·'n .

.>n Le due azioni dei so!dali sulle vesti si contrappongono alla !oro duplice decisione sulla tunica, con1c appare dal seguente schen1a che 111ellc al centro la duplice 111cnzione della tunica: I. presero possesso 2 . .fecero ... parti divisione 3. la tunica 4. era /({ tunica non divisione 5. no11 scùu/ia1110 ricerca di possesso 6. tiria1110 a sorte


La lavanda dei piedi

33

Subito dopo l'evangelista introduce la Scrittura, la quale, pur potendosi riferire anche alla tunica 374, di fatto svia l1attenzione da essa, sottolineando piuttosto l'azione sulle vesti 375 • Infine nell'ultima frase del v.24 l'evangelista evoca ancora l'azione sulle vestiJ76 , Benchè la tunica sia descritta in posizione centrale, la citazione della Scrittura e la menzione finale dell'azione dei soldati orientano l'attenzione prevalentemente sulle vesti"'. In 19, 25-27, subito dopo, si descrive la comunità attorno a Gesù. La descrizione comprende due parti: la comunità delle donne, tra cui, compendiandole tutte, in un rapporto dialettico tra pluralità e unità (v.25), la madre, l'unione da Gesù stabilita tra la madre e il discepolo. Tra i vv. 23.23 e i vv.25-27 si possono stabilire delle relazioni. Anzitutto un inizio analogo, detern1inato dalla 1nenzione della croce:178 ;

J?.f La prinu1 parie della Scrillura chiaraincntc si riferisce alle vesti, 1<1 seconda parte potrebbe riferirsi alla tunica, con1c appnre dal seguente schc1na: I.fecero quaffro pf1rti (!e vesti) 2. 1irhu110 a sorte (la tunica) 3. divisero le vesti (vesti) 4. sul vestito ... get1aro110 la sorte (tunica)

~ 75 Si può notare nell'uso della Scrittura il Lennine lj1aTtcrµ6v che deriva dalla

versione greca, 1na che etin1ologica1nente si ricollega a Tà lµdTta. 376 crr. l' espressione ''i so!dati ... ques!e cose fecero" che richiaina !'espressione iniziale:

I. i soldati 2.fecero 3. quattro parti 4. i soldati 5. queste cose 6.fecero Lo schema è insie1ne concentrico e allernato. ' 77 Tutto il brano presenta uno scherna pili an1pio concentrico: 1. i so/dati .. jecero 2. divisione delle vesti 3. lo f1111ica 4. fa tunica 5. La Scrittura (8l€J1€piaavTo) 6. i soldati queste cose fecero


Attilio Gangemi

34

inoltre le Tfooapa µÉpT) possono corrispondere ai quattro elementi di donne nel v.25'79 • Infine si può notare un inizio analogo nella descrizione della tunica (v.24a) e nella descrizione delle donne (v.25a)' 80 • Tra l'azione dei soldati e la descrizione delle donne si nota una relazione· di opposizione: entrambi hanno relazione a Gesù; ma, mentre per le Ta 1µéma il movimento è centrifugo, di divisione e di dispersione"', per le donne il movimento è centripeto, di unità. Per le vesti (Ta lµéma), dal crocifisso parte un movimento che è divisione e di dispersione, per le donne la croce di Gesù è il punto culmine in cui la pluralità trova la sua unità"'·

318

v.23 ·

EaraVpwcrav rOv 'Jr;aoVv

v.25: rrapd ri} aravpif; roV 'fr;aoù Benché si possa discutere dsl punto di vista storico se le donne siano tre o quattro, dal punto di vista letterario l'autore introduce qunttro clcn1cnti coordinati a due :i79

a due:

J. fa 111adre di lui - 2. la sorella cli sua 111tlllre 3. Maria cli Klopa - 4. N!aria di M<lgdala I prirni due clementi sono legati da! tennine 1-177rrjp, gli altri due dal tenni ne Mapldµ. J 80 En1ran1bc le descrizioni iniziano con un verbo statico, indicanlc rispe!liva1nente la situazione della tunica (i]v BÉ) e In posizione delle donne (ElaTrjKEtaav &). Entrnn1be si contrappongono alla azione dei soldnti:

ol oùv aTpGTLWTal - i}v OÉ

al oùv arpaTtNTGl - EiunjKEtaav 8€ JSI Benchè l'azione della divisione sia co111piuta dai soldati, in reallù essa è connessa alla crocifissione cli Gesli (Or€ f-araVpwaav). Si direbbe che i soldati siano i inecliatori cli un 1novin1ento che parte da! crocifisso. 3 ~ 2 La relazione di opposizione appnre pili evidente da una relnzione strutturale che si può stabilire tra le l'est i e le donne: l. i soldati 2. quando c1Dc{fissero Gesl1 3. presero le vesti .. fCcero quattro parti 4. stavano 5. presso la croce di Gesl1 6. !a nu1dre di Gesi:1 I soldati, a partire dalla croce di Gesù, co1npiono una azione cli divisione; le donne, attraverso la croce cli Gesl1, pervengono ad una situazione di radica1nento.


La lavanda dei piedi

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Fermando la nostra attenzione sui vv.25-27, troviamo un duplice processo di unità, uno riguardante la pluralità delle donne (v.25), l'altro riguardante, più specificamente, la madre e il discepolo. Entrambi i processi di unità gravitano attorno a Gesù 3'L\ ma in modo inverso: per le donne, Gesù è il culmine a cui esse convergono co1ne centro di unità, per la madre e il discepolo egli è il punto di partenza della loro unità. Tutte queste osservazioni ci permettono di tirare le nostre conclusioni: nei vv.25-27 deve essere ricercata quella tunica, la cui intrinseca unità è indicata in 19,23.24. In effetti i vv.25-27 rispondono bene a tre aspetti indicati nei vv.23-24 a proposito della tunica: la sua intrinseca unitàJN~, la realizzazione della deliberazione dei soldati di non scinderla'"', la risposta alla domanda in sospeso nei vv.23.24, di chi è La tunica: i vv.25-27 rispondono che la tunica è di Gesù. Benché nei vv.23.24 siano descritte sia le vesti come la tunica, in realtà l'accento poggia sulle vesti. La vera descrizione della tunica è da ricercare nei vv.25-27. Abbiamo così due parti caratterizzate rispettivamente dal movimento Gesù-ce11trifi1go di dispersione e dal movimento Gesùcentripeto di unità. Si richiama il duplice potere di Gesù a cui abbiamo accennato, delineato nel c.5, di compiere il giudizio e di dare la vita. Si richia1na anche il duplice n1ovin1ento antitetico, centrifugo e centripeto, di 12,30.31, l'esclusione giudiziaria del principe di questo mondo, e l'attrazione a sè di tutte le cose da parte di Gesù esaltato. Dal crocifisso parte una forza di divisione giudiziaria simboleggiata dalla spartizione delle vesti, e una forza di attrazione in unilà sin1boleggiata dall'unità della tunica, dinamicamente descritta nei vv.26-27.

" 8 -' Le due parti dei vv.25-27, rispellivainenrc i! v.25 e i vv.26-27, sono caratterizzate, quasi introdotti, più dircttan1ente, da! no1ne 'JryaoV:;. -' 8•1 In che inodo !'unità dinan1ican1ente descritta nei vv.25-27 sia intrinseca, non riguarda il presente studio. lit'i Si può notare l'opposizione tn1 l'ultin1a espressione del v.24: "i soldati queste cose fecero" e la prirna del v.25: "stavano presso la croce di Gesl1". I soldati rcaln1ente non scissero la tunica.


Attilio Con.gemi

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Ma rileggendo ancora la descrizione della tunica, si può notare che essa è caratterizzata da due aggettivi, éipm/>05' e 1Jcpavrn5'. Il primo sta alla fine della prima parte della descrizione, il secondo sta al centro di due elementi di luogo, rispettivamente di moto da luogo (a< Twv éivwOEv) e di moto per luogo (3i

o..\ov). Facilmente l'espressione oi

o..\ov richiama la dinamicità descritta nei vv.25-27. éc TWV

éivwOE//

facilmente richiama la descrizione dei vv.28-30 che culmina nel dono dello Spiritow'. Si può proporre la seguente relazione strutturale:

o Xl TWV oi o..\ov l'unità della madre e del discepolo (vv.25-27) il dono dello Spirito (vv.28-30) Possia1no stabilire anche un progresso te1natico: la tunica senza cuciture è costituita dina1nicamente dalle donne presso la croce di Gesù e dal dinamismo della madre e del discepolo (vv.25-27), intessuta dallo Spirito donato da Gesù (vv.28-30). All'inverso, possiamo dire: Gesù ha donato lo Spirito (vv.28-30), mediante il quale ha radunato in unità (vv.25-27) e questa è la tunica che appartiene a lui, che i soldati non scissero (vv.23.24). Alla luce delle osservazioni sopra proposte, poss1a1no tornare a rileggere la nostra espressione di 13,4:

Àfl/Jwv

ÀÉVTLO//

OiÉ{ùX!E//

ÉavT6v. Essa pennette di stabilire due relazioni, una antitetica con l'azione dei soldati in 19,23 e una co11111fetne111are con tutta la vicenda della tunica. Per quanto riguarda la prima relazione antiteticoJ 87 , il movimento è decisamente contrario:

quello

delle

Ta

iµdna è

~R<i L'<1vverbio dv(uOEv nel vangelo si legge 5 volte: 3,3.7.31; 19,11.23. I__.a sua relazione al dono dello Spirito en1erge da 3,3.5: nascere dall'alto (v.3) - nascere da acqua e Spirao (v.7). In 3.31 é!J.Jtù6Ev si riferisce a Gesù stesso, in J 9, Il si riferisce probabilinenle al Padre. 387 Tra le due espressioni si nota un certo pan1llc!is1no strullurale:


La lavanda dei piedi

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chiaramente Gesù-centrifugo, orientato verso la divisione388 ; quello del è invece Gesù-centripeto, fortemente orientato verso l'unità389 • Quanto alla seconda relazione di complementarietà con la

ÀÉ"PTLOV

XLTWV invece, si può notare che il testo di 19,23-30 ne descrive la

costituzione a partire dallo Spirito; il v.23 ne descrive anche l'inconsutilità. I vv.25-27 poi rispondono alla domanda di chi è: è di Gesù, perchè dal dono dello Spirito, fatto da lui, trae origine (vv.2830) e attorno a lui quasi si è intessuta. Ma l'espressione Aaf3r.Jv ÀÉvnov &É(wo-r:v €avr6v pare segua un altro progresso: la tunica è di Gesù

perchè da lui e attorno a lui si è formata: con l'immagine del ÀÉvTwv egli ne prende possesso e se ne cinge. Concludendo, pare che A€vnov e x1 TWV siano immagini diverse, legate ad aspetti diversi e complementari dell'unica realtù dinamicamente descritta m 19,25-27, l'unità ecclesiale. Con l'immagine del XLTWV in 19,23-30 se ne descrive la tessitura, a partire dallo Spirito, attorno a Gesù, e ciò la rende éipa<f>o:;-, inconsutile. Con l'immagine del A€vnov se ne descrive l'acquisizione (Aaf3wv) da parte di Gesù, quasi la presa di possesso, e il conseguente rivestimento di essa. In questa prospettiva pare che l'espressione TiéJl)ow n± lµana abbia due aspetti; in relazione all'espressione al presente f3ciMEl wwp espnme il dono della propria vita, che rende possibile il dono dello Spirito;

m

relazione

all'espressione

13,4 Àaf3r/Jv ÀÉVTlOV

Ouf(waEv Éavr6v

Aaf3wv

ÀÉvnov

evoca

lo

19,23

€Aaf3ov rà lµdrta .. €rro{aav riaaapa µÉpry

388 La successione dcl verbo €Aaf3ov dopo il tcnninc ròv 'JryaoVv suggerisce che se i solclati presero le vesti è perchè Gesl1 le ha s1nesse. Non è contrario al senso del Leslo soltinclcrc uns frase dcl tipo di 13,4: Ti817alv Td lµdTla. Quando lo crocifissero, Gesù pone le l'esti e i soldati le presero. 389 L'aspello dell'unità è duplice, sia intrinseco: il ÀiVTLOV è singolare, sia in relazione a Gesù: di esso Gesù si riveste facendo con esso quasi una cosa sola.


Attilio Gangemi

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spogliamento descritto in 19,23, a cui segue il rivestimento di una nuova realtà, l'unità ecclesiale. Nell'azione seguente di versare acqua ({JriM€L v8wp) troviamo la menzione del TÒv vwn)pa. Abbiamo parlato della singolarità di questo termine e dei problemi testuali a cui è legato. Esso però non è senza relazione al precedente termine perciò deve essere riletto.

ÀÉVTLOV "90 ;

alla luce di esso

Le due espressioni avendo preso un asciugatoio (ÀfvTwv) -

cinse se stesso e quindi versa acqua nel catino ( TDv ut rrrijpa), presentano un 1novi1nento inverso e, dato l'unico soggetto, anche comple1nentare. Trovia1no ancora il duplice movi1nento centr~fltgo e centripeto che diverse volte è emerso nel nostro lavoro. Gesù prende e cinge il ÀfvTwv (movimento centripeto), Gesù versa acqua nel catino (movimento centrifugo). A comprendere l'immagine del Vl7T77Jpa credo che ci aiuti ancora la descrizione della tunica in 19,23-30. Se una lettura ascendente di questo testo ha delineato il cammino della sua costituzione a partire dal dono dello Spirito (19,28-30) fino alla sua inscindibilità (vv.23.24), la lettura discendente progressiva evidenzia meglio un altro aspetto: i vv.25-27 ci dicono cosa è la tunica e di chi appartiene: essa è l'unità ecclesiale che si fonna attorno a Gesù, di cui egli si riveste. Tra i vv.25-27 e i vv.28-30 si nota un elemento di relazione che è anche di cesura, l'espressione µETà ToVTo, che esprin1e un n1omento strettatnente relazionato, ma anche successivo rispetto al racconto precedente. La stessa relazione e cesura si nota anche in 13,5,

~ 90

Tra le due espressioni si può stabilire una relazione strutturale che le lega: Aa(3Wv A€vTlov

8tl(wa€v €avT6v

{Jak\El IJ8Mp Els TÒV VlTTTf/pa In questo schcnu1 stanno in relazione, in posizione centrale, i! verbo e l'ogge!lo. Stanno pure in relazione i due elen1enli ÀÉVTlOV- VlTTTrfpa.


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espressa mediante la particella dra; 111 entrambi i testi l'effusione dell'acqua ( 13,5) o il dono dello Spirito (19,28-30) sono strettamente relazionati, 1na appaiono anche successivi all'azione precedente. In questo senso, in I 9,23-30, si può concludere che Gesù, costituita l'unità ecclesiale come la tunica attorno a lui, che appartiene a lui, inscindibile, di cui egli si riveste (19,23-27), ad essa dona lo Spirito"'· Allo stesso modo in 13,4.5, rivestitosi del AÉvnov, Gesù versa acqua nel rov vwrrypa. Ritengo perciò che le due 1mmagm1, del ÀÉvnov e del rov

vwT(ipa, concorrono ad esprimere la stessa realtà, /' unità ecclesiale, ma m

prospettiva diversa, apparentemente opposta, ma in effetti

complementare. Il ÀÉvnov è l'unità ecclesiale in dinamismo Gesùcentripeto, come la realtà cioè che Gesù prende, che fa sua e di cui si riveste, il TÒv vt7Tn}pa è ancora l'unità ecclesiale, n1a in dina1nis1no

Gesù-centrifugo, con1e la realtà alla quale egli dona e nella quale effonde lo Spirito'°'. Se, come abbiamo detto, l'acqua di 13,5 richiama il dono dello Spirito, esso appare come il dono che Gesù fa all'unità ecclesiale, radunata attorno a lui e di cui egli è rivestito"J Ma il nostro testo riceve ulteriore luce se considerian10 alcuni aspetti dell'AT. Non bisogna dimenticare che la prospettiva fondamentale del nostro testo è la pasqua. Si richiama così l'evento dell'esodo e alcuni passaggi dei profeti.

391

Si può notare coinc le particelle oùv (vv.23.24c) - BÉ (v.25) legano le

scene di 19,23.24 e 19,25-27. L'espressione µ€Td ToÙro di ! 9,28 relaziona strcttan1cnte, 1na insien1e anche serara, i vv.28-30. Possiaino perciò dire che, in lettura discendente, l'autore descrive nei vv.23-27, ln costituzione dellw tunica alla quale, costituita, Gesl1 dona lo Spirito. 392 Questo aspetto del dono dello Spirito da parte di Gesù alla co1nunitit ecclesiale appare anche nel dialogo tra Gesù e la donna sa1narilana. Cfr. v.10: ti darebbe acqua viva"; cfr. v.14a: "l'acqua che io darò ... " (v.l4b); v.15: "Signore, da1111ni quest'acqua". 39 ·1 In 19,23-30 il ruolo dello Spirito è duplice: in lettura ascendente esso, co1ne dono di Gesù, è il punto di partenza della costituzione dell'unità ecclesiale, in lettura discendente, è il dono che Gesù fa all'unità ecclesiale già costituita.


Attilio Gangemi

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Possiamo richiamare anzitutto Es 6,7.8 394 , scandito da tre tappe dell'opera di Dio: "vi toglierò ... vi libererò - vi prenderò per mio JJopolo 395 - vi riconrlurrò alla terra ... Ma un testo in1portante è Es 19,3, dove Dio evoca anzitutto la sua opera di salvezza: ha agito sugli egiziani, ha conllotto su ali rii aquila, ha fatto venire a sè. Dopo questa evocazione storica, Dio propone l'ascolto della sua voce e l'osservanza del suo patto come condizione indispensabile per appartenere a lui come possesso peculiare. Troviamo in questi testi un duplice dinamismo analogo a quello del nostro testo. Dio-ce11tripeto anzitutto: egli ha preso un popolo e lo 11

ha fatto venire a sè; nel nostro testo Gesù, avendo preso il ÀÉvnov, cinse se stesso 19 ''. Inoltre un dinamismo Dio-ce11trifugo: Dio propone l'ascolto della sua voce e l'osservanza del suo patto come condizione indispensabile per appartenere a lui 197 • Subito dopo, nel c.20, si

39 ~ Altrove leggimno che Dio scende a liberare il suo popolo. ll faLro che i! popolo è possesso di Dio, detennina un'opera di salvcz.za (Es 3,7.8.10; 4,22.23·, 5,l; 7,16.26; 8,16.17; 9,1.!3; 10,4). Ma la prospettiva evocata dall'i1nmaginc del ÀiVTlOV con cui Gesù cinge se stesso, è inversa: il possesso appare con1c i! culn1ine cli

una azione. 195 · E' i1nporlante questa seconda azione, clave l'espressione Àɵl/Jo11al ɵavr<:J richian1a la prima e J'ultirna parola dell'azione da Gesù con1piuta nel nostro testo cli

Giovnnni (Àaf3Nv. .. Éavr6v). 396 Si può notare anche una certa relazione terminologica Lra il nostro testo e il testo dell'esodo: A (Es 19) B (Gv 13) vi ho condotto (d1/€J..af3ov)

aFendo preso (Aaf3Wv)

su ali di aquila

un ÀÉVTlOV

vi ho fatto venire a n1e ( rrpOç

cinse se stesso (Éavr6v)

Éavr6v)

Questo clinan1isn10 !Jio-centripefo appare ancora in a!Lri lcsli: Dt 4,20: "il Signore ha preso (€Aa/3€v) voi ... "; 14,2; 29, l I: "ti costituisce oggi carne popolo per

sè (aùri;;)"; anche Js 43,l. Si può citare anche Ez 16,8, nel contesto della 111etafor<1 della giovinetta: "entrai in ulleanza con te ... e diventasti 111ia (ÉyÉvov ..µo{)". In 20,l l, dopo l'evocazione eia parte di Dio della sua opera salvifica, erncrgc il dinainis1no !Jio-centnji1go: "feci conoscere !e inie leggi". 397 Cfr. anche Es 22,30 e Lv 25,55.


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introducono i comandamenti. Nel nostro lesto, Gesù versa acqua nel catino. Ma importante è pure il testo di Ez 36,24-28, dove emergono ancora i due aspetti centripeto e centrifugo. L'aspetto centripeto è contenuto nel triplice annunzio: "vi prenclerò 398 di 111.ezzo alle genti - vi radunerò 399 da ogni terra - vi condurrò sul vostro suolo". L'aspetto centrifugo è costituito dal triplice dono: l'acqua pura, il cuore nuovo, lo Spirito"'"· Nel nostro testo Gesù, dopo avere preso (J..af3wv) il

ÀÉvnov, versa acqua (vowp) nel catino. Possiamo concludere che l'azione di Gesù di prendere un e di cingersi e di versare acqua nel catino, nel senso che abbiamo tentato di evidenziare dietro l'azione simbolica, può affondare le sue radici nell'AT. Non in un solo testo però, ma in una tradizione più ampia. In particolare, si richiamano tre testi letti assieme: Es 6.7.8; Es 19,3-5; Ez 26,24-28. In Es 6,7.8 Dio annunzia di À.ÉVTLOV

prendersi per sè (Àɵlj;oµat ɵavT!~) Israele come popolo. Secondo Es 19,3-5 Dio si è preso (av0af3ov) un popolo, lo ha fatto venire a sè

(ɵavT6v), gli ha proposto i comandamenti""· Secondo Ez 36,24ss al popolo che prende (Mµif;oµat) e raduna, Dio non propone co1nanda1nenti, 1na, in crescendo progressivo, ciò che pennette la loro osservanza, l acqua che purifica dalle sozzure e dagli idoli, il cuore nuovo, lo Spirito che ne rende possibile l'osservanza. 1

398 LXX; }.,aµf3dv(;J (Àɵl.j;oµat).

399 LXX: d8poluù!. Nel c.37 torna però i! teina del raduno con il verbo avvdyrl) (avvd(w) (Ez 37,21), cfr. Gv 11,52 (avvaydyl]). C'è anche il ten1a di Davide pastore e principe (cfr. vv.24.25). In Ezechiele però chi raduna in unità è Dio, in Giovanni è Gesèi (cfr. Gv I O, 16). 400 Benchè divisi dalla 1nenzione de! cuore nuovo, acqua e Spirito stanno in relazione. In prospettive diverse però; !'acqua è 1nenzionata nella prospelliva negativa della purificazione da ogni sozzura, lo Spirito nella prospettiva positivn della abilitazione a ca1111ni11are negli statuti di Dio e ad osservare e 1neltere in pratica le sue leggi. 401 C'è una differenza dì prospettiva tra Es 19,3-5 e il nostro testo. 11 testo dell'esodo si colloca nella prospettiva della pasqua celebrata (cfr. Es 12), il nostro testo invece nella prospettiva del!'i1n1ninenza della festa pasquale (cfr. Gv 13,1).


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6.6. Cominciò a lavare i piedi (ifpl;aTO vfon:tv ... )

Nella prospettiva di quanto abbiamo fin qua notato, possiamo considerare adesso l'ultima azione di Gesù, che è il culmine di tutta la descrizione. Essa è duplice, espressa con due infiniti presenti, introdotti dall'unico verbo all'aoristo ifp/;aT!J''"· Questa azione di Gesù è stata variamente interpretata e non è facile classificare le varie posizioni degli interpreti perchè talora le diverse posizioni si intrccciano40:i. Possiamo ricondurre però le varie posizioni a tre aspetti fondamentali: 1norale, soteriologico, sacranientale. In senso n1orale, è stata interpretata come un esen1pio e una lezione di u1niltà404 ; un gesto di un1iltà405 , di servizio 406 ; l'opera di uno

402

I! verbo éipxw o éipxo11at nel vangelo di Giovanni si legge solo qui, se

prcscindian10 da 8,9 (dpçdµf"vos') nel contesto del racconto dell'adultera, dubbian1entc giovanneo. 40 -' Un quadro delle varie interpretazioni è stato offerto da J. BEUTLEI<, Die !leifbede11tu11g des Todes Jesu ùn loha1111eseva11geliu111 nach 13,1-20, in; K. KERTELGE (hrg), Der Tod .lesu, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1982 2 , 188-204; G. RICHTER, Die Fuss1Pasch1111g ùn foha1111eseva11ge!iu111. Geschichte ihrer De11t1111g, Regensburg 1967, 287-320; F.F. SEGO VIA, fohn 13, 1-20. The Foot1vashi11g in tlie folia1111i11e Ttadition, ZN\V 73 (1982) 31-51; anche A. CORELL, Cons11111111atu111 est, London 1958, 69ss. 4 o-I AMMONIO ALESS, Frag111enta in S.foa11ne111, PG LXXXV, col. 1481; J.l-I. BEr<NARD, op. cit., 459s; C.K. BARRETT, op. cit., 440; G.R. BEASLEY-MURRAY, fohn, Waco-Tcxas 1987, 233; P. BEECK/\1ANN, l'évangife se/on S. fea11, Brugcs 1951, 290; R.E. BRO\VN, op. cit., 670, nei vv.12-20; TJ-!. CALMES, Évangile sefon S. Jea11, Paris 1906 2 , 132: la lezione di u1nillà è dovuta alla disputa riferila da Le 22,24-27; CIRILLO ALESS, 111 foannis EFanr:e!iu111, fib Xli, PO LXXlV, 114; P. FIEBIG, Die Fuss1vasch1111g, Angclos 3 (1930) 121-128; F. GODET, Co111111e111aire sur /'évangile de Saint Jean, 11, Neuchàtel 1903~, 233: Gesù vuole insegnare che la condizione per entrare ne! fcgno di Dio è abbassarsi; W.K. GROUSSOW, A Note on fohn l 3, 1-3, NT 8 (1966) 124-13 l; I. HASlJNGS, St . .fohn, li, Edinburgh 1912, 4; G.A.F. KNIGHT, Feet-ivashing, in: Encycl. qf" Religio11 and Ethics, V, 815: dal Inomenlo che 1nancavano i servi e nessuno era disposto a fare questo servizio, Gesù dà uns lezione di u1niltà; M.J. LAGRANGE, op. cii., 356; W. LAUCK, f)as Evangeli11111 und die Briefe des heiligen Joha1111es, Freiburg i.Br. 1941, 321; R.C.H. LENSKI, The l11te17Jretatio11 q/ S!. fohn's Gospel, Collnnbus.Ohio 1942, 908; J. MICHL, /)er Sinn der F11sswaschu11g, Bi 40 (l 959) 697708; L. MORRIS, op. cii., 615; S.M. SCHNEIDERS, The Foo/washing (loh11 13,1-20). A11 Experùnent in Hen11e11eutics, CBQ 43 (1981) 72-96, distingue tra l'aspetto storico (gesto di u1nile servizio) e aspetlo n1ofale, R.f-1. STHACHAN, The Fourth Gospel,


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schiavo407 ; richiama Le 22,27 408 ; un esempio da imitare409 ; una richiesta di solidarietà""; il modello dell'amore che serve411 ; il simbolo London 19463, 264: volontaria umiliazione, cornc senso profondo dell'Eucarislia la cui istituzione non è narrata; TEOFILAn·o, Enarratio in Eva11ge!iu111 Joannis, PG CXXIV, coli. 147.148. I-I. V AN DEN BussCHE, Les discours d'adieux de Jésus, Tournai

1959.

405 C.K. BARRETT, op. cii., 436, spiega che è J'un1i!c servizio del figlio dell'uo1no portato a narrazione. Aggiunge anche che non è i1npossibile che l'episodio si trovasse nella Lrndizionc µre-giovannea, ma nella fonna attuale reca l'ìtnpronta di Giovanni; BONAVENTURA, op. cii., 424; P. COMESTOR, /11 Evange/ia, PL CXV, VIII, col. 1616; CRISOSTOMO, !11 Joan11e111 ho111i/ LXX (al LXIX}, PG LIX, col. 803; ElIT!MIO Z!G, Co11u11e111 in Joa1111e111, PGCXXIX, coll. !375-1379; J. lIUBY, Le discours de Jésus après la Céne, Bcauchesne, Paris 1932, 14; J. MATEOS - J. BARRETO, El Evangelio de Jua11, Madrid 1979; trad. it., li vangelo di Giovanni, Cittadella, Assisi 1982, 555: lavando i piedi Gesù insegna cosa è l'amore leale, prestare servizio all'uorno fino a dare la propria vita per lui; L. NE\.YBIGJN, The Ligh! has co111e. An. Exposilion o/ the Fourth Gospel, Grand Rapids 1982, 167.168; A. SCHLAlTER, Der Hvangelist Johannes, Stuttgart 1930, 280 (cita Mekh a Es 21,3); G. SEGALLA, Gio11c111ni, Ro1na 1990 7 , 362.365: si esprin1e si1nbolicarnentc il supremo servizio di Gesù che, inizialo nell'incarnazione, culn1ina nella croce; \V. TEMPLE, Reading in St John's Gospel, Il, London 1945 (con1plele Edition, repr.1950) 209; J.C. THOMAS, Footwashing in John 13 and !he Joha1111i11e Co1111nunily, Shéfficld 199 l, 89; F. TILLMANN, Das Joha1111ese11a11ge/iu111, Bonn 1931 4 , 200; B.F. WESTCOTT, The Go:,pe/ according to St. John, London 1958, repr. Grand Rapids 1981, 190. 406 Cfr. J. BLANK, [)as FFangefiuni nach Johannes Il, Dilsscldorf 1977, ed sp. El evangelio segtfn San l11an, Ton10 Segundo, Barcelona 1984, 35; J. GNILKA, Joh(f1111eseva11geliu111, Wilrzburg 1983, 106s; J.M. HuM, La 111a11~f'es/afio11 de !'c1111our se/011 Saint Jean, Vie Spir 88 (1953) 235, n.19; J.R. M!CHAELS, John, Peabody, Massachusett 1984, risi. 1985, 242; J. RÉVJLLE, Le q1ra1riè111e é1Y111gi!e, son origine e! sa va/eur historique, Paris 1902 2 , 241; M. SABBE, The Foot111ashing in .111 13 and its Refalion to lhe Synoplic Gospe!s, E·1L 68 (1982) 279-307; E. SC!-IJCK, Eva11ge!iu111 nach Johannes, Wlirzburg 1956, 123; G. SCH!WY, Das Evangeli11111 11ach lohannes, Wlirzburg 1968 2• '107 W. BAUER, op.cii., 168.169, cita Erodoto (V!,19), Plutarco e anche Flavio G (Ani Vl,13,8), per la letteratura rabbinica cita Schlalter (Sprache und Heù11a1 des 4" Evangelit11ns, 125); Bauer vede anche l'influsso di Le 22,27; G.R. BASLEY- fVlURRAY, op.cii., 233; F.F. BRUCE, The Gospel of John, Grand Rapids 1983 (repr. 1984) 280, richian111 Le 22,24-27 e anche Fil 2,6; una interpretazione alquanto artificiale è proposla eia J.D.M. DERRETI, The Footwashing in Joh11 Xlii and the Alienation of .ludas Jscariot, RIDA 24 (1977) 3-19: forzando i discepoli ad accettare il suo servizio, Gesù !i rende con1proprietari di se stesso; essi adesso sono capaci di concepirlo co1ne loro schiavo. Giuda aliena la sua parte; cfr. del!o stesso aulorc, Do111i11e, fil 111ihi la11as pedes? BibOr 21 (1979) 13-42. lnollre R. KYSAR, op. cit., 208; A. PLUMMEH, The Gospel according lo St. .fohn, Can1bridge 1912 (ed.ultin1a) 261; J. SCHNEIDER, Das E1 1a11geliu111 nach Johannes, Bcrlin 1978 2, 243.244; H. STRATHMANN, Das EFangelù1111 nach Jolia1111es, GOttingen 1968 10 , tnid. it., Il vangelo secondo Giovanni, Brescia 1973, 325, lale gesto è indispensabile per avere con1unione con


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dell'amore"'; un gesto di accoglienza"'; il simbolo della purificazione dei discepolim; il simbolo dei benefici che sgorgheranno per discepoli dalla croce"'. Gesli. Tullavia C.K. BARRETI', op. cii., 400, ritiene che questo aspclto non debba essere esasperalo, pcrchè anche le n1ogli solevano lavare i piedi dei n1ariti e i figli quelli dci genitori. 'Hm \V. BAUER, op. cii., 168.169; F.F. BRUCE, op. cii., 280; TH. CALìv!ES, op. cit., 132; C.H. DODD, op. cit., 480, !a lavanda dei piedi è una versione <lrarn1nalica di Le 22,27; L. MORRlS, op. cir., 615 n.15; R.V.G. TASKER, op. cii., 154, lavando i piedi, Gcsl1 volle enfasizzare le parole: "sono co1ne colui che serve". 4119 Cfr. F.M. BRAUN, Le fa\le111e111 des pieds et la réponse de Jésl!s à Saint Pierre, RB 44 (!935) 22-33, 1na solo spiritualn1ente. 41 Cfr. J.A.T. ROB!NSON, The SignUicance of the Foot-Washing, Neolest cl Patr, Leiden 1962, 147. 411 Cfr. H.H. WENDT, Das .loha1111eseva11ge!i11111, Gi:HLingcn l 900, 171. 412 R.H. LTGllTFOOT, St John's Gospel, Oxford 1956, rcpr. 1983, 272: lavando i ricdi, GeslJ 1noslra il senso dell'incarnazione e della 1norle (p. 273); C. NJE/vlt\ND, Die Fusswasch1111gserziih/1111g des Joha1111eseva11ge!i11111s, St Ans 114, Ro1na 1993, 189: un si1nbolo dell'essere e dell'agire dcl Salvatore che ha co1nc n1orivo l'an1ore; G. SCl-11\VY, /)as Eva11ge!iu111 nach Johannes, \Viirzburg 1968 2, 114: u1ni!iando se stesso nella lavanda dci piedi, Gesù offre il suo ainorc, ds!l'incarnazione alla 1norte. Specirican1ente secondo R. E!SLER, Zur F11JJ1Fasch1111g a111 Tage vor de111 Passali, ZN\V 14 (1913) 268-271, Gesù, eia "Servus servoru1n Dei", lava i piedi a!ln sua mistica sposa, la chiesa priiniliva . .Jn Cfr. R. FA8RIS, op. cit., 731, gesto che si colloca pili sulla linea dell'an1orc che del servizio. Fabris citn in questo senso: Agostino, epist LV,18; Arnbrogio, /)e Sacr. 111,4; De A1yst. Vl,31-33; De Spirit11 Sancto, 1,12-15, Croinazio, Senno X\!,6; Bcrnafclo, Senno i11 Coena Do111i11i, PL CLXXXIII, 273-274; C. N!Elvlt\ND, Die F11ssw(lschu11gserziih/1111g des Joha1111esevange!iu111s, SI Ans Il 4, Rorn<1 I 993, offre una prescntnzione dell'uso greco ed ebraico (pp. 179- ! 80), secondo cui lavare i piedi è proprio dello schiavo, n1n presenln anche un'altra tradizione (pp. l 80- ! 87) secondo cui lavare i piedi è onorare l'ospite e di1nostrare an1ore. All'ospitalitii escatologica rin1ancla A.J. HULTGREN, The lohannine Footwashing (13,1-11) as Synbol o/ Eschato!ogica/ Hospita!ity, NTSt 28 ( 1981) 539-546. 41 ~ ALCUINO, Co111111e111arior11111 in Joa1111e111, PL e, col. 925, la purificazione n1eJiantc il sangue; C.K. BAR!{E'JT, op. cii., 436, la purificazione dei discepoli dal peccato rnedianle il sangue di Cristo; R. BULTMANN, [)as Evange!i11111 des .lohannes, GOLlingcn 1978 21 \ risL. 1985, 359.360; J.D.G. DUNN, The ~Vashing of !he /)iscip!es'Feet in John 13,1-10, ZN\V 61 (1970) 247-252; ÙRIGENE, Co111111ent. in Joa1111e111, Ton1us XXXII, PG XL, coli. 741.742, !avare! piedi espri1ne la purificazione necessaria per quelli che prendono parte all'u!Li1na ccnn; questa purificazione può essere fatta da Gesù solo, perchè l'acqua indica la parola; J.N. SANDERS - B.A. MASTJN, op. cit., 306s; F. SPrtTA, Das Joha1111eseFange!i11111, als Q1te!le der Geschichte Jesu, GOttingen 1910, 289, sirnbolo di n1orale purificazione; G. SP6RR!, Das Eva11geli11111 nach Johannes, Il, Ziirich 1950, 37.38; Trl. ZAHN, Das Eva11geli11111 des Johannes, Lcip7,ig 192P- 1', rist. Wuppertal 1983, 530. ~ 15 J.D.G. DUNN, op.cit., 247-252.

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In senso soteriologico si dice anzitutto che la lavanda dei piedi è sin1bolo-profezia della n1ortc di Gesù 416 ; azione si1nbolica che rhnanda alla croce come dono di sè' 17 ; parabola vissuta della morte'""; simbolo dell'umile servizio della croce'"· Il senso sacramentale talora è indicato dagli interpreti in modo generico420, talora è visto nel suo aspetto rituale421 ; altri autori

'116 Così C.K. BAl{RETT, op. cit., 436, l'un1iliazione della lavanda dei piedi rrcrigura l 'un1iliazionc della croce; G.R. BEASLEY ~ !\1u1~RA Y, op. cit., 233; J. BECKER, Das Evange!ùun nuch .lohannes, Il, GUlcrsloh et WUrzburg !981, 421; R.E. BRO\VN, op. cii., 670, nola però che a questo nspetto ru poi intrecciato un si1nbolis1no secondario battesi1nalc, introducendo i vv.1 Ob-1 I; F.r. BRUCE, op. cit., 280s; P. F. ELL!S, The Genius of John, Co!legeville-Minncsola 1984\ 213; E. Hii.NCHEN, [)os Joha1u1ese1Y1ngeli11111. Ei11 Ko111111e11tar, Ti.ibingen 1980; R.A. HENDERSON, The \Vn::;hing (~/" the Feet: A New lnte17n·etatio11 (St John 13, !-17), TLond 1O ( 1925) 126~ 133, la !nvanda dci piedi prefigura !'ainore che redi1ne e il potere della croce; E.C. l-IOSKYNS - F.N. DAVEY, The Fourth Gospel, London 1947 2, 437s; R. KYSAR, op. cit., 208, un atto prcfiguratore della crocifissione; R.H. LIGHTFOO'J", St. John's Gospel, Oxford 1956, rcpr. 1983, 273; J.R. MICHAELS, John, Peaboc!y, MassachusctL 1984, rist 1989, 242, il 1naestro che lava i piec!i è il pastore che c!à la vita per le pecore; G. RICHTER, Die F11ss1J!asc/uo1g ]oh 13, l-20, MliTZ 16 (1965) 13-26; R. SCHNACKENBURG, !Jas Joha1111ese\lange!i11n1, Iil, Frciburg-Bascl-Wien 1979\ trad. i t., Il vangelo secondo Gio1 a11ni, III, Brescia J 981, 33. Ta!c senso soteriologico però è escluso da C. NIEMAND, [)ie F11ss1Fasch11ngserz.iihl1111g des johannesevange!ii1111s, StAns 114, Ron1a 1993, 177. 417 Così R.A. CULl'EPPER, The Joha11ni11e l-lypodeig111u. A Reading of fohn 13, Se1neia 53 (1991) 133-152; W.K.GROUSSO\V, A Note on John 13,1-3, NT 8 (1966) ! 24-13 ! ; G.l\1AJEli:, Joha1111esevongeli11111, li, Neuhausen-Stuttgarl 1986, 71; J. MARSH, The Gospel of St. John, Bwltirnore-London 19712, 483; A. NICCACCI, l'unità letteraria di Gv 13,1-38, EuntDoc 29 (1976) 291-323; J.A.T. ROBINSON, The Signiji"cance (~( the Foot-~Vashing, Neotest et Palr, Leiden 1962, !38-141; R. SCHNACKENl3Uf{G, Pietro nel vuogelo di GioFonni, MiscFranc 74 (!974) 273-287; H. WElSS, Footwashing in the Joha1111ine Co1111111111iry, NT 21 (I 979) 298-325. 118 ' Cfr. L. MORRIS, op.cii., 613; anche R.V.G. TASKER, op. cit., 154. 419 Cfr. N. GUJLLL:tv1E·lTE, H1111gri no 111ore. John, Makati 1989, 168; J. MARSH, The Gospel of St. John, Ballin1ore-London 1971 2 , 483; RUPERTO Dr DEUTZ, Co11u11e11tari11s in Joan11e111, PL CLXIX, col. 680; VON V./. ROl-!DEN, Die l-/andlungslehre nach Joha1111es 13, TVers 7 (1976) 84 (81-89); A. WrKENHAUSER, /)as E1 a11gc!i11111 nach .loha1111es, Regensburg 1957 2, traci. it., li 11a11gelo secondo Giovanni, Brescia 1962, 345. 420 BERNARDO DI CH!ARAVALLE, Senno in Coen(I [)0111ini, 4, in S.Bernardi Opera \I, Sen11011e.1· Il, ed. Cistcrcenscs, Ro1nwc 1968, 273.274, parla di un sacrrnnento della lavanda dei piedi che non riguarda i peccali gravi (cfr. !3,10), 1na gli affctli dcll'ani1na dai quali non si può essere dcl Lutto puri; secondo R.V.G. TASKER, 1

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rimandano esplicitamente al battesimo"", specificamente al battesimo degli apostoli'"; altri ancora vedono nella lavanda dei piedi una allusione all'eucaristia424 , alla penitenza425 , all'ordinazione sacerdotale degli apostoli 426 . op. cit., è una azione sacrainentale che 1nira a rnostrare la forza purificatrice della 1nortc di Gesù. 421 Cfr. B.W. BACON, The Sacra111e111 o.f Footwashing, ExpTirn 43 ( l 931.1932)

218-221. ~ 22 W. BARCLAY, The Gospel of St. fohn, Philadelphia 1956 2 , 164-165; N. LAZURE, Le fave111e11t des pieds, AssSeig 38 (1967) 45 (40-51), sin1boleggia la purificazione dcl ba1tesi1no cristiano; F.J. MOLONEY, A Sacra111e11ta/ Reading of John 13, ]-38, CBQ 53 (1991) 248 (237-256); l.N. SANDERS - B.A. MASTIN, op. cii., 306s; W. STRADONE, Glossa Ordinaria, Evang Joan, PL CXIV, col. 405, ne! v.10 però l'allusione è alle i1npurità dopo il Baltesi1no; VON H. CArvlPENHAUSEN, Z11r A115/egu11g vo11 .!oh 13,6-10, ZNw 33 (1934) 259-27!. L'allusione a! battesi1no invece, secondo TEODORO DI MOPSUESTIA, /11 Eva11ge/iu111 Joa1111is Co111111e11tarìi, .frag111e11ta, PG LXVI, col. 771, è esclusa da Gesù stesso nel v. I O. 4 2.1 Cfr. f\1.É. BO!SMAnD, Le /ave111e111 des pieds (Jn 13, 1-17), RB 71 ( J 964) 524; J. ÙBEnSTE!NER, Kann die Fusswaschung die Jes11s (/Il den Aposte/11 vorge110111111e11 hai, als sacr(1111e11to/e Taqfe der J\poste/11 betracllfe! 1verdc11? KathKirchenZtgD, 73 (1933) l 16, vede il battesirno degli apostoli, è criticato però nello stesso 11u1nero eia A. WJMMER, Die "Lotio pedu111" als "Sakra111e11tafe Tuq/C der Apostc/", KathKirchenZtgD 73 (1933) 146. f\1a giù alla lavanda dei piedi co1ne batlesino degli apostoli aveva pensato TERTULLIANO, !Je Baptis1110 adl'e1:1·11s Q11i11ti!la111 /ibcr, cap. Xli, PL I, coli. 1321-1323. 42 ·1 Così W. BAUEH, op. cit., 172; J.E. BELSER, Das Ell(lllge!i11111 des hei/igen Johannes, Freiburg i.Br. 1905, 395; L. BOUYER, Le q11atrièn1e éFangi!e, Paris l 938, 19551, l 90. l 9 I; T!-1. CALMES, op. cii., l 31; 0. CULLMANN, Urchriste111111n 1111d Go!tesdienst, Zi.irich 1950; M. GOGUEL, Jésus et /es origines d11 Christia11is111e: III, /'ég!ise pri111itiFe, Paris 1950; M.D. GOULDER, J'l1e Liturgica/ Origin qf' St. John 's Gospel, StEv 7 (1982) 215.217 (205-221), as deliberately replacing Lhe institution of the Eucharist; A.J.B. HJGGJNS, The Lord's Supper in t!1e J\le1v Testa111e11t, SMC Press, London 1952, repr. 1954, 84; A. LOISY, Le q11atriè111e é1 a11gile, Paris 1921 2 , 383, acceua !a prospettiva eucaristica, ina è criticalo da M. LEPIN, U1 va!e11r historique du quatrièn1e évangile, I, Letouzey et ané, Paris 1910, 423-450, che vede nel gesto di Gesù un gesto di u1niltù con il retroscena di Le 22,26-28; \V.L. KNOX, John I 3, J-30, HarvTR 43 (1950) 161-163; G.1-I.E. MAC GREGOR, The E11charistie in the Fourth Gospel, NTSl 9 (1962-63) 111-119; W.S. REILLY, The Gospel according to St. John, in; C. Li\11-EY- J. KEi\TJNG, The Ne1v Testa111e11t, Il, London-Ne\V York-Toronto 1936, 72; E. RENi\N, Vie de Jés11s, L.f\1. Levy, Paris 1863 2, 401; J.N. SUGG!T, John 13,1-30. The Mystery r~f" the !11car11atio11 and of the E'ucharisf, Neotest 19 (1985) 67.68 (6470). 425 Crr. W. Koc1-1, Zur Einsetz.1111g des B1(/3sakra111e11t, TQ 130 ( ! 950) 296 31 O, in relazione soprattutto al v. l O, a cui però A. FR!Dl{lCl-ISEN, Be111erku11ge11 z.11r F11sswaschu11g Joh 13, ZN\V 38 (1939) 94-96, attribuisce solo il senso di una più generale purificazione; alla penitenza per i peccati dopo il battesi1no, riinanda, sulla 1


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Altri autori infine ammettono la possibilità di un duplice senso: accoglienza e servizio 427 ; umiltà e a1nore 428 ; lezione di umiltà e allusione al battesin10429 ; aspetto cristologico ed esen1pio da i1nitare430 ; purificazione spirituale e un1ile servizio4J 1; umiltà e segno 4-12 ; servizio scia di Cipriano, G. MALDONATO, Co111111e111arii in quatuor Evangelistas, Il, ed. J.M.Raich, Moguntiae 1874, 842. 426 Cfr. E. LOHMEYER, Die Fusswaschung, ZN\V 38 (1939) 79-94. 427 J. BECKER, Dos /_<,'11angeli11111 nach Johannes, I!, Glilersloll et Wlirzburg 1981, 421; X. LEON-DUFOUR, Lecture de /'évangile se/011 Jean, III. Les adieux du Seig11eur (chapitrcs 13-!7), du Scuil, Paris 1993, 28.29: azione ospitale co1npiura però da uno schiavo. 428 Cfr. M.J. LACìRANGE, op. cit., 348.349; R.A. WIMMER, op. cit., 147, Gesù volle dare un ese1npio di quella uini!tà e a1norc che aveva nel cuore. 429 Cfr. AMBROG!O, De J\!/ysferiis VI, 31-33, PL XVI, co!. 398; anche Id. De Sacra111e11tis, Lib Ili, e.i, PL XVI, col. 43~.433; W. BARCLAY, The Gospel of S1. John, II, Philadelphia 19561, 164.165; M.E. BOISJVIAHD, Le lave111e111 des pieds (Jn 13,1-17), RB 7! (1964) 5-24, prefigura il baltesin10 (v.5) ed è un ese1npio di un1iltà e soprattullo di rnnorc (vv.12-15); E. MALATESTA, En!raide .fì·aternelle par la co1111111111io11 aFec Jés11s, Christ 23 (1976) 216 (209-223). 43u Cfr. J. BECJ<EJ{, [)r1s Evangeli11n1 nach Johannes, Il, Gi.ilersloh et \Vi.irzburg 1981, 423-425, aspetto salvifico (vv.4-9)-cscmpio da iinitarc (vv.!2-15); R.J. BEUTLER, Die ff e;/sbedeut1111g des Todes Jesu iln Joha1111eseva11geli11111 nach l 3, l -20, in: K. KElrrELGE (Hrg), J)er Tod .lesu, Hcrder, Freiburg-Basel-Wien, 1982", il pri1no aspetto è nei vv.2-11 (pp. 192-200): pur senza escludere una allusione baltesin1nle, la lavanda dci piedi presenta la 1norle di Gesù che rende possibile la salvezza. Il secondo aspe!Lo è nei vv.12-20 e presenta la lavanda elci piedi con1c espressione di an1ore e perciò co1ne n1odello per i discepoli eia in1itare; R. KYSAR, op. cit., 208; G. RICHTEH, Die F11ss11Y1schu11g Joh l 3, 1-20, MliTL 16 ( 1965) 13-26; J-1. THYEN, .loha1111es 13 und die "Kirchlischc Redaction" des vier!en Eva11geliu111s, in AA.VV., Tradition 1111d Glaube. Das .friihe Christe11t11111 in seiner U111wc!t, fOr K.G. Kuhn, Gi)ttingcn 197 l, 350 (343-356). ~JI AGOSTINO, In Joa1111is Eva11geli11111 Trac! LV, PLXXXV, co!. 1787, la lavanda dei piedi denota l'ufficio dcl servo, n1a anche !a purificazione dopo il battcsi1110; così anche BEDA YEN, op. cir., col. 800; R. BULT/v!ANN, D(/s 81 angeli11111 des .lohannes, Gtittingcn 1978" 0 ; purificazione 1neclian1c la parola (p. 360), esen1pio cli servizio (p. 361 ); O.A. CAHSON, The Gospel according lo .fohn, Grand Rapids 1991, 458, si1nbolo della puriricazione spirituale (vv.8-l l) ed esempio di u1nilc servizio (vv.12-17). Lavando i piedi (cfr. p. 463), Gesù mostrò di essere uno che serve; W.L. KNOX, .fohn 13,1-30, HarvTR 43 (1950) 161-163, dopo avere notalo il "caos"(!) nella narn1zionc dcl c.13, nota che nei vv.6-11 si esprin1e la necessilh della purificazione dci peccali che non conducono alla 1norte pri1na cli accedere alla Eucaristia, richia1nata dalla lavanda dei piedi; nei vv.12ss la lavanda dei piedi appare invece co1ne ese1npio cli u1nillh e cli un1i!e servizio; M.J. LAGRANGI~, op. cit., 348.349, segue An1brogio, Bernardo e Origcnc; 1-1. STnATHMANN, J)as E11a11geli11111 nach Joha1111es, GOttingcn 1968w, trad. it., li vangelo secondo Giovanni, Brescia 1973, 325, rncntrc si csprin1c l'alienazione che Gesù fa di se srcsso, fino a con1picrc il servizio cli uno schiavo non 1


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ed esemp10 di servizio'''; aspetto cristologico e umiltà'04 ; atto di sacramentale comunione con Gesù e esempio morale435 ; senso cristologico con valore sacran1entale436 ; altri autori propongono altri aspetti più articolati 437 • Quanto alla azione di Gesù di lavare i piedi, abbiamo notato la difficoltà a ricollegarla a qualcuno degli episodi analoghi dell'AT 438 . Si

israelita, si esprin1c anche la costante purific<izionc dci discepoli che avviene nell'Eucaristia; TH. ZAHN, !Jas EJ1a11ge/ho11 des Johannes, Leipzig l 92 ! -"- 1', ri st. WupperLal 1983, il servizio che il servo o la serva rende all'ospite del suo signore (p. 527), 1na è anche la purificazione di cui si ha scn1prc bisogno nella vita (p. 530). 4:i2 Cfr. C.H. DODD, op. cii., 480, la lavanda dei piedi esprin1c u1ni!tù cd è segno dell'incarnazione; è pure un n1czzo offerto ai discepoli per avere parte con Gesù. ·l.U Cfr. R.C.H. LENSKl, The !11te1pretatio11 o.I "ù. Joh11'.1· Gospel, Colu1nbus.Ohio 1942, 908; A. SCHLATTER, /)er liFangelist Joha1111es, Stutlgart 1930, 281, cita l\1ekh a Es 21,!, !'csc1npio dclls rnadrc dcl Rabbì a! quale, al ritorno dalla sinagoga vuole lavargli i piedi, in segno di onore, n1a questi !o i1npedisce; S. SCHULZ, !Jas H\'ange!iu111 nach Joha1111es, Gi.ittingcn 1978 12 , 171, servizio offerto da Gesù ai suoi (nei vv. 4.5.6-11), è un ese1npio di servizio per i discepoli (nei vv.12-20) . .JJ-l Cfr. F.F. SEGOYIA, Joh11 13,1-20.The Footwashing in the .!oha1111i11e Trodition, ZN\V 73 (1982) 32-34 (31-51), la lavanda dci piedi è un sen1eio11 della polcnza e della glorificazione di Gesli (vv. I a.Sa- I Oa. J Ob-11 ), nell'aggiunta (vv. l b4.12-17.18-20) diventa sito cli a1nore ed esen1pio di un1ile servizio; J.N. SUGGIT, John 13,1-30. The A1.vstcry of the lncarnation and r~f fhe Eucharist, Ncotcst 19 (1985) 67.68 (64-70), l'azione 111ostra I' un1ile servizio cli Gesli e la condiscedcnza alla parola cli Dio nell'incarnazione e nel dono cli sè alla croce. 4.\ 5 Cfr. J. WELLHAUSEN, Das Evange/i11111 loha1111is, Berlin 1908, 59, il senso dì atto sacrn1nentale di con1unionc con Gesù è nel v.5, i! senso di ese1npio rnoralc è nel V.! 2 . .JJfi Cfr. C.K. BARRETT, op. cii., 436, il senso batlesin1ale cd eUC<lristieo però è solo secondario; W. BAUER, op. cit., 172, il senso profondo è nella n1orlc di Gesù, suprcn1a opcrn di a1nore, il cui sangue purifica nel ba1Lesin10 e nel banchetto cucrn·istico. 4 .l7 Cfr. G. l\1AIER, Joha11eseva11geli11111, li, Ncuhausen-Stuttgart 1986, 71, propone tre aspelli sul fondan1ento della purificazione (v.10): il ri1nando alla croce dove i! sangue cli Crislo purifica tulti i peccati - la purificazione quotidinna inlcrsca1nbiabilc per i discepoli - il servizio cli Gesi:J reso alla croce; F. MussNER, /)ie F11s.1·waschu11g (Joh 13,1-17), GL31(l958) 28-30 (25-30), propone pure tre sensi: esen1pio di u1ni1L{i - esigenza non cli un nuovo battesi1no, 1na cli una seconda penitenza per i peccati dopo il battcsin10 - segno dcl profondo servizio cli Gesl1 1necliante la passione e la 1nortc. ,'" Cfr. Gcn 18,4; 19,2; 24,32; 43,24; Gdc 19,21; I Sam 25,41; 2Sam I 1,8;

Tb 6,2.


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49

può però notare che in diversi testi i piedi si ricollegano'" o evocano il cammino""· Qualche volta si parla anche di un intervento di Dio sui piedi, 1na nel senso del conferimento di una capacità a camminare 4 ~ 1 . Ma il testo che può offrire una chiave di interpretazione all'azione di Gesù nel nostro testo è ancora Ez 36, dove Dio, per mezzo del profeta (v.26), annunzia che effonderà acqua pura e il popolo sarà purificato·1·12 da tutte le sue sozzure'1-0 e da tutti i suoi idoli. Subito dopo si annunzia la sostituzione del cuore: quello di pietra è sostituito da un cuore di carne"'. Infine (v.27) si annunzia il dono dello Spirito'·", finalizzato però ad uno scopo'", che il popolo cammini negli statuti e osservi e faccia i precetti di Dio-1-17 • Il testo di Ezechiele non è distano rispetto al nostro testo e può costituire bene la base su cui l'autore giovanneo costruì la sua scena. Gli elementi di relazione"" non mancano; oltre a quelli appena sopra

419 Gcn 19,1; 2Sam 15,16; Tb li.IO (S); Gb 31,5; Sai 36(35).11; 115,7(113,15); 122(121),2; Pr 1,15; 4,26.27; 5,5; 6,18; 25,17; Qo 4,17; Ab 3,19; ls 41,3; 59,7; Gcr 2.25; 14,10; IMac 5,48. ,,.,,, DI 8,4; 11,24; 29,5; Gs 1.3; 3, 13; 4,9.18; 2Sam 2, 16.18; 2Re 6,32; 21 ,8; 2Cr 33,8; Ne 9,21; Gb 29,15; 31,7; 33,11; Sai 13(14),3; 72(73),2; 91(90),12; 94(93),18; 116(114).8; 119(118),59.101.105; 121(120),3; Pr 3,26; 7,11; Sir 40,25; Na 2,1; ls 52,7. ci-!l Cfr. 2San1 22,34: "rende i miei piec!i con1c quelli delle cerve"; inoltre Sai

! 8( l 7),33; Ab 3, 19; testi di uguale senso, n1a letterarian1enle diversi nei LXX. 1 12 •-

Cl'r. v.25: fJ5f.up Ka0ap6v,

KaBapta0rjaEa8E, KaBapu;J; cfr. il tcnnine

1meapd<; in Gv 13,10.10.11; 15.3. 443

Cfr. v.25: rWv d1<a8apatWv.

444

Bcnchè incnzionata tra il dono dell'acqua e dello Spirito, la sostituzione dcl cuore non è legata direttarncntc ad uno scopo; diversainentc da Ger 3!,33, dove il cuore è la sede dove Dio scriverà la sua legge. Nern1neno in Giovanni, benchè Kap3{a sì legga 7 volte, la nozione di cuore assun1e particolare in1portanza; diversa1nentc invece in Paolo (cfr. Rin, 5,5; Ef 3, 17). "·

15

rO rrvEVµa Bc/Jcrù! lv Vµlv; cfr. Gv 19,20: rrapÉBWKEV rò rrvEVµa.

446

Cfr. in Ez 36,27 (LXX) l'espressione Kal rrocf;aDJ che esprin1c successione e consegucnzialiU1. 17 <1Cfr. in Ez 36,27 (LXX) la successione dci Lre verbi dipendenti dall'unico rroL rjaN: rropEVryaOE-<f vÀd (rycrBé-TTOl rjaryTé ( ca1n n1i narc-osservare-frirc ). 448 Prescindo da un confronto più mnpio tra E7.echiele e Giovanni. Cfr. l'allusione al te1npio di Ezechiele, in particolare a Ez 47, in Gv 7,37-39 e anche in

19,33.34.


Attilio Gangemi

50

indicati 4•19 , si può notare anche la relazione acqua+Spirito·1so presente in Giovanni; inoltre il verbo rropd10µm di Ez 36,27 (LXX) può richiamare bene la nozione di piedi nel nostro testo. Giovanni però, se allude ad Ezechiele, non ne ricalca pedissequamente il testo, ma vi apporta delle differcnze45 '. In Ezechiele Acqua e Spirito sono relazionati, e ad ognuno il testo profetico assegna una propria funzione. La funzione dell'acqua è negativa, cli liberazione: purificare cioè dalle proprie sozzure e dai propri idoli; la funzione dello Spirito è positiva: rendere possibile un cammino nei precetti del Signore. Il nostro evangelista non parla di purificazione, la presuppone previa alla lavanda dei piedi (cfr. 13, IO. I 0.11 ), determinala dalla parola di Gesù ( 15,3). Attribuisce poi all'acqua una funzione: lavare i pielli. Analogan1ente l'acqua in Giovanni è relazionata allo Spirito, il quale, in Ezechiele, ha il compito di far canuninare nei co1nandan1enti del Signore. Data questa relazione, è facile ricostruire la scena giovannea sullo schema di Ezechiele. In Ezechiele sia l'acqua che lo Spirito sono dati da Dio, in Giovanni acqua e Spirito sono donati da Gesù~-'i 2 • La relazione tra acqua e Spirito in Ezechiele non è precisata 15 \ in Giovanni acqua e Spirito si identificano, in relazione di si1nb0Jo<1 54 e

<1 49 1511 •

Cfr. note 407 e 41 O. 13enchè eia questa relazione non debbano essere esclusi altri testi carne il:

12, I O; 13, I.

<1 51

Le differenze confennano l'allusione. Cfr. anche 7,37-39 e 19,30.34, dove i due elen1enti, enlrainbi donali da Gesù, sono descritti in 1nodo inverso: 7 ,37-39: 1. fiumi di acqua viva 2. disse dello Spiri/o 19,30: 3. diede lo SìJirito 19 ,34: 4. uscì sangue e acqua 45 ·' Ci si può chiedere anzi se in Ezechiele-ebraico !'espressione "porrò il 111io Spirito dentro di voi", sia originale o un mnplian1ento sull'espressione precedente: "uno spirito nuovo porrò dentro di voi", riferito, in rel<1zione al cuore, non allo Spirito di Dio 111a a quello dell'uo1no. Ma questo proble1na critico non interessa alln rilellura giovannea ciel profeta. 454 In questa identificazione può avere influito la rirlessione ecclesialesacr<lrnentale. Così alrneno pare suggerire Gv 3,5. 452


La lavanda dei piedi

51

realtà: lo Spirito aJTiva al credente come acqua da bere''" e, nel nostro testo, come acqua che lava i piedi456 , Infine il testo di Ezechiele non precisa la relazione tra il dono dello Spirito e la capacità a camminare nei comandamenti del Signore457 , Giovanni, nel piano dell'immagine, completa presentando Gesù che, dopo avere versato acqua, compie l'azione di lavare i piedi. Alla luce del testo di Ezechiele, ritengo che l'azione di Gesù di lavare i piedi esprima l'abilitazione dei discepoli a compiere un cammino. I piedi, come si è detto, sono l'organo del can1111ino e talora anche nell'AT lo evocano. Lavando i piedi, Gesù appunto li abilita a questo cammino. L'in11nagine in se stessa di lavare i piedi, nella sua intrinseca econo1nia, non evoca di per sè l'abilitazione positiva a un cam1nino, bensì la liberazione positiva di tutto ciò che ha sporcato e incrostato"', e di fatti nei testi dell'AT essa è compiuta dopo un cammino e prima di mettersi a tavola. In Giovanni l'aspetto della purificazione potrebbe essere evocato dall'i1nmagine in se stessa di lavare i piedi e non sarebbe in contrasto con l'interpretazione simbolica fin qua data alle azioni di Gesù. Esso pare escluso però da tre elementi: la prospettiva pasquale di un passaggio che riporta meglio all'aspetto del cammino che non a quello della purificazione, il fatto che l'evangelista

455

Crr. Gv 4,7-15 e anche 7,37~39 .

Ma anche con1e f1cqua nella quale ci si i111n1crge (cfr. 5, !-9) o ci si lava (cfr. 9,6.7). Quest'acqua deve diventare vino (cfr. 2,9: rO V8Np olvov yéyévT}µÉvov .isr,

€rro[ryuEv TÒ V8tup olvov). 457 Tale capacitù si spiega 1neglio se la ricollcghiarno non all'espressione "il 1nio Spirito ponù dentro di voi" n1a all'espressione precedente "darò a voi un cuore nuovo e uno Spirito nuovo porrò dentro di voi'', ainpliata dall'espressione negativa seguente: "toglierò un cuore di pietra dalla vostra carne e darò a voi un cuore di carne". Dio abilita a ca1nrninare nei suoi precetti operando una lrasforrnazione interiore. Ma, ripctirnno, questi problen1i critici non entrano nella letturn che dell' AT 1~1 il NT. In pnrLicolare u Giovanni si offre un testo che stabilisce 111a che non spiega una relazione tra il dono dello Spirito di Dio ("porrò i! 1nio Spirito ... ") e la capacitù '-1 ca1n111inare nei suoi co1nandan1enti. 458 Questo aspctlo negativo di liben17,ione ha appunto l'acqua in Ezechiele.


52

Attilio Gangemi

esplicitamente sgancia la lavanda dei piedi dalla purificazione'159 , il fatto che tale azione è compiuta non prima del banchetto come sarebbe stato più naturale, ma durante. Si può aggiungere infine anche il fatto che l'azione più importante di Gesù non pare essere quella di lavare i piedi, bensì quella di asciugare·160 e non solo asciugare, 1na asciugare con il ÀÉVTLOV, e non solo con il ÀÉVTLOV, ma con il ÀÉVTLOV lli cui era cinto. Se il senso della lavanda dei piedi come abilitazione ad un cammino è meno coerente dal punto di vista dell'immagine in se stessa e della sua dinamica interna, lo è molto dal punto di vista del suo significato simbolico. Se l'acqua rimanda allo Spirito e i piedi evocano l'aspetto del cammino, la conclusione pare logica: mediante lo Spirito Gesù opera sui piedi dci discepoli'' 61 , li rende idonei a camminare. Tale senso concorda con il testo di Ez 36,24ss, concorda con la prospettiva globale in cui l'evangelista colloca l'azione di Gesù, il

passaggio pasquale (µaa(Jfl),

concorda

col

la

prospettiva

del

banchetto colto nel suo divenire (y1voµÉvov), concorda, come vedremo, con lo sviluppo seguente del c.13, soprattutto la vicenda di Pietro, concorda con la prospettiva più ampia del vangelo. Siamo nella prospettiva dell'imminenza di pasqua e Gesù deve operare un passaggio da questo mondo al Padre. Non lo opera da solo però, bensì con i suoi che nel 111011clo; pri1na però dere renderli capaci

459 In 13,10 il 1caeap65' sLa in rcl<izione ali' O ÀEÀovµÉvoS' (si noli i! can1bia1nento verbale) che ha bisogno solo che gli si invino i piedi. La particella d)..).d (111a

è puro lutto) pare non includere nella accezione di

Ka8ap6s-

la lavanda dci

piedi, n1a lin1ita solo a 6 ÀéÀovµÉvo5' . .ic,n Almeno le due azioni appaiono con1ple1nenlari. Nella pri1na l'cvnngelisla n1enziona l'oggetto della cosa (i piedi) e l'oggetto della persona (i discepoli), nella seconda 1nenziona lo stru1nento (ÀÉVTlov) e la sua caratteristica (di cui era cinto). Le due azioni cli la1'(1re e asciugare appaiono così co1ne due parli di un LuHo: la prin1a deve sfociare nella seconda, che si rivela il culn1ine di tutto. 461 Da! n101ncnto che l'irn1nagine usata è quella dcll'acqun, è nalun1lc che l'azione sui piedi sia dcscrittn con1c un lavare.


La lavanda dei piedi

53

di operare questo passaggio462 . Per questo lava loro i piedi. L'azione avviene mentre si svolge il banchetto: ciò suggerisce che il cammino al quale Gesù abilita i discepoli coincide con il divenire del banchetto. Se la lavanda dei piedi è l'abilitazione ad un ca1n1nino, einerge subito la duplice domanda: dove giunge questo cammino? In che cosa esso consiste? Alla prima domanda Ezechiele risponderebbe che esso giunge alla terra che Dio diede ai padri (Ez 36,28ss) dalla quale Israele era stato disperso; alla seconda lo stesso profeta risponde che esso consiste nell'osservanza dei precetti del Signore (v.27)' 61 . Il nostro testo di Giovanni insinua una risposta 1nolto più an1pia alla prima domanda: il cammino conduce al Padre, e infatti il passaggio di Gesù è appunto da questo mondo al Padre. Non dice nulla sulla seconda do1nanda, in che cosa esso consista. Bisogna dedurlo da altrove. Prima però è indispensabile considerare la seguente azione di Gesù: asciugare con il ÀÉVTtov dì cui era cinto. L'espressione Él<µauuéLV Tr;J AévTlifJ

i/J

i'Jv 31é(wuµÉVOS" sta 1n

stretta relazione alla precedente viTTTéLV rnùo; rr63ao; Twv µa!Ji)Twv, non solo perchè entrambe dipendono dall'unico verbo !jp(arn di cui sono oggetto, ma anche perchè presentano un certo parallelismo che si

62

In altra prospettiva questo aspetto torna in Es 12,11: è la pasqua del Signore e bisogna 1nangiare in assetto di viaggio con i fianchi cinti (rr€pt€(UJa11€vaL) e i c<ilzari ni piedi. Se l'evangelista allude ad Es 12, 11 (cfr. la n1enzionc della }Jasqua riferita prì1na cli tutto a Gesl1: aVroV i] Wpa), sn1e1nbra le due caratteristiche dei "

fianchi cinti e dei calzari ai piedi. La prin1a è riferita a Gesù ( cfr. 7TEpLE(waµ€vaL Bti(waEv), la seconda (i piedi), con altra in1rnagine, ai discepoli,

non senza J;:i causa!iti1 di Gesù (fal'are). 46 -' Ernerge così uns triade in Ezechiele, n1olto coerente con la prospettiva giovannea che stiaino tentando di evidenziare: il clono dello Spirito - il can11nino nei con1andainenti - i! Lcnnine ciel cannnino nella Lcrra dei padri. Can11nioarc nei co1nanclmnenti cli Dio è un tenia che c1nerge allrove nell' AT: Es 16,4; J 8,20; 26,3; Dt 8,6; 10,12; 11,22; 13,6; 19,9; 28,9; 30.16; Gs 22,5; Gdc 2,22; IRe 2,3; 3,14; 6,25.36.58.61; 9,4; 11,33.38; 2Re 21,33; 23,3; 2Cr 6,27; 7,17; 34,31; Sai 32(31).8; 78(77),10; 86(85),11; 119(118),1.3; 128(127),1; 143(142),8; ls 2,5; 38.3; 42.24; Ger 7,23; 42(40),3; Bnr 3,13; Ez 5.6; 18,17; 20,13; 20.19.21; 37,24; Os 14,9; Mi 4,5; 6,8.


Attilio Gangemi

54

risolve in complementarietà. Al verbo v[TTTW sta in relazione il verbo

é<µdorrw.

6. 7. E asciugare con l'asciugatoio (/i cui era ein lo ( ÉKµdaaELV Tip À€Vrl4J

{fi

~v OLE(wuµÉvo<;)

Questa espressione sta in stretta relazione alla precedente VlTTTELV

rnÙ<;

TT0005'

µa()ryrwv non

rwv

solo perchè entrambe

dipendono dall'unico verbo Tfp/;arn di cm sono oggetto, ma anche pcrchè presentano un certo parallelis1no464 , che s1 risolve 111 complementarietà465 • Al 466

verbo v[TTTW

sta in

relazione

il verbo

Come già ho notato, esso non è specifico, nè di questi testi: si legge infatti anche in Gv 11,2 e 12,3"'7 , nè del vangelo di Giovanni: si legge infatti anche in Le 7 ,38.44 46'. li suo significato immediato è écµ6.uuw

464 Entran1bc sono

coslituile

da un

infinito

seguito

da due e!cn1cnti,

rispettivan1ente l'oggetto della cosa (ToÙ;; rr68a:;) e della persona (TWv µa817Tr;Jv), e

il dativo di n1czzo (T0 8lE(waµ€vo5').

ÀéVTÙ;J)

seguito da una proposizione

rei<Hiva ((/J

ijv

465 Ogni espressione ha ele1nenli diversi. Si può notare invece co1ne in I J ,2 e 12,3 i due verbi dÀEÙfw ed Elfµdar5w hanno cntrainbi l'oggetto; in 12,3 addirittura è ripetuto due volte l'oggelto To/s rr68a5'. In l 1,2 i due oggetti sono Tbv KVplOVTOVS' rr68a5'. 4 <,fi I due verbi sono correlativi, 1na non reciprocamente necessari. Il verbo ÉKµdaaUJ infatti sta in relazione a J3PÉXUJ in Le 7 ,38 3 7 ,44, e n dAclcj;UJ in I J ,2 e

12,3. 167 ' Esso in l 1,2 e 12,3 indica la seconda azione di Mnria nei confronti di Gesù nella cosiddetta unzione di Betania. 468 L'azione della donna verso Gesù in casa di Simone il fariseo (7,38) e l'evocazione dell'azione da parte di Gesl1 in tono di ri1nprovero verso il fariseo (Le 7,44). Prescindo pure dal confronto con questi lesti, che si stabilisce 1ncglio con l'azione di Maria (Gv I 2,2ss). Il testo di Gv l 3,5 presenta però u1u1 certa singolare analogia strullura!e con Le

7,38: Le 7,38

co111inciò

Gv 13,5

co111inciò


55

La lavanda dei pietU

quello di asciugare, detergere 469 • Nè il senso i1nn1ediato, nè i suoi usi rivelano nulla che orienti verso un eventuale senso più profondo. Se esso c'è, deve emergere dagli altri elementi del testo 4711 • Non senza una certa enfasi, l'autore nel v.5 riprende due elementi del v.4: il termine Mvnov e il verbo 8w(r.Jwvµ1 41 '. L'enfasi n1aggiore

pare

8w(r.Jwvµ1

471 .

stia

non

sul

termine

1\ÉvTtov

1na

su 1 verbo

L'enfasi di questi due elementi si estende a tutta l'azione

47 '.

di asciugare I quattro elementi che compongono la frase, s1 possono strutturare secondo uno schema concentrico 47 '1• Al centro ci sta la duplice menzione del ÀÉvnov

475

I. a lavare 2. i piedi di lui 3. e con i capelli del capo 4. asci11ga1 a 1

,

alle estremità i due verbi·"'·

I. a lavare 2. i piedi dci discepoli 3. e {/d asciugare 4. con l'asciugatoio

469 Così !lnchc nei soli tre testi in tutto l' AT greco (Sir !2,J I; EpGer 11.23). 47 Che può cincrgere diverso da I 1,2 e 12,3 data la diversa dina1nicn e i cli versi

°

clcn1cnli in questi testi. '171 L'enfasi del tennine A€vTLOV è detenninata dall'articolo che però dn solo potrebbe essere nonnale, n1a soprattutto dal prono1nc relativo if; che introduce la 1nenzione della sua posizione nei confronti di Gesù. 472 Tre elementi conferiscono 1naggiore enfasi al verbo 8La(u5vvvµL: il fatto stesso che è introdotto, non era necessario nell'ccono1nia della descrizione di una azione esterna, dove era sufficiente una frase più breve e pili scorrevole del tipo "co1ninciò a lavare e sd asciugare con l'asciugatoio i piedi dci discepoli". Inoltre la sua posizione finale. Infine la tOnna perifrastica stativa con il participio perfetto passivo, qum1titalivan1ente anche più lunga . ..in Tutta la frase, nel succedersi di un infinito, un dativo di 1nezzo, un pronon1e relalivo e una proposizione perifrastica, si rivela inolto pesante e priva della scorrevolezza che ha caratterizzato il testo precedente. Il lellore è costretto ad indugiare su ogni clcn1ento, evidenziandone così l'enfasi . ..i1..i I. ÉKµdcrcrélV 2. T4J ÀéVTÙfJ

3. if) 4. i]v 8Lé(rvcr11€1/0S' ..i 75

Il sostantivo (Tr\! ÀéVTÙp) e il prono1ne relativo (q}).

476

L'infinito (ÉKµdcrcrétv) e la perifraslica (i]v 8Lé(lucrµ€vos-).


Attilio Gangemi

56

In questo modo si determina una duplice relazione del ,\Évnov, determinata attraverso i due verbi écµauuELv e i'jv

8LE{wuµÉvo5'.

Entrambi i verbi hanno come soggetto Gesù. Il primo verbo écµau<JELV è attivo e Gesù è soggetto attivo: il verbo presuppone un oggetto che nel caso specifico sono i piedi dei discepoli. Il verbo i'jv 81E{wuµÉv05' è passivo: Gesù è soggetto passivo e insieme oggetto logico dell'azione di cingere del Mvnov. L'espressione può essere letta sia dal punto di vista di Gesù che dal punto di vista del Mvnov. Dal punto di vista di Gesù, egli è soggetto attivo del verbo hcµduuw nel senso che con il ÀÉvnov compie una azione, è soggetto passivo di i'jv 8i€{rvuµÉv05' nel senso che dal riceve una azione. Dal punto di vista del ÀÉVTW//, esso al contrario è receltivo della azione di Gesù di asciugare, è agente attivo dell'azione verso Gesù di cingere. A questo punto ritengo di potere cogliere l'aspetto preciso del Mvnov

verbo écµauuw. La sua relazione al verbo i'jv 8'€{wuµÉv05', la sua relazione al

ÀÉVTLOV

i'j// 8LE{wuµÉv05'

e la condivisione di questa relazione con il verbo

suggeriscono di dare ad bcµauuELv la stessa dinamica

dell'altro verbo. Il verbo 8iE{ùJ<JµÉl-'05' implica l'accoglienza e il contenimento di un oggetto. Così anche il verbo écµau<J€L//; ciò corrisponde all'immagine evocata dallo stesso verbo éxµau<JELV e da ÌlÉVTLov:

una stoffa qualsiasi, usata per asciugare, accoglie, e quasi

contiene in sè, l'oggetto. Così il ÀÉVTW// ha una duplice funzione analoga: da una parte accoglie e contiene l'oggetto che, 1nediante razione di asciugare, i piedi cioè, Gesù gli affida, dall'altra accoglie e contiene Gesù stesso. Tenendo conto di questa duplice relazione del Mvnov e del soggetto e oggetto sottintesi, si può cogliere nell'espressione tutto un dinan1ismo progressivo che parte da Gesù e culn1ina a Gesù passando attraverso il

ÀÉJ/TLov.

Gesù asciuga i piedi con il

ÀÉVTLOV,

quasi li


La lavanda dei piedi

57

affida ad esso e il Mvnov li avvolge; questo poi avvolge Gesù, anzi da Gesù è assunto e di esso egli si cinge. Focalizzata così l'immagine, possiamo rileggere la frase tentando anche di evidenziarne il senso più profondo. Il punto di partenza è ancora il ÀÉvnov che torna dopo due frasi e stabilisce una relazione con l'espressione del v.4 477 • Per interpretare l'immagine del ÀÉVTLov nel v.4, mi sono riferito alla scena di 19,25-27 ed ho concluso che esso è una immagine, parallela al XLTWV, dell'unità ecclesiale di cui Gesù, dopo avere preso le vesti, si è cinto. Ritengo che la nostra espressione del v .Se possa essere interpretata tornando ancora a 19,25-27 e da lì di nuovo ripartendo. Se 1' i1nmagine evocata dall1espressione E1(µdacr€LV T(/J AÉvTlltJ,

quella di un affidamento dei piedi dei discepoli al Mvnov da parte di Gesù e quella dell'accoglienza e del contenimento in sè dei piedi da parte del ÀÉvnov, è esatta, si richiama subito la scena dell'affidamento dcl discepolo alla madre e del dono della madre al discepolo. Come precedentemente ho notato, la scena di Gv 19,25-27 comprende due parti, determinate dalle particelle BÉ ... oÙJ.' e dalla duplice ripetizione del nome 'fl)o-ovs-: il v.25 che staticamente descrive la pluralità delle donne presso la croce di Gesù, quasi compendiate dalla figura della madre che fa da sfondo assieme a Gesù a tutta la scena, e i vv.26.27 dove dinamicamente Gesù propone alla madre il discepolo come figlio e al discepolo la donna come madre. TI movimento di questa seconda parte è bilaterale, presieduto da Gesù: dalla madre al discepolo e dal discepolo alla madre. Le due parli, oltre che da Gesù, sono legate dalla figura della madre.

477

Si cletern1ina anche una certa relazione concentrica:

!.

ÀÉVTlOV

(v.4)

2. vLrrrijpa (v.5a)

3. 4.

virrTElV

ÀÉVTlOV

(v.Sb)

(v.5c)


Attilio Gangemi

58

Nella pnma parte (v.25) il soggetto sono le donne, la cui posizione statica è relazionata alla croce di Gesù. Voltando l'immagine, Gesù appare come il soggetto passivo della posizione statica delle donne che gravita attorno alla sua croce. Il grafico di questa descrizione corrisponde bene a quello Mvnov del v.4 che cinge Gesù: il ÀÉvnov cinge Gesù, ma Gesù di esso è cinto"'. Nella seconda parte (vv.26-27), il soggetto attivo è Gesù"'' che affida alla madre il discepolo e che dona al discepolo la madre. Queste due parti corrispondono bene alla duplice relazione del Mvnov, che accoglie ciò che Gesù affida e cinge Gesù""· Si può

stabilire la seguente relazione:

I . hµrimY€LV Ti/! Mvnif!:

donna, ecco tuo figlio

stavano presso la croce di Gcsù 481 • 2. l)v i51€(WCIµÉv05': Possiamo così concludere che nell'azione di asciugare con il ÀÉvnov, simbolicamente Gesù affida i discepoli alla chiesa madre, alla con1unità ecclesiale di cui è cinto. Ma l'espressione di Gv 13,5 permette due letture, sintattica e

struttura/e. Dal punto di vista sintattico, il verbo i)v i5u'(WCIµ(y05' esprin1e una situazione anteriore all'azione espressa dal verbo Él<µétua€tv: Gesù era cinto del ÀÉvrtov e con

esso con1inciò ad

.in Non bisogna però diincnticare la relazione a suo tcn1po stabilila lra !:1 scena di 19,25-27 con !a precedenle, la tunica (19,23.24) e ];_1 seguente, il dono dello Spirito ( 19,28-30). 479 Nel v.27b il soggetto è il discepolo, ina ciò non interessa al nostro confronto. 480 Eincrge però una dirfcrcnza: in 19,25-27 il n1ovi1ncnto è bilaterale, il discepolo alla n1aùrc e viceversa; nel nostro testo è unilaterale, i piedi dci discepoli slTidati al ÀÉVTlOV. ~ 81 Oppure anche in rnodo più strutturale; J 3,5: J. f-l(µdua"élV

2. i}v 8tE{waµÉvo:;-

19,25-27.

3. Eiun}KElUGV TTapà 4. donna, ecco tuo .figlio

Tlp UTaupcp


La Lavanda dei piedi

59

ascmgare. Dal punto di vista strutturale, il verbo ryv 81E(WCIµÉV05', posto alla fine, esprime un ulteriore progresso. Questo duplice modo di lettura corri.,ponde ad un duplice modo di lettura con cui è possibile leggere le due parti della scena di 19,2527, progressivo e inverso. Il modo progressivo, che corrisponde alla lettura sintattica della nostra espressione, rivela una prospettiva più esplicita, il secondo modo, inverso, che corrisponde alla lettura strutturale della nostra espressione, rivela una prospettiva implicita, sottintesa quasi tra le righe. Nella lettura discendente, la comunità ecclesiale attorno a Gesù è già radunata e Gesù è cinto del Mvnov: in questa comunità, attraverso la sua relazione alla madre, il discepolo si insensce. Questo è anche il senso della nostra espressione sintatticamente letta nel suo aspetto più profondo, oltre che simbolico. Nella lettura ascendente si suggerisce che la comunità ecclesiale attorno a Gesù sarà co1npleta quando sarà pienan1ente costituita, quando cioè la madre di Gesù diventa madre del discepolo. Questo pare il senso della nostra espressione letta strutturlllnzente: alla comunità messianica, simboleggiata dal Mvnov, Gesù affida simbolicamente, mediante l'azione di asciugare, i discepoli. Simile co1nunità pienamente costituita Gesù assume e definìtivan1ente'182 se ne cmge. I due modi di lettura appaiono non antitetici, ma complementari: la comunità ecclesiale, simboleggiata dal Mvnov, ha due momenti, uno previo e uno conseguente: essa è già costituita attorno a Gesù quando egli le affida i discepoli (movimento previo), ma essa, con i discepoli da Gesù affidati, perviene alla sua pienezza (111on1ento conseg ue!lte ) 48-'.

482

Cfr. la rorn1a al perretto 8l€(waµÉV05'. Questa stessa prospettiva, in diversa 1naniera espressiva appare anche nell'itnrnagine della rete in 21, ! I. A riguardo però cfr. il in io studio I racconli poslpasqun!i, lii, Galatea, Acireale 1993, 284-343. 18 1 ' ·


Attilio Gangemi

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6.8. li cammino dei discepoli Abbian10 caratterizzato l'azione di lavare i pietli co1ne abilitazione ad un ca1nmino e l'azione di asciugare con1c l'affidamento alla con1unità n1cssianica. In questo senso le due azioni appaiono rispettivan1ente co1ne la condizione previa di un ca1111nino e co1ne il cuhnine del can11nino. Si desidera il ca1nn1ino in se stesso che nel nostro testo, aln1eno esplicitan1ente, non è menzionato, ma che tuttavia non è difficile ricostruire alla luce di tutto il vangelo. Di un cammino dei discepoli si parla diverse volte nel vangelo di Giovanni 48 ·1• Alcuni testi sono più importanti 485 , 1na esso va ricercato e ricostruito in relazione e dopo l'azione di Gesù di lavare i piedi.

4

K-1 Con il verbo rrEptrrarlw (8,12; 11,9.10; 12,35.35); con il verbo Epxoµat (1,39.39.46; 3,2.20.21.26; 4,30; 5,40; 6,5.35.37.44.45.65; 7,34.36.37.50; 8,21.22; 9,7; 10,41; !4,6; 19,39; 20,3.4.6.8; 21,8). E' cara!Leriz?,ato con1c sequela con il verbo dKoAov8ÉùJ (1,37.38.40; 8,12; 10,4.5.27; 12.26; 21.19.20.22). Talora si parla in assoluto di una venuta (9,7; 20,6; 21,8). Talora si indica anche il tenninc; GeslÌ (/,47; 3,2.26; 4,30; 5,40; 6,5.35.37.44.45.65; 7,37.50; 10.41; 19,39). ;/ Padre (14,6), la foce (3,20.21), doFe Gesù va (8,21.22), do\!e Gesù è (7,34.36), il sepolcro (20,3.4.8). 1 • N5 (~osì J ,37-40, dove si dice che i due discepoli, avendo udito eia Giovanni

seguirono (rjKo/\VOryaav) Gesù. Alla loro do1nanda: Maestro, do11e rh11a11i?, provocala da lui stesso: chi cercate?, Gesl1 invita: venite e veclrele; li invita cioè a proseguire (€pxca0c) il caTnn1ino. Narra il testo che essi vennero (i])dìov), videro dove ri1nane e ri1nascro presso di lui quel giorno. In questo testo si indicn un duplice inizio: l'annunzio di Giovanni e la percezione (0€aadµ€voç) di Gesli, e un duplice tenninc: videro dove ri111r111e, rilnasero presso cli lui quel giorno. Il can1n1ino intennedio è

caratterizzalo dal verbo dKoÀ.ov@ÉUJ cd €pxoµat. Questo testo esige una sua specifica lettura. Pure 8,12 presenta tre 1non1enli: un inizio che pare coincida con l'nutodefinizione di Gesl1 di essere luce dcl 1nonc!o, un tennine che è il possesso (€f€l) della luce della vila, un cainn1ino inlern1edio, caratlcrizzato da una sequela (dKoÀ.ovOÉUJ). Pure il canunino delle pecore nel c.JO è C<lr<Jllerizza(·o dalla sequela (dKoAovOÉUJ) ciel pastore eia parte delle pecore . Il punto di partenza è l'uscila dalla

aV1\r] e il punlo tcnnine è !a vita elerna (v.27). Tutti questi testi, 1nenlre rivelano !'esistenza di un can1n1ino, rivelano la singolarità dell'azione di Gesl1 in 13,5, non trovnndo essa alcun parallelo nei testi sopra citati.


La lavanda dei piedi

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Nel v.12 l'evangelista si sposta alla fine dell'azione della lavanda dei picdi 486 . Evoca due azioni, il cui contrario era stato menzionato nel v.4 487 • Stranamente è sottacciuta l'azione di asciugare piedi, descritta con una certa enfasi nel v.5b 488 • Nello sfondo di una azione di lavare i piedi già compiuta, Gesù, nella sua duplice prerogativa del

o

presenta la sua azione come uno

Vrr68EL yµa, uno spechnen, un

Kvpw<;

!ml

O

OLOarJKllÀG<;,

modello che i discepoli debbono avere sotto gli occhi (v7T6) da ricalcare4fi 9. L'azione di Gesù però non appare sen1plicc1ncntc co1ne un n1odello da ricalcare, n1a come l'inizio di un can1mino4911 che discepoli debbono proseguire·101 • Sul termine di questo cammino il testo non dice nulla; sottolinea solo nei versi seguenti (vv.16-20) il fatto che i discepoli non possono esitnersi 4'> 2, visto che non c'è servo

Nell'espressione éiTé oùv Evu/;Ev ToÙ:,~ rr68as-, il verbo Evu/;Ev ha vnlore di aoristo co1npletivo. 487 L'ordine !ogico è inverso: le due serie di azioni dctcrrninano uno schcn1a strutturale concentrico: v.4 1. si alza eia tavola 2. pone le vesti 3. con1inciò a /a1Ytre i piedi v. 1 2 4. quando lavò i piedi 5. e prese le vesti 6. sedette cli nuovo 488 Già la lavanda elci piedi era stala evocata nel dialogo tra Gesù e Pietro (vv.6.8.8) e ri1nenzionala corne l'unica esigenza dc!!' 6 ÀEÀovµivo:;. In questo contesto la non 1nenzione clell'asciugarc è ben con1prensibile. 48 '> La prospettivo <1ppare soprattutto quella ciel 8t8da1(aÀ05'. 190 · Prescindo in questo lesto dalla considerazione dell'aspetto specifico cieli' dAArjAwv virrTEl/J roÙ5; rr68a5', differente dall'azione di Gesù, benché ad essa s!rellmnenle relazionato e eia essa dipendente. 491 Si può notare la relazione dci due verbi, rrotÉlt! ne! v. I 5: Érro{ryaa-rrotijrE. Il secondo è un congiuntivo presente ed indica una azione continua. Alla luce di qucsl<l farina al presente, il prirno rrot€cu, all'aoristo, deve avere neccssaria1nentc un valore ingressivo. Gesù non coinanda di con1inciare ad i1nitarc una azione da lui con1piuta, n1a a continuare in un cainn1ìno (rroti}r€) da lui iniziato (Érroiryaa). 492 I vv.16-20 sono con1plessi; sia sulliciente dire che essi offrono il fonùa1ncnto e la 1nolivazione dell' dif>ElÀéTé ciel v.14. 486


Attilio Gangemi

62

migliore del suo Signore. In ultima analisi il dovere di continuare nel cammmo da Gesù iniziato, scaturisce dal fatto che egli li ha scelti (v.18). Nei vv.3 I -35 abbiamo ancora un dialogo-monologo di Gesù ai discepoli. Nel v.34 Gesù propone la KaLvrj Évrn).rjm: essa consiste nell' àyarrav dAAl)Aovs-"'· Ancora una volta si nota un punto di partenza,

che consiste nell'azione di Gesù (ryyaITT)oa vµas-), ma ancora una volta non pare che Gesù con1andi una azione con1e ìn1itazione del 1nodello da lui offerto, 1na come continuazione di un cammino da lui iniziato 49 '. Nemmeno questo testo offre però il termine del cammino: si li1nita solo a notare496 che l'avere an1ore vicendevole è fonte di conoscenza (yvwuovTm) per tutti (rrdvns) che i discepoli sono discepoli di Gesù (É"µo[): amandosi vicendevolmente, i discepoli si 1nanifeslano con1e tali 497 .

49

.> Prescindo in questo studio dalla considerazione specifica della relazione tra i vv.31-33 e i vv.34-35. Ho giù notato prcccdcnten1ente, che la KatvT, Évro>.rj se1nbra costituire la strada che pennellerà ai discepoli di andare dove Gesù va, can1111ino che nel v.33, ahncno per ora, è dichiarato non possibile. 94 <1 In 13,15 Gesl1 propone lo Vrr68ELyµa relazionato ali' d,\,\rj,\wv v{rrTElV

ToVs rr60as; in 13,34 propone la ÉvToÀrj Kalvr], relazionala ali' dyarrGv d,\,\rj,\ovs.

La relazione tra i due lesti (vv.12-15 e 34-35) è fr1ei!n1ente percepibile. Entran1bi si relazionano all'azione di Gesl1 nei vv.1-5, strutturale: 1.(13,1): EiS' TÉÀOS' r]yd7TT]aEv

con1c appare dal seguente sche1na

2. (13,5): fjp(aTo vlrrTElv ToVs rr68as 3. (13,14): d,\,\lj,\ovS" v{rrTELV ToVS" rr60a5'

4. (13,34): dymrav 495

aÀÀryÀOVS'

Troviaino per il verbo dyarrdw la stessa relazione tr!l congiuntivo presente

(dyarrGTE) e aoristo (rjydrrryaa) che per il verbo rrot€UJ nel v.15. 4'> 6 EXTJTE: congiuntivo presente. Si sottolinea ancora J'aspetlo dina111icooperali vo. 4'J7 Nei vv.36-38 l'attenzione si sposta su Pietro, in un duplice dialogo patelico e co1nplesso insie1nc, tra lui e Gesù, che cuhnina nella predizione dcl rinnega1nento. Pietro si ricollega alle parole di Gesù proposte nel v.33: Signore, dove vai? Gesù ripropone, più o n1eno, la stessa risposta che nel v.33 ai discepoli. Mentre però ai discepoli aveva dichiaralo la non possibilità a venire dove lui va, n1a tacitan1cnre,


La lavanda dei piedi

63

I vv.15,9-10 ci offrono una prospettiva più ampia'", in una duplice parabola, rispettivamente discendente, dal Padre499 ai discepoli, e ascenclente, dai discepoli al Padre5n°, passando cntra1nbe attraverso Gesù""- La duplice parabola ci offre tre elementi che possono ben definirsi un ca1111ni110 o una storia. Di questi tre elen1enti solo due sono specificamente sottolineati, il primo, il punto di partenza che coincide con l'opera di a1nore di Gesù e, più ancora, con l'opera di amore del Padre, e il terzo, il punto culmine, che coincide con il ri1nancrc nell'amore di Gesù, e, attraverso l'a1nore di Gesù, nell'amore del Padre. Il secondo elemento, che si può definire il cammino intermedio, l'osservanza dei comandamenti (TEpElv Td: EvroÀd5'), è introdotto come condizione per la realizzazione del terzo, del rimanere cioè nell'amore di Gesù e del Padre. Si delinea perciò un cammino che parte dal Padre e da Gesù, nel quale i discepoli sono chia1nati a coinvolgersi 1nediante l'osservanza dei comandamenti; attraverso questo cammino i discepoli perverranno e rimarranno nell'amore di Gesù e del Padre. Quali siano questi

nella ÉvroAT, Katvri dc!!' dyarréiv

d,,\,,\rf,,\ouç, aveva proposto

la strada, a Pielro

csplicitan1ente dichiara la non possibilità al presente (vVv) a seguire (dKoÀoveijaal). Si può notare l'infinito norislo dcl verbo dKoÀovOÉw. Il testo sen1bra stabilire una relazione Ira dyarréiv

dAArj,,\ovS" e dKoÀovO-ijaal.

lni!';iare

a seguire

significa

in1mellersi, n1ediante 1' dyarrGv d,,\,,\rf,,\ovç, nella strada da Gesli inizinta. La dilazione si spiega bene: pri1na Gesù deve iniziare il carn1nino (l}ydrrryaév). Sia il v.33 (al centro tra i vv.3 l .32 c 34.35) che i vv.36-38 presuppongono un ca1n1nino cli Gesl1 non nncora iniziato (cfr. nei vv. 33.36 il presente Urrdyw che espri111e futuro i1n1nediaLo). 498 Si polrebbe anche risalire a! v.8: "ìn questo è stalo glorificalo il Padre n1io ... che di\!e11ir1fe (yévrfaéaOé) n1iei discepoli". Esso cerlo include i vv.l-7, n1a può orfrire anche la prospelliva ai vv.9.1 O. In ogni caso il lennine µaOryTa[ richian1a !3,35 e relaziona i due lesti (15,8; 13,35) in progresso inverso. crr. !5,8; ycvrfacaOE (diveniate: congiuntivo aoristo) e 13,35: €aTÉ (siete, al presente). 499

Cfr. I 5,9a: "con1e il Padre arnò ine". 15,9b: "rimango di lui nell'an1ore". 5oi "anch'io an1ai voi:""'ri1nanetc nel 111io an1orc". 511

° Cfr.


Attilio Gangemi

64

comandamenti,

SI

comprende bene da

J 3,34

e J 5, J 2ss: J' ayaTTOV

a,\,\7),\ovS'""· In conclusione, il mio scopo non era certo trattare esaustivamente i testi sopra considerati, peraltro ricchi cli relazioni e di tematiche che si intrecciano: essi dovrebbero essere specificamente considerati nella loro peculiare prospettiva. Il mio scopo era soltanto evidenziare un cammino dei discepoli sottinteso tra le due azioni di Gesù di lavare i piedi e di asciugarli con l'asciugatoio. Di questo cammino l'iniziatore è Gesù che lava i piedi (13,15) e che compie l'opera cli amore (13,34; 15,9.10; 15,12). Esso poi culmina nel rimanere nell'amore di Gesù 50-' e anche nel1 1an1ore del Padre 504 • Nel nostro testo la lavanda dei piedi si colloca nello sfondo del!'

Elç T€Aoç ~yét.TTT)O"Ev" 15 . Ritengo perciò che, lavando i piedi nel senso via via esposto, Gesù abilita i discepoli a con1piere un ca1nrnino che è di seque]asor,, che li costituisce disccpoli 507 , che consiste nel lavarsi piedi a vicenda e nell'amarsi a vicenda. I discepoli, ca1n111ineranno proseguendo e trasmettendo l'un l'altro l'opera di Gesù. Il loro lavarsi reciprocan1ente i piedi è an1arsi l'un l'altro; n1a concrela1nente si

502

Si può notare il passaggio dal generico plurale lvToÀd:; in 15,9.10 e anche in 14, ! 5.21, allo specifico singolare in 13,34 e 15, 12. 50 -' Si può notare un sottile filo progressivo che lega 13,15; 13,34.35; 15,9.10; 15,12-17 (v.15), e che confenna la prospelliva del can11nino sopra delineata. In 13,15 Gesù tfo lo speci111e11 perchè i discepoli si lavino i piedi l'un l'altro; in ! 3,35 /'a111arsi a vice11da è il docun1ento di idcntit8 dci discepoli di Gesl1; in 15, 9. l O si indica il ten11ine del ca111111i110: rù11a11ere 11ell'a111ore di Gesù; in 15,15 si dclinen pure il tennine dcl can11nino, ma in altro aspetlo, progressivo: i discepoli sono accolti cln Gesù nella sua inti1nità (rj:i{Aol). C'è un can11nino progressivo che, dalla azione cli Gesl1 di lav;:1rc ì piedi, al!rnverso la condizione di µafJryTa{, cu!rnina nel rirnanere allivo dci discepoli nell'ainore di Gesl1 e nella loro passiva accoglienza nella sua intirnità. 5 u~crr. J0,28.29, dove Gesù, dopo avere dichiaralo che le pecore sono nelle sue inani, clichiarn che sono nelle 111ani dcl Padre. 505

Si noli che esso non è solo -frydTTTfC!éV, 111a El;> TÉÀoç -frydTTI]CJEV. Il con1pi1ncnto non si renna solo all'azione di lavare i piedi, 1nn include anche l'a;>;ionc cli asciugare. 506 Cfr. 13,35.37. 507 Cfr. l 3,35 e 15,8.


La lavanda dei piedi

a111era11110

65

lavandosi i piedi. Così facendo, attueranno il 111oclello

(vrr6&1yµa) di Gesù, osserveranno il suo comandamento (ivrnÀry),

perverranno e rhnarranno (µÉvw) nel1 1amore di Gesù, saranno accolti nella sua inti1nità come cj;{ÀovS'50 x.

6.9. li termine del cammino Tutte le considerazioni fin qua fatte, non sono esaustive a spiegare il nostro testo che assegna come termine del cammino, non il ritnanere ncll 1an1ore di Gesù o l'accoglienza nelI1inti111ità di Gesù, bensì l'accoglienza nella comunità ecclesiale, simbolicamente descritta nell'azione di asciugare con il ÀÉVTLov. A riguardo ci viene ancora una volta in aiuto il testo di I 9,25-

27, dove si parla del discepolo (TÒI/ µalJT)Tr)v) stante (rraprnTwrn). li verbo rrapECTTWTa indica la posizione statica del discepolo e richia1na la posizione statica delle donne nel v.25"'"· Si notano però delle differenze tra le due descrizioni: del discepolo tutto è detto, e anche esaurito, nel rrapEcrTWTa: l'autore si lin1ita a considerare la posizione

5118

Cfr. !5,14: "voi {11/IÌci (if>l}..ol) Ji me siete, se fate (rrocijrE) (cfr. 13,15) ciò

che io co111ando (Évn!ÀÀoµat) (cfr. l 5, 17 e anche ÉvroÀrj in 13,34 e 15, 12). 509 Sia dal punto cli vista cti1nologico, sia anche dal punto di vista strulturale. Da! punlo cli vista etiinologico, nel v.25, propone i due c!en1enli (rrapd + i'aT17µt) sqJ<iraLi, che nel v.26 propone uniti nel co1nposto JTap{arryµi. Dnl punto di visla strulturnle, già gli stessi e!ernenti si rclazionnno in 1nodo concentrico: I. Elarrf1<Etaav

2. rrapd

3. rrap 4. Éarrl.Jra

f\1a si può stabilire anche una relazione strutturale pili mnpia: I. ElarrjKEtaav

2. 1) µ1)T7)p 3. rOv µaeryrrjv 4. rrapEarWra


Attilio Gangeni.i

66

statica unilateralmente, dal punto di vista del discepolo. A riguardo delle donne, l'autore descrive pure la posizione statica, ma non esaurisce nel verbo ElcTrfJKEtaav, bensì introduce un dinan1ismo relazionale5111 che, passando attraverso la croce, giunge a Gesù 511 • Sembra perciò che la posizione statica, relazionata alla croce di Gesù, delle donne segni un progresso rispetto alla posizione statica in assoluto espressa del discepolo. Ciò suggerisce una lettura ascendente del testo. In simile lettura, il testo esprime una esigenza per il discepolo di passare da una posizione statica ad una posizione relazionata: si esige che il discepolo, semplicemente stante

(hnwrn) presso (irapa) la croce di Gesù. Ciò è operato da Gesù stesso 1nediante la relazione di maternità e figliolanza che egli stabilisce tra il discepolo e la madre: mediante la madre, il discepolo entra a far parte di quella comunità che sta presso la croce di Gesù. Questa prospettiva concorda bene con J1in11nagine (irap€0T1:Jrn), diventi stante

simbolica del À€//TWV di cui Gesù era cinto. Ma a caratterizzare ulteriormente questa pos1z1one statica del discepolo, bisogna risalire nella narrazione della passione fino a 18,15.16, dove l'evangelista, unico in tutti i vangeli, presenta nel cammino dal Getsemani, la figura di un altro (/;scepolo, definito come noto ( )"//W1JT65-) al pontefice. Sull'identità tra questa figura e quella di

19,26 ritengo che non si possano avanzare seri dubbi: nulla esige una distinzione.

510

[

presentano

qunllro elen1enli t:laT1K€Laav OE rrapd T{~ UTavpi(J Tali 'fr;aoV qu<1si un crescendo relazionale: dalla posizione sratica ;_1ssuluta

(€iuTrjK€lcrav) si passa alla posizione statica relazionale (rrapd), che risale <1lla croce (Ti(J crTavpi(J), e da essa, n Gesù (ToV 'fr;crov).

511 In questa prospetliva la posizione statica dc! discepolo, espressa in 1nodo assoluto con il verbo rrapçaruJra, sen1bra stare un passo indietro rispetto alla posizione stsrica espressa con il verbo µÉV(J), 1na relazionata all'a1nore di Gesù (lv 7TJ dyd1T7J µov) in 15,9.10. Anzi questa posizione relazionata sc1nbra quasi sottintesa tra

il rrapéaTWTa

e Ov rjydrra (cfr. 14,21.23).


La lavanda dei piedi

67

Peculiari elementi nei due testi chiedono accurata spiegazione. Il verbo 7)1wÌtoven nel v.15, al singolare, in effetti si ricollega ai due soggetti (Simon Pietro - il discepolo). I due soggetti sono accomunati nell 1unica azione di seguire512 , ma si biforcano radicalmente nell'epilogo. Il primo si perde nel suo rinnegamento nel palazzo di Anna, e di lui non si parlerà più fino a 20,2; l'altro invece compare, rrapEOTWTa, in 19,26. Lo statico rrapr:uTwm appare come il termine di

un cammino caratterizzato dal dinamico ljKoÌtoMEl. Il differente epilogo tra i due si spiega bene anche alla luce di 13,35, dove l'amore vicendevole appare come la caratteristica che contrassegna i discepoli, mentre, subito dopo (v.36s), Gesù dilaziona la sequela a Pietro. Il discepolo è discepolo, e perciò la sua sequela è un cammino nella ÈvrnÌllj che lo conduce al rrapr:rnwm di 19,26; Pietro invece non è ancora discepolo e la sequela da lui pretesa fatalmente lo porterà al rinnegamento (cfr. 13,38). In conclusione, in 18, 15.16 troviamo il discepolo in cammino (7)1coÌl0Mn) e il suo cammino si conclude 111 una pos1z1one statica

è posizione relazionata alla croce di Gesù: lo sarà attraverso la mediazione della madre, alla quale egli è affidalo come figlio. In altre parole, l'evangelista pare voglia dire che il discepolo perviene e si radica presso la croce di Gesù non da solo, 1na altraverso la co1nunità ecclesiale, in1personata dalla 111adre. A questo punto possiamo mettere insieme i due cammini, quello delinealo da Gesù ai discepoli da 13,15 fino a 15,12-17, c quello delineato dall'evangelista a riguardo del discepolo da 18, 15.16 a 19,26. I due cammini hanno, come già ho detto, un punto di convergenza: una posizione statica co1ne loro cuhnine, bcnchè espressa con diverso linguaggio51 \ n1a hanno pure in con1une un (rrapEOTwm) in 19,26. Ma ancora la sua posizione statica non

512 Aln1cno per Pietro, si richiaina il triplice uso di questo verbo in !3,36~37. 51 .1 rrapEUTl0Ta

(19,26) -µ€vELV r!v

TG

dyd777J (15,9.10).


68

Attilio Cangemi

can11nino caratterizzato come sequela in 18, 15.16 e come osservanza della f-vrn>.1 in 15,9.1 O. La f-vrn>.1, come si è visto, si concretizza nell'amore vicendevole ( 13,34; 15, 12), che a sua volta richiama il lavarsi reciprocamente i piedi (13,14). Tutto ciò si può definire globalmente come il cammino dei discepoli (cfr. 13,35). I due cammini ( 13, 14-15, 12-17 e 18, 15-19,26) possono essere tradotti in un assioma definitorio: il discepolo è colui che, attraverso il co1nandan1ento del1 1an1ore vicendevole, segue Gesù nella via dell'amore. Ma si può anche dire il contrario: chi segue Gesù, mediante l'osservanza dell'amore vicendevole, è discepolo. Di questo can1111ino Gesù è l1iniziatore che abilita pure, lavando i piedi, i discepoli a continuare. Si arriva così al tennine del can11nino, dinamicamente descritto in 19,25-27 e riassunto nell'espressione

µ!Y€W €v dydTTI] di 15,9.1 O. Ritengo però che l'espressione di 15,9.10 esprima un momento seguente rispetto alla descrizione di 19,25-27. li verbo µivw esprime un aspetto differente rispetto al verbo ZarryµL-TTapd di

19,25-27.

Quest'ultimo esprime posizione statica, il verbo µivw esprime invece il permanere in una posizione statica già acquisita. Inoltre, quando si è pervenuti alla posizione statica (l aTryµL) presso (!Tapa) /a croce

(TTapunwrn) di Gesù (mv 'frpov), l'opera di amore di Gesù è giunta a con1pin1ento. Chi da essa si è lasciato coinvolgere, ri1nane nell 1a1nore di Gesù, e Gesù lo ama (cfr. 14,21.23 e 19,26). Concludendo, il cammino al quale Gesù abilita lavando i piedi. è un cammino di sequela, nel quale chi lo compie si manifesta discepolo di Gesù. Si giunge al termine del cammino, dove Gesù affida alla con1unità ecclesiale, in un rapporto di n1a(/re-figlio. Nella con1unità ecclesiale, e attraverso di essa, i discepoli pervengono alla posizione presso la croce di Gesù, dove appunto la comunità si trova. Qui si compie l'opera di amore di Gesù: il discepolo rimane (µivELv) in esso e da Gesù è amato ed accolto nella sua intimità come </J[Ào5" (I 5, 15). Diventa il t!isce1;0/o che Gesù a1nava (Ov JjydJTa).


La lavanda dei piedi

69

Tutto questo ca1n1nino, che corrisponde ad un camn1ino di esodo, nei suoi tre 1non1cnti, inizio, ca1111ni110 intern1edio, ter111i11e ciel cammino, benchè non direttamente descritto, è insinuato nel testo di 13,5, letto strutturalmente. Gesù cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugare con il corrisponde

1

all inizio

Ìl.ÉVTLOV

del

di cui era cinto. Il favore i JJiecli

cam1n1no

come

abilitazione

ad

intraprenderlo. Il termine µa8ryra{ evoca bene il cammino intermedio.

L asciugare con il ÀÉVTLOV evoca il termine come accoglienza nella comunità n1essianica; attraverso la comunità 1nessianica, con1e il 1

di cui Gesù è cinto, si giunge alla croce di Gesù. E' un cam1nino che parte ed è reso possibile da Gesù e culmina in Gesù.

1lÉI-'TLov

Parte quarta:

RILETTURA GLOBALE DI

(;v 13,1·5

Pervenuti alle conclusioni sopra proposte, possiamo rileggere globalmente tutta la descrizione dei vv. 13, 1-5. In questa rilettura procederen10 in due gradi: pri1na proporren10 una rilettura sintetica delle azioni dirette <li Gesù contenute nei vv.4.5, poi rileggeremo tutta la descrizione dei vv. 1-5, alla luce delle due indicazioni cronologico-circostanziali e nello sfondo dei quattro participi. Le azioni di Gesù a loro volta possono essere lette in due 111odi, in niodo verticole, distinguendo cioè tra le azioni di Gesù espresse all'indicativo presente e quelle espresse all'aoristo, e in 111odo orizzonto/e, 1n base alla distinzione esplicila1nente introdotta dall'autore rnediante la particella ElTa.

I. Le azioni di Gesù (vv.4.5) 1.1. Letturo verticale In lettura verticale, emerge subito la distinzione nelle azioni di Gesù. Esse sono cinque, se si considera I1unico aoristo ifpfaTo, o sei si


Attilio Gangemi

70

considerano i due infiniti dipendenti da -/fpfaro (vilTTELV-ÉKµrioaEtv). Considerando, almeno per ora, l'unico aoristo comune -/fpfaro, le azioni di Gesù si dividono in due categorie, quelle espresse con il verbo all'indicativo presente, e quelle espresse all'indicativo aoristo. Le 1

azioni espresse al1 indicativo presente sono tre:

ÉyElpETaL

éc

Tau

&fovov - Ti()rymv n± lµrina - (36.MEL IJ8wp. Queste tre azioni globalmente esprimono tutto il mistero di Gesù che si articola in tre eventi: ii cammino della passione (É'yrdp€TOl ÉK

mv 8rdrrvov), il dono

della propria vita (T[6l)OIV TG 1µ6.na), il dono dello Spirito ((3dMEl iJ8wp). 1

Le az1on1 espresse con il verbo al1 aoristo sono ancora due:

81É(wu€v €avT6v - -/fpfaro. Il secondo verbo è distinto in due aspetti determinati dai due infiniti (vLrrTELV - ÉKµ6.uuE1v). Anche in queste azioni il soggetto principale nmane Gesù, ma esse gravitano attorno a due elementi fondamentali, il ÀÉVTlOV e il verbo 8w(wvvvµ1. Soprattutto la relazione è tra l'ultima frase dcl v.4 Cavendo JJreso un asciugatoio, si cinse") e l'ultima del v.5 ( asciugare con l'asciugatoio cli cui era cinto") 51 '1• In questa relazione, l'espressione lavare i piecli r/ei rliscepoli, appare non con1e l'azione centrale direttan1ente intesa dal1 cvangelista, n1a con1e un passaggio intennedio verso il vero culmine di tutta la vicenda515 costituito dall'azione di asciugare. 1

11

1

514

Le due espressioni presentano un parallelisrno: A

H

Àa{3Wv ÀÉVTlO// Bti(waEv €avr6v

~ i]v Oté((vaµivos-

Abbia1no già notato una relazione strutturale tra il v.4b e Lullo il v.5, nel seguente modo: I. (v.4b): ÀÉvrlov ... Bti(waEv 515

2. (v.5a): vrnTi)pa

3. (v.Sb): v[TTT€lV

4. (v.5c): ÀEvTlLJ! ... Blé(waµivos-


La lavanda dei piedi

71

Le due azioni con il Mvnov sono in rapporto progressivo. La prima, avendo preso ... si cinse (Aaf3wv... i5lÉ(waEv) è caratterizzata da un n1ovi1nento Gesù-centr;peto: Gesù prende a sè il ÀÉVTLov; il ÀÉVTtov compie un movi1nento verso Gesù: lo cinge. La seconda

azione presenta diverso dinan1ismo: Gesù è cinto llal AÉvTLOV e

con

esso asciuga 1 piedi dei discepoli: c'è un movimento ÀÉvnov centripeto, compiuto dai piedi dei discepoli, anche se determinato da Gesù. Nella pri1na azione, il ÌlÉVTLov va a Gesù, nella seconda azione i

piedi dei discepoli vanno al Mvnov, quasi da esso accolti. Entrambe le azioni sono determinate da Gesù, che rispettivamente prende (Aaj3wv) e prin1a azione la costituzione della comunità ecclesiale attorno a Gesù e l'affidamento dei discepoli alla comunità ecclesiale. Possiamo perciò concludere che le azioni di Gesù, espresse con il verbo all'indicativo presente simbolicamente descrivono il mistero di Gesù nei suoi tre momenti fondamentali: il canunino verso fu passione o anche della passione - il dono della propria vita - l'effusione dello asciuga (ÉKµda-CY€LV). Simbolicamente si descrive nella

Spirito. In relazione all'azione precedente (ÉydpETlll) e a quella

seguente (j3aÀÀEL), l'azione di porre le vesti richiama il mistero della n1orte lii Gesù. Le azioni espresse all'aoristo si1nbolican1ente descrivono invece la costituzione ecclesiale nei suoi due momenti: il

raduno ecclesiale attorno a Gesù e l'affidamento ad esso dei discepoli da parte di Gesù. L'aspetto fondamentale del testo è proprio quest'ultimo, che è anche il culmine di tutta la vicenda. Nè può essere altrimenti, dal momento che la prospettiva fondamentale del testo è costituita dai mù;; iOlov;;

TOÙS'

ÉY Ti/! 1céoµ(il

mondo), oggetto dell'amore Ei;; TÉÀo;; di Gesù.

(i suoi quelli che nel


Attilio Gangemi

72

1.2. lettura orizzontale La lettura verticale precedentemente proposta è certo valida e conforme al testo, ma forse non è quella più direttamente intesa dall'evangelista. Egli lega l'azione di Gesù di prendere il ÀÉvnov e cingersi (all'aoristo) con I' azione di porre le vesti; come pure lega l'azione di lavare e asciugare (all'aoristo), con l'azione di versare acqua. L 1evangelista stesso, nel v.5, mediante la particella EITa,

distingue le azioni di Gesù in due parti, entrambe culminanti nell'azione espressa all'aoristo 516 . In questa distinzione, l'autore pare ricalcare Io sche1na adottato in 19,23-30, dove si susseguono le tre scene, della spartizione delle vesti e della descrizione della tunica (vv,23-24), la scena della madre e del discepolo (vv.25-27), la scena del dono dello Spirito (vv.28-30). Spartite le vesti (vv.23-24), Gesù compie l'affidamento del discepolo descritto in 19,26-27 517 • Il cuore di tutta la descrizione è la scena di 19,25-27, che costituisce anche la chiave di lettura del nostro testo di I 3, 1-5.

516

A

I. ÉyélpéTGl

élTa

B

J.

2. r!e17atv

3. Oli(wcrEv

{JaÀÀEl v{TTTélV

2. Tfp/'arn É1<µdcraEtV

517

Si può stabilire con il seguente grafico:

A

B

I. pone le vesti 2.preso 11n asciugatoio 3. Fersa acqua 4. lava - asciuga

I. spartizione delle vesti 2. la tunic(/ (v.24)- le donne (v.25) 4. il dono dello ,\ìJirito (vv.28-30) 3. affida111e11to del discepolo (vv.26-27) I pri1ni due elernenti stanno in rapporto parallelo progressivo, gli allrl due in rapporto inl'crso.

In questa connessione, l'azione di porre le vesti assun1e un altro significato: non richia1na pili soltanto il dono della vila, 1na anche allude alla divisione giudiziaria di cui in l 9,23.


La lavanda dei piedi

73

Le due parti descrivono così simbolicamente la costituzione dell'unità ecclesiale attorno a Gesù 518 e ['ajjì'clwnento dei discepoli alla co1nunità ecclesiale519 . La costituzione della comunità ecclesiale direttamente è legata al fatto di porre le vesti. Oltre la scena della spartizione delle vesti e la descrizione della tunica (I 9,23s), si richiama anche 12,31.32, dove, al giudizio di condanna come esclusione 520 , Gesù contrappone l'attrazione a sè di tutti al momento della sua esaltazione. Spiega l'evangelista che Gesù disse ciò, significando con quale morte egli doveva morirc521 • L'affidamento dei discepoli è direttamente legato al dono dello Spirito. L'opera dello Spirito però non è assente dalla costituzione della co1nunità ecclesiale 522 , ma l'autore ricollega più direttamente il suo dono all'affidamento dei discepoli.

2. Rilettura di Gv 13,1-5 Anzitutto è in1portante rievocare dal punto di vista strutturale la posizione del brano. Abbiamo notato all'inizio del presente lavoro che questa, sia per la sua indole interamente narrativa, sia anche per l'indole di tutte le altre parti ciel c.13, sia infine per le relazioni tematiche e strutturali di tutte le altre parti, costituisce la sezione introduttiva a tutto il dran1n1a del c.13, incentrato attorno a Pietro

5 ix

Si olza da ta\!o/(I - pone le vesti - preso 1111 asciugatoio, si cinse. Versa acqua nel catino - co111i11ciò a laFare ... od asciugare. 52 Cfì-. ! 2,31: "il principe di questo inondo sarà gettalo fuori"; cfr. 19, 23: "presero le vesti e fecero quattro parti"; cfr. 13,4: "pone le vesti". 521 Co1ne si è già notato, in relazione al dono dello Spirito, l'espressione: pone le vesti, evoca la 1norte cli Gesl1, in relazione all'azione di cingere il ÀÉVTlOV, richinn1a l'<izìone giudizinria, annunzialn in 12,31 e descritta in 19,23. L'a1nbiva!enza però è solo apparente, perchè sia il clono dello Spirito, sia l'azione giudi7,iaria e In conseguente attrazione, si ricollegano alla 1nortc. Cfr. 19,35: n1orto ... uscì sangue e ocqua (dono dello Spirito); cfr. 12,31-33: "il principe di questo n1onclo sarà geLLalo fuori ... attirerò tutti a n1e ... significando con quale 111orte doveva 111orire. 522 Lo nbbian10 evidenziato in una lel!ura inversa delle tre scene di Gv 19,2330. 519

°


Attilio Ga11gemi

74

(vv.6-11; 36-38), ai discepoli (vv.12-20; 31-35), all'antitesi discepoliGiuda (vv.21-30). Analizzando poi strutturai mente i vv.1-5, abbiamo rilevato un parallelismo tra il v. I e i vv.2-5. Questo stesso parallelismo, mentre ha suggerito una relazione tra le due propos1z1om cronologicocircostanziali52-' e anche tra i quattro participi 52·1, ha indotto a stabilire una relazione tra l'espressione del v. I: €!<; Tf'Ao<; ~yd.TTr)C5€V avrnv<; e la serie dei cinque verbi diretti o delle sci azioni di Gesù nei vv.4-5. Una prima conclusione rni pare perciò ovvia: le sei azioni di Gesù globalmente costituiscono il compimento dell'opera di amore di Gesù, in una progressiva articolazione interna, che va dall' ÉyE[pETat ÈI< rov 8E[rrvov fino ali' ÈKµdarrELv rcfj ÀEvr{41. Nell'azione di asciugare con

l'asciugatoio di cui era cinto, l'opera di amore di Gesù tocca il cuhnine. Le due proposizioni cronologico-circostanziali ci danno lo sfondo atnbientale in cui le azioni di Gesù si collocano. La prin1a: prima della festa di pasqua, si colloca dal punto di vista del termine: questa infatti non è ancora arrivata, si è infatti nel tempo previo (7rp6). La seconda si colloca dal punto di vista dell'azione: ii divenire del banchetto. L'autore, attraverso la relazione di queste due circostanze, pare voglia suggerire che la festa di pasqua coincide con il culmine del banchetto. I quattro participi, strutturati in n1odo concentrico, presentano una duplice relazione. Il primo e il quarto, entrambi El/5rls, stanno in relazione di continuità; il secondo e il terzo (dymrr)Ja<; - f3€/3ÀT)!<6rn<;) stanno in relazione antilelica. All'amore di Gesù verso i suoi che erano nel mondo, corrisponde l'azione di Satana verso Giuda. Ma si dcter1nina pure un'altra relazione antitetica: al1 1 an1ore di Gesù verso i suoi che erano nel mondo, si contrappone l'opera di Giuda contro Gesù istigata da Satana. Inoltre, alla coscienza (€115<0) di Gesù che è

52 -1 524

Pri111a della jèsta di pasqua - 11ie11tre si svolge1 a il ba11c/ie110. Sapendo - a1 endo a111ato - aFendo gettato - sapendo. 1

1


La lavanda dei piedi

75

giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, corrisponde, in prospettiva più ampliata, la duplice coscienza di Gesù che lulto diede il Padre a lui nelle mani e che da Dio uscì e a Dio va. Questa duplice coscienza di Gesù implica anche la coscienza di un'opera che Gesù deve compiere, che il Padre gli ha dato e per coloro che il Padre gli ha dato, che costituisce lo scopo della sua venula nel mondo, assolta la quale, egli può tornare a Dio. La coscienza che è giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, indica che quella è l'ora precisa in cui Gesù deve portare a compimento la sua opera.

Quest'opera già è iniziata (dyamjaa5') in tutto il cammino della vita di Gesù, fin dall'incarnazione e dalla elezione dei discepoli; adesso è il momento del suo compimento. Da questo compimento è escluso Giuda perchè su di lui ha influito Satana che lo ha indotto a tradire. Implicitamente l'evangelista suggerisce che il compimento per Giuda sarà il giudizio di condanna. Alla circostanza prima della festa di Pasqua, l'autore ricollega due circostanze participiali, la coscienza di Gesù che è giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, il fatto che egli ha amato i suoi che erano nel mondo. Siamo nell i1nn1inenza della pasqua, e Gesù sa che deve operare un passaggio pasquale. Non lo opera però da solo, ma assicn1e ai suoi che sono nel inondo, che egli ha an1ato. Quando avrà messo in grado i suoi di operare con lui simile passaggio, allora la sua opera di an1ore è pervenuta al suo con1pimento e si può co1npiere il passaggio pasquale. Alla seconda circostanza, n1entre cenavano, mentre cioè cliveniva il banchetto, l'autore collega le altre due circostanze participiali, l'opera di Satana su Giuda che induce al tradimento, la duplice coscienza di Gesù che tulto il Padre gli ha dato nelle mani e che da Dio è uscito e a Dio va. L autore si appresta a descrivere nei particolari simbolici il compimento dell'opera di amore, che 1

1

globalmente ha espresso nel v.l, mediante l'espressione f"i5'

TÉÀ05'

r)ydTTl)af"V. Il compimento dell'opera di amore che deve realizzarsi

prima della festa di pasqua, avviene durante il banchetto. Esso prende le mosse dall'opera di Satana su Giuda e dall'azione concreta storica di


76

Attilio Gan.gemi

Giuda. Ma solo dal punto di vista storico. L'opera di Satana e di Giuda penncttono concrcta1nente la realizzazione dell'opera di Gesù, ma la vera causa in realtà è altrove, nel fatto cioè che ogni cosa è in mano sua. Il Padre gli ha dato ogni potere e tutti sono nella sua mano, perchè dia ad essi la vita eterna. Inoltre la vera causa sta nel fatto che proprio per compiere quest'opera egli è uscito da Dio, dopo la quale egli lorna a Dio. Proprio per realizzare quest'opera il Padre gli ha dato tutto nelle mani. Paradossalmente l'opera di Gesù è voluta contemporaneamente da Dio e da Satana, ma per motivi opposti. Da Satana è voluta perchè abbia come effetto la sopressione di Gesù, dal Padre è voluta perchè dia la vita eterna a coloro che egli gli ha dato. In questa prospettiva l'opera di Gesù si risolve per Satana in giudizio di condanna: egli è gettato fuori (12,31 ). In questo giudizio di condanna è coinvolto anche Giuda che, avendo accolto nel cuore il desiderio del diavolo ( 13,2), è diventato anche lui diavolo (6,70). L'esclusione giudiziaria di Giuda, divenuto din1ora di Salana ( 13,27), è descritta in 13,30: subito uscì: era natie.

3. Sintesi conclusiva

Possia1110 adesso tracciare a grandi linee conclusive una sintesi completa di tutto il brano di 13,1~5. E' ormai imminente la festa di pasqua. Essa consiste nel passaggio di Gesù da questo mondo al Padre, e Gesù è cosciente che orn1ai è il mon1ento di operare tale passaggio. Non lo opera però da solo, 1na con i suoi che sono nel inondo: con i suoi egli passerà al Padre. Passare da questo n1ondo al Padre assic111e ai suoi, operando quasi un nuovo esodo: proprio questa è l'opera che il Padre gli ha dato da co1npicre, per la quale da Dio è uscito ed è venuto nel inondo. Quest'opera è giù iniziata fin dall'incarnazione e dalla elezione dei suoi dal inondo, 1na ora deve essere portata a con1pin1ento: i suoi che nel mondo debbono passare da questo mondo al Padre con Gesù. Da questo passaggio Giuda è escluso.


La lavanda dei piedi

77

Perché i discepoli possano operare tale passaggio, Gesù deve abilitarli a camminare nella strada che lui stesso apre. Per questo con1pie una serie di azioni che si1nbolica1nente ricalcano tutto il suo cammino dalla passione fino al dono della propria vita. Esso determina due effetti: il raduno della comunità ecclesiale attorno a lui, il dono dello Spirito, mediante il quale, nel simbolo della lavanda dei piedi, abilita i discepoli ad un cammino. In effetti il cammino al quale Gesù abilita non è ancora il ca1nn1ino pasquale con Gesù verso il Padre, ma il ca1nn1ino verso Gesù. Al Padre non possono andare senza di lui, ma prima debbono andare a lui: a questo Gesù stesso li abilita 111ediantc il dono dello Spirito 525 . La lavanda dei piedi rientra nel co1npin1ento dell 1opcra di an1ore, rna non è ancora J1ulti1no stadio, bensì un passaggio

intenncdio. I discepoli così sono abilitati a un camn11no verso Gesù. Questo

can11nino è il can11nino dello Vrr68ELyµa che esige il lovarsi i pie{/i a vicenda, il cammino della ivrn?.1 che prescrive l'dyam.iv d,\A1Aovs-. E' il ca1n1nino cli sequela t!i Gesù, nel quale i discepoli si n1anifeslano come tali. Dove culinina questo can1mino? Non ancora a Gesù. C'è un tennine intermedio: Gesù infatti ha preso il

ÀÉPTLOV

e di esso si è

cinto. Gesù si è rivestito della conu111ità ecclesio!e: in essa perciò bisogna entrare. Gesù stesso, che, nel simbolo della lavanda dei piedi, ha abilitato al can11nino, adesso, nel si1nbolo di asciugare con l'asciugatoio di cui è cinto, inserisce nella comunità ecclesiale. L'inserin1ento dei discepoli nella comunità ecclesiale è un terrnine, 1na non il tern1ine del ca1n1nino. Il vero tcr1nine è Gesù e, attraverso di lui, il Padre. Solo che, per raggiungere Gesù, i discepoli debbono inserirsi nella co1nunità ecclesiale perchè lì è Gesù, essendo di essa rivestito.

525 Si noti la prospettiva lrinitaria: al Padre si va con Gcsl1, ina a Gesl1 si va abililalì da lui stesso 1necliantc lo Spirito.


78

Attilio Gangemi

Nella comunità ecclesiale i discepoli raggiungeranno Gesù. Ciò però dal nostro testo non è nemmeno simbolicamente descritto, ma solo insinuato nell'ultima frase perifrastica: di cui era cinto, mediante la quale si indica la relazione del ÀÉvnov a Gesù. li nostro testo perciò si ferma al simbolo dell'inserimento dei discepoli nella comunità ecclesiale. Nelle parti seguenti del c.13 la prospettiva retrocederà ancora ritornando, fin dal dialogo tra Gesù e Pietro, al problema della lavanda dei piedi. In questa prospettiva il nostro testo rimane incompleto. Si desidera il raggiungimento di Gesù da parte dei discepoli. In questo senso la descrizione di 13,2-5, nell'inserimento simbolico dei discepoli nella comunità ecclesiale, non esaurisce I' d,; TÉÀoç rjyd777JCfEV di 13, I. Il nostro testo ha bisogno così di essere completato. Un primo testo che completa è 15,9.1 O, dove Gesù ripropone la sua opera cli amore (Kayw rjyd777JCfa vµaç ), fondata sull'opera di amore del Padre verso di lui, e fondamento e termine dcl cammino dei discepoli:

rimanete (µàmn) nell'amore (aydJT!)) il mio. L'opera di amore di Gesù esige che i discepoli rin1angano nel suo amore: cioè esige che i discepoli pervengano e permangano nell'amore cli Gesù come termine del loro cammino sulla via dell' €vrn,\rj. In questo testo in nessun n1odo si accenna alJlinserimento nella comunità eccelesiale, Tna direttamenle si descrive il radica1nento 111 Gesù. Non c'è dnbbio però che rispetto al nostro testo esso segni un progresso. Il nostro testo simbolicamente descriveva l'inserimento dei discepoli nella con1unilà ecclesiale orientata però a Gesù; 15,9. IO parla dell'inserin1cnto in Gesù.

Possiamo dire che nella prospettiva cli 15,9.10 i discepoli hanno raggiunto Gesù e, sen1pre in questa prospettiva, l'opera di atnore di Gesù è vcra1nente giunta al suo TÉÀD5'. Da questo testo in poi infalti il


La lavanda dei piedi

79

verbo àyaTTéiw non sarà più usato come diretta descrizione dell'opera di Gesù 526 . Se con 15,9.10 si può dire che è completa l'opera di amore di Gesù, non si può dire che sia concluso il cammino dei discepoli. Essi debbono arrivare al Padre e Gesù stesso, in 15, I O, che è pur termine del loro can1111ino, è orientato verso il Padre: rin1ane infatti nel suo

amore. Il vero termine del cammino dei discepoli è delineato nel c.17, dove il verbo dymraw, usato 4 volte nei vv.23-26, non ha più come soggetto Gesù, ma il Padre, con due oggetti parallelamente descritti"': certo Gesù (vv.23.24.26), ma anche discepoli"'. Essi hanno raggiunto il Padre, e in ciò hanno conseguito la vita eterna (cfr. 17,3). Per i discepoli si è attuato il grande passaggio pasquale con Gesù, di cui si parla in 13, J 52'>. Un ulti1110 aspetto non trascurabile n111ane ancora da considerare. Con1e ho ripetutamente notato, il banchetto si svolge durante la cena (8El1Tvov ytvoµÉvov). Già basta questa osservazione a rivelare che la prospettiva del nostro testo non è completa. Si desidera infatti un inizio del banchetto e un termine del banchetto. Ritengo che l'inizio debba essere cercato in 12, 1-8 e la sua conclusione in 21,9-14. Qui mi limito solo a qualche suggestione: questo aspetto infatti esigerebbe specifica considerazione.

526 Si leggerà ancora in I 5, J 2, 111a non più con1e dirella descrizione, 111a co1nc confronto, 1nodcl!o, cmisa, punto cli partenza (Ka0cJ5'). Il testo di ! 5, 12 sta in relazione a 13,34: in cntran1bi i testi l'accento fonda111entale non sia sull'opera di Gesl1, n1a sulla ÉPToÀrf clcll' dyarrèiv dAArjÀoVS' che i Jisccpo!i debbono osservare . .'in Cfr. l'espressione dcl v.23 concenlrieainenle strutturata con al centro la con1parativa Kaeu55': T,ydrrryad aVToVS' Ka0WS" ɵE T,ydrrryaaS" 28 ·" Tullo il c. J 7 si potrebbe definire co1ne il grande afridainento dci discepoli al Padre da parte di Gesli, il passaggio dalle sue inani a!le rnani del Padre (crr. 10,28.29). 529 Storìcan1ente Gesli torna al Padre ne! n1istero della sus Ascensione, che Giovanni non descrive, n1a che certo non ignora. I discepoli invece sono ancora nel inondo, perchè nel inondo hanno ancors una rnissione da co1npiere (cfr. 17 ,21.23), da Gesù inviali (cfr. 17,18). Essi però orinai sono nelle 111ani del Padre, al quale Gesl1 chiede di custodirli dal 1naligno (cfr. 17,15)


Attilio Gangemi

80

Ho avuto n1odo pure di notare come il tern1ine 8Elrrvov, prin1a di 13,2.4 si legge solo in 12,2, nell'espressione iniziale ÉJToiT)oav a&rifi &!JTvov, poi non sì leggerà più fino a 21,20, dove l'autore, rievocando

l'azione del discepolo in 13,23-25, specifica che avvenne €v

TVJ

BEL rrvrp-".l0 • Ho avuto 1nodo già di notare la relazione tra i I nostro testo e 12, 1-8. In entrambi è menzionata la pasqua, ma il nostro testo determina un progresso: da sei giorni prima (12,1), ci riporta all'im1ninenza5"' 1• In 12, l si introduce una indicazione di luogo, a Betania, specificando l'evangelista che sì tratta del luogo dove era Lazzaro che Gesù resuscitò da 1nortc.

Nel v. 2 si introduce la menzione del banchetto (broiT)aOI-' aifri/J &irrvov), fecero a Gesù un banchetto. L'evangelista non dice chi fece

questo banchetto: verosi1nihnente furono le persone 1ncnzionatc nel contesto, 1na preferisce espri1nersi con un generico in1pcrsonale

€rrol77aav, che però insinua un altro soggetto, riferendo i personaggi ad altre azioni. Di Marta 1nenziona infalti una azione dinan1ica, serviva (8LTJK6vEL), di Lazzaro descrive una posizione statica) "era uno di quelli che erano a tavola con. lui''. Nel v.3 introduce l'azione di Maria nei confronti dei piedi di Gesù.

C'è una son1iglianza di azione tra razione di Maria e quella compiuta in 13,4.5, ma c'è una differenza di prospettiva: rispetto ali' azione di Maria, Gesù è oggetto, in 13,4.5 sarà invece soggetlo di una azione analoga verso i discepoli. Le due azioni coincidono nel secondo aspetto, asch1gare5 -' 2 , divergono invece nel primo: l'azione di

5.1 11 Mentre rievoct1 l'azione di J 3,23-25, l'evangelista riprende un tern1ine usato in 13,2.4. Se1nbra che l'autore voglia <inche <illudere al banchetto, il cui divenire

è indicalo in 13,2.4. Si può anche pensare che il lennine 8Elrrvov costituisca una grande inclusione a tutta la parte eia I 3, 1 a 21,25. 5·' 1 Pri1110 de!lofesto di 5.1 2 In enlrainbi è usato

pasquo. lo stesso verbo ÉKµdaa6.J.


La lavanda dei piedi

81

Maria non è quella di lavareSJ', bensì di ungere"". Inoltre cambiano gli elementi: non l'acqua, ma l'unguento, non il ÀÉvnov ma i capelli. Più di metà del racconto dell'evangelista è dedicato a descrivere la reazione di Giuda nei confronti dell'azione di Maria e la conseguente risposta di Giuda: questo testo concorda con il nostro nel fatto stesso della menzione di Giuda, diverge totalmente nella prospetti va. Ciò che è essenziale al nostro scopo è la menzione stessa dell'inizio del banchetto, l'azione analoga ma contraria di Maria e la prospettiva ancora lontana della pasqua. Quanto alla descrizione del banchetto sul lago (21,13), abbiamo a suo te1npo notato la relazione e l antitesi tra l'azione di Gesù verso i discepoli in 21,13 e l'azione di Gesù verso Giuda in 13,26rn L'azione di Gesù con il pane in 21,13 appare come il culmine di tutto un cammino che parte dai vv.4.5, ma che può risalire fino al v. 1. Qui l'azione di Gesù si ferina; dopo, nel v.15, non senza relazione 5-'(', ma anche con separazione, l'evangelista introduce il triplice dialogo tra Gesù e Pietro nei vv.15-17. Riassumendo, abbiamo tre prospettive: I. linizio del banchetto (12,lss) 2. il divenire del banchetto (13,2) 1

53 ·1

Cfr. 13,5:

v{lTT(JJ.

53 .i

Cfr. 12,3: d>..Efif;w. 5.-i 5 Un altro ele1nento di relazione pui:i essere costituito dall' espressione "risorto da 111orte". Il verbo ÉyE(pw si legge diverse volte nel vangelo cli Giovanni, rna l'espressione ÉyE{pw ÉK VEKpWv si legge solo tre volte, in 2,22, in 12, I, e in 21, 14, precisarnente all'inizio, al centro e alla fine dcl vangelo. La pritna e !a terza volta (2,22; 21,14) i! verbo iyE[pw è espresso al passivo ed è riferito a Gesù, la seconcln volta ( 12, 1), è all'attivo cd è riferito a Lazzaro. Facil1ncnte l'espressione cli 12, l richia1na 2,22 e 2l,14: 2,22: Oré ... rjyÉpBry €K VéKpWv

! 2, I: OrE !fyEtpEv

€K VEKpWv

21, 14: ÉyEpBél5'

ÉK VéKpWv

5 16 ·

Cfr. l'uso cli dptcrrdw in 21,12 e 21,15.


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3. il dono di Gesù del pane, caratterizzato non dal termine &irrvov, ma dal verbo apwTaUJ (21,13). L'inizio del banchetto è in prospettiva distanziata dalla pasqua; il divenire del banchetto è in prospettiva ravvicinata della pasqua; nel contesto dell'azione di Gesù di 21,13, Pasqua non è menzionata, ma nel contesto immediatamente precedente si legge una espressione che richiama la professione di fede pasquale 6 Kvpu'c €oT1v (v.12Y" c nel contesto immediatamente seguente (v.14) è esplicitamente menzionata la resurrezione di Gesù. Tra questi due elementi è menzionato il dono del pane nel v.13: dal testo si riceve la suggestione che la vera festa pasquale sia proprio lì, e quello del v.13 è il vero banchetto pasquale dei discepoli'"· Ancora, l'inizio del banchetto (12,1) è legato all'azione di Maria che unge e asciuga i piedi di Gesù, il divenire del banchetto ( 13, I) è legato ali' azione di Gesù che lava e asciuga i piedi dei discepoli, l'azione di Gesù (21,13) non è legata ad alcuna azione, ma essa stessa è il culmine delle azioni precedenti. Si ottiene il seguente progresso, parallelo al progredire del banchetto: I. Maria unge e asciuga i piedi di Gesù 2. Gesù lava e asciuga i piedi dei discepoli 3. al termine di un cammino dei discepoli Gesù dona il pane. Ma fermiamo l'attenzione sul dono del pane di 21,13, che, come ho detto, appare come il cuhnine dì una vicenda che con1incia

537

Cfr. i! 1nio studio op. cit., 350-356. 5·18 Si può notare co1ne nel vangelo il tcnninc rrdaxa riinanc quasi sospeso. Da 13,1 in poi !a pasqua è 1ncnzionnta allre volte, due volte con riferi1nento alla festa dei giudei ( 18,28,29), la terza volta nel contesto della proclainazione cli Pilalo ( J 9, 14) è 1nenzionata nella prospettiva della rrapaaK€vlf. Seinbra che in 19,14 si detennini un progresso rispetlo a 13, 1. Si ha così il seguente progresso: 12,1: sci giorni prin1a della pasqua ! 3, I: pri1na della festa di Pasqua 19, 14: parasceve della pasqua Ma !a festa stessa di Pasqua non è descrilla. Ritengo che debba essere cercala nppunto in 21, 13.


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dall'esperienza di Gesù nel v.4, ma che risale fino al v. l'w In tutto il racconto si possono notare due cammini: il primo che parte dalla deliberazione di Pietro (v.3a) e si conclude con l'insuccesso (v.3b), il secondo che parte dall'esperienza di Gesù (v.4) e culmina nel pieno successo (v.8). In questo cammino si intrecciano le vicende di Gesù, dei discepoli, del discepolo, di Pietro, della barca, della rete dei pesci. Il v.9, mediante l1espressione 11 co111e scesero alla terra", ambienta tutta la vicenda di un cammino già compiuto. Si nota un 1novi111ento Gesù-centripeto, o più diretta1nenle terra-centripeto, ma sulla terra c'è Gesù. I discepoli con la barca scesero a terra (v.9: Eis- Ti/v yl)v), Pietro tira a terra (éi5' njv yl)v) la rete. Della rete si indicano tre cose: la sua unità (To i5ilcrvov), la sua completezza (piena di pesci grandi, 153), l'acquisizione irreversibile della sua inscindibilità (oùx lox{aBry). li cammino a Gesù è completo; segue la sua azione con il pane (v.13). Tra il complela1nento del can1mino a Gesù e l'azione di Gesù, è espressa la convinzione acquisita, che richiama la professione di fede pasquale, che il Signore è. A Gesù arriva il rò 8ù<rvov nella

sua

completezza. Nel mio studio precedente già citato"", ho stabilito una relazione tra il ro i5ùcrvov e I' 6 x1rwv ( 19,23.24). Le due immagini, con le relative descrizioni, si intrecciano l'una nell'altra. Nel presente lavoro ho stabilito una relazione tra il Mvnov e l' 6 x1rwv. Si può stabilire anche una relazione tra le tre immagini, il Mvnov, l' 6 XLTWV, il ro

i5ùcrnov; I' 6 x1rwv sembra essere il punto a cm le immagini del ÀÉVTLOV

e del

TD 8fKTvov

convergono 541 •

53 'lPeruna esegesi pili coinplcla rirnando ancora al 1nio studio op. cii., 357-

378. 5.m

Cfr. ihid., 325-340. Si può insinuare tra le tre irn1nagini un progresso inverso nella loro relazione a Gesù. Del rO 8{Krvov la relazione a Gesli esplicitan1ente non è espressa, rna è indicata la relazione alla terra, benchè nella terra ci sia Geslt. Nc1n1neno dcl 541


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Tutte queste relazioni ci permettono di accostare le due narrazioni di 13,1-5 e di 21,9-14 e di concludere che esse sono complementari. In 13,1-5, stando alla nostra interpretazione, nel contesto del divenire del banchetto, Gesù compie un'opera che determina il cammino dei discepoli che culmina nel Mvnov; in 21,9l 4 c'è un cammino dei discepoli proteso verso la rete che Pietro tira a terra, al termine del quale Gesù compie l'azione del pane. Ritengo che 13, 1-5 e 21,9-14 espnmano, con diverso linguaggio, con diversa prospettiva, con diversi intrecci, un can11nino dei discepoli che parte dalla azione di Gesù di lavare piedi e culmina nell'azione di Gesù di donare il pane. Nei testi di 12, 1ss, 13, 1ss, 2 I ,9ss, sono perciò descritti tre 1nomcnti cli un grande banchetto con un suo inizio, un suo divenire, un suo cuhnine. Il divenire del banchelto concorda con una azione di Gesù mediante la quale egli abilita i discepoli ad un cammino. Il termine del banchetto coincide con l'azione di Gesù di donare il pane. li dono del pane segna il vero culmine del banchetto. Ma qual è il senso dell'azione di Maria in I 2,2ss? La risposta non è facile: si esigerebbe una accurata analisi dell'azione in se stessa e nello sfondo di tutto il c.12. Si può intendere però l'azione di Maria come la sottomissione di fede'" della sposa al suo Signore"'· Si può XlT(:iv la relazione a Gesù è espressa, 1na, in prospettiva più ravvicinata, è insinuat<1

nella decisione ciel soldati ( 19,24) dì non scinderla, 1na di tirare a sorte (per vedere) di chi è. Lu relazione dcl ÀÉVTlOV a Gesl1 in 13,4.5 è direttainente espressa; di esso Gesù è

cinto. 542

Sorprende il tennine 1naTlKir; che caratterizza il tern1ine f/dp8ov. Ii tenninc

TTtaTtKip- è unico in tutta la grecità, 1na si legge anche in Mc 14,3. In enrrarnbi i testi il tennine non solleva proble1ni dì critica testuale. In qucsro passaggio Giovanni non è lontano da !Vfarco;

Mc 14,3: Exovaa dAdf3aaTpov µVpov vdp8ov TTtarun],- rroÀvTEÀoiJ:; Gv I 2,3: Àaf3oVcra ).,{rpov

µ(pov vdp8ov TTLaTLKip TTOÀVTEÀoiJ:;

L'espressione µVpov vdp8ov rnaTtKir; è identica nei due testi. Tutli gli <:1ltri ele1nenli divergono. E' probabile che Giovanni abbia ripreso l'espressione da Marco, n1a in 1nodo tale eia evidenziarla, !asciandola intatta e introducendo delle n1utazioni contestuali. Se Giovanni prese questa frase da Marco e la lasciò intalla, c'è da pensare che lo abbia fallo per il tcnnine rrtcrTtKir;, la cui radice ri1na11cla alla fede (TTfcrTt:;). ln questo n1odo il noslro evangelista avrebbe voluto dare il senso all'azione di Maria.


La lavanda dei piedi

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dare così alla scena un senso ecclesiale'": la chiesa, con la sua sottomissione di fede, rende vivo il Signore, risvegliandolo guasi dal suo sepolcro 5·15 .

4. Conclusione Non senza trepidazione propongo gui la mia conclusione che, almeno in quest'ultimo aspetto, avrebbe dovuto essere suffragata da più approfondita analisi. C'è un banchetto! Esso non si limita ad un solo fatto concreto, ne1n1neno liturgico-sacramentale, 1na si riferisce a tutta la vita globale ecclesiale. II ca1n1nino della chiesa viene così riletto come un banchetto, non in modo slatico, 1na in un divenire dinamico, fino al suo culmine, in cui Gesù dona il pane. Questo culn1ine pare coincidere con la festa di pasqua. Il primo momento di questo cammmo ecclesiale, che corrisponde all'inizio del banchetto, coincide con l'inizio della chiesa che riconosce in Gesù il suo Signore, a lui si sottomette e lo rende presente, quasi risvegliandolo dal suo sepolcro. Il secondo momento, che corrisponde al divenire del banchetto, coincide con l'azione di Gesù stesso, che lava i piedi, abilita ad un can1mino di a1nore vicendevole, inserisce, affidando quasi, nella 54 -~ Si può richiamare Ct l,!2 e anche Ct 4,!0.11.14; 5,5. 544 L'azione di Maria ~i può collocare in un contesto fe1n1ninilc pili an1pio nel vangelo di Giovanni, anche nccufataincnte studiato, secondo il seguente sche1na: I. (2, 1-11 ): la donna - n1adre 2. (4,7ss): donna (San1arilana) 3. (c. I J ): Marta - Maria 4. (12,1-8): Marta -Maria 5. ( 19,25-27): la donna - 111adre 6. (20, 1-18): donna (l\1addalcna) Prescindendo dalla do1111a - 111adre, le altre figure sono diversainente relazionate a Gesù: La Sainaritana e la l\1addalena sono persone a cui è rivolta la 1nanifcstazione di Gesù; l\1arla e l\1aria sono soggetto di una azione verso Gesù, rispettivan1cnte la professione di fede (Marta; 11,27) e l'unzione (Maria; l I, I s; l 2,3). E1nerge una con1ple1nentarietà di relazioni. 5 5 ~ Nel v.7 l'unguento e la stessa azione di Maria sono relazionate alla sepoltura.


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comunità ecclesiale. Corrisponde questo momento al Battesimo e al cammino che dal battesimo prende mossa? Il terzo momento coincide con l'azione di Gesù di donare il pane, vero culmine di tutto il cammino. Fede della chiesa, abilitazione forse battesimale di Gesù a compiere un cammino, dono del pane da parte di Gesù, sono tre momenti di un grande cammino ecclesiale, visto come un grande banchetto che si svolge, verso il suo culmine che è il dono stesso del pane da parte di Gesù. In questo banchetto del pane però manca il vino. Abbiamo notato la relazione tra 21,12-14 e il c.2, soprattutto l'episodio di Cana. Lì probabilmente deve essere ricercato il vino. Così vino (21,1-11) e pane (21, 12-14) costituirebbero una grande inclusione sacramentale eucaristica a tutto il vangelo di Giovanni 546 • Prescindendo però da quest'ultima problematica più ampia, il pane da Gesù donato in 21, 13 appare come il termine del cammino al quale Gesù in 13,5 ha abilitato. Ma non è nemmeno il pane in se stesso il vero termine del cammino. Altri passaggi ancora, a partire dal pane, si possono evidenziare. Nel c.6 Gesù ribadisce la necessità di 1nangiare il pane che lui dà per non 111orire (v.50) e vivere in eterno Cv.Sia). li pane che egli dà si identifica con la sua carne (v.Slb) e chi n1angia la sua carne e beve il suo sangue, ha la vita eterna (v.54). Nel v.56, al 1nangiare la carne di Gesù e bere il suo sangue è assegnato un altro effetto, espresso con le parole 11 rilnane in nie e io in lui". Queste parole ci rimandano a 15, 1-8, dove Gesù, nel contesto della metafora della vite e dei tralci, esorta:

11

rhna11ete (µEÙ/GTE)

5

in 1ne e io in

~(, Nell'episodio di Cana, il tcnnine canHlcristico s riguardo è ydµos- (2, 1.2.3). Si ottiene il seguente prospetto: I. ydµo5'- ydµ1p - ydµo5' (2,1.2.3)

2. 8€[ TTVOV (12, 1) 3. OEl TTVOV

(

13,2)

4. dptaTdw-dptaTdw (21,12.15) Prescindo però da ulteriore determinazione di senso.


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voi(v.4)". Per altra via, quella del pane, si arriva al rimanere nell'am.ore di Gesù. Adesso il cammino è veramente completo e Gesù ha abilitato i discepoli a camminare nell'amore vicendevole. Essi pervengono e sono inseriti nella comunità ecclesiale, lì trovano Gesù-pane, ne

mangiano, rimangono in Gesù e Gesù in loro, rimangono nel suo amore.

Nel fatto che i discepoli pervengono e permangono nell'amore di Gesù, trova pieno compimento (El5' TÉÀo5') la sua opera di amore. I discepoli hanno veramente raggiunto Gesù; la via al Padre è a loro palese, la posseggono e si trovano radicati in essa (cfr. 14,6). Con Gesù possono veramente celebrare la festa di pasqua: operare il passaggio da questo mondo al Padre.



Synaxis XV/I (1997) 89-116

FEDE CRISTIANA ED ESPERIENZA UMANA IN S. TOMMASO D'AQUINO

FRANCESCO VENTORJNO'

I. Sigl1ljicato dell'esperienza umana La parola "esperienza" deriva dal latino ex-periri, composto di ex rafforzativo e un verbo non usato, periri (= far esperienza), di significato simile al sostantivo greco peira (= prova, saggio) e, perciò, essa indica «la conoscenza e la pratica delle cose, acquistata attraverso prove fatte da noi stessi o per averle viste fare da altri, conoscenza del mondo e della vita»'· L' es1Jerienza suggerisce dunque un metodo, anzi il nzetoclo attraverso il quale la realtà ci introc/uce nella sua verità, in quella verità di ciascuna cosa che, co1ne dice Avicenna, «è la ]Jroprietà del suo essere, quale le è stato assegnato» 2 • S. Tommaso d'Aquino sostiene che l'esperienza è quella conoscenza che a lungo anllare si acquista dalle cose: «Cognitio per experientiam longi temporis est accipientis scientiam a rebus, quia ex multis rne1noriis fit unum experin1entu1n»3. E altrove scrive che:

* Professore di Filosofia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 CORTELLAZZO - ZOLLI, /Jizionario etù110/ogico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1980, 399. 2 AVICENNA, Metafisica, 8, c. 16. 3 S. TOMMASO D'AQUINO, In li Se11te11tiaru111, 7, 2, 1, ag. 4.


Francesco Ventorino

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«experimentalis cognitio est discursiva, ex multis enim memorns fit unun1 experimentu1n, et ex inultis experiinentis fit unum universale» 4. L'esperienza sensibile, dunque, annullcia qualcosa della realtà, che poi l'intelletto apprende e afferma nel giudizio'; anzi nessuna nozione intellettiva può formarsi se non a partire dalla conoscenza offertaci dai sensi. Tommaso condivide, infatti, la posizione di Aristotele, secondo il quale «intellectum humanum esse sicut tabulam in qua nihil est scriptu1n», per cui noi non possiamo conoscere nulla intellettualmente <misi ex praeceptis a sensu ad intelligendum n1anucluca1nur» 6 ; il che esige una sorta di continua conversione alla presenza sensibile'. È per la virtù dell'intelletto che l'uomo procede poi a conoscere, attraverso gli effetti constatati, le loro cause e, attraverso le cause, gli effetti 8 • E così «ex experientia JJarticularitun, quae pertincnt ad sensitivam parte111, accipùnus scientian1 universa!is in intellectu» 9 • La conoscenza della verità consiste, dunque, nel conjòrn1arsi dell'intelletto a quella realtà, che in qualche modo è annunciata dall'esperienza sensibile, ma che solo dall'intelletto può essere conosciuta ed affermata:

~ID., S11n1111a 111eo/ogiae, I,' 58, 3, 3. 5 «Unde per hoc quod scnsus ita 1111111ia111 sic11t r(/]ici1111t11r, sequilur quod non decipiarnur in iudicio quo iudicmnus nos senlire aliquid. Sed ex eo quod sensus a!itcr nfficitur inlerdu1n qumn res sit, scquitur quod 1111ntiet nobis aliquando re1n aliler qurnn sit. Et ex hoc fallimur per sensurn circa re1n, non circa ipsurn sentire» (ibid., I, [ 7, 2,

ad I). 6

7

Io., ln JV Se11te11tianm1, 50, I, I, c. Cfr. ID., 111 111 Sententianon, 14, I, 3, ad 4.

8 «Scientia reruin acquiri polesl non solu1n per expcricntimn ipsan1111, scd etian1 per expcricntiain quarundan1 aliannn rerun1, curn ex virtulc lu1ninis intellectus agcntis possit hon10 procedere ad intcl!igcnduin effectus per causas, et causas per efreclus, et sirnilia per si1nilia, et contraria per contniria» (Io., S11111111a T!teofogiae, 111, 12, 1, ad

I) 9 lo, /11 fibro.1· Physicon1111, 7, 6, 5. «Aristotclis aute1n opinio est, quod scienlia rit in ani1na per hoc quod species intcl!igibiles, abslractac per intellectu111 agcnten1, recipiuntur in inLellectu possibili, ut dicitur in 111 De anilna. Unde et ibide1n clicitur quocl intel!igcrc est quocldain pati» (ibid., 7, 6, 8).


Fecle cristiana ed e.sperienza u1nana in Tonunaso cl'Aquino

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«Siccon1e ogni cosa è vera secondo che ha la .fonna conveniente alla propria natura, l'intelletto, considerato nell'atto del conoscere, sarà verace, in quanto ha hJ. sé l'in11nagine della cosa conosciuta, perché tale in1n1agine è la sua fonna nell'atto del conoscere. Per questo n1otivo la verità si definisce per la confonnità de!l'intelfelto alla realtà, e quindi conoscere tale confonuità è conoscere la verità. Tale confonnità il senso non la conosce affatto: per quanto infatti l'occhio abbia in sé l'im1nagine del1'oggetto visibile, pure non afferra il rapporto che corre tra la cosa veduta e quello che esso ne percepisce. L'intelletto, invece, può conoscere la propria conformità con la cosa conosciuta» 10 .

L'esperienza è per l'uomo, dunque, fonte di certezza 11 e, perciò, aumenta la SJJeranza e toglie il tin1ore e così rende l'uo1no più sicuro ed esperto nell'agire". Da questi presupposti s. Tommaso trae la conseguenza più i1nportante, cioè la convenienza per l'uotno del!' avvenimento dell'Incarnazione. Scrive, infatti: «Ut essct fncilis n1odus asce11de11di in Deun1, decuil ut ho1no ex his quae sibi cognita su11t, tam secundurn intcllectu111 qua secundutn affectu111, in Deun1 consurgerel. Et quia hon1ini co1111a111ra{e est sccundurn statu1n

JO Io. S11111111a Theologiae, I, 16, 2, e: ««Cu1n auten1 011111is res sit vera secu11d11111 quod habet propria111 for111a111 naturae suae, necesse est quod i11te//ectus, inquantu1n est cognosccns, sit Fer11s i11q11a11tu111 habet shnifit11dine111 rei cognitae, quac est forn1a eius inquantu1n est cognosccns. Et propter hoc per co11fon11itate111 intel/ectus et rei veritas dejù1i111r. Unùc co11fon11itate111 ista111 cognoscere, est cogno.scere veritafe111. Hanc aule1n nullo n1odo sensus cognoscit: licct eni1n visus habent si1nilitudinc1n visibili~, 11011 tc1111e11 cognoscit co111paratione111 quae est inter ren1 visarn et id quod ipse apprehcndit dc ca. Intcllectus auten1 confonnitatc1n sui aù rc1n intelligibi!en1 cognoscerc potest». Il Cfr. ibid., 11-11, 60, 3, c. 12 «Expcrientia facit hon1inen11nagis pote11te111 ad operandu111, ideo, sicut auge! spe111, ita dù11i1111it fi111ore111» (ibid., !-Il, 42, 5, ad I). E altrove: «Spei obicctun1 est bonurn arduu1n futurutn possibile adipisci. Potest ergo aliquiù esse causa spei, ve! quia facit ho1nini aliquid esse possibile, ve! quia facil eum existÌlnare aliqliid esse possbile. Pri1no n1odo csl causa spci 01nnc illud quoù auget potestate1n hon1inis sicut [ ... ], ctia1n expcrientia, nain per expcrientiarn ho1no acquirit .fac11ltate111 a/iquid de facili facienti, et cx hoc scquitur spcs» (ibid., 1-11, 40, 5, c.).


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praescntis rniscriae, ut a visibilibus cognitionen1 capial et circa ea efficiatur, ideo Deus congrue/Iter visibilis factus est, hurna11a111 11arura111 assu111endo, ut ex visibilibus in inivisibiliun1 a111orern e/ cognitioneni rapia11111r» 13 •

Riflettendo poi sull'atto della propria conoscenza, l'uomo risale a se stesso (re(/it ali essentiani suan1) 1. Nel conoscere, infatti, egli capisce di essere intelligente" e si comprende come desiderio naturale e/; vedere Dio: 1 •

«Il desiderio naturale di conoscere insito in ogni creatura razionale ha per oggetto lulte quelle cose che sono necessarie alla sua perfezione intellettuale; e sono precisan1cnte le specie ed i generi delle cose e le loro cause, e tutte queste cose vedrà chiunque contempli la divina essenza. [... ]

Del resto se 11110 conoscesse soltanto Dio, fonte e principio di tutto l'essere e di ogni verità, appagherebbe tal111ente l'innato desiderio di sapere, che nien!'altro più cercherebbe e sarebbe beato. Perciò s. Agoslino dice: 'Infelice J'uorno che conosce tutte quelle cose (cioè le creature), c te [, o Diol non conosce; beato, invece, chi conosce te, anche se quelle ignora. Chi poi conosce te e conosce anche quelle, non per quelle è più heato,

n1a

per le solo è bcato» 16 .

n ID., /11 fil Se111e11tiaru111, I, !, 2, c. 1 ~ Cfr. Io., S11111111a Theofogiae, I, 14, 2, ad I. E ahrove: «Quanturn igitur ad aclualcin cognitione1n, qua aliquis se in actu considerat sniinan1 habcre, sic dico, quod anin1a cognosciutr per sctus suos. In hoc eni1n aliquis percipit se animain habere, et vivere, et esse, quod pcrcipit se sentire et intelligere et slia hiusinodi vitae opern exercere» (Quaestiones di,1putale de Veritate, I, IO, 8, c.). 15 «Et sic intclligit seipsu1n per speciem intelligibile1n, sicut et alia: rnanifesturn est eni1n quod cx eo quod cognoscit intelligibile, intelligit ipsu111 suu1n intelligcrc, et per actu1n cognoscit potentian1 intcllectiva1n>> (ID., S11111111a Theofogiae, I, 14, 2, ad 3). 16 lbid., I, 12, 8, ad 4: «Nalurnlc desideriun1 nitionalis crcaturae est ad sciendu1n oinnia illa quac perlincnt ad perfcctionen1 intellectus; et haec sunt species el genera rerun1, et ralioncs earun1 quae in Deo videbit quilibet vidcns essentian1 divinan1. [... J Si ta1nen solus Deus viderelur, qui est fans et principiu1n Lolius esse el vcritatis, ila repleret nalurale desidcriuin scicndi, quod nihil ali ud quucreretur, et bcatus essct. Unde dicit Augustinus, V Confess.: !11/e/ix '101110 q11i scii 0111nia iffa (scilicet creaturas), te aute111 nescit: beatus a11te111 qui te scii, eria111 si iffa nesciat. Qui vero te et iffa novit,


Fede cristiana eri esperienza u111ana in Tonunaso cl'Aquino

93

2. L'esperienza della fede

È su questo desiderio naturale che si fonda per s. Tommaso d'Aquino l'esperienza della fede cristiana. Infalli, da quanto detto deriva che l'uomo tende naturabnente ali un fine che non JJUÒ conseguire con le sue forze naturali: «la pe1fefla beatitudine de/l'uon10 consiste, e lo abbia1no già visto, nella

visione de/l'essenza divina. Ora, vedere Dio per essenza non è al di sop1r1 soltanto della natura dell'uo1no, 1na di qualsiasi creatura co111e già fu din1ostrato nella Prùna Parte. Infatti la conoscenza naturale di una qualsiasi creatura segue il 111odo della sua sostanza i: ... J. Ora, qualsiasi cognizione che segua il rnodo di una sostanza creata, è inadeguata per la visione dell'essenza divina, che sorpassa all'infinito ogni sostanza creala.

Dunque né

/'1101110,

né un'altra creatura può

beatirudine co11 /e sue capacità naturalb>

17

conseguire l'ulti111a

11011 proptcr il/a beatior est, sed propter te solu111 beatus». E altrove: «Lil!i1na et perrccla bentitudo non potest esse 11isi i11 visione divinae essentiae. Ad cuius evidentian1, duo consideranda sunL Pri1no quidcin, quod ho1no non est perrecle bcatus, quandiu rcstat sibi aliquid desiderandu111 et quacrendu1n. Secunduin est, quod uniuscuiusque potcntiac pcrfcctio attenditur secundun1 ralioncn1 sui obiccti. Obieclun1 autc1n intellectus est quod quid est, idcst cssentia rei, ul dicilur in fil /)e A11i111u. Linde intantun1 procedi! perl'ectio inlel!cctus, inquantu1n cognoscil essentiain a!icuius rei. Si ergo intcllcctus aliquis cognoscat essentian1 alicuius cffcctus, per qumn non possil cognosci esscntia causac, ut sci!icet sciatur de causa quid est; non dicitur intcllectus auingcrc ad causa1n sin1plicìter, qua1nvis per effcctu1n cognosccrc possìt de causa (lii sir. Et ideo rcinanct naturalitcr hon1ini desideriun1 cu1n cognoscit cfrccluin, et scit eu1n habere causan1, ut etian1 sciat dc causa quid est. Et illud desicleriu111 esl adn1irationis, et causal inquisitionc1n, ut dicitur in principio Metapliys. Puta si aliquis cognosccns cclipsi1n solis, considera[ quod cx a!iqua causa proccdit, de qua, quia nescil quid sit, admiratur, et adrnirando inquirit. Ncc ista inquisitio quicscit quousque pervenial ad cognoscendu111 csscntian1 causac. Si igitur intellectus hu1nanus, cognoscens essentiain a!icuius erreclus creati, non cognoscat dc Dco nisi c111 est; nondu1n perrectio eius attingit sirnpliciter ad causan1 prin1a111, sed ren1anet ci adhuc naturale dcsidcriurn inquircnùi causain. Linde nonclu1n est perfecte beatus. Ad perrccta1n igitur bcatitudinc111 requiritur quod intcllcctus pcrtingat ad ipsa111 esse11tia111 pri1nae causae. Et sic pcrfcctioncrn sumn habebiL per unionern ad Dcu111 sicut ad obicctu1n, in quo solo bcatitudo ho111inis consislil, ut supra clicLun1 est» (ibid., 1-11, 3, 8, c.). 17 lbid., !-li, 5, 5, e: «Beatituclo ho111inis perfecla, sicut supra ùictun1 est, consislil in l'isione di\!Ùlae esse11tiae.Viclere autein Deu1n per essentia111 est supra 11at11ra111 non solu1n hoininis, sed e!ian1 01nnis creaturae, ut in Priino oslcnsun1 est. Naluralis cni1n cognitio cuiuslibct creaturae est secunduin n1odun1 subslantiae eius


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Per questo la fede presuppone la conoscenza naturale". L'uomo è costituito, dunque, dal desiderio naturale di vedere Dio, ma questo desiderio si può adempiere solo per grazia, per un libero e gratuito dono di Dio: «Deus ordinavit humana1n natura1n ad fine1n vitae aeternae consequendum non propria virtute, sed per auxiliuni gratiae»". Infatti, l'intelletto creato non può vedere Dio nella sua essenza, «nisi inquantum Deus per suo111. gratia111 se intellectui cr'eato coniungit, ut intelligibile ab ipso»"'In questo senso la fede è in noi l'inizio della vita eterna, in quanto ci abitua a questa conoscenza di Dio che è frutto della sua grazia 21 , e in essa comincia ad inoltrarci. La fede cristiana viene, dunque, presentata come la grazia che soccorre quella indigenza costitutiva dell'uomo, per la quale egli non riesce da sé a soddisfare l'esigenza più profonda della propria ragione, che è quella di conoscere i' essenza misteriosa della causa ultima di sé e della realtà tutta di cui ha esperienza. Da qui per l'uomo storico quella necessità della rivelazione su cui s. Tomn1aso pone l'accento fin dal primo articolo della Summa Theologiae: «Era necessario, per la salvezza dell'uon10 che, oltre le discipline rilosofichc d'indagine razionale, ci fosse un'altra dottrina procedente dalla divina rivelazione. Prin1a di lutto perché l'uon10 è ordinato a Dio co1ne aJ un fine che supera la capacità della ragione, secondo il dctlo d'Isaia: 'Occhio non vide, eccello le, o Dio, quello che tu hai preparato a coloro che ti a1nano'. Ora è necessario che gli uo1nini conoscano in precedenza

[ ... ]. 01nnis aute1n cognitio quac est sccundum 111odun1 substantiac crcatae, deficit a visione divinae essentiae, quae in infinitum excedit on1nc1n subslantian1 creatarn. Unde nec homo, ncc aliqua creatura, potest consegui bcalitudinen1 ullin1ain per sua na! 11 ra! fr1». 18 !bid., I, 2, 2, ad I 19 /bù/., 1-11, 114, 2, ad I. E altrove: «Fides praes11ppo11it cognilione1n naturnlen1, sicut gratia natura, et 111 pe1fectio peJ;f"ectibile» (ibid., I, 2, 2, ad 1.). 20 !bid., I, 12, 4, c. 21 «Fidcs est habitus rnenlis, qua inchoatur vita aeterna in nobis, facicns intellectun1 assentire non apparcntibus» (li-Il, 4, I, c.). Anche altrove la fede viene definita con1c «prae!ibatio futurae visionis» (In III Se11te11tiar11111, 23, 2, I, ad 4); o «inchoatio q11aeda111 vitae aeternae» (Q11aestio11es disp11tatae de \leritate, I, 14, 2, e).


Fe(/e cristiana e(f es11erienza un1ana

Itl

Tonunaso d'Aquino

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questo loro fine, perché vi indirizzino le loro intenzioni e le loro azioni. Cosicché per la salvezza dell'uon10 fu necessario che n1ediante la divina rivelazione gli fossero fatte conoscere delle cose superiori alla ragione umana. Anzi, anche riguardo a quello che intorno a Dio si può indagare con la ragione, fu

necessario che l'uo1110

fosse an1maestrato per divina

rivelazione, perché una conoscenza razionale di Dio non sarebbe stata possibile che per parte di pochi, dopo un lungo tempo e con la 1ncscolanza cli 111olti errori; eppure dalla conoscenza cli tali verità dipende tutta la salvezza dell'uomo, che è riposta in Dio. Per provvedere alla

salvezza degli uon1ini in n1odo più conveniente e phì certo fu perciò necessorio che rispetto alle cose divine .f'ossero istruiti per divina rivelazione» 22 •

La fede è, dunque, concepita con1e la conoscenza di una verità rivelata che ci introduce nel cuore della realtà e nel senso profondo di ogni altra verità: in questo senso nella conoscenza della fede si Ca l'esperie11za della corrisponde11za a quell'attesa propria del cuore dell'uomo, che può dirsi il senso religioso dell'esistenza''.

22 ID., Su111111a Theologiae, I, I, 1, e: «Necessariu1n fuil ad !unnanain salulen1, esse doctrinan1 quandmn secundun1 revelationcn1 divinan1, practcr philosophicns c!isciplinas, qune ralione hurnana investigantur. Pri1no quide1n, quia ho1no ordinatur ad Deu1n sicut riel quendan1 finc1n qui con1prchensione1n rationis excedil, secundu1n illud Jsaiae 44, 4, oculus non vidit, Deus, absque te, quae praeparasti di!igentibus Le. Finern autern oportel esse praecognitun1 horninibus, qui suas ìntentioncs et actiones debent ordinnre in fincn1. Uncle neccssariu1n fui! ho1nini ad salule1n, quod ci notn fierenl quacdo111 per revelalioncin divinam, quac ratìone1n hun1anarn excedunt. Adeaetimnquaedc Deo ralione hurnana investigari possunt, necessariun1 fuit ho1nine1n inslrui revclatione divina. Quia veritas de Deo, per rationen1 investigata, a paucis, et per longu1n tcrnpus, el curn ac!nlixtione 111ultoru1n errorun1, hon1ini provcnirct, a cuius Lan1cn vcritatis cognitione dependel Lota ho1nìnis salus, quac in Dco est. Ut igitur sa/us ho111i11ihus et conve11ie11ti11s et certius proveniat, 11eces.1·r11·i11111

f11it q11od de divinis per divinlnn re1 efatione111 i11stn1a!lt11r». 1

n Ci sc1nbrn che qui cadano a proposito le parole di Przywara sull'i!lco11tro Lra il cristianesin10 e l'istanza 1nctafisica: «Rispello alla tco-1netafisica fonnalc dell'a11

est f)eus, il cristianesi1no se·inbra cosliuirc l'attesa risposta dcl q11id De11s esr. Negli scritti giovannei e in quelli paolini Cristo viene infatti definito cornc il 'che cosa' di un 'Dio invisibile': egli è 'Logos', 'icona', 'specchio', 'riflesso', 'irnpronta' e 'irradiazione' dcl 'Dio che nessuno ha 1nai visto' (Gv 1, I; Col l, 15; Sap 7, 26; Eb l,


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S. Tommaso afferma esplicitamente che, essendo il mistero dell'incarnazione di Cristo la via attraverso la quale l'uomo può pervenire alla beatitudine, cioè alla soddisfazione piena del desiderio che lo costituisce, è necessario che, in una certa misura, tutti gli uomini di questo mistero abbiano una certa conoscenza, senza la quale sarebbe impossibile avere una qualche intelligenza del senso e del significato della vita, nonché delle esperienze umane fondamentali, quali l'amore, il peccato, il sacrifico, il dolore e la morte. «Et ideo mysterium incarnationis Christi aliqualiter oportuit omni tempore esse creditum apud omnes; diversimode tamen secundum diversitatem te1nporun1 et personaru1n» 24 .

3; Gv l, 18), fino a tulta la radicalità della stessa parola di Cristo: 'Chi ha visto n1c ha visto il Padre' (Gv 14, 9). La suprcrna 'essenza del cristianesiino' è quindi quest'unico dato 'teologico' (in senso stretto): da un lato, che ncll"esser-visto dcl Dio n1ai visto e invisibile attraverso l'esser-visto di Cristo' il quid est f)eus a cui tende l'a11 est Deus tco-1nctarisico formale ottiene il proprio equivalente quid est Deus in un 'asserir-seslesso' di Dio che è fun1,ionale a!l"illuminarsi del senso di Dio' (nel duplice significato cli 16gos con1c 'verbo' e come 'senso'); dall'allro lato, che ogni teologia un1ana (quale légei11 su questo quid est Deus) è in pratica solo un' 'interpretazione' (eségesis) delle auto-espressioni-di-senso di Dio in Cristo, cioè una teologia che con1prcnde e si compie solo in dipendenza dalla 'teologia di Dio stesso' nella sua auto-espressione in Cristo, quale 'teologia cristologica di Dio stesso'. t\1a già il tcrn1ine 'visto' ci rende avvertiti che questo Cristo nel cui 'csscrvisto' avviene !"esser-visto del Dio invisibile' va inteso nel modo in cui egli si è 1nostrato in lulto il Vangelo e che è stato fin dal principio fonnulato dalla teologia cristiana: con1e il 'Logos-carne' di una u1nanità piena (Gv I, !4), e quindi coinc una 'vita eterna che era presso il Padre' e che tuttavia, in quanto vita eterna, 'si è resa visibile a noi'; a tal punto totalinente uo1no, che è 'ciò che noi abhiarno udito lcon le nostre orecchie], ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbian10 conlcinplalo [co1ne uno spettacolo] e ciò che le nostre inani hanno toccato', e che tuttavia proprio in questo è 'il Logos della vita' (I Gv l, !-2). Perciò egli è (carne dice Agostino) totus /)e11s totus '101110, totaln1ente Dio e lotahnentc uo1no, fino ad essere (secondo Gelasio I) lotus Deus '101110 et totus '101110 !Jeus, 'uotno totaln1enle Dio e Dio totahnente uo1no', sicché 'il totalrncnte uoino continua ad essere Dio e il total1ncntc Dio continua ad essere uo1no'>). E aggiunge una ulteriore determinazione, che ci sarà utile per quello che dircn10 pili avanti: «In quc.sto Cristo 'udito con le orecchie, vcdulo con gli occhi e toccato con le 111nni' tutto e ogni singola cosa è invece totahnente 'rresenza di Dio', .sicché a es.sere 'udito, veduto e toccalo' è il Dio 'invisibile' 'che abita in una luce inaccessibile' (Gv l, ! 8; Tn1 6, 16)» (E. PRZYWAHA, Analogia entis. A1etaphisik. Urslr11kt11r und A!!-rhit11111s, Johanncs-Yerlag, Ein.siedeln 1962, trad. it., Anafogi(f entis. 111etafisica, Vita e Pensiero, Milano 1995, 447-448). 21 · Jbid., 11-11, 2, 7, c.


Fecle cristiana ecl esperienza u1nana in Tonunaso cl'Aquino

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Dello stesso Adamo si dice che «SI argmsce che prevedeva l'incarnazione di Cristo dalle parole che disse: 'Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre e si stringerà a sua moglie', come in Gen 2, 24; parole che secondo lApostolo, Ef 5, 32, stanno a indicare 'il grande mistero esistente in Cristo e nella Chiesa'; mistero che non è credibile che il primo uomo abbia ignorato»". Conseguentemente Adamo ha avuto una conoscenza della incarnazione di Cristo, almeno in quanto questa «era ordinata alla pienezza della gloria, ma non in quanto era ordinata a liberare dal peccato con la passione e con la resurrezione; perché l'uon10 non prevedeva il suo peccato» 2 ('. E degli uomini che sotto il peccato moltiplicavano i sacrifici per la propria redenzione si dice che era impossibile che lo facessero senza una qualche conoscenza del mistero della incarnazione, della passione e della resurrezione di Cristo"Se per esperienza intendiamo - come in precedenza abbian10 delto - il 111etoclo attraverso il quale la realtà ci introduce nella sua verità, è innegabile, dunque, che la fede costituisca il culmine di questo processo e la risposta a quell'esigenza che c'è nel cuore dell'uomo di semplificazione della realtà, cioè di riconduzione al suo ultin10 principio e destino, di cui essa ci consente una conoscenza certa e sufficiente al nostro carnmino un1ano, anche se ancora

L. c .. 26 L. c.: «Sec1111d11111 quod ordinabatur ad co11s11111111atio1u:111 gloriae: non auten1 secundun1 quod ordinabatur ad liberationern a peccato per passionen1 et resurrcctionen1, quia ho1no non fuit praescius peccati futuri». 27 «Al iter eni1n non pracrigurassent Christi passionern quibusùan1 sacrificiis et ante lege1n et sub legc. Quorrnn quiden1 sacrificiorun1 signific8turn cxplicile inaiorcs cognoscebant: tninores auten1 sub vclainine illorum sacrifricioru1n, creùenles ea divinitus esse disposita dc Chrislo venturo, quoùamn1odo habcbant vel8tan1 cognitionc1n», sicché, prosegue s. Ton11naso, «si qui tan1en salvati fuerunl quibus rcvclatio non fuit facrn, non ruerunt salvati absque fide Mediatoris. Quia etsl non habuerunt fiden1 exp/ic;f{1111, habuerunt ta1nen fiùe1n Ìl11plicila111 in divina providcntia, crcdentes Deun1 esse libcratorcn1 hon1inum secunùun1 n1odos sibi placitos et sccundu1n quod aliquibus vcritate1n cognosccntibus ipse revelassct» (ibid., II-II, 2, 7, aù 3). 25


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enigmatica. In questo senso la fede è lesperienza per eccellenza che all'uomo è dato di fare in forza della grazia28 • La fede è, dunque, fin da ora, in qualche modo, seppure inchoative, partecipazione della vita eterna, cioè della vita vera e definitiva. In questo senso s. Tommaso commenta l'affermazione della Lettera agli Ebrei, Fides est substantia sperandarum rerum, argun1entun1 non GJJ[Jarentiun1 2Y;

«In codesto n1odo si dice che la fede è sostanza di cose sperate; poiché i I prilno inizio in noi delle cose sperate viene dall'assenso della fede, la quale contiene virtualmente tutte le cose sperate. Infatti noi spcrian10 di conseguire la beatitudine con l'aperta visione della verità cui abbian10 aderito con la fede, con1e si disse nel trattato sulla beatitudine. [ ... _] E qui argon1e11to sla per l'effetto dcll'argo1nento. Infatli l'intellelto è indotto dagli argon1enti ad accettare qualche verità. Ecco perché qui viene chian1ala argon1ento la stessa fern1a adesione dell'intelletto alle verità cli Jède ineviclenti. Cosicché altri testi hanno il tern1inc 'convinci1nento': poiché l'intelletto del credente viene convinto ad accettare le cose che non vede dall'autorità di Dio. Perciò, se uno volesse ridurre le parole suddette in fonna di definizione, potrebbe dire che 'la fede è un abito intellettivo, col quale si inizia in noi la vita eterna, facendo aderire l'intelletto a cose inevidenli'. Così in falli la fede viene distinta eia tolte le altre funzioni intellettive. Col tennine 'argornento' viene distinta dall'opinione, dal sospetto e dal dubbio, nelle quali funzioni l'intelletto non ha un'adesione radicale e renna a qualche cosa. Con le parole 'non parventi' la fede viene distinta dalla scienza e dall'intuizione

intellettiva,

che rendono evidenti

le cose.

E

con

l'espressione 'sostanza di cosa sperate' la virtù della fede viene distinta dalla fede in genere, la quale non è ordinata alla beatitudinc»·'0 .

28 .;<Sic enin1 fidcs praesupponit cognitioncrn naturale1n, sicut grati a na1uran1, el 11t pe1/ectio pe1fectibife» (ibid., I, 2, 2, ad I). 29

Eb

1 I,

1.

Jo S11!11111a Theologiae, 11-11, 4, I, e: .;<Per hunc ergo 1nodurn dicitur ficles esse substantia rerwn spera11dan1111: quia sicilicct prilna inclioatio renm1 ~perandan/!11 i 11 nobis est per assens11111 /idei, quae virtute con Li net on1ncs res speranclas. /11 hoc e11i111


Fede cristiana ell esperienza lt1nana tn. Tonunaso d'Aquino

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3. L'assenso della fede L'assenso un1ano è frutto di una evidenza cui spesso si perviene attraverso la fatica della ragione, la cogita/io. Ma nella esperienza della fede l'evidenza, come conoscenza immediata della verità, è da escludere. Ciò che è evidente non si crede per fede: «Quantum ad visionem contra fidem distinguitur; unde Gregorius dicit, quod visa non habent /idem, sed agnitionem, dicuntur autem videri, secundum Augustinum in lib. De videndo Deun1, quae preaesto sunt sensui vcl intellectui. lntcllcctui autem praesto essse dicuntur quae ems capacitatem non excedunt»} 1• Ma, in qualche modo, anche a proposito della fede s1 può parlare di visione, in quanto essa è una conoscenza certa della verità, perché «quantum ad certitudinem assensus, fides est cognitio ratione cuius potest dici etiam scientia et visio, secundum J Cor. 13, 12: vicle111us 1ur11c per speculun1 in aenign1ate. Et hoc est quod Augustinus dicit in lib. De videndo Deu111: si scirc non incongruenter dicin1ur etiam illud quod certissimum credimus, hinc factum est ut ctiam eredita recte, etsi non adsint sensibus nostris, villere n1ente dican1ur»·u.

speran111s beatificari quod Fidebù11l1s oper!a visione veritate111 cui per fide111 odhaere11111s: ut patct per ca quae supra de felicitate dicts sunt (1-11, 3, 8; 4, 3). [ .. "] El sun1ilur argu111e11t11111 pro argu1nenti effeclu: per argu111entun1 enin1 inLellectus inducitur ad adhaerendun1 alicui vero; unde ipsafinna adhaesio intcllcclus ad verilale1n fidei non apparenten1 vocatur hic arg11111e11!11111. Undc alia litLera habet co11victio: quia scilicet per auctoritaten1 divina1n intellcctus crcdcntis convincitur ad assentienclun1 his quae non videt. Si quis ergo in forn1an1 definitionis huiusinodi verba reducere veli!, potest diccre quod fides est habitus 111e11tis, qua i11choa111r i ita aeterna in nobis, faciens i11te!!ecf11111 assentire 11011 apparentibus. [ ... ] Per hoc eni111 quod dicilur arg11111e11/11111, distinguitur fides ab opinione, suspicione et dubitalione, per quae non est pri1na adhaesio intellectus firn1a nel sliquid. Per hoc autern quocl dicitur 11011 appare11ti11111, dislinguitur ficles a scienti!I et intel!cctu, per quae aliquid fil apparcns. Per hoc aute1n quod clicitur substanlia .1yH~ral/dar11111 ren1111, distinguitur virlus ridei a fide con1n1uniler sun1pta, quae non ordinalur ad beatitudine1n spcratan1». :ii Io., Q11aestio11e disp11tatae de Verita!e, I, !4, 2, ad 15. E altrove; «Fides non habet inquisitionen1 rationis naturalis de111onstrantis id quod crcditur. Habet tan1e11 inquisitionc1n quandan1 eorun1 per quae inducitur ho1no ad credendu1n: putn quia sunt dieta a Deo et iniraculis confinnata» (Io., Su111nu1 Theo!ogiae, II-Il, 2, I, ad I.) . .12 L.c .. 1


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La fede, dunque, è un assenso così certo che può paragonarsi a quello che proviene dalla evidenza, ma che non ha come fondamento una visione inunelliata della verità e neppure una llin1ostraz;one razionale, anche se essa non esclude una certa ùzvestigazione della ragione, appunto la cogitatio: «Fides dicitur non inquisitus consensus, inquantum consensus fidei vel assensus non causatur ex inguisitione rationis; tamen non excluditur per hoc quin in intellectu credentis remaneat aliqua cogitatio ve! collatio de his quae credit»'1. L'assenso, tuttavia, non può considerarsi con1c causato dall'allività cogitativa della ragione, piuttosto dalla volontà". Nell'assenso, che è proprio della fede, la ragione non si quieta e l'uomo continua a cercare le ragioni di ciò che crede, pur assentendo fennamente. E così: «L'atto del credere ha un'adesione fcn11a a una data cosa, e in questo chi crede è nelle condizioni di chi conosce per scienza, o per intuizione: tuttavia la sua conoscenza non è con1piuta 111ediante una percezione evidente; e da questo lato chi crede è nelle condizioni di chi dubita, di chi sospetta e chi sceglie un'opinione. E soLto questo aspetto è proprio dcl credente il cogitare approvando: ed è così che l'atto ciel credere si distingue da Lutti gli atti intellettivi che hanno per oggetto il vero e il falso»-' 5 •

Tl !bid., I, 14, I, ad 2. -'-1 «Cogitatio inclucit ad assensun1, et assensus cogiLaLionein quietal. Seù in fide est assensus et cogitatio quasi cx acquo. Non e11ù11 asse11s11s ex cogitatione ca11sat11r, scd ex vo/untate, ul dictu111 esl, sed quia intellectus non hoc n1odo tenninatur ad ununn1 ut ad propriun1 tenninu111 perducatur, qui est visio alicuius intclligibilis; inde est quod eius n1otus nondun1 esl quielalus, sed ad/111c haber cogitatìo11e111 e! i11q11isÌlio11e111 dc his quac creclit, quan1vis eis firn1issi1ne assentiat. Quantu1n eni1n est cx seipso, non csl ci satisfacturn, nec est tenninatus ad unu1n; sed tenninalur tantun1 ex extrinseco. Et inùc est quoù intcllectus creùcntis dicitur esse ca1Jfi11a/11s, quia tenetur tenninis a!ienis, el non propriis. 2 Cor., !O, 5: In capti11itate111 redigentes 011111e111 i11re/lecru111 etc. lncle est etia111 quod in credente polesl insurgere 11101us de contrario cius quod !'irn1issi1nc tenet, quarnvis non in intelligente ve] sciente» Ubid., I, 14, I, c.). ~ 5 Io., S11111111a Tlieo/ogiae, 11-11, 2, ! , e: «Actus iste qui est credere habet finnain adhesionen1 ad unan1 parten1, in quo convcnit credens cun1 sciente et inlelligente: et tainen eius cogniLio non est perfecla per 111a111fe.1·ta111 l'isìo11e111, in quo convenit cun1 dubitante, suspicante et opinante. Et sic propriun1 est credentis ut co111 assensu cogitet: et per hoc dislinguilur iste actus qui esl credere ab oinnibus actibus inLellectus qui sunt circa verurn ve! falsu111».


Felle cristiana ecl esperienza u1nana

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1'onunaso ll'Aquino

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Ne segue che «intellectus credentis determinatur ad unum 11011 per ratione111, sed per voluntatenL Et ideo assensus hic accipitur pro actu intellectus secundtun quod a voluntate deter1ninatur ad unu1n»J(,, Ma da che cosa la volontà è mossa a credere? Dall'affezione al bene, oggetto proprio della "voluntas" e destino naturale dell'uomo, destino che, come abbiamo visto, nella fede è ravvisato in qualche modo come presente. Per la fede, infatti, l'uomo comincia a partecipare alla visione di quella verità cui il suo cuore anela, sicché:

Ot!o Hennann Pesch ha fatto notare che «con una fonnuln ripresa da Agostino, To1n1naso dice che credere significa c11111 asse11sio11e cogitare, ossia 'rirletterc prestando assenso' (cfr. AGOSTINO, De praedestinativne Sa11clonm1, 2, 5; PL, 44, 963). Ma in Torn1naso ((i! cogitare lo si capi,sce, nel solo significato che qui è possibile, con1c un continuo rifle!lere (deliberare)»; e sottolinea quanto per questo Tornrnaso abbia degli «accenti 111odcrni)>, che lo rendono «più vicino che n1ai alle nostre esperienze in rapporto alla nostra fede. Forse che non consic!eria1no, rirleLtian10, leU-craln1ente 'rin1uginian10' in noi di continuo ciò che ci viene incontro nella fede?». Anche se con la fonnula di Agostino «To1n111aso intende proprio togliere la fede dalla nota gradazione dei n1oc!i di conoscere in Aristotele, che suona così: dubitare presu1nere - opinare - credere - sapere». Infatti: «Il 'riflettere', ossia il chiedersi se non potrebbe essere vero anche il contrario, fenon1enologicainentc il credente lo condivide con colui che opina, poiché 'opinare' significa riconoscere cu111 fonnidine al!erius, 'con la preoccupazione che [potrebbe essere vera] un'altra cosa ] i I contrario]'. L"assenso', però !o inette sul piano di colui che sa. Ma la scelta cade nel ùetcrrninare con 1naggiore esattezza questo assenso, nel cui spazio interno continun i I 'rirlettere'. Ne! caso della fede 'profana', questa è uti<l fissazione puran1ente soggettiva, ragion per cui !a fede è con1presa anche con1e 'opinione i1npetuosa' (opinio vehen1e11s) (cfr. Il-!!, 129, 7, c.). Per ciò che riguarda la fede cristiana, però, !a conoscenza è sì ancora in1perfeHa, 1na non a 1notivo di fissazioni puran1cntc soggettive non verificabili, 1na perché rnanca ancora la 'visione' (visio) chiara. Il credenle dù il suo assenso, nonostante la conoscenza i1nperfetta, non perché è ostinalo (o perché ne ha buoni 1notivi), rna perché la fede è la fonna che anticipa l'eterna visione di Dio» (0. H. PESCI!, To111111aso /)'Aquino. Li111ifi e grandezzu della reologia 111edieva/e. Una i111rod11zione, Qucriniana, Brescia 1994, ! 20- ! 21 ). J(, lbid., Il-!!, 2, !, ad 3. E altrove: «Assentit autcn1 alicui inte!!ectus duplicitcr. Uno 1nodo, quia ne! hoc n1ovetur ab ipso obiecto, quod esl ve! per seipsuin cognitun1, sicul palet in principils prìn1is, quoru1n est intellectus; vel est per aliucl cognitun1, sicut patet dc conc!usion!bus, quan11n est scientia. Alia 1nodo intellectus assentii alicui non quia sufficienter n1ovcatur ab obiccto proprio, scù per quandan1 elcctionern voluntarie declinans in una111 parte1n n1agis quan1 in aliarn. Et si quidc111 hoc fil cu1n dubitalione cl forn1idine aherius partis, erit opinio, si autcn1 fit cun1 certitudine <lbsque tali fonnicline, eril fides. I!!a aute1n viùeri ùicuntur quae per seipsa n1ovent intellectu111 nostru1n vel sensun1 ad sui cognitionen1. Unde 1nnnifestun1 est quod nec fides nec opinio potest esse de visis aut secundu1n sensu111 aut secundun1 inlellectun1» (ibid., 1111, I, 4, c.).


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«llud cui assentit intellectus, non movet intellectum ex propria virtute, sed ex inclinatione voluntatis. Unde bonu111 quod 111ovet qtfèctu111) se habet in assensu fidei sicut primum movens: id autem cui intellectus assentit, sicut movens motum. Et ideo primo ponitur 111 definitione fidei comparatio eius ad bonum affeclus quam ad propnum obiectum» 37 • Poiché la volontà è quell'appetito intellettuale per il quale l'uomo tende alla sua felicità che consiste nella piena visione di Dio, l'atto di fede, in quanto atto volontario, ha come.forma il fine proprio che è oggetto specifico della volontà, cioè il Bene in guanto tale. E così si può dire che «inchoatio fillei est in ajj'ectione, in quantum voluntas determinai intellectum ad assentiendum his guae sunt fidei, sed illa voluntas nec est actus caritatis nec spei, sed quidam appetitus boni repromissi» 38 , anche se la forma pe1jetta della fede é nella carità, cioè nell'amore di Dio, in guanto la forma dell'azione è data dall'oggetto proprio, ossia dal fine a cui naturalmente è ordinata la facoltà dell'azione stessa: «È evidente, da quanto abbiarno detto, che l'atto della tede è ordinato, co1ne a suo fine, all'oggetto della volontà che è il bene. Ma il bene che è il fine dc!Ia fede, cioè il bene divino, è l'oggclto della caritù. Dunque la carità è jòrrna della tè.de in quanto l'atto dclia !Cdc è pe1fezio11ato e infonnato dalla carità»·19 •

Questo implica, come argutamente nota Pierre Rousselot, l' «accettare che lintelligenza sia l'espressione di una appetizione», per cui «un momento simpatetico nella conoscenza non deve essere ristretto a certi casi particolari di intellezione, ma é la conseguenza

37 Io., Quaestiones disputatae de Verirare, I, l 4, 2, ad l 3. 38 lbid., I, 14, 2, ad 10. _w lo., Su1111na Theologiae, 11-11, 4, 3, e: «Manifestun1 est auten1 ex praedictis quod actus fide i ordinatur ad obiect11111 vo/1111tatis, quod est bo1111111, sic11f ad ji'nen1. I--Ioc autc1n bonu1n quod est finis fidei, scilicet bonum divinu1n, esl propriun1 obicctu1n caritatis. Et ideo caritas dicitur fonna fidei, inquanlu1n per caritate111 actus fidei pe1.Jicaur et fon11at11n>.


Fetle cristiana ed eSJJerienza lt1nana in Tonunaso cl'Aquino

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necessaria di una legge generale dell'intelligenza» 4". Solo così si può «dare all'amore un ruolo essenziale nell'atto di fede, senza detrimento alcuno per l'intellettualità più rigorosa. Il sentimento, per noi, non é affatto un seduttore dell'intelligenza; la libertà é generatrice dell'evidenza. È piuttosto l'intelligenza, corrotta dal peccato, ad essere liberata dal l'amore soprannaturale: la grazia le dona la propria perfezione, che é di vedere (videre esse credendum)» 41 • E più avanti lo studioso francese afferma che «l'a111ore r/à occhi per veclere: lo stesso fatto che si ama fa vedere, crea per il soggetto amante un nuovo tipo di evidenza», anche se «non bisogna credere che questa evidenza, nel caso dei n1otivi di credibilità, sia, in quanto visione d'amore, così assolutamente personale da essere totalmente inco111unicabile>>'12 • Con ciò Rousselot non intende affatto sostenere la tesi della "incomunicabilità" della fede, ma piuttosto affermare che «le prove della religione, siano esse individuali o comunicabili, hanno necessariamente bisogno di due condizioni per essere percepite: la presentazione dell'oggetto e il possesso di una facoltà spirituale che lo possa afferrare»·13 • Bisogna far, dunque, ricorso necessaria1nente per la fede a un habitus affettivo infuso che, «inclinandoci all'essere soprannaturale, mentre ci stabilisce nell'amore libero di un bene desiderabile, suscita in noi anche una nuova facoltà di visione» 44 . La fede si offre a noi co1ne es1Jerie11za u1na11a dell'an1ore di Dio che «è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato»" e, quindi, della presenza efficace dello Spirito di Cristo che inizia il compimento della nostra beatitudine come perfetta con1unione con Dio, cioè con il nostro Bene 46 • Anzi è in forza di

'10

P. ROUSSELOT, Les yeux de la foi, in Recherclies de Science Refigieuse (191 O), trad. it., Gli occhi della fede, Jaca Book, Milano 1977, 89. 41 !bid., 93. "' Ibid., 93-94. 43 Ibid., 96. 44 lbid., 99. 45 Rin 5, 5. 46 «Undc rclinquilur quod gratin, sicut esl prius virtute, ila habcat subiecturn prius potcntiis anin1ac, ita scilicet quod sit in essentia ani111ac. Sicut enirn per


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questa esperienza che risulta credibile la verità che la fede c1 propone di credere. È quanto Gesù intendeva con l'espressione con cui prometteva ai suoi discepoli il "centuplo" su questa terra. Ognuno di noi, anche nel più semplice e contingente istante, cerca proprio quella maggior pienezza che è lalba della beatitudine perfetta. Il criterio che ci guida è, pertanto, la speranza di una maggiore soddisfazione, di una più intensa corrispondenza al nostro desiderio, vale a dire di un sempre più totale possesso dell'essere. Si può dire, dunque, che la fede ha qualcosa in comune con la felicità, perché è l'inizio di quella conoscenza del mistero di Dio in cui il desiderio dell'uomo si compie: «In fide est aliquid quod habet conunune cuni beatifu[/ine, scilicet ipsa cognitio) aliquid autem quod est sibi propriun1) scilicet aentg111a; est enin1 fides cognitio aenign1atica»47.

Da quanto detto deriva la meritorietà dell'atto di fede: «L,'atto di fede può essere n1crilorio perché è soggetto alla volontà non solo nell'esercizio, ma anche nell'adesione. Ora, le ragioni un1ane portale a favore delle cose di fede possono avere due rapporti diversi con la volontà di chi crede. Possono essere innanzitutlo antecedenti: quando uno, p. es., non avrebbe volontà cli credere, o non l'avrebbe pronta, se non venisse indotto da una ragione un1ana. E allora la ragione un1ana addotta diminuisce il inerito della tede[ ... ]. Secondo, le ragioni u1nanc possono essere conseguenti alla volontà di chi crede. Un uon10 infatti che abbia pronta volontà a credere, escogita ed abbraccia le ragioni che riesce a trovare a tale scopo. E in questo le ragioni urnane non lolgono il inerito della fede, 1na sono segno di un inerito più grande[_ ... ]. Il sirnbolo di ciò si ha nel Vangelo di s. Giovanni, là dove i Sarnaritani dicono alla donna,

porcntiain intcllectivan1 horno participat cognitioncin divina1n per virture1n fidci; cl secundurn potcnliain voluntatis amore1n divinum, per virLuLen1 caritaLis; ila ctian1 per naturan1 anirnac parlicipat, secundun1 quandarn si1nilitudine1n, naturan1 divin1:1n1, per quandan1 regenenirioncn1 si ve rccrealione1n» (s. TOMMASO o' AQUINO, Su111111a Theologiae, 1-11, I IO, 4, c.). 47 Jbid., 1-11, 67, 5, 1.


Felle cristiana ed esperienza uniana rn Tonunaso d'Aquino

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che rappresenta la ragione u1nana: 'Noi non crcdian10 pili per le tue parole'».i 8 .

4. I segni e la grazia Nell'assenso dell'uomo che compie latto di fede, secondo s. Tomn1aso riscontriamo due cause: «La prin1a che sollecita dall'esterno, co1ne la constatazione dei miracoli, o l'esortazione di chi induce alla fede, le quali cause sono inadeguate: poiché tra i testirnoni di uno stesso miracolo, e tra gli ascoltatori di una stessa predicazione, alcuni credono e altri non credono. Perciò bisogna an1111cttcrc una seconda causa che è interiore, la quale 1nuove l 'uon10 interiorn1ente

c-.::1

uccellare le cose dì fede. J Pelagiani ritenevano che codesta causa fosse soltanto il libero arbitrio dell'uon10: e per questo affermavano che l'inizio della fede dipenderebbe da noi, in quanto sian10 noi a predisporci a_! assentire alle cose cli fede; n1entre il con1pi1ncnto dipenderebbe da Dio, i I quale ci presenta le verità da credere. Ma questo è falso. Perché l'uo1no ha bisogno cli Dio quale principio soprannaturale che lo n1uova interiorn1ente, dal mon1ento che nell'aderire alle cose di fede viene elevato al disopra della propria natura. Perciò la fede rispetto all'adesione, che ne è

.i 8 lbìd., rr-rr, 2, IO, e: «Actus fidei potest esse 1neritorius inquantu1n subiacet vo!unlati non solu1n quantun1 ad usutn, sed ctiarn quantun1 ad assensun1. Ratio autein hurnana inducta ad ca quac sunt fidci duplicitcr potcsl se habcrc ad voluntatc1n credentis, uno quiden1 n1odo, sicut praecedens, pula cun1 quis aut non habcrct voluntaten1, aut non haberet pron1plan1 volunlalen1 ad credendun1, nisi ratio hun1ana induccrctur. Et sic ratio huinana inducta di1ninuit rncritu1n fidei [ ... ]. A!io n1odo ratio hun1ana polest se habcrc ad voluntatcn1 crcdcntis conscqucnlcr, cuin cni1n ho1no habct pro1nptan1 voluntatcin ad crcdcndu1n, diligit vcrilatc1n creditrnn, cl super ea e.reo gita! et a111plectitur si quns rntiones ad hoc invenire potest. Et quantu1n ad hoc ratio hun1ana non excludit 1ncritun1 fidci, scd est signu1n 1naioris ineriti, f ... ] et hoc significatur /0011., 4, ubi Sa1naritnni ad n1uliere1n, per quarn ratio huinana figuratur, dixcrunt, iarn non proptcr tuan1 loquclain crcdiinus>>-.


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l'alto principale, viene da Dio che 111uove interiormente con la sua grazia»" 9 .

In questo brano troviamo sinteticamente esposto il pensiero di Tommaso riguardo al nesso esistente tra segno esterno e grazia interiore in ordine all'assenso che l'uomo dà nell'atto di fede. Il segno non é determinante, perché l'atto di fede é un atto della libertà dell'uomo. La libertà dell'uomo deve essere mossa da un principio interiore di natura soprannaturale che é la grazia di Dio. Il segno di Dio é talmente discreto da non fare mai violenza alla coscienza dell'uomo, perché la libera adesione umana possa essere meritoria. Soltanto nei demoni «fides est quodammodo coacta ex signorum evidentia. Et ideo non pertinet ad laudem voluntatis ipsorum quod credunt»"', sicché - prosegue lAquinate - «daemonibus displicet quod signa fidei sunt ta1n eviclentia ut per eo creclere con1pellantur. Et ideo in nullo malitia eorum rninuitur per hoc quod credunt» 51 • Non si deve concludere, però, che i segni sono inutili alla fede, «nam fides per signa probatur [... ] inquantum sunt demonstrativa do1ninicae veritatis» 52 , anche se questi sono più necessari a coloro che si accostano alla fede, agli infedeli, anziché a coloro che già credono.

49 !bid., Il-Il, 6, J, e: «Quanlu1n vero ad sccundutn, scilicet ad asscnsu111 ho1ninis in ea quae sunt fidei, potcst considerari duplex causa, una quide1n exterius i11d11ce11s, sicut tniraculum visu1n, vcl persuasio hominis inducenlis ad fide1n. Quonnn neutrurn est sutliciens causa, videnliu1n cnin1 unurn et icle1n miraculurn, et audientiu1n eanclen1 pracdicationcrn, quidan1 creclunt el quidmn non crcdunt. Et ideo oportel ponerc nliain ca11sa111 i11teriore111, quac n1ovet hominen1 interius ad asscnticndu1n his quae sunl fidei. Hanc aulen1 causan1 pc!agiani ponebant so!11111 libcrun1 arbitriun1 horninis, et proptcr hoc dicebant quod initiun1 fidci est ex nobis, inquanlun1 scilicct ex nobis est quod parati sun1us ad assentienclun1 his quac sunt fidei: scd consu1n1na1io fidei esl a Dco, per que1n nobis proponunlur ca quae credere debe1nus. Sed hoc est ralsun1. Quia cuin hon10, assentienclo his quae sunl ridei, clcvctur supra naturan1 suan1, oportcl quod hoc insit ci ex s11per11a!11rali principio i11terì11s 111ove11!e, quod est Deus. Et ideo fidcs quantun1 ad asscnsurn, qui est principalis actus fidci, est a Deo interius 1110\'ente per gratia111». 5o Ibid., 11-11, 5, 2, ad I. 51 lbid., 11-11, 5, 2, ad 3. 52 Io., Super Eva11ge!i11111 .lohannis, 4, 7.


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u1

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«Fideles autem ducendi sunt et dirigendi 111 fidem auctoritate Scripturae, cui acquiescere tenentur» 5·'. Si può, in forza di guanto abbiamo detto nel paragrafo precedente, concludere che per s. Tommaso il credente ha già nella esperienza della corrispondenza tra ciò che gli viene proposto di credere e il suo appetito intellettuale, cioè il suo cuore, la più forte ed esauriente ragione del suo assenso all'autorità della Scrittura. Certamente troviamo maggiori elementi per una più ricca riflessione nel commento al brano evangelico che racconta di guel regolo, un ufficiale del re, che chiedeva a Gesù di andare a casa sua a sanare suo figlio infermo, e che viene rimproverato per la sua mancanza di fede, a causa della quale chiedeva ancora un segno. A questo punto della sua argomentazione s. Tommaso insinua che la ragione o il segno sufficiente all'atto di fede é il grande segno dell'umanità di Cristo nella quale é possibile, assecondando l'azione interiore della grazia, riconoscere la presenza di Dios..i.

L.c .. Anche nella S11111111a Theo/ogiae Tommaso aveva parlato dell'Incarnazione con1c del luogo della 111assù1u1 rnanifeslazione visibile dcl 111istcro invisibile di Dio: <<Videtur esse convenienlissi111un1 ut per visibilia 1nonstrentur invisibìlia Dci, ad hoc cni111 totus 1nundus est factus, ut patet per ili ud apostoli, Ronl., I, Ùl\!isibilia Dei per ea quue facto s1111t, intel!ecta, conspici1111lttr. Scd sicul Dainascenus dicit, in principio 3 libri, per incarnationis 111ysteriun1 111011stratur sùnul bonitas e! sapie111ia et i11stitia et potentia Dei, ve! virtus, bonitas quide111, quonicun 11011 despexit proprii p!as11u1tis i11fin11itate111; iustitia l'ero, q11011ia111 no11 ali11111 facil Fincere tyra1111u111, 11eq11e vi eripit e.r 111orte hon1i11e1n; sapientia vero, quo11ic11n i11ve11it difficil/iini dece11tissi111c1111 so!utio11e111; potentia vero, si ve virtus, ù~/inita, quia nihil est 111aÌ11s quc1111 De11111 fieri ho111ine111. Ergo convcniens fuit Deum incarnari>> (Io., S11111111a Theo/ogiae, Ili, I, I se.). E ancora: «lJnicuique rei convenicns esl illud quod cornpctil sibi secundu1n rationcn1 propriae naturae, sicut hon1ini conveniens est raliocinari quia hoc convenit sibi inquanlu1n est rationalis sccundu1n suain naturarn. lrsa auten1 natura Dei est bonitas, ut patet per Dionysiun1, l cap. f)e /)iv. No111. Unde quidquid pcrtinct ad rationc1n boni, conveniens est Dco. Pcrtinel aute1n ad rationcn1 boni ut se a!iis con1111unicct, ut patet per Dionysiurn, 4 cap. De Dcliv. No111. Undc ad ratione1n sunllni boni pertinet quod .1·111111110 111odo se creaturae conununicer. Quod quide1n 11u1xùne .flt per hoc quod 11a!11ra111 crea1a111 sic sibi coniungit ul una persona fiat cx Lribus, verbo, anirna et carne, sicut dicit Augustinus, I 3 /)e Tri11. Unde 111anifcstun1 est quod convenicns fu il Deu1n incarnarL> (ibid., III, l, l, c.). 5.>

54


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Per questo il regolo verrebbe rimproverato, cioè per l'imperfezione della sua fede. Egli, infatti, nonostante la presenza di questo segno, continuava a insistere perché Cristo andasse a casa sua per guarire suo figlio. E la fede imperfetta del regolo, secondo s. Tommaso, risalta di più se n1essa a confronto con l'elogio, riservato al centurione, di cui si parla in Mt 8, 5 e ss., che aveva ritenuto non necessario che Cristo andasse di presenza ad operare la guarigione del suo servo. «Reprehendit autem eum dominus de infidelitate; unde dicit ad eum nisi signa et prodigia videritis, non creditis. Sed [ ... ] videtur inconvenienter dictum de regulo nisi signa et prodigia videritis non creditis: nisi enim eum salvatorem credidisset, non petivisset ab eo sanitatem. Ad quod dicendum est, quod rcgulus istc adhuc non credebat perfecte: [ ... ] quia licei crederei Christum esse verum hon1in.e111, non tcunen creclebat eun1 habere virtute1n divina1n; alias credidisset eu1n abscnten1 posse sanare, cun1 deus ubique sit praesens, [ ... ] et sic non rogasset eu1n quod descenderet in do1nun1 sua1n, secl quod n1andarct tantun1» 55 . II regolo, invece, credelte in Cristo solo quando venne a conoscenza del miracolo da Lui fatto: «Ex hoc convers11s est ad Christu1n, cognoscens 111iraculun1 eius virtute factu1n» 56 . Da ciò consegue che la fede è direttam.ente fede in qualcuno e indirettamente nelle verità che in forza della sua autorità crediamo. Infatti, s. Tommaso parlando dell'oggetto proprio della fede distingue, facendo riferimento ai vari tipi di conoscenza, un oggetto materiale da un oggetto formale: «Nell'oggetto di qualsiasi an1bito conoscitivo si devono distinguere due cose: la cosa che rnareriahnente viene conosciuta, la quale costituisce con1e l'oggetto n1ateriale; e la cosa per cui si conosce, e che costituisce la ragio11efonnole dell'oggetto. Nella gcon1etria, p. es., !'oggetto 1nateriale è

costituito dalle conclusioni conosciute; 1nentrc la ragione forn1ale della scienza stessa consiste nei principi di111ostrativi, che pern1ettono di

55

56

Io., Super E1 a11gelit1111 Joha1111is, 4, 7. L.c .. 1


Felle cristiana ed esperienza u111ana

fil

Tonunaso d'Aquino

J 09

conoscere le conclusioni. Lo stesso si dica della J'e<le: se considerian10 la ragione forn1ale dell'oggello, essa non ha altro oggetto che la prìn1a verità, poiché la fede di cui parliamo non accetta verità alcuna, se non in quanto rivelata da Dio; perciò si appoggia alla verità divina coine a suo principio. Se invece consideriamo 1nalcriahnente le cose accettate dalla fede, oggello di questa non è soltanto Dio, n1a n1olte altre cose. Queste però non vengono accellate dalla fede, se non in ordine a Dio: cioè solo in quanto l'uomo viene aiutato nel ca1nmino verso la fruizione cli Dio dalle opere di lui» 57 .

La stessa fede in Cristo uomo è possibile, dunque, solo quando in Lui si riconosce la presenza della llivinità, lii cui la sua unianità è il segno più eloquente, in quanto in essa si compiono le pron1esse delle Sacre Scritture5 x. Allora è in Lui che si crede e, perciò, alle verità che propone a credere.

57 Jo., S11111111a Thcologiae, l!-11, l, 1, e: «Respondeo diccnùu1n quoù cuiuslibet cognoscilivì habitus obieclu1n duo habet, scilicct id quocl 111areriafirer cognoscitur, quocl est sicut 111areriafe ohiectu111; et id per q11od cognoscitur, quod est fon11alis rotio obiecti. Sicul in scienlia geon1ctriac n1ateria!itcr scita sunl conc!usioncs; fonnalis vero ratio sciendi sunt n1edia de1nonstrationis, per quae conclusiones cognoscuntur. Sic igitur in fiele, si consideren1us fonnalern rationcrn obiecti, nihil esl aliud qua1n veriLas pri111a, 11011 c11ù11 fides de qua foq11ù1111r assentii alicui 11isi quio est o Dco rcvefar11111; undc ipsi vcritati divinae innititur Lanquan1 111edio. Si vero considerc1nus 1nalerialitcr ca quibus fidcs assentit, non solu1n est ipse Deus, scd clian1 inulta alia. Quae ta111e11 s11h asse11s11.fì't/ei 11011 cadunt 11isi sec1111d11111 quod habenr afiq11e111 ordi11e111 ad De11111, proul scilicet per aliquos divinitatis cffectus horno adiuvat·ur ad tenclenclun1 in divinan1 fruitionc1n». E altrove parlando della fede co1nc virtù teologica, cioè con1e avente per oggetto lo stesso Dio cui aderire, arrcrn1a che: «Virtus nliqua clicitur thcologica ex hoc quod habet De11111 pro obiecro cui inhaeret. Polesi aulein aliquis a!icui rei inhacrerc duplicìter, uno 1noclo, propter seipsurn; alio n1oclo, inquanlu1n cx co ad a!iucl clevenitur. Caritas igitur facit ho1ninc111 Dea inhaercrc proptcr scipsun1, 111enten1 hon1inis uniens Deo per arrecturn an1oris. Spes aute1n cl ridcs faciunt ho1nìne1n inhaerere Deo sicut cuidan1 principio ex quo aliqua nobis proveniunt. Dc Dco autern provenit nobis et cognilio veritalis et acleptio pcrfectac bonitatis. Fides ergo facit ho1ninc1n Deo inhaerere inquantu111 est nobis principiu1n cognosccndi veritatcrn, crcdi1nus enirn ca vera esse quae nobis a Deo dicuntur. Spes aulen1 facil Dco adhaercre prout est nobis principiun1 perfectac bonilalis, inquantuin scilicct per spe1n divino auxilio innitirnur ad beatitudinern obtinendan1».(ibid., !I-li, 17, 6, c.) . .'i.~ Cfr. ID., Super Eva11gefi11111 Johannis, 4, 7: «Ergo regulus redarguilur: quia cun1 cssct nutritus inter iudacos, et de Jegc instruetus, 11011 per ScnjJturae a11torictatc111,


J?rancesco Ventorino

1 IO

5. L'atto della fede «È necessario che la fede venga da Dio. Infatti le verità <li fede sorpassano

la ragione tnnana: e quindi non rientrano nel pensiero umano, senza la rivelazione

di

Dio.

Ad

alcuni

esse

vengono

rivelate

da

Dio

in1111ediata111ente, co1nc agli Apostoli e ai profeti: ad altri invece vengono proposte da Dio 1nediante i predicatori della fede, secondo le parole cieli' Apostolo: 'Come predicheranno, se non sono stati 1nandati?'» 59 .

La confessione della fede è possibile solo dentro la Chiesa: «confessio fidci traditur in sy1nbolo quasi ex persona totius ecclesiae, guae per fiden1 unitur»li0 • «Co1ne a noi è giunta la fCcle attraverso gli Apostoli, così nell'Antico Testan1ento era giunta ai posteri dagli antichi Padri, poiché allora fu scritto: 'Doinandalo al padre tuo, e te lo racconterà'. Ora gli Apostoli furono pienarnente istruiti sui n1isteri [cristiani]: poiché con1e dice· In

sed per signa credere volebat, et ideo don1inus eun1 reprchcndcns dicit nisi signa et prodighi, idest n1iracula quae sunt a!iquando signa, ùu1uc111t11111 s1111f de111onstratilY1 don1i11icae veraatis». E così: «e.r hoc conversus esl ad Christuin, cognoscens 1niraculu111 cius virtule ractlllll» (/.c.). 59 lo., S111111na Theologiae, 11-11, 6, I, c: «Necesse est quod fides sit a Deo. Ea enin1 quae sunl ridei cxccdunl rationen1 hu1nana1n, unde non cadunt in conte1nplatione horninis nisi Dco revelante. sed quibusdan1 quiden1 revelantur ù11111ediate a Deo, sicul sunt rcvclata apostolis et prophetis, quibusdain aulen1 proponuntur a Deo 111i!(e111e fidei praedicatores, secunclu1n illud Ron1., 10, quo111odo praedicabu11111isi 111itta11t11r?». ì f,o !bid., 11-11, I, 9, ml 3. «Praelerea, super i!!u<l psal1ni, sic11t ablactat11s super 111atre sua, clicil glossa, in utero 1nalris ecclesiac prirno concipin1ur, du1n fidci rudin1entis inslrui1nur; ùeinùe in lucein edi111ur, ùutn per baptisn1u1n regenerainur; cleinùe quasi 1nanibus eeclesiae portainur et [acte nutritnur, curn post baptisn1un1 bonis operibus infonnan1ur et lactc spiritualis cloctrinae nutri1nur, proficienclo donec, ian1 grancliusculi, a laete n1atris accccla1nus ad 1nensan1 Patris; idest, a sirnplici doctrina, ubi praedicalur Vcrbun1 caro factun1, acceclamus ad Verbun1 Patris in principio apud Dcun1. Et postc<1 subdit quoù nuper b(lplizati in sabbato sancta, qu<lsi 111anibus ccclesi:1e gcstantur et lacte nulriuntur usquc aù pentecosten, quo le1npore nulla cliffieili<l indicun!ur, non ieiunatur, non inedia nocte surgilur, poslea, Spiritu Paraclilo eonfinnati, quasi ab!aclali, incipiunt iciunarc et alia difficilia servare. Mulli vero hunc ordinen1 pervertunt. ut haerctici et schisn1atici, se ante leinpus a lacte separantes, undc exstinguuntur. Scd hunc ordinetn pervertcre videntur illi quì religionc111 intranl, ve! alios ad intranduin inducunt, antequam sint in faciliori observantia praeceptorun1 cxercitali. Ergo videtur quod sint haerctici ve! sehisinatici» (ibid., !!-li, 189, l, 4.).


Fe[le cristiana ell esperienza t1111anll in To1111naso [l'Aquino

111

Glossa su quel dello paolino, 'noi stessi che abbian10 le pri1nizie dello Spirito', 'come li ebbero prima del ten1po, così li ebbero anche più abbondanten1cntc degli altri'» 61 •

La fede, dunque, si riceve per la testimonianza degli apostoli e dei loro successori, in genere per quella tradizione, che si vive nella Chiesa, per la quale la verità rivelata viene trasmessa ed accolta proprio in quanto verità divina. Per cui: «Le persone sen1plici non hanno una tede in1plicita nella tede dci n1aggiorenti, se non in quanto questi ultin1i aderiscono all'insegnan1cnto divino; ecco perché l'Apostolo scriveva: 'Siate n1iei in1itatori, con1c io lo sono di Cristo'. Infatti non è regola di fede la conoscenza un1ana, n1a la verità divina. E se alcuni dei maggiorenti se ne allontanano, non è pregiudicata la fede dei se1nplici, i quali ritengono che essi abbiano una fede retta; a 1neno che non vogliano aderire agli errori di costoro, conlro la fede della Chiesa universale, che non può rnai venire 111eno, secondo la pron1essa dcl Signore: 'Io ho pregato per te, o Pietro, affinché la lua !ède non venga 1neno»r' 2 •

Pertanto la fede è tutta fondata sulla testin1011;a11za: «Fi[les autem est ex auditu, ut dicilur Rom., IO. Unde oportet aliqua proponi

61 Jbh/.,11"11, I, 7, 4: <(Per aposlolos ad nos fidcs Chrisli pervcnil, ita cliain in veteri Lestarncnto per priores patrcs ad posteriores dcvcnit cognitio fidei, secundun1 illud Dcut., 32, interroga patren1 /u11111 et a11111111tiahit tibi. Scd apostoli plenissin1c fucrunt instructì dc n1ysleriis, acccpcrunt enin1, sicut teinporc prius, ita et celeris abundantius, ut dicil glossa, super illud Ron1., 8, 110.s ipsi prÌlnitias spiritus

hahentes». r,z lbid., !I-li, 2, 6, ad 3: «Minores non habcnt fidc1n i1nplicila1n in fide n1aioru1n nisi quatcnus maiores adhaercnt doctrinac divinae, unde et apostolus dicit, I Cor., 4, i111itatores 111ei estate, sicut e! ego Christi. Unde hun1ana cognilio non fil rcgula ridei, sed vcritas divina. A qua si aliqui 1naìoru1n clericianl, non praciudicat ficlei si1npliciu1n, qui eos rcctarn ficlern habere crcdunt, nisi pertinaciler eorun1 crroribus in particulari adhacrcant contra universalis ccclcsiac fide1n, quae non polcst dcficere, Don1ino dicente, Luc., 22, ego pro te rogavi, Petre, ut 11011 deficiat fides t11a».


Francesco Ventorino

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homini ad credendum non sicut visa, sed sicut auclita, quibus per fiden1 assentiat» 6J. La ragionevolezza del!' assenso della fede, in guanto argumentum non apparentium, è fondata, dunque, sulla fede della Chiesa: «Fides dicitur argumentum non apparentium, in quantum fides fideliurn est medium ad probandum non apparentia esse; vel inguantum fides patrnm est nobis medium inducens nos ad credendum» 61 • E per medio nel testo citato si intende la funzione che ha il tcrn1inc 111edio in ogni di1nostrazione che è quell'atto discorsivo della ragione che perviene da principi a conclusioni in cui «tota vis argun1enti consistit in. inedia ter111ino» 65 . Ma in questo brano viene detto di più, quando si afferma che l'assenso della fede trova il suo argomento nella stessa fede che è «quaedam praelibatio brevis cognitionis quam in futuro habebimus» 66 , cioè una qualche esperienza di quella verità cui il cuore dcli 'uomo anela. Pertanto la fede è un atto razionale. Quando, infatti, si afferma: «I=<idcs esse supra rotionent», non si intende dire che «ntt!lus actus rationis sit in fide», 111a soltanto che «ratio non potest perllucere ad vide11clun1 ea quae sunt fidei» 67 • Bisogna, però, sempre ricordare che «11er scientiani gignitur fides et nutritur 11er 1nodtt1n exterioris persuasionis, guae fit ab aliqua scientia. Sed principalis et propria causa fidei est id quod interius n1ovet ad assentiendu1n» 68 . Ci piace tornare alle riflessioni che P. Rousselot ha sviluppato su questo teina, perché ci se1nbrano veramente illuminanti rispetto al pensiero di s. Ton1maso. L inclinazione della grazia, egli dice, non va vista, però, «come se fosse destinata a suppUre i motivi esteriori piuttosto che a 1

6

·' !bid.' [[-!!, 8, 6, c. 61 · ID., Q11aestio11e disputatae

de Veritate, I, 14, 2, ad 9. L.c .. 66 l.c .. 67 L.c .. 68 ID., S11111111a Theologiae, II-li, 6, I, ad 1. (15


Fede cristiana ed esperienza tunana in Tonunaso tl'Aquino

I ·13

rischiararli» 69 , perché va compresa alrinterno del movirnento reale dell'intelligenza che «non è spiegalo se non s1 vede in essa, pnma di tutto, una facoltà attiva di sìntesi» 70 • E per esporre più chiaramente le sue tesi e rendere più intellegibile il pensiero di s. Tommaso, lo studioso francese trae esempi dai fatti quotidiani e più semplici: «l1n1naginian10 che due uon1ini stiano cercando insieme l'esatta legge di una serie di fenon1eni 111isteriosi e che siano guidati, nella loro ricerca, eh una 1ncdcsin1a ipotesi; oppure imn1aginian10 due poliziotti che analizzano insien1c il luogo di un delitto e i cui sospetti convergono su di un detenninalo individuo. Dal fatto che uno stesso fenon1cno si n1anifcsli ai due scienziati o che uno stesso dettaglio sia notato nello stesso istante dai due investigatori, non consegue affatto un'uguale reazione: per uno potrà essere, di colpo, la certezza; per l'altro, l'oscurità con1e prirna. Tuttavia, nella sua 1naterialità o, che è lo stesso, nella sua individualità, il fatto nuovo è rappresentato in 1nodo sin1ile alle due intelligenze; ina la prin1a non lo ha percepito con1e fenon1cno bruto e isolato: essa lo ha visto con1e

indizio della legge o della conclusione ricercata, ha percepito il ratto nel suo rapporto con la legge, ha fallo la sintesi dcl fallo e della legge, affcnnata di colpo co1ne vera. L'altro, al contrario, 'non vede': pur rappresentandosi sia l'ipotesi proposta che il fatto nuovo con la stessa esattezza rnateriale ciel suo collega, perfino pensando, forse, la loro relazione, se quest'ultirno gliela spiega, gli sfugge la connessione, non riesce a fare la sintesi. Così la differenza lra colui che vede e l'altro non deve

essere

ricercata

1t1

qualche

differenza

degli

elen1e11ti

della

rappresentazione, n1a nella n1aggiorc o 111inor potenza dell'attività intellettuale. 'Ma - si obietterà - la differenza non è nella scienza acquisita o nell'esperienza cun1ulata?' Non necessaria1nenlc, poiché essa può essere nel solo talento naturale; n1a quand'anche fosse laddove si è deuo, i I nostro principio non verrebbe 1neno, in quanto colui che vede, nel nostro esen1pio, non pensa in questo istante all'insien1e della sua scienza o della

(i')

70

P. ROUSSELOT,

Jbhl.' 45.

op. cit., 44.


Francesco Ventorino

1 14

sua esperienza: la sua scienza è in lui percettiva e non percepfra, per cui si ritorna sc1nprc a una differenza nella facoltà intellettuale.

La stessa cosa accade per la fede, per il !tunenfidei, quando si percepisce la credibilità. Questa luce non dà affatto, a n1eno di n1iracoli, dei nuovi

oggetti da conoscere: detenninatio /idei est ex uuditu. Le si deve invece la percezione della connessione, la sintesi, l'assenso. Queste tre cose che[ ... _] fonnano una cosa sola, non hanno nelle rappresentazioni la loro ragione sufficiente.[ ... ] La differenza di assenso diji-011te a rappresentazioni sit11i!i non deve costituire per il teologo una seria difficoltà, poiché la teologia concepisce la fede

co1nc

un'attivilà conoscitiva soprannaturalc» 71 .

Esiste, dice più avanti Rousselot, una priorità reciJJroca tra l'affermazione della legge e la percezione del fatto che serve da inclizio, come hanno messo bene in luce i teorici conte1nporanei della logica induttiva: «Si vede la legge attraverso l'indizio, ma è solo nella legge che si vede l'indizio. Il fatto può essere conosciuto come indizio solo se si affer1na la legge» 72 • JJercepire la connessione e e/are il proprio assenso sono la stessa cosa. Ciò è di grande importanza nella concezione della fede. La percezione della credibilità e la confessione della verità sono lo stesso atto. «Se la percezione della credibilità fonna una cosa sola con l'alto di fede, così con1c la percezione dcl rapporto tra indizio e ipotesi farnia una cosa sola con l'assenso a tale ipotesi, allora non c'è più alcuna ditTicoltà a:I affern1are, con san To1111naso, che è la luce della fede a far vedere che bisogna credere» 7 -'.

71

Jbid., 45 - 48. /bid., 49. 7J/bid., 5 l. E più avanti aggiunge: «Occorre però procedere ollre: nella conoscenza naturale, più l'intelligenza è agile e penetrante e pili le bJsta un indizio tenue per indurre con certezza una conclusione. Accade !a stessa cosa nella conoscenza soprannaturale. Pili l'anin1a è docile alle sollecitazioni dello Spirito Santo, pili le sarù facile, per n1ezzo dei segni ordinari e quotidiani, e non 'straordinari' o '1niracolosi', giungere all'assenso dì tede. È per questo che un'incontcstahile tradizione che rìsa!e nl vangelo stesso loda coloro che non hanno bisogno cli prodigi per credere. Non li si 72


Fede cristiana ed es1Jerienza tanana rn To111111aso ll'Aquino

11 5

I segni esteriori che fanno vedere sono molto van, ma ciascuno cli essi è conosciuto «sia co1ne un fatto ce1to, collocato all'interno dcll' esperienza umana, sia come indizio di una nuova veri là all'ordine della quale essa appartiene. Lo si conosce dunque sotto un nuovo aspetto, come facente parte di un altro mondo, il mondo soprannaturale» 74 . L' ogge110 formale nella conoscenza della fede è nuovo. «Così la soave disposizione della divina Provvidenza, senza traun1i, senza rotture nella vita cosciente, senza urti, senza irruzioni violente, conti11uo, attraverso l'illurninazione della grazia, le chiarezze della conoscenza naturale, e ci fa vedere, nell'orizzonte stesso degli oggett.i ai quali ci intcressia1no, degli indizi dcl n1ondo superiore. Riconoscere in essi una nuova naturn, significa penetrare più chian.uncnle più a fondo nella loro realtà» 7·'.

A questo punto l~ousselol fa un'osservazione capitale che c1 permette di ricongiungerci a quanto abbiamo detto sopra circa il rapporto tra grazia e natura: non solo la grazia suppone la natura, n1a si pone come la gratuita e imprevedibile ed unica possibilità di co111pilne11to llel desiderio della natura, la visione di Dio.

loda affatto per aver creduto senza ragioni: ciò sarebbe deplorevole; 1na si vede in essi delle anin1c vera1nentc illun1inate e capaci, allraverso un n1inin10 indizio, di cogliere una grande veritb. D'altra parte l'esperienza n1oslra che quando io Spirito Santo visita !'anin1a con la sua consolazione, questa non può pili, per così dire, dubitare e vede in tutte le cose dei segni n1anifestì della vcritb. 'Pensa a qualunque cosa, dice l'autore dcl!'J\ig11illon d'a111011r, e vi troverai un grande 1notivo per ainare il tuo crealore'. Alcuni santi andavano in estasi a!!a vista cli un filo d'erba. Lo stesso accade per la l'ecle: qurn1do la luce divina diventa sensibile per il credente, tutta la storia del n1ondo gli sctnbra provare la 1nissione della chiesa, la parola o il fatto più quotidiano lo rien1pie cli certezza e di pace. Queste cose sono incspriinibili in parole. Ma la chiesa, a!lennando che ci sono dci 111otivi di credibilità traili dni segni esteriori, non hn n1ai detto che ci sono soltanto dci 111otivi csprin1ibili. Una volta espressi, i n1otivi di cui parlia1no potrebbero sen1brare spregevoli a chi non ha lo Spirito, 111a, se uno an1a, riconosce la Sposa 'con una perla sola della tua collann, (Ct 4, 9)» (ibid., 57-58). ].!

!bid., 53.

75

I/Jid., 54.


116

J?rancesco Ventorin.o

«Una tale continuità delle due conoscenze è possibile solo a una condizione: occorre che i due oggetti fonnali, quello naturale e quello soprannaturale, non siano né opposti né disparati, n1a che l'uno inglobi e superi l'altro, approfondendolo e perfezionandolo interionnente» 76 .

E così l'atto di fede, che si situa all'interno dell'esperienza umana, elevata dalla grazia a capacità di cogliere i segni della rivelazione soprannaturale di Dio in questo mondo, prelude a quella visione di Dio che è il compimento del senso stesso dell'esperienza dell'uomo, cioè il pieno manifestarsi della realtà nella sua più profonda verità: l'essere stesso di Dio nella sua 1nisteriosa unità e trinità. Ciò nulla toglie, anzi ne esalta le ragioni e la sofferenza, alla "distanza" che resta tra l'esperienza della fede e quella della gloria. L'esperienza della fede, infalti, ri1nane setnpre un'esperienza del Mistero attraverso il paradosso dell'umanità di Cristo e lo scandalo della stoltezza e della follia della croce. Tuttavia, attraverso questa "distanza", venia1no condotti ad una "prossin1ità", che è la .fatniliarità del figlio e dell'a1nico, per cui già sian10 fatti capaci di partecipare, in qualche modo, alla conoscenza e all'amore che il Figlio ha, nello Spirito, del Padre.

16 !bhl., 55. E così soggiunge; «Altrin1enti la nuova facoltà di vedere sarebbe percepibile speri1ncntalincnte, così con1c lo sarebbe la brusca acquisizione di un seslo senso o con1e lo è l'infusione della conteinplazione rnistica nei suoi gradi superiori; l'esperienza tnostra che per la fede non accade così. L'essere soprannaturale cli cui parliarno è dunque l'essere naturale elevato. L'essenza dell'essere naturale consiste, in ullin1a analisi, nella sua essenziale attitudine a servire da tnezzo, per gli spiriti creati, per giungere a Dio, loro fine ultin10; l'essenza ùc!!'essere soprannaturale consiste nc!!a sua attitudine a condurli a Dio, oggetto della visione bentifiea i due 'oggetti fonnali' non sono nè opposti nè disparati, così co1ne non lo sono i due finì» (ibid., 55)


Synaxis XV /1 (1997) l J7- I 50

PENSIERO E PREGHIERA NELL'ESPERIENZA SPIRITUALE DI SIMONE WEIL PER UN PRIMO APPROCCIO AL TEMA

GIUSEPPE SCHILLACI'

I. IL problema Che cosa può pretendere di dire l'argomenlazione filosofica su un tema come quello della preghiera dal momento che quest'ultima parrebbe non avere altro orizzonte che la fede? Può forse il discorso razionale sostituirsi alla fede 1?

* Docente di Filosofi<1 nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1

Si vedano su questi problcn1i le do1nande suggestive all'inizio dello studio cli

P.P. C!GUA, Crisi del senso e preghiera nel pensiero di E. LéFi11os, in AA.Vv., Preghiera e filosofia, Morcelliana, Brescia J 991, 285-311. Ciglia confessando e

richimnanùo al letlore l'i1nbarazzo dcl filosofo di espriincrsi intorno al tenia della preghiera tra l'altro si do1nanda ancora: «La preghiera[ ... ] non sernbra forse troppo inestricubiln1cntc intrecciata con le din1ensioni più i1n1nediate, cioè 'private', più soggettive, o persino più pateliche dell'esistenza urnana, perché se ne possa dare un'analisi autenticmnente razionale? L1 preghiera non è forse, di vo!La in voltn, canto ed effusione del cuore, grido, gcn1ito e pianto? Ed in che n1odo Lutto questo potrebbe resistere sollo gli occhi 1netodologicmnente i1npassibi!i, distaccali e, dìciaino pure, clìsincantati ciel pensiero, senza dissolversi co1ne neve al sole o senza esporsi i nevi tabi l 1nen te al l'accusa squalificante di retori ca? Le dirnen si on i dcl! 'esistenza entro cui si 1nuove la preghiera se1nbrano, in definitiva, situale troppo 'al di sotto', per così dire, della riflessione filosorica per poter essere prese seria1nente in considerazione da quest'ultiina. Esse non costituiscono forse proprio ciò che deve essere superato e lasciato dietro le spalle o n1esso fra parentesi nel 1no1nento in cui si inco1nincia a filosofare?» (ibid., 285~286).


Giuseppe Schillaci

11 8

La relazione tra filosofia e preghiera si presenta alquanto problematica. Da questa relazione, infatti, sembra emergere quel rapporto antico e complesso tra mondo naturale e mondo soprannaturale. Se da una parte il discorso filosofico nella sua espressione massima si propone come discorso metafisico che si traduce nella concreta possibilità di parlare di Dio, dall'altra il discorso teologico ha invece come presupposto basilare di poter parlare con Dio. Lungi dal dimostrare lestraneità dell'un discorso dall'altro ci si prefigge, in questo breve contributo, di far venire alla luce la relazione che lega l'uno all'altro e quindi la possibilità che la filosofia ha di pronunciarsi sul tema della preghiera. «La preghiera viene riscontrata dal filosofo come una modalità del suo lavoro fecondo in rapporto al 'pensiero che salva', insostituibile al livello di unione o di ascensus 111entis, movi1nento ascensivo in cui potrebbe essere posto il cantus firmus dell'essenza della preghiera prima della specificazione delle forme, che la stessa filosofia aiuta a sviluppare»'. Questa possibilità che la filosofia ha di poter dire una parola sulla preghiera, sebbene non coincida con il lavoro proprio dell'intellectus fidei\ cioè dell'intelligenza 111 seno alla fede di ansehniana n1emoria, nel suo dire tuttavia si apre a quanto sta oltre: al inistero. Noi vorren11110 percorrere questa strada già battula da altri con l'aiuto del pensiero di una esperienza singolare nel quadro della speculazione contemporanea: Sin1one WeiP. Riteniamo che intorno

2 I. MANCINI, J

Fi!osqfia e preghiera, ibid., 76-77.

Su questo teina si veda il breve 1na denso saggio di G. LAFONT, Teologia e

preghiera, in Synrn-i.s 13 (1995) 99-l l 5. Secondo l'autore del saggio occorre però individunrc un n1etodo per stabilire il denon1inatore co1nune trn la teologia e la preghiera: «Quale potrebbe essere allora il 1netodo per stabilire una connessione tra sapere e spiritualità, intelligenza e conumione, teologia e preghiera? Il n1etodo che vorrei proporre qui consiste ne! considerare teologia e preghiera co1nc due llessioni della parola, del logos. Il comune denominatore è giustan1ente la parola: Parola su Dio, Parola a Dio, fondata, l'una e l'altra, sulla Parola di Dio. Una parola che si ascolta, una parola che invoca, una parola cheespri1ne» (ibid, 100). 4 Tra le biografie più significative su questo pensiero si veda quanto scrive, bnsandosi su ricordi personali e testin1onianze, !a sua ;_unica S. PÉTREMENT, La vie de Si111011e VVei!, 2 vo!I., Fayard, Paris 1973. Di particolare interesse per la quantità di persone ascoltate che hanno conosciuto la \Veil accanto ai suoi scrilti si veda pure G.


Pensiero e preghiera 11ell'esperie11za spirituale di S. Weil

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alla nozione di Attenzione - nozione chiave nel suo pensiero s1 possa trovare quella relazione tra pensare e pregare che sembra occultarsi nell'orizzonte della filosofia occidentale, ma che costituisce quella relazione fondamentale che dischiude all'uomo contemporaneo la ricerca del senso 5 .

2. Un pensiero che nasce da un' esperienza6

Non c'è pensiero senza radici; non si può parlare di pensiero speculativo staccato dalla realtà, vale a dire senza alcun riferimento all'esperienza vitale dell'uomo. Il pensiero della Weil risponde esattamente a questo criterio che si relaziona alla realtà; venendo rneno il quale - a nostro avviso - difficilmente si potrebbe arrivare a concepire la complessa articolazione dei suoi scritti. In altre parole, privando questa speculazione del riferi1ncnto con l'esistenza concreta non riusciren1n10 a coglierne quei principi ispiratori che ci rivelano co1ne le sue opere siano sostanzialn1ente inserite nella sua appassionata e sofferta ricerca dell'assoluto. I suoi scritti sono infatti il frutto di una originale esperienza che per certi versi anticipa i risultati a cui giungerà la riflessione e la prassi del dopo guerra. Il pensiero di Simone Weil non è un pensiero che risponde al rigore sistematico o all 1esposizione scolare. La sua tesi all'Eco/e Nor111ale Supérieure, Science et 11erception. dans Descartes1 , a stento FIORI, Sùnone VVeil. fJiogl'{!fia di un pensiero, Garzanti, Mihino 1981. Dn non trascurare il libro che tcstin1onia l'incontro e il dialogo allento e rispeltoso tra due esistenze: J-M PERRIN, J.1011 dia/ogue avec Sùnone VVei!, Nouvelle Cité, Paris ! 984. 5 Cfr. L. WnTGENSTElN, Tractatus /ogico-philosophicus e Q11ode111i 1914-1916, Einaudi, Torino 1968, 173: «il senso dcl!a vita, cioè il senso del rnondo, possiaino chi mnarl o Di o. E collegare a ciò I a si rni li l udine di Di o quale Padre. Pregare è pensare nl senso della vita». r, Qui non ci occupere1no dell'inlera opera \vei!iana che ci porterebbe al di lh dell'intenzione di questo contributo. Tuttavia non possiamo non indicare alcune delle opere più signiricative cli SIMONE WEIL che tcrrerno più in considerazione: Attente de Die11, Fayard, Paris 1969; La pesanteurct fa gnlce, Pian, Paris 1947; Pen.çées sw1s ordre conce111011t !'0111011r de /)ieu, Galli1nard, Paris l 962; L'e11racine111e111, Galli1nard, Paris, ! 949. Per una più dcttag!iata e precisa cronologia degli scritti wciliani si veda G. GAEl'A, in Quade111i, I, Adclphi, Milano 1982, 85-96. 7 Crr. S. WEIL, Sulla Scie11z.a. Saggi di Sù11011e Wei!, Boria, Torino l 971.


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Giuseppe Schi/laci

viene accettata per il suo conseguimento del Diploma di scienze superiori: «Il relatore, il prof. Léon Brunschvicg, constata nel lavoro della Weil troppa autonomia, un allontanamento considerevole dai soliti schemi di esposizione scolare»". La Weil, pur distinguendosi ed emergendo per le sue conoscenze filosofiche e letterarie, viene, tuttavia, guardata con sospetto sia nella cerchia ristretta degli intellettuali e del mondo accademico sia soprattutto tra i professori delle scuole superiori di cui presto farà parte, nel cui ambito «si esita a considerarla un elemento buono per l'insegnamento della gioventù. Il preside la chiama la 'Vierge rouge', la ragazza rossa, comunista, e decide di mandarla a Le Puy, lontano da Parigi, per troncare le sue attività negli arnbienti operai e sindacalisti» 9 • Già da studentessa aveva iniziato ad adoperarsi in favore dei diritti degli operai che di lì a poco avrebbero preso un posto di rilievo nel suo pensiero politico-sociale'"· Il pensiero della Weil risulterebbe privo di una chiave di lettura non 1narginale se non si prendesse in considerazione questa sua fondamentale adesione ai più deboli e agli oppressi. Questo riferimento alla sua esperienza socio-politica c1 permette di stabilire un legame inscindibile tra «il suo pensiero, la ricchezza 111entale esigentissima, ai li1niti dell'intransigenza, e lo splendore di un'affettività strenua e insie1ne vestita d'un pudore inscalfibile come una corazza d 1acciaio» 11 • Il tentativo di interpretare riconducendo e unificando la vita di un autore alla sua opera in Sin1one Weil ci se1nbra la naturale conseguenza· della sua esistenza. Con questo non si esclude lo scarto, che permane sempre, tra il detto

8 GIOVANNA DELLA CROCE, Si111011e Weif e l'esperienza di Cristo, OR, Milano 1993, 24. <) Jbid, 25. 10 Si veda a questo proposito Réf!exio11s sur {es C(fuses de la !iberté e! de /'oppresio11 sociale, Galli1nard, Paris 1980. Questa è considerata da Sin1011c Weil la sua grande opera in cui vi è la criticu più rudiale al 1narxis1110. Si veda pure L'e11racine111ent. Prélude à 1111e décfar(ffio11 des devoirs enFers /'étre hu111ai11, Gallinl<ird, Paris 1949; e ancora La condition 011vrière, Gallin1ard, Paris 1951, e Ecrits historiques e! politiques, Galli1nard, Paris l 960. 11 N. FABBRE1TI, Sùnone H'eil. Sorella degli schiavi, Messaggero, Padova 1987, 7.


Pensiero e preghiera nell'esperienza 5pirituale di S. Weil

121

della sua opera e la sua personalità che per ricchezza e originalità non può essere rinchiusa dentro schemi interpretativi. Ogni soluzione interpretativa per quanto inedita mira sempre a svelare cd oggettivare l'inoggetti vabile. D'altra parte, si rimprovera alla Weil la 1nancanza di rigore nei su01 scritti, al punto che difficilmente si potrebbe tentare la ricostruzione e I1articolazione del suo pensiero o, più ancora, considerare il suo pensiero un pensiero 12 • Soprattutto se al suo interno vengono accolte e recepite le contraddizioni, questo pensiero, con l'inevitabile irritazione del lettore e interprete, viene o rifiutato oppure stigmatizzato come illogico, irrazionale: «Di simili contraddizioni, sia1no abituati a sopportarne coraggiosa1nente l'urto e la costrizione (l'obbligo), non vedo perché Simone Weil sarebbe la sola ad essere squalificata, perché ha accolto in sé come legittima l'opposizione necessaria dei pensieri» 1:i. Questa precisazione ci introduce direttamente nel cuore della singolare esperienza di Si1none Weil vicina al cristianesimo, ma fino al punto da fare professione di ateismo; affascinata da Cristo, n1a poco incline a parlare di fede; impregnala di linguaggio evangelico, eppure priva di qualsiasi legarne religioso; unita 1nistica1nente a Cristo, benché ne avverta tutta la lontananza. Essa viene afferrata così irresistibihnente dalla sublimità del mistero di Cristo, che la induce a pensarsi nella distanza. Il inistero di Cristo, infatti, non può essere rinchiuso da un 1esperienza per quanto unica. Secondo il parere di diversi con11nentatori 1.i, sian10 in presenza di una esperienza mistica che non può essere inscritta nclI1ordine di un

12 Cfr. M. BLANCHOT, L'e11tretie11 i11fi11i, Gallirnard, Paris 1969, 153-179. Il BJ anello! su Si n1onc Wei I esordisce così: «Ceux que Ia pensée dc Si rnonc Wci! irrite au point dc lcur paraitrc à pcinc une pcnsée, lui reprochent un n1anquc dc rigueur d'autanl plus gènanl qu'est plus certai nel 'exigence rigourcusc ù laquelle e! !e répond. Oui, e' est une pcnsée souvant éLrange1nent surprise» (ibid., l 53).

IJL.c .. 1

~Tra questi si veda G. KEMPFER,La phifosophie n1ystiq11e de Si111011e iVeil, La Colo1nbe, Paris 1960; e A. ANDRÉ DEVAUX, Pe11sée phi!oso1)hiq11e et expérie11ce 111ystiq11e chez Sù11011e iVei!, in AA.VV., Actes d11 co!!oque: Mystique, c11/t11re et


122

Giuseppe Schillaci

pensiero regolare se non riferendoci ad un esemplare che ci permetta di dare ragione del tutto. Una esperienza diversa che rivela un pensiero senza regole: basta per questo riferirsi ai suoi scritti che sono costituiti da frammenti, brevi pensieri, lettere. Da tutto questo insieme che non ha nu11a di organico e sistematico viene fuori tuttavia l'affennazione, la certezza: «Noi siamo abituati, increduli e credenti, n1eno a dubitare che a domandare: non entria1110 in un pensiero, e soprattutto nel nostro, se non domandando; procediamo di domanda in domanda, fino al momento in cui la domanda spinta fino al limite, si fa risposta, questa non essendo più dunque, secondo una parola celebre, che l'ultimo passo della domanda. A Simone Weil un simile approccio è estraneo. Anche nei suoi appunti, le don1ande sono rare, i dubbi quasi sconosciuti. Essa è dunque così sicura di ciò che pensa? No, affatto. Ma sembra che essa si risponda prima, come se per essa la risposta fosse sempre prima, precedente ogni domanda e anche ogni possibilità di do1nandare: c'è risposta e poi ancora risposta, e di nuovo risposta» 15 • li modo di mettere in questione, di domandare nel pensiero della Weil è l'affermazione 16 • Si tratta di affermare non per imporsi attraverso un discorso stringente, ma lasciare che il dire evochi. Per cui un'affennazione che evoca non si impone, ma lascia lo spazio all'iniziativa, alla creatività. La sua speculazione, infatti, non si in1pone con il suo modo singolare di procedere disarticolato, privo di rigore logico, dei suoi pensieri, così come non si impone la sua personalità nelrin1pegno e nell'azione sociale. La certezza che pure guida la sua esperienza 1nira a nascondersi, a velarsi, per affascinare, per attirare

societé, Miche] Meslìn, Paris 1983; G. KA!-!N, L'aspect 111ystiq11e de fa pensée de Sù11011e \Veif, in Cahiers Sùnone iVeif 3(1985) VIII, 221-239. 15 M. BLANCHOT, op. cii., 156. l('Cfr. I.e.: «Affinner est souvent pour Si1none Weil Jn 1nanière de questionncr ou de n1ettre à l'épreuve. Il faul ajouler quc son n1allrc Alain lui avait rcndu farnilière cctte façon de penser et de che1niner, non par preuves, ni par doules, n1ais en affinnant et en se tenant fenneinent et sans fléchir à ce 1nouve1nent de l'arrinnaLion qui unil, rar un pacte, pcnséc, volonté, vérité. Mais, chez Sin1one Weil, l'itinéraire est di!Térent. L'espèce d'eJTort invisible par lcqucl elle chcrche à s'cffacer cn faveur de la certitude esl le seul reste dc volonté qui dc1ncurc d'clle, quand elle avance d'affinnation en a ffi rrn a ti on».


Pensiero e preghiera nell'esperienza spirituale di S. Weil

I 23

piuttosto che convincere. Sian10, a nostro avviso, dinanzi ad un'esperienza che anziché dimostrare evoca. La Weil nella sua autobiografia spirituale così si presenta a padre Perrin con il quale stabilisce un denso dialogo pieno di profondo rispetto: «Fin dall'adolescenza ho pensato che il problema di Dio fosse un problema di cui, quaggiù, mancano i dati, e che il solo metodo sicuro per evitare una soluzione falsa, che mi pareva il peggiore dci mali, fosse non porselo. E quindi non me Io ponevo: non affermavo e non negavo. Mi pareva inutile risolvere quel problema, poiché pensavo che, dato che viviamo in questo mondo, a noi spettasse di adottare l'atteggiamento migliore riguardo ai problemi di questo mondo, e che tale atteggiamento non dipendesse dalla soluzione del proble1na di Dio» 11. Sin1one Weil si presenta e si capisce essenziahncnte con1e già da sempre posta nella scelta cristiana: chiamata da sempre da Dio come tutti, come ogni creatura. Questo nel suo pensiero si traduce con il fatto che ogni vocazione è un essere irremissibiln1ente radicati 18 in una sorta di costrizione divina. E' in questa prospettiva che, soffermandosi sull'istante della morte concepita come la norma e lo scopo della vita, essa avverte l'appello irresistibile del Bene. «Pensavo che, per quanti vivono come si conviene, sia l'istante in cui per una frazione infinitesin1ale di tempo penetra nelI1ani1na la verità pura, nuda, certa, eterna. Posso dire di non aver desiderato per ine altro bene. Pensavo che la vita che conduce a questo bene non sia definita soltanto dalla morale co1nune 1na consista, per ognuno, in una successione di atti e di eventi rigorosamente personali e talmente obbligatori che se uno se

17

S. WEJL, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1991, 37. Si veda su questo tenia S. WEIL, L'en raci11e111e11 t, ci l., 61 , in cui così defì n i sce l'essere radicati: «L'cnracinetnent est peut-étre le bcsoin le plus irnportant et le plus 1néconnudc l'àrnc hun1aine. C'est un des plus diffici!es à definir. Un erre hrnnain a une raci ne par sa participaLion réclle, sctive et nature] le à l 'exisLencc d'une collccli vité qui conserve vivants ccrtains trésors du passé et ccrtains pressentin1ents d'avenir». E' in questa opera che la Wcil si occupa dello sradicamento degli operai, dei contadini e quel!o geografico o nazionale, per ricercare ciò che di pilÌ prezioso c'è nell'uon10 che va oltre l'esistenza un1ana e cioè l'essere chian1ati. 18


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ne discosta non raggiunge il fine. Questo era per me il concetto di vocazione» 19 • L'esistenza di ogni essere umano nella sua verità è concepita da Si1none Weil come vocazione. Dentro questa esistenza co1ne vocazione si penetra sempre più, da cui non si può fuggire. Questo essere da sempre gettati e pro-gettati nell'esistenza paradossalmente non lascia spazio alla scelta poiché da sempre scelti. L'esperienza della Weil è ancorata saldamente a questa sorta di ineluttabilità: «La più bella vita possibile mi è parsa sempre quella in cui tutto è determinato sia da circostanze costrittive sia da precisi impulsi, e dove non vi è posto per alcuna scelta» 20 • Di questa irresistibile attrazione responsabile è il Bene di n1atrice greca. Bisogna sottolineare a questo punto come l'influenza ciel pensiero greco nella sua riflessione ha origine dal suo particolare interesse alla letteratura, all'arte, alla filosofia, alla religione della Grecia. E' in questa prospettiva che giudica anche lo stesso cristianesi1no. «Dio è un bene che non è altro che bene» 21 . La nozione cli Bene, preso letteralmente da Platone, viene inteso dalla Weil nel 1 senso di una realtà a cui l uo1no si orienta al di là della sua esistenza. 11 Bene esercita una forza attrattiva sovrana a cui non ci si può sottrarre. E' in ultin1a analisi nella speculazione filosofica di Platone che Sin1one Weil «ha trovato il Bene e attraverso la bellezza dci testi greci che il no1ne del Bene si è svelato a lei con1e la sola realtà, la risposta unica, capace cli illuminare la realtà proprio ciel suo desiderio e l'irrealtà cli tutto il resto» 22 • L'esperienza spirituale cli Simone Weil passa attraverso questo contatto irnrnecliato, diretto dei testi; essa viene catturata dalla bellezza dei testi. E' da una poesia intitolata Love cli George Herber (1593 1633) che viene colpita al punto da irnpararla a 1nen1oria: «L 1ho in1parata a n1en1oria. Spesso, nei n101nenti culn1inanti delle violente

19 S. WEIL, i\ !fesa di Dio, ci t., 3 7-38. 20 lbid.' 38. 21 S. WE!L, La Grechi e !e int11izio11i precristiane, Borla, Ron1a 1984, 64. 22 M. BLANCHOT, op. cit., 158.


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crisi di cn1icrania, n1i sono esercitata a recitarla, ponendovi la 1nassi1na attenzione e aderendo con tutta l'anin1a alla tenerezza ch essa racchiude. Credevo di recitarla soltanto come una bella poesia, mentre, a mia insaputa, quella recitazione aveva la virtù di una preghiera. Fu proprio mentre la stavo recitando che Cristo, con1e già vi scrissi, è disceso e mi ha presa»''. Questa poesia per lei rappresenta il primo momento "Mistico" in cui Cristo è venuto a prenderla: «essa ha avuto 1nolto importanza nella mia vita, poiché ero occupata a recitarla a tne stessa, nel momento in cui Cristo è venuto a prendermi per la prima 1

volta» 24 • I testi, di conseguenza le letture, esercitano su di lei un particolare fascino da cui si lascia investire da un'irresistibile fame,

come se fossero cibo da mangiare: «leggo, per quanto è possibile, soltanto ciò di cui ho fame, nel 1no1nento in cui ne ho faine, e allora non leggo: mi nutro» 25 . La lettura esercita su di lei un certo potere da cui se1nbra incapace di sottrarsi. Questo trasporto rivela una particolare sensibilità che non si lascia rinchiudere nel solo ambito speculativo, ma investe tutta la sua esistenza. Ciò che incide

S. WE!L, Attesa di /)io, cit., 42. Questo il Lesto in trnduzione: «L'A1norc 1ni accolse; rna l'ani1na inia indietreggiò, colpevole di polvere e peccato. Ma chiaroveggente ['An10re, vedenc!on1i esitare fin da! pri1no passo, n1i si accostò, con dolcezza do111ancla11do1ni se qualcosa n1i n1.1ncava. 'Un invitato' risposi' degno cli essere qui'. L'An10rc disse: 'Tu sarai quello'. lo, il 1na[vagio, l'ingrato? Ah! 1nio diletto, non posso guardarti. L'An1ore n1i prese per n1ano, sorridendo rispose: 'Chi 1èce questi occhi, se non io?' 'E' vero, Signore, tna li ho insozzati; che vada la 111ia vergogna dove inerita'. 'E non sai tu' disse l'A1110rc 'chi ne prese il biasi1no su di sé?' 'I"vlio diletto, allora servirò'. 'Bisogna tu sieda', disse l'Ainorc 'che tu gusli il 1nio cibo'. Così n1i scdetli cniangiai)) (ibid.,42-43). 2 ~ S. WFIL, L'mnore di !Jio, Boria, Roina 1979, 158. Questo scrive a Joe Bousquet con1e Post script11111 in cui acclude 1<1 poesia inglese Lo1'e. 25 S. WEIL, Attesa di /)io, cii., 43. 2-1


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particolarmente nel suo animo è l'esperienza della sventura. A tal proposito ricorda che dopo aver lavorato in officina alla Renault «prin1a di riprendere l'insegnamento, i miei genitori n1i avevano condotta in Portogallo, e là io li lasciai per andarmene in un piccolo villaggio. li contatto con la sventura aveva ucciso la mia gioventù. Fino ad allora non avevo sperimentato altra sventura che la mia, la quale, essendo più fisica che sociale, era una sventura solo parziale. Sapevo che c'era molta sventura e ne ero ossessionata, 1na non l'avevo toccata con mano per un periodo prolungato. Stando in officina, confusa agli occhi di tutti e ai 111iei propri occhi con la 1nassa a11oni1na, la sventura degli altri 1ni è penetrata nell ani1na e nella carne» 26 . La sventura degli altri diventa la sua; nella esperienza di Simone Weil vi è questa profonda compenetrazione che la porta ad affern1are: «Ciò che lì ho subito 1ni ha segnata in maniera così duratura che a tutt'oggi, quando un essere u1nano, chiunque esso sia, in una qualsiasi circostanza, mi parla senza brutalità, non riesco a evitare l in1pressionc che vi sia un errore, e che purtroppo l'errore si chiarirà. Laggiù 1ni è stato impresso per sempre il marchio della schiavitù, quello che i ron1ani i1nprin1cvano con il ferro rovente sulla fronte dei loro schiavi più disprezzati. Da allora mi sono sempre ritenuta una schiava» 27 • Questa esperienza che Simone Weil ebbe in questo paesino del Portogallo in riva al inare l'ha segnata in inodo tale da dare un nuovo orientan1ento alla sua vita. Una vita che si lascia interpellare da ciò che è altro da sé che è in grado dì condurre spiegando il sé. La sua esperienza è se1npre sovrastata e interessata da una iniziativa alla quale essa obbedisce. Si trova dinanzi ad una forza irresistibile alla quale non resiste n1a dalla quale docilinente si lascia condurre. La passività e l'obbedienza, dinanzi alla realtà del Bene scorto nel Cristo e nel volto degli schiavi, si rivelano nel trasporto con i I quale si lascia condurre oltre se stessa senza che per questo ri1nanga fern1a nelflinazione, quasi priva di qualsiasi vitalità, 111a al contrario la sua docililà ad eventi 1

1

26 27

J/Jid' 40. /bid.,4!.


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ineluttabili si sono rivelate sorgente di ogni sua allività fino alla fine della sua vita. La già fragile salute della Weil viene compromessa ulteriormente da una tubercolosi che, secondo il parere dei medici, non esclude la possibilità di guarigione. Durante questo periodo di malattia partecipa alla n1iserie e alle sventure di coloro che subiscono le conseguenze atroci della guerra rifiutandosi di mangiare e lasciandosi morire di inedia. La sua morte nel sanatorio di Ashford, nel Kent, il 22 agosto 1943, rivela così il suo desiderio di sperimentare nella sua propria carne tutta la sventura di quegli eventi bellici che l'avrebbero portata sul fronte co1ne pure la sua sofferta partecipazione all'olocausto e al dramma del popolo ebraico'".

28 La Weil non si n1oslra particolarmente tenera con il popolo ebraico poiché essa non concepisce la nozione di divinità lcgara a quella cli popolo eletto. L1 veri là essenziale è questa: Dio è il Bene che non può essere proprietà cli un popolo o ùi una razza nllri1nenli sarebbe idolatria: «lcs Hébrcux ont eu pour i dole, non du 1nétn! ou clu bois, 111ais une racc, une nati on, chosc tout aussi terrestre. Lcur rcligion est cbns son essence inséparable de cette ido!fttric, a cause de la notion de "peuple élu"» (Lef!re à 1111 re!igienr, 19). li Bene si spoglia dell'attributo della potenza, per esen1pio nel!() filosofia di Platone; è dunque inconcepibile per la Weil che Dio con1c Bene possa ordinare delle cruclcltà: ~<Zeus, dans !'Iliade, n'ordonne aucunc cruauté. Les Grccs croyaicnt quc "Zeus suppliant" hnbite c!ans toul 1nalhcurcux qui iinplore la pitié. lahvch est le "Dieu des année". L'histoire des Hébrcux 111011trc qu'il ne s'agii pas sculcn1cnt dcs étoilcs, tnnis aussi des guerriers d'Israel. [... ]. Lcs Hébrcux, qui ont éLé quatrcsièc!cs aucontact dc la civilisation égyptienne, ont refusé d'adoptcr ccl esprit dc douceur. lls vou]()ient la puissanee ... » (ibid., 15-16). La Wcil rifiut8 nel cristi ancsi 1110 Lutto ciò che si ri fcri sce al!' Antico Testan1ento perché inquina Ia purezza ciel Bene. Per una critica a questa particolare lcltura dell'Antico Tcstarncnto si veda E. L!iVJNAS, Si111011e \Veil con tre la Bib!e, in Difficile libe11é, ! 89-200. Lévinas in n1crito all'approccio interpretativo della Scrittura della Weil dìcc: «A l'égard des Écrilurcs cl!cs-111Cn1es (quc Sin1onc Wcil connaìt bicn cntcnclu par ]es trac!ulions), son <lllituùc csl an1bigut; clic Ics trai te Ìl la fois corn1nc !ivrcs historiques, pout Lout ce qui appuie sa thèse, et con1n1e des raux, pour tout cc qui !a gènc>:• (ibi<l, 19 !-192). Ci penncttiatno, su questa parLicoiare lellura cle!l'Anlico Teslan1enlo della Wcil, di sottolineare quanto a!lenna Giova11na della Croce: «Tutti questi pensieri nacquero in seguilo alla lettura dcl l'Antico Tcstmnento, una letturn fntta in grnn parte sullo sfondo degli svolgi1nenli politici, alcuni n1csi prin1a dell'esplosione della guerrn. Sono pensieri che si dilatano nella sua 111cnlc c, influenzati dalla sua passione per la storia e In 1nitologia greca, la rinchiudono in un sincrctis1no orientaleggiante, non pratico 1na intelleltuale, che le rende cliffici!e i! riconosci1nento dcl valore unico e irreversibile ciel crisLianesin10. Non giunge a dislinzioni chiare» (Sii11011e iveil e /'esperienza di Cristo, 82-83).


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3. «L'onibra e la grazia» 29 Riuscire ad inquadrare dentro una tipologia precisa il pensiero di Simone Weil non è cosa semplice. E' quanto cerca di fare Augusto Del Noce nell'ampio saggio introduttivo allo scritto della stessa: L'a111ore lli Dio 30 • Secondo il Del Noce, è necessario cercare di fissare alcuni criteri interpretativi del pensiero della Weil anche qualora si volesse sottolineare quel tratto che è «fuori di ogni possibile discussione, il suo voler essere sempre dalla parte degli oppressi, perché la vittoria ottunde il senso della giustizia. Ma che possa esser letta in modi diversi, o anzi opposti, è quel che risulta chiarissi1no dalla diversità delle reazioni»J 1• Il suo pensiero si presta facilmente a diverse letture anche perché tra l'altro, a parte il saggio L'enracinement scritto a Londra quasi come testamento del suo impegno sociale, la gran parte dei suoi scritti sono costituiti da articoli, lettere, frammenti sparsi. Per questa ragione Augusto Dcl Noce si propone di fissare due criteri per una lellura comprensiva del pensiero di Simone Weil.

29 Con questo titolo viene Lradol!a l'opera della Wci! La pesa11te11ret fa gr/ìce. Con la pubblicazione di questo libro nel !947 il 'CT1ibon, scrittore cattolico e arnico dcl J a Wei l, 111i ra a presentare in 111anicra ordinata Len1ati can1en te fn11nn1cnti cstratt i dai Cahie1~1-, preziosi per i loro contenuto dottrinale, n1a che, per la loro eccessiva rn11111nenlarietà, 1nettono in seria difficoltà il lettore. Noi in questo breve contributo non vi abbiaino fatto particolare rirerin1ento. Il traduttore di questo testo in italiano, Franco Fortini, così spiega le ragioni di questo titolo: «Quando tradussi questo libro, pubblicato in italiano nel 1951, rui a lungo perplesso per la resa dcl titolo. In i tal i ano, !;;1 pcsan tczza pesa pi i:J della pesantew~ è sen1n1ai gravezza, /ourdeur. Sarebbe stato 1ncglio "li peso e la gra:t.ia"? Certo è un peso di origine greca, pili che il "pondo" o !a ·'son1a" dell'italiano lettersrio. Son1ig!ia a quello che "pende" nel n1en1orabile inizio cli La persuasione e la re/lorica cli f\1ichel staedtcr. 0111bra, senzn dubbio, tradisce la corporeità del sostantivo; spiritualizza, disincarna, è poelicistico. Ma è anche associato al contrasto luce-buio, rivelazione-tenebra. L'o1nbra è un portalo della carne, dice Danle» (ibid., 12). :io Si veda l'originale francese: Pensées sans on/re co11cer11a11t l'a111011r de DieH, cii.. Ln traduzione italiana è precedutn da un articolato e interessante saggio ùi AUGUSTO DEL NOCE che portn il titolo: Sù11011e iVeil, inte1prele del 111011do di oggi, in S. WEIL, L'a111ore di Dio, cii., 7-64. 1 ·' lbid., 9.


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a) Il primo criterio mira a mettere in luce il processo della speculazione della Weil dentro «una forma di pensiero negativo attraverso cui si rivelano (nel senso forte della parola rivelazione: 'come per grazia') le idee dell'Ordine come principio metafisico e dell'obbedienza a Dio come virtù essenziale, e la congiunzione tra platonismo e cristianesi1no»~ 2 . b) Il secondo criterio ha come obbiettivo invece quello di sottolineare il «carattere di incompiutezza del suo pensiero. Non nel senso che la morte precoce le abbia impedito di dargli una forma sistematica. Ma nel senso che esso si arresta a una contraddizione non superala tra, gnosi e cristianesin10. E' un 1incon1piutezza dovuta, in parte, alla rico1nprensione della sua esperienza 111 una forma antecedente di cultura».-n. In questo quadro viene fuori il inotivo gnostico che, secondo il Del Noce, sta sotteso alla speculazione weiliana: «Ha delle radici che sono strettamente intellettuali; non si può riferirlo ad atteggiamenti pratici, ad amore per i Catari e per gli Albigesi, a deplorazione di posizioni assunte storicamente dalla Chiesa ecc; neppure basta il ricorso al carattere pratico e affettivo del linguaggio dei mistici né alla sua distinzione dal carattere speculativo del linguaggio metafisico»".

32

L.c..

:n Jbid., 13 . .1-! lbid., 21-23. A questo punto A. Del Noce si riferisce al padre Daniélou il quale in un'analisi ciel Ia Lettre à 1m rei igietlY inette in eviclen za i n1oti vi per cui I a Wei 1, pur essendo pervasa da una sensibilità religiosa, non poteva convertirsi. E' il suo ellenis1no che le in1pediscc di accogliere fino in fondo il fatto cristiano poiché relega questo sul piano delle essenze per cui si tratta secondo Daniélou «per lei piuttosto cli raggiungere gli archetipi eterni uscendo dal ten1po - e il Cristo è il pili perfetto di questi archetipi - che di credere in un gesto di Dio che viene a riprendere il re1npo per dargli un senso e salvarlo. E' qui che noi tocchiaino il fondo dell'ellenis1no cli Sin1one Wei!. Noi simno, infaLti, al punto di separazionerra la religione n1itica e la religione biblica. Per la religione 1nitica, ogni perfezione esiste già in un n1onclo precosn1ico, esen1plare. ll ten1po non può che degradare questa perfezione originale. La perfezione consiste dunque nel raggiungere questo inondo precos1nico. E' nostalgia di una purezza irrin1ediabilrnentc co1npron1essa dall'avventura del te1npo. Per la religione biblica, a! contrario, quel che Dio aveva pro1nesso ai profeli era pili grande di tutto ciò che era esislito nel passato. L'innocenza era per !oro un avvenire, che la polenza cli Dio era


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Il motivo gnostico così articolato e problematico nell'insieme della ricerca speculativa della Weil - secondo Del Noce - non nasconde una certa tensione metafisico-religiosa, che scaturisce dal ruolo che in questa speculazione occupa la nozione del soprannaturale. Senza questa nozione, infatti, per Simone Weil non è possibile rispettare l'uomo: «quando la nozione di soprannaturale s1 perde... il materialismo che ne deriva costringe a disprezzare l'uomo. Nel mettere il bene nella materia, porta a trattare l 1uon10 come 1nateria - o al di sotto»:is.

Si tratta di recuperare questa dimensione metafisico religiosa per ritrovare l'uomo, non chiuso nell'orizzonte terreno e 1nateriale che conduce ad una sorta di culto dell'io, ma aperto ad altro da sé. L'uon10, chiuso al soprannaturale nella sola din1ensione 111ateriale, non si apre all'altro se non per affermarsi co1ne io in cui l'altro è vislo con1c mero stru1nento. L 1uomo in fondo si apre agli altri quando viene chiamato ad obbedire ad un ordine che proviene d'altrovc: «Un uomo, considerato in se stesso, ha soltanto dei doveri, tra cui si trovano ccrli doveri verso se stesso. Gli altri, considerati dal suo punto cli vista, hanno soltanto dci diritti. Egli ha a sua volta dei diritti, quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono aventi delle obbligazioni verso di lui. Un uomo che fosse solo nell'universo non avrebbe alcun diritto, ma avrebbe delle obbligazioni. La nozione di diritto, essendo d'ordine oggettivo, non è separabile da quelle di esistenza e di realtà. Questa nozione appare quando l'obbligazione discende nel campo dci fatti; di conseguenza essa chiude sempre in un certa 1nisura la considerazione degli stati di fatto e delle situazioni particolari. I dirilti appaiono se111prc con1e legati a certe condizioni.

capace di suscitare. Ed è qucst'azi one decisi vn di Dio che era stala coinpi uta nel Cri sto, nella pienezza dei tcn1pi. L'i n1portrn1za del l 'cvcn to si con ncU-e qui a ciò che cosl i luisce il fondo della fede biblica: l'nsso!uta trascendenza di Dio. Questa lrasccndenza lo separa, in ratti, dall'uon10 per un abisso incoln1abile. Ma questo abisso che l'uo1no non può varcare, può varcarlo il Figlio di Dio e venire a cercare J'uo1no per introdurlo vicino al Padre»: J. DANJÉLOU, !Ieflé11is111e, Judai's111e, C/iristia11is111e, in AA.Vv., Réponses aur quesr;ons de Sù11011e lVei!, Aubier, Purigi 1964, 36, ibù!., 22-23. ·15 S. WE!L, f..(:1i ts de Londres et den1ières !ett res, Gal Ii inard, Pari s 19 57, I 69.


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Soltanto l'obbligazione può essere incondizionata. Essa si pone in un campo che è al di sopra di questo mondo»"'. L'ohbligazione verso l'altro non può fondarsi su ciò che è relativo, sui costumi, sulle strntture sociali, cioè su quanto è condizionato storicamente: «Questa obbligazione non si fonda su nessuna convenzione. Poiché tutte le convenzioni son n1odificabili secondo la volontà dei contraenti [... ]. Questa obbligazione è eterna. Corrisponde al destino eterno dell'essere umano. Solo l'uomo ha un destino eterno. Le collettività non ne hanno. Così non ci sono nei loro confronti obbligazioni dirette che siano eterne. Eterno è solo il dovere verso l'essere urnano come tale»J 7 • Questa obbligazione di cui parla Simone Weil è dunque incondizionata, non si fonda su niente che abbia a che fare con il n1ondo, non appartiene a questo inondo, si indirizza all\101110 poiché l'uomo ha un destino eterno. «Il fatto che un essere umano possiede un destino eterno non impone che una sola obbligazione; è il rispetto. L'abbi igazione è compiuta se il rispetto è effettivamente espresso, m un modo reale e non fittizio; non può esserlo se non attraverso la mediazione dei bisogni terreni dell 1uo1no»J 8. L'insistenza sulla priorità della obbligazione riveste un significato non trascurabile secondo Del Noce, il quale si chiede: «La Weil non ritrova con ciò il senso dell'idea classica del diritto naturale, contro la sua versione illuministica? La precedenza dell'aspetto di legge oggettiva rispetto a quella di diritto soggettivo, onde l'inscindibilità del diritto naturale dalla metafisica? Tutto il pensiero

~ 6 S. WE!L, L'e111rici11e111ent, cit., 9-10. La Wcil continua su questa linea prendendo di 1nini la dichiarazione dci dirilti clcll'uon10 del !779 secondo cui ~<Lcs ho1nn1es dc ! 779 ne rcconnaissaient pus la réalité d'un lei ùo1naine. Ils ne reconnaissaicnt que celle clcs choses hu1naincs. C'est pourquoi ils ont con11nencé par la notion ùc clroiL. ìviais cn n1Cn1e Len1ps ils soni voulu poscr c!es principes absolus. Celle conlradictlon !es a rait totnbcr ùans une confusion politiquc el sociale actuel!e. Le don1aine de cc qui esl éternel, universel, inconditionné, est autre quc celui dcs conclitions dc fait, et il y habite des notions clifférentcs qui sont liécs I1 la parti e la plus secrètc ùc l'àme hun1ainc» (ibid., 1O). 37 lbid., l 1-12. JN Jbid., 12-13.


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della Weil - ed è qui la sua singolarità -sta nel ritrovamento delle idee tradizionali, a partire da una posizione iniziale che non è di difesa, ma di rivolta: a ritrovarla, perciò, nel loro carattere autentico»Y>. Ci si chiede a questo punto: cosa significa il riferimento metafisico nella speculazione weiliana? Come si dice questa relazione metafisica nel suo pensiero? L'uo1no tuttavia deve fare i conti con la pesonteur, la gravità, la forza, che nel pensiero della Weil è un movimento condotto dalla necessità. La gravità, dicendo essenzialmente pesantezza tnateriale che è legata al movimento verso il basso, non fa altro che rivelare questo universo sensibile in cui noi ci trovia1no a vivere. Si pensi alla forza presa in considerazione dalla teoria della gravitazione universale di Newton che porta verso il basso, questa forza «Cl fa sentire continua1nente la sua costrizione» 40 . L'universo nel pensiero weiliano è governato da due forze «luce e pesantezza» 41 • La pesantezza abita e si esprime nei n1oti naturali deil'anima, cioè in quei Tnoti che mirano a11'affer1nazione di sé: è l'io che prende possesso e mira ad esercitare il potere. Perché l'io ritrovi se stesso deve abbandonare quanto lo lega alla necessità, cioè alla pesantezza, alla forza, per concedersi alla grazia. L'io ritrova se stesso vuotandosi, il che avviene non per la forza delJlio stesso, n1a per grazia. In questo senso bisogna comprendere che lasciare la forza e il potere dell'io nel pensiero di Simone Weil vuol dire vuotarsi: «Non esercitare tutto il potere di cui si dispone, vuol dire sopportare il vuoto. Ciò è contrario a tutte le leggi della natura: solo la grazia può farlo. La grazia coln1a, 1na può entrare soltanto là dove c'è un vuoto a ricerverla; e quel vuoto, è essa a farlo>) 42 . li vuoto è ancora frutto della grazia. Nell'itinerario spirituale di Simone Weil viene fuori l'esigenza, che essa avverte sen1pre più forte,

w A. DEL NOCE, Si111011e Wei!, i11te1prere del 111011do di oggi, in S. WEJL, L'an1ore di Dio, cii., 63. ~ 0 S. WE!L, L'enraci11e111e11r, cit., 329. 11 ' S. WEJL, Lapesanreurer !agnlce, cit., 7. 42 Ibid., 24.


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della ricerca di una purezza, la quale s1 concretizza nell'accettazione del vuoto. Ma questo non avviene m modo indolore nell'uomo: «Accettare un vuoto in se stessi è cosa soprannaturale. Deve trovare l'energia per un atto che non ha contropartita? L'energia deve venire da un altro luogo. E, tuttavia, ci vuole dapprima come uno strappo, qualcosa di disperato; bisogna, anzitutto, che quel vuoto si produca. Vuoto: notle oscura» 4 -'. L'ingresso nella notte oscura è dono, più che frutto di uno sforzo. La forza che immette nella notte viene d'altrove, è soprannaturale. La grazia è la luce che viene dall'alto, fa irruzione nel la vita deila Weil che si rilrova come strappata a se stessa, vuotata.

Strappata a sé e condotta altrove.

3.1. Pensare è i111parare a

n1orirc 4 ~

li pensare filosofico secondo la Weil è una passione per la verità, è a1nore per la verità, ma «::Hnare la verità significa sopportare il vuoto,

~ 3 Jbid., 19. Riferin1ento abbastanza esplicito a Giovanni della Croce che nei suoi scritti rnettein particolare rilievo come l'ani1na per giungere all'unione con Dio deve passare per la notte oscura. La notte oscura è una nozione chiave nella n1istica cli Giovanni della Croce: «Per giungere allo stato di perfezione, l'anitna generaln1ente deve pri1na passare attraverso due aspetti principali di tenebre che gli spirituali chian1ano purgazione o purificazione, io invece nof!e perché l'ani1na, nell'una e ne!l'allra, can1n1ina al buio cotnc di notte>>: Salita del Monte Ca1111elo, in Opere, O.e.o., Ro1na 1979, 15. Lo stesso Giovanni clellaCroccpiùavanli spiega i tre rnotivi per cui !'anima deve passare dulia notte per giungere all'unione con Dio: «Pri1110, a causa dcl te1111i11e da cui essa 1nuo11e; l'appetito deve privarsi di tutti i ben i te1nporal i di cui gode, rinunziando ad essi: rinunzia e privazione che Lutti i sensi dell'uon10 costituiscono una vera notte. Secondo, per 111ezzo o !a via attraverso la quale l'ani1na deve tendere all'unione con Dio; tale 111ezzo è la fede che per l'intelletto è oscura con1e la notte. Te1zo, per fa 111èta a cui ella è di refi a, Dio, il quale. è ugualn1enlc notte oscura per I 'ani rna finché ri inane ne! 1nonclo. Queste tre notti devono succedersi nel I'ani 1na, o n1cg! i o, I'ani 1na deve passare per esse prima di giungere alt 'unione di vina» (i bid., 1 7). 44 La filosofia con1e esercitazione di morle è una evidente allusione all'opera di PLATONE, Fedone, I, Rizzoli, 1953, 1012, 67e5; «quanti per retta via esercitano rnnor di sapienza, fanno studio continuo di rnortc; e per essi la n1ortc, fra tulli gli uoinini, in 1nini1110 grado desta lerrore»; e ancora i bid., 82c: «può giungere alla divina natura soltanto l'uo1no che ha perseguito mnoroso uso di sapienza, l'uon10 filosofo, l'uon10 che interrnncnte puro ha fatto partenza da questa vita. Soltanto quest'uo1110 elle sente an1ore per i! sapere».


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e di conseguenza accettare la morte. La verità sta dalla parte della morte» 45 • Questa accettazione del vuoto è una progressiva uscita da sé. Una uscita senza alcun orientamento verso l1avvenire. L'avvenire che è inscritto nella distensione ten1porale, quando viene raggiunto in un obiettivo che ci si era prefisso, non sta più oltre, ma diventa presente. «Quando si è delusi da un piacere che ei si aspettava e che sopraggiunge, la causa della delusione è nell'attesa di qualcosa dell'avvenire. E una volta giunta la cosa, ecco che fa parte del presente. Bisognerebbe che l'avvenire fosse qui, senza cessare d'essere l'avvenire. Assurdità di cui solo l'eternità ci guarisce» 46 . Tutto questo significa per la Weil, in fondo, rinunciare al possesso che si esprime lasciando l'avvenire nell'avvenire. Desiderare il bene assoluto co1nporta «svuotare di ogni contenuto il desiderio, la finalità, desiderare a vuoto, desiderare senza alcuna aspirazione»·17. Il desiderio del bene assoluto è il distacco da tutti quei beni relativi che mirano a soddisfare i bisogni. Questa soddisfazione porta alla gravità ovvero a lasciare che i legami con ciò che è naturale abbiano il sopravvento, il che vale a dire perdere il contatto con la realtà. Secondo la Weil infatti: «L'attaccamento fabbrica illusioni; e chiunque vuole il reale dev'essere distaccato»". La scoperta della realtà, lo stupore dinanzi ad essa, costituisce l'inizio della filosofia. Il pensare inizia nel 1non1ento in cui si scopre la realtà ovvero nel 1nomento in cui ci si distacca da essa: «Da quando si sa che qualcosa è reale, non è più possibile essergli affezionati. L 1atlacca1nento non è altro che l'insufficienza nel sentimento della realtà. Si è legati al possesso di una cosa perché si crede che, se si cessa di possederla, quella non esista più. Molte persone non sentono con tutta la loro ani1na che c'è una totale differenza fra l'annienta1nento di una città e il

45 S. WEIL,

Lo pesanleur et lo gr/ice, cìt., 19. lbid, 29. 47 Ibid., 21. L'accostaincnto di Si1nonc Wcil in questo testo è <il buddisn10: 46

«L'exlinction du désir (bouddhisn1e) ou le déLachen1ent - ou l'mnorfatì - ou le dcsir ùu bien abso!u, e' est tOt\jours la n1è1nc chocc». 48

Ibid, 22.


Pensiero e preghiera nell'esperienza spirituale di S. Weil

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loro esilio definitivo da quella medesima città» 49 • Pensare è essere distaccati. Così nello stesso tempo è proprio dalla percezione della distanza che scaturisce il pensiero stesso. Bisogna pensare la realtà differentemente, non come il possesso di una cosa. Pensare è distaccarsi dalle cose n1ateriali, cioè pensare senza oggetto di pensiero. Il pensare senza oggetto è un pensare in Dio, il quale non è qualcosa che si può ridurre ad oggetto. Bisogna uscire da una certa visione che imprigiona nella temporalità per cui «essere distaccato consiste nel non orientarsi più verso l'avvenire» 511 • Occorre puntare sull'Eternità, sull'Assoluto che opera per grazia il distacco e la purificazione da ogni realtà finita. In tal modo secondo la Weil il pensiero rinuncia a possedere vuotandosi di sé. Pensare in questa prospettiva è un desiderare senza oggetto poiché «l'oggetto, la ricompensa sono nell'avvenire. Privazione di avvenire, vuoto, squilibrio. Per questo 'filosofare è imparare a morire'. Per questo 'pregare è come una morte'» 51 • Ogni sforzo intellettuale di raggiungere l'oggetto finché si è dentro la caverna, cioè dentro la dimensione naturale, temporale dove regna la gravità, è destinato al falli1nento. Occorre «uscire dalla caverna» 52 , n1a non per possedere l'oggetto. Fuori della caverna non si possiede, ma si è posseduti. In questo senso l'uscita dalla caverna indica l 1arduo e faticoso cammino che bisogna percorrere verso la luce, la quale fa male: «In principio,

~9

L.c .. Ibid., 29. 51 lbid., 29-30. 51 L.c .. Evidente allusione cli Sirnone Weil al n1ilo della Caverna cli Platone: «Gli uo1nini sono con1c in sottern:mca din1ora che ha la fonna di una cave111a. E questa caverna rresenta l'ingresso spalancalo e rivolto alla luce, esteso quanto la caverna è larga. Quivi fin da fanciulli, in ccpri le gmnbee il collo, gente cui si concede soltanto restare in quel luogo; guardar soltanlo avanti a sé; incapaci per causa di quei ccrpi cli volgere il caro in giro. [_ ... J E poi diss'io, qualcuno !o strappa via di là, a violenza, in alto, per la via crla e ripida. E non lo lascia anelare, nu1 lo strappa ruori, in piena solare luce. Non credi che continui sarebbero i lan1cnti del nostro prigioniero! Intanto, giunto al!a grande luce, gli occhi suoi sono oppressi da fulgore. Non ruò scorgere nen1n1eno uno degli oggetti che si dicono veri»: La Repubblica, !I, Rizzali, Milano 1953, 514a, 515e-516a. 50


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guel che fa male è il movimento. Quando si giunge all'orifizio, è la luce. Essa non acceca soltanto: ferisce. Gli occhi le si ribellano»''· Andare verso la luce è incamminarsi verso Dio, cioè verso quella realtà invisibile non prendibile alla condizione naturale. Dio sfugge alla indiscrezione dell'uomo: «Dio e il soprannaturale sono nascosti e senza forma nell'universo. E 1 bene che siano nascosti e senza no1ne nell'anima. Altrimenti si rischia di avere, sotto guel nome, qualcosa di immaginario (quelli che hanno nutrito e vestito il Cristo non sapevano che fosse il Cristo). Senso degli antichi misteri. Il cristianesimo (cattolici e protestanti) parla troppo delle cose sante»". Non si può vedere Dio senza morire. Perciò Dio rimane invisibile, abita al di là, «è il Padre che è nei cieli. Non altrove. Se noi crediamo di avere un padre quaggiù non è lui, ma un falso dio. Non possiamo fare un solo passo verso di lui: non si cammina verticalmente. Possiamo dirigere verso lui soltanto lo sguardo. Non possiamo cercarlo, dobbiamo soltanto mutare la direzione dello sguardo. Tocca a lui cercarci. Dobbiamo essere felici di sapere che egli è infinitamente fuori dalla nostra portata. Abbiamo così la certezza che il male in noi, anche se so1nmerge tutto il nostro essere, non conta1nina in alcun 1nodo la purezza, la felicità, la perfezione di Dio»·55 • Si va verso Dio cogliendo e accogliendo la propria condizione, la propria autenticità, cioè il proprio essere per la 1norte56 ; ciò nel pensiero weiliano vuol dire che ci si avvicina a Dio se si toglie il velo o lo schenno della carne57 e non si ha più paura di Dio, il che avviene

5-' S. WEJL, La pesa111e11r et la g rdce, ci t., 7 l. 5.i

lbid, 68.

55 S. WEJL, Attesa di Dio, cit., I 68. Qui abbiaino l'uffennazione di una distanza inco!inabile tra la nostra condizione e la realtà di Dio di cui non si pone nc~lnchc il prob!ctna della sua esistenza. Bisogna creare il vuoto perché Dio lo si possa cssenzialincntc accogliere. In questo senso viene 1ncssa in luce la realtà di D!o a cui spetta l'iniziativa di venirci a cercare. sr,crr. M. HE!DEGGER, Pssere e Te111po, Longancsi, Milano ! 976, §§ 51-53,

308-324. 57 Cfr. S. WEfL, Lapesanteure! la griice, cit., 7 ! : «La chair n'esl pas cc qui nous éloigne de Dicu, elle est le voile quc nous 1nettons devant nous pour fai re écnln cntre Dieu et nous».


Pensiero e preghiera nell'esperienza spirituale di S. Weil

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solo morendo: «Non sono la ricerca del piacere e l'ostilità allo sforzo a generare il peccato, bensì la paura di Dio. Si sa che non si può vederlo in volto senza 111orire; e non si vuol 1norire. Si sa che il peccato ci preserva molto efficacemente dal vederlo faccia a faccia»'"· Questo significa per la Weil amare la verità, sopportare, acceltare il vuoto, e «di conseguenza accettare la morte. La verità è dalla parte della morte» 59 . Bisogna pensare in tnodo radicale e autentico la nostra condizione.

Filosofare è rinunciare ad essere, cioè pensare il vuoto, accoglierlo, che ci porta a incamminarci verso Dio: «Per questo noi fuggiamo il vuoto interiore: perché Dio potrebbe insinuarvisi»""· Fuggire il vuoto è in fondo non voler rinunciare a quella condizione naturale che conduce al possesso, per questo motivo la stessa Weil sembra implorare aiuto: «Ho bisogno che Dio mi prenda di forza; perché se ora la morte, sopprimendo lo schermo della carne, mi mettesse davanti al suo volto, io fuggirei>/>1. Filosofare è in1parare a rnorire) bisogna sapere fino in fondo questo ovvero accogliere questa verità senza fuggirla. In questo senso possiamo dire che, nell'itinerario spirituale della Weil, si apre lo spazio per l'invocazione, la preghiera che è come una morte.

3.2. «Anfore senza fondo» La dimensione soprannaturale che ti strappa dall'orizzonte della gravità per proiettarti verso la luce, viene messa in rilievo dalla Weil, anche quando si tratta di quell'energia che investe l'universo fisico: «La luce impalpabile e senza peso è una energia che fa crescere nonostante la pesantezza gli alberi, e le spighe di grano. Noi la mangiamo nel grano e i frutti, e la sua presenza in noi ci d' forza cli ri1nanere in piedi e di lavorare. Un infinitan1ente piccolo, in certe condizioni, opera in un 1nodo decisivo» 62 . La scienza tutta inlera, in

58 /bid.,

70-71.

59 /bid.,

19. (,()!bid., 70. 61

/bid.' 71.

62

S.

WEIL, L'e11raci11e111ent,

cit., 329.


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effetti, deve essere pensata come «uno specchio simbolico delle verità soprannaturali>/'-'. La nozione del soprannaturale è il fondan1ento di ogni scienza. L 1accettazione di questo principio ha come conseguenza l'impossibilità di procedere e di pensare scientificamente senza la di1nensione soprannaturale. Da qui la necessità di pensare il soprannaturale che entra nel discorso scientifico con1e principio del pensare stesso. Il principio del pensare è Dio. Questo principio accolto comporta per l'uomo che esercita il pensiero il diventare nulla, bisogna che egli sparisca. Il pensiero si afferma come pensiero nell'umiltà, cioè nel riconoscin1ento che quanto è in sé viene da altro da sé: «L 1un1iltà consiste nel sapere che in ciò che si chia1na Io non c 1è nessuna sorgente cli energia che permetta di elevarsi. Tutto quel che è in me è prezioso, senza eccezione, viene da ciò che è altro da 1ne; non come dono, 1na come prestito che dev'essere continuamente rinnovato. Tutto quel che è in me, senza eccezione, è assolutainente senza valore; e, fra i doni venuti dal cli fuori, tutto quel che io mi approprio diventa subito senza valore» 6 -t. L'affcrn1azione di sé che si chiude nel1 1appropriazione di ciò che è altro eia sé giunge alla negazione del principio. Dio viene negato nel n1on1ento in cui l'io pone se stesso con1e principio ovvero co1nc se fosse esso stesso principio di se stesso. Il principio ciel pensare è dunque la rinuncia ad essere. L'io deve rinunciare alflaffennazione di sé, ad essere io, perché venga alla luce la relazione tra Dio e il creato. In questo senso ribadisce la Weil: «Tutto ciò che vedo, odo, respiro, tocco, mangio, tutti gli esseri che incontro, io privo tutto ciò del contatto con Dio e privo Dio ciel contatto con tulto ciò nella n1isura in cui qualcosa in me dice io»<'5 • Il problen1a è come entrare in questa relazione. Pensiero e preghiera si inscrivono in questa relazione fondamentale. Si entra in questa relazione, da cui scaturisce ogni pensare e ogni pregare, nella misura in cui ci si ritira. Questa è l'autentica modalità di entrare in rapporto con Dio. Ci si

6J (i.f

65

L.c .. S. WElL, La pesanteur et la g rlìce, ci t., 40.

lbid' 52.


Pem·;ero e preghiera nell'esperienza spirituale di S. Weil

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relaziona facendosi da parte. Il che risponde al modo stesso di relazionarsi di Dio. Dio creando, come afferma la tradizione religiosa ebraica, si ritira. Quanto più si entra in relazione con Dio tanto più bisogna assolversi dalla relazione, ritirarsi e rispettare il dialogo: «Posso fare qualcosa per tutto ciò e per Dio, sapermi ritirare, rispettare il colloquio a tu per tu»M'. Perché Dio raggiunga la realtà il nostro io deve farsi da parte. Bisogna lasciar giungere l'amore di Dio alla creazione, secondo la Weil, purché questo io che si frappone non lo impedisca: «io sono uno schermo. Debbo ritirarmi perché egli possa vederla. Debbo ritirarmi perché Dio possa entrare in contatto con gli esseri che il caso inette sulla niia strada e che egli an1a. La 111ia presenza è indiscreta come se mi trovassi fra due amanti o due a1nici. Sono non la ragazza che aspetta un fidanzato, ma il terzo incomodo che è con due fidanzati e che deve andarsene perché essi siano veramente insie111e. Se sapessi sparire, ci sarebbe davvero unione perfetta dì amore fra Dio e la terra sulla quale io cammino, il mare che odo ... Che importano la mia energia, le mie attitudini, ecc.? Ne ho sempre abbastanza per

sco1nparire» 67 . L'indiscrezione dell'io impedisce il colloquio intimo tra il creatore e la creatura. Dio ama la realtà che ci sta attorno, dentro la quale noi viviamo, quando noi coglia1no quello che sian10 e rinuncian10 ad essere: «Sia1110 anfore senza fondo finché non si sia compreso che abbian10 un fondo» 68 • Perché Dio an1i e si an1i dobbiatno rinunciare ad esistere. Bisogna acconsentire a non esistere per lasciare amare Dio in noi: «E 1 Dio che per amore si ritira da noi perché ci sia possibile amarlo. Perché se fossimo esposti ai raggi diretti del suo amore, senza la protezione dello spazio, del tempo e della n1ateria, saren1mo evaporati con1e l'acqua al sole; non ci sarebbe abbastanza Io in noi per abbandonare l'io per amore. La necessità è lo

66 67

L.c ..

lbid.' 52-53. 68 !bid.' 43.


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schermo posto fra Dio e noi perché noi possiamo essere. Tocca a noi ro1nper lo schern10 per cessare di essere» 69 . Dio an1a in noi questo consenso che rinuncia ad essere; infatti «Dio può an1are in noi soltanto questo consenso a lasciarlo passare,

lui 1nedesin10, creatore, si è ritirato per lasciarci esislere» 70 . La discrezione di Dio è la misura della nostra discrezione, vale a dire del nostro passo indietro. Il pensare in questo contesto ci se1nbra venga messo propriamente m luce dall'atteggiamento umano della discrezione. La relazione, che è la proprietà di ogni pensare, co1ne discrezione significa che il proprio orizzonte di relazione non è più circoscritto dal possesso dell'oggetto conosciuto, ma si inscrive 1n un orizzonte aperto che lascia essere l'oggetto stesso. co111e

In questo senso la relazione, così co1ne viene fuori tra il soggetto che conosce e l'oggetto conosciuto, non si chiude nel procedere del pensiero della Weil, in ambito speculativo, ma si apre all'invocazione: «Possa io sparire perché le cose che vedo, non essendo più le cose che io vedo, divengano perfettamente belle. Non desidero affatto che questo mondo creato non sia più oggello di percezione; bensì che non sia più oggetto della mia percezione. A me, esso non può dire il suo segreto, che è troppo alto. Così possa io andarmene; allora Creatore e creatura si diranno i loro segreti. Vedere un paesaggio com'è quand'io non ci sono ... Quando sono in qualche luogo, io insozzo il silenzio del cielo e della terra col 1nio respiro e col battito del mio cuore» 71 •

Il pensare, secondo quanto viene fuori da questo testo così pure dall'esperienza di Simone Weil, viene dal di là, è ciò che lo oltrepassa. Essa sembra distinguere infatti ciò che è oggetto della nostra percezione da ciò non Io è in quanto "troppo alto": perché trascendente, intimo, segreto. Per cui l'atteggiamento più vero è quello della discrezione. Pensare è discrezione, sparire per lasciare venire al1a luce. L'atteggian1ento che la nostra Si1none invoca co1ne concessione e grazia di Dio è quello di farsi da parte, sparire e diventare nulla: «Dio

69

70 71

!bid' 42-43. lbid, 52. !bid., 53.


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mio, concedimi di diventare nulla» 72 • Qui si rivela nella ricerca di questo atteggiamento un desiderio di profondo rispetto verso una realtà che non ci appartiene, che si può soltanto accogliere nel silenzio, nel1 1ascolto, nell'attenzione. La misura del pensare nella riflessione e nell'esperienza della Weil passa attraverso il confronto con la sventura (le malheur). L'icona della sventura è Cristo7i. Il Cristo crocifisso è la misura e l'accesso alla conoscenza: «La croce di Cristo è la sola porta de!Ia conoscenza>) 7<l. Dio si è fatto carne, n1a continua a farsi carne vuotandosi della sua divinità per darsi all'uomo. Non si può sfuggire a questa reciprocità75 . Svuotarsi della nostra condizione, cioè di quella necessità in cui sia1no stati concepiti, in cui sia1no nati: questo è il can1n1ino da co1npiere fino a cogliere ed accogliere amandolo il nostro nulla"'· Per cui dice la Weil «una volta capito che si è nulla, il fine di tutti gli sforzi è di diventare nulla. E' a questo scopo che si soffre con accettazione, è a questo scopo che si agisce, è a questo scopo che si prega» 77 • L'infelicità è l'orizzonte dentro il quale bisogna capire noi stessi, la nostra 111iseria è la realtà, «la nostra 111iseria, noi non ce la fabbrichia1no. E' reale. Per questo bisogna amarla con tenerezza. Tutt'ìl resto è in1maginario» 78 • A1nare teneramente questa nostra n1iseria è il tnodo autentico di raggiungere il reale. Pensare la realtà è

71 !bid., 44. La Weil continua dicendo: «A rncsure que jc dcviens ricn, Dieu s'ai1ne à trnvcrs 1noi». TI Su questo teina si vedano le brevi n1n pertinenti considerazioni di X. T!LLIE11·E, Sii11011e iVeil e fa croce del Cristo, in ID., Filosofi' daJ1a11ti a Cristo, Qucriniann, Brescia 1989, L134-437. 74 S. WEIL, Lapesa11te11ret fagr/ìcc, cit., 70. 75 Crr. ihid., 44: «Co1n1nunion catholiquc. Dieu se s'cst pas scu!cn1ent fait une fois chnir, il se tait tous !es jours n1atìèrc pour se donner à l'hon1n1e et cn èLre consomn1é. Réciproque1ncnt, par la fatigue, !e 1nalhcur, la rnorl, l'homn1c est fait n1atière et conso1111né par Di cu. Co1111nent rcruser cettc réci pro ci té?». 76 Cfr. ibid., 129: <dc dois ai1ncr CL re rien. Con11ne cc scrait llorriblc si j'étais quelquc eh o se. Ai1ner 111011 néant, airnerètre néanl. Ai1ner avec la parti e de l'5.1nc qui est située dc l'autre c6té clu ridcau, car la parli e cle l'{ìrnc qui est pcrceptiblc à la conscicnce ne peut pas airncr le néant, elle cn a horrcur. Si elle ero il l'airncr, ce qu'ellc ain1e est aulre chosc quc !e néanl». 77

Jbid., 44.

78

fbid., l 12.


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entrare in relazione con questa nostra condizione. Pregare è accogliere fino in fondo questa realtà a cui u!ti1namente ci si riferisce.

4. La nozione di hypomone Questa nozione, con la quale la Weil mette 111 luce un'attcggiamento non secondario della persona, è tratta dalla espressione evangelica «karpophorousin en hypomoné» (Le 8, I 5) 79 e che traduce lo stato d'animo della pazienza proprio dei servi che attendono il padrone: «Siate pronti, con la cintura ai fianchi e lucerne accese; siale si1nili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà 1nettere a tavola e passerà a servirli» (Le 12,35-37). La Weil così commenta questo brano: «Lo schiavo che sarà a1nato è colui che sta in piedi, i1nn1obile, vicino alla porta, sveglio, attento, in altesa, preoccupato di aprire non appena sente bussare. Né la fatica, né la fame, né le sollecitazioni, né gli inviti an1ichevoli, le ingiurie, i colpi o i lazzi dei suoi compagni, né le voci che possono circolare intorno a lui, secondo le quali il suo padrone sarebbe 1norto o irritato contro di lui e deciso a fargli del 1nale, niente inson1ma Io distoglierà 1ninin1an1ente dalla sua i1n1nobilità atlenla» 80 • La rico1npensa a cui normaln1ente fanno riferiinento i vangeli è legata secondo la Weil allo stato d'animo della pazienza: «Lo stato di attesa così ricon1pensato è ciò che ordinariainente eh ia111ia1no pazienza. Ma il termine greco hypomoné è infinitamente più bello e ricco di un significato diverso; indica un uomo che attende senza n1uoversi, a dispetto di tutti i colpi e le percosse con cui si cerca di sn1uoverlo: karpophorousin en hypo1none porteranno frutto 81 nel I'attesa» •

79

La Bibbia della CE! traduce con «porteranno frutto con la loro perseveranza».

Hos. WE!L, l'mnoredi Dio, cil., 221-222. ~ 1 lbid, 222.


Pensiero e preghiera nell'esperienza spirituale di S. Weil

I 43

La preghiera nella riflessione weiliana occorre scorgerla in quell'attitudine che è propria dell'anima paziente nell'attesa" che rivela la struttura dell 1cssere un1ano. La preghiera è pura attenzione 8J: «L'attenzione, al suo grado più elevato, è la medesima cosa della preghiera. Suppone la fede e l'amore. L'attenzione assolutamente pura è preghien:l» 84 • Un pensiero sospeso, vuoto che non è proteso alla ricerca e alla presa dell'oggetto questa è l'attenzione. L'attenzione indica quello stato della creatura umana che vive essenzialmente nell'attesa: «L'attenzione è Jlattesa: non lo sforzo, la tensione, né la mobilitazione del sapere su qualcosa di cui ci si preoccuperebbe. L'attenzione attende. Essa attende senza precipitazione, lasciando vuoto ciò che è vuoto ed evitando che la nostra pren1ura, il nostro desiderio impaziente e, più ancora, il nostro orrore ciel vuoto non Io colma pre1naturan1enle» 85 . Il pensiero si dischiude all'attenzione quando l'io scon1pare, quando si nutre del 1nistcro. La sorgente dell'attenzione è il n1istero: «L'attenzione è l 1accoglienza di ciò che sfugge all'attenzione, apertura su l'inatteso, attesa che è l'inatteso cli ogni attesa» 86 • Il pensiero aprendosi nell'attesa dell'inatteso rinuncia al possesso, al potere, in quanto si apre all'Infinito, a Dio, per cui il pensiero non può nulla. In questo senso il pensiero che si apre a Dio sospende di pensare, non cerca nulla, prega, cioè rinuncia a sé per far posto ad

82 Giovanna della Croce, ne! suo saggio Sii11011e lVeil e /'esperienza di C1isto, legge in 1noclo particolare gli ultin1i giorni della \Veil nel sanatorio di Ashford co1ne realizzazione di quanto aveva teorizzato a proposito della pn7.Ìente atlesa: «Per Si1none, i inesi all'ospedale significano veder sparire, inghiottiti e distrutti dalla 1na!attia, i suoi gn1ndi ideali. Le resta soltanto l'attesa, quella che al tennine dcl suo recente saggio Teoria dei sacrmnenfi aveva chian1ato «pazienz<l», col rinvio a! Lennine greco hypo111011é» (i/Jid., 152). 8-' Su questo tema si veda ìl recente studio cli CIHARETI'O CALÒ, Si111one lVcil: l'affenz.ione. li passuggio da!lru11011otoniu de!l'appare11za alla 111eraviglia de/l'essere, Citt~l Nuova, Rorna, 1996. L'Autore ha inteso n1ostrare elle il percorso speculativo di Si1none Weil, nonostante sia connotato da varie espressioni n1isLichc, rin1ane legalo al terreno del discorso filosofico. 8·1 S. WEIL, Lapesanteuret /agréìce, cìt., 134. 85 NI. BLANCHOT, op. cii., 176. ~ 6 lhid., 177.


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altro da sé. li bisogno essenziale, che si fa spazio nella riflessione della Weil, è quello di mantenere il vuoto nel pensiero: «Modo errato di cercare. Attenzione legata ad un problema. Un altro fenomeno di orror del vuoto. Non si vuol aver perduta la propria fatica. Accanimento nella caccia. Non bisogna voler trovare; come nel caso di una devozione eccessiva, si diventa dipendenti dall'oggetto dello sforzo» 87 • L'attenzione ci pone più nell'atteggiamento dell'implorazione che sul piano dello sforzo personale che mira alla conquista di un oggetto o di una virtù: «Se la purezza interiore o l'ispirazione o la verità nel pensiero fossero necessariamente associali ad attitudini di questo genere, potrebbero essere oggetto di volontà. Ma siccone non è affatto così, possiamo soltanto implorarli. Implorarli, vuol dire credere che abbiamo un Padre nei cieli. O cessare di desiderarli? Ci può essere qualcosa di peggio? La supplica interiore è la sola ragionevole, perché essa evita di irrigidire i musèoli che non hanno nulla da fare in queste genere di cose. Ci può essere qualcosa di più sciocco dcl tendere i muscoli e di serrar le mascelle a proposito di virtù, di poesia o della soluzione di un proble1na? L'attenzione è tutt'altra cosa?» 88 . In questa prospettiva il pensiero, a parere del Blanchot, più si espri1ne «più deve 1nantenere da qualche parte in sé una riserva e con1e un luogo che sarebbe una sorta di non-pensiero, inabitato, inabitabile, qualcosa con1e 1111 pensiero che non si lascerebbe pensare» 89 • Questo inabitabile rimanda ad una realtà indefinibile, a un centro, a Dio che non può essere pensato con1e oggetto di pensiero proprio di una qualsiasi ricerca speculativa. «L'oggetto della ricerca non deve essere il soprannaturale bensì il n1ondo. Il soprannaturale è

87 S. WE!L, Lapesanteuref fagrlìce, cit., 134. 88

/bid., 133-134. 89 M. BLANCHOT, op. cit., 173. I! Blrn1chol scorge in questo dinarnismo ciel pensiero il nascondi1nento di Dio: «Préscnce-<1bsence dont la pensée se tounncnte, sur J a quel I e cl le vci Il e douloureuscn1cnt, avec soupçon, avec négl i gcncc, ne pouvant que s'en détourner, si tout ce qui !'en approche l'en écartc. L'oublier serait le plus juslc, car l'oub!i n peut-ètrc son origine dnns celle lacune initìnle e[ nous en fnit seul prcssenLir l n réa! i té "i n1n1edi ate"» (/.c.).


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la luce: se ne facciamo un oggetto, lo abbassiamo» 90 . La n1isura è Dio: l'incommensurabile. Dio come irraggiungibile è Assoluto che per pri1no abdica, si ritira, rinuncia. E' l'assoluta rinuncia alla potenza, al possesso: «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso» (Fil 2,4). Da qui scaturisce una sorta di identità in questo processo di spoliazione di Dio e dell'uomo91 . La rinuncia assoluta ha un volto, si è incarnata nell'abbandonato per eccellenza: Gesù Cristo crocifisso. Il Cristo crocifisso è colui che è stato reso maledizione: Egli è l'innocente maledetto reso peccato (cfr. 2 Cor 5,21). Siamo al colmo della infelicità per cui sottolinea il Tilliette: «il Cristo è stato completamente abbandonato. Il suo abbandono si esprime nel grido che lacera il silenzio: "Mio Dio perché mi hai abbandonato?". E' qui che il Cristo è divino, nel profondo della disgrazia, quando Dio è assente, nell'immobilità; nel persistere della infelicità. Il Cristo è la verità nell'estrema infelicità. Non sono le opere dei miracoli (collegati all'umanità), è la crocifissione a portare la prova in1mecliata, la1npantc, della divinità di Gesù» 92 . Lo sforzo intellettuale - lo studio - si volge all'attenzione pura se non n1ira ad ottenere l'oggetto contemplato, n1a se compie un passo indietro, cioè se pazienta: «Soltanto lo sforzo senza desiderio (non legato ad un oggetto) racchiude infallibilmente una ricompensa. Sfuggire dinanzi all'oggetto che si vuol ottenere. Solo quel che è indirelto è efficace. Non si ottiene nulla se) per cominciare, non si è fatto 111arcia indietro» 9-'. In questo senso l 1attenzione mette in relazione con Dio. Gli sforzi intellettuali mirano a sviluppare l'attenzione cioè cli

911 S. WIJL, La pesan teur et la g nìce, ci t., [ 49. 91 Cfr. M. BLANCl-IOT, op. cit., 170, nota I: «Celte idcnlité de Dicu el dc I'honnne cimi s cc 1nouvc1nen l con1n1u11 de dispari ti on dans Ie "ri en ", est I 'cn1péchc1ne11 t qui ne penncl pas ~ Sin1onc \.Vei! dc choisir entrc Ics voies naturellcs et ics voics surnaturc!lcs du salul, ni dc penscr le scns de cc choix. Nous son1n1cs naturcllen1cnl surna1urc!cs clans cc rand caché dc nous-n1èn1e qui est dès 1naintenmll el dès notrc nature Dieu en nous, nous en Dicu». 92 X. TiLu1.:1TE, Si111011e \Veif e la croce di Cristo, in Filosofi d(l\lanti o Cristo, cit., 435. 9 -1 S. WF!L,lnpesa11te11retfagn/ce,cit., 135.


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uno sguardo capace di svuotarsi di sé per accogliere ciò che contempla. Questa è in fondo la sostanza della preghiera, secondo Simone Weil, un orientamento verso Dio, non un possesso: «I liceali, gli studenti che amano Dio, non dovrebbero mai dire: "A me piace la mate1natica", "A te piace il francese", "A n1e piace il greco". Devono i1nparare ad a1nare tutlo ciò come strun1ento per sviluppare l'attenzione che, orientata verso Dio, è la sostanza stessa della preghiera»9 '1 . Un simile sforzo lo si ritrova nella preghiera in quanto questa è relazione disinteressata: «Se c'è un vero desiderio, se l'oggetto del desiderio è veramente la luce, il desiderio della luce produce la luce. C'è un vero desiderio quando c'è sforzo d'attenzione. E si desidera veramente la luce quando non è presente altro movente. Quand'anche gli sforzi dell'attenzione rimanessero in apparenza sterili per anni, vi sarà un giorno in cui la luce, esatta1nente proporzionale a quegli sforzi, inonderà l'anima. Ogni sforzo aggiunge un poco d'oro a quel tesoro che nulla al mondo può rapire. Gli inutili e penosi sforzi del curato d'Ars per lunghi anni, hanno portalo i loro frutti nel meraviglioso intuito con il quale egli scorgeva l'anima dei penitenti al di là delle loro parole e anche del loro silenzio» 95 . L'Hypo1nene è un pensiero vuoto, cioè un pensiero in attesa di una realtà che sorpassa: «L'attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all'oggetto [ ... ) il pensiero deve essere vuoto, in attesa; non deve cercare nulla 1na deve essere pronto a ricevere nella nuda verità l'oggetto che sta per penetrarvi»% Simone Weil in questo scritto sull'importanza degli studi scolastici, mettendo in luce l'attenzione, coglie la n1odalità dell'essere un1ano posto dinanzi alla verità che si aspetta. La verità si desidera senza pern1ettersi di cercarla. La verità è Dio per cui dinanzi a Dio si è in attesa. Dio non lo si ricerca, lo si attende. L'intelligenza viene accostata dalla Weil analogica111ente

9·1S. WE!L, 95

%

Affesadi Dio, cit., 75-76.

/bid, 77. lbid.' 80-81.


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all'anima che, «con la lampada ben fornita di olio, attende lo Sposo con fiducia e desiderio» 97 • Il pensiero autentico si sviluppa nella veglia, nell'attesa. Questo risponde al dinamismo della preghiera stessa che non è un irrigidimento muscolare: «Con lo sforzo muscolare il contadino strappa le erbacce, ma soltanto il sole e l'acqua fanno spuntare il grano»'". La preghiera è piuttosto l'atto di un consenso a Dio che va alla ricerca dell'uomo; è la sposa che dice il suo sì. Pregare è desiderare Dio, attenderlo. Nella recitazione del Pater nel testo greco Simone Weil scopre e accede alla preghiera cristiana: «mentre recito il Padre nostro oppure in altri 1no1nenti, Cristo è presente in persona, con una presenza infinita1nente più reale, più toccante, più chiara, più cohna d 1a1nore della prima volta in cui mi ha presa» 99 • La preghiera cristiana in questo brano viene colta nella sua essenza: Cristo prega nei suoi. E' la preghiera del Figlio in cui sono contenute «tutte le richieste possibili: non si può concepire una preghiera che non sia già contenuta in questa. Essa sta alla preghiera come Cristo all'umanità. E' impossibile pronunciarla una sola volta, concentrando su ogni parola tutta la propria attenzione, senza che un n1utamento reale, sia pure infinitesi1nale, si produca nell'ani1na» 1011 •

5. Conclusione Abbiamo iniziato questo breve saggio sollevando il problema della incompatibilità tra pensiero e preghiera. Nell'itinerario speculativo esistenziale di Si1none Weil, con riferin1ento ad alcune sue opere senza nessuna pretesa di esaustività, ci è sembrato di scorgere corne tra il pensiero speculativo e la relazione orante non vi sia

97

lbid., 82. Jbid.' 150. Jbid., 46. )()() Jbid.' 177.

').S 99


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distanza, ma un contatto spesso articolato e dina1nico. L'intelligenza infatti non consiste nell'impadronirsi della realtà che intellige. Essa piuttosto si nutre di questa riconoscendola, si nutre del mistero; più essa penetra la realtà più si accorge della profondità e della inesauribilità del lnistero che la sorpassa e da cui si lascia attrarre. L'intelligenza è innanzitutto riconosci1nento di una realtà che la sorpassa; riconosce Dio come realtà che non ha bisogno tanto di essere affern1ata quanto di essere conte1nplata, che può essere soltanto attesa: «Il ruolo privilegiato dell 1intelligcnza nel vero a1nore viene dal fatto che la natura dell'intelligenza consiste nell'essere qualcosa che si annulla esercitandosi. Posso sforzarmi per andare verso le verità; 111a, quando sono presenti, esse sono e io non sono affatto in esse. Nulla è più vicino alla vera un1iltà di quanto sia 11intelligenza. E' in1possibile esser fieri della propria intelligenza quando realmente la si esercita. E quando la si esercita non vi si è legati. Perché si sa che, anche se si diventasse idioti nell'attimo seguente e per il resto della propria vita, la verità continuerebbe ad essere» wi. Dio riconosciuto e accolto porta il pensiero ad annullarsi, cioè a riconoscere la propria iniseria e dunque la distanza che lo separa da colui che ama. La Weil non n1ira ad affennare Dio poiché sarebbe in un certo senso collocarlo alla propria misura, per cui il meglio è pensarlo non esistente. Colui che si an1a è assente. Questo pensare Dio non esistente è disinteressato, in altre parole non consolatorio. Dio bisogna attenderlo: «Al di là dello spazio e del tempo infinito, l'amore infinitan1ente più infinito di Dio viene ad afferrarci. Viene quando è la sua ora. Noi abbiamo facoltà di acconsentire ad accoglierlo o di rifiutare. Se rcstian10 sordi, egli torna e ritorna ancora, con1c un 1nendicante; 1na un giorno, con1e un 111endicante, non torna più. Se noi acconsentiamo, Dio depone in noi un piccolo sen1e e se ne va. Da quel mon1ento, a Dio non resta altro da fare, e a noi nernn1eno, se non attendere. J)obbia1no sollanlo non rimpiangere il consenso che abbia1110 accordato, il sì nuziale» 1112 • L 1attesa è la relazione che lega Dio

1111 S. WEIL, Lapesa11te11ret /agr!ìce, cil., 147. w2 S. WEIL, Affesadi Dio, ci!., 99.


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e l'uo1no. Questa posizione assolutan1ente disinteressata caratterizza la natura della preghiera. La preghiera come attenzione pura rivela la gratuità assoluta in cui e <li cui essa vive. Questa relazione fra Dio e l'uo1no si chia1na a1nore, tuttavia è an1ore di pura attesa: «il nostro amore per Dio deve essere come l'amore della donna per l'uomo, amore che non osa tentare nessuna avance, a111ore che è pura attesa. Dio è lo sposo e tocca allo sposo avanzare verso colei che egli ha scelto, parlarle, condurla con sé: la sposa deve solo attendere» 11 i.>, Pensiero c preghiera nell'itinerario spirituale di Simone Weil trovano nella nozione di attenzione il luogo naturale da cui esse traggono la loro scaturigine. L'attenzione risponde alla capacità che l'uomo ha di aprirsi al Bene. I...,'apertura non giunge però al possesso del Bene. L'attenzione è sempre attesa. Ma il pensare è attenzione e il pregare è la forma più alta di attenzione che si apre assolutan1ente all'attesa. Ora, la sorgente da cui scaturiscono pensiero e preghiera è la 1nedesi1na. E' a questa sorgente che in ultimo occorre attingere prestando la 1nassin1a attenzione attraverso resercizio di un pensiero che sia sempre più discreto cioè sempre più capace di nutrirsi aprendosi del n1istero soprannaturale senza alcuna pretesa di possesso. In questa prospettiva, concludendo, ci sembra di poter affermare che è da questa unica sorgenle che giunge gratuita1nenle la possibilità di apertura dell'uomo all'invocazione. L'uon10 prega aprendosi al mistero, riconoscendo e vivendo lo scarto fondamentale pur nel vuoto, nella notte oscura, in cui si rivela l'abisso, tutto ciò che lo separa da Dio. Tuttavia queslo scarto viene superalo in quanto assunto da Dio stesso che scende svuotandosi nel inovi1nento chenotico di abbassamento. L'umiltà è il modo di raggiungerci proprio di Dio. Il fondamento di ogni spiritualità è Dio alla ricerca dell'uomo. Viene alla ricerca del1 1uo1no attraverso la via n1aestra dcll 1un1iltà e non della potenza. Ora, questa relazione essenziale, questo 111ovi1nento di discesa

llUS. WEIL,L'w11orediDio,cit., I !0.


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è il presupposto perché l'uomo pensi e preghi in autenticità. L'uomo nell'umiltà si lascia raggiungere per rimanerne attratto. In altre parole, l'uomo nell'umiltà riconosce la propria condizione, la propria finitezza, il proprio essere, ciò che egli è autenticamente. Il pensiero e la preghiera sgorgano e si mantengono in questo essenziale riconoscimento che è l'autenticità di essere. Pensiero e preghiera vivono e si nutrono di umiltà: di Dio.


Synaxis XV/I (1997) 151-176

TEMI ASCETICO-PEDAGOGICI NEL II LIBRO DELLO SPECULUM CARITATIS DI AELREDO DI RIEVAULX

ENRICO PISCIONE''

Dedico il presente lavoro alla n1en1oria di Rosario Leotta, spentosi prer11atura111ente, con cui lessi le belle pagine del Dc spiritali amicitia di Aefredo, certo che questo rapporto, nato net/o studio e nello riflessione con1uni, vive onnni trasfigurato nell'r1111ore di Cristo.

Introduzione

In un nostro precedente saggio dedicato ai Temi spirituali del libro I dello Speculum caritatis' di Aelredo di Rievaulx abbiamo sottolineato il contesto storico in cui va collocato il capolavoro dell'amato discepolo di Bernardo di Chiaravalle. Occupandoci ora del libro II di quest'opera, ingiustamente trascurato dalla critica, intendiamo porre l'accento sullo spirito pedagogico che anima le pagine della seconda parte del trattato aelrediano, pagine volte ad esaminare sia le obiezioni che si sollevano

* Docente di Filosofia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1Cfr.

E. PISCIONE, Te111i spirituali 11el libro J deflo SĂŹJecu/1011 caritatis, in Synaxis 13 (1995) 301-318,


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e sia anche le difficoltà che si provano, da parte dei monaci cistercensi, nel concreto esercizio della più grande virtù teologale. Ciò non significa, però, che questa parte del trattato sia priva di una sua indubbia profondità teologica; infatti essa non solo è presente ma è accon1pagnata da una te1natizzazione, sc1npre vivace, di 111otivi squisitan1ente ascetici e monastici. Da un punto di vista teologico appaiono davvero molto interessanti le pagine ove il Nostro sviluppa la dottrina delle "tre visite del Signore", dottrina che offre ali' Autore l'opportunità di 1nettere in luce la sua non comune conoscenza biblica e la sua ammirabile sapienza di direttore spirituale. Il teina delle «tres visitationes Do1nini» costituisce, poi, a parer

nostro, una ripresa in termini originali di quelle pagine de l gradi dell'umiltà, di Bernardo di Chiaravalle (opera che, databile prima del 1125, molto probabilmente è stata oggetto di particolare attenzione da parte di Aelredo nella stesura del suo trattato sulla carità), in cui il doctor me!lif!uus formula l'interessante teoria che la verità di Dio si 1nanifesta in tre stadi. Altro aspetto che caratterizza questo secondo libro dello SjJecuhun caritatis è l 'a1npio spazio riservato ad un costruttivo dialogo (che non ha nulla della finzione letteraria) con un ipotetico novizio il quale pone le questioni che, da sempre, interessano particolarmente l'esperienza n1onastica, con1e l'utilità o n1eno della inortificazione, la necessità di osservare integralmente la regola ed il sacrificio del sentire personale di fronte all'oggettività della norma che dà stabilità cd ordine al cenobio cistercense. E se è vero che non ci trovia1no di fronte a pagine pcsanten1ente

didascaliche perché esse dànno luogo ad acute riflessioni teologiche che ben si inquadrano, impreziosendolo, nel contesto più generale del trattato ove indagine psicologica e teologia della «caritas» s'intrecciano continua1nente, è anche vero che alcune te1natiche,

soprattutto quella del dono delle lacrime, non vengono esaurite in un solo capitolo dell'opera, ma sono riprese, si direbbe, in modo sinfonico, in vari luoghi del volun1e. Pure noi, anche a correre il rischio di sembrare ripetitivi, preferiamo essere fedeli all'impostazione di Aelredo, piuttosto che dare una rigida sistematicità alle sue sparse


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riflessioni sul «donum lacrimarum». E' bene chiarire subito che questa ten1atica, pur così presente in Aelredo, non costituisce nella spiritualità cristiana dell 'Et~l di Mezzo un argomento nuovo, se è innegabile, come argutamente osserva Leclercq, che «VI è nel monachesimo medievale tutta una letteratura di suspiria» 2 • Se volessimo adesso penetrare nel!' idea spirituale di fondo che sorregge tutta l'impalcatura teologico-pedagogica di questo secondo libro dello Speculum caritatis, non avremmo difficoltà nel dire che essa sia da individuare nella sottolineatura, tipica1nente cistercense, della soavità del giogo di Cristo 1 . Il motivo, tanto a lungo dibattuto in questa parte del trattato circa la pesantezza o, addirittura, l'insopportabilità di tale giogo, per Aelredo va ricercato nel fatto che alcuni 1nonaci si sono abbandonati alla «cupiditas», i cui frutti

21. LECLERCQ, Cultura l/111anistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura 111011astic(/ del A1cdio EFo, tnicl. it., Sansoni, Pircnzc ! 983, 7 ! . ~Ci sc1nbra opportuno, seppure in 111odo schc111atico, 1nettcrc in luce che il

tenia della devozione all'u1nanità di Cristo che caratlcrizza certnn1cnte in inodo del tutto specifico il cenobio cistercense, non si può tuttavia considerare con1c una nota esclusiva dci figli spirituali di s. Bernardo. Chi infatti, solo per rare un csen1pio fra lanti, leggesse il poe1na Sulla gloria del Paradiso, di s. Pier Dainiani, che è un conlen1poranco de!l'ab8tc di Ricvaulx, si accorgerebbe che alcune strofe clcl!'open.1 sun1n1enzionata, nelle quali vien descritto lo splendore u1nanissi1no del!' Agnello, esprirnono in una 111anicra n1olto sin1ile quel gaudio dello spirito che pervade l'inno, di sicura attribuzione aelrediana, <desu, dulcis 1ncn1oria)i-. Contrarian1ente dunque 1.1 quanto si potrebbe pensare n prin1a vista, ritenia1no che sia pili esallo sostenere elle 1'1 particolare considerazione nei confronti di ciò che poi s. Teresa d'Avi la chian1crà la «sacratissima u111anità cli Cristo» e che fu propria dci cistercensi, è passata, quasi per un naturale processo os1notico, ad altre fainiglie e personalità religiose del Medio Evo cristiano. Non è difficile, infatti, docun1entare co1ne sia negli scritti dì Francesco d'Assisi che nell' /Jnitazione di Cristo la fa1niliarità col Salvatore si carichi cli una singolare tenerezza affettiva per cui b 1neclitazione sull'u1nanità di Cristo diventa davvero la supren1a consolazione dell'anin1a. D'altronde, poi, con1e charisce 111agistralinente Leclercq, i! culto dell'umanità di Cristo negli autori 1ncdievali che non andavano di certo alla ricerca cli una !oro personale originnlità 1na erano tutti protesi a dar gloria al non1e di Dio, non sarebbe potuto divenire un con1une dcnoininatore delle varie spiritualità, se esso non avesse trovato la sua pili vera genesi nella «Bibbia e nella liturgia» e soprattullo in quei testi della «Sacra Scrittura e dell'officio divino [ ... ] considerati, per così dire, nell'ottica della liturgia ed utilizzali con1c lo fa la liturgia e con la srun1atura che essa dà loro». J. LECLERCQ, !Jragon et Saint !Jernard: Appendice pre111ière s11r la dévorion à l'/111111a11iré d11 Clirist, in Revue b(!i1edecli11e LXII! (1953), 129.


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peggiori sono, secondo l'insegnamento della prima lettera di s. Giovanni, «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita», terni questi che di certo, a ragion veduta, vengono acutamente commentati dal Nostro proprio nella chiusa dello scritto preso in esan1e.

Sin dall'inizio della sua trattazione Aelredo spiega che l'intento di superare siffatte tentazioni comporta, da parte dei figli spirituali di Bernardo di Chiaravalle, un notevole impegno di vita che implica, ad un ten1po, una profonda conoscenza di sé, un discernimento dei

pensieri più occulti del cuore ed, infine, una radicale e sincera apertura

dell'anima di fronte a Dio. Lasciamo la parola, a tal proposito, allo stesso Autore che così efficacemente esprime tali concetti, parlando anche a nome dei snoi confratelli: «Noi dunque, che professiamo la croce di Cristo, con la chiave della parola di Dio, apriremo i segreti del nostro cuore e penetrandovi fino al limite fra l'anima e lo spirito, fino

alle congiunzioni e alle midolla, discerneremo i pensieri e le intenzioni dcl cuore. E senza alcuna pietà scruteremo ciò che si nasconde di più

recondito negli angoli della nostra anima, e cercheremo piuttosto di sradicare le stesse radici delle nostre debolezze» 4 .

I. Il conflitto fra i «physica argtunenta» e i «praecepta apostolica»

Nell'analizzare, seguendo da vicino il testo di Aelredo, quell'opera di scavo interiore cui il cistercense si sottopone per indagare se la sua ani1na riesce a divenire una sorta di «specchio» della parola di Dio, si scopre subito una importante legge della vita spirituale, ossia il primato del!' interiorità anche sulle sofferenze del corpo. Dall'impegnativo ed approfondito esame della propria coscienza, i!Iuminato dalla continua meditazione della Scrittura e dal!' obbedienza sincera alla regola, i seguaci di Bernardo s1

4At.:LREDO DI RIEVAULX,

Lo specchio del/a carità,

Gasparotto, Edizioni Cantagalli, Siena 1985, 170.

II, I, 3, Lrad. it., a cura di P.M.


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accorgono ben presto che le <<exteriores corpor1s passioncs» non possono «interiorem parturire labore1n» 5 • Se una tale acquisizione risulta vera, essa tuttavia non abilita ad affrontare, «affectu tepido», le mancanze esteriori, ma al contrario autorizza a penetrare «vehe1nentiori desiderio»r\ la radice stessa dei mali dell'anima. Si può dire in altri termini che la nettezza di questa diagnosi non può fare accettare la facile conclusione che i I concreto esercizio dell'ascesi monastica debba essere in antitesi con lo spirito dell'autentica carità. E nel capitolo quinto, uno dei più vivaci dell'intero secondo libro, Aelredo ingaggia una forte polemica contro la «ridenda opinio» di taluni che instaurano una sorta di equazione fra la «dolcezza spirituale>> e la «Soavità della carne». Vale la pena riferire, a grandi linee, la tesi di costoro i quali, difendendo l'opinabile tesi che anima e corpo vivano una forma simpatetica fra di loro, sostengono con acutezza sottilmente falsa che non è lecito "perturbare la gioia spirituale dell'anima con la tristezza del corpo"'. Tali contestatori dell'autentica regola benedettina, volendo trovare una pezza d'appoggio alla loro «vergognosa teoria», si rifanno ad una delle più prestigiose scuole mediche dell'antichità, quasi che la grazia dello Spirito si possa ricercare «secundum regulas Hippocratis», e ripongono molto volentieri la loro fiducia nei «physicis argumentis» più che nei «praeceptis apostolicis» 8. Contro siffatta dottrina che vorrebbe sottomettere, per dir così, lo «spirituale» al «biologico» ed individuare nella sfera fisica l'unità di misura della perfezione cristiana, Aelredo ha parole di fuoco e, come ben osserva Squire, presenta in queste pagine uno stile che ricorda la «natura intransigente della difesa da parte di Gerolamo dell'ideale

5AELREDJ R!EVALLENSIS, De ~pec11!0 caritatis, Il, li, 5 («Corpus Christianoru1n Continuatio Mcdievalis), testo edito da A. Hostc, Tournhout !972, 68. D'ora in avanli, per citare il De Speculo caritatis, ci serviren10 della sigla SìJ. Car .. 6 Sp. car., Il, III, 5, 69. 7 /hid., Il, V, 8, 175. 8 /bid.,

11, V, 8, 70.


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rnonastico» e la «durezza delle sue invettive contro i detrattori» 9 del cenobio cristiano. Questa specie di primato della sfera biologica o, se è lecito esprimerci con tennini teologici di derivazione paolina, la presunta superiorità della «carne» sullo ~<spirito» non può costituire una scienza che viene dall'alto ma, tutt'al contrario, una «Sapientia [ ... ] terrena, ani1nalis, diabolica» che per giunta vorrebbe «Crucern Christi evacuare». «Ma la croce di Cristo, esclama con sdegno il Nostro, non si elirnina!», anzi essa contesta - sottolinea con evidente ironia Aelredo «questa dottrina delicata», dottrina già sconfitta (e c'è quasi in queste pagine del futuro abate di Rievaulx una breve ma suggestiva 1neditazionc sul «1nysteriun1 crucis») «dai chiodi conficcati nelle sacre membra, e debellata dalla punta salvatrice della lancia, penetrata nelle

sacre viscere». Questa virulenta "querelleH fa ribadire al Nostro, con crescente persuasione, la sua tesi secondo cui "l'afflizione del corpo non è contraria allo spirilo, anzi è necessaria e [ ... ] non di1ninuisce la divina con sol azione". A conclusione di tale appassionata diatriba l'Autore si spinge ad affennare che, a suo parere, «in questa vita saranno sen1pre proporzionali la tribolazione esteriore e l'interiore consolazione». Anche siffaHa convinzione aelrediana potrebbe essere rigettata dal suo contraddittore, sempre pronto ad obiettare, in nome di un infido soggettivis1no: «Devo preferire il tuo parere alla 1n1a esperienza'?». li futuro abate di Rievaulx, come avremo modo di constatare fra breve, onde evitare di «Sottoporre un'altra volla la grazia divina a considerazioni biologiche» 10 , intende sostenere la sua posizione rifacendosi all'autorità degli apostoli e, in modo particolare, a quella di s. Paolo.

9A. SQUJRE, Ae!red of Rie1'a11/x. A st11dy, S.P.C.K., London, !969, 30. La traduzione è nostra. 111 SìJ. car., Il, V, 10, !76.


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2. La «co11ji1tazio11e» dì s. Paolo Il capitolo sesto si apre, da un punto di vista retorico, per così dire, con una sorta di «prosopopea» (ben espressa dal congiuntivo esortativo «accedat»), nella quale domina la figura di s. Paolo, non solo presentalo come «athleta fortissimus, testis fidelissimus» n1a, ciò che più conta, nel nostro caso, come «disputator egregius, in quo Christus loquiturn'' e perciò, in quanto tale, come il più adatto a sradicare quell'eresia di Gioviniano contro cui s1 scaglierà vivacen1ente il nostro autore. E dell'apostolo delle genti vengono messe in luce quelle vicende della sua biografia in cui si è verificata una n1irabile proporzionalità fra sofferenze esterne e consolazioni interne, sicché Aclredo può finemente scrivere, quasi a voler essere confortato dalla testimonianza diretta di quel grande apostolo: «Dica dunque Paolo se quel pio consolatore lascia i suoi senza consolazione nelle presenti tribolazioni, e con la sua autorità blocchi l'eresia di Gioviniano che serpeggia di nuovo» 12 • Il Nostro può dunque conclusivainentc chiedersi con tono aspra1nente polen1ico se vi sia qualcuno che «sarà così ebete e presuntuoso da affermare con vergognosa vanità, che la partecipazione alle sofferenze di Cristo è contraria allo spirito e din1inuisce la grazia della dolcezza spirituale, basandosi su ragioni biologiche contro la più chiara evidenza e l'autorità apostolica»1.1. Sembra ad Aelredo, come si diceva, che stia attecchendo di nuovo fra i suoi confratelli cistercensi, anzi in una for111a peggiore, Pantica eresia di Gioviniano, di quel Gioviniano che, già da s. Girola1no definito «l'Epicuro della cristianità», «epulas abstincntiae [ ... ] praeponit»'·'. Ma, come suole accadere spesso in questo scritto, Aelrcdo fa seguire alle affermazioni di principio una pacata e paziente discussione con i suoi novizi che ha lo scopo di verificare quanto

11 /bid., Il, V!, l !, 71. 12

/bid., 11, VI, 14, 178. UJ!Jid., Il, VI, 15, 179. '"Ibid., Il. VI, 14. 72.


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esistenzialmente siano state assimilate le idee di fondo della spiritualità cistercense. Alla grande obiezione del novizio - cui cediamo direttamente la parola - che l'austerità di vita proposta dal suo maestro lo faccia divenire «così arido e freddo che neppure con la violenza» è capace di «cavare una lacrima dagli occhi» 15, il futuro abate di Rievaulx risponde che, di per sé, le lacrime presentano un aspetto non poco equivoco che va ben chiarito. E, per corroborare la sua tesi, egli adduce un esempio vivacissimo che val la pena di riportare nella sua integrità. «Io stesso scrive il Nostro - ho conosciuto un frate che dopo aver trascorso tutto il giorno fra uomini e donne del mondo, dedito al bere e alle chiacchiere, alla sera tornava al n1onastero proron1pendo in lacri1ne e sospiri, e molestando una quantità di persone con inopportune lacrime; e tuttavia non s1 correggeva 1ninin1amente da simili indcgnità» 16 •

Sullo spinoso problema sollevato la posizione di Aelredo è n1olto severa perché, a parer suo, in esso si annida il grav1ss1n10 pericolo che l'autorità apostolica venga ad essere sotto1nessa a ragioni biologiche. E la forte preoccupazione del!' Autore è bene espressa da questa domanda: «Dovremo dunque abbandonare l'austerità della regola e seguire una sporcizia del genere, per la speranza di una si1nile compunzione? Chi non avrà schifo di simile proposta?»11.

3. La dottrina aelrediana e/elle «tre visite» e un con.fi·onto con s.

Bernardo Chiusa momentaneamente la dibattutissima questione del «dono delle lacrime», viene sviluppata, a questo punto della trattazione, la dottrina delle tre visite spirituali del Signore, che Aelredo, pur chiaro

15 /bid., 16 /bid.,

i1L.c ..

Il, VII, 17, l 8 !. Il, VII, 19, 182.


Temi ascetico-pedagogici i11 Aelredo di Rievaulx

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nella intelaiatura di fondo delle sue pagine, non espone in maniera del tutto sistematica. Da grande scrittore dotato di profondo senso psicologico qual egli è, ma ancor di più da teologo convinto che i grandi avvenimenti spirituali procedono gradualmente, passo dopo passo, il Nostro ci mostra plasticamente innanzitutto co1ne in ciascuna «visitatio» operi Ia divina presenza e, in secondo luogo, esamina i frutti di ognuna delle visite.

Potremmo dire di trovarci di fronte ad una impareggiabile fenomenologia della vita spirituale che viene illuminata da alcuni testi della Scrittura i quali sono uno sprone, per citare in parte il titolo del «capitulum» XIV, perché «statuun1 suum quisque 1netiatur» 18 . «Se vuoi scrutare più a fondo - scrive l'Autore rivolgendosi direttamente ai suoi novizi - le cause e le ragioni della tua visita, discuti anzitutto con acuta penetrazione lo stato a cui sei pervenuto» 1'>. E poi Aelredo conclude, sempre usando l'interlocuzione diretta, che i confratelli devono analizzare «vitae moru1n [ ... ] qualitate1n, non secundum propriam coniecturain, sed secundum regulas Scripturarun1,

et

caelestium

praeceptorum

lineas,

propriaeque

professionis

norrnam» 20 .

Dal capitolo ottavo al capitolo quindicesimo il Nostro, dunque, sviluppa la fondamentale dottrina delle «tre visite del Signore», dottrina che trova, a parer nostro, la sua più remota e significativa

genesi nella grande verità del Dio fattosi carne (tema, questo, dominante nella spiritualità cistercense che è mille miglia lontana da ogni fo1ma di «docetismo») e che rinviene nel versetto del Be11edictus: «Dio ha visitato e redento il suo popolo», forse, il punto di riferimento biblico più alto e sicuro. C'è anche, a giudizio di chi scrive, lo si accennava già nell'introduzione, una fonte più prossin1a cui il Nostro con «fedeltà creatrice» attinge, alludiaino alla citata opera bernardiana

l gradi de/l'umiltà.

18

/hid., Il, XIV, 81. /bid., Il, XIV, 33, 192. 20 /bid., 11, xrv, 33, 81. 19


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Entrando adesso «in medias res» osservian10 innanzitutto che Aelredo (e noi lo seguiremo puntualmente proprio per percepire con1e una tale dottrina teologica non sia stata già astrattarnente elaborata ma si vada facendo pian piano, si direbbe quasi, attraverso una verifica dialogica con i discepoli) ci spiega la triplice causa di questa visita. E qui non possiamo non fare una citazione tratta dal capitolo ollavo, da cui apprendiamo che, la visita del Signore «qualche volta avviene per scuotere, non di rado per consolare, spesso anche come premio»". Le tre tappe di un tale accostamento a Dio che hanno come scopo l) «excitatio», la «consolalio» ed i I «praemiu1n», da un punto di vista retorico, sono espresse atlraverso una sorta di clin1ax ascendente, figura che il Nostro, allievo ideale di Cicerone, sa usare con esperta eleganza. Ma proseguiamo col testo di Aelredo che così approfondisce la sua argo1nentazione: «La prin1a visita scuote i tiepidi, la seconda ristora gli stanchi, la terza riceve chi è lanciato verso ralto. Questa pri1na compunzione provoca alla santità, la seconda la conserva, la terza la pre1nia» 22 • Le caratteristiche di queste visite sono descritte da Aclredo con abbondanza di particolari e anche con raffinatezza stilistica i1npareggiabile. Egli si serve, ancora una volta, di un efficacissin10 cli1nax (costituito dai tennini «sti1nulus», «baculus» e «lectulus») reso perfetta1ncnte dal testo latino che citere1no: «Pri1na est quasi sti1nulus devium corrigens, seconda quasi baculus debile1n sustentans, tertia lectulus quietu1n suspiciens» 23 . La grazia della prima visita è concessa sia agli eletti che ai reprobi, ma n1entre per gli ulti1ni è causa di dannazione, co1ne è capitato a Giuda, per i pri1ni, profondan1ente toccati da questa «caelestis visitatio», segna l'inizio di una «più rude pratica della virtù con tanto n1aggior ardore, quanto più grande è stata l'esperienza della dolcezza del divino a1nore» 2·1• Chi accetta di essere scosso nella

21

/bh/., rr, VIII, 20, 182.

22L.c .. 2

-'Jbh/., Il, VIII, 20, 75.

2

~/bid., !I, IX, 23, 184.


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tiepidezza della sua vita dalla visita di Cristo, quasi per una forma di «transfert», entra «in quel genere più alto di compunzione che guarisce gl'infermi, fortifica i deboli, e calma i disperati» 25 . Siamo pervenuti così alla seconda visita la quale consiste nell'esperienza della «consolazione» che, così leggiamo nella pagina latina, è presentata come «pausatio laborantibus, tentatis protectio, viaticum itinerantibus»". Bisogna subito aggiungere che la «consolatio» aiuta coloro che sono già immersi nella tentazione perché non vi cedano e così pure è di conforto a quanti sono sul punto cli essere vittime del tentatore. Il capitolo undicesimo chiarisce, come già si è accennato, che 111 ciascuna di queste «visitationes» è sempre Dio che agisce nel suo triplice aspetto di misericordia, di pietà e di giustizia e, secondo l'incisiva espressione di Aelredo, bisogna più esattamente dire che «in primo statu opcratur misericordia, in secundo pietas, in tertio iustitia. Misericordia enin1 quaerit perdituin, pietas refonnat inventun1, iustitia n1unerat ian1 perfectu111» 27 . Dopo aver accennato alle caratteristiche delle prime due visite, ed aver notato che il tin1ore, tipico della pri111a «visitatio», è scacciato dalla «dolcezza della consolazione» della seconda visita, vogliamo sottolineare il ruolo giocato dalla sapienza divina in questo itinerario spirituale il quale, passando dal timore alla dolcezza della consolazione, approda, come meta finale, alla carità perfetta che, appunto «foras mittit timorem». Così il Nostro scrive, a tal proposito con la sua solita profondità: «Initiu1n eni1n sapientiae timor Don1ini; consu1nmatio autein sapientiae amor Don1ini. In tin1ore inchoatio, in dilectione perfectio. Hic labor, ibi praemium»". Ci pare che cada opportuno, a questo punto della nostra trattazione, soffern1arci sulla doltrina dei «lre stadi della verità» presente nell'opera bernardiana più volte 1nenzionata. Non ci resta

25/bid., 26

!!, X, 24, 185.

/bid., li, X, 24, 77. 27/bid., Il, Xl, 26, 77. WJ!Jid., Il, Xli, 29, 79.


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dunque che cedere ampiamente la parola al doctor mellifluus, di cui dovremo fare delle lunghe citazioni. Procederemo seguendo lordine delle argomentazioni che si susseguono nel trattato bernardiano. L'abate di Clairvaux, dopo aver affermato alla fine del capitolo XIX che la verità pro1nette di 1nanifestarsi ai «puri di cuore», delinea appunto le tre tappe di quell'itinerario ascensionale che conduce l'uomo alla pienezza della «vcritas». «Ci innalziamo al primo - leggiamo in un bel passo di questo scritto bernardiano - penando nell'umiltà; al secondo, lasciandoci possedere dalla misericordia; al terzo, mediante la contemplazione che ci trae fuori di noi» 29 • Nelle pagine successive l'iniziatore della mistica cistercense osserva che nel pri1no stadio «la verità istruisce con1c 1naestra; nel secondo co1ne amico e fratello~ nel terzo, abbraccia come un padre i suoi figli» 30 • Ed inoltre «le due parti dell'anin1a - aggiunge s. Bernardo - la ragione e la volontà, sono l'una istruita dalla parola cli verità, l'altra alin1entata dallo Spirito di verità»·' 1• Nel capitolo XXlll, infine, l'abate di Clairvaux, meditando sul inistero dell'ascensione di Cristo e sul «rapin1ento» di s. Paolo al «tertiurn coelu1n», ha 1nodo di esprimere in n1aniera nuova la sua dottrina dei tre gradi della verità ricorrendo appunto al tenninc «cielo» così suggestivo e così carico nel nostro autore di una grande densità teologica. «Coloro, dunque - scrive Bernardo di Chiaravalle - che il Figlio chiama per mezzo dell'umiltà al primo ciclo, lo Spirito Santo se li unisce nel secondo n1edian1e la carità, e il Padre li esalta 1nediantc la conte1nplazionc fino al terzo»-' 2 • Ed ecco la chiusa del capitolo 111 cm appare chiara la connessione fra i vari atteggiarnenti u1nani e la triplice 1nanifestazione

2'1BERNARDO DI CHIARA VALLE,

Ro1na 1967, 96-97. 11 ·' Jbid., 98. ·11 /bid., 99. -' 2 lbid., l 02.

1 gradi del/'11111i/1à, tracl. it.,

Cillà

Nuova Editrice,


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della divina verità. Gli uomini «nel primo cielo [... ] sono umiliali nella verità [... ]; nel secondo si rallegrano insieme nella gioia della verità [... ];nel terzo infine vengono rapiti negli arcani della verità»''· Avendo offerto al lettore alcuni spunti per un confronto fra queste due dottrine di Bernardo e di Aelredo, che certo si richiamano nello spirito ma non nella lettera, noi riteniamo utile, dopo questa lunga digressione, riprendere il testo dello Speculum al capitolo XIV, dove Aelredo analizza i frutti di ciascuna visita che, con una efficace forn1ula sintetica, vengono così presentati: «Porro fructus primae visitationis vera est ad Deum conversio; fructus secundae propriac volunlatis et on1111iun1 passionu1n 1nortificatio, fructus tertiae perfccta est beatitudo»-'~. Non si può però non osservare che I' «ad Deun1 conversio», frutto della prima visita, è se1npre messa alla prova dalle tentazioni e dalle fatiche che sono l'indispensabile condizione perché si possa fare esperienza della consolazione della «seconda visitatio». Ed ancora, realistica1ncntc il Nostro avverte che, se i suoi confratelli «ricevono talvolta qualche goccia della celeste dolcezza», devono essere certi che ciò non deriva dal «n1erito della santità né per sollievo della sofferenza, 1na co1ne una scossa concessa a chi è nell'abisso»-' 5 . Portata a tcrn1ine la trattazione della dottrina delle «tre visite>\ Aclredo, dopo aver invitato ancora una volta i suoi novizi a vedere nella Scrittura una specie di specchio spirituale in cui essi possono contemplare il vero volto della loro anima, ritorna, per poi affrontarlo più ampiamente nel prosieguo dell'opera, sul tema delle lacrime che è quasi un leitmotiv dcl secondo libro dello Specu/um. A tal proposito il prin10 dato che possian10 ora acquisire è che il «donun1 lacrin1arun1» non si può considerare tale se esso lo si rinviene in un n1onaco tutto preso dall'impazienza, dall'invidia e dalla disubbidienza. Aelredo non si stanca, facendo ricorso ad esprcss10111 cstren1an1ente dure, di insistere che non può esserci vero dono delle

J'Ibid.. I 02-103. J-4SjJ. car., Il, Xlii, 31, 80 . .\ 5 /bh/., 11, Xlii, 32, 191.


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lacrime senza una reale obbedienza alla regola. Gli cediamo la parola per farci un'idea più chiara della sua santa indignazione e della sua ironia che gmnge quasi al sarcasmo. Avendo come diretto interlocutore un ipotetico confratello, così il Nostro lo beffeggia: «Se dunque in tutte queste cose te ne vai grasso e paffuto: per favore, non gloriarti gran che delle tue lacrimucce; le quali, forse (ora parliamo anche noi come i biologi!) sgorgano più facilmente perché le vene si gonfiano per il vino e i succhi dei diversi cibi e sapori, aumentando gli umori del capo»36.

4. U11 momento altamente pedagogico: il dibattito co11 il novizio e il tema del dono delle lacrime I capitoli XVIT, XIX e XX sono dominati da una fortissima tensione pedagogica e da un dibattito incessante fra il Nostro e un giovane novizio. E se, come è stato osservato, si notano qua e la' delle parti non fuse, esse non sono prive di considerazioni che ci fanno toccare con mano l'an1orc di Aelredo per la vita n1onastica, a1nore che si trasforma in una vera e propria descrizione lirica del cenobio cistercense. Una tale rappresentazione, che si inserisce in un dialogo fra il fuluro abate di Rievaulx e il novizio, a noi ricorda il «cuor solo ed un'anima sola» della primitiva con1unità crisliana di Gerusalen1111e. Ma procediamo con ordine. L'inizio del capitolo XVI! presenta un «exe1nplum» concreto di conversione che ha una chiara finalità parenetica. Noi, per la sua efficacia anche letteraria, lo citiamo per intero. «Non molto tempo fa - scrive Aelredo - un fratello che rinunciava al mondo entrò nel nostro 1nonastero, e il nostro reverendissimo abate lo affidò alla mia pochezza affinché lo istruissi nell'osservanza della regola» 37 • Questo novizio confida al n1aestro che, prin1a di fare il suo ingresso in 111onastcro, aveva vissuto una vita dissipata fatta di discorsi frivoli, di chiacchiere con gli amici, cli

"'lbid., Il, XIV, 35, 194. li, XVII, 42, 199.

37 /bid.,


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banchetti ben imbanditi insomma, di desideri per dirla coll'efficace espressione del testo latino, di «mundialiu1n rerun1» 38 . Alla incalzante domanda di Aelredo: «Adesso, come vivi, cosa fai, come ti co1nporti ?>} 39 , il novizio si abbandona ad una co1nmossa rievocazione della vita 1nonastica di cui non si può non citare ahneno la parte conclusiva: «Dappertutto pace, tranquillità e un'ammirabile libertà dal tumulto delle cose terrene. Fra i frati una così grande unità e concordia che le cose di ciascuno sembrano di tutti e quelle di tutti di ciascuno [... ]. Veramente stupisce che la volontà di un solo uomo sia come una legge per circa trecento uomini; e una parola uscita una sola volta dalla sua bocca, sia da tutti eseguita con tanta esattezza come se tutli l'avessero insieme decisa, o l'avessero ascoltata dalla bocca di Dio>>'10 . Il maestro, attribuendo questo elogio non alla «vanagloria» n1a al «fervore» del discepolo, lo esorta tuttavia ad essere prudente e ad evilare, per il futuro, nella sua vila religiosa, ogni forma di finzione. A questo punto dell'opera ritorna la questione del significato del dono delle lacrime, che verrà ulteriormente dibattuta anche in seguito. Ora il problema si presenta nei suoi termini teorici più rigorosi che sono così sintetizzabili: il giovane discepolo, prima del suo ingresso in n1onastero, aveva creduto di amare di più Dio perché aveva assaporato il suo amore «con certe dolci lacrime», adesso, privo co1n'è della «consolatio lacri1narum», ha l'atroce dubbio di an1are di meno il Creatore. Egli, tuttavia, non vuole tornare alla vita precedente perché, come ci insegna Aelredo, «01nnis sanctarun1 Scripturarun1 repugnat auctoritas, obsistit ratio, ipsa coscientia nostra recla1nat» 41 • La conclusione di questo intervento del novizio è altan1ente dra1nn1atica perché egli è angustialo dall'interrogativo se sia meno pericoloso «dubitare della verilà della Scrittura, o di una ragione evidente o di una congettura della propria esperienza» 42 •

8

/bid., Il, XVI!, 42, 86. '°lbid., Il, XVII, 43, 200. -'

40

/bid., Il, XVll, 47, 201. /bid., 11, XVI!, 47, 89. 42 /bid., Il, XVII, 47, 204.

41


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La risposta del maestro è illuminante ed attribuisce ad ogni cosa il giusto posto. Egli infatti, chiarisce che «mettendosi contro la Scrittura nessuno è cattolico; e mettendosi contro l'evidenza nessuno è in pace». L'autorevole parere di Aelredo aggiunge poi, alla fine, il seguente interrogativo: «A proposito del proprio parere, chi potrebbe facilmente sfuggire da inganno?»' 1. In queste parole troviamo le premesse di un ulteriore grande insegnan1ento, ossia che non è lecito 111isurare l'amore con cui si atna Dio «secondo l'emozione 1nomentanea o, per così dire, di un'ora»-1-1. Il novizio comprende tutta la verità delle parole del maestro e le avvalora con un ricordo personale in cui noi avvcrtia1no quasi un'eco di una esperienza giovanile di Agostino il quale, nelle Confessioni, ci parla della commozione che lo pervadeva leggendo linfelice vicenda d'amore di Didone. Il giovane cistercense, invece, an1n1ette che si compenetrava fino alle lacrime nelle storie di guerra di re Artù e, paragonando le lacrime versate ascoltando la predicazione della vita del Signore a quelle spren1ute nella lettura dei ron1anzi del ciclo arturiano, non può non osservare conclusiva1nente che davvero la sua 1nente era sloltissin1a se la dolcezza che provava per le gesta avventurose dei cavalieri della "Tavola rotonda" era pari a quella avvertita nell'accostarsi ai racconti della vita di Cristo. Questi esempi ci introducono all'ultima ripresa del tema del dono delle lacrime. In questa parte dell'opera, inoltre, apprendiamo qualcosa di nuovo: le lacrime hanno, nel misterioso disegno di Dio, un ruolo pedagogico. Se ciò è vero, comprendiamo appieno il senso della domanda che Aelredo rivolge al suo novizio: «Perché - egli dice meravigliarsi allora, se cessano [se. le lacrime] una volta terminata la loro funzione?». E afferriamo anche il significato profondo delle parole di esortazione indirizzate dal maestro dei novizi di Rievaulx al suo discepolo. Eccole: «Ora tu dcvi faticare per Cristo, esercitare la pazienza, frenare l'insolenza della carne con assidui digiuni e veglie,

4 -'L.c. 44

/bid., Il, XVII, 50, 205.


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sopportare le tentazioni, staccare il cuore da ogni terreno interesse, e soprattutto mortificare la [... ] volontà con la virtù dell'obbedienza» 45 • li novizio, profondamente persuaso dalle parole del maestro, dopo aver dato ad esse un assenso razionale ed esistenziale ad un tempo, confessa che egli è appartenuto alla schiera di coloro i quali hanno preteso «con queste quattro lacrime [ ... ] di lavare senza frutti di penitenza le enorn1i macchie dei vizi»~ 6 . Di fronte a tale dichiarazione Aelredo ha rnodo di chiarire, in maniera definitiva, il suo pensiero su questo dibattutissimo problema del «donum lacrimarum». La posizione del Nostro si articola in tre punti: innanzitutto è innegabile che l'abbondanza delle lacrime sia un sacrificio a Dio gradito a patto che naturaln1enle esso sia accompagnato da un sincero penti1nento delle colpe con1111esse; in secondo luogo non si può non osservare che il vertice del l'ideale monastico sarebbe potere umre ad un atteggian1ento interiore di autentica co1n1nozione, che porti l'anin1a «usque ad lacrin1as», le pratiche dell'uomo esteriore, con1e la niortificazione della carne, l'assiduità nelle veglie e nei digiuni, un vestire in modo dimesso, un nutrirsi cli cibi grossolani e soprattutto un «austero silenzio»; ed infine, se non si riesce a conciliare gli aspetti qualificanti dell'uomo interiore e di quello esteriore, «è più che sufficiente - apprcndia1no dalla viva voce del n1aestro dei novizi vivere senza lacrin1c nella povertà apostolica e nella purezza evangelica, piutlosto che con lacri1ne quotidiane n1ancare tutti i giorni ai divini comanda1nenti» 47 •

5. La fotta contro le concupiscenze: il vano J>Ìacere {/ell'u[/ito e

degli occhi Tutte le questioni pedagogiche precedentemente trattate trovano il loro punto focale nella sottolineatura che l'esercizio concreto della

45 /bid., 46

Il, XIX, 59, 211. /bid., Il, xx, 62, 2!3.

"Ibid., 11, XX, 63, 214.


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carità rinviene un terribile avversario nella «cupiditas» avvertita dal

Nostro, differentemente da Agostino e da Bernardo, in una accezione 1neramente negativa, perciò essa è presentata con1e una tentazione che sta sempre in agguato nel cammino di conversione del cistercense il quale, se da una parte «è lanciato verso l'alto dalla recente infusione della carità e dagli agilissimi movimenti della sua mente»", dall'altra, può essere attaccato dalla cupidigia che trascina verso il basso il convertito. La lotta contro la «cupiditas» è paragonata alla fatica del buon agricoltore contrapposta, a sua volta, a quella del!' «uomo pigro e fiacco, ignaro di agricoltura». Cediamo la parola allo stesso Aelredo che sviluppa felicemente questa metafora. «Un uomo pigro e fiacco, ignaro di agricoltura - egli scrive - molto in ritardo pulisce e libera il suo campo, anche se solo parzialmente coperto di triboli e spine; al contrario uno attivo, sollecito e pratico di questo lavoro, sradicherà ben presto le dense spine anche se già occupavano tutta la superficie e lo cambierà da sterile e infecondo in fertile e produttivo>»". L'ascesi cristiana, anche la più dura e la più austera con1e quella proposta dalla spiritualità cistercense, non è mai fine a se stessa ed è sempre mirata ad una grande conquista positiva e gioiosa: chi si libera dalla schiavitù della cupidigia e dal peso delle passioni «troverà ribadisce ancora una volla il Nostro senza tema di ripetersi - che il giogo del Signore è soave e il suo peso è leggero»"'· Passando ora a trattare delle pagine in cui Aelredo si occupa del vano piacere dell'udito, c'è da osservare innanzitutto che esse hanno un tono vivido e gustosissimo perché lAutore si diverte a fare il verso a certe mode che si erano introdotte nell'esecuzione del canto liturgico deturpandone l'arcana bellezza. Il maestro dei novizi riesce felicissimo laddove descrive le isteriche «gesticolazioni dei cantanti» 51 , che gli ispirano un'indimenticabile scena umoristica. «Tutto il corpo egli osserva - si scuote in movimenti da pagliacci, le labbra si

4HL.c ..

'°lbid., Il, XXI, 64, 214-215. 50Jbid., Il, XXI, 64, 215. /bid., II, XXIII, 67, 217.

51


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contorcono, gli occhi si stralunano, le spalle sussultano, e ad ogni singola nota risponde una piegatura delle clita» 52 . Naturalmente questa descrizione aelrecliana così spassosa e vivace non va presa con1e un espediente retorico fine a se stesso, perché essa costituisce il punto di partenza per un grave giudizio morale. «Non si ha rispetto - osserva Aelredo - della tremenda maestà alla cui presenza ci si trova; né si ha deferenza per il mistico presepio a cui si serve: dove Cristo è n1isticarnente avvolto in panni, dove il suo sacratissimo sangue è sparso nel calice» 53 . Superato il 1n0Inento della forte indignazione etica) r Autore chiarisce in tennini squisila1nentc estetici in che cosa consista la sua perplessità di fronte ad un tipo di musica che ha abbandonato la composta solennità ciel canto gregoriano per una melodia che si rifà a quanto egli chiama «le cantilene iberiche» o ai «vanissimi artifizi di non so quali n1acstri» 5·1. Il rilievo ciel Nostro coincide perfettamente, non si può non osservarlo, con l'obiezione che era stata mossa nelle Confessioni da Agostino a questo modo di concepire il canto, obiezione che il Nostro cita integralmente: «L'ani1no si tnuove al fervore della pietà ascoltando un cantico divino; ma se il piacere di ascoltare desidera più la 111usica che le parole, ciò si deve disapprovare» 55 • L'Autore si sente del tutto interpretato dalle parole del vescovo cli Ippona, laddove quest'ultimo scrive nella sua autobiografia spirituale: «Quando mi diverto più per il suono che per le parole, confesso di avere una colpa degna di castigo» 56 • D'altra parte la rivalutazione del canto gregoriano non è in Aelredo per nulla una proposta vagamente estetizzante) se è certo, con1e ha dimostrato in maniera inoppugnabile A. Willmond, che va attribuita al Nostro la paternità di quel sublime inno il cui indimenticabile incipit <<Jesu,

s2l.c .. SJL.c .. 5"1/bid.,

ssL.c .. S6L.c ..

I!, XXIII, 69, 2!8.


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dulcis 1nen1oria» riempie davvero l'anin10 orante dei cristiani di ogni generazione di autentica «dulcedo». Occupandosi, poi, dell'altra forma in cui s1 espnme la concupiscenza, Aelredo ci infonna che essa fa tuteuno con la curiosità, ossia con un'attenzione verso ogni superflua bellezza, acco1npagnata da un desiderio sfrenato di esperienze e conoscenze. Sono mossi dalla curiosità, per esempio, quei monaci zoofili di cui il Nostro fotografa, per dir così, con notevole verve polemica, le celle piene cli «gru e lepri, daini e gazze, e corvi, non certo strumenti come per Antonio o Macario, ma diversioni da donne» 57 . Oggetti che co1n1nenta ancora Aclredo (e ci piace citare di nuovo il testo latino) «nequaqua1n monachorum paupertati consulunt, sed curiosoru1n oculos pascunt»s8. Alla «curiositas» esteriore si aggiunge quella interiore che sostanzialmente si identificherebbe con quanto Aelredo chiama il desiderio «noxiae ve! inanis scientiae» 5'>. Per eseinplificarc Pidea di questa vana cultura che, si direbbe con s. Paolo, «gonfia» 1na non "edifica", l'Autore tratteggia brevc1nente, 1na con la solita vis ironica, la figura di quei 1nonaci letterati che - si badi bene - non vengono condannati dall'un1anista cristiano Aelredo perché si appassionano a Virgilio o ad Orazio o a Cicerone, 1na perché non sottopongono le loro letture ali' «auctoritas» della Scrittura. La inancanza di un tale confronto fra niondo classico e messaggio evangelico produce effetti così gravi da spingere addirittura alcuni cistercensi a con1porre «versi d'an1orc in poesie licenziose» e a provocarsi «a vicenda con invettive>/10 • L'accostarsi ai classici, che non può avere in se stesso la sua giustificazione etica, non diventa così un'occasione, come testin1onierà lo stesso Aclredo nel suo De spiritali arnicitia, per una conversione

51

/bid., ![,XXIV, 70, 2!9.

58 /bid.,

li, XXIV, 72, 100.

59

L.c ..

60

/bid., !!, XXIV, 72, 221.


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intellettuale che sappia orientare cristocentricamente le pagine migliori della tradizione letteraria pagana. Nella scintillante rassegna aelrediana di monaci vittin1e di una 1nalsana curiosità vengono annoverate infine altre due categorie: i patiti del teatro e quelli tutti intenti ad esplorare la propria presunta santità. Esaminiamo partitamente le due specie. I primi, assorbiti tutto il giorno da spettacoli inutili, quando rientrano in se stessi, portano nella propria interiorità l'im1nagine di quelle vanità e di quei fantasmi che li disturbano nel momento del sonno e occupano la loro 1nente durante la recita dei saln1i e delle preghiere. Non ci si può non chiedere con Aelredo con1e si spieghi una si1nile reazione emotiva. Essa è stata oggetto di una convincente spiegazione da parte di Agostino nelle Confessioni. «Gli spettacoli teatrali - osserva il Santo Dottore - n1i attraevano; in essi vedevo riprodotte le mie miserie ed erano stimolo per il mio fuoco» e, poi, saggian1ente aggiunge: «Che cosa è ciò se non 1niserabile pazzia? Inratti tanto più ci si commuove a quei casi, tanto n1eno si è esenti da lali passioni 1norbose» 61 • Circa i monaci che ritengono di possedere grandi virtù e capacità taumaturgiche Aelredo asciuttan1ente si lin1ita ad osservare che essi, nelPcssere attratti 1norbosa1nenle dalla loro perfezione evangelica (peraltro tulta da dimoslrare), diventano facihnente vitlùne di una delle forme peggiori di «curiositas)) quella che, per una dinamica quasi naturale, si può trasformare nell'orgoglio luciferino di chi vuole tentare Dio. Queste osservazioni di Aelredo ci ricordano da vicino quel passo del traltato bernardiano, cui abbian10 fatto costante riferi1nento, in cui il doctor mellijluus sostiene che il monaco il quale «crede fin nel profondo dcl suo cuore d'essere veran1ente più santo di tulti»(' 2, con

61 AGOSTINO, Le Confessioni, !!!, Il, trad. di M. Capodicasa, Paoline, Alba 1967, 114-115. 62 BERNARDO DI CHIARA VALLE, op. cit.' 124.


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estrema facilità, può cedere al peccato del!' «arroganza» che, nella scala gerarchica dei gradi della superbia, si colloca, secondo l'abate di Clairvaux, fra la «singolarità» e la «presunzione». Probabilmente, forte anche di questo insegnamento del suo venerato padre spirituale, Aelredo si spinge ad emettere un giudizio 1nolto severo su quel cistercense che arrogantemente vanta la propria presunta santità. «Chi poi sarà caduto - egli scrive - in questo vizio spintovi da un'angoscia così grande che non sapeva quello che chiedeva, rischia di cadere nella disperazione o nel sacrilegio della beste1n1nia» 63 .

6. La superbia della vita e il piacere del dominio Trattando della terza forma della concupiscenza, ossia della «superbia della vita», lAutore, in un primo n10111ento, fenomenologican1ente intende solo farci un quadro di essa ed esa1nina quelle situazioni concrete in cui il desiderio un1ano della vanagloria subisce uno scacco. Ciò può accadere quando il 1nonaco si turba per una correzione o un'ingiuria o ri1nane confuso a causa di una qualunque parola contraria. Successivamente l'analisi del Nostro, da accorto teologo e da esperto conoscitore del sentire degli uomini qual egli è, guadagna un orizzonte più an1pio e tenta di rinvenire la radice della vanità ad un livello più profondo e nascosto dell'animo umano. La scoperta da lui fatta sta in questi termini: la scaturigine della superbia della vita si trova nel comportamento dell'uomo vanitoso, che dipinge «Se stesso come uno che non solo non doveva essere ri1nprovcrato o sgridato, 1na anzi uno che doveva essere da tutti Iodato ed onorato» 64 • Una si1nile posizione interiore non deriva, co1ne direbbe l'autore delle Confessioni, da «certi doveri dell'uinano vivere» per cui è «necessario essere a1nati e temuti dagli uo1nini», ma da un'opzione

<>>sÌ'· car., 11, XXIV, 75, 221. 61 /bid., li. xxv, 74, 222.


Temi ascetico-pedagogici in Aelredo di Rievaulx

173

fondamentale in cui la libertà dell'uomo cede volentieri alle lusinghe demoniache. Ed è stato lo stesso Agostino a chiarire il nesso che si viene a creare fra orgoglio e tentazione diabolica. Il vescovo d'lppona, infatti, sostiene, con acutezza teologica accompagnata da finezza stilistica, che il «nemico della nostra felicità vera ci sovrasta, spargendo dovunque, fra i suoi inganni, il "Bravo! Bravo!"» 65 • Il piano del tentatore ha il suo punto di forza proprio nell'attribuire a noi uomini quelle lodi inconsistenti di cui siamo avidamente alla ricerca, diventandone facilmente vittime perché poniamo, per dirla sempre col Santo Dottore, «il gaudio [ ... ] della verità»6(' nelle falsità umane.

Proseguendo nella sua analisi sulla superbia della vita, Aelredo ci informa che essa, oltre a produrre l'amore della vana lode, genera anche il piacere del dominio, che l'Autore efficacemente considera come un virus concepito da una "n1ens insana". L'effetto più grave originato dalla 1nente umana attaccata da questa infezione spirituale consiste nel fatto che chi desidera il potere non è più signore di sé, né delle cose che lo circondano, n1a indecorosan1ente «diventa servo abicttissin10 di tutti coloro che i1nmagina potranno essergli utili o peri col osi »67 . Per gli assetali della «dominandi libido», la relazione interpersonale, perdendo la sua fisionomia di legame naturale e solidale con la persona altrui, precipita in una sorta di stato patologico cli cui il Nostro, con la lucidità - per così dire - di un grande patologo dello spirito, coglie bene la sintomatologia. Fra i sintomi più significativi bisogna 1nettere in rilievo, seguendo il testo latino, la «veritatis suppressio», la «turpis adulatio», i «suspicionun1 iacula», !' «aegritudo ti1noris». Tutti questi sinto1ni creano, per esprimerci in forma sintetica, un grande disagio interiore che, come se non bastasse, si lrasfonna, «sotto i colpi delle verghe di ferro dell' invidia» 68 , in un

('5AGOSTINO, op. cii., X, XXVI, 399. <' 6L.c ..

67 Sp. cnr., Il, XXVI, 75, 223. 6

'~l.c ..


Enrico Piscione

174

malessere propriamente fisico per cui chi è affetto dal piacere del dominio non riesce più né a trovare giovan1ento nel cibo né a provare ristoro nel sonno. Se poi le speranze di colui che brama grandi onori vengono frustrate, verrebbe da chiedersi con la stessa immediatezza espressiva del nostro autore: «Verum si tota sua spe frustratus alius provehatur, quae tunc illi ani1nae cruces, quae tunnenta?» 69 . Questi tonnenti hanno il potere di operare nel monaco assetato di potere una totale 1netamorfosi del suo comportamento tanto che egli «resiste in faccia a quelli che prima turpemente adulava, li contraddice, li attacca» e di loro «Studiando con occhio maligno ogni 1novin1ento e ogni passo, niente gli scappa» 70 • Il ricercatore di onori, che «pro malitiae suae livore omnia interpretatur» 71 , perviene ad uno stadio di coscienza così 1nenzognero da sostenere che agisce «Dei zelo» e, per dare una parvenza di verità al suo modo di fare, come scrive con impareggiabile humour Aelrcdo, «ogni lanto sprc1ne alcune lacri1nucce, emette sospiri n1enzogneri e con voce piagnucolosa si lan1enta che la carità non sia più pralicala, la caslilà è trasgredita e la giustizia è conculcata» 72 • Tutto ciò ha un inevitabile, naturale risvollo nel governo stesso del cenobio cistercense, perché i monaci si privano di eleggere alle cariche di maggior responsabilità «i più umili, i più pronti ad obbedire, i più ferventi nel bene» 7\ anzi talora può accadere che, per evitare una sommossa nel monastero, si pro1nuovono agli onori più alti gli «iracondi, gli sciocchi e i pigri». L'essere costretti, per evitare un inale più grande, a scegliere i peggiori si trasforma, co1ne si esprin1e cruùeln1ente il Nostro, in «ali1nento di una cancrena»H. Non possia1no non chiederci, a questo punto, perché si crei una sin1i!e situazione e con1e sia possibile uscirne. La causa di tale

Wfbid., Il, XXVI, 76, 70 /hid., Il, XXVI, 76, 71 /hid., rr, XXVI, 76, 12 /bh!., Il, XXV!, 77, 73 /bid., !I, XXVI, 77, 7.1L.c.

102. 224. 73. 224. 225.


Temi ascetico-pedagogici in A e iredo di Rievaulx

17 S

1nalessere è certan1ente dovuta alla «Superbia della vita» che è una delle tre forme della concupiscenza o, se si vuol esprimere lo stesso concetto con altre parole, al fatto che i cistercensi non sono riusciti ad imitare Cristo in cui splendevano tutte le vi1tù e soprattutto l'umiltà che, come ricorda l'abate di Clairvaux, «più di tutte le altre egli ci additò in se stesso, quando disse: 'Imparate da me che sono mite ed un1ile di cuore'» 75 . L'u1niltà, dunque, costituisce quel clin1a necessario alla nascita dell' «an1icizia spirituale» e contribuisce pure a creare l'atn1osfera di fondo che aiuta a trovare il retto criterio per eleggere i monaci alle più importanti cariche. E proprio uno degli ultimi insegnamenti proposti dal De spirita/; cunicitia sarà la soluzione di una "quaestio" sollevata da un personaggio di quel dialogo, il colto Gualtiero di cui val la pena riportare il pensiero. «"Supponia1no - egli dice - un <-unico n1olto potente, capace di proinuovere ad onori e dignità chiunque voglia. Dovrà egli preferire - chiede il dotto interlocutore di Aelredo - nelle pron1ozioni coloro che ama e dai quali è amato? e fra di essi favorire sopra tutti coloro che più ama?". La risposta dell'abate di Rievaulx è netta: gli onori e le cariche vanno attribuite "a coloro cui la ragione li prescrive" e bisogna sforzarsi di i1nitare il divino discerni1nento di Gesù che non diede il primato apostolico al discepolo prediletto, ma a Pietro»]('. Prima di chiudere il nostro lavoro (convinti anche noi che «de trin1oda hac cupiditatc haec satis sint» 77 , ci piace fare un'ultin1a citazione che costituisce, seppure in forn1a negativa, una sorta di sintesi di questo secondo libro dello Speculum caritatis, la cui importanza speriamo di avere, in qualche 1nodo, di1nostrato. «Chi prenderà - scrive Aelredo - quanto è stato detto con1c uno specchio su cui esan1inare diligenten1ente l'im1naginc dell'anin1a sua, vi scoprirà senz'altro la sua deformità; e sotto la luce della veritlt vi

7.'il3Ef{NARDO DI CHIARA V ALLE,

op. cif.' l 05. Introduzione a Ae!redo di Rie1Y11dx. Edizioni Greco, Catania 1995, 33. 77 .~Ì)· car., li, XXVI, 78, 103. 76

E.

PISCIONE,

L'a111icizia spirituale,


Enrico Piscione

176

scoprirà anche le cause occulte di tale deformità; così se la prenderà con la propria malizia più che con l'asprezza, inesistente, del giogo del Signore» 78 • Tuttavia, dopo queste parole dure e salutari ad un tempo, com'è proprio dello spirito del Nostro, più «preoccupato di esporre e di costruire dottrine sicure e chiare» 79 che di denunciare i li1niti un1ani, l'epilogo di questa parte del trattato non può non avere il carattere speranzoso dell'esortazione. Esortazione, perciò, calda e fiduciosa perché i cistercensi riescano, con l'aiuto della grazia, a strappare fino in fondo le radici delle passioni e a sottomettere le proprie spalle al «giogo della carità» in modo da trovare l'agognato riposo per le loro anime. Quel riposo e in tal maniera la chiusa del secondo libro dello Speculum caritatis getta un ponte verso il tema del «Sabbatum» così centrale nel terzo che sarà «eterno e spirituale nella dolcezza della carità» 80 .

7

8/bid., Il, XXVI, 78, 225. Jntrod11zio11e allo Specchio della carità, cit., 27.

79 P.M. GASPAROTTO,

1msp. car., Il, XXV, 78, 226.


Sezione miscellanea con documenti e studi Synaxis XV/I (1997) 177-217

I PREDICATI PARTICIPIALI DI JHWH NEL DEUTERO-ISAIA

DIONISO CANDIDO'

IJer co111i11ciare, un racconto ... «Quando condussero Rabbì Aqiba al patibolo era il tempo della lettura

dclio Shema\ e benché gli strappassero la carne con ganci di ferro, egli prendeva su di sé il giogo ciel Regno dei cieli (cioè recitava lo Shcn1aL'). Gli dissero allora i suoi discepoli: Nostro ìvlaestro, fino a questo punto? (cioè: anche in questo rno1nento, in cui sei condotto al patibolo, reciti lo Shenutc'?). H..isposc loro: Per tutti i giorni della 1nia vita sono stato turbato da questo versetto: " ... e con tutta la tua anirna", ossia anche se Egli ti toglie l'ani1na (poiché io non ero in grado cli con1picre quanto vi sta scritto: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore ... "). Io dicevo: Quando avrò l'occasione di co1npierlo? E ora che ne ho l'occasione, non dovrei forse con1pierlo? E prolungò la parola "Uno" finché esalò l'anin1a sulla parola "Uno". Venne una voce dal cielo e disse: Beato te, Rabbì Aqiba, che hai esalato l'aniina sulla parola "Uno"» 1•

~ Baccelliere in Teologia. Questo studio è un estratto della tesi di Baccalaureato presentata nello Studio Teologico S. Paolo di Catania nell'anno accadcn1ico 1995-96. 1 Racconto rabbinico, in J. HEINEMANN, La preghiera ebraica, trad. it., Qiqajoo, Magnano (Ve) 1992, 107.


Dionisio Candido

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«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore ... » (Dt 6, 4-5). In questi pochi versetti biblici si potrebbe scorgere la storia del popolo d'Israele, come anche la storia della Chiesa e di ogni uomo di fede chiamato a prendere posizione di fronte ad un Dio che ha la pretesa di essere unico («il Signore è Uno ... ») e totalizzante («lo amerai con tutto il tuo cuore ... »). Il presente articolo, lungi dal voler essere uno studio esaustivo, è un possibile camn1ino nell'universo della Sacra Scrittura sulle orn1e di questo Signore: che velleità, che superbia ... ! In realtà «nella Bibbia sta un n1ondo nuovo, il n1ondo di Dio. Dobbian10

a111111ettere che con una tale risposta ci portia1110 ben al di sopra di noi stessi. .. n1a si lralta proprio di questo: se voglian10 veran1cntc accostarci al contenuto della Bibbia, dobbian10 portarci 111olto al cli là di noi stessi. [... Per la Bibbia l'essenziale non è l'agire degli uo1nini, n1a l'agire di Dio» 2.

La Scrittura diventa allora vero focus theo/ogicus, luogo in cui Dio incontra l'uomo. È in particolare il Deutero-Isaia (Is 40-55), per la paradossalità del suo annunzio di speranza in un tempo disperato, ad offrire oggi uno dei temi più profondi e attuali del messaggio profetico biblico. Il periodo storico 1n cui vive questo anon1n10 profeta è quello dell'esilio babilonese (sec. VI a. C.)': anzi egli stesso si trovava a vivere in terra d'esilio tra il 587 e il 538 a. C., a ridosso dell'editto con cui Ciro concesse agli esuli di poter tornare a Gerusalemme.

2

K. BARTH, Das lVorth Goffes und die Theologie, in Gesc1111111eltc Vortriige, 1925, citato in f-1.-J. KRAUS, L'Antico Testa111e11to 11e/la ricerca storico-critico dallo R!f'onna ad oggi, lrad. it., Il Mulino, Bologna 1975, 635-636. ~ Il presente lavoro non intende entrare nella problen1alica della figura ciel Dcutcro-lsaia, né dc!!c vicende stret1a1nente storiche dell'esilio babilonese. Tullavia, a tal proposito, cfr. B. BocK, BreFe Storia del popolo d'lsrae/e, traci. il., Eon, Bologna 1992, I 03-111; H. CAZELLES, Storfrt politica di Israele dalle origini ad Alessandro Magno, trad. it., Borla, Ron1a 1985, 191-207; J. A. SOGGlN, Storia d'Israele, Paideia, Brescia 1984, 389-396; S. V!RGULIN, Isaia, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1989', 232-233.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

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Per Israele questo è il tempo dell'umiliazione, il tempo in cui JHWH ha nascosto il suo volto. Il dubbio sulla reale efficacia dell'agire di JHWH si fa sempre più angosciante: risalire la china pare ora umanamente impossibile. Subentra lo scetticismo e la disperazione. Ma è proprio in un contesto simile che il Deutero-Isaia testimonia e annuncia non solo che JHWH resta il Salvatore, l'Unico, ma anche che questa è l'ora della fede e non della sfiducia, della speranza e non della disperazione. Le ragioni della speranza non stanno nelle velleità del profeta né nella sua forza d'animo, ma proprio in JHWH, nel suo agire all'interno della storia. Per svelare il volto di JHWH che il Deutero-Isaia delinea si è scelto il "diaframrna" dei predicati participiali. Scrive Joiion: «In ebraico ! ... ] il participio è una fonna aten1porale, può cioè essere usato indiffcrcntcn1cntc nelle tre sfere: presente, passato e futuro» 4 .

4 «In l-lcbrc\v

r... J the participle is an atc1nporal fonn, i. c. onc thal can be uscd indiffcrcntly in the Lhree ten1poral sphcrcs: present, past, anù future» (P. JOOON - T. MURAOKA, A Gra111111ar of B;b/ical Hehrew, Subsidia Biblica - 14/JJ, PIB, Ron1a 1991, 409).


180

Dionisio Candido

Introduzione Lo sviluppo dell'articolo segue una logica precisa e semplice al contempo: si va da una analisi strettamente letteraria, empirica, del testo (capitolo 1), passando attraverso la considerazione sistematica del lessico teologico (capitolo 2), fino a delineare le idee teologiche più rilevanti del pensiero del Deutcro-Isaia (capitolo 3). In altri termini si procede da un livello più analitico, fino ad una sintesi di temi teologici. In questo modo sarà l'esegesi a "foraggiare" la teologia, rispettando così una priorità che non può non essere rispettata. Se è vero, come è vero, che nel!' "incontro" con la Scrittura è la Scrittura stessa a dover parlare, senza sovrapporle idee preconfezionate, è anche vero che a quest'appuntamento non ci si può presentare a mani vuote: bisogna alrneno essere portatori di una don1anda, altrin1enti la Scrittura tacerà. Ebbene, al testo del Deutero-Isaia abbiamo voluto porre la domanda circa la qualità temporale dell'agire di JHWH. E per far questo ci siamo servili dell'ottica offerta dalla forma verbale del participio. Il participio, come già detto, nella lingua ebraica ha un valore temporale tale da coprire il passato, il presente e il futuro. Di questa indole del participio ebraico non è facile accorgersi dalla sola traduzione italiana. Nel capitolo I, pertanto, verranno indicati i participi reperiti in Is 40-55 (1.1.) inserendo poi le singole forme verbali in unità letterarie (1.2.). I verbi (usati tutti naturaln1ente al participio) individuati saranno oggetto quindi, nel capitolo 2, di una trattazione particolare. Nella prima tabella, oltre alla loro frequenza si dànno anche le traduzioni relative: in questo modo inizieranno ad affiorare con chiarezza i termini verbali particolarmente cari al Deutero-Isaia (2. I.). Sarà però ancora necessaria una specificazione: non ci si li1niterà più a guardare ai verbi in sé, n1a si considereranno i sh1fag111i verbali (2.2.), ovvero i gruppi di ter1nini che, ruotando intorno al participio, forn1ano

un'espressione significativa. Talora, infatti, il senso pieno del verbo risulta dal lintero sintagma di cui fa parte. Questa specificazione è necessaria ai fini di una corretta catalogazione dei verbi-si11tag111i


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

I 81

secondo aree semantiche (2.3.). Individueremo cioè alcune "categorie di significato" entro cui è possibile ricondurre tutti i predicati participiali. Quindi, all'interno di ogni area semantica, compiremo una cernita: i verbi teologicamente più significativi saranno oggetto di una trattazione a parte (2.4.). In tal modo il lessico teologico viene a far da ponte tra l'analisi letteraria dei predicati participiali e l'orizzonte teologico che comincia a profilarsi. Se i primi due capitoli del presente articolo costituiscono la parte analitica, con una immersione diretta nel testo biblico, l'ultimo capitolo attingendo a piene mani m contributi di esegeti contemporanei - costituisce la sintesi di tutto il lavoro previo e la vera conclusione dello studio. Anzitutto il termine "presenzialità" (3.1.) ci è parso quello che evoca meglio il valore che, nel testo del Deutero-lsaia, il participio attribuisce all'agire storico di JHWH. La traduzione italiana - come si evince dal capitolo I - non riesce a rendere questo aspetto dell'agire di JHWl-l che si mostra "fedele". JHWl-l si dimostra Dio-compagno lungo i sentieri talora tn1perv1 della storia, pur rin1anendovi trascendente. Inoltre sarà proprio l'uso del participio in riferimento a JHWl-l a rivelare un intreccio straordinario tra l'agire di JHWH stesso e la storia

di Israele. Se per un verso JHWH è il Dio-presente, il popolo - così come il singolo - è chian1ato a sostenere e giocare sino in fondo la propria esistenza umana, sia pure nell'orizzonte di questo rapporto. Sorge così il tema di una fede 111011dana, cioè vissuta un1ana111enle, senza sconti, da bere "fino alla feccia''. La ]Jresenziolità dell'agire di JHWH nella storia è resa evidente, per il Deutero-lsaia, dalla identità tra JHWH redentore e JHWH creatore (3.2.). Il capitolo 3, infatti, mostrerà non solo la presenza di verbi legati alle aree semantiche della redenzione e della creazione, ma anche il rapporto stretto esistente tra questi due piani. Si può affern1arc che la salvezza/redenzione annunciata dal profeta è una vera e propria r1-creaz1one. L'approfondimento de li 'uso dei participi in relazione ali' agire di JHWH (si pensi in particolare ai "verba dicendi" del capitolo 2) vedrà emergere anche il terna della parola (3.3.). Nella continuità tra


Dionisio Candido

182

parola e azione, promessa e compimento, annuncio e realizzazione,

JHWH dimostra di essere il Signore della storia. Nella sua bocca, la parola non resta jlatus vocis, ma diventa agente che trasforma la storia. In un certo senso, i primi tre paragrafi (3.1., 3.2. e 3.3.) del capitolo 3 costituiscono le vere conclusioni dei due precedenti capitoli sotto il profilo più strettamente teologico. Solo allora sarà possibile comprendere correttamente altri due temi nascosti tra le righe del nostro studio, che hanno un maggiore risvolto antropologico. Si tratta anzitutto della intiina relazione tra 1ne111oria e speranza (3.4.). Nella penna del Deutero-Isaia, il passato (memoria) non è insignificante né il futuro (speranza) disperato, perché è sempre possibile scorgere il filo rosso della presenzialità dell'agire di JHWH. Egli certo trascende la storia, ma facendosi presente, passo dopo passo, sa coinvolgersi a tal punto che la storia del popolo e del singolo ora1nai può essere legittimamente interpretata anche "teologican1ente".

Infine daremo rilievo al tipo di fede in JHWH di cui il DeuteroIsaia dà testimonianza: una fede che definiremo paradossale (3.5.). Se dimenticassimo il contesto terribile dell'esilio all'interno del quale è maturata questa fede, non ne gusteremmo l'altezza e la profondità. La lettura "teologica" della storia non è un fatto ovvio. Né è soddisfacente una sua fondazione a livello volontaristico. Dalla disperazione non e1nerge la speranza, dal dolore non e1nerge la gioia, dall'esilio non emerge la liberazione se non perché JHWH, Signore

della storia, decide di operare linatteso. Da JHWH ha inizio il paradosso della speranza che si fa storia, cui fa da contraltare il profeta con il paradosso della sua fede. Per realizzare questa risposta ci vuole intelligenza e amore, verso JHWH e verso il popolo. Il paragrafo conclusivo verrà solo a chiudere, con1e

111

una

inclusione, il cerchio aperto dalla provocazione iniziale: da una testùnonianza ... ad una preghiera.


183

I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

I. I PREDICATI PARTICIPIALI (tipologia letteraria)

1.1. Le formule in se stesse Anzitutto è necessario reperire all'interno del Deutero-Isaia tutte le forme participiali. Alla luce di questa ricerca si ottengono i seguenti dati: Participi

in Isaia

nel Deutero-Isaia

riferiti a JHWH nel D.-!.

qal nifal pie! pual hitpael hifil hofal

514 95 62 25

146 12 21

58

II

5 3

o o

100

39

15

6

I

o

1

5

In definitiva considereremo anzitutto 79 predicati participiali riferiti a JHWH, nel Deutero-Isaia.

1.2. Qualificazione formale dell'unità letteraria in cui i participi sono inseriti Per comprendere a pieno il valore dei predicati participiali di JHWH è necessario inserire le singole forme verbali all'interno delle unità letterarie di cui è composto il Deutero-Isaia, anche se si tratta di un'opera fondamentalmente unitaria dal punto di vista lctterario 5 • Le

5 «Ii problema che si pone per !a con1prensionc del libro dcl Secondo Isaia è se questo costituisca un'unità letteraria a servizio di un pensiero on1ogeneo, se sia cioè un insicn1c organico, oppure sia rannata da inolteplici brani senza col!cgan1cnto tra loro: è il problc1na della struttura letterarirm (B. MARCONCJNI, li libro di Isaia (40-66), Città Nuova, Ro1na 1996, 12). Di turto ritnando risponde Auneau: çogni i polesi redazionale che vuole vedere nei capp. 40-55 solo un asse1nblaggio di piccole unith indipendenti, siste1nate a caso, 1nisconosce un fenomeno letternrio, forse rarissi1no


184

Dionisio Candido

forme letterarie, grazie alla loro frequenza e indole, rivelano le idee di fondo del profeta" e il profilo di JHWH che egli vuole delineare. Del resto ogni espressione assume il timbro del contesto letterario in cui è inserita. La suddivisione del testo a cui ci si è ispirati è quella di J. Auneau 7 • In realtà, ad una verifica empirica sul testo biblico, si può constatare come la suddivisione di J. Auneau lasci scoperti qua e là alcuni versetti 8 • Per ovviare al problema abbiamo tenuto presente, a titolo integrativo, la suddivisione del testo operata da C. R. North 9 . In essa, tuttavia, i titoli delle singole pericopi hanno un'indole meno formale e più concreta 10 • n1a incontestabilrncntc presente in Is 40-55: un Lesto attivo, sosta ritorna su se stesso e che crea tra i suoi elcn1cnti dci ordine irreversibile. Per dirla chianuncntc, il Secondo Isaia La co1nprcnsionc dcl 1nessaggio richiede una ricerca sui proccdin1enti di scrillura e sul 1novirnento della composizione» (J. AUNEAU, !! Secondo Isaia: ls 40-55 (o Deutero-lsaia), in AA. Vv., I Profeti e i libri prr~fetici, traci. it., Boria, Ron1a 1987, 268-269). Crr. anche R. F. MELUGIN, Deutero-lsaiah a11d For111 Criricisn1, in VT 21 (1971) 326-337; R. RENDTORFF, !11troduzio11e aff'Anth·o Testa111e11to, traci. it., Clnucliana, Torino 19942 , 258-259; S. VJRGULIN, // Deuteroisaia, in AA. Vv., Pro/Jle111i e prospelfive di scienze bibliche, Qucriniana, Brescia l 98 l, 214-216. 6 1. AUNEAU, op. cii., 263. 7 I generi letterari sono: "Parole cli Salvezza" (che chia111ere1no 1neglio "Messaggi di salvezza", la cui sigla sarà Ms), "Discussioni-contestazioni" (sigla Dc), "Discorsi giuridici" (sigla /JG), "lnni" (tra i quali non trovi111no alcun particirio riferito a JHWH) e l' "Inlronizzazione regale di Ciro" (riconducibile a! genere letterario dei "1nessaggi di sai vezza"). 8 Infatti, la suddivisione del teslo operata da Auncau a cui ci sian10 ispirali non è priva di difficoltù: talora (è il caso per esempio dci vv. 45, 1-7.20-25; 50,1-3) alcune pcricopi vengono considerate co1ne facenti parle di più unità letterarie. Di fronte a questo "accava!lmnento" abbiaino operalo delle scelte, preferendo l'unità letteraria che ci è parsa più pertinente al brano via via consideralo. Cfr. J. AUNEAU, op. cit., 263-268. 9 C. R. NORTH, The Second lsaiah, Oxford University Press, Oxford 1964. Di fatto, nonostante la suclclivisione operata da North, abbian10 ritenuto che gran parte delle pcricopi su cui Auneau taceva, potessero essere ricondotte alle unità fonnali da quest'ullin10 indicate. 111 In realtà, oltre al supporto della suddivisione de! leslo operata da North, ci è parso legillinHi anche un altro tipo di intervento. Co1ne detto, Auncau lascia "scoperta" una serie di verselli, talora intere perieopi. Tuttavin, rirle!Lendo sul testo, si può notare con1e questi versetti siano faciln1ente riconducibili alle unità letterarie che !o stesso Auneau indica. È il caso di 46, 1-2; 48,16; 51, 1-5; 54, l-3; 55, 6-7 che nella letlcratura biblica, un testo cioè che senza coinplessi cli rapporli in un lavoro di scrittore.

ra


l predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

185

Va detto che voluta1nente manca una trattazione concernente "carmi del Servo di JHWH"". Tuttavia non si è trascurata, all'interno della tabella generale, una esplicita menzione delle unità letterarie relative. Infatti in 42, 5 si constata la presenza di 4 participi (wm, on'D1J1, Yp>, 1m); in 42, 9 di un participio (1'lD); in 49, 5 di un ultimo participio(»~>).

Insieme con la struttura del testo secondo le unità letterarie, abbiamo segnalato la eventuale presenza delle forme participiali. Cap.

Peri copi 1-8

Genere letterario

Partlc].QJ

Introduzione

40

VV.

40

9-11

Inno

40

12-17.18-19+25-

Discussione-contestazione

22.22.23.26.28.29

Discorso_giuridico

4

26.21-24.27-31 41

1-5

41

8-13.14-16.17-20 Messaggio di salvezza

41

21-29

Discorso_giuridico

42

1-7.8-9

I 0 canne del Servo

13.13.14

5.5.5.5.9

42

10-13

Inno

42

14-17

Messaggio di salvezza

42

18-25

Discussione-contestazione

43

l-7

Messaggio di salvezza

1.1.3

43

8-15

Discorso_gjuridico

11.14.15

43

16-21

Messaggio di salvezza

16.17.19

43

22-28

Discorso_giuridico

25

44

1-5

Messaggio di salvezza

2.2

abbian10 inserito al!'interno delle unità lctlerarie delle pericopi seguenti. La tabella, quindi, CO!llC ovvio, non fa n1enzione di questo lavoro previo, 1na orrre sernpliccn1ente i risultati finali. 11 I "canni dcl Servo" non saranno oggetto della nostra trattazione anzitutto a niotivo del loro contenuto che esula dal tenia della presente lesi, rna anche per la difficoltà letteraria che essi costituiscono: «Il gruppo dei canti dcl Servo di Jahvé rappresenta uno strato speciale, aggiunto al libro successivainente, anche se i pri1ni tre canti - come io ritengo - appartengono al Deuteroisaia. Il quarto canto, che presuppone la 1nortc de! Servo, è più tardivo degli altri tre, i quali furono inseriti ne! Deuteroisaia ìnsic1ne ad esso» (C. WESTERMANN, Isaia capitoli 40-66, trad. i t., Paideia, Brescia 1978, 42).


Dionisio Candido

186

44

6-8

Discorso~uridico

44

9-20

Discussione-contestazione

44

21-23

Mcssag,gio cli salvezza

44

24-28

Discussione-contestazione

6

24.24.24.24.24.24.25. 25.26.26.27.28

45

l-7

Messaacrio di salvezza

4S 4S 4S 4S

8

Inno

9-13

Discussione-contestazione

II

14-I 7

Messaggio cli salvezza

IS I8.18.18.19.1921

18-25

Discussione-contestazione

46

1-2.3-4

Messaggio di salvezza

46

S-11

Discussione-contestazione

46

12-!3

Messaçi;gio di salvezza

3.7.7.7.7.7

IO.IO.I I

47

1-IS

Discorso__g_iuridico

4

48

I-l l.12-15

Discussione-contestazione

13

48

I6. l 7-19

Messa o aio di salvezza

I7.I7.17

48

20-21

Inno

49

1-6

2° carn1e dcl Servo

5 7.7.10

49

7.8-12

Mcssauuio di salvezza

49

I3

Inno

49

14-21.22-23.24-

Messaggio di salvezza

26.26

26 50

1-3

Discussione-contestazione

so

4-9.10-11

3° ca1111e del Servo

SI SI

l-S.6-8

Messagg.io di salvezza

9-I I

Messagp-io di snlvczza

51

12-16

Messagrio di salvezza

51

17-23

Messaggio di salvezza

52

I-6

Messag§l"ÌO di salvezza

S2 S2

7-IO

Messa o-aio di salvezza

11-12

Messagp-io di salvezza

52

l3-S3,12

4° canne del Servo

54

1-3.4-6.7-10.11-

Messa o-o-io di salvezzn

12.13.13.13.15 6 I2.12 5.5.5.8


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

187

12-13b.14a+13a17 55

1-5

Mcssa,QJdo di salvezza

55

6-7.8-13

Messaggio di salvezza

In sintesi si può affermare che: -su 23 pericopi appartenenti al genere letterario del "Messaggio di salvezza", in 13 di esse troviamo participi riferiti a JHWH; -su 8 pencop1 appartenenti al genere letterario delle "Discussioni-contestazioni", in 6 di esse troviamo participi riferiti a JHWH; -su 6 pericopi appartenenti al genere letterario dei "Discorsi giuridici", in 5 di esse troviamo participi riferiti a JHWH; -su 5 peri copi (o singoli versetti) appartenenti al genere letterario degli "Inni", in nessuna di esse si trovano participi riferiti a JHWH". I 4 generi letterari che a noi interessano ("Messaggi di salvezza", "Discussioni-contestazioni'', "Discorsi giuridici" e "Inni") vengono adesso presentati singolannente in modo tale da metterne in evidenza, in una breve sintesi, i caratteri fonda1nentali.

1.2.1. Messaggi di salvezza «La peculiarità della profezia del Deuteroisaia consiste nel fatto che egli nel suo tempo ebbe il compito di annunciare al popolo la salvezza, e nient'altro che la salvezza»u. Questo annuncio, che diventa pressante invito a non teniere, mostra anche lo stato di scoraggiamento in cui si trovava il popolo d'Israele deportato in esilio in Babilonia. Paradossalmente, è proprio in questo contesto così disarmante che il profeta coglie il fondamento

12

Per co1npletarc la lista delle 48 pericopi con1plcssive bisogna annoverare le 4 pericopi relative ai "cnrn1i de! Servo di JHWH" (4 participi in 42, 5; un participio in 42, 9; un participio in 49, 5) e la pericope introduttiva (40, 1-8). JJ C. WESTER!'vtANN,

op. cit.,

18.


Dionisio Candido

188

della speranza: l'agire di JHWH (espresso anche con vari attributi) nella storia.

1.2.2. Discussioni-contestazioni

Secondo Auneau 1•1, il profeta s1 servì delle discussionicontestazioni per contrastare due obiezioni allora diffuse. La prima riguardava più un sentimento che stava penetrando nel popolo della diaspora babilonese: l'esilio, insie1ne con lo scoraggia1nento, aveva portato anche un forte scetticismo circa la reale capacità di JHWH di salvare il suo popolo. La seconda obiezione riguardava la perplessità, se non l'indignazione, del popolo verso la fiducia che il profeta riponeva nella figura di Ciro. La fonna talora forte delle espressioni serve, infine, a rivendicare

la sovranità esclusiva di JHWH, creatore e signore della storia.

1.2.3. Discorsi giuridici Si tratta di veri e propri processi, ovvero di rimproveri espressi 1nediante la forn1a dei discorsi giuridici tipici de1l'a1nministrazione giudiziaria del tempo. I destinatari sono due: le nazioni con i loro idoli da un lato e il popolo d'Israele dall'altro. Nel primo caso JHWH emerge in tutta la sua superiorità salvifica senza confronti, n1ostrando così di essere il

vero Dio. Nel secondo caso il popolo prende coscienza di avere cli fronte a sé il Dio dell'alleanza e il Dio fedele.

I .2.4. Inni

Questa forma letteraria è tipica dei Salmi. Il Deutero-Isaia la utilizza per esprimere la lode del popolo dopo aver constatato l'agire

14

J. AUNEAU, op. cii., 265.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

189

di JHWH. A proposito degli inni participiali, dove si riscontrano come attributi divini alcuni verbi n1essi al participio, L. Monloubou scrive: «Nei Saln1i i participi sono nun1erosi, n1a anche nei testi profetici e sapienziali. Essi descrivono il Dio creatore, signore della natura e prolcllorc dci deboli» 15 nelle diverse situazioni storiche ed esistenziali.

Negli inni, perciò, è il popolo il destinatario dell'invito alla lode, 1nentre la sua n1otivazione risiede nell'agire di Dio, espresso sovente con predicati participiali. All'interno del Deutero-Isaia non si riscontra l'uso di alcun participio riferito a Jl-IWH in un testo innico"'.

2. IL LESSICO TEOLOGICO DEI PREDICATI PARTICIPIALI

2.1. 1 singoli verbi reperiti Sulla base dello studio sin ora condotto, prendendo a prestito le considerazioni di Auneau, possiatno dire che «nel Secondo-Isaia le fonnc letterarie non in1povcriscono affatto un vocabolario cli grande intensità. [ ... ] L'universo di pensiero del profeta si lascia cogliere attraverso l'uso intensivo del vocabolario della giustizia e della salvezza, del riscatto, delle affern1azioni ripetute che Jahvé è un Dio senza pari, che non cc ne sono altri all'infuori cli lui, il vocabolario della

15 L. MONLOU!30U, I

so/111i, in

AA. Vv., I Sa!n1i e gli altri

seri/li, trad. it., Boria,

Rc}Jna 199 ! , 54. lr> Questa constatazione cli fallo parrebbe conlraclclire quanto espresso nella introduzione al genere !etlerarìo degli "Inni". Ad onor dcl vero va notato con1e L. MonloL1bou (p. 54), a sostegno della sua lesi circa gli inni participiali nei testi profetici, cita diverse pericopi anche ciel Deutero-lsaia: Is 40, 22-24.26b.28-30; 42,5; 43, 16s; 45, 6b.7.18; 47,4; 51,15. Ma, con1e è facilrnente intuibile, le pericopi sopra indicate sono frutto cli una suddivisione (talora anche non ben circoscritta, con1e per Is 43, l 6s) che giù in partenza abbian10 scartalo preferendole, ai fini delln presente tesi, quella più con1plcta di J. Auneau. Ciò non vuol dire che la riflessione condotta da L. Monloubou perdfl di rilevanza.


Dionisio Candido

190

inconsistenza, della vacuità e del nulla per evocare gli idoli e le forze che si oppongono a lui. [ ... ] Il lavoro suI vocabolario è i1nn1cnso 111a pron1ettente. I . .a filologia è necessaria e le statistiche hanno diritto di cittadinanza. Occorre essere attenti al contesto. Possia1no vedere con1e un lcnninc può allargare il suo can1po di applicazione, arricchirsi con l'incontro cli un altro registro cli vocabolario» 17 •

Pertanto, la tabella che segue riporta i verbi reperiti durante la !ratlazione del capitolo l 18. Si tratta anzitutto dei singoli verbi (30 in totale) usati al participio. In un secondo tempo sarà possibile considerare i sintagn1i e quindi operare la catalogazione e l'analisi in base all'area di significato (natura-creazione e/o storia-redenzione). Tra i versetti, sono indicati tra parentesi quadre queIJi che rientrano nella serie dei "carn1i del Servo" che - co1ne detto al capitolo 119 - non verranno considerati. ìDN

Ni. essere fedele

lx

49, 7

"11JN

dire

5x

41, 13; 44, 26; 44, 27"'; 44, 28; 46, IO

IX

52. 12

_'.lON

Pi. stare di

retr~ardia

54,

s

JYJ

do1ninarc

lx

>m

creare

7x

40, 28; [42, 5]; 43, I; 43, 15; 45, 7; 45, 7; 45,18

J>U

redin1ere

IOx

41, 14; 43, 14; 44, 6; 44, 24; 47, 4; 48, 17; 49, 7; 49, 26; 54, 5; 54, 8

"1)1

_Earlarc

2x

45, 19; 52, 6

1'1

Hi._guidare

IX

48, 17

17 J. AUNEAU, op. cii., 269. 18

La loro traduzione cerca di seguire quella della Be. Talora, però, per orrrire una traduzione più letterale abbiaino attinto a F. SCERIJO, Dizionario ebraico e ca/daico de! Vecchio Testr1111ento, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1912. 19 Cfr. nota n. 12. 20 Una interessante interpretazione di questo verselto, in relazione a 50, 2.1 O e 55, 10-13, è offerta da D. M. GUNN, Deutero-Isaiah and the F!ood, in }BL 94 (1975)

493-508: 495-503.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

191

1Jn

andare

lx

52, 12

r:nn

tenere

IX

41, 13

117'

tondare

lx

51, 13

N~'

Hi. fare uscire

2x

40, 26; 43, 17

""

111odellare

7x

43, I; 44, 2; 44, 24; 45, 7; 45, 11; 45, 18; [49, 5]

J ''"

""''

Pi.

abitare

lx

40, 22

salvare

5x

43, 3; 43, 11; 45, 15; 45, 21; 49, 26

ins~_gnare

IX

48, 17

iln/J

cancellare

lx

43, 25

1ll

Hi. annunciare

3x

[42,9];45, 19;46,10

Dnl

consolare

lx

51, 12

il\.J)

stendere

3x

40, 22; [42, 5]; 44, 24; 51, 13

)l1l

drne

4x

40, 23; 40, 29; [42, 5[; 43, 16

illl'Y

rare

8x

43, 19; 44, 2; 44, 24; 45, 7; 45, 7;

1/JJ

45, 18; 51, 13; 54, 5

ll"

sventare

IX

44, 25

01p

Ili. confcnnarc

lx

44. 26

NlfJ

chian1arc

4x

41, 4; 45, 3; 46, 11; 48, 13

Yl'l

sconvoJ..g_crc

lx

51, 15

om

}Ji. aver COf1.:!12_assione

lx

49, IO

l'fJĂŹ

distendere

2x

[42, 5[; 44, 24

))\O

Hi. fare ritornare

IX

44, 25

2.2. I sintag111i verbali

Pri1na di procedere ad un raggruppan1ento dei verbi per aree sen1antiche, si rende necessaria una operazione. Se ci si li1nitasse a considerare i singoli verbi in sÊ, cioè nel loro significato in senso stretto, si con1111etterebbe un grave errore, in1perdonabi le secondo la


Dionisio Candido

192

1noderna linguistica21 . Per questo motivo incomincia1no ad utilizzare il termine sintagma verbale o, più semplicemente, di sintagma (essendo oramai chiaro che il nostro interesse è centrato sui predicati verbali di JHWH). In breve, per sintagma verbale intendiamo qui un gruppo di termini (il più importante dei quali è un verbo) appartenenti ad una frase, avente un significato compiuto. Ciò non significa che, qualora i verbi interessati fossero considerati separata1nente, non avrebbero un significato compiuto; tuttavia il senso dell'intero sintagma può essere più specifico di quello del verbo preso in sé 22 • Nella tabella successiva, pertanto, indichiamo i singoli verbi" accompagnati adesso dai complementi oggetto (nel caso più frequente dei verbi transitivi) o dai complementi che formano con essi un si11tag111a verbale. Talora i verbi ebraici vengono tradotti nella BC con sinonimi per rendere una 1nigliore traduzione italiana. In questo caso, quando cioè il testo italiano non presenta la traduzione che abbiamo indicato come fonda1nentale, la diversa traduzione del verbo sarà riportata 111 carattere corsivo e tra parentesi prin1a dei con1ple1nenti 2·1. l/JN

Ni. essere redele

49, 7

@2:'i

lJJN

dire

41, 13

(a Israele) «Non ternere, io li

21 Cfr. L. SERJANNI (a cura di), Suoni, fon11e, cosrrufli, UTET, Torino l 988, 76; A. MARCHESE, voce Sintag111a, in Dizionario di Retorica e Stilistica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano J 978. 22 Per ese1npio, nella lingua italiana, il verbo "fare" ha in sé un senso con1piuto e chiaro, anche se abbastanza ainpio. Tuttavia, in una espressione eon1e "fare nuove tutte le cose" l'unità basilare da considerare non sarà pili il se1np!ice \'erbo, 1na i! si11tag111a "fare nuove", cioè "rinnovare" che non ha propria1nente lo stesso senso di "fare". 21 - Senza considerare pili i verbi relativi ai "canni del Servo" (42, 5.5.5.5.9;

49, 5). 24

Non di rado questi complementi sono dci sen1plici pronon1i o aggettivi personali. Abbian10 perciò ritenuto opportuno - per una leLLura più se1nplice e fruttuosa - esplicitare direuan1ente nella tabella i soggelli a cui i prono111i si riferiscono. È il caso, per eseinpio, di 43, 14 (il verbo qui è )i"Cì): 1nenlre il testo dice: «Vostro redentore», nella tabella l'aggettivo personale "vostro" è stato esplicitalo in "Israeliti". 25 Convenzionalmente utilizzian10 il segno "@"per indicare il caso in cui il verbo è usato in senso assoluto, senza altri co1nplen1enli con cui fonnare un sintag111a.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

193

ven_E9 in aiuto»

44, 26

(a Gerusale1nmc) «Sarai abitala»; (alle città di Giuda) «Sarete riedificate e ne restaurerò le rovine»

44, 27

(ali 'oceano)

«Prosci~lQlti !»

44, 28

(a Ciro) «Mio_raslore»

46, 10

@

_J_DN

Pi. stare di rctrqR!.1ardia

52, 12

(chiudere) la carovana

JYJ

don1inare

54, 5

(!J!_osare) Israele

NlJ

creare

40, 28

[ClTa

ONl

rcdi1nerc

43, 1

Giacobbe/Israele

43, 15

Israele

45, 7

le tenebre

45, 7

J[!_rovocore) la sciauura

45, 18

i cieli

41, 14

Israele

43, 14

_,gli Israeliti

44, 6

Israele

44, 24

(riscatto re)

Israele

47, 4

_gji Israeliti

48, 17

Israele

49, 7

Israele

49, 26

Tsraclc

54, 5

Israele

54, 8

Israele

parlare

45, 19

con__giustizia

yn

~1idarc

48, 17

1'.Jil

anelare

52, 12

ptn

tenere

41, 13

10'

iòndare

51, 13

N>'

Hi. fare uscire

40, 26

lJ1

52, 6

(dire) «Eccon1Lg_ua»

_12cr la strada su cui devi andare (co1111ui11are) davanti a voi Isracle~r

la cleslra

(geltare lejjz_11dan1en1a de) la terra l'esercito

d~i

astri


Dionisio Candido

194

43, 17

carri e cavalli, esercito cd eroi 1ns1e1nc

"'

plasrnarc

43, I 44, 2

Israele Jhn11are) lsraele

44, 24

Jf.01路111are) Israele

45, 7

J[Qn11ore) Tsr<1elc

45, 11

Israele

45, 18

Israele

]\'!>

abitare

40, 22

(sedere su) la volta dcl rnonclo

"""

salvare

43, 3

Israele

43, 11

@

45, 15

@

45, 21

@

49, 26

Israele

llJJ

Pi. inst:_gnarc

48, 17

a Israe]e_l?cr il suo bene

lf"\)J

cancellare

43, 25

i n1isfrtfli cli Israele

annunciare

45, 19

cose rette

46, I O

la fine e quanto non 猫 stato

,,,

ancora con.:!_r_iulo Dnl

Pi. consolare

52, 12

il\))

stendere

40. 22 44, 24

)m

cime

Isn1c!c

il cielo (~er;are)

i cicli

51, 13

i cieli

40, 23

(ridurre) a nulla ~otcnti

40, 29

rorza allo stanco

43, 16

(qffrire) una strada nel 1narc e un

sentiero in n1czzo ad acque _IJOSSCll t j

nl()Y

fare

43, 19

una cosa nuova

44, 2

Israele

44, 24

tulto

45, 7

il bene

45, 7

(con!.f!iere) tutto _~1csto


f predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

45, 18

la Lcrra

51, 13

(creare) Israele

54, 5

Israele

110

sventare

44, 25

Dìp

H i. confern1arc 2c,

44, 26

i~res~ d~i

195

indovini

la parola dei servi (sott;,11eso cli JHWH)

chian1arc

Nlp

41, 4

le 0 encrazioni rin dal_R_rinclJ1io

45, 3

Israele_J2er norne

46, 11

dall 'oricntc l'uccello da preda, da una terra lontana l'uon10 dci 111iei _12r~lli

(cioè Ciro)

48, 13

i cicli

sconvol.g_ere

51, 15

il n1are

om

Pi. aver con2_Eassione

49, IO

dccrli Israeliti

Ypl

cl istcnclcre

44, 24

la terra

])\')

Hi. rare ritornare

44, 25

(costringere a ritrattarsi) i

""

s~icnti 27

2.3. Le aree sen1antiche La tabella precedente apre la strada ad un tipo di analisi che non s1 li1niti più ai verbi in senso stretlo, n1a che si apra ai significati dei

26 li significato principale di Dìp è "sorgere". L1 nostra traduzione al!'Hifil riportala nella tabella, tul!avia, trova conl'enna non solo nel lesto della Be, n1a anche in ciò che scrive S. Ar...1SLER a con1n1ento del versetto in cui è presente la nostra fonna verbale: «La storia stessa è opera cli Jahwe, che conduce gli avvenin1enti in n1odo tale da portare a con1pi1nento (letteralmente: "fnr sorgere") la pro1nessa falla ai padri [ ... ], a Davide l ... j oppure le parole dci profeti (cfr. ls 44, 26)» (voce Dìp qfì111 sorgere, in DT1\T,

Il, 576).

27 Qui la Be, cercando di rendere il senso dell'espressione ebraica, offre una traduzione un po' inrelice. La NJB, clircllan1ente traduce: «Con round sages». Invece Westen11a11n (op. cit., !87) si diinostrn pili l'edele al lesto traducendo: «Fa indietreggiare i sapienti». Pertanto si potrebbe tradurre con se1nplicit?i, 1nantencdo una 1naggiore aderenza al testo originale: «Fa tornare i sapienti indietro».


Dionisio Candido

196

vari sintagmi ottenuti. In altri termini è ora possibile operare un raggruppamento per aree semantiche 28 • Ad una attenta lettura del vocabolario che abbiamo ottenuto passando a setaccio tutto il materiale reperito, si potrà cominciare ad intravedere come il Deutero-Isaia - nel delineare il profilo del "su o" JHWH - si muova all'interno di un preciso ambito concettuale. Proponiamo quindi un raggruppamento" dei sintagmi (di cui sopra) in aree semantiche: in questo modo apparirà chiaramente su quali tasti il profeta vuole battere con più frequenza. Verba dicendi: 1DN (dire), 101 (parlare), lll (Hi. annunciare), Nlf' (chiamare). Verba sentiendi: )DN (Ni. essere fedele), om (Pi. aver compassione). Verbi della creazione: NlJ (creare), w> (fondare), N'' (Hi. fare uscire [lP''), "'(modellare), Jl'J> (abitare), mJJ (stendere), nl'!Y (fare), "" (sconvolgere), Yf'l (distendere). Verbi della redenzione: a) in positivo verso Israele: ~ON (Pi. stare in retroguardia), '.Jyo (dominare), '.JN' (redimere), i11 (Hi. guidare), ion (andare), ptn (tenere),

2

~ Per "arca sernantica" intendia1no un co111plesso di singoli verbi o di sintag1ni i cui significati possono essere ricondotti ad un'unica categoria concettuale. 29 Seguendo la linea di tutta la tesi, anche questa indagine - con le relative conclusioni - ha una forte connotazione e111pirica: vuole cioè attenersi strettarnenlc al tesla, lasciando che sia il testo a parlare ed evitando, per quJnlo possibile, di sovrapporre una linea teologica a priori. Ad onor dc! vero dobbia1no ora an1n1cttcrc che la classificazione per aree se1nantichc risente forlen1ente dell'indole teologica che ditlusan1cnte gli esegcli riconoscono al Deutero-Isaia. Tutti gli esegeli concordano infalti nel ravvisare in questo profeta una inarcala accentuazione di aspetti quali la creazione e la redenzione. La presente tesi, come è ovvio, non ha la prclcsa cli costituire uno studio dcl tuuo originnle. Pertanto sia noto che il raggruppn1nenlo che proponiaino - anche se non ne vien data esplicila indicazione - è grosso n1odo quello indicato da tutri gli studiosi del Deulero-lsaia. 30 Si tratta dcl sin1agn1a 11erba/e di 40, 26: "Egli fa uscire l'esercito degli astri". Coine è chiaro, il rifcri1nenlo è alla potenza creatrice di JHWH. Non si può invece dire altretlanto per il sin1ag111a cli 43, 17, benché il verbo sia lo stesso N~f): in questo secondo caso il sù1!ag111a è slato inserito tra quelli riguardanti la redenzione. Il diverso significato è indicato con l'aggiunta dei nun1eri (J), (2).


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

197

""'' (salvare), 11J'.:> (Pi. insegnare), nnD (cancellare), om (Pi. consolare), )l1J (dare [l])"), mp (Hi. confermare); b) in negativo con riferimento agli altri: N'' (Hi. fare uscire [2]), )l1J (dare [2]), ••~ (sventare), J11'! (Hi. fare ritornare). Tirando le fila di quest'ultimo elenco, senza forzare troppo la mano al testo, possiamo affermare che il profeta si muove all'interno di un quadro concettuale ben delineato. Oltre ai "Verba dicendi" e "sentiendi", le due grosse categorie sono quelle dei verbi della "creazione" e della "redenzione".

2.4. Considerazione siste111atica llel lessico teologico All'interno delle quattro aree semantiche troviamo una serie di verbi di grande pregnanza teologica. Abbiamo provveduto pertanto ad una cernila:n, individuando così alcuni verbi che rneritano una particolare attenzione perché possa

ernergere con chiarezza la teologia del Deulero-Isaia. Considereremo, pertanto, i seguenti verbi: Verba dicendi: lDN (dire); Verba sentiendi: 1"" (Ni. essere fedele); NlJ (creare); VerM della creazione: '.:>Ni (redimere). Verbi tiella retlenzione:

2.4.1. Verba dicendi lJ:JN (dire) Questa radice, ali' interno dcli' AT è estremamente diffusa. In particolare 'mr "dire" ha 5282 ricorrenze nell'AT ed ivi è il verbo più frequente". Oltre ad essere molto frequente, anche

:ii Si lralla dei due sinlagn1i di 40, 29 e 43, 16. Invece il si11tag111a ùi 40, 23 è stato inserito tra quelli riguardanti la redenzione al negativo. ~ 2 I criteri che hanno dettato la scelta sono lrc: I. Anzitulto abbiaino voluto considerare verbi appartenenti a tutte e quattro le aree sc1nantichc cn1crse. 2. Abbian10 privilegialo i verbi che hnnno una rnaggiorc frequenza. 3. Infine abbian10 considerato attcntainentc i verbi pili significativi lcologican1ente e C]Uindi miche pili rapprcscnrativi dell'arca scn1antica a cui appartengono.


Dionisio Candido

198

«il can1po sc1nanlico cli 'amar è veran1ente notevole e la scala delle sue srun1alurc scn1antichc quanto n1ai ricca.[ ... ] Il verbo 'amar non indica il parlare carne fatto n1eccanico, tecnico, fonetico, bensì con1e espressione relazionale di un soggetto; non il parlare co1ne funzione degli organi

vocali e con1c fcno1ncno fisico, quindi, 1na sen1prc con1e contenuto, con1c significato pronunciato ed espresso. Il verbo 'lin1ar si colloca quindi se1nprc

in

un

rapporto

intersoggettivo.

[... ]

'limar

è

usato

appropriatan1ente in tutti gli an1biti della vita sociale (cultura, n1orale, diritto, religione), in tutti i can1pi interpersonali (degli ordinan1enti, del sentin1ento, dell'an11naestran1ento e dell'apprendin1ento, della sapienza e

della stoltezza, della cornunicazione e dell'isolainento), nei rapporti esistenti tra uon10 e natura, uon10 e rnondo, uorno e creazione e, non ultin1i, tra Dio e uon10 e tra uon10 e Dio»:i..i.

Dai testi si può notare come il parlare di JHWH avvenga sempre con suprema autorità. Solo lui può permettersi di rivolgere parole così efficaci. Ad Israele tribolato nell'esilio, per esempio, non teme di schiudere l'orizzonte della speranza, affern1ando perentorian1ente: «Non teniere, io ti vengo in aiuto» (41, 13}15 .

·1J

Cfr. H. H. SCHlvl!D, voce ìlJN '111r dire, in DTAT, !, 185. 3·1 s. WAGNl~R, voceìlJN 'amar, in Cl.AT, !, 709-7!0.

J 5 In riferi1nento all'uso teologico ciel verbo amar e in particolare considerando il "linguaggio della rivelazione", «il Deuteroisaia usa spesso la fonnula cli 1ras1nissione pri1na di riferire il n1essaggio in discorso diretto e nggiunge a questa fonnula ulterìori indicazioni sul n1ittente (queste informazioni supple111entari sono spesso costituite da participi, così che so1nig!iano all'esaltazione innica), che servono per n1etlere in risalto l'opera e la presenza di Dio nella storia (Js 42, 5-9; 43, l; 44, !-2). Anche l'indicazione del destinatario può essere arricchila con attribuli di quest'ultimo (ls 45, I). Nel Deuteroisaia troviarno i singoli ele1nenti della trastnissone del 1nessaggio alquanto varinti, tanto che, ad es., in ls 40, 1-2 non riconoscia1no quasi più la forn1ula di trasrnissionc» (ibid., 734). L'espressione tecnica "fonnula di lrasn1issione" è usata da Wagner ne! senso che è una fonnula che introduce il n1essaggio consegnato da Dio al profeta che ora lo proclaina.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

199

2.4.2. Verba sentiendi )JJN (Ni. essere fedele) È un verbo che dice molto della sensibilità di fede ebraica.

«Quando udiva un derivalo della radice

'11111,

un ebreo poteva ce1to

associare alla parola l'idea di stabilità: se si Lrattava cli un oggetto, la stabilità indicava durata; se di una persona, attendibilità. Ma i derivati possono assun1ere altri significali specifici. Così / ... ] la fonna nif>'" viene a significare 'avere stabilità', e il suo participio, quindi, 'avente stabilità, durata'; nel caso di persone indica 'chi

ha stabilità, altcnclibilità'»37.

Di fatto, l'utilizzo del participio nifal in chiave teologica, cioè riferito a JHWH, rischia di trarre in inganno. L' AT è ben lungi dal dare una definizione sulr "essere" di JHWH; tuttavia non rinuncia a mostrare lo "stile" con cui JHWH agisce nella storia, penetrandone persino i sentin1enti:u;. «'11111

ni. è stato a1npian1cntc usato in affennazioni teologiche. Jahwe è "il

Dio l'edele" (Deut 7, 9, cfr. ls 49, 7). Ci si aspetterebbe che l'espressione fosse adoperata più di fì·cqucnte; essa descrive certa1nente in n1odo 1nolto appropriato la natura di Jahwe. Mal' AT non tende ad enun1erare le qualità di Dio. Non è quindi un caso che per descrivere la rcdeltà cli Dio non venga usato l'agg. vero e proprio 'en1u11, 1na il part. 11a:"''n1G11, che signirica esatta111ente colui "che si di111ostra fedele".

f... ]

In Is 49, 7 "Jahwc, che è

fedele" rnediante il parallelo "il Santo d'Israele che ti ha scelto" viene sottratto alla falsa interpretazione che si tratti qui di una descrizione dell'essere divino. Israele non può parlare della fedeltà di Dio, n1a solo

dello fedeltà che si 111an1festa cli volla in volta nell'atteggian1ento verso i! suo popolo>>_.19 .

36

È il caso dc! nostro participio in 49,7. A. JEPSEN, voce lìJN'à111an, in GL!\T, r, 695. Js Si pensi a! secondo verbo della categoria elci \!erba sentiendi: Dnì (Pi. aver co1npassionc). Cfr., a tal proposito, H. J. STOEBE, voce onì rflm pi. avere 111isericordia, in DTA'f', !I, 685-692 . 9 .ì I I. WJLDERBERGER, voce lDN. '11111 stabile, sicuro, in DTAT, !, 161. J7


Dionisio Candido

200

2.4.3. Verbi della creazione (creare) Se si eccettua il caso particolare di 45, 7~ 0 , gli oggetti dell'agire di JHWH sono elementi naturali (la terra in 40, 28, le tenebre in 45, 7, i cieli in 45, 18) oppure direttamente Israele (43, I e 43, 15). Siamo, quindi, di fronte ad un verbo complesso: e la sua complessità risulta proprio dalla diversità di questi due ordini di complementi oggetto. Senza pretendere di offrire una visione esaustiva della dottrina biblica della creazione", che esula dal nostro lavoro, cerchiamo di focalizzare l'uso che il Deutero-Isaia fa del verbo wn. Così, lungo tutto I' AT, è possibile rilevarne alcune caratteristiche proprie: N"1J

« a) Dio è sc1nprc il soggetto dcl verbo; si tralta sen1pre del Dio d'Israele,

n1ai di una divinità straniera (cfr. Ez 28, 13.15). "La cosa più rilevante è

che si ha qui un tcnninc particolare per indicare soltanto l'attività creatrice

di Dio, distinguendola in tal n1odo da ogni analogo agire o fare dell'uorno" (J. Wellhausen) [ ... ].

b) Non si no1nina 1nai un elen1ento [... ] dal quale Dio "crea" (cfr. sopr. Gen I, 27).

e) Gli oggetti di br' sono di diverso tipo, spesso però contengono in sé qualcosa di particolare, straordinario, nuovo"' 2 :

I) cielo e/o terra: Is 42, 5: 45, 18: cfr. 40, 28: 2) uomo: Is 43, 7: 45, 12 (Dio "ha fatto" la terra, "ha crealo" l'uomo):

40 Dei sette verselli considerati in cui figura i! participio, questo è l'unico in cui l'oggetto dell'atto divino non è né un ele1nento naturale, né Israele. Opportunatnente, infatti, la Be n1odificn la traduzione del verbo eia creare in JJrovocare, più appropriata per il co1nple1nento oggetto (la sciagura). 41 A tal riguardo ci lin1itiarno a ri1nandare soltnnto, oltre che ai testi sull'argoinento citnti nella tesi all'occorrenza, a G. COLZANI, voce Creazione, in DTI, I, Marictti, Casale Monferrato (AL) 1977 2 , 601-6!4: 602; R. F!S!CHELLA, voce Creazione, in "Lexicon" !Jizionario Teologico HnciclojJedico, Picn11ne, Casale Monferrato (AL) 1993, 229-231. 12 ' Ci li1nitiaino, cli seguito, n rìportare le sole citazioni riguardanti il DcuteroI sai a.


I predicati participiali di Jhwh nel De utero-Isaia

201

3) il popolo d'Israele: Is 43, 1.15; 4) cose meravigliose, nuove e si1n.: ls 48, 6s; cfr. 41, 20; 45, 8»..i:i.

All'interno dell'uso teologico che l'intero AT fa del nostro verbo si inserisce, in modo originale, il Deutero-Isaia. Questi per un verso raccoglie quanto è tipico del sentire religioso d'Israele, per altro verso imprime alla "dottrina" sulla creazione un ti1nbro nuovo, inserendo la creazione in ambito storico. «Specialmente nel Deuteroisaia, br' ha per oggetto anche entità e processi storici. Dal punto di vista teologico questo an1plia1ncnto del raggio cli applicazione è di notevole importanza, dato che presuppone il concetto che l'azione di Jahvé nella storia possieda la qualità dc11 'attività incornparabilc del Dio creatore. Tuttavia, il Deuteroisaia non con1bina la sua teologia della crca;done con una teologia generale della storia, n1a con l'antica teologia dell'elezione. [ ... ] Attraverso il collegan1ento con la teologia dell'elezione, l'i1npiego di br' orientato verso la storia nel Deuteroisaia assu111e un carattere soteriologico. br' non denota più solo un'azione di Jahvé nel passato più re111oto, n1a anche nel futuro innnediatan1ente prossimo. Così la svolta dcl destino degli esuli è interpretala co1nc un nuovo alto di creazione di Jahvé: 'th 11br\v ivi' n1 'z, "ora sono create e 11011

da tempo" (48, 7)».w.

A ragione si può affermare che il verbo w10 viene rettamente inteso come verbo riguardante la creazione solo se lo si considera in relazione alla teologia della elezione che ha Israele come oggetto. Il Dentero-Isaia perciò non scinde i due piani (creazione ed elezione) anzi tende a fonderli facendo un uso originale del verbo wn che solo apparentemente ha un significato univoco 45 •

43 W. H. SCHM!D, voce NìJ br' 4.J-K.-l-l. BERNHARDT, voce NìJ

creare, in DTAT, I, 293-294. bc/rcì', in GLAT, I, 1576-1577. 45 Questa conclusione è supportata - co1ne abbiamo accennalo sopra - dalla diversità degli oggetti di questo verbo. Ciò di1nostra con1e l'analisi non possn lin1itarsi al verbo in sé, tna debba an1pliarsi ai si111ag111i.


202

Dionisio Candido

2.4.4. Verbi della redenzione '.no (redimere) Nell'uso che il Deutero-Isaia fa di questo verbo è insita anzitutto una forte connotazione salvifica. In tutti e dieci

i casi da noi registrati (41, 14; 43, 14; 44, 6; 44, 24'' 6 ; 47, 4; 48, 17; 49, 7; 49, 26; 54, 5; 54, 8) l'oggetto dell'azione di JHWH è Israele. Tultavia potre1nn10 parlare di Israele come destinatario prossi1no, n1a non ultimo, della redenzione di JHWH "· Il Deutero-Isaia, al contempo, mantiene insieme i due poli della redenzione e della creazione. L'agire di Dio, in altri tern1ini, non fa salti bruschi: l'Israele che egli ora redime dalla condizione di schiavitù in Babilonia, è lo stesso Israele che egli ha creato: anzi considerando questo rapporto tra JHWH e il suo popolo sotto l'ottica dell'elezione, potremn10 in un certo senso parlare di una creaz;one continuata, di una creazione escatologica ·18 •

.J(, In questo solo caso la Be n1oclifica la lraduzione ciel verbo da "reclin1crc" in "riscattare". 47 «La liberazione o riscalto, secondo i! Dtis, ha la din1ensìo11e pili ainpin possibile in quanto, oltre gli esuli in Babilonia (43, 5s; 49, l 2. I 8.22s), riguarda anche i popoli. Testi1noni della liberazione con cui Jahwe ricostituisce i! suo popolo, riconosceranno essi stessi Jalnve come colui che è (41, 4s; 45, 6; 49, 26; 52, JO) e si accorgeranno de!l'in1potenza dei !oro idoli (41,11; 42, 12; 45, 24). Che senso ha in lllllO questo il l'atto che iJ profeta prcferiscn g'f COn1e lennine tecnico per Ja redenzione J ... ]? Egli indien nel n1odo pili chiaro questa preferenza chia111ando Jah\ve gò 'e1 e attribuendogli così per pri1no Lale attributo [... ]. Egli assu1ne l'epiteto ìntroclollo dal pri1no Isaia t/dCS Ji.fra'e/ "il Santo d'Israele" e vi aggiunge pili volte il nuovo

epiteto gò'e1(41, 14; 43, 14; 48, !7; 49, 7). [ ... ] Il Otis, 1nentre con !a parola gò'e7 non solo paragona l'azione salvifica di Dio a quella di un liberatore terreno, n1<1 la pone addirittura su quello stesso piano, collega la fine della storia di Israele al suo ini?.io. Quest'ultiino consiste nella vocazione di Abrmno, dcl quale i Giudei esilinti sono e riinangono i discendenti (41, 8; 51, 2). Anche se i loro antenati cd essi stessi, fin dai prin1i te111pi, furono ripudiali e venduti per i loro peccati, ciò non costituisce una separazione dcfinitivn, dato che non vi è alcun libello di ripudio (50, I). Poiché tale separazione non sussiste, il profct;:1 può usare i! verbo g'I per testin1oniarc nppunlo che essa non sussiste. Infatti Jahwe in quanto gò é1 non acquista un bene estraneo, n1a se1np!icen1entc recupera ciò che dn se111pre - fin dai len1pi di Abraino - gli apparteneva. Jall\ve fr1 valere il suo anlico diritto su Israele; egli avanza una pretesa legittin1a perché ha crealo e scelto questo popolo e ne è il re» (J. J. STAMl'v1, voce '7N:I g '! rerh111ere, in [)T1\T, !, 339). ·!8 <<La création est dans In théologic dc I' Ancien Tcstmnent un coneepl eschato!ogique. L'eschatologie est un relour aux origines, n1ais avec quelque chose en


I predicati participiali di Jhwh n.el Deutera-lsaia

203

Il profeta pare saldamente ancorato alla logica secondo cui è solo nell'agire di cui JHWH si è reso fin ora protagonista che risiede il fondamento della speranza della futura salvezza'''. JHWH, il redentore, opera nella storia con assoluta libertà. La sua signoria si mostra con fedeltà in ogni tempo. Non c'è dubbio: egli oggi salverà Israele dalla schiavitù babilonese, come ieri ha salvato Israele dalla schiavitù dell'Egitto. Nessuno tema! Alle orecchie di un popolo che non è lontano dal perdere la fiducia nell'agire salvifico di JHWH, il messaggio di consolazione del Deutero-Isaia doveva suonare almeno inaspettato. Ma il profeta non teme la sfida della storia. Non si tira indietro nemmeno di fronte al dramma di un credo "sconfitto". La sua fede in JHWH, il signore della storia, il redentore e consolatore di Israele, resta salda. Sta qui il suo messaggio di salvezza.

3. L'AGIRE DI JHWH NELLA STORIA (orizzonte teologico)

3.1. La presenzialità dell'agire storico di JHWH L'uso del participio in relazione all'agire di JHWH pare orientato a mostrare la presenza .fedele e provvidente - idea che compendiamo nel termine presenzialità - dello stesso JHWH nella storia del popolo d'Israele. Il Deutero-Isaia non ha condotto una ritlessione sulla storia50 tout court, n1a ha voluto testi1noniare la storia di una co111pagnia: quella tra JHWH e il suo popolo.

plus qui était absenl dans la pren1ière créalion» (E . .lAC013, Théologie de /'J\11cien Testa1nent, Delachaux & Niestlé, Neuchatcl 1968, 115) . ..i 9 Per questo 1notivo da! Deutero-Isnia <da liberazione dalla callivilà babilonese viene interpretala corne un nuovo esodo e, di conseguenza, viene Jefinitn con g'I [ ... /. All'interno dcll'inlerpretazione generale del Deuleroisaia, gò'e1 è divenuto un epiteto fisso di Dio, che può essere i1npiegato senza alcuna relazione diretta con una specifica redenzione ricordata nel contesto» (H. RJNGGREN, voce :n·.:;i gc/'a/, in GLAT, I, 1813-18!4). 50 «L'Antico Testa1nento non possiede una parola per espriinere la nostra nozione di 'storia'. Ma se si vuole definire il concetto, che della storia aveva l'Antico Tcstrnnento, si sarebbe probabiln1ente obbligati ad esporre tutt'intera la teologia


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Sul solido terreno di questa compagnia, e solo su di esso, può sbocciare la vera speranza 51 • InfaLti, poiché il profeta «vuol risvegliare i ricordi ancor v1v1 del culto e della tradizione religiosa di Israele, li ri1nanda alle loro esperienze personali e a quelle del popolo in tutta la sua storia dci rapporti con Jahweh» 52 .

Il testo biblico mostra qui tutta la sua distanza da un impianto concettuale di tipo metafisico: «Non c'è chiave n1etafisica che aiuti a capire questa uscita di Dio dal lassoluto per discendere con alcuni aran1ci erranti, ed esistere in loro cornpagnia)> 5-1 .

La fede di Israele matura sempre a partire da questo tipo di esperienza'·'. La presenzialità dell'agire di JHWH diventa allora per il Deutero-Isaia il criterio di interpretazione della storia. 55 Ma nonostante dell'Antico Tcstmnento. Infatti i due volurni della Teologia de//'Antico Testa111e11to cli Gcrhard van Rad per lunghi traili contengono quasi solo teologia della storia. Ciò prova !'intensità, con cui !'Antico Testarncnto, in tutte le epoche e in tutte le sue n1anifeslazioni, si occupò della storia» (N. LOHFINK, Attualità de/l'Antico Testao1ento, tn1d. il., Qucriniana, Brescia 1985 2, 177). 51 «1 suoi (del Dcutero-Jsaia) testi e i! suo ininistero nascono dalla speranza. Una speranza che affonda le radici nella storia del rapporto ciel suo popolo con i I Signore. Un rapporto concreto, fatto di n1on1enti di gioia e di dolore che progredisce conlinuainente verso un avvenire 1nigliore e un'intlinità pili profonda» (J. ASURMENDJ, Il Profetis1110, trac!. it., Paoline, Cinisello Ba!san10 (Ml) 1987, 73). 52 R. RENDTORFF, I protagonisti dell'Antico Testa111e11!0, traci. il., Claudiana,

Torino 1984, 97. 51 · P. DE BENEDETII, Ciò che tarda avverrà, Qiqajon, Magnano (Ve) 1992, 55. 54 «L'auto1nanifestazione di Jahvé nella storia di Israele e del inondo è per Israele il punto di partenza di ogni fede e di ogni teologia [... J. Una Teologia de! Vecchio Testan1ento che si ofienli allo stesso pensiero velerotesta1ncntario dovrà sctnpre con1inciare dalla intelligenza israelitica della storia e dai suoi 111utnn1cnti storici» (R. RENDTORFF, La concezione della rivelazione 11e/l'A11tico Israele, cit., 8990). 55 «Il Dcutcroisain apporLn ulteriori chiari1nenti alla con1prensione ciel te1nro. Egli vede passato e futuro in un nuovo rapporto fra loro (ls 46, 10): Che a1111u11cia fin dal principio ciò che av11errà alla fine ('aharfl) e a11zite111po (111iqqede111) quello e/le 11011 è ancora avvenuto. "Ciò che avverrà alla fine", i! seguito, finora in1pcnetrabi!c e sconosciuto per l'uo1no, en1erge ora in piena luce a!lraverso !a pro1nessa del pfofcta.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-!saia

205

il suo essere presente, JJresenziale, JHWH non resta schiacciato nella

storia56 , ma la lrascende 57 • Sia l'uso in sé del participio in relazione a IBWH, sia l'indole dei verbi che abbiamo in precedenza considerato di1nostrano che presenzialità non vuol dire assi1nilazione 58 . Con particolare riferimento alla specificità della rivelazione di JHWH nel Deutero-Isaia, R. Rendtorff scrive:

Soltanto ora per la pri1na volta può essere coniato nella lingua ebraica i! concetto cli "futuro": habba'òt, ciò che viene, ciò che sopraggiunge (in questa tOnna presente solo in ls 41 22; cfr. però anche 44, 7b)» (H. W. WOLFF, A11tropo!ogia dell'Antico Tesf(/IJJento, tn1d. it., Qucriniana, Brescia 1993\ l ! 8). 56 È noto il dibattito sulla rivelazione ùi Dio nel]' Antico Tcsta1ncnto Lra W.

Zi1111nerli e R. Rendtorrf (cfr. G. RUGG!ERJ, voce Ril'elazione, in DTt, !!!, 148-l 66: 154~ 155). Rencltorff (cfr. il suo contributo su Ln concezione della rivelazione 11el/'A11tico Tesra111enro, cii.) affianca parola ed eventi cli salvezza con il rischio cli appiattire la parola di Dio alla storia (cfr. anche quanto aflCnna circa l'intera "Pannenbcrg-Schulc", H.-J. Kr<AUS, op. cir., 773). Zin1n1erli, criticando Rendtorff (cfr. A. M!NlSSALE, Nota di edizione, in W. ZrMtvlERLI, RiFelazione di Dio, trad. it., Jaca Book, Milano 1963, 10-11), insiste sulla specificità della rivelazione ciel!' Antico Testan1e1110 e quindi sulla rilevanza della parola cli Jahvé che passa attraverso i suoi profeti. Ri1nprovera altresì a van Rad uno studio troppo sogge!Livistico del!' Antico Testatnento perché 111antiene al centro dell'allenzione la coscienza religiosa di Israele e non piultosto l'azione costante ciel Dio fedele nella storia del suo popolo. 57 Può essere a questo punto utile rìprenclere le straordinarie parole cli Karl Barth: «La fedeltà cli Dio è in questo, che egli ci viene incontro e ci segue in modo così inevitabile col suo "No" cotne il totaln1ente Altro, come il Santo. E la fede dcll'uon10 è il ti1nore reverenziale cli chi acconsente a questo "No'', !a volontà del vuoto, l'appassionato pennanere nella negazione. Dove la fedeltà cli Dio incontra la l'ede dcll'uorno, ivi si rivela la sua giustizia. Ivi i! giusto vivrà» (l'epistola ai Ro111a11i, trad. il., Fchrinclli, Milano 1989', 17). 58 In tal senso, è indicativo quanto affenna Bcaucmnp prendendo in considerazione Es 3, 14: «Jhwh, invece, vuol restare per Israele un Padrone al quale non si può forzare la n1ano. Bisogna però rilevare che una tale risposta non è in ;1ccorclo con la continuazione dcl testo; "Così dirai ai figli di lsrne!e; Io-sono rni ha 111;:1ndato a voi". Quella breve frase, d'altra parte, ron1pe visibilmente l'unità letteraria del brano; perciò alcuni esegeti la considerano con1c una glossa. Noi ci dichiarian10 della loro stessa opinione. Il norne divino Jhwh significa; "Egli è" nel senso di "Egli è 18, è lui!", afferrnazionc di una presenza attiva di Dio in 111ezzo agli avveniinenti, 1na quella glossa (Es 3, 14a), se glossa è, non deve tuttavia essere trascurata; al senso priinario "Egli è", essa aggiunge una srun1atura in1portantc e perfctta111cntc confonne al co1nplcsso della tradizione biblica: Jhwh è chi è; è l'aspetto inconoscibile, "apofalico", della sua azione nella storia>) (E. BEAUCA1vlf', I prr~feti d'Israele, lrad. il., Paoline, Cinisello Balsamo (Ml) 1988, 8, nota n. l).


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«Il no1ne i11n) piutLosto csprin1e la rivenclicazionc dcl potere e tullo ciò che viene sviluppato altre volte nella polen1ica contro gli allri clèi. Così anche in altri passi si dice: "Non sono forse io, Jahvé? Non c'è Dio fuori di n1e" (45, 21), oppure "Io, io sono Jahvé, fuori di 111e non esiste un salvatore" (43, 11)» 59 •

In un contesto di profonda solidarietà con il suo popolo, JHWH

è sì nel te111po, ina co1ne il Signore del ten1JJO 60 . La fede d'Israele nel suo JHWH, Signore della storia ed in essa profondan1ente presente, non diventa un alibi per tirarsi indietro cli fronte alle sfide cui è chia1nalo ogni uon10. Anzi, a ragione, potren11no

parlare qui di fede "terrena'', "1nondana". «La "n1ondanità" dell'Antico Tcstan1cnlo non nasce 1nai da una visione ciel n1ondo considerato aulonon1a1nente da Dio. Israele considera il n1ondo e tutto quello che in esso si trova corne costanten1enlc "dato" da Dio e con1e "apcrlo" a Colui che ne resta il Signore» 61 .

59 R. RENDTOl~FF, O/J. cii., 80. «L'<1ttcnzione al n1oclo con cui il Deutcroisaia concepisce il rapporto tra passato, presente e futuro potrebbe condurre ad un ripensa1ncnto dcl concetto di tradizione corrente nella chiesa oggi. Esso non esclude, 1na piuttosto postuln che ln fede si basi solt<Jnto sulla parolu» (C. WESTERMANN, op. cii., 225). <il A. fVl!NISSALI~, 110/a di edizione, in W. ZHvHv!ERLI, La 111011d<111itù del!'A11fico Tes!a111e11!0, Jaca Book, Milano !973, 5-6. Ponendo in relazione la rcde "n1ondana" dcl!'ATcon quella dcl NT, Zi1111nerli scriveva 1nirabiln1cntc: «Nel Nuovo Testainenlo, che costituisce la seconda parte della Bibbia cristiana, trovian10 dei severi a1n1noni1nenti nei conrronti ciel 1nonclo: "Non mnate né il n1ondo, né le cose del n1onclo! Se uno a1na il inondo, !'an1ore dcl Padre non è in !ui" (I Gv 2, 15). l ... ] L1 conscgucn7.a che si deve tirare da queste frasi scinbra rno!to ovvia: la fede cristiana che vuole essere vera1nente fede in Cristo non può essere in nessun caso "1nondana". Ma che cosa significa poi non-mondano? Il concetlo opposto ordinariamente a rnondano è CJUel!o cli "spirituale". Di conseguenza la recle cristiann deve essere spirituale, distolta dal n1ondo, rivolta invece al inondo delle cose spiritu<lli e celesti. Così è accaduto pili volte che si i1nponcssc questa interpretazione. Non è necessario rare lunghe ricerche, per i1nbatterci, nella storia della Chiesa cristiann, n1a anche nelle 1nanifestazioni della pietà cristiana pili recente in una certa qual diffidenza contro tutlo quello che è 1nondano, contro l'i1n1nergcrsi nelle cose della vita n1011dana: proprietà, politica, ran1iglia, gioia della vita. Ed anche quando non si è giunti ad un deciso rifiulo ascetico delle cose de! rnondo, ciò ha provocato una lalente insicurezza dcll'uon10-cristiano, cd un attcg:giaincnto, spesso riconosciuto 1nn altre volte forse dcl tutto ignaro, di fuga dal n1ondo passeggero e sen1pre così poco spirituale. 60


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

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È possibile ravvisare qui per un verso uno dei lemi più appassionanti della Scrittura e, per altro verso, i contorni di una fede ancora attualissi1na, anche e soprattutto per i cristiani chia1nati a vivere nel!' "economia del Nuovo Testamento". «Proprio qui si rivela il difcllo di u1nanità dei cristiani. Non si capisce perché il fatto di essere uon1ini abbia bisogno di giustificazioni. Scrnbra che l'assunzione della condizione u1nana, nei cristiani, debba esser lecita solo a patto che si trovi un n1otivo valido per farlo. Si din1cntica se1npliccn1cnlc che si è nati prin1a di rinascere nella !Cde. L'a1norc alla "rnaclrc terra", l'adesione al suolo che ci ha generato, il n1istero cli un1anità partecipe e solidale che la penna di Dostje\vskij ha scolpito nella nostra 111en1oria, non devono essere "scelti" dal cristiano. Sono, se è uon10, la sua carne, il suo respiro, la sua legge. E questa legge è pedagogia divina. Guai a chi crede cli poterla saltare! [ ... ]. La terrenità diventa luogo della

kenosi di Dio. Essa è quindi rnantenuta, 1na deve sopportare, dentro il sen1biante 111alconcio ùell'un1anità concreta una presenza che la eccede

r.

J.

Il rifiuto clcll'Anlico Testan1cnto copre cioè i! rifiuto della terrenità, la riduzione cli questa a rnon1ento negativo o solo previo alla salvezza. Dall'altra parte il rifiuto ciel Nuovo Tcstainento copre il rifiuto della

sequela, clel!a consegna di se stessi e della propria lcrrenitù alla persona di Gesl! cli Nnzareth»r' 2 . Però nella Bibbia della cristianità, ne!!a sua pri1nn parte, che peraltro costituisce i tre quarti di questo libro, ne!I' Antico Testainento si trov;_1 un con1plcsso cli scritti che si oppone in 1nanicn1 n1olto chiara a questo spiritualis1no distolto dnl 111ondo, e che in1pressionn per il suo 1nassiccio interesse per le cose e per le opernzioni dc! inondo, per le sue gioie e le sue sofferenze. Tullo ciò può giustificare l'idea di esan1inarc una volta, sisle1natican1cnlc il fenoineno della 111onclanità dcli' Antico Testmnento e di indagare suJ!n sua speciale struttura, per poi non sfuggire, alla fine, nlla clon1ancla su che tipo cli clirillo abbia questo "libro 1nondano" <1 Sl(Jre nelle Scritture canoniche clel!n Chiesa cristiana che nnnunzia il Vnngelo» (ihid., ! 1-12). 62 G. RuGG!ERI, Chfr1111(1fi (l//a l'erità, Jaca Book, Mi!nno 1975, 18; 16; 10. Poco prin1a, lo stesso Ruggicri, citando un celebre brano di Bonhoe!Ter scrive: «Soltanto quando si apprende l'in1pronunciabilità dcl noine cli Dio si può pronuncinre il norne cli Gcsl1 Cristo. Soltanto quando si aina n tal punto la vita e la terra da pensare che con la loro rinc lutto è perduto, si ruò credere alla risurrezione dci inorti e n un inondo nuovo; soltanto quando si accetta la validità della legge cli Dio sopra se stessi si può porli:ire anche di grazia e sollnnto quando l'ira e la venclella divina vengono


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3.2. L'unità Ira redenzione e creazione La presenzialità di JHWH nella storia è dimostrata anche dalla unità del suo agire tra redenzione e creazione. «Yahwch ha creato e redento Israele (43, 1. l4ss) e le 'cose nuove' che egli annuncia sono 'create ora, non molto lcn1po fa' (48, 6ss). [... ] Il Dio Creatore è Salvatore e il Salvatore è Creatore. La salvezza è un'opera di (nuova) creazione [ .. ] e la creazione era il prirno atto nel dran1n1a della stori<:n/iJ.

Nell'urgenza dell'annuncio della salvezza, il Deutero-Isaia con1pie una n1irabile operazione teologica: rilegge in un'ottica nuova l'evento dell'esodo. Si schiude perciò adesso una prospettiva inattesa: il nuovo esodo. «Per il Deutcroisaia l'avvenin1cnlo più irnportantc nella storia d'Israele è l'esodo dall'Egitto. L'accentuazione così energica di questo evento unico è dctern1inata dalla situazione analoga in cui egli si trova; esso però è in sintonia anche con il credo storico (von Rad), del quale questo evento costituisce il centro. Il Deutcroisaia annuncia la liberazione dall'esilio babilonese co1ne nuovo esodo» 6..i.

Con G. von Rad possiamo quindi affermare che «nel Deuteroisaia non s1 parla della creazione per se stessa» 65 • La redenzione d'Israele, così con1e viene rappresentata dal Deutero-Isaia, appare come una "ri-creazione". Del resto l'idea stessa della creazione, così con1e viene intesa dalla Bibbia, si pone in un orizzonte

considerale con1e rcallù cffellive incon1benli sui suoi nen1ici, qualcosa del perdono e dcll'an1orc può toccare i! nostro cuore. Chi vuol vivere e percepire troppo presto dircltrnncntc alla 1na11icra neotestmnentaria, non è un cristiano» (ibid., 9). (i_ì «Yahweh creatc<l and has redccn1ed Israel (xliii. I, l4f.), ilnd Lhe 'ne\.V Lhings' he ilnnounccs are 'created 110\V, not long ago' (xlviii. 6f.). l ... J Tlle Creator Gocl is Saviour and the Saviour is Crcator. Salvation is a 1.vork of (new) creation [ ... ] ancl creation was the first act in thc drarna of history» (C. R. NORTH, op. cit., 13-14). 6.J C. WESTERfvlANN, op. cit., 33. 65 G. VON RAD, Genesi. La storia de!fe origini, Lrad. it., Pai<lcia, Brescia 1993 3 , 49.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

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di fede: «Il concetto di creaz10ne non è ovvio né è immediatamente concettuali zzabi le» 66 • Il dato primario di fede è quello del! 'esperienza del!' agire salvifico di JHWH: alla luce di questo rapporto ogni realtà viene riletta. Israele, perciò, è quasi invitato a celebrare una nuova pasqua 67 , forse più intensa di quella che fa memoria della liberazione dalla schiavitù egiziana. Egli è in grado di far questo: salverà il suo popolo perché anche nel passato si è mostrato come salvatore, lui il creatore di tutte le cose.

3.3. La parola efficace di JHWH: promette e fa la storia L'intero Antico Testamento, con il Deutero-Isaia m testa, non teme di sottolineare - talora dran1matican1ente la pochezza dell'uomo, in particolare quando si ripiega su se stesso. «La voce del prologo, 1nisteriosa nella sua origine, pone subito una distanza tra la Parola di Dio che sussiste per sempre e l'umano votato al deperimento (40, 6-8). Gli esuli non decideranno il loro ritorno se non puntando su questa parola che, malgrado le apparenze a volte contrarie, è la sola realtà che "tiene"» 68 • Il Deutero-Isaia mostra qui tutta la sua stoffa di profeta: il fondamento della sua fede è la parola di JHWH. «Il Deuteroisaia sfrutta in 111aniera grandiosa la predicazione dci profeti di giudizio preesilici, secondo i quali Jahvé si sarebbe ditnostrato Dio proprio perché il giudizio annunziato contro il suo popolo si sarebbe risolto nella distruzione politica cli questo. H.agiona1ncnto inaudito e incomprensibile per il pensiero antico: un Dio che si clin1ostra tale

(i(, «The conccpt of creation is not obvious, nor does it con1e n<1turally Lo 1nindkinch> (C. R. NORTH, op. cir., 14). 67 <dl Secondo Jsaia fa frequenti allusioni a un nuovo esodo, pili volle contraslalo, così con1e per !'uscila dall'Egitto [ ... ]. Ne! suo insie1nc, la lettura dcl Libro (ls 40-55) si inscrive felice1nentc nel quadro della celebrazione pasquale» (R. MARTIN-ACHARD, !/!)io fede/e, traci. it., EDB, Bologna !994, 20-21). (, 8 J. AUNEAU, op. cit., 281.


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nell'annicntan1ento dcl suo popolo! Ma[ ... ] con la realizzazione della sua parola di giudizio si è di1nostrato come tale; per questo ora ci si può fidare della sua parola di salvezza. È questa continuità cli parola e di azione che cspri1ne il do1ninio sulla storia e quindi la vera natura di Dio» 69 .

Questa idea ci induce per un verso a riconoscere la 1nirabilc riflessione teologica che il Deutero-Isaia ha sviluppato sulla parola di JHWH, per altro verso a riconoscere il primato dell'agire di JHWH che trasforma la storia in Storia-della-Salvezza. «Questa parola di Jahvé costituisce il presupposto e il contenuto dei inessaggi dei profeti, anzi è il fondainento della loro stessa esistenza, eppure solo raramente essi l'hanno fatta oggetto di una riflessione

teologica. Il rapporto dei profeti con la parola era talinente personale e diretto, ossia così esclusiva1nente fissato sui 111on1enti e sui contenuti particolari, che quasi inai essi poterono rappresentarsi oggettivan1entc questa parola di Jahvé co1ne un fenorneno di natura singolarissin1a. Nel Deuteroisaia e prima ancora in Gere1nia si può ravvisare una robusta rinessione teologica,

una

'teologia della parola'

tesa

verso

una

chiarificazione di fondo dcl fenorneno della parola di Jahvé per giungere addirittura ad una visione di insie1ne dello stesso feno1neno profetico. Taluni enunciati (p. es. Is 55, lOs) rappresentano quindi in buona parte anche il risultato di una riflessione della profezia su se stessa» 711 .

3.4. L'agire lii JHWH: tra n1en1oria e SJJeranza «Ciò che viene detto su Dio nell'Antico Testa111cnto è una vicenda o una storia che si sviluppa tra Dio e l'uo1no. [... ] Ma che cos'è che tiene insie1nc tutto ciò che accade tra Dio e l'u1nanità? Che cos'è che fa sì che una vicenda storica concreta diventi una storia con un inizio e una fine? È l'unicità di Dio. Israele confessa Jahvé, nostro Dio, Jahvé è uno. [... ]

(i'! C. WESTERMANN, op. cit., 26. 70 G.VONRAD,op. cii., 104, Ili, 119.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

21 1

Con1e dice Dio stesso nel Deutero-lsaia: "Io sono il pri1no e l'ultin10 (ls 44, 6)» 71 •

In altri termini potremmo dire che il presupposto di una visione veramente biblica dell'uomo è lo studio dell'agire di Dio e del rapporto con il suo popolo. Per assolvere al compito urgente di annunciare al popolo lo stile dell'agire di JHWH, il Deutero-Jsaia si cala profondamente nella vicenda storica che Israele sla vivendo. «Per con1prcndcre il

Dcutcroisaia è irnportantc sottolineare la sua

solidarietà con il popolo. Ciò significa che non è stata la sua più profonda conoscenza della situazione, la sua fiduciosa costanza ncll 'attcndere una svolta o la forza della fede a fare di lui un profeta. l suoi sentin1cnti erano quelli dei suoi fratelli d'esilio dei quali condivideva la stanchezza e lo sccllicisn10. Fu una parola dall'esterno, un coniando, che fece di lui un

profeta, carne era accaduto ai profeti prin1a di lui. Tutto quello che ha cb dire dipende da questa parola cd è fondato su cli essa. E "la parola dcl nostro Dio", ccl essa sola, è destinata a non cadere nel vuoto (Is 55, 6-1 I). Poiché questa parola viene ancora pronunciala, per questo il Dcuteroisaia può predicare» 71 .

E la sua è una profezia che ha tutti i connotati della profezia classica, una profezia conservatrice1\ ben radicata nell'alveo della migliore tradizione di fede d'Israele"-

71

c.

72

lbid., 16.

7

WESTERMANN,

op. cit., 19-20.

·' «Essi (i profeti) sono, nel vero senso de!ln parola, conservatori. Oggi questa constata?:ione può non entusiasn1arci tanto, perché sian10 più attratti dai rivoluzionari. tvla forse, proprio nei profeti, si può in1parare che cosa signi l'ichi veran1ente essere rivoluzionari. Fu proprio dall'accellazione e dal lega1ne con l'antico ordine prcstahilito che i profeti seppero giungere alla loro 11lli1na e gnindiosa statura di uon1ini, elle introdussero qualcosa di total111ente nuovo. Proprio così essi divennero i portavoce dcl niessaggio, dal quale dipendeva il futuro» (N. LOHFINK, I pr<~feti ieri e oggi, traci. it., Queriniana, Brescia 1990\ 34-35). 7.t «In questa corrispondenza fra rnessaggio dci profeti e storia ciel rnondo, si lrova la chiave per una retta cornprensione dei profeti stessi. Questi infatli percepivano e annunciavano un intervento di Dio nella storia che si collocava sullo


212

Dionisio Candido

Alla luce di quanto appena detto, è possibile fugare il campo dall'atavico luogo comune secondo il quale ì profeti sarebbero semplicemente dei premonitori del futuro". In sintesi, possiamo ora parlare di circolarità di 111e111.oria e speranza quale punto nodale del pensiero teologico del Deutero-Isaia. A reggere questi due poli - apparentemente non relazìonabili tra loro sta proprio la presenzialità del!' agire di JHWH: "ha sempre fatto (memoria), ancora farà (speranza)''. Siamo di fronte ad un tema dì insospettata rilevanza per ogni uomo che sì nutra della fede biblica, soprattutto per ogni cristiano. «Mc1noria e speranza non sono in pri1110 luogo il riflesso di due din1cnsioni del ternpo, dcl priina e del dopo. Esse sono due atlcggian1enti dello spirito umano proteso a realizzare l'unità della propria esperienza. L'uon10 è cioè soggetto ad una duplice tentazione. La pritna consiste nella possibilità di perdersi dentro J'oggellivazione dell'azione concreta, di estraniarsi in una rncdiazione di cui si perde appunto la coscienza della

1ncdiatczza. Egli è quindi chian1ato a ritrovarsi, a riguadagnarsi. La n1e1noria è questa tensione di aulorilrova1nento, di \Viederge1vinnu11g. Con1e tale essa non si oppone soltanto all'oblio del passalo, 1na anche e soprattutto all'estraniazione, all'alienazione del soggetto dentro la rete dci rapporti con la natura e con il proprio sin1ilc. La seconda tentazione dell'uomo è quella dell'aulorispccchia111ento, della incapacità ad uscire eh sé, della 111ancanza di fantasia. È proprio i! senso della inadeguatezza di

stesso piano degli antichi fritti onnai canonizzati dalla tradizione; Jnzi nei profeti n1aturò vieppiù la convinzione che questo nuovo intervento di Dio nella stori<i avrebbe superato l'antico e quindi l'avrebbe un giorno pili o n1e110 sostituito. Il senso e il nocciolo della predicazione profetica è appunto che Jahvé sla prepar<indo un'ora affatto nuova per il suo popolo» (G. VON RAD, op. cii, 139-140). 75 «Profezia non è predizione. Come i profeti di giudizio a! loro te1npo avevano avuto il con1pito di pronunciare la parola annunciatrice del giudizio divino in unn detenni nata situazione, nella quale essa era la parola ùi Dio, così il Deuteroisaia, al suo tcn1po, aveva il co111pito di proc!ainare la parola di Dio valida allora per una diversa situazione. L'ora in cui i profeti parlano appartiene inscindibi!tnentc alln loro parola profetica. La parola di Dio al suo popolo non è sen1pre la stessa, anche se i I Dio di cui i profeti annunciano la parola resla se1npre lo stesso. Per cui la parola di Dio non potrà n1ai assu111ere il carauerc di uniJ dottrina che, essendo indipcndenle dalla situazione, resla scn1pre In stessa. Essa resta parola viva, che in un ten1po nuovo dice nuove cose» (C. WESTERMANN, op. cit., 19).


l predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

21 3

un'esistenza così concepita che si esprime nella speranza. Essa apre il 1no1nento atlualn1cntc vissuto da1l'uon10 alle possibilità che la paura, il terrore dcl nuovo, dcl rischio, tendono ad eliminare. Essa apre alla

possibilità che 1ni può essere data dall'altro, n1a anche dal fatto, dalla storia. Con1c tale essa non è soltanto o principahnente tensione ad un futuro, rna presenza attenta alle dimensioni ciel presente, alla loro li1nitatezza e alla loro profondità.

È ingenuo quindi voler identificare l'atteggiainento della speranza e quello dcl progresso. Passalo e futuro possono essere i1nn1e1nori e disperati. Il passato non ha 1ne1noria se è un n1odo ulteriore di perdersi ed il futuro non

ha speranza se è uno scorrere atrofico dell'energia di potenza chiusa e disattenta all'altro» 76 .

3.5. La fede paradossale del Deutero-lsaia nell'agire di JHWH Se pensiamo al contesto storico in cui sorge l'annuncio di salvezza del Deutero-Isaia, !'"evangelista dell' AT" 77 , la sua fede c1 s1 mostra in tutta la sua paradossalità. In questo caso 78 , per fede parallossale intendian10 il rapporto con Dio da cui scaturisce una interpretazione inattesa della storia che sovente ribalta la logica umana.

76 77

G.

RUGGIERI,

op. cii.' 42-43.

«[ ... ] Al Deuteroisaia si è voluto già dare il non1e dell'evangelista dcli' Antico Tcstainento. Proprio dal fondo dove il fallin1ento cli Israele è divenuto visibile per tutto il 1nonclo, egli annunzia, pieno di giubilo, la salvezza i111n1inente e la riconduzione in patria. Egli fa ciò, ricorrendo ai colori accesi di qualcosa che ha i caratteri dell'evento ulti1no e definitivo, in una escatologia di un genere tutto proprio, nella quale si vede tutto il inondo in n1ovi1ncnto. Al centro dcl suo annunzio si trova, però, la grande novità: voi potete far ritorno nella vostra terra. Dio dice, ai fal!iti, di nuovo il suo "sì"» (W. ZIMMERLI, op. cii., 149). 78 Ordinariaincntc per paradosso si intende una «proposizione fonnulata in apparente contraddizione con l'esperienza con1une o con i principi elen1entari della logica 1na che, sottoposta a rigoroso esame critico, si dimostra valida>> oppure anche una «affennazione che, indipendentemente dalla sua verità o falsità intrinseca, è presentata in tonna tale da sorprendere il lettore o l'uditore» (G. DEvo·1u - G. C. Ou, voce Paradosso, in !Jizionario della lingua italiana, Le Monnicr, Firenze 1982 1 ~,

t 6 t 6).


Dionisio Candido

214

La situazione del popolo di Israele deportato a Babilonia non era certo tale da favorire una relazione pacifica con JHWI-I né una visione fiduciosa dell avvenire. 1

«Ii dolore degli esiliati a Babilonia, inoltre, orn1ai sfocia in protesta, contestazione, delusione. "La mia sorte è nascosta al Signore e il n1io diritto è trascurato dal mio Dio" (Ts 40, 27). "Il Signore n1i abbandonato, il Signore n1i ha din1enticato" (Is 49,

ha

14). Nasce la

tentazione di affidarsi all'idolo:" lo venera, lo adora e lo prega: 'Salva1ni,

perché sei il mio Dio!' "(Is 44, 17). Si configura l'accusa cli tradin1cnto contro JHW!-1: si parla di clocun1cnto di ripudio, di vendila ai creditori (Is 50, I). L'esilio appare una negazione delle azioni salvifiche ciel passato, una ricaduta nella schiavitù dopo la liberazione. Bisogna giustificare la discontinuità tra l'azione divina che pri1na libera e poi pcrn1cttc la rovina. Il richiamo al peccato dell'uomo salva la giustizia di Dio, n1a non toglie da una situazione tragica. La se1nplice proclatnazione della liberazione non avrebbe provocato negli esuli né entusiasn10 né contestazione: li avrebbe lasciati indifferenti. Era necessario rifonnulare con sensibilità nuova gli argo1nenti del passato, aggiungerne dei nuovi e scoprire nelle vicende politiche in n1ovin1ento il piano salvifico di Dio» 79 •

Il Deutero-Isaia percepisce con grande sensibilità e intelligenza che la relazione tra JHWH e Israele rischia di incrinarsi. L'esilio a livello collettivo ed anche personale può assumere i connotati di un terribile scacco della fede. Ma il Deutero-Isaia - sta qui la paradossalità della sua fede - benché si trovi lui stesso nella condizione delresiliatom>, legge anche questo scacco attraverso il diaframma della presenzialità dell'agire di JHWH nella storia. Israele resta sempre e comunque il popolo eletto. Israele, è vero, si trova nella

79 80

B.

MARCONCJNI,

op. cii., 9.

«La speranza di un nuovo esodo dalla casa di schiuvitù, di una nuova guida atlravcrso i! deserto e delln riconduzione nella terra di Canaan esplode con in1pcto non tra quelli che sono ri1nasti nel paese, n1a tra quelli che sono esiliati nelle loro provvisorie rcsidcn7-c coatte non lontano eia Babilonia, nella parola dei due grandi profeti dell'esilio» (si Lralla di E7-cchiclc e dcl Dcutcro-lsaia) (W. ZllvlMERLI, op. cit.,

176).


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

2 I5

tribolazione ma il suo Dio non è lontano: verrà oggl 81 • l'esilio sveste così 1 suoi abiti di scacco della fede, per mostrare il suo volto di salvezza. «Il Magghid di Mesritsch diceva: "Ora, nell'esilio, lo spirito santo scende più facilmente che nel tempo in cui era in piedi il Santuario.

Un re fu cacciato dal suo regno e dovette andare ra1ningo. Se arrivava allora in una povera casa dove veniva cibato 111alan1cntc e n1alarnente

alloggiato,

111a

accolto da re, il suo cuore era lieto, e parlava con la gente

di casa così familiarrnente come una volta alla corte soltanto con i suoi

più ìnti1ni. Così ra anche Dio da quando è in esilio»H 2 •

È JHWH, il Dio anche dell'esilio, che dà senso a tutta la storia con la presenzialità del suo agire. E la fede altro non è che una risposta coraggiosa a questa presenziahtà. «La specificità del credente sta nella fiducia certa (così traduciatno la parola ebraica e1111t11à) che l'Egitto è alle spalle e la Terra pro1nessa c'è, cd è avanti: ciò non vuol dire che la storia abbia un senso, probabil111cntc non ce l'ha. Ma - è qui il paradosso della fede - le verrà dalo» 83 .

xi «Un giorno Rahbi Joshua ben Levi interrogò il profeta Elia: "Qunndo verrù il Messia?". Elia rispose: "Va' a chiederglielo". Rabbi Joshua disse: "Ma dov'è?". Elia rispose: "Alla porta di Rotna". "E con1e lo riconoscerò?". "Siede fra i lebbrosi n1endicanLi. Ma 1nentrc questi si tolgono e si ri1neltono le bende tulle in urrn volta, il Messia si toglie le bende a una a una e se le ritnette una alla volta. Egli pensa che Dio lo può chian1are in ogni 111on1ento a portare la redenzione e si tiene se1nprc pronto". Rabbi Joshua andò da lui e lo salutò: "Pace a te, n1acstro!". "Pace a te, figlio di Levi!". "Quando verrai, nlaestro?". "Oggi". Pili tardi Rabbi Joshua ben Levi si la1nentò con Elia: "Il Messia mi ha 1nentilo. Ha eletto che sarebbe venuto oggi, e non è venuto". Ma Elia disse: "Non l'hai capito bene. Egli ti ha citato il Saln10 95, 7: 'Oggi, se ascolterete la Sua voce!'")) (J. J. PETUCHO\VSKI [a cura di], I nostri padri i11seg11ava110 ... , traci. it., Morcelliana, Brescia !986 2, 119). 82 M. 13UBER, I racconti dei Chassidù11, trad. it., Garzanti, I\1ilano 1979, 146. XJp, DE BENEDETTI, op. cit., 97.


Dionisio Candido

216

... e per concludere, una preghiera.

Abbiamo definito questo profeta dell'esilio, della cui vita sappiamo poco o nulla, come il profeta-del-paradosso, come JHWH stesso è un Dio-del-paradosso: per questo, in un contesto di profonda umiliazione e sfiducia, il Deutero-Isaia ha il meraviglioso coraggio di proclamare il messaggio di speranza forse più sublime dell'intero Antico Testamento. La sua profezia è illogica, apparentemente incoerente con gli eventi dello spazio e del tempo in cui essa sorge: eppure è così addentro alla storia e alle vicende degli uomini da intravederne la Logica proprio in colui che è Altro dalla storia e dagli uomini. Come JHWH lungo la storia è stato, è e sarà l'amante inguaribile d'Israele, così il profeta dichiara di essere "affetto" da un inguaribile amore per JHWH e per il suo popolo. E allora esplode in una straordinaria creatività letteraria: "le inventa tutteH perché JHWH sia

riconosciuto co1ne l'Unico. In questo senso, viene alla luce una relazione intima tra la

.1piritualità del Deutero-Isaia84 e quella dello Shema' 55 • C'è qualcosa di straordinario, di sommamente divino e profondamente umano, nelle parole del Deutero-Isaia come in quelle dello Shema', la preghiera da recitare con fede a JHWH, l'Unico: una preghiera da recitare sempre. Sì, sempre: anche quando si vive nell'angoscia della diaspora, dell'esilio ... metafora di ogni vita di fede. Quando il volto di Dio si oscura, è l'ora 111 cm il profeta 11ara(fossabnente invita alla fede "con tutto il cuore" in JHWH, l'Unico. È l'ora della preghiera ... «...

Muoio 86 dolcemente, 1na non

soddisfatto; abbattuto,

1na non

disperato; 111uoio nella fede, n1a senza innalzare suppliche, n1uoìo

84

Cfr. H. SJMIAN-YOFRE, Testi isaiani dell'Avvento, EDB, Bologna 1996.

85 W. ETCHHODT,

Teologia dell'Antico Tesrcunento, l (Dio e Popolo), trad. it.,

Paìdeia, Brescia 1979, 228.


I predicati participiali di Jhwh nel Deutero-lsaia

217

confessando il mio amore per Dio, ma non dico Amen cieca1ncnte. Ho seguito Dio, anche quando mi ha respinto lontano da Lui. }io adc1npiuto il

suo

con1an<lamento

anche quando, quale ricotnpensa di

questa

obbedienza, n1i colpiva. L'ho a1nato. Ero e sono tuttora innamorato di Dio, anche quando 1ni ha gettato a terra, n1i ha torturato fino alla n1ortc, mi ha reso oggetto di obbrobrio e derisione. Puoi torturarmi fino alla morte, ma crederò sempre in Te. Ti an1erò se1npre, 111algrado Te. Queste sono le n1ie ultiTne parole, Dio della collera: non riuscirai a fanni rinnegare la fCdc in Te. I-lai fatto di tutto perché io non credessi più in Te, perché io cadessi nel dubbio. Ma io tnuoio così co1ne ho vissuto, con una fede incrollabile.

Sia lodato in eterno il Dio dei morti, il Dio della vendetta, il Dio della verità e della legge, che presto mostrerà di nuovo il suo volto al mondo e farà tremare le fondamenta con la sua voce potente. 11ìN n1n' )))i1JN n1n' )N'l\'..P :iJD\lj

Ascolta, Israele: l'Eterno è il nostro Dio, l'Eterno è l'Unico e il Solo»

87

86

...

Sono queste le ultime parole di Jossel, un ebreo che, assediato in un casolare oramai pericolante sotto i colpi dell'artiglieria nazista, nel ghetto di Varsavia, scrive l'ultima pagina del suo testamento spirituale. 87 Testan1e11l dans !afo11r11aise, in Bvc 64 (1965) 73-74.



Synaxis XV/l (1997) 219-281

NOTE SULLA FACOLTÀ DI TEOLOGIA DELL'UNIVERSITÀ DI PALERMO

FRANCESCO CONIGLI ARO'

2.4. Professori Le notizie circa i professori della classe teologica, almeno per quel che concerne le fonti archivistiche che siamo riusciti a consultare, seguono il destino generale delle altre notizie concernenti l'intero ateneo e la classe teologica in particolare. In definitiva, disponiamo di dati frammentari che non ci consentono neppure di ricostruire l'elenco completo dei docenti "proprietari'', "sostituti" e "supplenti" delle singole cattedre.

2.4. l. Dati generali superstiti Alle fonti archivistiche abbiamo attinto alcuni dati sui nomi e, qualche caso, anche sugli scritti.

111

Professori della facoltà di teologia per l'anno 1779: teologia dogmatica: Nicolò Cento,

*Docente di Storia della Teologia presso l'Università di Palcnno.

La prin1a parte di questo studio è stata pubblicata in Syna.\"is 14 (1996) 2, 163-212.


Francesco Conigliaro

220

teologia morale: Rosario Corso, istituzioni canoniche: Ludovico Marullo, storia ecclesiastica e concili: Rosario Bisso, lingua greca e ebrea: Tiziano De Stefano 181 • Per l'anno 1779 si conoscono anche i seguenti lettori di discipline sacre, già appartenenti al collegio dei docenti del Collegio Massimo: teologia dogmatica: Francesco Carì, teologia catechetica: Vincenzo Fleres, liturgia: Francesco Pensabene 182 . Professori della facoltà di teologia per l'anno I 800: teologia dogmatica: Paolo Filippone, teologia morale: Rosario Corso, giure ecclesiastico: Raffaele Drago, storia ecclesiastica: Vincenzo Fontana, lingua greca ed ebraica (facoltà filosofica): Stefano Viviano' 83 . Professori della facoltà di teologia nell'anno 1821: teologia dogmatica: Giacomo Lo Presti, teologia morale: Domenico Cilluffo, sacri canoni: Stefano Di Chiara, storia ecclesiastica: Stefano Pipitone, lingua ebrea: Giovanni Vagona 18·1• Professori della facoltà di teologia per gli anno 1843-1850: lingua ebraica: Gregorio Ugdulena' 85

181

Cfr. ASPA, Pl busta 480. Cfr. L. SAMPOLO, lLl R. Accade111ia degli Studi di Palenno. Narrazione storie({, Palcnno 1988, ristan1pa anastatica con presentazione di G. La Grutta e introd11zio11e di R. Giurfrida, Palenno 1976, 83. 182

Cfr. L. SAMPOLO, OjJ. cit., doc. XXVIII, Appendice LXXl~LXXIII. ~Cfr. ASPA, PI busta 147.

HU 18


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

221

Professori della facoltà dei teologia per gli anni 1859 e 1860: teologia dogmatica: Antonino Criscuoli, teologia morale: Domenico Cilluffo, diritto canonico: Salvatore Ragusa, storia ecclesiastica: Paolo Cultrera, lingua ebraica e spiegazione della Sacra Scrittura: Domenico Turano 186 .

2.42. Le figure più significative Per conoscere le figure più significative della classe teologica si possono seguire vari criteri, quali l'analisi degli scritti, l'attenzione alla dottrina e l'indagine circa le vicende della vita. Lungo questo percorso, le figure certamente più significative risultano essere: Paolo Filippone, Antonino Criscuoli, Gregorio Ugdulena e Domenico Turano. A questi bisogna aggiungere Vincenzo Di Giovanni, che insegnò filosofia a Palenno, sia all'università che nel se1ninario arcivescovile, ina che per il suo impegno, sia pure non sistematico in can1po teologico e per il suo orientamento di pensiero, esercitò una

notevole influenza nella formazione del clero liberale. Paolo Filippone Il Filippone insegnò teologia dogmatica a Palermo, prima presso il seminario arcivescovile e poi presso l'università degli studi, e fu nominato giudice di Monarchia del Regnum con il rango di vescovo. La sua opera teologica principale, che tanta parte ebbe nella formazione del clero liberale, giurisdizionalista e regalista, è il Tractatus isagogicus.

185 186

Cfr. ASPA, PI busta 498. Cfr. ASPA, PI busta 513.


222

Francesco Conigliaro

Sono di notevole interesse le sue tesi ecclesiologiche, ed in particolare quelle concernenti il pontefice romano. La prospettiva apologetica che il Filippone assume e che lo spinge ad affermare le prerogative papali del primato e dell'infallibilità nei confronti dei protestanti, non gli impedisce di essere un critico convinto e deciso delle concezioni correnti che le riguardano. Contrariamente a quanto si sostiene dai teologi filoromani, il teologo palermitano ritiene prive di legittimità biblica e tradizionale e mero frutto di prassi storiche le teorie sull'infallibilità del papa, sulla sua superiorità sul concilio e sul suo potere monarchico. L'infallibilità, secondo il Filippone, è prerogativa della Chiesa e si esprime solo su ciò che è oggetto della rivelazione, e non su questioni disciplinari. Ne sono protagonisti i vescovi, considerali collegialmente, ed i fedeli, quando dànno unanimemente il loro consenso alle formulazioni pontificie delle verità necessarie alla salvezza. Tutti gli altri fattori correnti dell'infallibilità non sono patrimonio teologico della comunità cristiana, ma eredità storica di livello non teologico e tesi di scuole teologiche. Il primato pontificio ha soltanto alcuni ambiti di applicazione: la custodia e l'osservanza delle leggi della Chiesa; la convocazione dei concili per la difesa della fede e per l'emanazione delle leggi; la promulgazione e l'osservanza delle leggi universali, ma solo provvisoria1nente e nel caso che sia i1npossibile convocare il concilio; la dispensa dalle leggi conciliari, ma unicamente alla luce della prassi canonica; la funzione dì tribunale di appello per le cause importanti. Di conseguenza, dalla corretta concezione del primato risultano escluse sia le modalità storiche dell'esercizio del potere del papa sia le pretese papali di estendere l'autorità pontificia anche alle questioni temporali dei cristiani. La concezione chiaran1ente gallicana del Filipponc, che ebbe un ruolo decisivo nella formazione del clero di orientan1ento giurisdizionalista e regalisla, suscitò reazioni contrastanti. Mentre, ad

esempio, lo Scinà accusò il Filippone di corrompere le menti dei


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

223

giovani e di profanare la santità e la maestà della tcologia 181 , il Galeotti ne criticò soprattutto le tesi ecclesiologiche'"" e Roma non tardò a condannare all'Indice la sua opera teologica principale, non mancò chi, come Giovanni Calia, teologo appartenente all'ordine dei 1ninin1i, approvò la dottrina del Filippone, e proprio per l'attenzione da lui riservata alla Scrittura ed alla tradizione 189 • Tanti anni dopo, il teologo Di Bartolo avrebbe parlato con entusiasmo dell'opera teologica del Filippone: «[ ... ] sopra tutti spiccò Paolo Filippone, il quale lesse teologia dommatica nella università di Palermo e fu riputato dalla S. Sede degno dell'arcivescovado in partibus di Patrasso. Il suo lavoro teologico è molto conosciuto fra noi, pregevole per la storia delle eresie, la distinzione dei dommi dalle materie controverse, lordine delle tesi, la lucidità delle dimostrazioni»'""· Antonino Criscuoli Il Criscuoli insegnò teologia dogmatica all'università nel corso degli anni '50. Come il Filippone, egli attribuì alla storia ed alle dispute teologiche le idee correnti circa il primato e l'infallibilità del papa. In particolare, quanto all'infallibilità, egli sosteneva che non poteva essere ridotta a prerogativa esclusiva del pontefice romano l'attidudine, donata da Cristo alla sua Chiesa, di custodire scevro da errori rinscgnamenlo del Maestro 191 • Il Criscuoli inerita di essere ricordato soprattutto per un'opera d'istituzione teologica: Istituzioni di dogmatica teologica, (5 voli., Palermo 1841-1845), il cui voi. I fu condannato all'Indice.

187 Cfr. D. SC!NÀ, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo X\IJ!f, a cura di V. Turone, Ili, edizione della Regione Siciliana, Palenno 1969 2 , 200. 188 Cfr. M. GALEOTTI, E111e11datio11es i11 Tr(lcfat11111 isagogicton Pauli Phihpponi, n1a11. custodito presso !a Biblioteca Con1unalc di Palenno, n1s. 2 Qq. E, 176 n. 17. llN crr. G. CALIA, Teologia, in Giornale di scienze le!!erafl//"(/ ed arti per la Sicilia 1(1823) 78-81. 1911 S. Dr BARTOLO, Sugli studi sacri in Sicilia ne{ presente secolo, in Atti delf'Accade111ia di Scienze, Le!!ere ed Arti di Pofen110, n. s. V, Palcnno 1875. 191 Cfr. A. RANDAZZO, Orazio11efio1ebre in elogio del Soc. A11to11i110 Criscuo/i, professore di teologia dog111atica nella Regia Università di Pa!er1110 e pilÌ volte

JJJ'('.{'effo dei Padri Pii Operai di S. Vincenzo, Palenno 1866.


Francesco Conigliaro

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Gregorio Ugdulena L'Ugdulena può essere considerato, a motivo delle sue profonde conoscenze nei settori delle scienze bibliche e patristiche e della più varia letteratura del suo tempo, uno degli studiosi più rappresentativi della sua epocain Le sue vicende di docente universitario e di studioso s'intrecciano con gli eventi politici ai quali prese parte. Infatti, nel 1850, dopo gli eventi rivoluzionari del 1848 ed il ritorno dei Borboni nel 1849, dovette lasciare la sua cattedra universitaria di lingua ebraica e di Sacra Scrittura, che fin dal 1843 aveva reso illustre con i suoi corsi sui testi originali della Bibbia. Una volta allontanato d'ufficio dall'università, dapprima fu confinato a Termini lmerese, sua città natale, ed in seguito fu deportato nell'isola di Favignana e rinchiuso nella fortezza di Santa Caterina. Ma il carcere non vide la fine del grande biblista. Di fatti, dopo il 1860, una volta annessa la Sicilia al nuovo Regno d'Italia, l'Ugdulena fu liberato e, per i suoi meriti di liberale, fu nominato abate di S. Pancrazio. Fece anche parte del primo parlamento italiano cd ebbe l'opportunità cli prendere posizione contro l'abolizione della Legazia Apostolica di Sicilia 19 3. Il silenzio del carcere gli offrì l'opportunità di impegnarsi nell'attuazione del suo forte desiderio di preparare un'interpretazione della Bibbia alternativa a quella della scuola razionalistica contemporanea. Fu così che si dedicò alla sua opera principale, e cioè alla traduzione dell'Antico Testamento dall'originale ebraico ed al commento di esso alla luce delle più aggiornate acquisizioni della filologia, dell'archeologia e di ogni altra scienza moderna utile allo scopo. Non riuscì a completare l'opera, La Sacra Scrittura in volgare, che nel 1862, anno della sua morte, è rimasta interrotta al II Libro dei Re.

192

Cfr. F. M. STABILE, Indicazioni sulla fon11azione c11ft11rale ... , cit., 41. Cfr. R. DE MA'ITE!, Tre cattolici siciliani di estre111a sinistra al pri1110 Par/a111ento Italiano, in Storia e Politica (1963) 4. 193


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

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Do1nenico Turano Il Turano nel 1850, certamente a motivo della sua ottima conoscenza delle lingue semitiche, delle lingue classiche e delle lingue straniere moderne, vinse la cattedra di lingua ebraica e di Sacra Scrittura dell'università di Palermo, dalla quale, per ragioni politiche, era stato allontanato Gregorio Ugdulena. Ma il destino accademico del Turano non fu molto diverso da quello del suo predecessore. Ebbe difficoltà con i Borboni a motivo della sua partecipazione all'attività parlamentare palermitana nel contesto della rivoluzione del '48, ma ne ebbe pure con i piemontesi dopo il '60, per via delle critiche espresse nei confronti del nuovo governo italiano a causa del tratta1nento riservato alla Chiesa. Fu l'autore della lettera pastorale, pubblicata in difesa del potere temporale del papa il 14 febbraio 1860 dall'arcivescovo palermitano Giovanni Battista Naselli. In conseguenza di ciò, il governo lo allontanò dalla cattedra universitaria. Ma rimase senza cattedra per poco tempo, in quanto nel 1861 fu chiamato ad insegnare eloquenza, apologetica (teologia polemica) e Sacra Scrittura nel seminario arcivescovile e, per di più, fu creato canonico della cattedrale di Palermo. Nel 1872 fu nominato vescovo di Girgenti '"· Il Turano seguì con attenzione grande e vigile le vicende ideologiche e politiche del liberalismo italiano, ma si tenne molto vicino al movin1ento ultran1onlano europeo, che in lui, antico ali i evo dei gesuiti del Collegio Massimo, fu fecondo di frutti di tipo antigallicano ed antigiansenista. In tal senso, ebbe una posizione determinante all'interno del gruppo del clero zelante di Palermo, di cui fu apprezzatissimo maestro di vita spirituale, oltre che di scienze teologiche.

Di Don1enico Turano ricordiamo solo alcune opere:

l'.l..J Sulla figura dc! Turano cfr. G. BELLOMO, Me111orie sulla l'ifa e gli scritti di Mons. Do111e11ico Turano, Pescovo di Girge11ti, Palenno 1866; D. Dt GREGORIO, A1011s. Do111e11ico Turano, Palenno 1967; cfr. anche G. DE ROSA, I Gesuiti in Sicilio e la Rivoluzione del '48, Rorna 1963.


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Lezioni archeologico-bibliche ovvero introduzione allo studio delle Scritture, (Palermo 1864). Alle tesi razionalistiche del Renan e dello Strauss, che mettono in discussione e dissolvono come mitiche tesi teologiche di capitale importanza, quali l'infallibilità della Chiesa, la divinità del cristianesimo e l'ispirazione e la divinità della Scrittura, il Turano contrappone l'unità delle tradizioni bibliche, convergenti sulla base della promessa messianica, che ne è l'idea portante e dominante. L 'uo1110 nuovo in Gesù Cristo e il suo alùnento giornaliero, (2 voli., Palermo 1865-1867 2 ; Girgenti 1877'). Si tratta di un'opera di riflessioni spirituali, della durata di una anno (da gennaio a dicembre). Le varie tematiche scaturiscono da un passo quasi sempre biblico, adeguatamente comn1entato ed accon1pagnato da versi di Dante o di

altri poeti. Il cattolicesùno esposto ai Valdesi ovvero risposta ali una lettera

del Signor Gerechino Giuseppe d'Andrea proselito del pastore valdese, (Agrigento 1875 2). Il volume ha la sua ragion d'essere nel fatto che il Turano è, tra l'altro, titolare di teologia polemica presso il sen1inario arcivescovile di Palern10. Con toni e n1etodi polen1isli vengono presentate verità fondamentali del cattolicesimo e temi tradizionaln1ente dibattuti tra le varie confessioni cristiane, quali la Chiesa e la Scrittura, la fede in Cristo e la salvezza, l'Eucaristia, la transustanziazione e la presenza reale, i vescovi ed i preti, il celibato, l'immacolato concepimento di Maria, gli angeli, la presenza di san Pietro a Roma, gli eretici. La sùnbolica ovvero la sposizione t!ei ni.iracoli di Gesù Cristo

secondo la fede e secondo la morale, (4 voli., Girgcnli 1876-1878). Il fascino di quest'opera si trova nel genere letterario, che è quello omiletico, e nel metodo esegetico, che è quello simbolico, tanto caro ai Padri della Chiesa: dal miracolo, operato sul corpo, si passa al senso che il gesto con1piuto da Gesù ha per l'aniina; il rapporto tra i due livelli costituisce il simbolismo. Filosofia della Storia Sacra e notizie archeologiche bibliche ad uso dei Seminari di Chierici, (Torino 1880). L'opera, che riprende e sviluppa le Lezioni archeologico-bibliche del 1864, è un'introduzione


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

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allo studio della S. Scrittura. Lo scopo che lautore si prefigge è quello di guidare gli studenti di teologia alla conoscenza dei costumi, delle consuetudini e dei luoghi ai quali si fa riferimento nei vari testi biblici, al fine di averne un aiuto prezioso nella fatica di coglierne il messaggio teologico e salvifico. Vincenzo Di Giovanni Il Di Giovanni, professore di filosofia nel seminano ed all'università di Palermo, fu elevato alla dignità episcopale. Benché docente di filosofia e, quindi, non appartenente alla classe teologica, che è quella che ci interessa nella presente circostanza, lo ricordiamo a motivo del fatto che contribuì notevolmente alla creazione dcl clima culturale del tempo all'interno del clero di Palermo. In virtù della forza affascinante e convincente del principio fondamentale della sua filosofia, e cioè del principio della "scienza ideale", il Di Giovanni fu maestro di una generazione di preti e di laici volta al futuro ed impegnata nel superamento dei nodi insoluti dell'epoca, soprattutto quelli circa il rapporto tra fede e liberalismo e tra fede e scienza. Al tempo in cui la facoltà teologica era ancora esistente ed operante all'università di Palermo, Vincenzo Di Giovanni poteva annoverare tra i suoi scritti importanti soltanto quello concernente la

"scienza ideale", che si trova nello scritto seguente: Della Scienza ideale. Prelezione detta nel Seminario Arcivescovile <U Palermo il 15 novembre 1861, (Palermo 1861). In quanto principio universale di unità e di annonia, la scienza

ideale rispondeva all'esigenza di ricondurre lutti gli approcci alla verità ad un unico evento convergente e sinfonico. Lungi dal recare

un qualche pregiudizio al carattere soprannaturale della fede, il principio della scienza ideale è idoneo a svelare il carattere cristiano di ogni vera filosofia ed a di1nostrare la concordia tra la scienza e la fede. I corsi tenuti dal Di Giovanni nel se1ninario arcivescovile sulla "scienza ideale" furono effettivamente all'origine di quell'indirizzo liberale di pensiero e di atteggiamento, condiviso dal clero giovane e destinato a diventare sen1pre più forte. Se la "scienza ideale" è un


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228

principio universale di armonia, la conciliazione tra fede e rivoluzione liberale è possibile e, di conseguenza, bisogna seguire un itinerario conoscitivo ed operativo idoneo, che viene identificato negli ideali politico-religiosi proposti da Vincenzo Gioberti. La grande produzione filosofica e teologica del Di Giovanni verrà alla luce in epoca successiva alla soppressione delle facoltà teologiche nelle università italiane. Se prendiamo visione dcl catalogo delle pubblicazioni del Di Giovanni, ci troviamo di fronte ad una produzione abbastanza consistente, di contenuto sia filosofico che teologico' 95 • Una lettura anche affrettata di questi scritti e la constatazione dci caratteri fondamentali di essi, che sono quello prevalentemente erudito per la filosofia e quello apologetico per la teologia, ci induce a formarci il convinci1nento che il nostro monsignore non riuscì a rendersi conto né della delicatezza del momento storico che gli ultimi lustri del secolo XIX rappresentarono per la Sicilia, né dell'urgenza di un rinnovamento culturale'""- Degli scritti di Vincenzo Di Giovanni ricordian10 quelli che interessano la nostra indagine. Scrilli apologetici, (Palermo l 875). Si tratta di una raccolta di saggi critici su figure e tematiche, all'epoca oggetto di dibattito, che l'autore respinge in quanto inficiati da razionalisn10: Sulla critica

llegli evangeli {li A. Bianchi-Giovini; Ernesto Renan e la sua vita tli Gesù; Ferie, rivelazione, nziracoli; La nuova vita rii Gesù e la novella fede di F. Strauss. Gli Scritti apologetici contengono anche due saggi su V. Gioberti, un autore molto considerato ed amalo dal Dì Giovanni, il quale si dimostra preoccupato perché vi vede non poche concessioni al razionalismo: La Riforma Cattolica; Filosofia della Rivelazione.

195

Cfr. V. DI Giov ANNI, Catalogo ordinato delle p11bblicazio11i, Palern10 1899. 196 Proprio per questo è .stato dello, e non a torto, che la filosofia del Di Giovanni è fuori del tctnpo: cfr. C. DOLLO, !111plicazio11i politiche e detenninazioni ideologiche della filosofia in Sicilia ( 1870-1915}, in AA. Vv., La presenza della Siciha nella cultura degli uftùni cento anni, II, Pa!cnno !977, 820-825.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

229

Nell'Appendice ai suoi Scritti apologetici il Di Giovanni pone un opuscolo del 1858 del suo maestro ed amico Melchiorre Galeotti:

Del libro della Riforma cattolica della Chiesa. A Vincenza Di Giovanni, in cui lo scolopio palermitano, utilizzando il genere letterario epistolare, n1entre analizza gli scritti di argomento giobertiano del suo antico discepolo, solleva in modo deciso nei confronti del pensatore pie1nontese la critica di razionalismo.

L'apologetica cattolica in faccia all'etnografia, alla storia e all'archeologia, (in Atti dell'Accademia Cattolica Palermitana 2 [ 1886-1887] 161-215). L'autore, sulla base dei dati offerti dall'etnografia, dalla storia e dall'archeologia, tenta di dimostrare la sua tesi fondamentale circa la verità "senza lempo)), che, per un verso, esclude ogni prospettiva razionalistica e, per un altro verso, afferma il pieno concordismo tra fede e scienza. L'Apologetica Cattolica e gli studi Etnografici, Storici, Archeologici contemporanei, (Palermo 1887). L'autore, riprendendo un tenia a lui caro, sostiene che l'apologetica cattolica trova nelle scienze naturali la confenna deile credenze cristiane. Saggi di critica religiosa e filosofica, (Firenze 1887). Si tratta di una raccolta di recensioni di opere teologiche e filosofiche. L'autore ne approfitta per espri1nere ulterionnentc suoi intendi1nenti apologetici e le sue critiche contro ogni forn1a di razionalisn10 197 •

L'Archeologia Cristiana in sostegno della Teologia e della Apologetica, (Palermo 1894). Apologetica e archeologia cristiana, (Palermo 1897). Le due opere trattano argo1nenti molto cari al Di Giovanni: la teologia e 1'apologetica hanno un sostegno sicuro nell'archeologia cristiana; le fonti monumentali ed epigrafiche, infatti, molto spesso forniscono

197 Le opere reeensile da V. Di Giovanni sono le seguenli: A. KUENEN, Refigion Nationa!e et Re!igion Unil'ersel!e, Paris 1884; E. HAVET, Le Christianis111e et ses origines, Paris 1884; E. RENAN, Les J{'vangi!es et la seconde gé11ératio11 chrétie1111e, Paris 1877; B. LA BANCA, Il Cristia11esù110 prilnitivo, Torino l 886; A. RÉVILLE,

Histoire d11 dog1ne de la divi11ité de Jesus Christ, Paris s. d ..


230

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argomenti decisivi per risolvere delicate questioni teologiche e per chiudere difficili controversie. Critica religiosa e filosofica. Lettere e saggi, (2 voli., Palermo 1897-1898). Nei due volumi sono raccolti dei saggi, stesi nel genere letterario epistolare, in parte già pubblicati in raccolte precedenti ed in parte inediti. Questi ultimi sono: voi. I: La religione de/l'avvenire di Eduardo De Hartmann. Lettera a C. Cantù: del De Hartmann vengono criticati l'aspirazione al Nirvana ed il panteismo metafisico ed etico; Sul libretto L'avvenire religioso dei popoli civili di Emilio De Laveleye. Lettera a C. Cantù: il Di Giovanni concorda con il De Laveleye nella concezione e nell'interpretazione della crisi religiosa del mondo contemporaneo: alla base di lutto si trovano le forti spinte razionalistiche che caratterizzano il mondo contemporaneo. Sul libro La religion de l'avenir par F. Laurenl. Lettera a C. Cantù: nel libro del Laurent il Di Giovanni vede la negazione del soprannaturale e, pertanto, la fine della vera religione; Sul libro Fede vecchia e fede nuova di Federico Strauss. Lettera ad A. Conti: Friedrich Strauss viene posto, senza alcuna attenuante, tra i negatori ed i ripudiatori del soprannaturale, della Chiesa e del cristianesimo; Sul lihro Scritti Apologetici di Vincenzo Di Giovanni. Lettera a T. Man1iani: rispondendo ad una lettera del Mamiani, il Di Giovanni ribadisce alcune sue idee degli Scritti Apologetici del 1875; voi. li: Il concetto filosofico, religioso e cristiano di Ernest Navi/le: il Di Giovanni condivide le tesi fondamentali del Naville sulla conciliabilità tra fede e ragione e tra religione e filosofia, e sulla filosofia della religione, che coglie l'uomo, cui presta attenzione, nell'atteggiamento fondamentale di apertura ai suoi destini; Religione e irreligione secondo il Molinari e il Guyau: di G. De Molinari (Religion, Paris 1892) il Di Giovanni apprezza la concezione dell'importanza umana e sociale della religione e soprattutto del cristianesimo, anche se non può non deplorarne la 1nancanza di fede nella religione cristiana; di M. Guyau (L'lrreligion de l'Avenir, Paris 1887) il monsignore disapprova le seguenti idee: la religione ha valore solo provvisorio; di conseguenza, chi è religioso tende a diventare


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

23 I

irreligioso; L'Ecclesiaste di E. Renan: per il Di Giovanni è inaccettabile l'interpretazione del Qoelet data dal Renan: il senso della vita è totalmente terreno e consiste nel suo godimento; li Salterio volgarizzato dal!' ebreo ed esposto in note esegetiche e morali da C. M. Courci: si tratta di un lavoro grandemente apprezzato dal Di Giovanni; Gli Evangeli Sinottici secondo R. Mariano: vengono criticate le contaminazioni tra i convincin1enti del Mariano ed alcune idee hegeliane; lesito non può non essere che catastrofico, e cioè non può non essere che la dissoluzione della dogmatica cristiana; L'opera sociale del cattolicesimo e gli ultimi libri di Leon Grégoire: vengono espressi apprezzamenti per la teorizzazione del Grégoire circa il cristianesimo come agente sociale e circa la Chiesa quale salvatrice della convivenza u1nana; La provviclenza nella natura, nella storia e nella religione secondo E. Mal!et: dell'autore studiato il Di Giovanni apprezza sia la difesa della creazione e della Provvidenza, soprattutto in contrapposizione con le teorie del 111aterialismo, sia l'esigenza di una concezione arn1onica di trascendenza ed i1nn1anenza, ma ne disapprova l'orientamento razionalista, attestato dalla 1nancanza di

fede e di attenzione alla rivelazione.

2.5. li dibattito teologico Il dibattito teologico a Palermo, sia dal punto di vista tematico che dal punto di vista della qualità, è ben situato. Esso sorge e si realizza in un Sitz iln Leben storicainente e, quindi, cronologican1ente, spazialmente ed antropologicamente ben preciso. Pertanto, il suo contenuto è di tipo ecclesiologico e la sua qualità è degna di ogni attenzione.

Per rendersi conto di ciò basta fermare l'attenzione su due dati, e cioè sulla particolare organizzazione ecclesiastica del Regnuni

Siciliae, che ha il suo fulcro istituzionale nella Legazia Apostolica, cui


232

Francesco Conigliaro

è collegato l'istituto funzionale del tribunale di Monarchia Sicula' 98 , e sul problema delle prerogative del pontefice romano che sarebbe stato dibattuto in vista del Concilio Vaticano I, durante la sua celebrazione e, in qualche modo, anche dopo. Dovendo fermare la nostra attenzione sul tema teologico maggiormente dibattuto a Palermo, ci sembra ovvio prendere in considerazione anche le componenti del dibattito che hanno i loro luoghi di origine e di attività in istituzioni cittadine. Si tratta del Collegio Massimo dei gesuiti, che continuava a conferire le lauree in filosofia e teologia, e del seminario arcivescovile, la cui scuola teologica era alle dirette dipendenze dell'arcivescovo palermitano.

2.5.1. Gli indirizzi teologici Se l'ecclesiologia del Collegio Massimo era caratterizzata dalla fedeltà al papa, e da essa derivava un indirizzo di pensiero chiaramente ultra1nontano 19'\ e l'ecclesiologia dell'università si distingueva per gli indirizzi regalista-gallicano 2011 e liberale, che v1 si esprimevano)

198 Sulla Lcgnzia Apostolica di Sicilia crr. S. FODALE, Cr)fne.1· et fegatus Siciliae ... , cil; ID., L'apostololica /egazia ... , cit.; E. SAUf{ER, Sugli ulri111i anni del Tribunale della Monarchia Sicula, in Rassegna s!orica del Risorgùnento (1972) 3343; G. CATALANO, Studi sulla legazù1 Apostolica ... , cìr.; G. P. MILANO, Ancora sulla soppressione della Leg(/zia apostolica di Sicilia ( 1863-1867), in AA. Vv., Studi in onore di P. A. D'Avak, Ili, Mil<1no 1976, 237-278; F. M. STABILE, L'abolizione della Apostolica Legazia sicula e del Tribunale di Regia Monarchia, in fio Tfleologos. Cultura cristiana di ~ùcilia 4 (1977) 16, 53-90; S. CUC!NOlTA, Popolo e clero in Sicilia nella diale!tic(/ socio-religiosa ji·a Cinque-Seicento, Messina 1986, 277-282. 199 Ritcnian10 opportuna uru:i precisazione: quando si parla ùi ultra1nontanisn10 in rifcri1nenlo alle realtà siciliane, è necessario essere rnolto prudenti e cauti, in quanto se ne può parlare solo come di una caratteristica srun1ata; l 'ultrainontanis1no è confrontabile con quello d'oltralpe in quanto intende superare quella certa configurazione di Chiesa nazionale che la Chiesa siciliana ha in virtù dell'istituto della Lcgazia Apostolica, 1na per il resto indica solo la condivisione delle tesi della S. Sede circa il potere ten1pora!e del papa, nel contesto della realizzazione dell' unith d'Italia, ed una tensione fervida e "zelante" circa la vita della Chiesa e la sua 1nissione religiosa. 2110 Anche a proposito del gallicanesi1no in rifcrirnento al!c realtà siciliane riteniarno opportuno ribadire la precisazione fatta a proposito dell'ultrarnontanismo:


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l'ecclesiologia del seminario arcivescovile aveva le caratteristiche di tutti gli indirizzi, in quanto i professori che in esso insegnavano li rappresentavano tutti. Vi insegnavano, infatti, i regalisti ed i gallicani, i liberali e gli ultramontani.

Indirizza regalista e gallicano Questo indirizzo, che viene coltivato con piena libertà soprattutto dai teologi che insegnano all'università, ha una sua articolazione interna, in quanto i teologi che ad esso appartengono hanno diversi interessi: alcuni, prevalentemente regalisti, sono attenti ali' autonomia giurisdizionale della Chiesa siciliana ed al 1nanteni1nento di due istituti, che ne costituiscono gli strumenti: la Legazia Apostolica ed il tribunale di Monarchia Sicula; altri, prevalentemente gallicani, si mostrano contrari all'infallibilità del papa e fanno non poche distinzioni sulla sua prerogativa primaziale; altri, infine, coltivano entrambe le posizioni. In questo indirizzo non 1nancano spunti di giansenis1no. Ad esso appartengono teologi già considerati, come Paolo Filippone, professore di teologia dogmatica prima presso il seminario e poi all'università e vescovo e giudice di Monarchia, ed Antonino Criscuoli, anch'egli professore di teologia dogmatica all'università. I frutti dell'indirizzo regalista e gallicano maturano in diversi ambiti. Il primo ambito è proprio quello della diffusione della duplice sensibilità: regalista e gallicana. E ciò va detto soprattutto per il fatto che presso la facoltà di teologia dell'università di Palermo compivano o perfezionavano i loro studi teologici, oltre che una parte del clero di Palermo e di Monreale, anche studenti provenienti dalle diocesi piuttosto decentrate della Sicilia occidentale, quali Agrigento, Mazara c Trapani. Alla scuola del Filippone e del Criscuoli essi non potevano che apprendere la prospettiva rcgalista e gallicana, o consolidarsi in

se ne può parlare con1e di un fcno1ncno dalle caratteristiche sfu1natc; infalli, esso solo negli aulori, nei qurili è collegato con l'istanza regalista, assun1e le classiche connotazioni politico-religiose confrontabili con il gallicancsi1no d'oltralpe, 1na di norn1a si ispira a rnotivazioni prettarncnte teologiche.


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essa, per praticarla, poi, nelle diocesi di origine e nei loro ambiti di attività e d'impegno. Dei discepoli palermitani ricordiamo Gioacchino Di Marzo Ferro, autore dello scritto Un voto per l'Apostolica sicula Legazia, (Palermo 1860). Ad Agrigento l'antico collegio dei SS. Agostino e Tommaso divenne un centro molto forte del regalis1no; ne uscirono Vincenzo Crisafulli, che, come abbiamo già visto, fu professore di diritto canonico all'università di Palermo e giudice di Monarchia, e Cirino Rinaldi, giudice di Monarchia. E non è superfluo ricordare che i protagonisti dello scisma di Grotte (1873-1879) provengono da quest'arca culturale: è vero che hanno ben altri problemi, ma sono spinti da un forte spirito antiromano e, in genere, anticuriale. A Trapani si trovano esempi di teorizzazioni 1nolto radicali non solo sul potere temporale del papa, n1a anche sulla sua stessa autorità. L'esempio più eclatante è quello di Vito Pappalardo, discepolo di Benedetto Castiglia, il quale nel 1860, prima durante una omelia, pronunziata alla presenza del vescovo diocesano V. Ciccolo, e poi mediante la pubblicazione dello scritto di Gersone, Risoluzione sopra la validità delle scomuniche, e del proprio scritto Talune verità al buon senso cattolico, (Trapani 1860), contesta l'autorità del papa e sostiene una serie di principi radicali, come la superiorità del concilio nei suoi confronti, la legittimità del ricorso all'autorità civile per difendersi dai soprusi dell'autorità religiosa ed il diritto di ricorrere a forme rivoluzionarie di contestazione della potestà delle chiavi, nel caso che la via u1nile non sia efficace 201 •

201 Sulla figura del Pappalardo cfr. F. L. ODDO, Vito Pappalardo, patriota J;berafe r(fònnatore cattolico, in AA. Vv., A!li de! Co111itato di Trapani deff'lstituto per fa Storia del Risorgii11e11fo Italiano, Trapani 1959. Melle conto ricordare che il vescovo di Trapani V. Ciccolo il 30 agosto 1860 pubblicò una lellera pasloralc nella quale condannava gli errori e gli scandali diffusi con le recenti vicende e proibiva la lettura della Risoluzione dcl Gersone. Il giornale L'Annessione n. 40 accusò i I vescovo cli filoborbonis1no, 1ncntre Religione e Patria n. 9 lo difese, attribuendo a zelo religioso il suo intervento. Tra g!i altri certo è anche il fallo che il vescovo Ciccolo dovelle !asciare Trapani. Qualche te1npo dopo, V. Pappalardo fu no1ninato professore di Pedagogia e poi preside della scuola nonnalc fe1nn1inile di Trapani ed


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Il secondo ambito di maturazione dei frutti dell'indirizzo regalista e gallicano è quello dell'integrazione tra religione, progresso, civiltà e storia. Il clero che usciva da questa scuola era, tra l'altro, spinto dall'esigenza molteplice di sanare la frattura tra religione e vita, tra religione e civiltà e tra religione e progresso, e di superare la concezione privatistica del cristianesimo, esplicitandone ed incrementandone l'apertura ai valori politici, sociali e civili. A questo proposito si dispone di alcuni scritti piuttosto significativi: N. DI CARLO, Del progresso e dell'officio sociale degli studi ecclesiastici, Palermo 1849; ID., Per le esequie del P. D. Giuseppe M. D'Agostino C. R. T. e rettore della Regia Università degli studi di Palermo, Palermo 1854; G. DI MARZO, Del Sacerdozio Cattolico in rapporto alla fede e ali' incivilimento, Palermo 1862; C. SBANO, Religione e civiltà o ristauramento del clero, Noto 1864. Il terzo ambito di maturazione di frutti dell'indirizzo regalista e gallicano è costituito da una certa sensibilità giansenista. A questo proposito, merita ogni attenzione un volume anonimo e postun10 di

un canonico della Cattedrale di Palermo: G.Z.C.D.C.D.P., Dissertazione sulla libertà del clero, Palermo 1858. L'autore è contrario ad ogni deviazione dalla Sacra Scrittura sia per quanto riguarda la morale, che con il probabilismo allontana dai precetti evangelici e con l'eccessiva importanza data ai precetti della Chiesa falsa l'orientamento delle coscienze, sia per quanto riguarda l'autorità della Chiesa, che è esclusivamente di tipo ministeriale, sia infine per guel che concerne la I iturgia soprattutto delle ore, troppo asservita alle esigenze del santorale e dell'innografia.

anche canonico della cal!edralc (cfr. G. B. QU!NCI, F'onti e notizie sul Se111i11ario vescovile di Mazara, Palern10 1937, 481).


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/11(/irizzo ultrarnontano

L'indirizzo ultramontano raccoglie professori che a Palermo insegnano contemporaneamente nella facoltà di teologia dell'università e nel collegio teologico del seminario arcivescovile (Domenico Turano), ed anche da professori che hanno la cattedra soltanto in quest'ultimo (Melchiorre Galeotti)"" o soltanto al Collegio

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Lo scolopio M. Galeotti partecipò alla rivoluzione del '48 e, per conseguenza, nel '54 fu esiliato a Catania, dove gli venne arfidato l'insegnan1ento di filosofia e di rettorica presso il serninario diocesano ed ebbe una parte notevole ne!l'incre1nento dell'indirizzo to1nista che ne caratterizzò la scuola. Rientrato a Pa!enno nel 1859, ottenne la cattedra di rettorica presso il sen1inario arcivescovile e, dopo l'unità, si incardinò nell'arcidiocesi palcnnitana, diventando prefetlo degli studi in se1ninario, dove avviò, come era suo coslumc, unn rifornut. Esiliato eia! governo ituliano, si recò anche a Ron1a, dove fu no1ninato da Pio IX consultore della Congregazione preparatoria del Concilio Vaticano. Morì a Palcnno il 26 ollobrc 1869, a pochi n1esi da! suo rientro. V. Di Giovanni, che ne fu an1ico e discepolo, depositò presso lo Biblioteca Con1unale cli Palenno le carte ciel Galeotti in suo possesso. (Per altre notizie sul GaleoLLi cfr. L'Ape Iblea n. 206 28/1O/1869; V. Dr GIOVANNI, Ser111011; e panegiric; di P. M. Galeotti con notizie bùJgrqfiche e lellere ù1edite di illustri co11te111pora11ei, Palern10 1895; ID., Storia della filosofia in Sicilia, Il, Palenno 1873; F. M. STAOILE, li clero palen11ita110 nel prùno decennio de/l'unità d'Italia (1860-1870), Palern10 1978, 72-76). I! Galeolti fu liberale, e di ciò è prova inequivocabile la sua partecipazione alla rivoluzione del '48, n1a fu sullicientcn1ente critico sia per In sun sensibilità spirituale che per la sua fonnazionc teologica e pastorale. Fu un prete zelante, n1a in prospettiva teologica, e non certo canonica o curiale. Di ciò è prova la sua fonnazione, a!in1entata dallo studio dei Padri della Chiesa, dcl Ros1nini e del l'\10hler. L'ecclesiologia, che ne scaturisce, è evangelica, dinmnica cd attenta alle vicende del inondo e della storia ed alle istanze più vi ve dell'uon10. Ricordian10 gli scritti principali de! Galeotti; Considerazioni sulla protesta dei Gesuiti di Sicilia e risposta a{f u11 artk·olo del P. No111a110, Torino 1848; Sul libro della R{fonna Cattolica, in Cab. lett. Ace. Gioenia ! 858; /)e/la proprietà dei ben; ecclesiastici e delle condizioni di essi in Siciha, Palenno 186 ! 2 ; Del 501111110 Pontefice, in Religione e Patria (1860) 2; Dell'unità della Chiesa, hbro di S. Cipriano, versione italia11a con note e appendice di osservazioni sugli errori att11ali intorno al papato e alla Chiesa per M. G. prof di lelleratura e di eloq11e11za sacra nel Se111i11ario A rcil'esco\!i!e di Palenno, Pale rin o J 86 l; Su/I' ù1ca111eran1e11to. Avvertenza, Palenno 1864; la fede ca!!olica e lo spiritis1110. R(![fronti, Torino 1865'; S11/1'!111111acolato Concepùnento di Maria Vergine. Discorso, Palenno 1865; la Sicilia e la S. Sede, Malta 1865; L'Autorità della Chiesa. /)i.1pute e po!e111iche con liii 111i11istro Faldese, Ron1a 1866 2 ; quest'opera pole1nica fu scritta a Ro1na, dur;:inle il periodo di tcn1po che il G;:ileoLti vi trascorse da esule; «Prefazione>> a G. T. GH!LARDI, l't)Jisco;Htfo Italiano e la rivoluzione d'Italia, Mondovì; Della f/'(1Jfig11razio11e di N. S. Gesù Cristo considerata in risposta agli ordini sociali e civili, 'Torino 1867 2 ; Della


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Massimo dei gesuiti (Emmanuele 13ottalla)"''. I teologi appartenenti a questo indirizzo non tollerano che vengano messi in discussione il potere temporale del papa e la forte presenza dell'orientamento etico cattolico tradizionale nella società.

Indirizzo liberale L'indirizzo liberale propone con profonde convinz10m la via della conciliazione tra la fede e la rivoluzione liberale. Esso ha un prologo prestigioso, ma più nell'atteggiamento e nell'azione che negli scritti, in Gregorio Ugdulena, professore di lingua ebraica e Sacra Scrittura nella facoltà di teologia dell'università di Palermo, ed un caposcuola in Vincenzo Di Giovanni, anch'egli professore legazione apostolica di Sicilia. Ragio11a111e1110 in difesa della S. Sede, Torino 1868; Sen11011i e panegirici di P. M. Ga!eolli con notizie biogrq/i'che e le!!ere inedite di i!lusrri co11te111pora11ei, a cura di V. Di Giovanni, Palcnno 1895. Ci se1nbra cli non potere concludere il rircrin1ento alle opere di M. Galeolti senza ricordarne un 1nanoscritto contenente osservazioni critiche alla dogn1ntica ciel Filipponc: E111e11dationes in Tracta/11111 isagogic11111 Pauli Philippo11i, nuin. custodito presso la Bibliotcc<1 Con1unale di Palern10, 1ns. 2 Qq. E, ! 76 n. [ 7. 20 -' I! gesuita E. Botta!ln insegnò teologia dogn1aLica al Collegio t\1assirno dci gesuiti cli P<1lcnno e teologia clog1natica e diritto canonico nel se1ninario di C<1lania. Di lui, prin1a della celebrazione ciel Concilio Valicano I, si ricordano alcune opere: Corso ele111e11tare di fatina gra111111atica esposta per le scuole del Collegio Massi1110 della Co111pagnia di GeslÌ, Palcnno ! 852~ ! 853; Corso preparatorio allo studio della storia e della geogrqfiu n1oderna, Palern10 1852, 1856 2 ; Prosodia latina e italiana, o introduzione allo studio de/fa poesia, Palern10 1854; Corso ele111e11tare di istr11zio11e religiosa od 11so delfe scuole della Co1111)agnia di Gesù, 2 voli., Paler1110 ! 856; E.r 1111iversa theologia selecta dog1nata ad disp11ta11d11111 proposi/a in aula Collegi Ma.ri111i panonnitani, Panonni 1857. Dell'età seguente il concilio si ricordano le seguenti opere: SS. Cor Jes11 sacerdot11111 sanctitatis spec11lu111 ut Ei11s 111issio11e111 i1np!ea111, Taurini 1881; kleditatio11es de Jes11 Christo eiusque SS. Corde 11lri11sq11e cleri sacerdotib11s propositae, Taurini 1882; li Silfabo e l'enciclica «Quanta Cura», preceduti da una esposizione teologica della costil11zio11e «Pastor aeternus», Catania 1882; li Sacro Cuore di GeslÌ, 111odello della vita cristia11{1 e santa, Torino ! 886; La co1(/éssio11e auricolare. Risposta agli evangelici, Catania 1900; Co1(/ére11za pel Giubileo !!.ìJiscopale del papo Leone Xlii il 19 febbraio 1893, Catania l 893. Nell'opera E.r 1111iversa theologia selecta dog111a1a ... , che è di istituzione teologica, anche con intcndin1enli pole1nici nei confronti delle Lesi del Filipponc e degli altri teologi regalisli e gallicani di Palcnno e dell'intera Sicilia, l'autore sostiene il prin1ato del papa, la sua superiorilù sul concilio, la sua infal!ibi!itù personale, anche a prescindere dal consenso della Chiesa, e la necessit8 dell'assenso interno, oltre che esterno, ai dog1ni da lui definiti.


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all'università di Palermo, ma contemporaneamente anche presso il collegio teologico del seminario arcivescovile. Un fatto significativo, che attesta la peculiarità e la fecondità del lopera dei teologi siciliani appartenenti ali' orientamento regalista e gallicano ed all'orientamento liberale, è costituito dalla risposta data dalla facoltà di teologia dell'università di Palermo alla circolare inviata il 19 agosto 1861 a tutte le facoltà teologiche dal ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis. La circolare conteneva quattro quesiti sulla natura del potere temporale dei papi ed era volta alla soluzione della questione romana in modo favorevole al governo. Tra tutte le risposte pervenute dalle facoltà teologiche delle università statali italiane quella della facoltà di Palermo fu certamente la meno dcludente10-i.

2.5.2. Ecclesiologie in tensione Dal punto di vista pratico, sia organizzativo che operativo, la tra i vari orientainenti culturali ed ecclesiali presenti ne II' arcidiocesi di Palenno, orienta1nenti che a monte avevano i tre tensione

indirizzi teologici considerati, si venne a precisare con1e tensione tra

clero liberale e clero intransigente. Tale tensione divenne improvvisamente incandescente a motivo dell'imminenza del Concilio Vaticano I e dei temi che vi sarebbero stati trattati e che già costituivano oggetto di un certo dibattito all'interno della comunità cattolica, a partire da quelli sul primato e sull'infallibilità del pontefice ro111ano.

L'ambilo teologico più appariscente e, verosi1niln1ente, anche

più stimolante, soprattutto nelle fasi di vita e di riflessione ecclesiali che

i1nn1ediatamente

conducono

al

Concilio

Vaticano

I

e

ne

scaturiscono, è costituito dall'ecclesiologia. Ciò dipende non solo dalle novità apportate a livello generale dal Concilio, ma anche dalla

20 -1 Cfr. B. FERRAR!, La soppressione delle Facoltà di Teologia nelle U11iFersità di Stato in ltalia, Brescia 1968, 41s.


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situazione particolare della Chiesa siciliana, legala a Roma dalla fede ed istituzionalmente organizzata attorno al Re, fin dai tempi del Gran Conte Ruggero, legato apostolico nato e suprema dignità ecclesiastica nel Regnum. Il Re governava la Chiesa di Sicilia mediante il Codice Ecclesiastico Sica/o"", di cui per altro era fonte giuridica, ed in forza del quale entrava frequentemente in polemica con Roma per la designazione dei titolari dei benefici ecclesiastici maggiori, per la concessione od il rifiuto del regio exequatur a tutti i documenti provenienti dalla curia romana e per le prerogative del suo delegato, il giudice di Monarchia. Una tale situazione ecclesiastica aveva prodotto una ecclesiologia giurisdizionalista, resa ancora più complessa da un forte spessore gallicano. Ad essa si opponeva una ecclesiologia filopapale arricchita di spinte ultramontane. Gallicanesimo cd ullra1nontanesin10 non si affermano, come accade oltralpe, allo stato puro, ma si intrecciano con la prospettiva giurisdizionalista: la difesa o la critica di una modalità particolare di essere ha delle conseguenze nella concezione del rapporto con la Chiesa di Ro1na. Tuttavia, i le1npi e le vicende andavano apportando dei 1nutamenti: una serie di eventi, quali la scomparsa del Regnum Sici!iae (sia pure già ridotto a realtà di secondo rango nel Regno delle due Sicilie, con capitale Napoli) e la sua annessione al Regno d'Italia, la preparazione e la celebrazione del Concilio Vaticano I con le definizioni dogmatiche circa il primato e l'infallibilità del pontefice romano, la denunzia da parle del papa della Legazia Apostolica206 e l'avvento dei vescovi cosiddetti "colonizzatori'', produssero una svolta ecclesiologica. La riflessione ecclesiologica viene fatta sopraltutto a Catania ed a Palermo. Nella città etnea l'ecclesiologia giurisdizionalista viene

205

Cfr. A. GALLO, Codice Ecclesiaslico Sico/o, 6 voll., Palcrrno l 846-! 880. 2116 La Legazia apostolicn fu soppressa ufficialn1e11fc dalla curia di Pio IX i! 12 ottobre 1867 con ls bolla Supre111a 1111iFersi do111inici gregis, che però era stata prepnrata già il 28 gcnnsio 1864 e n1essa da pnrte per tin1orc di contron1isure da parte dcl governo italiano. Con !a successiva legge delle Guarentigie il governo italiano avrebbe preso alto della nuova situazione di fallo ed avrebbe forn1alizzalo la sua rinunzia all'anlico diritto di Legazia Aposlolica in Sicilia (ad cscn1pio, cfr. P. l\1. ST/\131LE, L'abolizione della Apostolica Legazia sicula ... , cil.).


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sviluppata da Michele Stella. Il suo manuale di teologia dogmatica, caratterizzato da antitomisn10, illu1ninis1no, giurisdizionalismo e gallicanesimo e, per giunta, scritto in lingua italiana, non nascondeva i suoi intendimenti antiscolastici e, in genere, antitradizionalisti: fu condannato all'Indice subito dopo la pubblicazione del I volume""· A Palermo l'ecclesiologia giurisdizionalista, che unifica intendimenti sia regalisti"'' che gallicani, ha i suoi maggiori teologi in Paolo Fi I ippone e Antonino Criscuoli, che ebbero un ruolo notevole nella formazione del clero liberale, giurisdizionalista e regalista. Delle tesi ecclesiologiche del Filippone, condivise dal Criscuoli, sono particolarmente importanti quelle che riguardano il pontefice romano. Egli ritiene prive di fondamento biblico ed ecclesiale le teorizzazioni tradizionali circa linfallibilità del papa, la sua superiorità sul concilio ed il suo potere monarchico. Ma, l'infallibilità, che egli nega al papa l'attribuisce alla Chiesa nel suo complesso. La Chiesa gode di tale prerogativa soltanto quanto alle verità che sono oggetto della rivelazione e non quanto ad altre questioni. Ne sono organi il collegio dei vescovi ed i fedeli, quando esprimono unanimemente il loro consenso. Una concezione così forte1nente gallicana non poteva non

207 Cfr. M. STELLA, Corso co111pleto di lezioni di Teologia Dogn1atica per uso delle scuole teologiche di Sicilia, 4 voi!., Catania-Messina !834-1841. Dello Stella si conosce ancora il seguente discorso: /11110 per !e 1 ittorie riportate dal salvatore de/l'Italia Garibaldi a favore dell'Italia 1111a ed indivisibife, Messina 186 ! . Alla dottrina ed alla metodologia dello Stella si oppone, in no1nc dcl!a tradizione e dell'ortodossia, F. P!atania, professore di Teologia dog1natica all'università di Catania (cfr. F. PLATANI/\, fnstitutiones Theologiae Dogn1aticae ad 11su1n sic11/on1111 clericon1111 cditae, 3 voli., Catinae 1836). 208 Tra i regalisti ricordiaino il prete Di Marzo (cfr. G. DI MARZO, «Prefazione» ad A. l'\10NGITOl<E, Diario), il canonico Di Chiara (cfr. S. DI CH!Al<A, Adnotationes ad reni ca11011ica111 e sic11!0 jure depro111ptae cl 11110 in volu111i11e separatitn congestae, Panonni 1833; ID., !Jirilfo pubblico ecclesiastico di .5icilia, Palern10 J 836; ID., Opuscoli editi, i11ediri, e rari s11I diritto pubblico ecclesiaslico e sulla le1terat11ro del Medio EFo in Sicilia. Raccolti e corredati di prefazione e di note da Agostino Gal/o, Palern10 1855), il Castiglia, un vero e proprio ghibellino (cfr. B. CASTIGLIA, Arnaldo da Bresch1 o l'eresia dei Papi, Palenno l 860; ID., Ln fàlsità del Cristia11esi1110 att11ale, cristianesùno vero, la religione unica tra i popoli, Palenno 1860), il Laudicina ccl il Gallo, arterici tn1 i pili significativi del Codice Ecclesiastico Sicolo (cfr. G. LAUDJCINA, Manuole teorico pratico della procedura ecclesiastica di Sicilia, Palcrrno 1843; A. GALLO, Codice Ecclesiastico Sico!o, cit.). 1


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provocare reazioni. E noi abbia1no già accennato sia alle critiche 1ivolte all'ecclesiologia del Filippone, inclusa la condanna all'Indice da parte di Roma, sia agli apprezzamenti positivi espressi nei confronti di essa209 • La posizione teologica del Filippone si pone in uno dei poli della tensione ecclesiologica che caratterizzava la riflessione dei teologi palermitani. Nel polo opposto incontriamo il gesuita E. Bottalla, il guale insegnò teologia dogmatica al Collegio Massimo di Palermo e teologia dogmatica e diritto canonico nel seminario di Catania. Nella sua opera di istituzione teologica"" egli si lascia anche condurre da istanze polen1iche nei confronti dci teologi regalisti e gallicani dell'intera Sicilia, a partire dal Filippone, e, occupandosi, tra l'altro, delle prerogative dcl papa, ne difende il primato, la superiorità sul concilio e l'infallibilità personale. Quella del Bottalla è una voce contraria alle tendenze ecclesiologiche giurisdizionalista e gallicana, ma è innegabile che si collochi all'interno della posizione ultramontana, che avrebbe finito con il prevalere. Un orientamento ccclesiologico che si impone certan1ente per la sua portata ultramontana, ma soprattutto per la sua peculiarità, è quella di Melchiorre Galeotti. Lo scolopio fu un prete liberale e, nel contempo, zelante, ma per ragioni prettamente teologiche. La sua formazione teologica è molto eloquente: allo studio dci Padri della Chiesa, del Rosrnini 211 e del Miihler21 ' egli attinge una

2119

Vcdi supra note 187-190. crr. E. BorrALLA, E\ 11niFersa theofogia se!ecta dogn/(I({/ ad disp11/({11d1011 proposaa in aula Coller;i A4a.ri111i pa11on11ita11i, Panonni l 857. 211 Cfr. specialn1cnte A. Rostvl!Nl, Delle cinque pi{/ghe della Santa Chies{I. Trattato dedicato {I/ Clero Cal!o/ico, Lugano 1848. Il Roveretano sollopone ad esainc ed a critica la divisione dal popolo dal clero nel cullo pubblico (piaga della 111a110 sinistra), l'insufficiente for111azione del clero (piaga della inano destra), la disunione elci vescovi (piaga del costato), la no1nina dci vescovi (piaga del piede destro) cd i beni ecclesiastici (piaga dcl piede sinistro). 212 Ricorcliarno !e opere prìncipali di J. A. MdHLER, Die Ei11heit in der Kirche, oder das Prùnip des Kathofizis111us, dargestellt ù11 Geist der Kirchenviiler der drei erslen Jahrh1111derte, Tiiblngen l 825; Io., A1ha11asius der Cìrt?f1e w1d die Kirche seiner Zeil ù11 Ka1111~fe 111it den1 Aria11is11111s, Mainz ! 827; Io., Syn1bo!ik oder f)arstellung der dog111atischen Gegensiitze der K{/fho/ischen und Protestanten, nach ihren dffentlichen 21()


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ecclesiologia evangelica, dinamica ed aperta sia ai segni operati dallo Spirito che ai segni dei tempi scaturenti dal mondo, dalla storia e dall'uomo. La visione galeottiana della Chiesa, nel suo nucleo teologico, implica innanzitutto l'idea complessa di corpo vivificato dallo Spirito in comunione organica di vita con il Cristo. Una tale profonda prospettiva ecclesiologica, ancorché attenta al ruolo dello Spirito ed ai carismi, non riesce a chiarire il rapporto tra la struttura carismatica, che pervade la comunità ecclesiale in tutte le sue dimensioni, e la gerarchia, fattore privilegiato di unità della medesima co1nunità. Come già Cipriano di Cartagine, il Galeolti riconosce la vera Chiesa di Cristo nella comunità riunita attorno al pontefice romano ed ai vescovi. In tal modo, la Chiesa svela il suo autentico volto di con1unione nello Spirito, convocata per celebrare il n1istcro inediante la visibilità dei sacramenti e del 1ninislero gerarchico. Il Galeotti) convinto che nessuna dottrina gallicana e nessuna dottrina de1nocratica potranno 1na1 scalfire una tale struttura sacran1entale e 1ninistcriale, sviluppa una coerente riflessione ecclesiologica. Per mezzo di essa egli, per un verso, intende offrire validi spunti di riflessione critica a quella parte del clero siciliano che ritiene ancora fattori irrinunziabili di libertà per la Chiesa gli istituti tradizionali della Legazia Apostolica e del Tribunale di Monarchia Sicula e che legittima questa prospettiva con la dottrina gallicana, che prevede anche l'intervento del potere politico, e, per un altro verso, vuole dare indicazioni precise circa un nuovo e ben più autentico polo di aggregazione, in vista della libertà della Chiesa, un polo costituito dal pontificato romano e da un episcopato in piena con1unionc con esso 2 L1. Be!a'1111t11ìs.w;/11·;f1e11, Mai nz 1832. Le opere dcl M6hler sono conosciute e studiale in Sicilia. A 1110' di cseinpio ricordinn10 un personaggio cli rernola periferia, i! prelc agrigentino P. Lucido, arciprete di Alessandria della Rocca, che contcstn per ragioni ecclesio!ogichc e sacraincntarie gli scis1nrl!ici di Grolle e che in un suo panegirico cit;:1 un passo della Sin1holica ciel Mòhlcr (crr. P. LUCIDO, U1 Vergine SS. della Sale!!c, panegirico del bene.{tci(l/e Pietro Lucido arcierete di Alessandria della Rocca dedicato a S. E. Rev.1110 orcidiocono Cibi/aro, [... / con 1111r1 dissertoz.ione sullo res/u11raz.ione del principio di outorità, Girgcnti 1869, 35). 2 1.ì Cfr. M. GALEOTJ'i, S11/ libro dello R1fon110 Co!!olico, in Gub. lef!. Ace. Gioenia ! 858 (si trs!ta di uno scan1bio di lellerc con V. Di (~iovanni su Lo R1for11u1


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La proposta ecclcsiologica del Galeotti implica, come si è potuto notare, due elementi: il mistero eristico e pneumatico del corpo di Cristo ed il ministero gerarchico. Se i due elementi fossero rimasti sempre congiunti, l'ecclesiologia siciliana sarebbe stata protagonista di una svolta dotata di uno spessore teologico di rara potenza e di rara finezza. Sennonché, 1 ele1nento che r1111ase fu solo quello istituzionale-gerarch ico 21 -'. 1

Cattolica di V. G!OI3ERTI raccolte in un volun1e; il testo dcl Galeotti si Lrova anche riportalo con1e Appendice a V. DI GIOVANNI, Scriffi apologetici, Palenno 1875, 115137); M. GALEOTTI, l)e/l'unità della Chiesa, libro di S. Cipria110, 1ersio11e italiona con 110/e e appendice di osservazioni s11gli errori attuali intorno al papato e alla Chiesa per M. G. pro.f di letfer({flfra e di eloquenza sacra nel se111i11ario arcivescovile di Pulenno, Palern10 1861 (si tralla di un volu1ne, le cui varie parli erano state pubblicate anoni1nc a puntale su! giornale Religione e Patria f1860J); lo., Del So1111110 Ponf<~fice, in Religione e Patria (1860) 2 (si tratta di un articolo anonin10 apparso sul giornale ind-icato e che lo Stabile, buon conoscitore dello stile e della n1enlaliLà ciel Galeotti, qual è Jcfr. F. M. STAl31LE, Il clero pa!ennitano, cit. 89], attribuisce con certezza allo scolopio cli origine palcrn1ilana); Io., U1 Sicilia e la S. Sede, l\1alta 1865; M. GALEOTJ"J, L'Autorilà della Chiesa. [)ispute e pole111iche con 1111 111inistro 1aldese, Ron1a 1866; Io., <<Prefazione>) a G. T. GHILARDI, L'Episcopato l!a!iano e la riJ!ol11zio11e d'Italia, Mondovì. 21 ..i Anche questo aspello della vicenda ha una storia. A Monreale, ne! 1862, l'arcivescovo francescano D'Acquisto, nei suoi tratrati teologici (cfr. B. D'ACQUISTO, Tra/fati di Teologia dog111a1ica, Palenno 1862), adottati ne! se1ninario diocesano per lo studio della teologia dogn1alica, svolge il trattato ecc!esiologico all'interno degli an1biti te1natici della rondazione e delle note della Chiesa, ed il particolare tenui clell'infal!ibilità co1ne proprietà della Chiesa, senza t~ll"e alcun accenno all'inra!libilità ciel papa. L'anno precedente, in un'opera fonnal!nente non teologica, il 1nedcsin10 arcivescovo, che pure sostiene con brevit8 1na anche con forza il pri1nato dcl papa (cfr. B. D'ACQUISTO, Su!!a 11ecessità dell'a11tori1à e della legge, Palenno !856, 1861 2, 176), attribuisce l'infallibilit8 alla Chiesa e la fa scaturire dall'a;>;ionc dello Spirito e dal deposito della verità eia essa custodito (cfr. ibid., 188s). Tuttavia, si tratta cli nccenni, fatti al di fuori di un discorso organico e sisteinatico, ccrtan1cnlc superati sulla linea clell'ellicacia da espressioni enfatiche su! rontefice ron1ano del tipo di quella, che abbiaino già ricordato: «il Papa [ ... ] non deve considerarsi con1e un sc1nplice uon10, 1na quasi Dio)> (crr. i bi d., 175). A Palli, nel l 866, il vescovo M. Celesia, futuro cardinale arcivescovo cli Palenno (c!'r. ivt. CELES!A, Opere /Hlslorali edite e inedite, voi. IV: Lo spirito del cattolicesù110, Pa!cnno 1888), in una sua lettern pnstornle, che è un vero e proprio trattato cli ecclesiologia, si occupn, tra l'altro, dcll'aulorili1 e dell'infallibilità della Chiesa. Quanto all'infnllibilità, l'autore individua sia il titolare, che è !a Chicsn, sia !'organo, che è il pontefice ron1ano, n1a non si preoccupa di svilupparla ed approfondirla in riferi1ncnto né alla Chiesa con1e coinunilà crisliana, né al collegio episcopale riunito in Concilio, né, infine, al sens11s fide i ciel popolo di Dio. A Catania F. Coca Licciarclel!o, professore presso il scrninario diocesano, si occupa anche di te1ni ccc!csiologici: trattando dell'nulorità, 1

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due orientamenti Intanto a Palermo la tensione tra ecclesiologici s1 faceva sen1pre più forte, ma era destinata ad estinguersi, e non tanto e, comunque, non 111 pr11na istanza per il prevalere di un orientamento sull'altro, in virtù della cogenza logica e teoretica dei discorsi, ma in virtù delle vicende storiche legate all'unione della Sicilia al Regno d'Italia. Il plebiscito fu solo un fattore formale opportuno, ma di fatto si trattò cli annessione. Nel nuovo equilibrio generale, che ne scaturì, la Chiesa siciliana si trovò cli fronte a percorsi sconosciuti, dei quali, a causa della contingenza delle circostanze, furono seguiti solo quelli che ne cancellarono ogni possibilità cli sviluppo ecclesiologieo originale. Gli altri percorsi, se fossero stati praticati, avrebbero potuto avviare una vera e propria svolta ecclesiologica originale. Fennian10 la nostra attenzione sulla contingenza delle circostanze, che rese percorribili soltanto alcuni itinerari. II pr11no elemento contingente, che contribuì in n1odo decisivo alla creazione di quel clin1a tipico della radicalizzazione e della esasperazione delle posizioni e degli orientamenti, è costituito dal trattamento riservalo alla Chiesa subito dopo il '60: le delusioni alienarono molti animi e li resero timorosi e diffidenti circa il futuro della vita della Chiesa 111 Sicilia e circa il destino del papa. Il nuovo governo liberale e, all'inizio, ancora giurisdizionalista, continuò ed aggravò la precedente politica, interferendo maggiormente nella vita interna della Chiesa siciliana2 1.'i ed ispirandosi in maniera più disinvolta al favoritisn10. E

egli affcnna che la Chiesa hn una struttura 1nonarchica con a! vertice il rapa (cfr. F. Coco LICCIARDr~u.o, Catechis1110 sociale ossia 11oz.io11i 111orali giuridiche sulle società, scz. Il, Catania 1869). 215 Possono bastare due escn1pi: il 19 ottobre 1860 il prodittatore annullò l'erricacia dcl breve Pec11!iarib11s di Pio JX del 1856, ritirando l'exequatur a suo Len1po concesso dall'autoritì1 borbonica, con la conseguenza che le competenze del tribunnlc di IV!onarchìa Sicula, ridotte da Pio IX, venivano riattivate ncl!a fonnn pili an1pin e rivendicativa (cfr. Raccolta di leggi de!!a dittatura e della proditta/t11Y1, Palcnno 1861, 520; cfr. nncora G. D' Alv!EUO, Staro e Chiesa. La legisloz.ione ecclesiasticu fino al 1867, Milano 1961, 171); il 30 dice1nbre dello stesso anno il luogotenente Montezen10!0, n1ediantc l'abrogazione del decreto del governo borbonico dcl 1857 che aveva reso pili clastico l'uso del regio exequatur, ripristinava le vecchie nonne e ne estendeva di nuovo !'ohbligo a tutti e singoli gli atti e clocuinenli ecclesiastici (cfr.


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non si trattò soltanto di rafforzamento del controllo della Chiesa da parte dello Stato, ma di qualcosa di più profondo: il nuovo tipo di Stato, pur rafforzando il controllo, non offriva nessuna delle contropartite, vere o apparenti che fossero, che l'antico regime borbonico offriva, e cioè la tutela, la condivisione e la difesa della moralità ed il trattamento privilegiato. Ormai lo Stato era laico, orientato in 1nodo irreversibile su una pista di secolarizzazione e deciso a trovare fonti di eticità in riserve ideali diverse da quelle offerte tradizionalmente dalla Chiesa cattolica. Se a questo si aggiunge che, a lungo andare e tutto sommato, era interesse dello stesso Stato lasciar decantare e decadere ogni residuo di giurisdizionalismo, per il clero giurisdizionalista e per la sua ecclesiologia non esisteva più alcuna prospettiva di futuro. La libertà dal controllo dello Stato era l'unica alternativa possibile ad una tale situazione; ed era una pre1nessa che faceva ben sperare in tennini di rifonna della Chiesa. Tuttavia, è doveroso osservare che solo alcuni tra i preti liberali capirono in profondità la situazione ed il 1nomento storico, e tra questi è Vincenzo Di Giovanni; i più si trovano nelle file dei preti zelanti; e tra questi è, come abbiamo già visto, Melchiorre Galeotti; ma non tutti ebbero uguali convincin1enti ccclesiologici. Ovviamente le scissioni del clero in campo ccclesiologico non potevano non generare l'esigenza di un ripensa1nento. Cosa che avvenne: la n1aggior parte del clero siciliano e palennitano non fu intransigente, tuttavia le vicende storiche l'avevano spinto a mettere da parte gli entusias1ni rivoluzionari ed i convincimenti gallicani, regalisti e giurisdizionalisti cd a trovare una nuova for111a di unità attorno all'episcopato ed attorno al papa. D'altra parte il nuovo governo giurisdizionalista era assolutamente disinteressato a proteggere le Chiese locali contro gli abusi della curia romana, cd invece era sempre più forte1nente in1pegnnto a fondare la sua visione dell'eticità su valori secolari.

ASAP, Carte Nasefli, I, f. 228; cfr. ancora F. M. STABILE, li clero palennitano, ciL., 84 nota 21).


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Certamente si può dire che, pur nella varietà delle posizioni e degli orientamenti e nei limiti delle idee, la maggior parte del clero s1 rese conto di ciò che era in gioco, si prestò alla idealizzazione della figura del papa, orientandosi nel senso del peculiare ultramontanesimo siciliano, e si dispose alla celebrazione del Concilio Vaticano, ormai prossi1no. Ma il cli1na pole1nico non si attenuò 21 6, anzi divenne più rovente nella primavera del 1870, m seguito alla scomparsa dell'arcivescovo palermitano Giovanni Battista Naselli. Intanto, il Concilio Vaticano I con la Constitutio dogmatica I "Pastor aeternus" de Ecclesia Christi del 18 luglio 1870 definiva il pri1nato e l'infallibilità del pontefice ro1nano 217 . Le reaz10111 in lerra siciliana sono di generale accetlazione 218 , ad eccezione di qualche

21 (' I segni del clirna rovente sono 1nolto evidenti negli scritti seguenti: Vantaggi del Concilio ec11111e11ico, in Sicilia ca!fo!ica ( 1869) 6: si sostiene che i! concilio dovrebbe essere una visibile 1nanifcstazionc di unità, un evento per incre1nentare il prin1ato dcl pontefice ro1nano, un'occasione per la Chiesa cli distinguersi e cli difendersi da! n1ondo e dalla secolarizzazione; non si ra alcun discorso sull'infsllibilità del papa; Il Concilio e i diriffi dello stato, in li Corriere Sicili({llO (1869) IL 120: si tratta di un giornale filogovernalivo che espri1ne i dubbi e le perplessità dello Stalo liberale di fronte wd un avveni1nenlo straordinario, qua! è appunto un Concilio ecun1enico; Appello al basso clero italiano della Società i11ter11azio11ale e111ancipatrice del clero cattolico, in L'Ape lb/ea (1869) n. 199, e in LL1 Luce (1869) n. 142; 1ncntre L'Ape lblea insulta pesante1nente gli autori dell'appello per la ragione che chiedono l'abolizione del celibato ecclesiastico e dell'autoritaris1no delle gerarchie ecclesiastiche e si dichiarano contrari al potere tc1nporale, La Luce ripropone ai preti gli antichi ideali sncercloLa!i di vita e di n1issione e raccon1anda al papa di rinunziare al regno terreno, se vuole vcran1cntc i! trionfo della Chiesa; L'Ape fh!ea (1869) nn. 216, 217, 218, 233: la polen1ica non accenna a di1ninuire: critica aspran1enlc i preti di oricntainento liberale e gallicano; L'Ape !bica (l 869) n. 236: l'autore si pronunzia inequivocabiln1enlc a favore dell 'infallibilità pontificia. 217 Cfr. Coli. Lac. 7, 482-487; DH 3050-3075. 218 Il 11011 piacei espresso il 13 luglio !870 dal vescovo di Caltnnissetta G. GuLLadauro nei confronti dello schctna di costituzione Pastor aeter1111s e la sua assenza dall'aula conciliare il 18 dello slesso 1nese in occasione della pro1nulgazione della constit11tio dogn1atica risponde, secondo il senso di una lettera inviala dallo stesso vescovo a papn Pio IX, più ad un caso di coscienza che ad una condivisione delle posizioni antinfallibiliste (cfr. J. D. MANSl,Sacrontn1 Co11cilion11n, voi. 53, 1012 ss; M. MACCARRONE, Il Concilio Vaticano I e il "Gior11a/e" di 111011s. Arrigoni, I, Padova 1966, 450ss; G. ZITO, La cura pastorale a Cata11ia .. ., cit., 74).


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atteggian1ento forte1nente critico, co1ne nel caso dell'ex gesuita Vincenzo Caprera219 e nel caso dello "scis1na'' di Grotte220 . Nel corso degli anni seguenti si verifica una vera e propria svolta ecclesiologica in senso ultra1nontano: il pontefice romano viene considerato non solo la soluzione dei guasti prodotti dalle tendenze ecclesiologiche giurisdizionaliste e gallicane, ma anche il titolare del primato universale ed il maestro infallibile dell'intera cattolicitit; lecclesiologia mohleriana, caratterizzata dalle grandi tensioni pneumatiche e comunitarie, viene ben presto din1enticata e sostituita

219 L'ex gesuita V. Caprera, trasferitosi da Caltanissetta a Palermo, intraprese l'attivilù di pubblicista (cfr. V. CA!-'!~ERA, Le superstizioni religiose h1 rapporto a!/'al'venire de!!a Chiesa cattolica e delfo Stato, Palenno 1871; lo., Jf do111i11io te111porale del Papa in opposizione al Vangelo, af/a Chiesa cd al Popolo italiano, Pnlcrrno 187 l; il giornale Patrfr1 e Vangelo, stainpato dal sette1nbre 187 ! al rnarzo 1872, fu diretto e quasi totalmente scrillo dal Caprera). Si traila di un caso di aueggia1ncnto forte1nente critico sostenuto eia una riflessione teologica. Le Lesi proposte dal Caprera concernono la critica dell'apparato clcricnle e superstizioso della Chiesa e dell'ipocrisia e dcl fariseis1no di Lanti ecclesiastici, la denunzia dc! potere lcn1porale dci papi e delle procedure della non1ina dei vescovi co1nc antievangelici, l'adozione di tesi vetero-cattoliche sulle Chiesa e sulle con1pcten7,C ciel popolo cristiano. 220 La vicenda drainrnatica clenon1inata "scisn1a di Grotte" ( 1873-l 879), che segnò la Chiesa di Girgcnli subito dopo il Vaticano I a! te1npo dell'episcopato ciel palcnnitano D. Turano, è un caso dì eresia 1notivato anche teologican1ente con dottrine annloghe a quelle vetero-cattoliche, 1na scaturito da una situazione ecclesiale contingente. Al rifiuto opposto dal vescovo D. Turano alla no1nina ciel prete L. Sciarratla ad arciprete cli Grolle segue una vera e propria ribellione, con la conseguente giustificazione teologica. Le idee pili rilevanti concernono l'organizzazione presbiteriana della Chiesa, l'illegillin1ilà de! vescovo Turano, no1ninato eia Ron1a e non eletto dal clero della diocesi e la negazione dell'ordinan1cnto gerarchico della Chiesa e della distinzione Lra vescovi e preti. Lo scis1na viene acco1npagnato dal!a riflessione e dagli scritti dei protagonisti di tutte le parli in causa: intervengono gli scisn1aLici, gli ortodossi, il vescovo di Girgcnli cd altri; I Lettera del etero di Grof!e (19 scttcrnbre 1873) agli ecclesiastici cd ai nobili della diocesi di Girgcnti; Lettera dei /Hl!'roci agrigentini/. Caro.fa/o e f). F. S"'pa/Jna in risposta ai ribcf!i; fl Lettera del clero di Grotte agli ecclesiastici ed ai nobili della diocesi cli Girgenti; Elogio dei JJreti ribelli e Petizione al Parla111ento Italiano, in Il Diocesano ( 1873) n. 11; Il Vescol'o e il clero della diocesi agrigentina contro il libercolo sci.1·111otico del co11111ne di Grolle, Girgcnti 1874: questo lesto contiene le dichiarazioni di fedeltà a!!a Chiesa e di solidarietù con il vescovo agrigentino provenienti dal clero e dalle altre cornponenli della diocesi cd una lettera pastorale dcl Turano; lii Lettera del clero di Grotte (1874) agli ecclesiastici ed ai nobili di Girgenti.


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da una prospettiva ecclesiologica dagli evidenti tratti giuridici e verticistici, fino alla quasi dissoluzione della realtà ecclesiale nel fatto e nelle prerogative dell'autorità ecclesiastica, in genere, e del pontefice romano, in specie. Ciò si verifica lungo un notevole arco di tempo; e cioè: nell'opera ecclesiologica dell'arcivescovo palermitano 221 Michelangelo Celesia , nello scritto sull'infallibilità del papa di Paolo Bottalla222, nella dogmatica del teologo palermitano Francesco Ragusa 22 \ in alcune opere del teologo gesuita Emn1anuele Bottalla22 •1, in uno scritto di Salvatore Di Pietro, prefetto degli studi del seminario di Palenno 225, nel giarrese Giuseppe Alessi 226 e in Pietro Marcatajo, professore di leologia dogmatica nel seminario di Palermo 221 . A questa prospettiva ecclesiologica si accompagna un atteggiamento fortemente misticheggiante intorno al papa ed alla Chiesa. E ciò comporta delle conseguenze, tra le quali è implicata l'inconciliabilità tra Chiesa e mondo e, dunque, per un verso, l'irrilevanza di una vita culturale della Chiesa all'interno della città degli uomini e, per un altro verso, la ricerca da parte della Chiesa di

221 Cfr. M. CELES!A, Opere pastorali ... , cit., voi. IV, lo spirito del caffolicesùno, Palern10 1888. 222 Cfr. P. BO'TTALLA, L'Autorità Ù(/allibile del Papa nella Chiesa e !e sue relazioni collo stato, Palcrn10 ! 880. Di P. BotLalla si ricordano le altre seguenti opere: E\ 1111iversa philosophia capita selecla, Palenno 1843; I !'api e lo /iber!ù d'Italia. Discorso filosofico, Palenno 1849; Corso di storìa e geogrqfia universale, Palern10 1850; Orazione pei solenni funerali celebrati dall'opera della ptO/hlgozione della.fede nella chiesa di casa pro.fessa, Palenno l 851; t:sequie a1111i\!ersarie di 111011s. Angelo Fi!ippone, Palenno 1852; Co111pe11dio di sfori(/ antica e 111oder11a, 2 vo!!., Palern10 1853-1854; S. Spirito o la chiesa del Vespro. Appunti e note, Palcnno l 885:>; Storia de!!n vita e della do!!rina del grande apos!o!o S. Paolo, Torino 1891. 22.' Cfr. F. RAGUSA, Scrilli editi e inediti, 7 voli., Trapani 1885-1891, voi. IV: 1890, capo Il. 22 "' Cfr. E. BOTIALLA, Il Si!!abo e !'enciclica «Qllanla Cura», preceduti d(/ una esposizione teologica de!!a costit11zione Paslor aeten111s, Catania 1882; ID., Co11fere11za pel Giubileo Episcopale de! papa Leone Xl!/ il 19 febbraio 1893, Catania 1893. 225 Cfr. S. Dr PIETRO, San Pietro l'f\!ente nel Ro111a110 Po1111ficato, Siena 1884. 226 Cfr. G. ALESSJ, Co1(fere11ze Q11aresi111a!i, II, Giarrc 1907: ConL XXXIII: «La Chiesa Cattolica»; Conf. XXXIV: «L'Jnfa!libilit8 Pontificia»; IV, Giarre 1908: Conf. LIII: «La Chiesa nostra Maestra)); Conf. LVI: «Pietro e l'autorità»; Conr. ulti1na: «La Chiesa e l 'A vvenirc». 227 Cfr. P. MARCATAJO, \lerso l'e1er110, 3 voli., Palern10 1938, 1946~.


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vie culturali sen1pre più esoteriche; gli studi ecclesiastici venivano 111 prima linea. Per di più, la vittoria dell'ultramontanesimo ha impedito che i fattori più qualificanti e caratterizzanti della prospettiva ccclesiologica veramente teologica di Melchiorre Galeotti, e precisamente i dati circa lo spessore pneu1natico e sacramentale della vita della co1nunità cristiana, si intrecciassero con lesperienza secolare della Chiesa siciliana. È nostra opinione che l'ecclesiologia siciliana avrebbe potuto prendere un orienta1nento fecondo in occasione della revisione dell'antico istituto storico siciliano della Legazia Apostolica. Solo che tale istituto fu travolto, innanzitutto, dalla scomparsa dello Stato sovrano "Regno di Sicilia", l'unica realtà che avrebbe potuto rivendicare e difenderc·diritti, e poi da errori di 1netodo con1messi dai vari soggetti che se ne occuparono: in mano al nuovo governo italiano fu, in un primo tempo, uno strumento da sfruttare e, in seguito, un residuato storico, incomprensibile ed inutile, da lasciar cadere nell'oblio; in mano alla S. Sede fu un grave intralcio all'azione della Chiesa ro1nana in terra siciliana228 ; in 1nano ai vescovi siciliani fu una realtà scottante di cui liberarsi al più presto; infine, in mano ai teologi fu una occasione di contrasti irriducibili tra pro e contra, ridollisi con il tempo a sterili esercitazioni ed a nostalgici rimpianti'"- In fondo, si può dire che si contribuì da ogni parte a squalificare ed a far crollare un istituto che, rivisto alla luce di una ecclesiologia aggiornata e veramente teologica, avrebbe potuto costituire una 1nagnifica occasione per una organizzazione ecclesiale autonon1a e, tuttavia, in con1unionc con la Chiesa ro1nana, forte1nente nonnata da tensioni pneu1natiche, carismatiche e comunitarie. Ma, i vescovi "colonizzatori", preparati opportunan1ente dal I' episcopato palermitano del cardinale Michelangelo Celesia furono inviati da

228 Crr. F. RENDA, Pro.filo storico: Chiesa e società in Sicilia da!/'(J11i1à al Concilio Vaticano Il, in AA.VY., La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano Il, a cura di F. D' Arcais, Caltanissetta-Ro1na 1994, 34ss. 229 Vedi supra nota 198.


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Ro1na non soltanto a concludere una vicenda storica incancrenita dal tempo e dagli avvenin1enti cd a 111utare la mentalità conseguente, n1a anche a ricondurre o, più precisamente, a ridurre la storia della Chiesa siciliana a quella della Chiesa ro1nana 2-10 •

3. LA SOPPRESSIONE DELLE FACOLTÀ TEOLOGICHE

Un'indagine esauriente sulla soppressione delle facoltà cl i teologia nelle università italiane, soppressione che ha travolto anche quella dell'ateneo palermitano, ci porterebbe su una pista molto

distante rispetto a quelle percorse finora in questo nostro breve lavoro. Nella presente circostanza ci lin1itere1no a parlare di alcuni dati essenziali e, con1unque, sufficienti per con1prenclere la gravith di un evento carico di conseguenze2 ·'i. In generale, si può dire sia che si è trattalo di un fallo ben altro che indolore, sia che l'abolizione è stata preceduta da un dibattito parla1nentare che ha, certo, assunto anche toni poleinici, ina che ha raggiunto e mantenuto livelli notevoli di civiltà e dignità di atteggiamento e di serietà e profondità di argomentazioni. Osservando il fatto a distanza e dall'esterno, non si può non essere d'accordo con Giovanni Spadolini quando dice che le facoltà di teologia in Italia sono cadute sotto i colpi del liberalismom, ma se lo si esa1nina nell'arlicolato ordito dei suoi fattori, e sia diacronican1ente che sincronican1ente, non si può non nolare che l'evento della soppressione, effetto innegabilmente immediato cli una legge del

2 0 -' Quanto ai vescovi colonizzatori, a! fine di verificare la parlc avula da Ro111a e quella avula dall'episcopato siciliano nella loro non1ina, è necessario ;lltendcre l'apertura degli archivi vaticani dell'epoca. ni Per un avvio adegu;:Ho allo studio dcl problcn1a della soppressione delle facoltà di teologia nelle universil~ italiane c!'r. F. SCADUTO, L'abolizione delfe Facoltà di Teofagia in Italia ( 1873). Studio storico-critico, Firenze 1886; B. f<'ERRARI, op. cit .. 2·12 Cfr. G. SrADOLJNI, L'opposizione cattofica da Porta Pia al '98, Pircnze 1954, 77.


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nuovo Stato unitario italiano, è il fì·utto maturo di una serie, lunga e posta a tutti i livelli, di atteggiamenti, di progetti, di decisioni e di gesti.

3.1. Le cause contestuali Per cause contestuali intendiamo tutte quelle componenti che in un arco di tempo più o meno lungo hanno consentito il sorgere dell'idea della possibilità di eliminare dal mondo accademico civile quella che, secondo l'impostazione medioevale degli studi, era considerata la regina scientiarunJ. onu1iu1n. Di primo acchito si potrebbe pensare che il Sitz im Leben, e cioè una siffalta situazione discorsiva contestuale, sia slata frutto dell'opera nefanda di avversari a tutti i livelli, e certo questo in parte è un fattore innegabile, 111a è necessario prendere in considerazione allri dati, strettamente legati ad alcune decisioni prese dalla Chiesa in materia di studi ecclesiastici ed alla politica ecclesiastica venutasi a deter1ninare lungo i secoli, ed in particolare al tempo dell'unificazione politica della penisola italiana ed al tempo del dibattito parlamentare circa il destino delle facoltà teologiche nelle università del Regno d'Italia. Il Concilio di Trento, all'interno del suo ampio programma di riforma della Chiesa, aveva stabilito che tutte le diocesi istituissero seminari per la formazione completa dei candidati agli ordini'''. Con una tale decisione il Tridentino aveva certamente sortito I' effelto benefico di attribuire ad ogni diocesi la responsabilità della formazione del proprio clero, ma aveva posto, senza rendersene conto ed al di là delle proprie intenzioni, la prima pietra di quell'edificio ideologico della separazione lra cultura sacra e cultura profana e tra cultura un1anìstico-letteraria e cultura scientifica. Se la prin1a

separazione

costituì

la

base

della

nascita

del

processo

di

allontanan1ento tra Chiesa e n1ondo, la seconda pose il scn1e per il sorgere dello iato tra cultura u1nanistica, riservata ad aristocratici cd ecclesiastici, e cultura tecnica e scientifica, divenuta ben presto

Ll-'CoNC/LlUM TR!Dl~NTINUM, Scssio XXIII,

super ref, c. 18.


252

Francesco Conigliaro

appannaggio della borghesia, che, anche per questo motivo, finì con lavere ragione di tutte le altre forze operanti nel l'ambito della società. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che gli studi ecclesiastici dei sen1inari diocesani furono organizzati sotlo l'aulorità monarchica e monocorde dei vescovi, che ben presto assunsero un atteggia1nento refrattario, la situazione generale diventa se1npre più chiara. I vescovi, tuttavia, non agirono in tal modo per un mero fenomeno di sindrome da refrattarietà, ma piuttosto perché s1 sentirono con1e circondati da un n1ondo caratterizzato da una ostilità crescente. Essi divennero pensosi e preoccupati a causa delle conseguenze della riforma, del cli1na non ortodosso dcl giansenlsn10, delle tesi ecclesiologiche gallicane e giurisdizionaliste, delle ideologie aggressive dell'illuminismo, della mentalità ora indifferente ora aggressiva del liberalismo, delle tesi della sinistra ora utopista e radicale, ora rivoluzionaria e giacobina. Ciò che convinse i vescovi a disi1npegnarsi definitiva1nente nei confronti delle facoltà teologiche delle università statali fu il fatto che in esse si trovavano ad insegnare professori cli orienta1nento giansenista, gallicano, giurisdizionalista e liberale. Tali orientamenti divennero sempre più consistenti, soprattutto dopo la soppressione della Con1pagnia di Gesù, e la loro caratteristica più appariscente fu l'atteggiamento tutt'altro che favorevole alla Chiesa di Roma. Anche per l'opera di principi illuminati, e per l'Italia ricordiamo Vittorio Amedeo Il di Savoia e Leopoldo Il di Toscana, le università finirono con il diventare laboratori di idee non ortodosse e strumenti statali efficaci per arginare e controllare l'influenza della Chiesa. Anticurialis1no e regalisn10 procedevano di pari passo23 -+.

n-+ Cfr. S. MAJTEI, tìJisrolario (1700-1775), a cura di Garibollo, Milano 1955; F. CoGNASSO, Vira di c11/r11ra in Pie111onte, in Storia del Pie111011te, II, Torino, 683; A. W ADRUSZKA, Leopold Il. Erzherzog 1 011 ()sterreich, Grossherzog \!011 Toscana, Kaiser vo11 Ungarn und /3i.i/u11en, R0111ischer Kaiser, 2 voll., Wien - MUnchcn 1963-1965; G. MARTINA, Nuovi studi sul nfor111is1110 del Sel!ecento, in La Cil'iltà Cattolica, 1966, Il, 1

152-156.


Note sulla Facoltà di Teologfrt dell'Università di Palermo

253

E se, ad esempio, all'università di Freiburg in Germania poterono insegnare per qualche tempo teologia docenti miscredenti, come H. Schreiber e Karl Maria Alexander Reichling-Meldegg, ed a Torino insegnarono teologi di orientamento forte1nente 1 2 giusnaturalistica, con1e Lucio Ferraris e T. M. Richeri · 5, a Palermo tennero la cattedra di teologia dogmatica teologi come Paolo Filippone ed Antonino Criscuoli, le cui opere maggiori, decisamente contrarie al primato ed all'infallibilità del pontefice romano ed orientate in senso giurisdizionalistico, furono subito messe all'Indice dall'autorità ecclesiastica romana. In una tale situazione non ci si può stupire di fronte ad interventi dell'autorità ecclesiastica del tutto sfavorevoli nei confronti delle facoltà teologiche statali e chiaramente favorevoli alle scuole teologiche dei seminari, interventi del tipo della Esposizione papale del 1819 e dcl circolo di Mainz, raccolto nel corso degli anni '20 del XIX secolo attorno alla rivista Der Katholik ed al teologo Andreas Riiss 2J 6 • La diffidenza della Chiesa nei confronti delle facoltà teologiche statali ricevette una sottolineatura da quello che può essere definito il documento diffidente per eccellenza, e cioè il Syllabus di papa Pio IX del 1864: tra gli errori condannati dalla Chiesa si trova la seguente proposizione: fJhilosophicarrun rerun1 111oru111que scientia, iten1 civiles leges possunt et dehent a llivina ecclesiastica a11ctoritate lleclinare 2-17 • Ovviamente, le conseguenze della sfiducia della Chiesa nei confronti delle facoltà di teologia operanti nelle università statali e dell'atteggian1ento conseguente dei governi sono di entità diversa nei paesi gennanici e nei paesi latini: nell'Iinpero Asburgico non si ebbero modifiche rilevanti; in Germania, nonostante il Kulturkmnpf, rin1asero operanli e fiorenti; in Spagna hanno continuato a godere degli antichi privilegi; in Francia cd in Belgio poterono operare con

2-' 5 2-'<'

Cfr. B. FERRA!H, op. cii., 19-21. Cfr. L. LENl-IART, Katholik, in le.riko11 ftir Theo!ogie

1111d Kirche, V I, Freiburg i. B. 1961, 67s; F. SCHNABEL, Storia religiosa della Gen11a11ia del/ 'O!!ocento, trad. it., Brescia 1944. 2·' 7 Prus IX, Syl/ahus seu Co/lectio erronm1 in dil'ersi.1· Ac1is Pii IX proscriptor11n1, edilus 8. Dee. l 864, VI!: D11 2957.


Francesco Conigliaro

254

notevole prestigio all'interno di università libere cattoliche; in Italia scomparvero del tutto, condannate come furono ad una morte lenta dal disinteresse generale238 e dalla quasi totale assenza di studenti 239 •

nx lnlcrvcncndo alla can1era dci deputali il 25 aprile !872, il deputalo della sinistra Giuseppe Gucrzoni descrisse in lTIOÙO incisivo e redelc la situazione delle facoltà cli teologia, a partire dalla creazione dcl Regno d'Italia: «CoinbaLLutc ripctut;:unente nelle varie parti della Carnera, dal con1pianto De Bono al con1pianto Boggio, dall'onorevole Minghclti all'onorevole Bonghi; conchinnnle a lenta 1norte da

replicali voti <lclfr1 Ca1nera; to!lcratc più che riconosciute per lo spazio di dodici nnni dallo Stato; ripudiate dalla Chiesa; guardate con indifferenza dalla Filosofi<J; fuggite dai credenti; abbandonate dai laici; senza scuole, senza scolari, senza professori, non avendo cli vivo che il dente col quale rodono ogni anno scttantaeinquen1ila lire sull'erario dello Stato, io credo che le Facoltà cli Teologia siano orinai condannate per se1npre» (Alli Parlr1111e11tari, Ca111era, Discussioni, XI" legislatura, 2" Sessione, Tornala dcl 26 aprile 1872, 1728). Intervenendo al senato il 13 noven1bre 1873, il Casali si dichiarò ancora una volta a favore della soppressione delle facoltà cli teologia e disse che avrebbe voluto procedere alla soppressione già quando era 1ninislro della Pubblica Istruzione nell'antico Regno di Sardegna con la legge cli ristrutturazione generale degli studi dc! 13 nove1nbre l 859 n. 3795. Non avev<1 cl<1lo seguito ai suoi convinciincnti '1 c<1usa delle tante pressioni ricevute. Mn, allon.1, corne in seguito, i vescovi proibivano ai chierici di seguire i corsi di teologia all'università, sicché si era venuta a creare una situazione cli facoltà teologiche dotate cli ollin1i professori, rna prive di studenti (cfr. Alli Parh1111e11tari, Senato, l)iscussioni, Xla legislatura, 2" Sessione, Tornata dcl 16 gennaio 1873). 2 19 - B. Fcrrnri (crr. op. cit., 58s) presenta il quadro statistico degli studenti iscrilli nelle varie facolth teologiche slatali; 1859: studenli di teologia nel Regno: 67; università di Palenno:O; 1860: 56: O; 1861: 33; O; 1862: 18; O; 1863: 20; O: 12; O; 1864: 14; O; 1865: 16; O; 1866:

1867: 1868:

13; 17;

O;

1869:

16; O; 1870: 29; o. Basta appena osservare questa tabella sia per dare ragione al Ferrari, i! quale sostiene che le facollh cli teologia erano un vero e proprio corpus 111ort11u111 nelle universith italiane, sia per dire che la facolt~t di teologia cli Palenno finì con l'essere pratica1ncnte inesistente. Eppure, css<1, all'inizio del secolo XIX, contava 84 studenti (cfr. Le!fera dcl 30 aprile 1800 della Deput<1zione degli Studi al Re con !'annessa

Rassegna dei l)iscenti delle Scuole Superiori a 26 aprile 1800 in questa Real


Note sulla Facoltà di Teologia deLL 'Università di Palermo

25 5

3.2. L'iter legislativo della soppressione Il Regno di Sardegna aveva adottato, per il territorio su cui esercitava la sovranità, un piano organico per gli studi, n1cdiante la legge Casati del 13 novembre 1859 n. 3795, proposta appunto da G. Casati, ministro della Pubblica Istrnzione del Governo Cavour. In essa non si fa alcun riferimento alle facoltà di teologia, co1ne non se ne fa nei decreti, emanati dal governo del nuovo Regno d'Italia nei giorni 15, 19 e 20 del mese di settembre del 1860 ed in quello del 20 ottobre dello stesso anno, che estendevano la legge Casati alla nuova realtà politica. Con ciò si rende evidente l'idea di fare decadere le facoltà di teologia per consunzione interna, un'idea che avrebbe caratterizzato l'azione dci governi successivi: il governo s1 preoccupava di procedere, più che con la logica degl'interventi, con la logica delle 01n1ss1on1. Il 31 luglio 1862 è, al riguardo, una data estremamente significativa: nella legge approvata in quel giorno i n1igliora1nenti delle retribuzioni dei docenti universitari non vennero estesi ai docenti delle facoltà di teologia, e nei decreti applicativi della stessa legge circa 1 nuovi ordinan1enti degli studi superiori non si trova alcun riferimento all'ordinamento degli studi teologici. La cosa risultò speciosa fino al punto che Carlo Matteucci, ministro della Pubblica Istruzione del I Governo Rattazzi, sentì il bisogno di dichiarare alla camera di avere n1antcnuto, per leallà nei confronti della linea tenuta dal governo, I'ordina1nento vigente degli studi teologici, senza apportare alcun migliora1nento. Il 1ninistro aveva sentito il bisogno di giustificarsi in parlan1ento e di fronte aII'opinione pubblica in quanto in precedenza, ponendosi da 1noderato nella linea conciliatorista tenuta da! Cavour e lasciandosi condurre da spunti cli giurisdizionalisn10, aveva preparato un progetto di "riordinan1ento degli studi", che prevedeva non solo la conservazione delle facoltà di teologia presso le università statali, ma anche il loro potenzian1ento, al Acc({de111ù1 di P({/enno, in L. SAìvlPOLO, op. cii., doc. XXVIII, Appendice, LXXs; vedi supra nota 23).


Francesco Conig!iaro

256

fine, così egli diceva, di dare ai preti, chiamati ad assumere una grande responsabilità nella direzione spirituale di una parte non piccola della popolazione italiana, una formazione adeguata e, per di più, sotto la responsabilità dello Stato, invece di quella esclusivamente clericale ed insufficiente dei seminari. Facendo riferimento alle facoltà teologiche tedesche, il Matteucci intendeva garantire il livello ed il prestigio scientifici dei professori e lautorità dei vescovi, scegliendo i primi con il 1nassimo di allenzione ed attribuendo ai secondi, con opportune convenzioni, con1piti precisi nella designazione e nel riconoscin1ento dci professori e nel controllo della loro attività""· li Matteucci invitò, con una lettera del 21 giugno 1861, Carlo Cattaneo a reagire in tnaniera critica e propositiva al suo progetto. Questi gli rispose all'inizio del 1862 con una lettera pubblicata sul Pohtecnico 241 , in cui esprin1eva opinioni del tutto diverse, a partire dalle tesi di orientamento liberal-radicale circa il carattere non scientifico della teologia e circa la carenza di titoli legilti1ni per una facoltà teologica cli prendere parte alla vita di una vera comunità

accaden1ica. Nei giorni 12 e 13 del marzo 1863 la camera confermò la linea di tendenza già delineatasi, impegnando Michele Amari, ministro della Pubblica Istruzione del governo Farini-Minghetti, ad operare tenendo conto di due delibere con le quali lo si invitava sia a non 111ettere più a concorso le cattedre di teologia che si sarebbero rese vacanti, sia ad intervenire ancora una volta sulle facoltà di teologia nel contesto della legge di riforma degli studi universitari di prossima presentazione. La decisione di non provvedere più alle cattedre vacanti di teologia andava portando i suoi frutti. Infatti, il 25 marzo 1869, al deputato Angelo Messedaglia, che il giorno prima aveva proposto l'abolizione delle facoltà di teologia per ridurre il bilancio della

2

~°Cfr. N. BIANCHI, Carlo Matteucci e l'Italia del suo !e111po, Torino 1874; S. U1 crisi religiosa del Risorgi111e11!0 - IJ.1 politica ecclesiastica italiana d{! Vi//qji·a11ca a Porla Pia, Bari 1938; B. FERRAR!, op. cit., 43s, 53. 2 1 ~ Cfr. C. CATTANEO, Le/tera al Senatore A1atte11cci sul riordina111en!o degli studi in !rafia, in Scritti politici, a curr1 dì M. Boneschi, Ili, Firenze 1965, l l l-129.

]ACINI,


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

257

Pubblica Istruzione, Angelo Bargoni, ministro del III Governo Menabrea, rispose che non era il caso di procedere ad interventi legislativi, per la ragione che lo scopo poteva essere conseguito ugualmente con la scomparsa dei titolari e con la disattivazione delle cattedre ormai vacanti; ed in tal senso chiese ed ottenne il voto della ca1nera. Il IO aprile 1870 Cesare Correnti, ministro della Pubblica Istruzione del Governo Lanza e già titolare del medesimo dicastero nel mrn1stero Ricasoli, presentò un progetto di 'iegge volto alla soppressione delle facoltà di teologia nelle università statali. Il progetto, che nei suoi due articoli prevedeva la soppressione delle facoltà teologiche ed il trasferimento delle cattedre di lingue orientali e di storia ecclesiastica nelle facoltà di lettere e filosofia, non poté essere discusso in aula a motivo dello scioglimento ciel Parlamento. Ma il Correnti, rimasto al suo posto dopo le elezioni dcl 21 novembre 1870, ripresentò lo stesso progetto nel corso del 1871, e cioè il I 3 maggio cd i I 17 dicembre. TI 1ninistro 1notivò ripetutamente la sua proposta con una ideologica distinzione tra filosofia, che opera alla luce della ragione nell'ambito di una verità storica e che, pertanto, è di pertinenza dello Stato, ed una teologia, che, essendo mossa dalla fede e dalla grazia ed avendo co1ne oggetto la verità i1n1nutabile, appartiene esclusivarnentc alla competenza della Chiesa. Questi convincimenti non impedirono al Correnti di ipotizzare anche per l 'ltalia una soluzione del tipo di quella adottata in Belgio, e cioè la soppressione delle facoltà di teologia nelle università statali e l'istituzione in Ron1a di una università cattolica'"· R. Bonghi, che, alla prima presentazione del progetto Correnti, aveva proposto anche lui la soppressione delle facoltà di teologia, motivandola con il principio liberale della separazione tra Chiesa e Stato e tra le rispettive co1npetenze, alla seconda presentazione del medesimo progetto si dimostrò un oppositore

242 Cfr. Atti Par{a111enta11; Ca111era, Discussioni, XI" Legislatura, 2" Sessione, Tornata ciel 25 aprile 1872, J 708.


Francesco Conigliaro

258

irriducibile del ministro, m guanto, assumendo un indirizzo radicalmente opposto a quello precedente, difese, senza alcun ripensamento, la presenza delle facoltà teologiche nelle università statali. E le 1notivazioni sono di due ordini: la pri1na è volta a creare nelle università italiane una situazione analoga a quella tedesca della doppia facoltà di teologia, e cioè quella cattolica e quella evangelica; la seconda, caratterizzata da spunti di giurisdizionalisn10 e di anticlericalismo, insiste sul diritto-dovere dello Stato di non abdicare in nessun 1nodo al suo compito di controilare l'intera vita culturale del suo territorio e di in1pedire, con1e accade nei se1ninari ed in tutte le altre scuole ecclesiastiche, soggette esclusivan1ente all'autorità ecclesiastica, che vengano impartiti inscgna1nenti, così pensa il Bonghi, forte1nente li1nitati dai punti di vista spirituale, intelleltuale e n1orale2.i_i. Nel suo intervento alla camera del 26 aprile 1872, Domenico Berti riferisce di avere ricevuto una lettera di Davide Alessandro Riccardi di Netro, arcivescovo di Torino, nella quale, tra le altre cose, vengono rnessi in evidenza le contraddizioni tra la soppressione delle facoltà teologiche nelle universilà statali e l'attribuzione della responsabilità di esse sollanto alla Chiesa, onnai incapace di assun1erle in modo adeguato perché spogliata di tutti i suoi beni, e tra la partecipazione del clero a tutti gli oneri sociali e civili del paese, fino al n1antenin1ento dei professori atei e 1nassoni nelle scuole e nelle università, e la esclusione dai benefici derivanti dall'appartenenza ad esso. Non soltanto in forza di questa lettera n1a anche sulla base dci suoi convincin1enti, il Berti lamentò sia l'esclusione della Chiesa dall'università, sia la decadenza degli studi ecclesiastici e della conseguente fonnazione del clero. La sua proposta era di riforn1are le facoltà teologiche e di 1nantenerlc in una università anch'essa rifonnata, al fine di consentire al clero di studiare in strutture aperte e niodcrne e di aprire ai laici l'accesso agli studi teologici 2 ~- 1 .

2 -JJ

Cfr. A11; P({J"/({111e11tari, Ca111era, JJ;sc11ssioni, Xl" Legislatura, 2" ,)'essh)!/e, Tornata dc! 29 !lprile ! 872, 1788-J 790. 2.i..i Cfr. Atti Parfa111entari, Ca111era, Discussioni, Xl" LeKis!atlfra, 2" SesshJ11e, Tornata dei 26 aprile 1872, 1734.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

259

Il dibattito parlamentare toccò costantemente, con tutte le variazioni legate agli orientan1enti dei singoli parla1nentari che intervenivano, le tre proposte più importanti, alle quali tutte le altre potevano essere ricondotte, e cioè a quella del Correnti, che voleva l'abolizione delle facoltà teologiche, quella del Bonghi, che era volta a mantenerle ma solo sotto controllo statale, e quella del Berti, che vedeva la soluzione del problema solo nel loro mantenimento in una situazione radicalmente rinnovata sia delle facoltà sia delle università nelle quali esse dovevano operare. Il 1O maggio 1872 il progetto di legge venne presentato alla can1era per l'approvazione definitiva, che ebbe luogo con una n1aggioranza di 148 voti contro una ininoranza cli 67 voti, su 2 I 5 deputati presenti e votanti2~s. Il 13 maggio 1872 il ministro Correnti espose il suo progetto al senato. L'ufficio centrale del senato, chiamato ad esan1inare il progetto di legge, presentò il I O dicembre 1872 una Relazione, nella quale veniva proposta a maggioranza l'abolizione delle facoltà teologiche. L'unica voce contraria all'interno dell'ufficio centrale fu quella del senatore Giovanni Lauzi, e si levò solo per inotivi di stampo giurisdizionalistico, e cioè per affermare che all'interno del territorio dello Stato nessun insegnamento, neppure quello teologico, poteva sfuggire al suo controllo. Nel corso del dibattito, anche al senato si vennero a detenninare tre orientan1enti fondan1entali, espressi da tre personalità n1olto significative e rappresentative: Terenzio Mainiani s1 dichiarò faivorevolc alla soppressione, anche se si vedeva costrelto ad an1111ettere che una delle conseguenze di essa sarebbe stata l'accresciuta ignoranza del clero 24 ('; Francesco Vitelleschi Nobili si pronunziò a favore della libertà d'insegnamento, all'interno della quale doveva aver luogo la riforma degli studi, inclusi quelli che si facevano nelle

245

Cfr. B.

FERRAR!,

op cit., 143.

2 6

~ Cfr. Atti Par!a111e11tari, Senato, /Jiscussioni,

Tornata dcl l 6 gennaio 1873, 1327 ss.

Xl" legislatura, 2" Sessione,


260

Francesco Conigliaro

facoltà di teologiaw; Gaspare Finali parlò a favore della soppressione delle facoltù teologiche, adducendo tra le motivazioni il fatto che le facoltù, che si occupavano di teologia, e cioè di dogmi indiscutibili, erano contrarie allo spirito ed al metodo della scienza e, pertanto, non potevano trovare posto nelle università statali 2 ·18 • La votazione del 22 gennaio 1873, cui presero parte 75 senatori, ebbe un esito favorevole alla proposta di legge di 66 voti, a fronte cli 8 voti contrari e di una astensione. La legge di soppressione delle facoltù di teologia nelle università statali divenne legge dello Stato il 26 gennaio 1873 con la firma di Re Vittorio Emanuele II'"· Come abbiamo già avuto modo di rilevare, la soppressione delle facoltà cli teologia nelle università italiane è opera delle forze parlamentari prevalenti della destra e della sinistra. Sia che si tirassero tutte le conseguenze del principio liberale "Libera Chiesa in libero Stato", sia che si negasse alle discipline teologiche, in nome di una concezione restrittiva della scientificità, il dirilto di cittadinanza nelle università statali, la linea emergente era sempre la stessa, e cioè quella della soppressione. In tale contesto, il principio giurisdizionalista, che spinse non pochi parlamentari, appartenenti ai 111edesin1i oricnta1nenti politici testé indicati, a difendere il mantenimento delle facoltà teologiche nelle università statali, al fine di porre, senza alcuna

2 17 · Cfr. Alfi Parlan1e11tari, Senato, /Jiscussioni, Xl" Legisfo/11n1, 2" Sessione, Tornata dcl 16 gennaio 1873, 1330. 248 Cfr. Affi Parla111en!ari, Se11ato, Discussio11i, Xl" Legislatura, 2" Sessione, Tornala dcl 16 gennaio 1873, 1332. 24 'J La legge consta di due articoli cd ha la fonnulnzione uscitn dal senato, in cui era staio 1nodificalo l'arl. 2. Legge di soppressione, n. 1251 del 26 gennaio 1873: «Vittorio En1anuelc Il per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d'Italia. Il Senalo e la Cainera dei Derutati hanno approvato: Noi abbiamo s<inzionalo e pro1nulghia1no quanto segue: art. I) Le Facoltà cli Teologia ancora esistenti nelle università dello Staio vengono sciolte. arl. 2) Gli i11seg11an1enli cli queste racollù, i quali hanno un generale interesse di cullura storica, filologica e filosofica, potranno essere dati nelle faco!Lit di Lcllere e Filosofia, giusto il parere ciel Consiglio superiore di Pubblica Istruzione. Ordinian10 che la presente, 1nunita del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta ufficiale delle Leggi e dci Decreti dcl Regno d'Italia, n1anclanclo a chiunque spetti cli osservarla e di rari a osservare co1nc Legge dello Stato. Dato a Ron1a addì 26 gennaio 1873. Vi!Lorio E1nanuclc. V. il Guardasigilli De Falco. A. Scia!aLoj<P>.


Note sulla Facoltà di Teologia detl' Università di Palermo

261

eccezione, ogni istituzione culturale e scolastica sotto il controllo dello Stato, non ebbe successo. I cattolici, che pure avrebbero potuto dare un contributo costruttivo al dibattito parlamentare, furono sostanzialmente assenti, a 1notivo del non expedit curiale, che impediva loro la parlecipazione piena e diretta alla vita politica del giovane Stato italiano, abbandonando, così, la fondazione di esso e delle sue istituzioni nelle mam di forze, prevalentemente anti-cattoliche, a-cattoliche ed indifferenti. Il ricorso dei cattolici alla querelle piuttosto che all'impegno per salvare il salvabile e, comunque, per trarre il bene dal 1nale, fu non pure un errore strategico, che privò le forze poliliche do1ninanti di un interlocutore necessario ed il paese di una forza che avrebbe potuto dare un contributo prezioso ed un orientan1enlo diverso alla politica generale e particolare, soprattutto in direzione den1ocratica250 , n1a anche un segno della loro incapacità di percepire la sostanza e la portala della posta che era in gioco in un n1on1ento storico tanto serio. I pochi caltolici che erano in parlamento, ad eccezione di qualche caso, si estraniarono dal dibattito. Oltretutto, nel parlamento uscito dalle elezioni del 21 novembre 1870 non sedevano più personalità come Vito D'Ondes Reggio, Paris Maria Salvago ed Augusto Conti, capaci di farsi carico degli interessi cattolici nel dibattito parlamentare che sarebbe diventalo sempre più impegnativo. Altri rimasti in parlamento, come Giovanni Bartolucci, Giuseppe Toscanelli e Claudio Alli-Maccaroni, che pure erano stati molto attivi nel corso del dibattito sulla legge delle Guarentigie, non dimostrarono alcun interesse per il dibattito intorno alle facollà teologiche 251 • Solo alcuni fecero sentire la loro voce, 1na pratica1nenle si tratta di due cattolici liberali, che dunque non erano lontani, per molti aspetti, dalle idee politiche dominanti. Si tratta del deputato Domenico Carutti di Contogno e del senatore Achille Mauri.

2-'i°Cfr. 251

f'. RENDA, op. cii., 33s. Cfr. B. f'ERRARI, op. cit., l64s.


262

Francesco Conigliaro

Nel dibattito seguito alla presentazione da parte del ministro Correnti circa la soppressione delle facoltà di teologia, ed esattamente il 30 aprile 1872, il Carntti di Contorno, prendendo atto del tenore scientifico, politico, ecclesiastico e religioso degli interventi che si andavano facendo alla camera, ebbe a dire che ci si era venuti a trovare all'inten10 di una discussione che sarebbe ii1nasta nella storia corne titolo di onore per la sessione parlamentare in corso, 111a non esitò a porre i deputati di fronte al significato dcl gesto che stavano per compiere, la soppressione delle facoltà teologiche: dopo aver detto che nessun parla1nento aveva rnai osato pronunziare una tale sentenza, aggiunse: «Siete i prin1i, sarete i soli!» 2s2. Intervenendo al senato, il Mauri mise in luce la lontananza che in tutta l'Europa si era venuta a creare tra le facoltà teologiche operanti nelle università statali e le gerarchie ecclesiastiche. Le ragioni erano le nuove idee accolte già nel diritto pubblico dei vari stati europei, che postulavano o l'ingerenza dello Stato in materie tradizionalmente di esclusiva competenza della Chiesa o la separazione tra le due realtà di Stato e Chiesa. In Italia, data la particolare situazione della Chiesa Cattolica, tali idee divennero più complesse. Per di più, le facoltà teologiche statali erano già pressoché deserte e, dunque, erano incapaci di continuare ad esistere253 .

4. CONCLUSIONE

I dati che siamo riusciti a raccogliere su una istituzione non più esistente, qual è la facoltà di teologia dell'università di Palermo, ci hanno dato l'opportunità di conoscere alcuni fran1n1enti di storia e di vita, di immedesimarci nelle vicende di alcune persone, docenti e studenti, di condividere i problemi ed i progetti di una scuola che, nel suo ainbito di con1petenza e nell'arco del ten1po in cui è esistita, ha

252 Alfi Par/a111entari, Ca111era, Disc11.ssio11i, Xl" Legislatura, 2" Sessione, Tornata dcl 30 aprile 1872, l 800. 2 1 ·'i· Cfr. Affi Parla111e11tari Senato, Discussioni, Xl" Legislatura, 2" Sessione, Tornata dcl J 3 gennaio 1873. 1


Note sulla Facoltà

Teologia dell'Università di Palermo

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avuto un significato ed un ruolo. Se fosse sopravvissuta, sarebbe potuta diventare laboratorio di due settori molto importanti della teologia, e c1oe dell'ecclesiologia e dei luoghi teologici. Dell'ecclesiologia, a motivo del!' esperienza storica particolare della Chiesa del Regnum, e dei luoghi teologici, a causa di una tradizione ininterrotta di studi al riguardo. Oltre tutto, fondendo i due settori, la vita della Chiesa, considerata in tutti i suoi ambiti, è uno dei luoghi teologici più importanti. Purtroppo, a partire da un certo momento, la facoltà di teologia non è stata fatta oggetto delle attenzioni opportune e necessarie alla sua conservazione ed al suo rinnova1nento. Che le università italiane non abbiano più al loro interno le facoltà di teologia certamente non è un fatto positivo: esse mancano di un interlocutore competente e dotato di prerogative equipollenti propno in settori del sapere e della prassi, guaii la storia, l'epistemologia, la filosofia, la teologia, la religione e la Chiesa, circa i quali non poche discipline accademiche sono chia1nate a prendere la parola. L'ovvia incon1petenza induce soggetti, che nel loro a1nbito di sapere proclan1ano le più radicali istanze critiche ed epistemologiche, a fare affennazioni che talora hanno tutto l'aspetto di sentenze risibili, fino a lai punto sono son1n1arie, arbitrarie, inappellabili e definitive. La soppressione delle facoltà di teologia poteva essere evitata, n1a fu, co1ne abbia1no visto, una sorta di ovvia conseguenza del disinteresse generale. Nello stesso dibattito parlamentare, che portò alla nota legge di soppressione del 26 gennaio 1873, le voci che proponevano la rivitalizzazione di un corpus 1nor/uun1 non poterono avere una effettiva efficacia. Per altro, la parte maggiormente interessata, la Chiesa, aveva fatto divieto con il non ex11e{/it ai cattolici di essere ufficialmente e pienamente rappresentati al parlamento, consegnando ad altre forze il futuro del paese, ed aveva gradualmente organizzato le sue scuole di teologia, ricorrendo ad ogni n1czzo pur di garantirle dai possibili rischi di errori derivanti dall'insegnan1ento di professori non controllabili e dalle idee imperanti nel mondo. Con ciò la Chiesa <lava vita ad una serie di effetti negativi: sottraendosi alle tensioni del dibattito culturale, si privava degli interlocutori più naturali e preziosi, per quanto diverse o addirittura avverse potessero


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Francesco Conigliaro

essere le loro idee; a causa della sua assenza dal campo pubblico della ricerca scientifica, impoveriva lo spazio sociale, civile e culturale in cui i suoi stessi me1nbri erano chiamati a vivere e ad operare con1e cittadini, non senza rischi di schizofrenia; creando scuole chiuse per il clero, fonnava i suoi n1embri più preziosi in un cli1na esoterico ed in un regime di separatezza. La storia della facoltà di teologia dell'università di Palermo certo non è delle più esaltanti, ma quella della facoltà teologica del se1ninario arcivescovile della stessa città è ancora peggiore: istituita da Pio IX il 17 agosto 1877 con il breve Si unquam alias, dopo i primi anni dignitosi si esaurì, e proprio a motivo del carattere ripetitivo ed esoterico dell'insegnamento che vi si impartiva. Una siffatta situazione si protrasse fino alla soppressione del 1932, attuala, dopo la pubblicazione della Deus scientiaru1n Don1inus, dalla stessa autorità ecclesiastica, che ritenne la facoltà teologica del se1n1nario arcivescovile di Palern10 incapace di adeguarsi alle nuove esigenze delle scienze teologiche ed alle nuove nonne stabilite dalla S. Sede'"· È possibile una rinascita delle facoltà di teologia nelle università statali italiane? Per ovvie ragioni, la dornanda concerne le facoltà di teologia cattolica, 111a, per ragioni altrettanto ovvie, deve essere lasciata aperta a tutte le altre confessioni religiose che insistono sul territorio nazionale.

25--1 Cfr. F. M. STABILE, Notazioni ecclesiologiche. Il caso del f)of/oroto in Teologia nel Se111inarÙJ di Palenno, in Ho Theo/ogos. Cultura cristiana di Sicilia 4 (1977) 14, 99-126. All'inizio degli anni '70 venne eretto l'Istituto FilosoficoTeologico S. Giovanni Evangelista per la Sicilia Occiclcnrnlc, al quale vennero attribuite le residue prerogative dell'antico Collegio Teologico dcl sc1ninario arcivescovile di Pa!ern10, e cioè la racolt8 di conferire il grado accadc1nico dcl baccellierato (1942). L'8 dice1nbre 1980, con il decreto della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica Pa11on1111s Urbs, venne istituita, quale genninazione dell'Istituto S. Giovanni Evangelista, la Pontificia Facolli1 Teologica di Sicilia. Tale istituzione dovrù faticare ancora per liberarsi dalle conseguenze degli errori iniziali che ne hanno infellato le clinan1iche progeltuali ed operative; nei pochi lustri cli vita pili di una volla ha corso i! rischio, pili che della soppressione, dell'autodisrruzione. Per la docu1nentazione concernente l'iter che ha portato all'erezione della racoltù teologica cfr. F. M. STABILE, Appunti doc11111e111ari ( 1975 1979) per l'erigenda Facoltà Teologica Siciliana, in_ Ho Theologos. Cultura cristiana di Sicilia 6 ( 1979) 22, 23-34.


Note sulla Facoltà di Teologia de/l'Università di Palermo

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In Italia non hanno avuto luogo tentativi seri a livello nazionale. L'unico è quello fatto nella Regione Siciliana, nella quale, ad iniziativa di un deputalo del gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana, Modesto Sardo, fu presentato per due volte all'assemblea regionale, e cioè il S maggio 1966 (quinta legislatura) e l' 11 luglio 1967 (sesta legislatura) un disegno di legge volto ad istituire, a carico del la Regione Siciliana, presso le facoltà di lettere e l'ilosofia delle università statali site nel territorio della Regione, tre cattedre di teologia catto!ica255 • I_,a proposta non ha avuto sviluppi. E ciò sta a significare la particolarità del clima e della sensibilità culturali dell'epoca. Da allora molte cose sono mutate in Italia e nel mondo, ma non sembra che la situazione sia n1aturata fino al punto da rendere pensabile una proposta di istituzione di cattedre di teologia cattolica o, addirittura, di facoltà teologiche all'interno delle università statali. Le difficoltà sono non poche; e non sono tanto nuove. Da parte nostra, ne indichia1no due: I) le discipline teologiche vengono considerate secondo la logica dettata dalla pregiudiziale di stampo neopositivistico, che, legala com'è al pregiudizio humeano, esige che le discipline teologiche vengano escluse dai campi di ricerca libera e scientifica; 2) l'istituzione delle facoltà di teologia nelle università statali viene ancora considerata come una sorta di stru1ncnto di invadenza clericale. Quanto alla prima difficoltà, val la pena ricordare che il pregiudizio humeano con la sua dissoluzione della causalità e della sostanzialità apre 1nolli più problemi di quanti non ne ri.~olva; anzi non ne risolve nessuno, in quanto blocca la ricerca proprio quando dovrebbe essere intensificata. L'episten1ologia contemporanea postula la necessità di scienze globali, che si assumano il co1npito di raccogliere le domande sul senso dell'intero esistente e cli dare risposte sul fronte della globalità. La teologia è una delle discipline che hanno questo compito. E nessuno può presumere di relegare le

255Cfr. B. FERR/\IU,

op. cii., 21

!~218.


Francesco Conigharo

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domande dcl senso globale nel getto del non-senso, senza rischiare di dissolvere il valore stesso dell'hu1na11uni. Se non si vuole fare dell'uomo uno pseudo-problema, una passione inutile o, peggio, futile, impegnarsi a rispondere alle domande globali del senso è un fatto doveroso, e proprio dal punto di vista epistemologico. Proprio da questo punto di vista, l'ateismo non è una risposta migliore del teismo, in quanto non risolve un 1naggior numero di problen1i, e non ha un assetto concettuale meno teologico della teologia vera e propria. Basta dare uno sguardo, anche fugace, sia ai recenti docu1nenti magisteriali, tra i quali n1eritano una particolare altenzione la costituzione dogn1atica Lun1en Gentilnn e la costituzione pastorale Gaullù11n et .)JJes del Concilio ecu1nenico Vaticano il 25 \ sia alle varie branche della teologia fondamentale, che è quella che affronta i suoi problemi su fronti contigui ai vari settori del sapere e dell'esperienza dell'uomo, considerandoli addirittura "luoghi teologici", per rendersi conto della serietà epistemologica della teologia: in termini di rigorosità scientifica, la teologia contemporanea non ha niente eia invidiare alle altre discipline. Quanto alla seconda difficoltà, ci sono ragioni per darsene pensiero. E le ragioni sono non tanto nella possibilità di invadenza clericale, quanto nel rapporto che intercorre tra teologia e magistero. Ai nostri giorni la difficoltà dell'invadenza clericale e, in particolare in un seltore co1ne quello accade1nico, è tahnente ren1ota, che parlarne con1e di cosa da temere ci sen1bra un n1ero pretesto. Onnai la società civile è talinente differenziata, le dinamiche parla1nentari e governative sono tahnente articolate e la vita accademica è così frantun1ata che la difficoltà detta è pratican1ente inconsistente. li problema del rapporto tra teologia e magistero è, invece, tale da ali1nentare la difficoltà in questione, aln1eno per la ragione che si tratta di facoltà statali. Una facoltà proprio perché è teologica ha uno spessore problematico per lo Stato. Uno Stato moderno non può non essere laico e, pertanto, non può avere né una sua religione né una sua

2 6 .'i

Cfr. Le: 35, Gs 62.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

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teologia, né può appoggiarne alcuna, salvo che non lo faccia in considerazione dei cittadini, ma anche in questo caso può farlo solo dall'esterno, e cioè rimuovendo gli ostacoli. A questo proposito, il punto veramente scrio è quello della competenza dell'autorità religiosa circa i programmi di studio ed il personale docente. In riferimento a questi ultimi diventa un fatto di capitale importanza la n1issio canonica. E certo, se la facoltà deve poter essere riconosciuta con1e centro accademico anche dalla comunità cattolica, il rischio di imbattersi in insegnamenti svolti in modo difforme dall'ortodossia cattolica deve essere evitato. Da parte nostra, ritenia1no sufficiente che lo Stato emani delle leggi, che consentano sia la stipula di convenzioni con le autorità ecclesiastiche, volte a garantire la co1nunità cattolica da ogni effettivo rischio di eterodossia, sia l'alluazione di dispositivi idonei a controllare con la certezza e l'effettività del diritto dello Stato la vita e le attività di evenluali facoltà di teologia nelle sue università.


Francesco Conigliaro

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Appendici

l - F)ubb!icazioni di alcuni JJroj'essori riel/a classe teologica 257 ROSARIO BISSO (prof. di storia ecclesiastica e concili)

De iurisprudentia polen1ica ad ius naturale revocanda, shie de iure civ;/i o bono et aequo naturali par recta111 rrlfionen1 derivando prolusorin dissertatio, s. d.; Exercitatio juris natura/is. la Ad Jacobun1 Cuiaciurn cons11/tationen1 prin1an1, quae est de testan1ento inter !iberos. Exercitalio in juris noturolis. 2" Ad Jacobu111 Cuiaciun1 co11su/tationen1 secu11da111 quae est de legato a presbytero filiae suae spuriae re/icto, s cl.; De recto iurisprudentiae n1hlisterio, et sanioris dialecticae 11s11 eon1111que a111ica coniunctione rlll 11ovissh11an1 regia111 co11stitutio11en1 de refor111otione

iudiciorun1 dirigendis: oratio inaguralis, s. d.; Jurisprudentiae po!enlicae ad ius naturale revocatae conspetus; E\ercitationes juris natu ra!is LX n1erhodo syste111atica propositae, Panonni s. d. FRANCESCO CARÌ (prof. di teologia dommalica, 1726-1798)

Orazione recitata ne!l'Accade111ia del buon gusto, in occasione di essere stato ascritto alla n1edesir11a Accadernia n1011sig11ore f7rancesco Ferdinando Sanseverino, Palcnno 1776; Orazio11ejì111ebre per la 111orte di Antonio la Gnta Ta!r1111a11ca princ1jJe di Carini, Palcrn10 1778; Orazione .fltnebre in lode di Gia11u11oria Bassanelli bolognese, .fan1osissin10 ostiere in Pa!en110, con1posta da!l'c1111ico della 11J11a11i1rì !'A. F. L. di T., Palcrn10 1787;

Per le nozze di Giar11battista Cc/estri J11archese di Santacroce colla signora D. Eleonora Gravina e Gr(feo jìg!ia della principessa di 111ontevago. Poe111etto, 0

Palermo 1793;

257

Su alcuni dei professori della clnsse teologica cfr. Le!!re de l'Abbé Co1111e//a s11r la !itérature de ?a/enne, c'e.s! à dire !es portaits des sal'a!l!s palen11i1ai11s de nos jo11rs; cfr. anche L. SAMPOLO, op. cii., Appendice LXXXVII-XC.

à /'d.' le baron N. N.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

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Discorso sul buon uso della ragione fatto da S. Ton11naso d'Aquino o beneficio della teologia, i11 !?accolta di opuscoli di autori sici/;ani, vol. Il., 183223;

Sonetti quattro, ibfr/., voi. V; Discorso sacro per la prùna n1essa di un sacerdote novello, in «Giornale ecclesiastico», vol. 1, Palcnno 1772;

lettera indirizzota in 11or11e del Doge de!!a repubblica degli apisti (increduli) al reverendo dei So!ipsi (Gesuiti); Opere raccolte dall'avvocato Innocenzo Vcnturelli, to1no I, parte I", Palcrn10 1776: in questo volu1ne, l'unico della raccolta dato alle stan1pc, si trovano i seguenti lavori:

Specùnen pri111u111, ina11g11ratio habita in Reg. JJan. Accad. de fi11ib11s theologine tun1 naturalis, t11111 revelatae docta ig11ora11tia regu11dis; Specir11e11 De }Ortuna theologiae praesertin1 ù1 Sicilia, ac de nova scho!un1111, socror11n1qlfe srudior11111 ratione sub auspiciis Caroti et Ferdi11a11di; Spech11en De religione ge11eratin1, eiqlfe adversis erroribus; Specirnen hisrorico-critic11111 de ethnicu religione, pc11:<; 1° de re!igio11e popu!ori si ve publica sect. I de teoretica sect. Il de practica sive 111ora!i. DOMENICO CILLUFFO (prof. di teologia rnornle)

Notizie intorno al giubileo dell'anno santo, Pa!ern10 1824; Scelte di preghiere da potersene .fare l!SO nella visita delle chiese per la consecuzione del santo giubileo in questo anno 1826, Palenno 1826; Sposizione di un decreto della Sacra Congregazione del Concilio crrco u11 caso di estre1110 unzione, Palcnno 1834; A!fe111orù1 in risposta a quella del Canonico Bo11a1111i, Palcrn10 1848. VINCENZO CRISAFULLI (prof. cli diritto canonico, I 823)

Congregazione dei vescovi di Sicilia: art.; Taluni oggetti di r(fonna ecclesiastica: arL; Studi su/l'Apostolica Siculo Legazia, voi. I, Palcrn10 1850; Sulla cultura religiosa in Sicilia innanzi ni ten1pi del cristiancsi1110, Eco della Religione giornale di fJoler1110 (1851 );

111


Francesco Conigliaro

270

Su' privilegi ecclesiastici di Sicilia in rapporto all'annessione dell'isola, Palern10 1860;

Sul I1a1ro11ato de' beni ecclesiastici di Sicilia n1e111orin al Consiglio di Stato, Torino 1864; Sulla pubblica 111orolità (in proposito di un progetto del signor S1ejà110

Pietro Zecchini), Palermo 1881; Osservazioni storiche e giuridiche sulla natura del vescovado di Patti, Palermo 1884; Ristretta dirnosfrazione de!la parrocchiahtà del vescovo di Patti, Palcrn10 1884; Il patronato regio sui vescovadi di Sicilia e i vescovi non anco1r1 civi/111e11te rico11osciuti, Palern10 1887; la dottrina cattolica h1 ropporto alte scienze sperin1enta!i, Palern10 1887; Giuseppe Bozzi e i suoi ten1pi. Discorso del 23 nuirzo 1890, Messina

1891; Osservazioni sul pnrogrqfo 25 della Concordio Benedettina, cioè dello Bolla di Benedetto XIII che vi stabilisce il tribunale della 111011orchia, s. d. ANTONINO CRISCUOLI (prof. di lcologia dogn1atica)

Su lo 111etajisica e la ideologia, Palenno 1834; Sul 111odo carne acquistarsi cognizione della esistenza dei COl]Ji, Palenno

1836; Istit11zio11i di dogr11atico teologica, 5 voli., Palenno 1841-1845; Ad cathedra111 theo!ogiae dogr11aticae in regia st11dionu11 Universitote

Panonni obti11endan1 thesis, Panorn1i 1842; Della 111ortc. 7'rattato teologico-dogn1atico, Palenno 1852; Del paradiso. Trattato teologico-dogn1atico, Palcnno 1853. PAOLO CULTRERA (prof. di storia ecclesiastica)

[Ja11egirico della l'l1111nacolato Concez.ione di Maria Vergine, Messina

1836; Me111oria suf/e candele steariche lefta alla società econon1ica di Catania,

Catania 184 J; Su 1n1a lapide sepolcro/e rinvenuta o /11essina, Messina 1843;


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

271

Sull'origine del linguaggio, in Rivista nopo!itana (1845); Introduzione n!!a cro110/ogia e geografia ecclesiastica. Scritto pei scolori. Parte f. Cronologia, Palenno 1854; Saggio difilos(~flu biblica, Palcrn10 1855; Flora biblica ovvero spiegazione delle piante 111e11zionate nello Sac1n Scri1fura, Palerrno 1861;

Introduzione alla cronologia e geograjla ecclesiastica. Scritta pei scolari, Palermo 1862;

Cara/ago dei prodolli agrico/; siciliani raccolti e a1111otati, Palern10 1870; Della vira e delle opere del reverendo padre do11 Gioacchino Venlt11Y1, Palermo 1877;

Mineralogia biblica, Palcrn10 1881, Palcnno 1885 2 ; La Bibbia e la scienza. Schiarùnenti sulla teoria 1110.soico de/fa creuzione e de! di/11vio, Palenno 1882; Istituzioni bibliche per uso degli o/unni dello sacro focoltà, 2 voli., Palermo 1884; f?o1/l1a biblico, Palcrn10 1889.

GIOVANNI DE FRANCISCI (prof. di dirillo canonico, 1810-1871)

Elogio jì1nebre del ca1 1• don Siefano Airofdi Gravina dei Maretesi di S. Color11ba de' duchi En1i/fas, Palerrno 1850; Per /'eseql!ie di Filippo Rol'agfiofo celebrale 11ef sa11r11ario di Maria SS. della Prov1 ide11za saffo la chiesa di S. Giuseppe, Palenno 1853; 1

Pei solenni ji111erali di Michele Platon1ore principe di Lardoriu. 01r1zio11e, Palermo 1858;

Pei solenni ji111erali di 111011sign.

Giov.

Batti.\·tn Scosso.

Orozione,

Palcrn10 1858; Nlen1oria pe/ pagar11e11to degli arretri delle parrocchie di Poler1110, s. cL STEFANO DI Cl IIARA (prnf. di diritto canonico, 1752-1837)

JJre111i11e11z.e dello corono sopra fa chiesa di s. Al/aria di Traina ifllfstrote per schiarÌ111e11to delle sovrane gi11risdiz.io11i sopra tutte le chiese e coppelle regie di Sicilia, Napoli 1791; Me111oria per fa consacrazione dei vescovi di Sicilia, Palcnno l 813;


Francesco ConigUaro

272

De Cape/la regi.\· Siciliae libri tres, Panorrni 1815; De Regio sacran1111 visitationun1 Diatriba, Panorrni l 816;

Discorso istorico critico sopra le chiese 111aggiori e cattedrali a Dio in q11esta città erette e dedicate sin dai pri111i ten1pi del suo cristia11esin10, Palcnno 1825;

lldnotationes ad reni co11011ica111 e siculo jure depro111ptae et 11110 i11. vo!u111i11e separatin1 co11gestae, Panonni 1833; Diritto pubblico ecclesiastico di Sicilia, Palerrno 1836; Opl!scoli editi, inediti, e rari sul dirilfo pubblico ecclesiastico e sulla letteratura del Medio Evo in Sicilia. Raccolti e corredati di pre.fazio11e e di note (h Agosrino Gallo, Palermo 1855; Ragioni per 11011 abolirsi la cappellania 111aggiore in Sicilia in onta al/'1111iflcazione dei due.regni ovve11u1a nel 1816. Me111oria riveduta ed annotata rh Girolan10 Di Marzo /<~erro, Palcnno 1861; Discorso su/l'origine del diritto canonico siculo recitato ne//'Accaden1ia di Palenno, in Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia, voi. 26, n. 76; Soggio storico sullo Lettern di M. Giuseppe Capece-Lotro su//'n11tico n1e1ropohta110 di Siracusa, in E_ì.fen1eridi di Sici/;a, voi. 3, n. 8; Notizie di Probo Li!ibetano, in L'Iride, voi. 2, n. 7; De n1011ochisn10 et 111011astica disciplino apud Siculo.\· ten1pore Gregorii Magni, in Bibl. Coni. di [1alenno 1115. Qq. E. 169; l\l/en1orie tre della letteratura siciliana nell'epoca secondo, cioè da G. C. sino a

f~ederico

II lo Svevo, in Bibl. Coni. di Palenno

1115.

Qq. E. 169;

Risposta a n1olti quesiti che riguardano lo stato attuale della Religione

1n

Sicilia, 111an. custodito presso la Biblioteca Co1nunalc cli Palcnno. RAFFAELE DRAGO (prof. di diritto canonico)

Gli in1properi, o parafrasi dei versefli Populc 111cus in terz.a rin1a, in J?.occolta di opuscoli di autori siciliani, vol. 17, pp. 353 e 359; Dissertazione storico-critica sulla iscrizione della \!ergine S. Rosalia nello grotta della Q11isq1rina, in Saggi di dissertaz.ioni de/l'Accaden1ia Palennito11a del Buon gusto, 1800, voi. 2; Lo vita di Cosilniro 111orchese Drago storico e poeta insigne, in Biogrqfia degli uor11ini il/11s1ri della Sicilio,

to1110

lf.


Note sulla FacoltĂ di Teologia dell'UniversitĂ di Palermo

273

PAOLO FILIPPONE (prof. di teologia dogmatica)

!11 u11iversa111 theo/ogia111 tractatus isagogicus. Studio expensis Francisci Bagnara, Nico/ai Buscen1i, Stephani Bagnara, 5 voll., Panonni 1833; Tractatus de Dea creatore, Panonni 1835; Tractatus de Deo Trino, Panonni 1835; Traclatus de Christo n1ediatore, Panorn1i 1836. VINCENZO FLERES (prof. di teologia catcchelica, 1779- I 807)

!nstitutio111tr11 iuris natura!is epito111e n1ather11aticoru111 111ethodo co11ci1111ata partes tres, 2 voli., Panonni 1757-59; Tractatus canonicus, n1a11. custodfro presso la Biblioteca Con1una!e di Pa!enno: D. 97; /sthuz.ioni di diritto naturale, n1a11. custodito presso la Bibliotecn Con11111ale di Pa!ern10: H. 33. VINCENZO FONTANA (prof. di storia ecclesiastica) 258

Matthiae Da1111e11r11ayr historiae ecc/esiasticae in un iv. vi11dob. prof: pubi. ord. institutiones historiae ecclesiasticae N. T. quas novis accessionibus et a11i111adversio11ib11s c111ctas typis de11110 con1111ittit Vincentius f~ontana S. Metropol. J>anor. Ecci. Ca11011ic11s et histor. eccles. in regia U11iv. Panar. Antecessor, Panorrni 1815; Biogrqfia di n1011sig11or Giovanni Di Giovanni da Taonnina, storico e diplon1atico; Additiones ad historicun ecclesiastican1 siculan1 if!ustrandan1. Dissertatio J>rin1a. De fitndatione Ecclesiarun1. Sh:i/iensiun1 eart11JJ(]Ue 111011u111e11tis pri111is saeclffis. Secunda. De Statu et Politica Sici!iensis E'cc!esiae ab aevo Constantini 11sque ad Caro/i M. te111pora. Tertia. De Stat11 Siciliensis Ecclesiae sub 7)'1-r1n111ide Saracenor11111. Quarta. De Ecclesiae Sici!iensi, sub Principibus Nor1111a1111is, eor11111q11e st1ccessorib11s.

258 Cfr. S. Palenno 1841.

RAGUSA,

Pei so/e1111i.f1111erali di 111011sig11or d. d. \li11ce11zo Fontana,


Francesco Conigliaro

274

Quinta. In qua Siciliensis historiae precipua capita exhibentur ab aevo

l?egun1 Arago11e11siur11 usque ad nostra1n aetaten1; Annotazioni di diritto ecclesiastico a D. CA VALLARI, !nstitutfrJ11es juris

canonici. LUDOVICO MARULLO (prof. di diritto canonico)

lnstitutiones canonicae: pars prirna de personis ecclesiasticis; pars secunda in qua de sacra111e11tis, de benejiciis et de co11trac1ibus agitur; pars tertia in qua de judiciis, delictis et poenis agaur: in i?. Studiorun1 Acaden1ia traditae, anno 1781, 1782, 1783. Appendix de Co11cilio Tridentino, si conservano n1anoscritte nella Biblioteca del Sc1ninario Arcivescovile di Palcnno. STEFANO PIPITONE (prof. di storia ecclesiastica)

Discorso bibliogrqfico, ossia progetto di un nuovo piano di c!nssiji'cazione di libri della pubblico Libreria del con1u11e di Pa/enno, Palermo 1826. 1836 2 • Lettera di risposto ad una critica di detto r/;scorso, in Mercurio sica/o ( 1826); lnstitutiones historiae ecclesiasticae, in Bibl. Con1. Palenno, n1s. H. 13,

14. SALVATORE RAGUSA (prof. di dirillo canonico)

Elogio .funebre di Francesco C11pa11i, procuratore generale della co11e s11pre111a, Palcnno 1840; Pei solenni fitnera!i di 111011signor d. d. Vincenzo f'ontnna, Palern10 184 l ; Cenno sulla giurisr/;zione del Vicario del Cappellano !viaggiare ( 1841 ); /!.!cune osservazioni sopra 11110 scritto prodotto do! Cardinale Arcivescovo di Pafenno contro il Cappel!ano Maggiore e suo Vicario, Napoli 1844; Per le solenni esequie del podre Cesare Carcanico, Palcrn10 1845; Cenno delle insegne n1aggiori e 111i11ori, Palenno 1854; Lettera al rev. sac. Antonino Casaccio (sulle insegne ecclesiostiche), Palermo 1855;

Elogio fllnebre del sac. Giuseppe Sciocca, Palenno l 856; Un fiore suita tornba di Rosalia Pitini nata Sarzana, Palern10 1856.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

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DOMENICO TURANO (prof. di lingua ebraica e Sacra Scritlura)

Opere edile e inedite, 8 voli., Girgenti 1874-1877: in questi 8 volun1i sono raccolte le opere del Turano e noi ne ricordia1no solo alcune. Elogio funebre per Anna Maria Colonna Gregorio, rnarchesa di Parco

reale, Palermo 1851; Sentin1enti per fa con1u11ione, Palcnno 1854;

S. Ignozio rnartire, o la espressione del cristianesin10, Palenno 1854; La sposa di Gesù Cristo d(fesa contro i rirnproveri del 111ondo, panegirico

recitato per proj"essione religiosa, Palenno 1855; Le glorie di GeslÌ Cristo nella sua passione, Palenno 1855; Sul protestanteshno e fa co11versione di due protestanti, Palenno 1859; Il sincero cristiano istruito nella f""'ede di Gestì Cristo, della Scrittura di

111.

Giorgio Hay, trad. il. dall'ingl. di D. Turano, Palenno 1861; Lezioni archeologico-bibliche ovvero introduzione allo studio cS'critture, Palcrn10 1864;

delle

L'1101110 nuovo in Ges1ì Cristo e il suo alirnento giornaliero, 2 voll., Palermo 1865-1867;

la 1111ova creazione, ovvero la parola che 11011 tutti capiscono po11ato nei .focolan· do1nesfici, Palenno 1868; Girgcnli 1877 2• li cattolicesin10 esposfo ai Valdesi ovvero ri.\]JOsfa ad 1111a lelfera del Signor Gerechino Giuseppe d'Andrea proselito del pastore valdese, Agrigento 1875 2 ;

Sulla Bibbia di Diodati, Palern10 1862; Girgcnti 1875 2 ; Risposta al sig. Giorgio Appia valdese in occasione del suo opuscolo Ror11a e fa scrittura, Palem10 1862; Girgenti 1875 2 ; la pienezza di grazia e i privilegi singo!arissiJni di Maria lr11111acolata. Panegirico, Girgcnti 1875; la sin1bolica ovvero la ;.,posizione dei Miracoli di Gesù Cristo secondo la fede e secondo la morale, 4 voli., Girgenti 1876-1878; Filosofia della Storia Sacra e notizie archeologiche bibliche ad uso dei Ser11i11ari di Chierici, Torino 1880; Elogio funebre del parroco 111011s. D. Giarnbattista Scasso, Pulcrn10 s. d.; le glorie di Gesù Cristo nella sua passione, voi. 3, s. d.; La spiegazione delle parabole evangeliche, voi. 2, s. cl.;


Francesco Conigliaro

276

Lezioni di Sacra Scrittura dall'autore recitate nella Cattedrale di Po/enno in

qualità di teologo canonico, 4 voli., s. d.; Con1111ento della Epistola ai ron1ani, volun1c unico; Con1111ento dei Sa/Jni più dijjlci/i, 2 voli., s. d.; Differenze filologiche tra alcuni passi delta Scrittura secondo la vulgata e ;/testo ebraico che è rilnasto, s. d.; Lessing, trad. il. dal tcd. di D. Turano, s. d. GREGORIO UGDULENA (prof. di lingua ebraica e Sacra Scrittura)

Orazione detta in Tern1ini per la cano11izzazio11e di s. Veronica Giuliani, Palermo 1840;

Danie!is cap. Xl analysis et exegesis, Panonni I 843; Biblici textus, Panorn1i 1843; /:Jer I' esequie di Rqffae{e lnguaggiato, barone de' Gibbisi, Palcnno 1843; Per /'esequiefa11e in Tennini il 28 giugno 1843 a Melchiorre Lo Fao Mira. Orazione, Palermo 1843; Otnelia detta per la natività del Signore nella pritna 111essa solenne di d. Leonardo Cipriani, Palermo 1844; }Jer !'esequie di p. Cesare Carca1110 dell'oratorio di JJalenno, Palcrn10 1845; Su la fondazione, vicende e vescovi della Chiesa di Palen110, in Enciclopedia dello ecclesiastico, voi. IV, Napoli 1845; I cornpagni di YValhalia rappresentati dal re Ludovico Prin10 di Ba1 1iera, trad. a. dal ted. di G. Ugdulena, Palcnno I 846; Sulle n1011ete punico-sicule. Metnoria, Palenno 1847; Solenni esequie nazionali celebrate a' 12 febbraio 1848 in Pa/enno. Elogio, Palermo 1848; Elogio funebre del prof Baldassare Rornano, Palcrn10 1857; intorno alla vita ed agli scritti del pro,f Baldassare Ro111a110. Discorso, Palermo 1858; Per /'esequie di Francesco Benzo e Mortillaro, duca della Verdura .. Orazione ed iscrizioni, Palern10 1858; La Santa Scrittura in volgare, riscontrata 1111ovan1ente con gli originali, al illustrata con breve co111111e11to da G. Ugdulena, prete ten11ita110, Palcrn10 1859;


Note sulla Facoltà di Teologia de!!' Università di Palermo

277

Orazione funebre per i 111a11iri della libertà caduti in Sicilin, letta nei _funerali celebrati in s. Don1enico il prirno ottobre 1860, Palenno 1860;

Sulla legge dell'asse ecclesiastico e dell'abolizione dei conventi. Discorso, Torino 1865; Sopra le elezioni dei vescovi. Discorso pronunziato allo ca111ero dei deputati, Firenze 1871; Prolusione al corso ebraico del 1871 alla università di RrJ111a, in Rivisto

sico/a (1872); Lettere inedite, Palern10 1882. EMANUELE VACCARO (prof. di storia ecclesiastica)

l'ebraico deicidio, orazione accadenlica, Napo Ii I 824; Asdrubale capitano dei cartaginesi. Tragedia. Con un discorso accadernico

dello stesso lllffore sopra la questione 111ossa da Aristoti!e quale sin prejeriJ:'ìi t1n l'epica e la tragica iniitazione, Napoli i 825; Istruzione apologetica sulla cattolica cristiana religione per la colta giove11t1ì, Napoli I 828; L 'a11111111cio JClice. Cantata con balli nella .fausta occasione della so/e1111e richiesta della 111a110 di s. a. la principessa d. Maria Cristina, Napoli 1829; Funebre elogio del santissùno padre Leone Xll p. n1., letto nella chiesn di s. Ferdinando di Napoli, Napoli 1829; Gioas re di Giuda. 1'rngedia sacra, Napoli 1831; Soprn un con1111ento di Dante fatto da Ugo Foscolo. Palermo 1831;

R~flessioni

critiche,

Elogio di Saverio Scrofnni, Palenno l 835; Elogio fitnehre recitato dall'abate En1111a1111ele Vaccaro. Solenni esequie per la n1orte di s. 111. 111aria Cristina di Savoia regina delle Due Sicilie, Palerrno 1836; Elogio di Antonio Furitano, Paler1110 1837; Funebre elogio di M. 17rancesca Pignate!/i principessa di Ca111pojl-a11co, Palermo 1837;

La galleria de' quadri del palazzo di Palenno di s. e. d. Antonio LucchesiPalli principe di Can1pojl·anco, Palenno I 838; Elogio fÌtnebre per s. e. d. Niccolò Filangeri pri11c1j1e di C11tò, Palcrn10 1839;


Francesco Conigliaro

278

Saggio pel concorso alla cattedra di storia ecclesiastica nella regia

Università di Pa!enno, Palermo 1842; Il cristianeshno ed il cat1olicesi1110 base e cor11pin1e11to delle scienze e della civi/;zzazione. Discorso letto nella inaugurazione degli studi della università di Pa!enno, Palern10 1846; Funebre elogio del cardinal Ferdinando M.

Pignatel/i arcivescovo di

Palern10, Palern10 1853. GIOVANNI V AGONA (prof. di lingua ebraica e Sacra Scrillura)

era111rnatica; Sacra Filo/oght 259 •

lf - Nota bibliografica

Non esiste una bibliografia specifica e direlta sulla facoltà di teologia dell'università di Palermo. I pochi riferimenti alla facoltà teologica si lrovano nella bibliografia generale concernente l'intero ateneo. B. AUBÉ, Mé111oires sur /es reste.\· d'un éllifice antique à Palernie,

,sur l'lstruction. publique en Sicile et particuliérenzent sur l'histiore de l'Universitè de Palerme, Paris 1872, lrad. il. di C. Giordano, Studio llella pubbhca istruzione in Sicilia e particola17nente sulla storia dell'Università di Palermo, in Rivista Sicula di Scienze, Lettere ed Arti 4 (1872) 28-43, 193-238; G. Bozzo, La Regia Università di Palermo. Orazione inaugurale per l'anno accademico 1859-60, Palermo 1860; I. CARINI, L'università di Palern10 nell'anno JJrÌ!no lici corrente secolo, in Archivio storico siciliano 3 (1874) 215-238; O. COPPOLER, L'Università di Palermo dalle origini alla I" guerra mondiale, in La via ( 1961) 5 maggio;

5\>crr.

2

AsrA, Pi busta 147.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

279

A. DI PASQUALE, Le «Rassegne dei discenti». L'affluenza dei giovani ali' Università palermitana tra la fine del '700 e il principio dell'800, in Annali della Facoltà di Economia e Commercio del!' Università di Palermo I ( 1947); ID., Sull'anno della fondazione dell'Università di Palermo, in li Circolo giuridico 18 (1947) 235-241; F. GAUDIANO, Storia della Regia Università degli Studi di Palermo dall'anno 1778 fino al 1817, manoscritto custodito presso la

Segreteria dcli' Ateneo; V. GENUARDO, Riflessioni sulla istruzione pubblica della Università degli studi di Palermo, Palermo 1809; R. GIUFFRIDA, Ipotesi e linee di ricerca per una storia dell'Università di Palermo. Introduzione, in L. SAMPOLO, La R. Accademia degli Studi di Palermo. Narrazione storica, Palermo 1888,

ristampa anastatica, Palermo 1976, XIV-XXI; G. LA GRUITA, Presentazione, in L. SAMPOLO, La R. Accademia degli Studi di Palermo. Narrazione storica, Palermo 1888, ristampa anastatica, Palermo 1976, V-XI; N. MUSUMECI, La Regia Università degli Studi di Palermo e i Padri Teatini di S. Giuseppe, Palermo 1861; ID., L'Università lii Paler1110 e il suo passato. Discorso

inaugurale per la riapetura degli studi nell'anno scolastico 1878-79 nella Regia Università di Palermo, Palermo 1878; ID., La R. Accademia degli Studi di Palermo. Narrazione storica, Palermo 1888, ristampa anastatica con Presentazione di G. La Grutta e Introduzione di R. Giuffrida, Palermo 1976; ID., Iscrizioni e ricordi dei più illustri professori della R. Università di Palermo, Palermo 1903; D. SCINÀ, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel sec. XVlll, Palermo 1827, ristampa a cura di V. Titone, Palermo 1969.

Ili - F ollfi


Francesco Conigliaro

280

Le fonti circa il nostro argomento, come abbian10 già avuto

modo di osservare, consistono in documenti superstiti, che offrono dati per una storia dell'università di spessore non solo giuridico ma anche sociale260 .

I documenti disponibili si trovano in raccolte, custodite presso lArchivio di Stato e lArchivio Comunale di Palermo. Si tratta delle raccolte seguenti: - Registri degli Ordini reali e viceregi (1778-1818); - Dispacci regi; - Registri delle Consulte (1778-1818); - Consulte del Senato di Palermo; - Lettere della "Deputazione dei Regi Studi", chiamata dal 1822 "Commessione Suprema per la Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia" ed operante dal 1778 al 1865; - Atti della "Depulaziome dei Regi Studi". Degli Atti della "Deputaziome dei Regi Studi", custoditi presso lArchivio di Stato di Palermo e designati nel Catalogo Generale con il n. 91, ci sono sembrate particolarmente utili per la nostra ricerca sulla f"acoltà di teologia le seguenti buste: 92, 93, 147, 153, 168, 450, 451, 470,477,480,485,495,496,498,505, 506, 513, 537, 538. Esse ci hanno consentito di prendere visione di docu1nenti concernenti i settori più vari della vita ordinaria e straordinaria dell'ateneo e della facoltà, come regolamenti, concorsi, programmi di studio, domande per accedere alle cattedre e per essere ammessi agli esami, lettere di molteplice natura e di ogni livello aventi come mittenti e co1nc destinatari vari soggetti istituzionali appartenenti all'università o anche solo con1petenti su di essa. Particolare importanza rivestono i regolamenti, sia quelli 1nandati ad esecuzione, almeno in tennini formali, sia quelli elaborati a livello di proposta. Le fonti danno notizia dei regolamenti seguenti:

26°Cfr.

R. G!UFFrdDA, Ipotesi e linee di ricerca per una storia del!'UniFersità di Palenno. lntrod11zione, in L. SAMPOLO, op. cit., XIV.


Note sulla Facoltà di Teologia dell'Università di Palermo

28 l

- Regollunenti Generali per la Reale Università nuovanzente

eretta nella città di Palermo, Palermo 1805; ristampato nel 1825; - Riforma del Regolamento generale per la Reale Università, elaborata da una Giunta istituita dalla Deputazione degli Studi nel 1808: manoscritto custodito presso la Segretaria dell'Ateneo; - Regolamento per le tre R. Università degli Studi, J 841; - Regolamento Universitario e Regolamenti Speciali delle singole Facoltà, 1861.



Synaxis XV/I (1997) 283-310

LA "COMUNIA" NELL'AREA NISSENA: MODELLO GIURIDICO E FINALITÀ PASTORALI

ADOLFO LONGHITANO'

lntrotluzione

La trattazione del tema di questa relazione non è priva di difficoltà: la comunia o chiesa ricettizia è un istituto giuridico a diffusione regionale del quale non si occupa la legislazione universale (ad esempio le decretali); di conseguenza è sconosciuto alla quasi totalità dei canonisti. Inoltre nelle diverse regioni in cui si diffuse non assunse la medesima configurazione giuridica; diventa perciò difficile una trattazione unitaria; basti pensare alle diversità esistenti fra le comunie siciliane e quelle del 1nezzogiorno continentale; ma troviamo differenze anche fra le cornunie delle diverse diocesi siciliane: ad es. Catania e Agrigento. La diversità di solito proviene da esigenze di natura locale e dalla prassi che si afferma nelle diverse curie. Inoltre c'è una evoluzione di questo istituto giuridico nel corso del '600 e del '700. Perciò bisogna badar bene a tenere presenti questi diversi condizionamenti di luogo e di tempo nello studio del terna in genere o di una con1unia in particolare.

'" Professore di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.

Relazione tcnula al convegno di studio organizzato dall'Istituto Teologico "G. Guttadauro" di Caltanisseta su: «Religione e società nel Nisseno nel Settecento e nel

prin10 Ottocento», Caltanissetta 11-12 novernbrc 1994. Gli atti sono di prossi1na pubblicazione.


Adolfo Longhitano

284

Sull'argomento la letteratura è molto povera e riguarda in genere le chiese ricettizie del mezzogiorno continentale, che subirono pesanti condizionan1enti dalle pole111iche giurisdizionaliste 1 • Da questo punto di vista andrcm1no fuori strada se volessimo studiare la con1unia siciliana a partire dagli studi fatti sulle chiese ncett1z1e del mezzogiorno continentale. Anche se in Sicilia le comunie erano molto diffuse, manca al n1omento un loro censi1nento 2 e non disponiamo di

1

La legislazione borbonica sulle chiese ricettizie e gli sludi contenuti nelle riviste, nei 1nanuali e nei ùizionuri giuridici fanno propria la ricostruzione storica e le conclusioni dcl sacerdote napoletano Diego Galla, che partiva eia una tesi precostituita: questo istituto giuridico ha origini laicali; percib non è soggel!o alla giurisdizione ecclesiastica, n1a a quella dello Stuto (D. GATTA, Regoli dispacci [ ... ], parte I, to1no I che riguarda lo Ecclesiastico, Napoli 1773; in quest'opera si veda in particolare: «VI! dissertazione dello autore sul titolo XXVIII di questa collezione: dclii benefizi palri1noniali e delle chiese ricettizie»; ID., R(flessùn1i sopra la ecclesiostico ordinazione e la 111a/eria beneficia/e, G.tvl.S. Boezio, Napoli 1777, capo V, nn. 1-142; Regale dispaccio in cui sono stabilite le tessere per conoscere e disti11g11ere le chiese co/fegiale \!ere dalle abusive, con un'annotazione di D. Ga!!a, N<lpoli 1776, 4ss). In ti.li senso tra i 111olti saggi sul tenia si possono consultare: V. ZECCA, L:1 legge su/fa liquidazione dell'asse ecclesiastico [ ... ],Tip. Quintino Scalpelli, Chie!i l 867, 181225; V. GJACONA, Co111unie, in lf Digesto Italiano, vol. VII, parte lii, UTET, Torino 1896-1899, 734-739; !G. CASELLI], LP. chiese ricefliz.ie, in lf !Jirif!o Ecclesiastico I (1890-1891) 575-589; 2 (1891-1892) 209-223; G. CORAZZINI, la parrocchia nel diritto italiano, UTET, 'Torino 1900, 368-38!. Molto più obiettivainente faceva notare lo Scaduto che !e chiese ricettizie all'origine erano enti ecclesìastici, che erano diventati civili «nell'interesse politico dello Stato>i- (F. SCADUTO, Rice!!izie, in Il Nuovo Digesto Italiano, VI, UTET, Torino 1939, 638-645). Fra gli studi pili recenti vedi: D. VENDJTn, Delle chiese ricellizie nel passato e nel presente, Istituto Paciano di arti grafiche, Rovigo 1946; F. ROMITA, Le chiese ricettizie nel dirillo co11011ico e ciFile daffe origini ai nostri giorni, I! /\1onitore Ecclesiastico, Rcllna 1947; R. BACCARJ, Le chiese ricefliz.ie, Giuffrè, Milano 1948; V. DE Vrrus, Chiese rice!!izie e organizzazione ecclesiastica nel Regno deffe Due Sicilie dal concordato del I 8 I 8 af!'1111itù, in Per la storia sociale e religiosa del 111ezzogion10 d'Italia, a cura di G. Galasso e C. Russo, Guida, Napoli 1982, 349-481. 2 lndicazìoni sulla presenza cli questo istituto giuridico nelle diocesi siciliane si possono trovare in A. LONG!-l!TANO, L:1 parrocchia nella diocesi di Catania pril11r1 e dopo il concilio di Trento, Istituto Superiore cli Scienze Religiose, Palenno ! 977, 109-116; F.M. STABILE, Il clero po/er111itano nel prùno decennio dell'unità d'ft(J/ia (1860-1870), Istituto Superiore di Scienze Religiose, Palenno 1978, 277-285; A. GAtv!BAS!N, Religios(J 111ag111ficenz.a e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979, 130-138; S. CUC!NOrrA, Popolo e clero in Sicilia nefla dialet!ica socio-religiosa fra Ci11q11e-Seicen!o, Edizioni Storiche Siciliane, Messina 1986, 294-296; R. /\1ANDUCA, le visite '(Id li111inr1' della diocesi di Caltagirone


La "con1unia" nell'area nissena

285

abbondante documentazione perché un eventuale studio possa valere per le comunie di tulle le diocesi siciliane. Questa mia relazione si limiterà a formulare alcune ipotesi di studio sulle comunic delle diocesi di Catania e di Agrigento, per le quali si dispone di una certa documentazione'; ma il problema rimane aperto.

1. Origine, natura, finalità, ele111enti costitutivi tiella conurnia

La co1nunia rientra nell'ambito degli istituti giuridici creati per risolvere il problema dell'organizzazione della cura d'anime e del sostentan1ento dcl clero. Una indicazione costante delle antiche nortne canoniche privilegiava i chierici del luogo per affidare la responsabilità della cura d'animc. Solo nell'ipotesi che fra il clero del luogo non ci fossero persone degne era consentito rivolgersi ad altri.i. Alla base di questo criterio solitarnente c'era una n1otivazionc pastorale: la provenienza del chierico dalla stessa con1unità dava 1nagg1or1 garanzie e pennetteva di evitare spiacevoli sorprese. Ma

(Be11ede!!o /)enti, 1851 ), in Bollelfù10 della Società cala!ioa di storia patria e cultura 2 (1993) 157-192: !74; G. ORRJGO, La diocesi di Caltagirone. Storia, arte, istit11zio11i, Catania 1993, 196, 206, 298, 400. Per l'aria nissena vedi: A. SINDONI, Dal r(fon11is1110 assol11tistico al cattolicesùno sociale, 2 voll., Studiu1n, Ro1na 1984; si tratta di uno studio specifico sulla diocesi di Callanissel!a per il quale non risulta che sia stato consultato l'archivio diocesano di Agrigento; C. NARO, Mo111enli e figure della Chiesa nissena de!l'O/fo e del f\lol'ece1110, Edizioni dc! Sen1inario, Caltanissetta 1989, 481-512. Un elenco completo delle con1unic esistenti nel la diocesi di Agrigenlo nel 1878 (quando era stata giù eretta la diocesi di Caltanissetln e si erano avute le leggi eversive dello Stato unitario) si trova nella relazione ad lii11i11a dcl vescovo Doinenico Turano (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Refariones Dioecesiull1 r::::RD ], Agrigento 18 B, rL 8 I 8v~822r). 1 · Per il reperin1ento della docu1nentazione relntivn alla diocesi di Agrigento

ringrazio il Dott. Raffaele Manduca e il vicario generale Mons. Giuseppe Di !Vlarco per la loro disponibilità ne!l'aiutanni. 1 · Fra le tante inclicnzioni nonnative si veda il testo di Origene (Ho1niL 6 Origcnis nel c. 8 Leviticin. 3, PG Xli, 469), inserito dn Graziano nel suo Decreto e attribuito crronearnente a s. Girolarno; C. 8, q. I, c. 15. Per altri riferin1enli si veda il saggio di A. GARCIA Y GARC!A, Beneficios y clérigos patrin1011iales en Casti/la, che apparirà nella 1niscel!anea in onore di G. Catalano. Ringrazio lAutore per i suggerirncnti e per avcnni fatto leggere il 1nanoscritto.


286

Ado/fo Longhitano

potevano anche nascondersi atteggiamenti egoistici e di chiusura verso i I forestiero. Per quanto riguarda il problema del sostentamento, in una comunità di modeste dimensioni era il vescovo che am1ninistrava le offerte dei fedeli, dividendole fra l'assistenza ai poveri e le esigenze dell'organizzazione ecclesiastica. Man mano che le necessità aumentavano, le diverse realtà che operavano all'interno dell'ordinamento ecclesiastico acquistarono autonomia patrimoniale e si delinearono due soluzioni: la più antica era quella di un'a1nministrazione centralizzata, che garantiva ai diversi n1inistri il sostenta111ento; il sisten1a beneficiale fonnulò una seconda soluzione: ad un ministro si conferiva un determinato patrin1onio, la cui rendita gli avrebbe assicurato il sostentamento'. Questi due modelli, con alterne vicende, sono stati presenti nell'ordinamento canonico fino ai nostri giorni. Non è difficile notare la differenza che c'è fra di essi: n1entre in quello centralizzato c'era una certa perequazione fra i diversi n1inistri, in quello beneficiale si potevano avere notevoli disparità in relazione alla diversa consistenza economica del patrimonio. Il beneficio poteva essere costituito da un feudo e il 1ninistro che lo riceveva aveva di che vivere agiatarnente) 111a poteva essere costituito da un imrnobile n1odesto con una rendita che a stento gli poteva assicurare il sostentatnento quotidiano. La comunia si ispira al pri1no sisten1a e la sua istituzione obbedisce allo stesso tempo ad esigenze di natura pastorale e patrimoniale. Se in una chiesa parrocchiale c'era un clero nun1eroso e un modesto patrimonio, derivante da cespiti di natura diversa, la soluzione più opportuna poteva essere quella di affidare la cura delle anime in solidum ad un collegio di sacerdoti e distribuire equamente

5 L. THOMASS!N, \letus et nova Ecclesiae disciplina, Ili, Ex Lypographia Bal!coniana, Venetiis 1730, 1-79; 278-345; L. FERRJ\H!S, Pro111ptf1 bib!iotheca ca11011ica, iuridica, 111oralis, theologica, voce Be11efici11111, I, Migne, Lutetiae Parisionnn 1858, I 061- 1242; G. MOLLAT, Bé111ffices ecc/ésiastiq11es en occide11t, in Dictionnaire de droit ca11011iq11e, II, Lelouzey el Ané, Paris 1937, 406-449; W.M. PLOCHL,Storia del diritto canonico, Lrad. il., Massi1110, Milano 1963; I, 97-101; 267285; 11, 383-440.


La "con1.unia" nell'area nissena

287

fra tutti le rendite della chiesa. In tal modo la responsabilità nella cura delle anime e le rendite venivano equamente distribuite fra il clero addetto ad una chiesa parrocchiale. L'alternativa era quella suggerita dal sistema beneficiale e dal modello della responsabilità individuale della cura delle anime: conferire ad un solo presbitero il beneficio e l'ufficio di parroco e lasciare alla sua discrezione la soluzione del sostentamento dei suoi collaboratori e le modalità della collaborazione nelle attività pastorali. I due sistemi avevano aspetti posilivi e negativi: la comunia coinvolgeva nella cura delle anime un certo numero di sacerdoti con pari responsabilità ed assicurava a tutli un equo sostenta1nento, tuttavia, 1nancando uno che rispondesse personahnente dell'ufficio, si poteva affermare che in teoria tutti erano parroci e in pratica nessuno lo era. Il conferimento del beneficio e della cura d'anime ad un solo sacerdote permetteva di individuare con più facilità il responsabile, ma lasciava aperto il problema del coinvolgimento degli altri sacerdoti e del loro sostentamento. Nonostante gli anni trascorsi, ritenia1no che resti ancora valido quanto scriveva Francesco Scaduto all'inizio di questo secolo: «Con1e siano nate le chiese ricettizie, come si sono sviluppate spccialn1ente nelle province napoletane e un po' anche nelle siciliane; quale sia l'origine, lo statuto; a quale trasformazione sia stata soggetta; chi sia il fondatore di ciascuna; [... ] noi Io ignoriamo e ci augurian10 che qualcuno faccia uno studio su tale argon1ento»<'. Gli studi che si sono avuti negli anni successivi in campo giuridico e storico hanno dato un notevole contributo per la comprensione di questo istituto, ma non sono riusciti a risolvere gran parte degli interrogativi che si poneva lo Scaduto. Gli autori che hanno studiato l'origine e la natura della chiesa ricettizia o comunia dànno per scontata la sua origine spagnola. Questa affer1nazione, probabilmente, si fonda su due considerazioni: a) il Concilio di Trento dà l'impressione di identificare le chiese

6 F. SCADUTO, Rappresentanza delle parrocchie 1 acanti, restauri e patro11ato def!e ex-rice!fizie, in Gi11rispr11denza italiana 1900, 852. 1


Adolfo Longhitano

288

patrimoniali con le chiese ricettizie'; b) la diffusione di queste ultime si ebbe nelle regioni meridionali soggette alla dominazione spagnola. Nelle diverse regioni, nelle quali questo istituto giuridico si diffuse, troviamo una terminologia molto varia: chiese patrimoniali, consorziali, ricettizie; comunie o con1munerie, cappellanie corali, sacre distribuzioni, masse comuni ... , ma non sempre è possibile stabilire se dietro un linguaggio diverso c'è sempre la stessa realtà. Nella diocesi di Catania si adoperava il termine "comunia'', mentre in quella di Agrigento si preferiva l'espressione "sacra distribuzione". Accettando l'ipotesi dell'origine spagnola di questo istituto o almeno di una certa affinità fra le chiese patrimoniali spagnole e le chiese ricettizie dell'Italia meridionale, mi sembra corretto avviare la ricerca da uno studio di Girolamo Gonzalez, un canonista spagnolo vissuto a cavallo dei secoli XVI e XVII". Nell'analisi sull'origine e la natura delle chiese patrimoniali utilizza fonti locali e fonti giurisprudenziali, delle quali din1ostra dì avere una buona conoscenza per la sua professione di avvocato nella curia ron1ana. Assien1e allo studio del Gonzalez devono essere presi in esa1ne alcuni interventi di canonisti napoletani, che descrivono la particolare configurazione assunta da questo istituto nelle regioni continentali dell'Italia meridionale. Non disponiamo di studi specifici sulle comunie

siciliane. Seguendo gli indirizzi del tempo, il Gonzalez preferisce dedurre la natura giuridica dell'istituto dalla etimologia dell'aggettivo

7 I! concilio, nel qw:1dro della rifonna de! clero addetto alla cura delle anin1c, scriveva che le nonne stabilite riguurdavano anche le chiese patri1nonia!i o ricettizie, nelle qunli i! vescovo di solito affida la cura delle ani1ne a uno o a più preti (Sess. 24, c. 18 de re.f, Co11cilior11n1 Oec11111enicon1111 !Jecreta, ED13, Bologna l 99 ! , 770). Sen1bn:1 che in concilio si sia avanzata !a proposta di rendere patrì1noniali tu!li i benefici

esistenti

nella Chiesa (F. ROMITA, op.

cii.,

23~24).

A. Garcia non

ritiene

sufficicntc1ncntc fondala l'ipotesi dell'origine spagnola delle chiese ricettizie; secondo la sua orinionc fra !e chiese patritnoniali presenti in Spagna e le chiese riccllizic diffuse nell'Italia n1cridionale si hanno pili divergenze che convergenze (A. GARC!A y GARCIA, op. cit.). 8 H. GONZALEZ, Dil11cid11111

ac penai/e glosse111a se11 co111111e11tatio ad reg11/c1111 octc11y1111 Canceflariae de rese1vatio11e 111e11sil1111 et alternativa episcopor11111, Ex typographia J. Mascardi, Ro1nac 16! I, 247-260.


La "coniunia" nell'area nissena

289

"patrimoniale". Il metodo seguito dal canonista spagnolo, per guanto obbedisca più alle regole della logica che a quelle della linguistica, gli consente di manifestare con chiarezza il suo pensiero. Il Gonzalez esclude che il termine "patrimoniale" possa riferirsi ai beni che per disposizione paterna devono essere conferiti in eredità ai figli, perché in tal senso dovremmo trovarci necessaria1nente dinanzi ad uno istituto di giuspatronato laicale. Egli, invece, preferisce far derivare l'aggettivo "patrimoniale" da patria, perché questi benefici dovevano essere conferiti a persone originarie da un determinato luogo9 . L'esame di questi elementi serve a giustificare la definizione che troviamo all'inizio della glossa: si dicono patrimoniali quei benefici che, per concessione della Santa Sede o per una disposizione degli statuti, devono essere conferiti a individui originari da un tenninato luogo, i guaii perciò sono chiamati figli patrimoniali'"· Tuttavia il Gonzalez fa notare che non è sufficiente il solo requisito dell'origine da un determinato luogo, perché si possa rivendicare il diritto di far parte di una chiesa patri1nonialc; perciò indica due passaggi successivi, che desume dalla prassi di alcune diocesi spagnole, oltre che dalle norme canoniche: i candidati pri1na devono essere sottoposti ad un esa1ne; solo i più idonei potranno ricevere l'istituzione dall'autorità ecclesiastica 11 • Per il Gonzalez le chiese patrin1oniali sono veri e propri benefici, la cui collazione può essere riservata anche alla Santa Sede 12 • Nell'Italia meridionale l'istituto subì una evoluzione e fu obbligato ad adeguarsi ad una molteplice varietà di situazioni. Anzitutto le chiese patrimoniali italiane non sono affidate a singoli, ma ad un collegio di chierici; perciò era necessario distinguere questo istituto giuridico eia altri simili. Trattandosi di un collegio di sacerdoti adibito alla cura delle anime o al culto di una chiesa, bisognava stabilire se poteva essere identificato con i capitoli delle cattedrali e delle collegiate. La risposta dei giuristi napoletani era decisan1ente

9

111 Il

12

lbid.. 247-248. lbid., 247. fhid., 257-258. lbid., 254.


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negativa, anche se fra le chiese ricettizie e i capitoli si potevano notare delle convergenze: entrambi erano costituiti da un collegio di sacerdoti; tuttavia nei capitoli mancava quella comunione di beni che esisteva, invece, nelle comunie. Inoltre i partecipanti delle chiese ricettizie non erano titolari di un beneficio, ma se1nplicen1cnte avevano il diritto alla quota parte di una massa comune, mentre i canonici di un capitolo erano titolari di un beneficio o di una prebenda''. Esistevano, tuttavia, alcuni casi in cui questa distinzione non si poneva in 1nodo così netto o creava comunque qualche difficoltà: a volte la 1nassa con1une per il sostentamento di un certo numero di chierici poteva essere annessa ai capitoli delle cattedrali e delle collegiate; a volte poteva avere una sua configurazione autonon1a. Nel prin10 caso non era facile distinguere i benefici del capitolo (quelli ad esempio conferiti alle dignità) e la massa comune alla quale partecipavano allo stesso tempo dignità e partecipanti 1•1• Nel secondo caso la presenza di alcune dignità poteva far sorgere l'equivoco di considerare le chiese ricettizie come capitoli di canonici; in realtà spesso le dignità indicavano solamente un ufficio o erano semplici titoli onorifici (le cosiddette dignità ventose) alle quali non corrispondeva una vera e propria prebenda''· Si pose il problema se la chiesa ricettizia dovesse essere considerata un beneficio: 1nentre alcuni, riferendosi alla singola partecipazione alla 1nassa comune, erano di parere contrario 1(', altri, riferendosi al patrin1onio nel suo insieme, ritenevano che si potesse

13 l.B. DE LUCA, Theatn1111 l'eritatis et i11stitiae, Jib. Xli, disc. XVII, Ex Typographia Balleoniann, Venetiis 1734, 270-271. Nelle aggiunte n L. FEl<HARIS, op. cii., voce Co//egi11111, Il, 705-719: 718 si legge: «Difficile est staluere cx quibus ccclesia habita dicenda sìt collegiala. Datur eni1n ecclesia con1n1unitaliva, quae in 111ullis convenit CLHn ecclesia collegiata. Quo circa nisi sciantur differenliae ìntercedentes ecclesia1n co1nn1unitativan1 inler et ccc!esiain collegiatan1, facile baud est diuclicare, cx quibus habencla sit aliqua ecc!esia pro collegiata / ... ]. DilTert ccc!esia co1n1nunitaliva ab ecclesia collegiata quod in ecc!esia con1n1unitaliva nequeunt esse clignitatcs [ ... ]; in ecclesia autcn1 collegiata non solu1n esse possun( dignitntes, secl esse dcbct una saltc1n clignitas [ ... ]. Insignia non convcniunt beneficiatis ecclcsiac con1111unitativae, at conveniunl canonicis ecclcsiae collcgiatae [ ... ]». l.f l.B. DE LUCA, op. cit., di.se. XVIII, 271-272. 15 Ihid., elise. XVII, 270-271. 16 !bid., 272.


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parlare di beneficio 17 • Strettamente collegato a questo interrogativo c'era l'altro riguardante la possibilità di considerare titolo valido di patrimonio per la sacra ordinazione la partecipazione alla chiesa ricettizia. La risposta era affennativa, 1na a certe condizioni: doveva essere una chiesa ricettizia nun1erata e con una rendita stabile, non si doveva trattare di un diritto precario ma definitivo 18 • Nelle regioni del Regno di Napoli molte di queste chiese ricettizie erano di giuspatronato laicale; perciò sorse una complessa problematica sui diritti del patrono, dei partecipanti e del vescovo. Quando si affermò una concezione giurisdizionalista dello Stato, partendo dal presupposto non dimostrato che si trattava di un istituto giuridico di origine laicale, le chiese ricettizie furono sottratte alla giurisdizione dei vescovi; ad essi non fu riconosciuto il diritto di can1biare i loro statuti e di intervenire nella loro disciplina interna; i loro compito si esauriva con l'istituzione canonica dei n1en1bri presentati dalla città o dal feudatario. Solo dopo il concordato del 1818 fu riconosciuta una n1aggiore autorità ai vescovi sulle chiese ricettizie 1lJ. Tenendo conto dei rilievi fatti dai canonisti spagnoli e napoletani, possian10 tentare una configurazione giuridica di questo istituto e individuare i suoi elementi strutturali. La chiesa ricettizia o comunia può assumere due configurazioni giuridiche diverse: I) è un ente collegiale, costituito da un certo numero di chierici originari del luogo, che partecipano con pari diritti e doveri all'esercizio della cura cl' anime in una determinata chiesa e alle rendite ciel suo patrimonio ordinato in massa con1une; 2) è un :;;e1nplice o,fficiunt che non ha una propria autono1nia giuridica; soggetto ri1nane se1npre il capitolo, la parrocchia, la chiesa; la co1nunia indica solainente un ufficio del

17 I.B. RIGANTI, Co111111e11taria in reg11/as, constitutio11es et ordi11atio11es Ca11cellari{/e Apostolicae, l!, Apud fralres Dc Tournes, Coloniac A!lobrogoru1n 1751,

60-61. Questa opinione può essere ricollegala a quella cspressn da Gonzalez. 18 /bid., 411. llJ Si veda quanto è stato già scritto alla nota I.


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capitolo, della parrocchia, della chiesa, al quale viene corrisposto un emolumento dai beni di proprietà del soggetto"'. In relazione al rapporto esistente fra chiese ricettizie e cura delle anime nasce la prima distinzione fra ricettizie curate e non curate; con riferimento al fondatore e all'eventuale diritto di patronato concesso dal vescovo si può avere l'altra distinzione fra ricettizie di libera collazione vescovile e ricettizie di giuspatronato laicale. Mentre inizialmente tutti i chierici di un determinato luogo potevano far parte della chiesa ricettizia) col tempo si istituì il nu1nero chiuso; da ciò l'altra distinzione fra ricetlizie non numerate e ricettizie nu1nerate. Mancando una specifica trattazione sulla nalura delle con1unie siciliane, per delineare la loro configurazione giuridica abbiamo fatto ricorso ai canonisti spagnoli e napoletani. Tuttavia la co1nunia siciliana potrebbe essersi sviluppata autonomamente; perciò dai canonisti spagnoli e napoletani dobbia1no limitarci a desumere considerazioni di indole generale. In particolare non bisogna lasciarci condizionare dagli influssi che il giurisdizionalismo esercitò su questo istituto giuridico nel Regno di Napoli.

2. La co1nun;a 11-ei llocu111enti .r-:iciliani tlel secolo X\!! Anche i vescovi siciliani si posero il problema di scegliere fra la cura collegiale e la cura personale delle anime e Io risolsero autonon1amente, tenendo conto più delle situazioni locali che dei principi generali. Si veda ad ese1npio il caso che riscontrian10 nella diocesi di Patti prima del Concilio di Trento. Nel sinodo del J 537 il vescovo Arnaldo Albertino aveva stabilito che nelle chiese cli Sant'Ippolito e di San Michele della città la cura delle anime venisse affidata a due collegi di sacerdoti rispettivamente di sei e di quattro membri". Nel sinodo del J 567 il vescovo Bartolomeo Sebastiano

20

Per questa seconda figura giuridica di chiesa rice!lizia vedi in particolare F. Ricettizie, cit., 639-640. 21 Constitutiones sinoda{es edite a rev.1110 don1i110 IJ. Arnaldo A!berlino 11.i.d., episcopo Pactensi, in synodo episcopali celebrata apud ecc/esù1111 pacte11sen1 in SCADUTO,


La "co1nunia" nell'area nissena

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scrisse di non condividere la scelta fatta dal suo predecessore perché, mancando un responsabile nella cura delle anime, succedevano gravi inconvenienti ai quali egli intendeva porre rimedio. Pertanto nelle chiese in cui erano state erette le comunie ordinava di ripristinare la cura individuale delle anime22 • Il più antico docun1ento di fondazione di una comunia siciliana che conosco è quello riguardante la chiesa madre di Paternò nella diocesi di Catania''. Il vescovo Nicola Maria Caracciolo nel 1559, quando ancora il Concilio di Trento non si era concluso, si trovò. ad affrontare il problema di una più efficiente organizzazione della cura delle anime in questo centro abitato. Lo stesso clero locale e i giurati in una lettera ne avevano evidenziato i limiti e le carenze. A Paternò la cura delle anime veniva esercitata nella chiesa n1adre e in altre quattro chiese sacramentali, una delle quali annessa ad un 1nonastero benedettino. Si trattava di chiese che avevano un patrin1onio n1olto modesto, al punto che il beneficiale della chiesa madre trovava più conveniente vivere a Patti sua patria di origine e lasciare ad altri, dietro compenso, la responsabilità di a1n1ninistrare i sacramenti. Il clero e i giurati chiesero al vescovo di istituire una comunia soppri1nendo le chiese sacramentali soggette alla sua giurisdizione. In altre parole si chiedeva di passare dal sistema di un solo responsabile del beneficio e della cura delle anin1e al sistema di una rnassa con1une e di una responsabilità collegiale. Accogliendo la domanda del clero e dei giurati, il vescovo soppresse quattro delle cinque chiese sacramentali e i relativi benefici e istituì un collegio di sacerdoti, al quale affidò la cura delle anime di tutto il centro abitato. Con i benefici soppressi si costituì una n1assa con1une, le cui rendite sarebbero state divise in parti uguali ai sacerdoti del collegio.

111e11se septe111bris 1537, et postea i1111ovate pluribus necessariis adlhtis pridie ka!endas augusti 1542, indici. X\!, Apud dicta1n ccclcsiarn, Pnnonni 1544, n. 63, p.

18. 22 Synoda/es co11stit11tiones Pactensis Ecc!esiae ab i/f.1110 do111i110 IJ. Bartho/on1eo Sebastiano eiusde111 Ecclesiae antistite et pro11111/gatae in sy11odo celebrata anno a Christo nato 1567, die XX\11 ia1111arii Pactis, Apud hacrcdcs P. Spire, lVIessanac I 567, cap. 11, nn. 23-25. 2-1 A. LONG!l!TANO, op. cit., l ! !-116.


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Dai dati che ci offre questo documento possiamo dedurre che dal punto di vista giuridico esiste una notevole analogia fra la comunia siciliana e le chiese ricettizie dell'antico Regno di Napoli: a Paternò abbiamo un nuovo ente, cioè un diverso soggetto giuridico che subentra agli enti e ai soggetti giuridici soppressi; questo nuovo ente, istituito dal vescovo e sotton1esso alla sua autorità, era costituito da un collegio di sacerdoti; aveva come fine la cura collegiale delle anime e il decoro del culto divino nella chiesa madre e nelle altre chiese filiali; il suo patrimonio era formato da una massa comune, le cui rendite venivano divise equamente fra i membri del collegio; potevano farne parte tutti i sacerdoti idonei del luogo che lo richiedevano; per la loro cooptazione era necessario il parere favorevole della maggioranza del collegio; inizialmente non sembra che sia stato posto un limite al numero dei partecipanti',· Con le chiese patrimoniali spagnole, invece, le comunie siciliane e le chiese ricettizie dell'antico Regno di Napoli hanno un solo punto in comune: la riserva di accesso al clero locale. Anche nella diocesi di Agrigento, nella seconda metà del sec. XVI, troviamo le comunie, che vengono chia1nate "sacre distribuzioni". Nel sinodo diocesano del 1589 il vescovo Diego de I-laedo dedicò un titolo alle sacre distribuzioni esistenti nella cattedrale e nelle matrici dei co1nuni 25 . Tuttavia la terminologia adoperata ci

24 «[ ... J Rev.n1us clorninus Episcopus [ ... ] auctoritatc ordinaria et pontificali qua fungitur [... l candcrn ccclcsian1 Sanctac Mariac ùc Allo in co1nunian1 erexil [ ... ] in caquc 01nncs sacerdotes Lerrae el oppidi praeditti instituit, quibus on1nibus et singulis curan1 anin1aru1n pracdiLLaru1n con11nisil et com1nittit cun1 perceptionc ornniu1n et singulorun1 iuriu1n, proventium et obventionu1n ccclcsiae praeùictae, cxtinguenùo a1noclo titulu1n singulare1n ecclesiae prncdittac t... ]; iuraque, proventus, obventiones, oblationes, bonaque ten1poralia sive redditus tc1nporales ipsius ccclesiae cun1 absolule et libere fuerint ucqualitcr intcr saccrdotcs con1111unerios qui inibi nctu servient distribuantur et dividanlur [... ]»(A. LONGHITANO, op. cit., 111-112 e lo statuto della stessa con1unia alle pp. 113-116). 25 D. HAEDO, Constitutiones et decreta piena synodo dioecesana Agrigentina digesta [... ], Apuù I. A. Dc Francisci, Panorn1i 1589, 62-65. La consultazione di questo sinodo è più agevole nella edizione curala da F. ARON!CA, Il sinodo diocesano agrigentino di 111011s. Diedo di Haedo (1589). Introduzione, traduzione e note, Curia Vescovile, Agrigento 1992. Il tenia della sacra distribuzione fu affrontalo anche nei sinodi diocesani successivi, segno dalla particolare rilevanza che i vescovi riconoscevano a questo istituto: V. BONINCONTRO, Constitutiones dioecesanae


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induce a credere di trovarci dinanzi ad un diverso istituto giuridico: non si trattava di un ente collegiale autonomo, ma di un ufficio retribuito, strettamente collegato al capitolo della cattedrale o al beneficio parrocchiale. Infatti il vescovo nel sinodo pone sullo stesso piano la sacra distribuzione esistente nella cattedrale e quelle istituite nelle chiese madri dei comuni 26 • Nella cattedrale il soggetto giuridico era il capitolo dei canonici; costoro avevano le proprie prebende; la sacra distribuzione era un patrimonio (la massa comune) da dividere fra coloro che prestavano servizion Nelle chiese matrici il soggetto giuridico era il beneficio parrocchiale, l'arciprete era il responsabile della cura delle anime e aveva una propria rendita; la sacra distribuzione era un patrimonio che assicurava il sostentatnento ad un certo numero di sacerdoti che svolgevano determinate funzioni. A parte questo rilievo, gli altri elementi sembrano confermare il quadro giuridico tracciato per la con1unia di Paternò: si prescriveva che potevano far parte della sacra distribuzione solo i sacerdoti e i diaconi del luogo, idonei ad esercitare il loro ufficio; i forestieri potevano essere accolti in caso di necessità e se lo richiedeva l'utilità della chiesa dopo che era stata verificata, mediante esame, la loro idoneità28 ; i candidati venivano giudicati idonei con un esan1e

sy11odi, Apud I. A. De Fn1ncisci, Panorn1i 1610, 77-78; F. TRAINA, Co11stit11tio11es dioecesanae synadoa/es, Apud D. Cyrillun1, Panonni 1632, 70-73; P. SANCHEZ DE CUELLAI<, Constitutiones dioecesanne synodi, Typis N. BuJ, Panorn1i 1655, I 18-119; F. RAMIREZ, Co11stitutio11es dioecesnnae synodi, Typis F. Marino, Agrigenli 1704, 71-72. 26 «Sacra ùistributio cathcdra!is ccclcsiac gubcrnetur prout hactenus pruclenter per capitulu1n observatu1n est, et pariter ecclcsiaru1n 1natriciu1n ùiocccsis nostrac distributiones secundu1n statuta el ordinaliones el actu ecclesiae debitis horis dcservientibus conferantur» (ibid., tiL Il, cap. l, p. 62). 27 I canonici, oltre a percepire i frutti delle proprie prebende, partecipavano alla sacra distribuzione assieine ai 1nansionari. Notizie utili sulla storia della sacra distribuzione della calleclrale di Agrigento vengono date dai vescovi in diverse relazioni ad /ùnina (RD 1699, Agrigento, 18 a, f. 278r; 1703, f. 360v; 1742, 18 b, ff. 481 r-482r; 1878. rr. 8 l 2r-8 I 5r). 28 «Extcri civitatis, si canonici non fuerint et aeque spoliaticii ad clistributione1n nullalenus dc cactcro rccipiantur, nisi pro 1naxima et evidenti ecclesiae utilitate et necessitate aliud cxpcdirc vidcbitur, tunc cni1n si habiles crunt, ad necessitatein reparandain pro ccclcsiac utilitatc, pracvio cxa1ninc ad1nittantur» (Constitutiones et decreta, cii., tit. II, cap. 6, 64).


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sostenuto dinanzi ad una comm1ss1one; tutto il collegio doveva approvare la scelta con giuramento"; 1 membri della sacra distribuzione potevano ricevere la loro quota di reddito se svolgevano regolarmente il loro ufficio"'; il patrimonio della sacra distribuzione era amministrato da tre deputati eletti dal collegio e aveva come scopo unicamente il sostentamento del clero partecipante"; in caso di 1nalattia o di vecchiaia i membri erano considerati presenti, anche se di fatto non erano in grado di svolgere il loro ufficio 12 . La nostra ipotesi sulla particolare configurazione giuridica delle sacre distribuzioni della diocesi di Agrigento, oltre che nel sinodo del I 589, trova conferma nei capitoli della comunia di Mussameli, eretta dal vescovo Antonio Lombardo nel 1S81 D Anzitutto non si effettuò

una

soppressione

del

beneficio

parrocchiale,

1na

una

sua

riorganizzazione: la cura delie anin1e non fu affidata in solithun ai membri della comunia; responsabile rimase l'arciprete, che doveva scegliere fra i membri della comunia tre cappellani amovibili per l'a1nministrazione dei sacra1nenti, due per la chiesa madre e uno per la chiesa filiale; la rnassa co1nune della sacra distribuzione non riuniva tutte le rendite del beneficio e quelle delle altre chiese; l'arciprete e i partecipanti non godevano di un pari trattamento economico: al primo venivano assegnate 18 onze annue dalle rendite delle primizie e gli era riconosciuto il diritto all'usufrutto della casa e della vigna del

29 «Ad sacn1111 distributionc1n pracsbylcri, diaconi et subdi<1coni nullatcnus dc coetero adn1ittantur, si ideonei aù corun1 ordine exercenduin non fuerint; secl qui habiles iudicio concordi decani, cantoris et anLiquioris canonici rucrinL, a quibus diligenter exaininentur, et iurarnento approbentur ut corurn approbaLione capitulu1n ìllos adrnittat et nota huiusn1oùi aùn1issionis, praccedenle praedictoru111 cxruninc et iurainento, fiat» (ibid., cap. 5, 65-66). 0 -' lhid., cap. 2, 63. Jl /bid., cap. 8, 64. 12 - «Aegroti si ruerinl, qui clistributione vivere solent inserviendo aut seniores quocl verisirnililer ecclesiae servire non valeanl et lan1en te111pore salutis cl iuvenlulis inservierìnt et proficui fuerint ecclcsiae, per clistributioncm aùiuvenlur quoliclie prout si scrvirent; hanc cni1n laudabi!en1 capituli consuetudine111 lauùa111us et in clioecesi observari 111anùar11us)) (ihid., cap. 7, 64). :u I capitoli della cornunia non sono Lrascrilti integra!!nente n1a riassunti da G. SORGE, !v!usso111e!i dal/'orgi11e al/'abolizione delle fe11da/itrì, 11, Giannolta, Catania 1916, 309-310.


La "co111unia" nel! 'area nissena

297

beneficio parrocchiale; inoltre nel!' accompagnamento dei defunti gli spettava il doppio di quanto percepivano gli altri, sia che vi intervenisse, sia che rimanesse in chiesa ad a1n1ninistrare i sacran1enti; tutti i sacerdoti della comunia, compresi l'arciprete e i cappellani, dovevano ogni giorno intervenire in coro alla recita delle ore canoniche; poteva far parte della sacra distribuzione tutto il clero del luogo; non risulta che il vescovo abbia concesso ai partecipanti l'uso cieli' almuzio o delle insegne, che solitamente indossavano i membri delle collegiate. Se consideriamo attentamente la particolare configurazione giuridica della sacra distribuzione agrigentina, noteremo che questo istituto tende a correggere qualcuno degli aspetti negativi sottolineanti nella comunia di Catania. Nella sacra distribuzione non si può affern1are che in teoria tutti i sacerdoti erano parroci e nella realtà nessuno Io fosse vera1nente, perché c'era una chiara distinzione di ruolo fra l'arciprete e i suoi coilaboratori. Perciò si può affern1arc che la sacra distribuzione aveva co1ne fine di organizzare rufficio dei coadiutori dell'arciprete, non la cura delle ani1ne nella sua generalità. Questo modello comporta una diversa applicazione del principio della collegialità: mentre nella comunia di Catania la collegialità trovava un'applicazione più piena, nella sacra distribuzione di Agrigento si realizzava solan1ente sul piano dei coadiutori) salvaguardando l'autonomia del!' arciprete.

3. Evoluziolle della comunia. L'influsso esercitato dai capitoli della cattedrale e delle collegiate Il quadro descritto per le comume del '500 presenta dei mutamenti nei secoli successivi soprattutto per quelle che si erano assunte la responsabilità della cura delle anime e dcl culto divino nella chiesa nladre di una città. Nel le1npo si ebbe un can1bian1ento nella nozione di culto divino e conseguentemente una diversa accentuazione nelle finalità della comunia. La nuova concezione del culto riguardava la straordinaria importanza data alla pubblica recita


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dell'ufficio divino in coro, sul modello dei capitoli cattedrali e collegiali, e alle insegne che i 1nembri della comunia erano autorizzati ad indossare. In pratica assistiamo ad una progressiva evoluzione dal modello delle comunie a quello delle collegiate. È emblematico in tal senso il caso della comunia costituita nella chiesa inadre di Acireale dal vescovo di Catania Antonio Faraone nel 1571: un collegio di otto sacerdoti, che doveva esercitare la cura delle anime nella chiesa madre e in alcune chiese filiali della città". Al loro sostentan1ento e alle spese necessarie per le chiese sacra1nentali provvedeva la città con gli introiti derivanti dalla gabella del pane. All'inizio del secolo XVII si nota la tendenza, specie durante i periodi di sede vacante, a creare le condizioni per costituire una collegiata: si cercava di accrescere il numero dei 111en1bri della comunia e di ottenere le insegne proprie delle collegiate. Il vescovo Camillo Astalli, nella seconda inetà del secolo XVII, durante la prin1a visita pastorale, fu costretto ad annullare alcune disposizioni date in precedenza dal vicario capitolare e il vescovo Michelangelo Bonadics proibì ai n1en1bri della con1unia di firn1arsi «unus ex collegio curatorun1 insignitorutn» o con altre espressioni analoghe, visto che non erano curati ina se1nplici cappellani an1ovibili e non erano membri di una collegiata, la cui erezione spettava alla Santa Sede-15 • Analogo a questo, il caso della chiesa madre cli Enna, dove non esisteva una vera e propria con1unia. Infatti vi prestavano servizio ventuno sacerdoti, ma solo quattro di essi avevano la responsabilità della cura delle anime. Il vescovo Branciforte, nella visita pastorale del 1638, notò che tutti questi sacerdoti indossavano I' almuzio, cioè le insegne proprie delle collegiate, e che era stato introdotto l'uso di cantare ogni giorno l'ufficio divino con la corresponsione di uno stipendio. Il vescovo con un pubblico editto proibì che si continuasse

-'~ M. DONATO, Le chiese sacran1entali de! territorio di Aci nel Cinquecento, in N!en1orie e rendiconti de!l'accade111ia degli Zelanti e dei !Jaji1ici di Acire(l/e serie li, 5 (1985) 39-90: 54. ~ 5 A. LONGHITANO, Ln visita pastorale de! vescovo Michelangelo Bonadies tifi Aci Aquilia nel 1666, ibid., 6 (1986) 367-423: 394-395.


La "coniunia" nell'area nissena

299

questa prassi fino a quando, con la concessione della facoltà da parte della Santa Sede, non si fosse dimostrato di aver acquisito tali diritti". Probabilmente l'editto del vescovo fece cessare il canto quotidiano dell'ufficio divino, ma non fece venir meno nei sacerdoti la prassi di indossare le insegne e di farsi chiamare canonici, al punto da provocare un secondo intervento da parte del vescovo Michelangelo Bonadies. Questi fece notare che non potevano considerarsi canonici, perché non era stata mai eretta una collegiata dall'autorità apostolica, non avevano mai ricevuto le insegne e non erano titolari di una prebenda". Se i vescovi in un primo 111omento contrastarono questo orientamento, col passare del tempo lo assecondarono o addirittura lo incoraggiarono istituendo collegiate di propria iniziativa e senza l'intervento della Santa Sede'"· In alcuni casi si ebbe la trasformazione della comunia in collegiata, in altri la diretta erezione di un capitolo di canonici'". Come abbiamo già visto, la collegiata ha una configurazione giuridica diversa dalle comunie. Il capitolo è un ente giuridico composito: oltre al collegio di presbiteri comprende anche le prebende delle dignità e dei canonici - che possono avere una soggettività autono1na - e una massa con1une per le distribuzioni corali) in 1nodo da incentivare la presenza al coro e alle azioni comuni.

16 ·

ID., Le relazioni «ad /ilnina» della diocesi di Catania ( 1640~1646), in

Sy11axis 2 (1984) 281-446: 343-344. :1 7 ID., Le relazioni «(Uf li111ù1a» della diocesi di Catania ( 1668-1686), in Sy11axis 4 ( 1986) 351-476: 384. :ix Se alcuni canonisti riconoscevano ai vescovi la facoltà di erigere collegiate, la 1naggior parte era di rarerc contrario e a tal rroposito si citava un 1110!11 proprio di Clc1nente VIII dcl 1592, che riservava alla Sede Apostolica questa potestà (V. PETRA, Co111111e11taria ad constitutiones aposto!icas seu b11!/as si11g11/as Ro111a11on1111 Po111((icu111 in Bul!ario Ronu1no co11le11tas sec11nd11111 co/lectione111 Cherubini, 111, Typis r. N. dc Martiis, Roinae 1708, 69; F.L. FERRAR!S, op. cit., voce Col!egi11111, cii., 710-711). Nel 1691 la Sacra Congregazione del Concilio dichiarò che non poteva essere ritenuta valida !'erezione della collegiata nella chiesa di Sant' Antonio di Padova ad Agira, per difetto di competenza del vescovo (Codicis luris Canonici fon/es, V, Typis Polyglottis Vaticanis 195!, 417) . .1 9 Per la diocesi di Catania furono trasfonnale in collegiate le co1nunie della chiesa rnadre di Paternò ( l 670), di Adrano ( 1690), di Assoro ( 1680), di Acireale (1691) e le quattro di Agira (1689).


Ado!fo Lo11ghita110

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Nel passaggio dalla comunia alla collegiata potevano verificarsi diversi cambiamenti: la cura delle anime poteva essere conferita solamente alle dignità del capitolo e non più a tutti i suoi membri""; la distribuzione delle rendite poteva non essere fatta su un piano di sostanziale parità, ma tenendo conto dei diversi uffici che i canonici esercitavano. A prescindere da questi rilievi di natura giuridica, fu una diversa accentuazione del fine che si prefiggeva la collegiata a segnare una svolta nell'azione pastorale del nuovo istituto. La comunia era stata istituita per rendere più efficace la cura delle ani1ne e incren1entare il culto divino. In un primo momento si pensava che la maggiore solennità al culto divino venisse data dalla regolarità e dalla efficienza del servizio, garantite da un collegio di sacerdoti; in più gli statuti potevano prescrivere la recita dei vespri e della compieta nei sabati e nei giorni festivi 41 • Col tempo si cercò di riprodurre il modello dei capitoli cattedrali e collegiali: recitare ogni giorno in coro tutto l'ufficio divino, celebrare la messa conventuale, ottenere gli abiti propri dei canonici o insegne. Perciò nell'azione pastorale della comunia prevalse l'elemento cultuale; la principale occupazione dei membri della comunia diventava la celebrazione di un culto divino, inteso con1e atto solenne, fastoso ed esteriore, a detrimento della cura delle anime. Sarebbe interessante stabilire quale impegno mettessero i canonici nella catechesi, nell'amministrazione dei sacran1enti, 111 particolare della confessione, quale contatto reale avessero con le ani1ne; faciln1entc lasciavano questi compiti al clero inferiore. Anche nella diocesi di Agrigento si diffuse man mano il desiderio di erigere le sacre distribuzioni secondo questo modello, che trasforn1ava le chiese madri dei con1uni in lante piccole cattedrali. I vescovi assecondarono questa tendenza, forse perché costatarono che

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Era i! caso delle col!cgiale di Adrano, Paternò, Assoro e delle quattro crcllc

ad Agira. 41 Negli statuti della con1unia di Patcrnò trovia1no la nonna: «Si debbi;:1 1nantenere quella devota et laudabile osservanlia di cantarsc la n1cssa il sabbato e anco la co1npieta alli quali dcbbiano convenire tutti !i con1n1uneri [... ]»(A. LONGHJTANO, 111 f)(//TOcchia, cit., 113).


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il nuovo istituto offriva la possibilità di assicurare il sostentamento ad un certo numero di sacerdoti. Perciò furono ben lieti di accogliere le richieste dei feudatari. del clero o di singoli fedeli, che costituivano il patrimonio per l'erezione di una sacra distribuzione. Si veda in tal senso quanto scrive il vescovo Ramirez nella relazione llll lhnina del 1713: quando i comuni hanno un numero sufficiente di sacerdoti e di chierici, ogni giorno si recitano in coro le ore canoniche, secondo la prassi seguita nelle collegiate; nella diocesi di Agrigento ciò avviene in diciassette chiese". Gli atti di fondazione delle sacre distribuzioni, che abbiaino preso in esame, ci permettono di descrivere con chiarezza la situazione esistente nella diocesi di Agrigento·1.1. Anzilutto molte comunie sorsero con l'intervento delern1inante dei feudatari, che avevano fondato la città o di altri privati cittadini, che offrivano il patrimonio necessario. Il vescovo nell'alto di fondazione concesse loro il diritto di patronato: sarebbero stati i fondatori o i loro eredi e presentare i non1inativi dei n1en1bri delle comunie, il vescovo si sarebbe li111itato a dare l'istituzione canonica. La generalizzala concessione del diritto di patronato impediva al

•12 HD

1713, !8 a, ff. 399v-400r. Analizzere1no i segucntì docurnenti conservali nel I' AnCHIVIO STOfUCO DELLA CURIA DI AGRIGENTO: Istituzione della sacra distribuzione nella 1nalrice di Bivona, in Registri \!esco\!i 1668-1669, Il. 885v-886v; Fondazione della sacra distribuzione nella chiesa n1adre di Racallnulo, in Registri Vescol'i 1689-1690, ff. 896v-898r; Fondazione della sacra distribuzione nella chiesa n1adre di San Cataldo, in Registri 11esc(n1i 1729-1730. ff. 6 l 4r-6 l 6v; Costituzioni della sacra distribuzione del clero nella chiesa n1adre di San Cataldo, in Visite 1731-1732, rr. I 066r-l 07 ! V (questo docun1cnlo è stato rubblicato in Solidaris1110 e pietà nel Se!fecento, Centro Studi Cnmrnarata, San Cataldo 1986, 77-91); Bolla di rondazione della sacra dislribuzione nella chiesa rnaclre di Alessandria, in Registri Vesco1 i !754-!755, rr. 640r-643r; fslituzione della sacra distribuzione nella chiesa filiale cli Sant'Agatn di Sutcra, in Visite I 756-1764, 325-327; Bolla di fondazione della sagra clislribuzione nella n1adrice chiesa di Sutera, ibid., 328-330; Caritoli ed istruzioni della nuova sagra distribuzione rondata dentro la venerabile 1nnclrice chiesa di Sulcra, in Registri \!escol'i 1757-1758, Il. 965r-974v. In questo studio non prendo in esa111e la con1unia istituita nel 1653 nella chiesa 1naclre di Caltanissetta, della quale ci dà notizia F. PULCI, Lc111ori sulla storia ecclesiastica di Caltanissetta, Ed. del Sen1inario, Callanisselta !977, !47, !57, 194-202. Sarà possibile delineare la sua configurazione giuridica solo quando si avrà la possibilità di leggere il decreto vescovile di erezione. 'D

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vescovo un efficace controllo sulla scelta dei membri delle comurne e sulla loro stessa vita. Chi esercitava il diritto di patronato presentava o membri della propria famiglia o persone devote sulle quali sapeva di poter contare. A volte venivano avviati giovani al sacerdozio senza la verifica di una reale vocazione, ma con la prospettiva di farli entrare nella comunia. In ogni caso le comunie costituivano un circolo chiuso di sacerdoti, spesso mal visti dal resto del clero, sui quali il vescovo non se1npre era in grado di esercitare la propria autorità'1-1. Fra i documenti che abbiamo esaminato godevano del diritto di patronato le comunie sorte nella chiesa madre di San Cataldo (1730), fondata dal principe Galletti 45 , quella di Alessandria della Rocca ( 1754), fondata con le offerte di diverse persone, fra cui il principe di Resuttano e i giurali della città"', e quella della chiesa filiale di Sant'Agata a Sutera (1758), fondata con il patrimonio lascialo in eredità da due saccrdoti·17 • Negli altri casi il vescovo si riservò la libera non1ina dei 1ne1nbri - vedi la comunia nella chiesa 1nadre di

.J.j Nelle relazioni ad /ù11i11a i vescovi preferivano affrontare il teina generale Jcl rapporto fra clero e feudatari, invece di li1nitarsi nel analizzare il con1porta1nento dci 1ne1nbri delle con1unie. Il quadro che descrivono è desolanle: i baroni assun1evano co1nc persone di fiducia elen1enli del clero e se ne servivano coine a1n1ninistratori, carne esattori, con1e supervisori nell'esercizio della giustizia civile e crin1inale (RD 1699, 18 a, 314v-315r); nei comuni soggetti alla giurisdizione dei baroni l'esercizio della cura delle ani1ne non era libero, perché né i parroci, né i vescovi potevano opporsi ai baroni, che giudicavano contraria ai loro interessi una detern1inata allivitù pastorale (RD 1707, !8 a, f. 383r). Sul con1portainento e la 1nenta!ità del clero delle cornunie vedi C. NARO, op. cit., 484-487. 45 «[ ... ] expediantur bullae in forrna cLnn reservalione iuris patronatus favore clitti ill.111i principis diltac terrae allenta eius dotalione [ ... ]» (Allo cli fondazione, ci!., f. 616r). ~ 6 «[ ... I duo cx 111ansionariis praedictis in praeinserta provisione sinl de iure patronatus ill.111i principis Resuttani don1ini dittae Lerrae et suoru1n in perpetuun1 [ ... ] pariterque cun1 unus ex iiscle1n praedìctis 1nansionariis sit dc iure patronatus universitatis, sive 1nagnificoru1n iuratoru1n praedictae terrac et suorun1 in perpctuu1n l ... ]» (Allo di fondazione, cii., r. 641 v). " 7 «[ ... ] reservantes et in perpetuu1n concedentcs ercdibus ac succcssoribus RR. sacerdolun1 D. Antonini Bcllavia et D. Pauli Scozzari predictos 111ansionarios iuxla eorunde111 discretionen1 Lotics quoties casus vacationis occurreril [ ... ]» (Allo di fondazione, cii., 326).

rr.


La "con1unia" nell'area nissena

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Racalmuto (1690) 4" e nella matrice di Sutera (1758}19 - oppure conferì ali' arciprete e ai tre membri più anziani della co1nunia il diritto di presentare 1101111 dei nuovi partecipanti: vedi il caso di Bivona (I 669)"'· In tutti i casi presi in esa1ne troviamo un nun1ero chiuso di partecipanti con la specifica della rendita che spettava ad ognuno di essi. Generahnente la comunia non era titolare in solirlu111 della cura delle ani1ne; da una parte c)era l'arciprete) che veniva no1ninato in seguito a regolare concorso, era considerato il responsabile della cura delle anime, percepiva una quota diversa delle rendite beneficiali e dall'altra i sacerdoti partecipanti, che dovevano recitare l'ufficio divino e coadiuvare Parciprete·'i 1•

..ix«[ ... ] per c!uodecirn sacerdotes ve! diaconos, subdiaconos aut c!ericos per nos eligendos, iuxta nostn1c voluntatis libitun1 [... ]» (Atto di fondazione, cit., r. 897v). 49 «[ ... ] servata nobis et successoribus nostris potcstate cligencli, instruendi et instal!andi choristas, sacerclotes et clericos praedictos in perpetu11n1, ml nutu1n nostrun1 1... I>> (Allo di rondazione, cit., 329). 511 concedentes [... ] vobis liccncian1 capitulariter cligcndi .. "], oh n1orlcn1 alicuius ditte sacre distribulionis presbiteri, cornn1ittin1us vohis rev.do archipresbilero el tribus aliis ansianis sacerdolihus eiusdein sacrac distribuLionis 11on1inare cl cligcre a!iun1 icloneurn presbitcrun1 in locu1n defunti, super quo consccnlian1 vestra1n toties quoti es casus vcniat oneran1us [_ ... !» (Atto di rondazione, cit., f. 886v). 51 A Rncal1nuto i dodici partecipanti dovevano sostituire i sci cappellani che aiutavano l'arciprete (Allo di rondazionc, cit., f. 897r). Nel decreto che erige la con1unia di Bivona non c'è un'affcnnazione esplicita al riguardo, 1na viene riconosciuto il ruolo pre1nincntc dell'arciprete anche in seno alla conuinia; segno che i! suo ufricio restavo irnmutato (Atto di fondazione, eit., f. 886v); a San Catolclo nei dodici 1nen1bri della con1unia si fa distinzione fra il ruolo dell'arciprete e quello degli altri undici (Atto di fondazione, cil., ff. 614v-6!5v); lo stesso si dica per Alessandria della Rocca (Allo di fondazione, cit., Il. 64lr-642r); nella co1nunia della chiesa 111adre di Sulera nel nu1nero cli otto partecipanti si fa esplicita n1enzione dell'arciprete, al quale il vescovo in un priino 1non1ento assegnò un supplcn1enlo di congrua; n1a dopo alcuni giorni 111odiricò questa sua disposizione, in seguito ai rilievi degli altri partecipanti (Atto cli fondazione, cil., 328-330); nella chiesa di Sani' Agat<1 dello stesso con1unc la sacra distribuzione era costituita da quattordici sacerdoti e quattro chierici; probabi!n1cntc in queslo cnso la cura delle ani1ne veniva esercilala collegi<1!Jncnle da tutti i 111e1nbri della con1unia, tuttavia nel coro era riservato un posto all'arciprete de! paese, nell'ipotesi che egli volesse p<1rtccipare a! coro o alle funzioni nella chiesa filiale (Atto di fondazione, cit., 326). Anche nelle relazioni od !i111ina i vescovi indicano l'arciprete con1e responsabile della cura d'ani1ne; la sacra distribuzione era un patrin1onio istituito per assicurare un servizio pili attivo nella

«r ... ]


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Sulle motivazioni addotte per fondare la comunia e sulle finalità che essa si prefiggeva di raggiungere abbiamo alcune interessanti indicazioni. L'arciprete di Alessandria della Rocca, nel chiedere al vicario capitolare Pietro Gioeni l'erezione della con1unia, scriveva «che convenendo esservi a prescritto dalli sagri canoni nelle chiese parrocchiali la recitazione del divino ufficio in comune, l'esponenti per il desiderio {che) tengono in vedere coltivata la gloria di Dio, il bene publico spirituale dell'anime s'anno impegnato per via de' pii fedeli» di raccogliere «la somma di onze cinquantasei annuali ad effetto stipendiare a nun1ero navi distribuzioneri»; a tal fine chiedeva l'uso delle insegne proprie dei canonici: l'almuzio nero con gli orli violacei. Co1ne secondo fine della co1nunia veniva indicato «i' aggiuto dell'amministrazione dci sagramenti in beneficio e commodo di tutto il popolo di detta terra» 52 • Merita un particolare rilievo il riferimento fatto dall'arciprete alle prescrizioni canoniche sulla recita comune dell'ufficio divino nelle chiese parrocchiali. Sappiamo che la Chiesa ha sempre incoraggiato la recita co1nunitaria delle ore canoniche nelle chiese e che la prassi della recita individuale è tardiva e di ongrne devozionale 5-'. Tuttavia si ha ri1npressione che il richia1no

chiesa (J{D 1694, Agrigento 18 a, f. 279v; 1699, ff. 299r-317r). Nel 1728 il vescovo Anseltno !a Pigna scriveva teslualn1ente: «Sunt pro anirnannn cura trigintanove1n archiprcsbyteratus crecti [ ... ] qui [... ] conferuntur sernper praevio exan1ine per concursurn ad fonnmn tridentini et constitutionis S. Pii V[ ... ]. In aliquibus oppidis l ... J sunl quacdain con11nuniac institutae, in quibus pro recitatione divini officii in ecclesiis parochialibus ecclesiastici conveniunt [... ] et interessentibus dividilur quotannis tertin pnrs fructuun1 ad parochos spcctantiu1n, quorun1 opera coaJiuvan!ur p11rochi eLian1 in sncran1e11Lonnn adininisLratione» (RD 1728, Agrigento I 8 a, fL 414v; 420v-412r). 52 Allo di fondazione, cit., IT. 640r-v. 51 · Il Decreto di Graziano, riportando il brano di un capitolare cli Incn1aro cii Rein1s, ricordava a! parroco che era suo dovere ogni giorno celebrare in chiesn le ore canoniche (D. XCII, c. 2); un obbligo analogo venivn sancito per tulli i chierici dnl c. 17 del Concilìo Lateranense IV, ripreso dalle Decretali cii Gregorio IX (libro Il!, tit. XLI, c. 9). Per lo sviluppo storico della preghiera liturgica pubblica vedi: A MOLIEN, Brél'iarie, in J)ictionnaire de f)roit Canonique, I, Lelouzey et Ané, Paris J 937, 1065l l 04; A.G. MARTHvlORT, U1 preghiera delle ore, in l.L1 Chiesa in preghiera, IV, Qucrininnn, Brescia 1984, 177-287; J. PINELL, Liturgia delle ore (Antin1ncsis 4), MarietLi, Genova 1990.


La "conutnia" nell'area nissena

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dell'arciprete abbia una valore strumentale. In realtà al clero non interessava tanto la recita comunitaria dell'ufficio divino, quanto l'erezione di una nuova realtà giuridica che garantisse loro un sostentamento sicuro e desse la possibilità di emulare i capitoli della cattedrale in quelle forme di culto esteriore che esercitavano tanta suggestione nella mentalità di quel tempo". Anche larciprete di San Cataldo, nel presentare la domanda al vescovo, scriveva che con l'erezione della comunia si intendevano raggiungere due finalità: otto mansionari «ogni giorno potessero assistere nel coro di detta chiesa per cantare divino officio, secondo si costuma nelle catredal i e potessero giovare a quei cittadini cd abitanti con a1n1ninistrazione de' sacra1nenti» 5S. Negli statuti della co1nunia della chiesa madre di Sutera si legge che il vescovo Andrea Lucchesi Palli era stato indotto ad istituire la comunia dalle pietose condizioni in cui si trovava la chiesa madre «essere stata [ ... ] sprovveduta di cura spirituale cd essere stata abbandonata da tutti quasi i chiesastici per essere situata in un luogo molto distante dalla universale abitazione e per altro solitario e scarso d'abitatori e molto distante dall'abitazione del rcv. arciprete»; con Perezionc della comunia si voleva garantire l'assidua presenza di un collegio di otto sacerdoti e cli due chierici, i quali avevano «l'obbligo cli coscienza d'assistere al coro ed aiutare al riferito rev. arciprete nella cura dell'ani1ne». Anche a loro il ve~covo concesse l'uso delle insegne proprie dei canonici 56 •

5·1 Stabile e Ga1nbasin fanno ricorso alla categori(I della 1nagnificenza per descrivere la vi La e l'ordinaincnto della Chiesa siciliana dell'antico regirne, dove i I culto esteriore reso dai capitoli e dalle con1unie costituiva un elernento n1olto rilevante (F.M. STABILE, op. cit., 393-394; A. GAMBASIN, op. cii., 130-138). 55 Atto di fondazione, ciL., f. 6 l 4v. Per con1prenc!ere !a 111c11Lalità dei 111e1nbri delle coinunie di questo periodo si vedano le espressioni n!tisonanti adoperate negli statuti della sacra distribuzione dello stesso con1une: nella Gcrusalen1111e celeste Dio è lodato incessante1nente dagli spiriti eletti; poiché a causa del nostro corpo corruttibile che appesantisce anche I 'ani1na non sian10 capaci cli elevare allo stesso 1noc!o le lodi divine, noi, costituiti con1c scntinel!e sulle 1nura dc!!a Gerusale1111nc terrestre, ci sforzere1110 di rivolgere più volte al giorno le nostre preghiere a Dio creatore nel!a noslra chiesa 1nadre (Statuti di San Cataldo, cit., cap. lii,§ l, p. 81). 56 Capitoli ed istruzioni, cit., 965.


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Da una scorsa agli statuti delle comurne di San Cataldo e di Sutera si 'può notare che il maggiore interesse dei partecipanti non era l'impegno della cura delle anime ma la presenza al coro con la recita quotidiana del divino ufficio e la celebrazione della messa conventuale, Negli statuti di San Cataldo il primo titolo è dedicato all'amministrazione dei sacramenti, ma tutti gli altri riguardano la disciplina corale e l'ordinamento interno della comunia57 , Negli statuti di Sutera nessun capitolo tratta dell'amministrazione dei sacramenti; tutti hanno per tema la vita interna della comunia e la recita delle ore

canoniche 58 . Nella configurazione assunta dalle comunie nella seconda fase del loro sviluppo, il clero poteva ritenere di aver esaurito i propri compiti con la recita quotidiana dell'ufficio divino e con la celebrazione della messa conventuale, L'aiuto all'arciprete nella cura delle anime veniva considerato un lavoro in più, del quale i membri della con1unia avrebbero fatto volentieri a n1eno. Tutto questo portava i sacerdoti ad estraniarsi se1npre più dai veri problen1i della pastorale e a chiudersi nelle chiese e nelle sacrestie, Il lasso cli litigiosità era aumentato enor1ne1nente: e' erano proble1ni di insegne, di precedenza, di retribuzione, di strenua difesa di privilegi veri o presunti, di interpretazione degli statuti ... 59 . Nel ] 699 il vescovo Ra1nirez scriveva

57

Costituzioni, cit., 78-91.

58

Capitoli cd istruzioni, cit.

59 Il n1odcllo dcl clero ricettizio è slalo delineato in diversi saggi d<1 G. De Rosu, 1na con rifcrin1cnto alla situazione esistente nelle regioni continentali dell'Italia meridionale, dove erano presenti alcuni ele1nenti tipici che 1na11cavano nelle coinunie siciliane: «È inscindibile la chiesa ricettizia dalla storia della terra; attorno aù essa gravitano nuclei don1estici, co1nposti di coloni e fittavoli. l! prete anche nella veste si confondeva con il cafone, lavorava n1olto spesso il ca1npo con le proprie inani, procedeva con l'asino, gestiva la rendila e i vnri censi, 1nodcsti o alti che fossero. La legislazione tanucciana difendeva i! car<J!!cre privato dcl patri111011io ricettizio e l'autono1nia del suo clero rispetto all'autorità diocesana» (G. DE ROSA, La parrocchia nell'età co11te1111)(Jra11ea, in La parrocchia in Italia nell'età co11/e111pora11ea. Affi del Il i11co11tro sen1i11ariale di Mararea, 24-25 sette111bre 1979, Dchoniane, Napoli-Ron1a 1982, 15-28: 19-20). Tutlavia nlcuni rilievi possono essere validi anche per caratterizzare la 1nentalità ciel clero siciliano: «Clero ricellizio è sinoni1no di clero litigioso e aLtaccabrighe, di clero geloso della propria "roba", poco incline all'obbedienza verso il vescovo e che calcolava gli obblighi religiosi cornc una


La "conurnia" nell'area nissena

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nella relazione ad limina: da pochi anni, su richiesta del!' arciprete di Aragona, erano state divise le rendite del beneficio: al responsabile della cura delle anime andavano cento scudi, gli altri introiti andavano ai dodici membri di una sacra distribuzione, che dovevano aiutare l'arciprete e recitare le ore canoniche in coro indossando l'almuzio. Fu necessario un energico intervento del vescovo per costringere i membri della comunia a dare la loro collaborazione nell'esercizio della cura delle anime"''. Nella bolla di erezione della comunia nella chiesa filiale di Sant' Agata di Sutera il vescovo dava precisi criteri di precedenza perché non ci fosse «minima rixarum et controversiaruin occasio» 61 e ad un anno di distanza dalla pron1ulgazionc degli statuti della comunia, che sorgeva nella chiesa madre dello stesso comune, il vescovo fu obbligato ad intervenire scrivendo: «Con sommo nostro rincresci1nento abbian10 inteso quanti disordini ed inconvenienti sono stati nel coro della chiesa madre cli detta città»'''. Le conseguenze di questa svolta nella vita della Chiesa non passarono inosservate aJle autorità civili e ai vescovi più aperti ai problemi del tempo. I borboni, nel 1759 e nel 1776, proibirono ai vescovi l'erezione di nuove collegiate senza aver ottenuto il reale assenso". Il vescovo di Catania Salvatore Ventimiglia nella relazione inviata alla Santa Sede nel 1772, dopo aver descritto le pietose condizioni ciel clero e delle numerose collegiate della diocesi, manifestò le linee programmatiche per riformare l'esercizio della cura delle anime: ripristinare la cura individuale nelle chiese in cui teoricamente si avevano 1nolti parroci 1na praticamente nessuno lo era

rendila [ ... ]. Il clero "partecipante", cioè il clero che beneficia della rendita delln 1nassa cornunc dei beni non era nu1neroso, tna nun1eroso era l'altro clero che era escluso dalle quote e viveva di 1nasse e servizi. Da questa siluazionc nascevano scontenti, disuguaglianze, liti>> (ID., Vesco1 i, popolo e 111agia nel Sud, Guida, Napoli 1983 2 , 36-37). Una efficace descrizione della situazione in cui si trovsva il clero delle con1unie nissene si ha in C. NARO, op. cit., 484-487. 60 RD 1699, 18 a, f. 313v. 61 Atto cli fondazione, cit., 326. 62 Capitoli cd istruzioni, cit. 974r. <iJ La nonna del 1759 riguardava le bolle provenienti da Ron1a; quella del 1776 i clecrcli e1nessi dai vescovi (A. GALLO, C'odice Ecc!esiasrico Sico!o, Ili, Stan1peria Carini, Palermo 1851, dipl. 71, 135-136; dipl. 76, 140-141). 1


Adolfo Langhirano

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pienamente''· Anche il vescovo di Siracusa Giovanni Battista Alagona nella relazione del 1777 si augurava che nella sua diocesi venissero meno le collegiate che servivano ad incrementare la vanità e le liti, non il servizio nelle chiese".

4. Le leggi eversive del I 867 e la fine delle comuni e La riforma, che la Chiesa di Sicilia non volle o non fu in grado di attuare, si ebbe con l'avvento dello Stato unitario, ma in un clima di contrapposizione ostile. Una delle riforme di struttura, che avrebbero dovuto ridimensionare la presenza della Chiesa nella società, riguardava proprio la soppressione delle corporazioni religiose e degli enti ecclesiastici secolari. Fra gli enti soppressi nel 1867 ci furono anche le collegiate e le co1nunie. In un prin10 1nomento si volevano risparmiare gli enti ai quali era annesso l'esercizio della cura delle anime; ma alla fine prevalse la scelta di sopprimerli, conservando un solo beneficio per la persona che avrebbe dovuto farsi carico dell'arnministrazione dei sacramenti; in pratica si passò dalla cura collegiale alla cura individuale delle anime. Tuttavia non si tenne con lo che in Sicilia I' ordina1nento parrocchiale era diverso dalle altre regioni italiane. I vescovi siciliani al sistema della cura individuale delle anime avevano preferito quello della cura collegiale nelle due forme descritte; perciò invece di inoltiplicare le parrocchie, avevano incren1entato le coinunie. Nei diversi centri abitati l'unica parrocchia istituita nella chiesa madre era in grado di soddisfare alle esigenze di tutti i fedeli perché vi prestava servizio un numero consistente di sacerdoti. Con la soppressione della comunia si garantì il sostentamento al titolare ciel beneficio superstite,

(,~A. LONGHJTANO, Le relazioni <<ad /ùnina» della diocesi di Cata11i({ (I 762), i Il Sy11axis 1O ( 1992) 315-418: 374-395; ID., /)a/ 111ode!!o i!/11111i11({/0 del ve.1·co\lo Venti111ig!ia (1757-1771) alla 11on11alizzazio11e ecclesiastica del vesco\!o [)eodato ( 1773-1813), in AA. Vv., Chiesa e società in Sicilia. I secoli X\111-XIX, a cura di (ì. Zito, SEI, Torino !995, 41-58.

(,s RD

Siracusa, 775 b, Il. 74r-v.


La "con1unia" nell'area nissena

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che da solo avrebbe dovuto esercitare la cura delle anime di tutto il comune. I membri delle comunie soppresse per qualche tempo continuarono a svolgere il ministero nelle matrici alle dipendenze del parroco; man n1ano furono obbligati a cercare una nuova attività che garantisse loro il sostentamento. Si moltiplicarono in tal modo nuovi centri di culto e si incre1nentarono forn1e nuove di devozione66 . La soppressione delle comunie determinò, co1nunque, una svolta storica nel l'ordinamento e nel!' azione pastorale della Chiesa siciliana. Il ritorno forzato alla cura individuale delle anime avrebbe dovuto spingere i vescovi a moltiplicare le parrocchie; ma vigendo il siste1na beneficiale, l'erezione della parrocchia co1nportava la costituzione di un patrimonio dal quale il parroco avrebbe dovuto trarre il sostentamento, ipotesi di fatto irrealizzabile per le difficoltà econon1iche in cui si trovavano tutte le Chiese siciliane. La soluzione cli questo problema si ebbe a partire dal 192067 • In pratica per oltre cinquant'anni, a partire dal 1867, l'ordinamento parrocchiale siciliano non riuscì ad assicurare gli stessi servizi che aveva offerto per il passato ai fedeli; tanto meno fu in grado di rispondere alle crescenti esigenze di una società in continua evoluzione.

Conclusione Avviandomi a chiudere queste riflessioni, mi sembra opportuno fare qualche rilievo che ci aiuti a considerare il problema delle comunie nel quadro più ampio della vita della Chiesa. Il giudizio negativo sulle co1nunie e sulla funzionalità dell'ordinan1ento parrocchiale potrebbe indurci a credere che le diocesi siciliane si siano trovate per decenni in una situazione di imn1obilismo e di in1potenza di fronte alle sfide poste dalla società del tempo. In realtà sia nella

Mi A. SINDONI, op. cii., Il, 89-124; C. NARO, op. cii., 489-491. 67

A. LDNGHf'fANO, E110/uz.ione socia/e e giuridica delle parrocchie, in AA. Vv., La Chiesa di Sicilia da! Vaticano I al Vaticano li, I, Sciascia, Callanissettn~Ron1a 1994, 405-482.


Adolfo Longhitano

310

situazione apparentemente statica dell'antico regime, sia nei conflitti provocati dal governo anticlericale e massonico dello Stato unitario, la Chiesa continuò a svolgere l'opera di evangelizzazione e di assistenza,

facendo ricorso a strutture molteplici: si pensi al mondo delle confraternite, dei religiosi e dei terzi ordini, alle iniziative sorte dopo l'appello di Leone XIII per una più incisiva presenza nel sociale. Anche se le parrocchie rimasero estranee o furono coinvolte solo 1narginalmente, la Chiesa nel suo insie1ne riuscì ad assicurare la sua presenza e a far sentire la sua voce. Non mancarono i tentativi di rivitalizzare le comunie; nel corso degli incontri che prepararono il concordato del I 929 fu affrontato anche questo tema e ad un certo punto si ebbe l'impressione che il problema potesse essere avviato a soluzione""· Le ultime voci a difesa di questo tipico istituto giuridico delle Chiese meridionali si levarono dopo l'ultima guerra, quando doveva apparire illusorio ripristinare una struttura che era nata e si era

sviluppata per rispondere a situazioni sociali diversem Se vogliamo andare alla radice del problema, dobbiamo considerare il rapporto esistente fra la Chiesa, intesa come realtà viva e operante, e le strutture, che devono aiutarla a svolgere la sua missione. Le mutate condizioni dei tempi richiedono sempre il rinnovamento e l'adeguamento delle st1utture; tuttavia se la Chiesa è viva e avverte l'urgenza di continuare la sua missione troverà setnpre gli st1umenti più idonei per far pervenire il suo messaggio.

68

F. ROMITA, op. cit., 16.

69

Si vedano gli studi del Ron1ita e dc! Vendilli.


Synaxis XV/I (1997) 311-352

LA FONDAZIONE DELLA DIOCESI DI CALTANISSETTA

GAETANO ZITTf

O. Pren1essa

Della radicale ristrutturazione dell'organizzazione ecclesiastica dell'isola, realizzatasi nei primi decenni del sec. XIX, se si escludono alcune ricerche per singole diocesi', e le pagine scritte da Angelo Sindoni 2 , non risulta che ci si sia occupati esplicitamente e globalmente. Eppure, con la erezione di nuove diocesi si è verificato un evento che ha stravolto la secolare e assodata organizzazione religiosa dell'isola: per il profondo cambiamento prodotto, «non ha riscontro con nessun'altra zona d Italia e forse - riguardo ad aumenti neanche d'Europa»:i. In questa relazione mi limito a tracciare il percorso che ha determinato, all'interno di un più ampio progetto della politica borbonica, la fondazione della diocesi di Caltanissetta, rimandando ad 1

* Professore di Storia della Chiesa nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Relazione Lcnuta al convegno dì studio organizzato dall'Istituto Teologico "G.

Gultadauro" cli Caltanisseta su: «Religione e società nel Nisseno nel Settecento e nel pri1no Ottocento», Caltanissetta 11-12 novembre 1994. Gli alti sono di prossima pubblicazione. 1 G. CONTARINO, Le origini de/la diocesi di Acireale e i! pri1110 vescovo, Accade1nia degli Zelanti e dci Dafnici, Acireale 1973. 2 A. SINDONI, [)af rifonnis1110 assolutistico al catto!icesù110 sociale, l, Studiun1, Roma 1984, 167-186. J lbid., 174.


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Gaetano Zito

una prossima pubblicazione la trattazione globale della ristrntturazione delle circoscrizioni ecclesiastiche dell'isola nel 1844. La ricostruzione delle vicende e delle problematiche ad esse connesse si è resa possibile grazie alla documentazione rintracciata presso l'Archivio Segreto Vaticano' e l'Archivio di Stato di Palermo', relativa proprio al processo, previo alla decisione di erigere le diocesi, istruito dalla S. Sede e dal governo napoletano.

I. Le circoscrizioni ecclesiastiche dell'isola all'inizio del sec. XIX «Essendosi n1olto accresciuto questo Regno nel nun1ero dc' fuochi, e nelJ1aun1cnto cli nuove popolazioni, ha considerato il Parla1ncnto cli

un1iliare a S. M. l'inconveniente, che succede pel ristretto nurnero di soli sci Vescovi, e due Arcivescovi, i quali quantunque con indefessa cura, e vigilan7,a procurino dì soddisfare al loro Apostolico n1inistero, tuttavolta per la estensione delle loro Diocesi, non sono in grado di poterli tutti, e con esattezza adempire, quelli spcciahnentc che bisognano di pronta e sollecita provvidenza; e però riflette di non potersi a si gran rnale ovviare, se non con accrescere il numero dc' Vescovi dcl regno, e dividere le Diocesi per assegnarsi a co1Tispondenza delle anin1c e popolazioni, ai novelli Vescovi la porzione divisa e separata, e per ajuto del loro congruo assegnan1ento doversi sce1narc da pingui Vescovadi una porzione rata, eh contribuirsi, seguita che sarà da qui a 111illc anni la n1ortc degli attuali Vescovi». 6

Così, il 5 aprile 1778, il Parlamento di Sicilia, in pieno clima di riformismo borbonico, presentava a Ferdinando Ili la richiesta ufficiale

4 ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, S. C. Consistoria/is, Acta Congrcgationis Consistorialis, l 844, toni. 2° (in seguito cit. ACA); Asv, Segreteria di Stato, 18421844, rubr. 252, busta 470: Nunziatura di Napoli (in seguito ciL. NN). 5 PALEnMo, ARCHIVIO DI STATO, Ministero Affari di Sicilia, Ecclesiastico, busta 2338 (in seguito cit. MAS). (, li Lesto in A. GALLO, Codice Ecclesiastico Sico!o, Il, Stan1peria Carini, Palenno 1846, 68.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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di erigere nuove diocesi nell'isola, motivandola con l'aumento della popolazione, ma ancor più per impellenti esigenze di carattere pastorale. Lungo il sec. XVIll, con andamento differenziato, la popolazione della Sicilia aveva subito un incremento del 34,74%. Infatti, tra il 1714 c il 1798 la popolazione dell'isola7 era passata da l.083 .163 a 1.659.948 abitanti, con un aumento reale di 576.785 abitanti in 84 anni, facendo registrare in tal modo un saldo attivo tra nati e morti di circa 7.000 abitanti per ogni anno. A questa popolazione doveva rispondere una struttura ecclesiastica che era ancora rigidamente ferma alla organizzazione compiuta dai normanni, d'accordo con il papato, dopo la sconfitta degli arabi. Infatti, l'isola era ripartita in 8 diocesi, e tutte con sede episcopale lungo la costa: 2, Palermo e Messina, sedi arcivescovili, e le altre 6 sedi vescovili: Cefalù, Patti, Catania, Siracusa, Agrigento, Mazara del Vallo. Alla organizzazione nonnanna nel 1778

1nancava in verità

Monreale: nel 1776 era stata unita alla sede di Palermo, in quel clima riformatore del governo borbonico che tendeva, tra l'altro, a decurtare i più pingui possedimenti ecclesiastici e in particolare quelli delle mense vescovili. E Monreale indubbiamente era tra quelle maggiori del regno: «questa Chiesa - scriveva Tanucci in un suo dispaccio del 25 111aggio 1776 8 - quanto era inutile, altreltanlo colla esperienza riconosccasi pregiudiziale alla cura spirituale, per la irregolarità, onde fu dal principio fonnata collo sn1ernbra1nento di tanti luoghi dalle altre Diocesi, producendo così il suo territorio sparso, e intrecciato nelle viscere della

Chiesa di Palenno, e delle altre [giungeva fino a Bronle, alle falde

7 I dati del Maggiore Perni e riparlati da G. LONGHITANO, lit dina111ica de111ogrc(/ica, in La Sicilia, a cura di M. Ay1nard e G. Giarrizzo, Einaudi, Torino 1987 (Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità ad oggi), !019. 8 D. M. GIARRJZZO, Codex siculus, I, Ex Typ. Ss. Apostoloru111, Palenno 1779,

lib. J, lit. f, §IV, 26-30.


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Gaetano Zito

dell'Etna], continui dissiclj, e l'abbandono, e la poca assistenza delle Anin1e per la lontananza dcl loro Pastore».

Il ripristino dell'autonomia di Monreale, chiesta proprio nel Parlamento del 1778, venne concessa nel 1802 con la bolla

"lmbecillitas humanae mentis" 9• Alla richiesta di nuove diocesi il re non si inostrò contrario, 1na ritenne indispensabile sospenderne la decisione operativa per conoscere esatta1nente i ter1nini della decisione da assun1ere: «Sua Maestà non è lontana dall1accordar questa grazia, 1na per ora la sospende, ed ordina, che la Diputazione del Regno con tutta l'avvedutezza f-Onni un piano dettagliato di come dividersi le Diocesi, e quali Vescovadi accrescersi, e con1c assegnare ai 1nedcsin1i la co1rispondcnte azienda, e da quali Vescovi, cd Arcivescovi sce1narli, col riguardo a quelli che per la situazione della loro residenza hanno bisogno di spendere di più: che il Viceré con1unichi tal piano alla Giunta dc' presidenti, e Consultore, per esaminarlo coll'intervento dei due Avvocati Fiscali della Gran Corte, e dcl Patrirnonio; indi passi a S. Maestà sì il piano sudetto, che i! sentin1cnto della Giunta, per ordinare quanto convenga»w.

D'altra parte, nelI1isola la notizia non era stata accolta favorevohnente da tutti, anzi si era registrata una forte opposizione in alcune diocesi in particolare. A Messina, senato e curia arcivescovile ostacolarono il progetto di fraziona1nento che prevedeva una cessione di comuni alla piccola diocesi di Patti e un'altra alla erigenda diocesi

9 L.c.; il tcslo della unione di Monreale a Palerrno in A. GALLO, op. cit., !li, (1851) 141-142. Sulla questione, efr. M. CONDORELLI, Mo111e11ti del nf'on11is1110 ecclesiastico nella Sicilia borbonica ( 1767-1850). Il prob!e111a della 111a110111or1a, Ed. Parallelo 38, Reggio Calabria 1971, 35-37; G. SCHIHÒ, Monreale: territorio, popolo e prelati dai 11onnanni ad oggi, Augustinus, Palern10 !984, 65-68. Sui Parlatncnti: I Parla111e111i di Sicilia. Alti ciel convegno (Catania 23-24 111arzo !984), in Archivio Storico per la Sicilia Orie111ale 80 (1984) fase. I. Su Tanucci: Bernardo Ta1111cci: h1 corte, il paese 1730-1780. Atti dcl convegno (Catania 10-12 ottobre 1985), in Archivio Storico per la Sicilia Orie11tale 84 ( 1988) fase. !-Il. 10 D. M. G1ARRIZZO, op. cit., 31.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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di Nicosia". E a Siracusa il vescovo, Giovanni Battista Alagona (1773180 I), dovette intervenire pesantemente contro coloro che paventavano lo smembramento del territorio della diocesi e contro le pretese avanzate da Lentini: il I 0 dicembre J 779 «fulmina la scomunica da eseguirsi a suon di can1pana contro il vicario econo1no D. Melchiorre Perrotta, arcidiacono di Lentini, sostenitore dcl ripristino della sede vescovile in quella città» 12 . In seguito ad una generica accondiscendenza di re Ferdinando a concederle la sede vescovile, il senato della città di Noto presentò alla Deputazione del Regno per le nuove diocesi nell'isola, nel 1783, una Allegazione. Le condizioni generali della diocesi di Siracusa, l'opportunità di identificare sede dell'autorità amministrativa con sede dell'autorità ecclesiastica, le benemerenze regie e religiose acquisite, la consistenza della popolazione civile e religiosa (17.000 abitanti e 180 preti), le strutture ecclesiastiche di cui godeva: tutto ciò permetteva di asserire che «nulla n1anca in Noto per fondarvisi la nuova sede vescovile». E si dicevano certi che lo stesso vescovo di Siracusa, i cui predecessori in passato si erano opposti, «persuaso alla fine della necessità indispensabile di soffrire una divisione della sua vasta Diocesi, dovrà restar contento che una sì piccola parte se ne dis1ne1nbri e quella appunto che gli è più difficile reggere e custodire»". La decisione di ampliare il numero delle sedi vescovili, come è facile immaginare, favorì pure lo sviluppo di una editoria polemista e apologetica in difesa dei vescovadi esistenti ma anche dei comuni che a1nbivano a diventare capo-diocesi 14 •

11 A. SINDONI, op. cit., f 72. 12 O. GARANA, I Fescovi di Siracusa, Socictil Tipografica, Siracusa 1969, 198-

199. 13 Allegazione i11 fal'ore della Città di Noto sulla pretesa del Vescovado, in cui si detegge pure l'attuale stato della esistente Chiesa ( 17 febbraio 1783), inserita in G. LA LICATA, li Fescovado di Noto nel prùno centenario della sua fondazione ( 18441944): lesto inedito dattiloscritto conservato presso l'Archivio della Curia Vescovile di Noto, rr. 12-37. i.i Si veda, ad esernpio, C. GAETANI-GAETANI, Notizie della Chiesa di Siracusa, Catania 1788.


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L'agitazione scatenata nell'isola dalla prospettiva delle nuove diocesi e le vicende politiche succedutesi alla rivoluzione francese costrinsero a ritardare l'esecuzione del progetto a cui, frattanto, aveva

lavorato la Deputazione del Regno. La richiesta delle nuove diocesi venne ripresentata in occasione del 124° Parlamento del Regno, apertosi il 24 marzo 1802. Ma è di fondamentale importanza evidenziare come, in questa occasione, sia stato il braccio den1aniale a domandare, con maggior vigore, che si aumentasse il numero delle diocesi dell'isola, lasciando intravedere così, alI1interno del Parlan1ento, una contrapposizione netta con gli altri due bracci. In verità, sia il braccio ecclesiastico che il braccio tnilitare non n1ostravano alcun interesse a che venissero erette nuove diocesi.

Entrambi avevano coscienza che si sarebbero dovuti ledere diritti e privilegi in loro favore consolidatisi, e decurtare le rendite dei benefici esistenti per fondarne dei nuovi. Per il braccio demaniale, rappresentante delle avanzanti nuove realtà urbane, poter ottenere

quanto richiesto avrebbe avuto il valore cli una vittoria di particolare

rilievo sugli altri due bracci. L'assegnazione della sede episcopale avrebbe permesso di elevare notevolinente il prestigio socio-religioso

della città, portandone a compimento, in un certo qual modo, la fisionon1ia di civitas christiana con la presenza della 1nassin1a autorità ecclesiastica.

Nella istanza generale, presentata dal braccio demaniale, inoltre, si inserì la formale richiesta del senato della città di Caltagirone per ottenere la sede episcopale. Essendo morto il vescovo di Siracusa Giovanni Battista Alagona ( 1773-180 I), e proprio durante la visita pastorale a Callagironc, prima che venisse nominato il nuovo vescovo

si sarebbe reso più semplice per la Deputazione del Regno designare Caltagirone co1ne nuova diocesi smembrandola, insieme ad altri co1nuni, da Siracusa. A tal fine il senato si obbligava ad «assegnare, e

pagare al novello eligendo Vescovo, che dovrà risiedere nella stessa Città di Caltagirone, 11annua pensione di Ducati tremila, e sei cento,

oltre a quel tanto, che per il Cattedratico gli verrà accordato dalla Diocesi; quali Ducati 3600 dovranno servire per la sua Mensa per detto nuovo Vescovado, non dovendosi perciò obbligare a


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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contribuzione alcuna l'Azienda destinata al Vescovado di Siracusa, perché essendo molto tenue, non potrà soffrire un tal peso» 15 • Anche questa volta i1 re accolse «ben volentieri» la richiesta del Parlamento: sia in favore di Caltagirone che per altri due nuovi vescovadi. E chiese l'elaborazione di un progetto che riguardasse «il modo di stabilire le Diocesi, e le mense, onde sentendo in seguito, chi crederà sull'assunto possa trattare l'occorrente con la Corte di Roma»"'. E proprio a Roma di questo voto del Parlamento siciliano si tenne conto al momento della designazione del successore di Alagona. Nella bolla di nomina del nuovo vescovo di Siracusa, Gaetano Bonanno (1802· I 806), datata 24 maggio I 802, venne, infatti, inserita una significativa clausola: «Volumus etiam quod Nobis et Apostolicae Sedi reservata n1aneat facultas novarn, ex nonnullis praedicta Syracusanae Dioecesi locis praeserti1n di Caltagirone nuncupatac, cpiscopalem ecclesiam erigendi quatenus juxta votum dicti f'erdinandi regis ita in Do1nino cxpedire judicabi1nus» 17 • I~iserva ribadita pure nelle bolle di nomina del successore di Bonanno, Filippo Trigona 18 • Diversi fattori, però, ancora una volta detenninarono un notevole ritardo nel portare a compimento la progettata erezione di nuove diocesi in Sicilia. L'insorgere di diatribe e pressioni campanilistiche da parte di diverse città dell'isola che chiedevano il vescovado, tra esse Nicosia, Piazza Annerìna, Traina, Lentini, Taormina. I te1npi necessari per istruire 1 processi canon1c1, conseguenti alle trattative con la S. Sede avviate nel 1805 dalla corte napoletana". Gli eventi politico-militari che portarono al decennio

15 Par!a111e111; generali de.I Regno di Sicilia dall'a11110 1794 fino al I 8 IO, s. n. t., 39-40; il lesto pure in A. GALLO, op. cii., Il, 69. l(i Porfan1e11ti generali, cit., 52. 17 Cit. dn O. GARANA, op. cii., 204. 18 lhid.' 208. I') crr. A. S!NDONI, op. cir.' 173. «il prob!e1na, conce pilo e 1naturnto nella stagione del rifonnisn10 scttecenlesco, doveva trovare una pri111n soluzione nei pri111issi1nì anni della Reslaurazione (prin11.1 quindi che nel Mezzogiorno eonlincntalc) e poi negli anni successivi, nutrendosi dunque anche dei nuovi fennenti dcll'c!à napoleonica e del nuovo quadro politico-religioso»: I.e ..


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francese (1806-1815), con la fuga da Napoli di re Ferdinando III e il suo trasferimento a Palermo. Anche la città di Trapani, «una delle più antiche e cospicue del regno, e la prima dopo Palermo nel Val di Mazara», nel Parlamento del 1810 presentò istanza per essere elevata a sede vescovile. Occasione favorevole era da considerare la successiva vacanza della diocesi di Mazara del Vallo: dal 1792 era vescovo il palermitano Orazio Della Torre e morì proprio l'anno successivo alla richiesta dci trapanesi. Il 28 settembre 1810 il principe di Trabia comunicava alla Deputazione del Regno che «riguardo alla grazia domandata di un nuovo Vescovato in Trapani S. M. prenderà in considerazione la domanda per risolverla nella n1iglior 111aniera e te1npo opportuno» 20 . Il capitolo della cattedrale e il senato di Siracusa, invece, che vedevano ormai seriamente minacciata I1integrità territoriale della diocesi, affidavano a due loro procuratori il compito di redigere una solida difesa dei propri diritti contro la pretesa di Caltagirone di rendersi da essa autono1na. La difesa venne presentata all'arcivescovo di Palermo, Raffaele Mormile (1803-1813), al quale papa Pio VII, nel 1807, aveva affidato il compito di esaminare il progetto di fondazione delle nuove diocesi di Caltagirone, Piazza Armerina e Nicosia, smembrandole da Catania, Siracusa e Messina. Dopo aver enu1nerato le diverse benen1erenze religiose e civili acquisite dalla Chiesa siracusana lungo i secoli e fin dalle origini del cristianesi1no, sul piano giuridico si fece osservare che «è regola costante, ed ovunque osservata di giuspubbl ico, e della giurisp1udenza particolare, che non si può offendere il diritto altrui, per far cosa grata ad un altro» 21 • Ma la decisione di erigere nuove diocesi in Sicilia era orinai decisa1nente assunta, e anche la S. Sede si n1ostrava favorevole. Pertanto, reintegrato nel pieno della sua autorità, dopo il Congresso di

20

A. GALLO, op. cit., li, 70. B. BUFARDEC! - G. BORGIA, DiJ'esa della colfedrale di Siracusa contro la vana pretesa di Caltagirone. Ragioni presentate in Pa!enno il 16 n1aggio 1810 a A1ons. Rr~ffae!e Mor111ile, Nelle stan1pe di F. Pulejo, Siracusn 1814, 10.13. 21


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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Vienna, e rientrato in Napoli, re Ferdinando ottenne dal papa la bolla di erezione per la prima delle nuove diocesi: Caltagirone, il 12 settembre 1816; ad essa seguirono le bolle per le altre due diocesi previste: Nicosia, il 17 marzo 1817, e Piazza Armerina il 3 luglio 1817: tutte e tre di patronato regio; Caltagirone e Piazza suffraganee di Monreale e Nicosia di Messina"11 progetto, comunque, di ampliare il numero delle circoscrizioni ecclesiastiche delflisola non si chiuse con queste fondazioni, anzi si volle ulteriormente ampliare e a tal fine venne inserito pure nel concordato del 1818. L'art. 3, mentre riconosceva l'urgenza di ridurre il numero delle diocesi nei territori continentali del regno, dove vi erano «parecchi picciolissin1i vescovati» e di conseguenza n1olti vescovi non potevano «tnantenersi colla decenza dovuta». prevedeva invece che: «Ne' domini poi di là dal faro si consL'1-, ,Tanno tutte le Sedi Arcivescovili e vescovili, che attualn1ente vi esistono: e di più, affine di provveder meglio al comodo ed al vantaggio spirituale de' fedeli, ne sarà accresciuto il nu1ncro» 23 : n1a fu necessario attendere ancora qualche decennio per concretizzare quanto deciso. Per le circoscrizioni diocesane al di qua del jàro, già dal 1741, con il "Trattato di acco1nodamento", la n1onarchia borbonica aveva fatto riconoscere alla S. Sede, aln1eno in via di principio, l'esigenza di una loro ristrutturazione e conseguente riduzione. Si reputava urgente la soppressione di prelature e abbazie nullius che producevano confusione nell'organizzazione ecclesiastica e continue liti, con conseguenti danni e scandali per i fedeli. In seguito al concordato, con la bolla "De utiliori" (27 giugno 1818), le diocesi del Mezzogiorno da 130 vennero ridotte ad 84: di esse, 31 scomparvero dcl tutto, I O furono unile «aeque principaliter», e 5 concesse in «an11ninistrazione

22

I decreti di esecuzione delle bolle pontificie in: A. GALLO, op. cit., Il, 70-72. Il testo dcl concordalo in A. MERCATI, Raccolta di concordati su 111aterie ecclesiastiche tra la Sa111a Sede e le autoritcì civili, !, Cillà del Vaticano 1954, 620637. Sulle in1pressioni negative rrodotte in Sicilin da!la stipula ciel concordato, in partìcolare per i riflessi sulla politica della proprietà ecclesiastica, cfr. IVI. CONDOHFLLI, op. cii., 105-! !4. 23


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perpetua» ad altre sedi. Tuttavia, però, non vennero intaccate la «loro ineguale distribuzione territoriale nelle provincie del regno e le profonde sperequazioni tra le sedi vescovili per rendite, estensioni geografiche e consistenza demografica»". La politica ecclesiastica del governo napoletano, circa la quantità e l'estensione delle diocesi del regno, venne recepita nel concordato da parte della S. Sede nell'ambito di una più generale politica di Pio VII e del suo segretario di Stato, il card. Ercole Consalvi. Contribuiva, infatti, a quella complessiva riforma della vita della Chiesa, che portò «a vedere nella restaurazione l'occasione propizia per realizzare finaln1ente un vasto piano di vera e propria riorganizzazione deIIa vita ecclesiastica e religiosa» 25 . Al contempo, al fine di recuperare un ruolo internazionale dopo la "bufera francese", si desiderava pervenire comunque alla stipula di concordati poiché essa veniva considerata «una viltoria morale per il papato, che non era più trattato dai governi co1ne potenza insignificante come nei secoli precedenti o, peggio ancora, con1e potenza straniera, contro la quale si cercava appoggio nell'episcopato nazionale, ma al contrario come un alleato, che esercitava la sua autorità supren1a sul clero locale e col quale si cercava la collaborazione al posto di regolare in modo unilaterale le questioni religiose» 26 . Il clima politico della restaurazione giocò, indubbiamente, in favore del papato che vedeva ora accresciuti autorità e prestigio rispetto al '700. Il vecchio giurisdizionalismo borbonico, pur conservando alcune forme di controllo sulla chiesa, quali la nomina

2 ~ F. BARRA, Il proble111a della ristrul!uraz.ione delle circoscrizioni diocesane nel regno di Napoli tra decennio e restaurazione, in Studi di storia sociale e religioso. Scril!i in onore di Gabriele /)e Rosa, 8 cura di A. Ccs!aro, Ferrara, Napoli 1980, 537575: 553 25 C. SElvlERARO, Restaurazione, Chiesa e società. l.11 «seconda ricupera)) e lo rinascif(/ degli ordini religiosi 11e/lo Stato Ponr(ficio (Marche e Legazioni 18151823), LAS, Roma 1982, 252. 2<' R. AUBERT, Ln chiesa ca!!olica e la resta11razio11e, in R. AULJERT J. BECKf'vlANN-R. L!LL, Tra rivoluzione e restaurazione 1775-1830, Jaca Book, Milano 1977 (Storia della Chiesa, dir. da H. Jcdin, VIII/I), l 19.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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regia e il giuramento di fedeltà dei vescovi, come pure, in Sicilia, i privilegi dell'Apostolica Legazia e del Tribunale di Regia Monarchia, perdeva definitivamente le sue più radicali prerogative. Il governo realizzava una solida alleanza controrivoluzionaria tra lrono e altare, tipica dell'ancien régin1e, che sarà determinante anche nella individuazione delle nuove sedi vescovili che verranno decise all'indomani dei moti rivoluzionari del 1837.

2. La fondazione di nuove diocesi nel 1844

Negli anni '40 la rimessa in questione del territorio delle circoscrizioni ecclesiastiche siciliane per fondarne altre ebbe sulla vita religiosa, e non solo, un i1npatto ben più pesante e una incidenza ben più profonda di quanto non era avvenuto con le tre fondazioni degli anni 1816-1817. La prima notizia che abbiamo della decisione del governo di

riaprire le trattative con la S. Sede per erigere nuove diocesi ci è fornita da una lettera «Confidenziale Riservata», con allegato un progetto sulla erezione cli nuovi vescovadi e la rettifica per i territori delle diocesi esistenti, inviata il 30 aprile J 839 dal marchese D'Andrea, segretario cli stato di re Ferdinando, al card. Emanuele De Gregorio, Segretario dei Brevi, Penitenziere Maggiore, abate co1nn1endatario dall'archimandritato basiliano del SS. Salvatore cli Messina, e prelato che godeva di particolare stin1a di re F'erdinando 27 • Le n1otivazioni addotte a sostegno dcl progetto riguardavano: l'urgenza di tnigliorare l'esercizio della cura pastorale nelle diocesi, in 1nodo che ai vescovi non fosse eccessivc_unentc gravoso visitarle, riducendone l'estensione, e ai fedeli «partecipare degli effetti della incessante spirituale cura>) dei propri pastori; l'attuazione di quanto

27 Notizie su De Gregorio in f-li'erarchia Cotholico 11u:dù cl rece111i'oris a evi, per R. Ritzler et P. Sefrin, V!!, Il Messaggero di S. Antonio, Padova 1968, 19. Negli anni successivi al Concordato non erano 1nancale ulteriori richieste da parte di altre ciLLà di essere elevate a sede episcopale. Tra esse anche Randazzo, nel 1829, vantando di esserlo stata antican1ente: G. CONTARINO, op. cii., 63.


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concordato nel 1818; la difficile condizione delle diocesi constata dal re in occasione del suo recente viaggio nell'isola: «più con la minuta cd indefessa ispezione oculare, che sugli altrui rapporti la Maestà Sua - scriveva D'Andrea - ha con vivo rarnrnarico del Suo Cuore dovulo ravvisare che quella porzione de' suoi Doininj ripartita in pochi Vescovadi, i confini dc' quali non sono analoghi né alla divisione territoriale delle Provincie, né alla natura del silo, né ai bisogni delle

popolazioni, contiene fra le altre delle Diocesi così estese, e talrnentc difficili a girarsi, che non s1 può pretendere che un Vescovo ne faccia, con1e sarebbe utile, spesso la visita, 111a la costante esperienza ha fallo conoscere che forse sì, e forse no si è giunto ad ollcnere che il Pastore l'abbia visitato una sola volta durante il suo governo. Quindi non v'ha chi non veda che popoli, i quali avrebbero forse n1aggior bisogno della Cura in1n1ediala dci loro Vescovi, sono abbandonati a loro stessi, e che una serie di inali gravissin1i debba inevitabiltnente risultare dall'attua/e stato di cose. Avrebbe voluto Sua Maestà augurarsi che con la fonnazione cli nuove strade che sono in progetto, potesse ripararsi a tali inconvenienti, 111a ha dovuto deporre questa idea attesa la distanza, e la inaccessibilità di rnolli siti, e penetrarsi che il solo cd unico espediente a provvedersi sia quello di aumentare il nun1ero dc' Vescovadi in Sicilia, e di procedere nel te1npo stesso ad una piccola rettifica dell'attua/e circoscrizione ciel territorio di quelle Diocesi, che riuscisse pili analoga cd uniforn1c alla presente divisione delle Provincic» 28 ,

w AcA, ff.4-16. La costruzione di nuove strade nell'ìsola, nonostante fosse stata delibefala dal re nel 1825, per avvii interessi eon11ncrciali, a clistanz<1 di dieci anni era ancora sogge!la a conJlit!ì Lra i con1uni dell'isola. Piazza Arn1erina oLLenne l'autorevole intervento, presso Ferdinando !I, dc! card_ Gaetano Trigona arcivescovo di Pa!ern10, suo concittadino, per salvnguarclarc il passaggio da! proprio territorio delln strada regia proveniente eia Siracusa: carteggio ciel Trigona con re Ferdinando, !r<l il 24 111aggio 1835 e !'8 aprile 1837, in NAPOL!, ARC'IHV!O DI STATO, Archii'ÌO Borbone, bustn 821, ff. 261-267, 286-287. Il clecurionalo di Cnltanissetta, il 23 1n<uzo 1834, espresse al re i «sentì111enli di gratitudine» dc!!a eittadinanzn «pc! segnalato beneficio ciel passaggio della Regia strada di Siracusa per questa città» e non per Castrogiovanni: il testo della delibera edito in Tra a11/lninistrazio11e e religiosità: Caltanissetta sede i•escovile 1844. /\1ostru doc1u11e11tario: catalogo, a cura di C. Torrisi, Lussografica, Caltanissc[(a !944, 51-52.


La filndazione della diocesi di Caltanissetta

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Dopo il concordato, in verità, il governo aveva tentato di ampliare ancora il numero delle diocesi dell'isola. Si era iniziato l'iter per la erezione di una nuova sede episcopale a Caltanissetta, e su tale progetto anche la S. Sede aveva espresso parere favorevole. Tuttavia, non era stato possibile portare a compimento «una tale santa ed utile opera finora - si rammaricava D'Andrea - [... ] per un complesso di dispiacevoli circostanze occorse, e per lo sviluppo di quei partiti che inevitabil1nente sogliono manifestarsi in siffatti casi» 29 . Motivazioni pastorali e motivazioni politico-a1nrninistrative si intrecciavano, dunque, e si sostenevano a vicenda. Certo la estensione e la morfologia del territorio di diocesi come Messina, Agrigento e Siracusa, non favorivano un agevole rapporto pastorale e facilitavano forme di autonomia locale dall'autorità ecclesiastica diocesana: si pensi alle conseguenze circa la attuazione da parte del clero e dei fedeli dei decreti inviati dai vescovi e dalle curie. La difficoltà di collegamenti fra centro diocesi e periferia era ulteriormente aggravata dalla condizione della rete viaria interna, per cui non era raro persino il caso di vescovi che non erano in grado di adempire all'obbligo della visita pastorale a tutti i comuni della diocesi; e qualche vescovo, proprio all'inizio del sec. XIX, anche a causa dei disagi che il trasferimento da un paese all'altro comportava, era lnorto in corso di visita pastorale~ 0 . Il progetto inviato al card. De Gregorio, affinché saggiasse il terreno presso la S. Sede, portava a cappelletto la seguente motivazione, che ulteriormente rafforzava quanto detto a proposito di intreccio tra n1otivazioni religiose e politìco-am111inislrative: «Trovansi attuahncntc tre Capi-luoghi di Provincia privi del Vescovado residente nel rispettivo Capoluogo. Tali sono Caltanissetta, Noto, e Trapani. Ognuno conosce bene quale vantaggio spirituale e politico risulti

29 ACA, f. 4v.

~ 11 É i! caso del vescovo di Siracusa, Giovanni Battista Alagona, n1orto <l Caltagirone nel ! 801; e dcl vescovo di Agrigento, Saverio Grnnata, 1norto a Caltanissetta nel 1820: A. SINDONI, op. cit., 168-171.


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dall'avere nelle Capitali i Vescovi di residenza. Quindi ùi altri lrc dovrebbe accrescersi il nun1cro attuale dc' Vescovadi in Sicilia, e questi istallarsi in Caltanissclta, Noto e Trapani»~ 1 •

Per ognuna delle nuove diocesi veniva quindi esposta: la fonte della rendita di cui dotare le nuove mense vescovili e i nuovi benefici 32, la provvista di episcopii, la composizione delle nuove circoscrizioni, le giurisdizioni arcivescovili, la rifor1nulazionc dei confini delle diocesi csislenti. Così, non solo si eli1ninava quella che sen1brava una anon1alia un capoluogo di provincia soggetto ad altro vescovo - n1a, soprattutto, con la conseguente rifonnulazione dei confini di tutte le diocesi dell 1isola, «SÌ otterrà il doppio vantaggio di avere in ogni Capo luogo di Provincia il proprio Vescovo, ed i vescovadi distribuiti e ristretti nell 1an1bito di ciascuna Provincia».i-1. Si sarebbero, al conte1npo, elevate a sede arcivescovile e n1ctropolitana Agrigento e Siracusa, in n1odo che la giurisdizione dei cinque 1netropoliti (queste due insien1c a Palern10, Monreale e Messina) s1 riferisse esaltan1entc ed esclusiva1nente alle diocesi limitrofe. La scelta di Trapani, Caltanissella e Noto, con1unque, oltre ad essere legata alla loro condizione di capoluogo di provincia,

rispondeva pure ai procedin1enti già in corso per elevarle a sedi episcopali: Trapani aveva presentato l'istanza al Parlan1ento del I 81 O; Caltanissetta si era tentato di erigerla negli anni success1v1 al concordato; Noto aveva ricevuto l'assenso cli n1assin1a dal re alla richiesta presentata dal senato della città dopo il Parlamento del 1778.

-11 ACA, 12 -

f. 9.

Di rilievo la nota di D'Andrea a proposito delle rendite dci vescov;_idi: «Sua l\1aeslù non può tacere a Sua Santi!?i che Le sarebbe n1olto grato se la San!it~1 Sun trovasse rnoclo di far intendere ai Vescovi spccialmenle di Sicilia che gli assegnan1cn1i delle Congrue Vescovili ai Vescovi tutti non possono né devono calcolarsi rnui pcl n1anlcni1nento dc' soli Vescovi, con1c alcuno prclcnc!e, ina, <l seconda dc' Sncri Canoni, per lo 1nantcni1nen10 della Chiesa, dc' poveri, e per lo cliscrclo sostentan1c1Ho dc' Vescovi»: ihid., L lOr.-v. n lbid., r. J 2v.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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Per quest'ultin1a città fattori determinanti, per Ia sua elevazione a sede vescovile, furono gli eventi connessi con !a rivoluzione scoppiata a Siracusa nel 1837. In conseguenza di ciò, la città aretusca venne ritenuta indegna del prestigio di capoluogo di provincia e punita con il trasferimento dcl ruolo a Noto, dimostratasi fedelissima al re. La don1anda del senato netino per la sede vescovile venne ora a n1aggior ragione accolta a scapito ancora di Siracusa, che si vide più penalizzata con una nuova contrazione della circoscrizione ecclesiastica, dopo lo smembramento per la erezione di Caltagirone, anche se veniva indennizzata con la elevazione a sede arcivescovile e

111etropol i tana~- 1 • Il progetto invialo da D'Andrea venne condiviso dal card. Dc Gregorio e fatto esaminare a 1nons. Lorenzo Simonetti, segretario della S. Congregazione Concistoriale, dicastero cui cornpcteva pronunziarsi sull'argomento. Questi ne riconobbe (23 luglio 1839) la validità e le n1otivazioni addotte, pur presentando osservazioni e quesiti su alcuni punti, in particolare sugli aspetti relativi alla costituzione delle rendite delle mense episcopali, sui locali da adibirsi per episcopi e seminari, sulla dotazione di rendite per il culto e per i canonici della cattedrale". Per l'ufficializzazione della richiesta si attese però circa un anno: solo il 16 maggio del 1840 il ministro plenipotenziario di "Sua Maestà Siciliana" presso la S. Sede, Giuseppe Costantino Ludolf, presentò la richiesta forn1ale a Gregorio XVI tran1ite il cardinale segretario di Stato, Luigi Lambruschini 36 • Governo napoletano e curia ro1nana concordavano sulla opportunità di ridisegnare i confini delle circoscrizioni ecclesiastiche dell'isola e di erigere i tre nuovi vescovadi; e le trattative si n1ossero

·14 ! 111oti de! 1837 o Sh·acusa e la Sicilia degli a1111i Trenta, a cur::1 di S. Russo, Ecliprinl, Po!enno 1988; G. GJARRJZZO, La Sicilia da! Ci11q11ece1110 all'Unilà d'ltalio, i Il V. D'ALESSANDRO - G. GJARRIZZO, La Sicilia do! \Ies pro o/l'Unità d'Italia, UTET, Tofino 1989 (Storia d'Italia 16), 709-748. Per la fondazione della diocesi di Noto è in corso di stainpa G. ZITO, Nascita di 1111a diocési: Noto ( 1778-1844). ·15 AcA, ff. 17-26. 6 -' !bid., ff. 28-30v.


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principalmente sulle questioni relative alla dotazione di rendite e alla individuazione delle strutture. Come pure, si pensò di dedurre dalle rendite delle mense vescovili 17 e delle abbazie di regio patronato più pingui dell'isola la dotazione delle rendite per le nuove mense episcopali, per i seminari, e per le prebende dei nuovi capitoli cattedrali; mentre il re si impegnava ad approntare in ogni nuova diocesi i locali idonei per 1episcopio, il seminario e la curia. Nelle istrnzioni al nunzio a Napoli, tuttavia, la S. Sede si preoccupava di salvaguardare i diritti dei vescovi in atto titolari delle mense da gravare, perché sarebbe stata irregolare l'imposizione in favore delle nuove mense senza il loro previo assenso, ritenuto da 1

Ro1na «difficilissi1no ad ottenersi». Oppure, sarebbe stato necessario

attendere che le diocesi si rendessero vacanti per inserire nelle bolle di provvista dei nuovi vescovi la riserva sulle rendite in favore delle nuove diocesi.

E poi, sosteneva ancora il segretario di stato Lambruschini nell'istruzione al nunzio, Ca1nillo Di Pietro, se la erezione di nuove diocesi slava a cuore al re che l'aveva chiesta, facesse lui «qualche sacrificio, massime se questo tende a tranquillizzare la sua coscienza»:

avrebbe potuto dotare seminari e capitoli assolvendo

il debito

contratto dalla corona con la mensa di Monreale per finanziare la guerra ai pirati 3 ·~.

In seguito ai rapporti intercorsi tra il nunzio e il governo napoletano, il re venne nella determinazione di dotare le mense delle tre nuove diocesi con i redditi delle abbazie di regia nomina, e i capitoli e i seminari con parte del terzo pensionabile di suo diritto, «evitando in tal guisa qualunque sottrazione di rendite dalle altre più ricche Diocesi» 39 . Ai vescovi e ai capitoli delle cattedrali interessati alla attuazione del progetto, - succcssiva1nente il re aveva aggiunto anche la richiesta

7 -:1 Sulla condizione dei beni delle n1ense, in particolare dei fondi rustici, per i quali i! governo decretò la ccnsuazione, cfr. M. CONDORELLI, op. cii., 141-146. :rn NN, dispaccio ciel 22 settembre 1841. 39 Nota dcl 19 n1arzo l 842, in ACA, f. 126


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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per la erezione della diocesi di Acireale, alla quale teneva particolarmente «anche perché è Paese rimastogli sempre fedele» 40- a nonna dei canoni, andava co1nunque chiesto il consenso, «tanto più che il piano presenta vistosissi1ne dismembrazioni» 41 . Al nunzio apostolico pervennero così le risposte dalle singole diocesi. Queste, ovvian1ente, non 1nostravano di gradire il ridi1nensiona1nento del proprio territorio) 1na si rimettevano, per "dovuta obbedienza", alle decisioni del papa e del re. E accondiscendevano purché risultasse «vera1nente utile alla spirituale amministrazione dei popoli in discorso la progettata circoscrizione» 42 • Di un certo numero di osservazioni si tenne debito conto per la definitiva redazione delle bolle, pubblicate tra maggio e giugno del 1844, costitutive delle nuove diocesi: Acireale (che inizierà la sua vita autonoma solo nel 1872), Caltanissetta, Noto, e Trapani. Queste nuove sedi episcopali, insieme alle altre fondate nel 1816-1817, occuparono prevalentemente l'entroterra dell'isola. Bisognava, infatti, assicurarvi una norn1alizzazione religiosa con la presenza di strutture ecclesiastiche centrali più capillari dopo che, tra la fine del sec. XVI e gli inizi del XVIII, le famiglie nobili avevano ottenuto la !icentia populandi fondandovi la gran parte dei ben 165 nuovi co1nuni feudali. Di essi una forte concentrazione si ebbe lungo la valle del fiume Platani: proprio il territorio maggiormente interessato per la erezione della nuova diocesi di Caltanissetta4-'. Tutta la geografia ecclesiastica dell'isola acqms1va una fisiono1nia nuova. Siracusa venne elevata a sede arcivescovile e n1etropolitana. Si ottenne dal papa l'impegno di elevare anche Catania

40 Nota ciel 6 n1aggio 1842, in AcA, r. 125r.-v. Nota ciel 22 novernbrc 1842, in NN. 42 Nota ciel 27 aprile 1843, in AcA, f. 2l6r.-v. "Ll M. RENDA, I 1111011[ insedic1111e11ti nel '600 siciliano. Genesi e sl'iluppo di un co11111ne (Cat!olica h,'raclea), in Archivio Storico per la Sic;/ia Orientale 72 ( 1976) 41J 15; T. DAVIES, la colonizzazione feudale della Sicilia nella prùna n1età 111oder11a, in Storia d'Italia. Annali 8: !11sedica11e11ti e territori, a cura cli C. Dc Seta, Einaudi, Torino 1985, 415-472; A. Coco, La città siciliana tra ideologia e storiografia. L'eFoluzione del 111odello nel Sei e Set1ece11to, in RiFista di storia della storiografia 111oder110 l 5 (1994) 47-58. 41


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a sede arcivescovile ma non metropolitana e imn1ediatan1enle soggetta alla S. Sede (1859). Acireale, in tal modo, riuscì nel suo intento di evitare la possibile dipendenza da Catania acquisendo la condizione di immediatamente soggetta. Furono stabilite le diocesi suffraganee delle quattro sedi metropolitanePaler1no, Monreale, Siracusa e Messincr1-1. Nel decreto di Ferdinando II, emesso per determinare la nuova composizione della geografia ecclesiastica dell'isola e dirimere le questioni ad essa connesse, vennero enucleati i motivi che avevano indotto la corona napoletana a perseguire per oltre un ventennio tale progetto: «Sono ora n1ai scorsi presso ad otlo secoli, da che ripristinata in Sicilia la Santa H. eligionc Cattolica, fondate le Sedi Vescovili, stabilili i li1niti delle Diocesi; cd ancora n1algrado le variazioni cle' tc1npi, il corso di tanti anni, rnalgrado i cangian1enti e nel 1nodo delle An1111inistrazioni Civili e ne' sentieri, che non più quali la grezza natura li presentava, 1na strade cli con1unicazione e cli racilitazione tra ogni Co1nunc si fossero aperte; n1algrado le popolazioni già estinte; n1algrado le nuove erette; sebbene riconosciute in qualche n1oclo non adatti pilt a' tcn1pi, si fossero delle nuove Sedi Episcopali erette; pure non si

era dato al segno.

E

riconoscendosi ciò in tutti gli aspetti, e per accelerare il rin1edio ai bisogni nello accedere alle Sedi, e per tacilitarc le Sante Visite Diocesane, onde pili d'ogni altro rendere pili frequente la son1n1inistrazione del Sacro Sacra1nento della confennazione, con rincresci1nenlo veduto ritardare non

-1-1 Con la ristruttun1zione delle circoscrizionì ecclesiastiche dell'isola e la fondazione cli nuove diocesi «la Corte Ji Napoli rese esecutivo il progetto Ji revisione per adeguare i territori delle diocesi alla divisione politico-a1n1ninistrativ<l delle province. Alla struttura n1onocentrica e primaziale sostituì i! sisten1a policentrico e plurin1etropolitano dcll 'Isola, a danno di Palcrn10 e a vant<lggio cli Monreale e Siracusa. La rifonna si era trasforn1ata in un affare di stato, un efficace strun1cnto per l'aceentran1ento burocratico e a1n111inistrativo, con riflessi negativi, secondo il parere dci vescovi sul piano pastorale. Le diocesi sn1en1brate perdevano feudi e benefici; le nuove ri1nancvano prive di se1ninari e curie, strutture essenziali per ln cura d'<lnin1e di stile tridentino. Ne! passaggio dall'antico al nuovo ordinn1nento la corte cli Napoli aveva accresciuto il potere sull'intera giurisdizione rnaterialc e spirittn!le della Chicsn»: A. GA!vlllAS!N, Religiosa 111ag11{fice11za e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Ed. di Storia e Letteratura, Ron1a 1979, 94-95.


La .fondazione della diocesi di Caltanissetta

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dallo zelo dc' Vescovi, n1a dalle circostanze locali, che ne hanno negli

andati ten1pi <lifficoltatc le cornunicazioni; volendo parin1enti riunire negli stessi punti le Autorità Ecclesiastiche alle Civili e Militari, onde facilitare

la sollecita riuscita ed anda1nento degli affari, per 1' interesse e la concorrenza di tutte le Autorità, allo sviluppo dc' pubblici e privati interessi in ogni ran10 di Ainrninistrazionc: per tali, e per 1nolti altri n1otivi, la sapienza dcl Re, intenta sen1prc al bene dc' suoi Sudditi, alla

osservanza dei precetti di nostra Santa Religione, ad invigorire scn1pre pili e a n1antenere vivi cd inconcussi i principii della stessa, si é applicata non solo alla circoscrizione delle attuali Diocesi; 111a, conoscendone il bisogno, alla erezione anche cli nuovi Vescovadi>>'15 .

Due indicazioni ulteriori vanno infine riparlate. Anzilutto, già da novembre 1842 il re si mostrava impaziente di concludere le trattative e sollecitava le bolle per le nuove diocesi: a tal fine si rendeva disponibile a farsi carico della soluzione di ogni necessità finanziaria e strutturale delle nuove diocesi"'. A tanta fretta del re si contrapponeva la pacatezza della S. Sede, dettata dal voler assicurare alle nuove diocesi an1pie garanzie, sia di ordine finanziario e logistico quanto di carattere ecclesiale, salvaguardando tutte le procedure canoniche prescritte in tali casi, e lese a far accettare la nuova condizione alle diocesi preesistenti, gradualn1ente e lasciando decantare tensioni e

~ 5 Ne!!;1 prin1a stesura del decreto regio le 111otivazioni addotte in apertura, circa la decisione di erigere altre diocesi nell'isola, enunciavano espressan1c111e le niotivazioni politico-an1n1inistralivc che vi soggiacevano, e ponevano in secondo piano quelle più rnafcalan1cntc religiose dcl testo ufficiale: «Sua /vlaest?! volendo nella so1nn1a Sua sapienz<i e sollecitudine per i! bene de' suoi Sudditi portare nlla 1naggior possibile perfezione l'Ordine generale della Pubblica A1nn1inistrazione, e considerando che delle sette Provincie di Sicilia tre 1nancano di una Superiore Au1oriG1 Ecclesiaslica, 1nentre per l'A111111inistrazione Civile, e per la Militnre hanno tulle il proprio intendente, ed il proprio Con1andanle lVfilitare, e considerando clall'altn1 parle che la inopportuna circoscrizione delle attuali Diocesi rende difficile cd invilupp<1la !n loro con1unicazione con le altre Superiori Aulorità, ha giudicato necessario di rnetlersi di accordo con la Santa Sede Apostolic<:i, onde !'arsi n ciò una rifonna». Copi<!, di questa prì1na bozza dcl decreto, e ciel teslo e1nenclalo, in PALERMO, ARCHIVIO DI STATO, klinistero Affari di Sicifia, /:,'cc/esiasrico, busta 2338 . .ir, Le lettere del 3 noveinbre l 842 e 4 gennaio 1843, in ACA, ff. l 22 e l l Sr.v., e 141r.; e in NN, le lettere 8 noveinbrc 1842 (sono 2) e 5 gennaio 1843.


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campanilismi. Al re, probabilmente, premeva attuare presto le promesse fatte alle città designate a sede di nuove diocesi, al fine cli promuovere maggiore simpatia nei confronti della monarchia e inibire il crescere del malcontento, grazie anche all'opera dei nuovi vescovi, che ciononostante sfocerà nei moti del I 848. Infine, particolare significato riveste la situazione della gerarchia ecclesiastica nell'isola tra la fine degli anni '30 e i primi anni '40. Alla fine del 1843 ben 6 diocesi siciliane su 12 erano sede vacante: Cefalù, Piazza Armerina, Mazara del Vallo, Agrigento, Siracusa e Patti. Napoli fece sapere alla S. Sede che non intendeva nominarvi i rispettivi vescovi se prima non si fosse definita la erezione delle nuove sedi. Così, con la designazione dei vescovi per le nuove diocesi di Noto, Trapani e Caltanissetta, nel 1844 Ferdinando II, in pratica, ottenne la simultanea nomina di ben I 1 vescovi su 16, ed operò in tal modo un radicale ricambio nell'episcopato dell'isola. Di essi, 6 erano del continente e 5 dell'isola; 5 erano religiosi e 6 provenivano dal clero diocesano; la loro età media era di 54 anni. Questo passaggio della vita della chiesa siciliana, ovviamente, richiede di essere studiato con particolare attenzione. Il dato che emerge immediatamente è che re Ferdinando, in occasione della erezione delle diocesi nel I 844, ebbe modo cli immettere un consistente nu1nero di uo1nini del continente anche nella gerarchia ecclesiastica siciliana, e non solo negli apparati burocraticoam1ninistrativi dell'isola, 1nentre in precedenza i vescovi erano di quasi esclusiva provenienza isolana. Se poi si considera che nel l 839 anche a Catania e Palenno erano stati nominati dei non siciliani, allora, 111 appena cinque anni, tra il I 839 e il I 844, furono ben 8 i vescovi di origine continentale che Ferdinando II poté piazzare in Sicilia47 •

7

Ad J\grigenlo venne no1nina10 il teatino Do1nenico Lo J;1cono, da Siculiana (AG) di 58 anni; a Caltanissetta un altro teatino, Antonio Stro1nillo, da Capua di 55 anni; a Cefa!l1 il benedettino n1essincse Giovanni Maria Proto, di 63 anni; a Lipari Bonaventura Attanasio, da Lucera (FG) ad appena 37 anni; a Mazara del Vallo Antonio Salon1one, da Avellino all'età di 41 anni; a Nicosia Rosario Senza, da S. Criterin;_1 Villennosa (CL) di 60 anni; a Noto Giuseppe Menditto, da Capua all'età di 50 anni; a <1


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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3. Iter per la erezione di Caltanissetta Cosa aveva impedito il compimento di «una tale santa ed utile opera», quale la erezione della diocesi di Caltanissetta, così come sopra ricordato? Nel 1819, in occasione del riordinamento delle circoscrizioni civili dell'isola, Caltanissetta era stata elevata a capoluogo di provincia, vincendo la concorrenza di Piazza Arn1erina e di Castrogiovanni (Enna). Questa nuova condizione, acquisita grazie ad una forte alleanza tra monarchia borbonica e patriziato urbano nisseno, ne favorì un notevole incremento demografico ed econo1nico, in conseguenza anche dell'apparato burocratico e amministrativo che fu necessario in1piantarvi.i 8.

La

recezione

dell'ordina1nento

a1nministrativo francese nell'organizzazione civile dell'isola indusse ora Caltanissetta a postulare pure la elevazione a sede episcopale - staccandosi da Agrigento, insien1e ad un certo nu1nero di con1uni viciniori -, invocando quella identificazione di capoluogo di provincia con capoluogo di diocesi, riconosciuta dalla S. Sede per la Francia con il concordato napoleonico del 1801. L'aspirazione dei nisseni venne ulteriormente rafforzata dalle vicende connesse con la rivoluzione siciliana del 1820. I baroni dell'isola tentarono l'ultima difesa dei loro privilegi contro le aspirazioni de1naniali delle nuove classi en1ergcnti, 1na non trovarono

Pinzza Annerina il benedeuino Pietro Francesco Brunaccini, da Messina di 72 anni; a Patti il catanese Martino Ursino, di 6! anni; a Siracusa il napoletano Michele Manzo, di 59 anni; a Trapani Vincenzo Maria Marolda, redentorista, da Muro Lucano all'età di 41 anni. I vescovi continentali nominati in questa occasione andavano ad aggiungersi agli altri 2 no1ninati appena qualche anno prin1a, nel 1839: per Catania Felice Rcgano da Andria (BA), e per Palenno il napoletano Ferdinando Maria Pignalelli: 1-lierarchia Catho!ica, VII, alle singole diocesi. In particolare sui vescovi benedeltini di questi anni cfr. G. ZITO, Dus111et e !'episcopato benedeffino siciliano tra i Borboni e !'Unità, in Chiesa e società in Sicilia. 3. I secoli XVJJ-XIX. Alti dcl lii Convegno internazionale organizzato dall'arcidiocesi di Catania (24-26 noven1brc 1994), a cura di G. Zito, SEI, Torino l 995, 59-96. '18 C. TOR RISI, Le istituzioni e la città. Caltanissel!a capoluogo fra Ottocento e Novecento, in Caltanissetta tra Ottoce1110 e Novecento, a cura di F. Spena, Lussografica, Caltanissetta 1993, 33-73.


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sostegno nel governo napoletano che agevolava ora la de1nanialità e il nuovo patriziato49 . A Caltanissetta due fattori influirono significativamente. Il clero, secolare e religioso, decise di schierarsi a favore del patriziato civico antifeudalc, in nome della libertà e dell'autonomia municipale. La sanguinosa repress10ne della rivolta, nell'agosto cli gucll'anno, compiuta dall'esercito inviato eia Palermo dal principe cli Moncacla, signore feudale di Caltanissetta e tra i capi della rivoluzione: il tentativo di abrogare i diritti acquisiti dalla città promosse, invece, la

forn1azione di una identità civica511 . Nello stesso anno, 1820, il deputato nisseno Giuseppe Cinnirella presentava al Parlamento napoletano una 1nozione per la erezione di Caltanisselta a sede vescovile: ne enu1nerava le non poche prerogative civili e religiose, oltre che geografiche e climatiche; evidenziava le difficoltà di un costante e pertinente governo pastorale cli tutti i cornuni della diocesi agrigentina, dovute alla vastità del suo territorio e alle in1pcrvic vie di con1unicazione, alcune volte del tutlo ì1npralicabili specie nei mesi invernali. Ma, in particolare, Cinnirella insisteva sull'ormai assodato riconosci1nento che circoscrizione civile e circoscrizione ecclesiastica doveva neccssaria1nente coincidere, anche per evitare che gli abitanti della nuova provincia dovessero recarsi in

19 ·

La istituzione di intendenze, sottointendenze e c!ecurionati, grazie allo sviluppo di una nuova burocrazia, favoriva l'ascesa sociale delle borghesie en1ergenti e la costituzione di un nuovo patriziato locale, dando una forte scrollala al potere della vecchia classe baronale. É orn1ai in corso una significativa revisione storiografica cl! questi anni elci regime borbonico e viene ora riletta la rivoluzione elci 1820 co1ne difesa dei propri rrivilcgi da parlc della antica nobi!l~1 siciliana. Si veda il volun1c 1niscc!Janco Ripensure fu Rivoluzione fruncese. Gli ec!ri in Sicilia, a cun1 cli C. Milazzo e C. Torrisi, Sciascia, Callanissetla-Ro1na 1991, e in particolare il saggio di G. BARONE, LL1 RiFol11zio11c e il Mez.z.ogior110. A1011archia u111111i11istra1iva e 111101 e élitcs borghesi, ibid., 175-198. 50 A. L! VECCHI, Ca!taoisserta feudale, Scìascia, Caltanissetta-Ronia 1975; e sopraltul!o la relazione di C. BARONE, Eco110111ia e società: fa crisi dell'a11cie11 rògi111e nel Nisseno, presentata in questo convegno. 1


la fondazione della diocesi di Caltanissetta

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Callanissella per gli affari civili e in Agrigento per quelli ecclesiastici, costringendoli a percorsi lunghi e disagevoli". La mozione di Cinnirella divenne supplica a Ferdinando I. Nel mese di dicembre del 1822 i «Caltanissettesi» chiesero che nella loro città, «prescelta dalla M.V. per una delle sette Capo Valli di Sicilia», venisse costituita «pure una Prin1aria Dignità Ecclesiastica». L'istanza si fondava sull'art. 3 del concordato dcl 1818, relativo all'aumento delle sedi vescovili nell'isola. Dopo aver frazionato quelle di Messina, Catania e Siracusa, e lasciata intatta Agrigento si rendeva necessario ora sn1e1nbrarc guest'ulli1na per innegabili opportunità pastorali: si trattava di «una delle più vaste e popolose diocesi, contenendo sessantacinque Con1uni e trecentoventi1nila anin1e». A causa cli ciò, infatti, non poteva con1piersi con frequenza la visita pastorale, con grave perdita di quei «vantaggi spirituali» connessi con il costante e vigile controllo da parte dcl vescovo su lu!lo il territorio, e con l'an11ninistrazione della cresi1na: in molti cornuni gli «abitanti d)anni 24 all'ingiù ritrovasi ancora non crisrnati». Altro n1otivo non n1eno valido erano le bene1nerenze acquisite nella rivoluzione del 1820, al punto che «il suolo di Caltanissetta ancor fomante del sangue de' figli suoi» testimonia della fedeltà e dell'attacca1nenlo alla corona. La dotazione del nuovo «Arcivescovato, o Vescovato», infine, poteva gravare sulla terza parte delle rendite della «pingue» 1nensa vescovile di Agrigento e sulle rendile dell'abbazia cli Santo Spirito, «quale Badia secondo la sua fondazione aveva la cura del I' ani1nc» 52 •

51 k/ozionc del dep11toto dof!or Giuseppe Cinnire!la per diliidere lo 11asta diocesi di (Jirgenti e la sua ricca prebenda, onde stabilire 1111 11110\'0 1'esco1Y1do i 11 Callanissel/a, presentata al Parla111e11to in Napoli nel 1820, riproùolta nell'opuscolo dc! l'iglio J\1. CJNNIRELLA, /Jre\'i cenni s11//'erezio11c della sede Fescovile in Caltanissefla, Stnb. Tip. dell'Ospizio di Beneficenza, Ca!lanissett<l 1880, e sintetizzala in F. PULCI, Notizie storiche della diocesi di Calta11issclta, Ed. del Se111innrio, Callanissella 1983, !0-12; e in A. SJNDON!, op. cii., 176-178. 2 _'i Il testo è edito in Jìn a111111i11istraz.ione e religiosi!rì, 63-64. Il 18 giugno l 823, l'intendente di C<lllanissella esrriineva a! luogotenente generale cli Sicilia le proprie positive valutazioni sulla erezione ciel nuovo vescovado: ibid., 34.


Gaetano z;ro

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Il re dispose che si intraprendessero le dovute trattative con la S. Sede. Questa accondiscese alla richiesta di smembrare la vasta diocesi di Agrigento e di erigere in Caltanissetta una nuova sede vescovile. Al progetto diede il suo assenso, previo e indispensabile, il benedettino Pietro Maria D'Agostino, vescovo di Agrigento'\ il quale acconsentì pure alla detrazione dalle rendile della mensa di una somma di onze 1.200 in favore della nuova mensa episcopale. Così, il 31 marzo 1824 la Congregazione Concistoriale emetteva il decreto relativo alla compilazione del processo canonico per lo s1ne1nbra1nento di Agrigento e la erezione di Caltanissetta, nominando delegalo apostolico l'arcivescovo di Palermo, il card. Pietro Gravina. Il 26 maggio successivo veniva accordalo il "regio exequatur" alle istruzioni, co1nprensive di I 8 quesiti da risolvere, in1partile al Gravina dalla S. Sede al fine di poter erigere la nuova diocesi. Il decreto, nella sua introduzione, ricordava le motivazioni che lo avevano determinato: «Sua Maestà il Re delle due Sicilie considerando che h1 vigilanza di un solo Pastore con so1nnu1 difficoltà può governare con la dovuta celerità rrl esattezza la vasta Diocesi di Girgenti in Sicilia, la quale è forn1ata lh sessantaquallro paesi, e popolazioni con un nurnero di circa trentan1ila ani1nc, e che in conseguenza il n1aggior co111odo, ed il vantaggio spirituale

di quei fedeli esigono che la cura dei n1cdesin1i venga affidala a due Pastori

i quali più facilinente possano provvedere ai loro spirituali bisogni; avanzati alla Santità di nostro Signore le sue prernurosc istanze ad oggetto di ottenere l'elezione cli una nuova Sede Vescovile in Caltanissetta con unri diocesi che venga co1nposta da tante popolazioni o paesi quanto contengano il nun1ero cli sessantan1ila anirne da clisn1ernbrarsi dalla suddelta diocesi di Girgenti, e di assegnare per dote della nuova Mensa Vescovile l'annua rendita cli onze n1illeduecenlo sulla Mensa di Girgenti, e la Santità sua accogliendo benignarnente una tale istanza con1e tendente al 1naggior bene spirituale <li quelle popolazioni si è degnala di con11nettcrc a Vostra En1. Rev. [il card. Gravina] carne suo speciale delegalo Apostolico

53

Su D'Agostino, cfr. G. ZITO,

f)11s111et e

/'episcopato benede!!ino, cii., 70.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

335

a firma dell'unito decreto della Sagra Congregazione Concistoriale spedilo sotto questo rnedcsin10 giorno, la con1pilazione del processo Canonico di tale erezione nel quale debbano verificarsi i seguenti

articoli» 5 ~.

Il card. Gravina, tuttavia, non sembra che fosse molto favorevole alla erezione di 11Uove diocesi. A Pio VII, l'anno precedente, aveva manifestato «il suo disappunto per la riforma, lesiva dei diritti e delle prerogative primaziali della capitale siciliana» 55 . In quanto alleato, poi, del vecchio notabilitato e dei Moncada nella rivoluzione dcl 1820, non faciln1ente doveva gradire l'autonomia demaniale, e tanto n1eno la pron1ozione di Caltanissetta a capo-diocesi. Ciononostante, però, dovette avviare il prescritto processo canonico. A Palermo gli interessi di Caltanissetta in un primo momento vennero difesi da una deputazione cittadina, con le spese a carico del bilancio comunale, composta dal sindaco Angelo Rizzo, dal prevosto Filippo Neri Saetta e dal canonico della collegiata Marco Dc Marca56 : espressione del clero che condivideva le aspirazioni del nuovo notabilitato nisseno. Ma dopo qualche mese, poiché il processo richiedeva ten1pi lunghi, il decurionato nisseno incaricò il De Marca soltanto a rappresentare la città presso il Gravina. E per non gravare ulterionnentc sulle finanze cittadine, il De Marca acconsentì a rinunziare per il futuro a qualsiasi compenso per le spese che avrebbe dovuto soslenere, sia per la sua attività che per la sua pennanenza a Palern10 57 . Una difficoltà sembrò particolarmente insormontabile: la costituzione delle prebende per le dignità capitolari e per i canonici della erigenda cattedrale, impossibile da far gravare sul bilancio con1unale per la esiguità dei suoi introiti. Il re, volendo con1unque pervenire alla erezione di Caltanissetta a sede vescovile, prorogò più

5-1 .'iS

56

A. GALLO, op. cii., !!I, 201-203 . A. GA!Vll3ASIN, op. cit., 94. Delibera ciel dccurionato del 16 n1aggio

religiosità, 34.

1824:

Tra a111111i11istroz.iot1t'

e

57 Co1nu11icazioni dell'intendente del 28 clicen1hrc 1824 e del IO febbraio

1826: ìhid., 36 e 37.


Gaetano Zito

336

volte il termine di scadenza del processo, in attesa della nomina del nuovo delegato apostolico da parte della S. Sede dopo la morte del card. Gravina (1830), e per dare modo ai nisseni di provvedere alle rendite per le suddette prebende. Il decurionato, poi, per difendere la erezione della diocesi e sostenere la propensione ciel sovrano, deliberò cli affidare tale incarico al concittadino Giuseppe Guadagno, residente in Napoli, ottenendo in tal modo anche un risparmio sulle finanze co1nunali 5 ~.

A Ferdinando II il Guadagno propose cli dotare la mensa vescovile, le prebende del capitolo cattedrale e le necessarie rendite per il sen1inario diocesano con le cospicue rendile della n1cnsa vescovile di Agrigento e della locale abbazia di Santo Spirito. Ma i tempi non erano ancora sufficienten1ente maturi per una siffatta risoluzione, e la proposta venne respinta. Caltanissetta, comunque, trovò anche nel regio visitatore, il commendator Parisi, un suo alleato, ed ottenne che nelle bolle cli non1ina del nuovo vescovo di Agrigento, il conventuale Ignazio Monternagno (1837-1839), il re facesse inserire la clausola relativa alla disrnembrazione della diocesi e alla destinazione di una parte delle rendite di quella mensa per la erigenda diocesi cli Caltanissetta". La consegna dell'an11ninistrazione dei beni della 1nensa al nuovo vescovo di Agrigento ( 1838) lì.1 l'occasione per gli abitanti di Caltanisselta per di1nostrare che l'assegnazione di una parte di quei beni ( 1200 onze) in favore del nuovo vescovado, e dei canonici della propria erigenda cattedrale, non solo non intaccavano graven1ente le rendite del vescovo agrigentino, 1na rin1anevano ben al di sopra della rendita minima stabilita dal concordato del 1818 per un vescovado, 3000 ducati netti equivalenti a 1000 onze (art. 4), poiché avrebbe potuto disporre di 2528 onze''".

5H Delibera dcl 22 n1aggio 1835: ibid., 38. 59

Cfr. flierarchio Cotholica, VII, 63; F. PULCI, op. ci!., 12-17.

rio Deliberazione dc! ùecurionaLo di CallnnissctLa ciel 20 n1aggio [ 838, cùila in Tro c1n1111ù1istrazJone e religiosità, 65-68.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

337

Il Montemagno, rivolgendosi al marchese Del Carretto, ministro della polizia e degli affari ecclesiastici, contestò la proposta dei nisseni. Sostenne che al card. Gravina, dai comuni interpellati per il passaggio alla nuova diocesi, erano pervenute risposte negative, motivate dalla perdita dei vantaggi di cui godevano per la loro dipendenza da Agrigento. Come pure, la decurtazione di 1200 onze dalle rendite della mensa equivaleva non tanto alla dismembrazione della diocesi, quanto piuttosto al «trasferimento del Vescovato di Girgenti in Caltanissetta» 61 • Ma ormai, superata la crisi rivoluzionaria del 1837 e portato a compimento il suo viaggio in Sicilia, maturavano i tempi perché Ferdinando II attuasse il progetto di an1plian1ento delle circoscrizioni ecclesiastiche dell'isola chiedendo decisamente alla S. Sede la fondazione di altre diocesi. Nel progetto presentato il 30 aprile 1839 dal marchese D'Andrea al card. Etnanuele Dc Gregorio si proponeva la costituzione della rendita della mensa vescovile di Caltanissetta prelevando una parte della somma dalle rendite della mensa di Agrigento, così come in precedenza era stato proposto, e integrandola con una ulteriore dotazione da detrarre dalle rendite percepite dall'abate commendatario dell'abbazia di Santa Anastasia, in Castelbuono (PA), che aveva tra le sue chiese suffraganee anche quella di S. Giovanni a

Caltanissetta62 • La circoscrizione del nuovo vescovado, poi, avrebbe dovuto abbracciare i con1uni che costiluivano la provincia civile «e che

atlual111cntc

nella

111aggior

parlc sono sotto la giurisdizione del

Vescovo di Girgcnti. La Diocesi di qucst'ultin10 è di una 1nostruosa circoscrizione e pcl nun1cro dc' Comuni che la con1pongono, e per la estensione ciel suo territorio che si diffonde in diverse Provincie. Oltre di 42 Co1nuni che con1pongono la Provincia di Girgenti, appartengono alla

Leuera del I8 ouobrc 1838: ;bid., 39-40. G. A. DE C!OCCHIS, Sacrae regiae visitationis per Sicilia111 Candi 111 regis j11ss11 acta decretaq11e 011111ia, Il, Ex Typ. Diarii Letterari, Panonni 1836, 546-548. (il

62


Gaetano Zito

338

sua giurisdizione 13 Comuni della Provincia di Caltanissetta, ed 8 di quella di Palermo. Quindi la nuova diocesi di Caltanissetta potrebbe esser con1posta dc' seguenti: Caltanissetta

16.563

S. Cataldo

7.598

Santa Caterina

5.989

Resuttana

2.731

Musson1cli

8.280

Can1pofranco

2.208

Su tera Acquaviva Villalba Marianopoli Vallelunga SetTadifalco Bon1pinzeri Na<luri

2.914

Montedoro

1.642 2.218 1.136 3.701 4.977 530 1.641

Son1n1atino

3.366

Delia

3.104»('~.

In compenso dei comuni ceduti per la nuova sede episcopale, poiché Agrigento è «situato nel punto più centrale della parte meridionale dell'Isola, ed ha un Se1ninario ben rinon1ato, opportunamente vi risiederebbe un Arcivescovo», con giurisdizione n1etropolitica sulle diocesi di Caltanissetta e Piazza Armerina 0-1. Ma questa proposta, presentata dal marchese D'Andrea al card. De Gregorio all'inizio delle trattative, non venne in seguito presa rn considerazione. Anche per la S. Sede, comunque, le questioni principali da risolvere prima della decisione di erigere la nuova diocesi concernevano la stabile e dignitosa condizione finanziaria dei titolari

6

"

(,.J

ACA, f. 9r. e 10-l lr. J/Jid., l3v.-14r.


La jòndazione della diocesi di Caltanissetta

339

di beneficio, e la provvista Jegli immobili necessari: dotazione della mensa vescovile, delle prebende capitolari e delle rendite per il nuovo seminario; l'assegnazione di un edificio da adibire ad episcopio e di un altro per gli uffici della curia vescovile. Complessivamente si ritenevano necessarie 1421 onze: per dotazione della mensa vescovile, 1000 onze; in supplemento al Capitolo, I 00; per la maramma, 121; e per il seminario diocesano, 200. Fu proposto che la dotazione gravasse sulle rendite dell'abbazia di Santo Spirito di Caltanissetta «per quando vacherà, e nel frattempo l'equivalente sulla cassa degli spoglj e delle sedi vacanti». Ciò, ovviamente, «nella supposizione che la proposta Abadia abbia l'assetta annua rendita netta di onze 1421 e in caso contrario che venga supplito alla mancanza con altri fondi» 65 . Tramite il nunzio apostolico a Napoli la S. Sede provvide, secondo le forme canoniche, ad interpellare il capitolo della cattedrale di Agrigento circa il progetto Ji contrarre il territorio di quella diocesi in favore di Caltanissetta, da erigere a capodiocesi. Il vicario capitolare di Agrigento, Raimondo Costa, insieme alla deliberazione capitolare, inviò al nunzio anche le risposte pervenutegli (inizio marzo I 843) dal clero di diversi comuni che sarebbero dovuti passare ad altra diocesi. I canonici di Agrigento, pur professando devozione e ubbidienza aJ papa e al re, e dichiarando di unifonnarsi alle decisioni che questi avrebbero assunto, implorarono dal papa «la grazia di non pern1etlerc che rcsli il Capilolo e la Mensa Vescovile spogliata de' diritti di che ha goduto per otto secoli pacifica1ncnlc, cli esigere le prebende con titoli legittin1i su <le' Con1uni che vanno a] aggregarsi ad altre Diocesi, e che si degni nell'autorizzare la nuova circoscrizione di apporre espressan1cnlc per condizione che, n1algrado la nuova aggregazione, perde la Diocesi di Girgenti la giurisdizione spirituale sull'anin1c dc' con1uni aggregati, 111a ri1nane ne' pieni suoi diritti cli esigere le dccin1c e tutto ciò che sinora ha esatto per le prebende ne' detli Cornuni;

65

Jbid., 485-489.


Gaetano Zito

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confennando ancora la esenzione sumn1cnzionala dal Metropolitano [di PalermoJ, tranne l'appello, siccome da' Son11ni Pontefici anleccssori è stato accordato>/'6 .

Nelle loro risposte gli arcipreti e il clero fecero ampiamente osservare come le rispettive comunità locali, passando ad altra diocesi, avrebbero perduto una serie di vantaggi acquisiti lungo i secoli grazie alla loro appartenenza alla sede agrigentina. Il privilegio di impartire la formazione al giovane clero nel prestigioso Collegio dei Santi Agostino e Tommaso. Il diritto al gratuito mantenimento in seminario di almeno un alunno per comune, che favoriva in qualche modo anche la disponibilità vocazionale delle famiglie. La possibilità di distribuire annualn1ente 5 onze in favore dei ragazzi più 1neritevoli fra quelli che nnparavano il catechismo, secondo le disposizioni testamentarie del vescovo Saverio Granata. Il diritto di avere un canonicato nel capitolo cattedrale, e di offrire soltanto l'ospitalità ai redentoristi della diocesi in cambio della gratuita predicazione delle n1issioni popolari. E, infine, magg1or1 scan1bi con11nerciali avvenivano di fatto con Agrigento, mentre a Caltanisselta ci si recava soltanto per affari amministrativi e giudiziari". Quesle osservazioni vennero esa1ninate dalla S. Sede, presso la quale intervenne a favore di Caltanissetla anche il redenlorista napoletano Michele Segneri 6\ e trasn1esse, tran1ite il nunzio, al governo di Napoli perché si assumesse soprattutto gli oneri di carattere finanziario. Nella udienza accordata dal papa al segretario della Concistoriale, successiva alla riunione da questi tenuta il 7 dice1nbrc 1843 con il segretario di stato, Lambruschini, e altri responsabili della Curia ro1nana, vennero esan1inate ed accolte le risposte pervenute da Napoli. Ad Agrigento venne concesso che i canon1c1 continuassero a riscuotere le deci1ne dai comuni passati ad altra diocesi. Venne

66 (,J

(, 8

Deliberazione capilolare dcl 6 1narzo 1843: ibid., 293-294. Le risposte, ibid., [[. 278-284, 295-317. Cfr. P. PULCI, op. cii., l 8; A. SINDONI, op. cif., ! 77.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

341

conservato il privilegio di riconoscere al nuovo metropolita Agrigento passava da Monreale a Palermo - soltanto il diritto dell'appello. Nel nuovo seminario di Caltanissetta sarebbero stati fondati tanti posti gratuiti quanti ne godevano nel seminario di Agrigento i comuni che sarebbero passati alla nuova diocesi. Come pure, i comuni che ne godevano avrebbero mantenuto il privilegio per i loro chierici di concorrere all1ammissionc presso il collegio dei Santi Agostino e Tommaso. Il vescovo di Caltanissetta avrebbe potuto continuare a chiedere, ai redentoristi di Agrigento, le missioni popolari in favore dei comuni della nuova diocesi. Il re non avrebbe fatto mancare il premio ai ragazzi che si distinguevano nell'apprendimento della dottrina cristiana. Per il vescovo di Agrigento sarebbe stata più agevole la gestione finanziaria della locale casa che ospitava orfani e anziani, proprio 111 conseguenza del ridimensionamento del territorio diocesano. All'osservazione del clero di Campofranco, il quale si lamentava che Agrigento era più facile da raggiungere di Caltanissetta, grazie pure alla inigliore condizione delle vie di comunicazione, si assicurò l'impegno del re a provvedere il territorio di nuove strade. Circa, infine, il privilegio vantalo da Castronuovo di un canonicato in Agrigento per un prete di quel comune, «non pare che il Canonicato appartenga per diritto», tuttavia si decise di «procurare che il Canonico sia nel nuovo Capitolo» 69 .

Prima della stesura definitiva della bolla di erezione della nuova diocesi di Caltanissetta, la S. Sede ritenne, comunque, opportuno che il principe di Trabia, ministro per gli affari ecclesiastici nel governo napoletano, ne esaininasse la bozza per risolvere quelle obiezioni che in seguito ne avessero potuto impedire il "regio exequatur". E tale decisione si rivelò efficace. Il re, infatti, pretese ccl ottenne che nel tcslo definitivo venisse esplicilamente affern1ata la condizione di regio patronato dell'abbazia di Santo Spirito, sui beni della quale si

69

diccrnbrc

AcA, 492-494v.; cfr. pure ff. 120-121, 138r., 484 e 491; NN, lettera del 29 J 843.


342

Gaetano Zito

costituiva il patrimonio per la nuova diocesi, e che si eliminasse la clausola relativa alla cosiddetta «vacanza in Curia»: precisazioni che, se evitate, difficilmente avrebbero permesso di ottenere alla bolla, emessa il 25 n1aggio l 844, la regia autorizzazione ad essere eseguita, concessa il 18 luglio successivo 70 . Lo scopo della prima clausola 1nirava a riservare al re la designazione dei vescovi e dei canonici della cattedrale, affermando il diritto di regio patronato. Il papa gli concesse di nominare a tante prebende canonica! i quante se ne potevano dotare con le rendite assegnate sui beni dell'abbazia di Santo Spirito. Furono eccettuate però le prebende per la prima dignità, per il teologo, il penitenziere e quella con annessa la cura d 1anime. La seconda clausola, invece, assegnava al re la libertà di nomina del vescovo di Caltanissetta anche nel caso in cui il predecessore fosse deceduto mentre si trovava presso la S. Sede, e pertanto la collazione del beneficio sarebbe dovuta spettare al papa: prerogativa negatagli, invece, nel 1816-1817 per le diocesi di Nicosia, Piazza Armerina e Caltagirone"Per la esecuzione delle bolle pontificie, che ristrulluravano le circoscrizioni ecclesiastiche già esistenti e ne istituivano di nuove, venne delegato il redentorista n1ons. Celestino Cocle, arcivescovo titolare di Patrasso. A sua volta, ad eseguire la bolla per Caltanissetta, come per Noto e per Siracusa (elevata a sede arcivescovile e metropolitana), questi subdelegò il nuovo vescovo di Trapani Vincenzo Maria Marolda, anch'egli redentorista. Ma in quanto delegato apostolico era suo dovere emanare il decreto per eseguire concretamente quanto disposto dalla bolla pontificia - capitolo della

711 Il testo della bolla: Collezione degli atti en1anati dopo la pubblicazione de! Concordato dell'anno 1818: parte decù1Ja. da gennaio 1842 a dice111bre 1844, SLa1nperia dell'Iride, Napoli 1847, 167-188: tesla latino e italiano, e decreto

esecutoria] e. 71 Tutta la questione: carteggio dcl 16 n1ar7,0 e 13 aprile 1844 in NN; dcl 31 1narzo 1844, in AcA, ff. 112-l 14v.; dopo il 31 1narzo 1844, ibid., ff. 516-524v.; 6 giugno 1844, ibid., rr. 11 !r.v.


La fondazione della diocesi di Caltanissel/a

343

cattedrale, prebende canonicali, episcopio, seminario, archivio, ecc. - e per dirin1crne punti poco chiari o controversi. La bolla recepiva quanto, man n1ano, si era concordato tra il governo napoletano e la S. Sede. Ai comuni provenienti dalla diocesi di Agrigento vennero conservali i privilegi di cui godevano in precedenza. Caltanissetta, con i comuni che co1nponevano il territorio della diocesi - dodici da Agrigento, uno da Cefalù (Vallclunga) e due da Nicosia (Marianopoli e Resuttana) - sarebbe stata soggetta alla sede metropolitana di Monreale. Nella bolla, tuttavia, l'elenco nominativo dei con1uni ne indicava quattordici da Agrigento, perché veniva computata la città di Caltanissetta, e il secondo nome di Bompensieri, Naduri, veniva co1nputato co1ne se si trattasse di altro comune. Circa poi la costituzione del capitolo cattedrale, Cocle provvide a rendere liberi dal diritto di patronato la collazione del canonico teologo e del canonico penitenziere, sebbene la prebenda di quest'ultimo provenisse dalle rendite della soppressa abbazia di Santo Spirito, e quindi sarebbe dovuta essere di regio patronato 72 • La determinazione di erigere la nuova sede episcopale di Caltanissetta era stata dettata, dunque, più da motivi di ordine politicoan11ninistrativo, la identificazione di capo-provincia con capo-diocesi, che da una primaria assunzione di reali esigenze di carattere religiosopastorale, evidenziate solo in un secondo n101nento e a quanto se1nbra a supporto dei primi. La spinta alla erezione della diocesi venne soprattutto da membri di quella classe emergente di laicato e clero riformista, quali Cinnirella, Guadagno e De Marca, che aspiravano ad apportare una co1npleta autonomia a1nministrativa ed ecclesiastica alla loro città, congiunta ad una visione riformatrice anche delle generali strutture religiose dell'isola.

72 fbh!., 800v.-80lr. Il verbale di esecuzione del Marolda e le professioni di fede dei canonici, corne !'invenlario dei doni del re al nuovo vescovo di Caltanissetta: ibid., ff. 571, 576-578, 649-684. Il decreto esecutivo con le istruzioni di Coclc è edilo in Appendice.


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E ulteriore segnale di questa corrente riformista, con riflessi sulla vita socio-economica della Sicilia proprio negli anni del processo di defeudalizzazione7J, può anche considerarsi la decisione di dotare le nuove diocesi con le rendite di alcune pingue abbazie, divenute da tempo ormai appannaggio delle famiglie nobili. Proprio dell'abbazia di Santo Spirito a Caltanissetta era commendatario Guglielmo Moncada duca di S. Giovanni, alla cui famiglia era infeudata Caltanissetta. Ma simile era la condizione per le abbazie di S. Maria dell'Arco a Noto e di S. Maria la Novara ad Acireale. I loro beni tornavano ad essere destinati fondamentalmente al sostentamento di mansioni ecclesiastiche, divenendo rendita per le nuove mense episcopali, per i seminari e per le prebende dei nuovi canonicati7~.

La documentazione esaminata lascia en1ergere, inoltre, con1e per il clero dei comuni trasferiti alla nuova diocesi prevaleva l'esigenza dì salvaguardare quei privilegi che avrebbero potuto perdere, se scorporati dalla diocesi di Agrigento, più delle opportunità pastorali a cui la nuova condizione pennetteva di accedere. Così, dopo essere divenuta centro di riferimento territoriale sul piano civile e am1ninistrativo, Caltanissetta, grazie al vescovado, acquisiva ora anche il carattere di centro propulsore della vita religiosa per il territorio assegnatole, con evidenti e significativi riflessi anche sulla vita sociale, econo1nica e politica. l)er tale inotivo, Paolo Zanghì invitava i suoi concittadini a sentirsi perennen1ente obbligati nei confronti del re per «tanto bene inatteso», tale che «la dignità vescovile sorge per te [Caltanissetta] come un astro lucidissimo, che coi suoi raggi salutari vivifica sempre, ed illumina la case dei tuoi abitanti, i

7:. O. CANCIL/\, Vicende della proprietà fondiaria in Sicilia dopo l'abolizione della fe11dalirà, in Cultura società potere. Studi in onore di Giuseppe Giarrizz.o, a cura ùi F. Lon1onaco, Morano, Napoli 1990, 211-231. n Su questi aspetti cfr. le osservazioni ùi A. SINDONI, op. cit., 177 e 183.


La fondazione della diocesi di Caltanissel/a

345

loro figli, le loro menti, le loro famiglie, che educate nella virtù vedranno benedire le loro vigne, i frutti tutti delle loro terre» 75 . Il primo vescovo, il teatino campano Antonio Maria Stromillo, presentato dal re il 9 novembre 1844 e proclamato nel concistoro del 20 gennaio 1845, ebbe l'arduo compito di impiantare le strutture ecclesiastiche di supporto alla vita della diocesi, e di sollecitare l'assegnazione degli immobili da destinare a vescovado, seminario, e curia, per i quali si era espressamente impegnato il re. Insieme all'acquisizione delle strntture logistiche, tuttavia, al pr1n10 vescovo co1npeteva soprattutto l'ardua incombenza di individuare i suoi più diretti collaboratori e di risolvere le iniziali questioni giuridiche. In special modo, però, bisognava avviare la con1unità diocesana verso la determinazione di una propria fisiono1nia ecclesiale e pastorale, in interconnessione con la tradizione che le apparteneva per la secolare dipendenza da Agrigento. Ma Caltanissetta da ten1po onnai esprin1eva segnali di una configurazione socioreligiosa autonon1a. La vicenda della erezione di Caltanissetta a sede episcopale, come delle nuove diocesi sorte nel primo Ottocento, può essere assunta ad ulteriore ed emblematica cifra della peculiare condizione dettata in Sicilia dalla Apostolica Legazia. Alla monarchia borbonica, grazie a tale istituto giuridico, era assicurata ampia giurisdizione sulle questioni inerenti la vita della Chiesa nell'isola. Di conseguenza, gli interessi politico-am1ninistrativi prevalevano di nor1na sulle esigenze più propriamente religioso-ecclesiastiche, riducendo queste di fatto ad instru111e11tun1 regni. La riforn1a delle circoscrizioni diocesane, pertanto, unita1nenle al radicale rica1nbio dell'episcopato avutosi in contemporanea, acquisì per la corona il valore di una preziosa opportunità di cui giovarsi al fine di consolidare nell'isola prestigio ed autorità.

75 P. ZANGHÌ, Nella occorrenza di essere sia/a innalzata la cilfcì di Caltanissetta a sede vescovile e di essere staro e/elfo a suo prùno 1 escovo Monsignore Antonio lv/aria Stro111illo C.R., Tip. F. Lao, Palern10 1847, 34. 1


346

Gaetano Zito

Nell'arco di 25 anni, per due volte, nel 1816-1817 e nel 1844, dopo ben otto secoli di tranquillità, la struttura ecclesiastica della Sicilia veniva radicaln1ente stravolta, e ri1nane del tutto aperta l'indagine sull'impatto che si è avuto sulla vita religiosa del clero e dei fedeli, sia delle nuove diocesi come di quelle che vennero smembrate. In un contesto di rigida societas christiana tutto da verificare resta, inoltre, l'innegabile risvolto sull'economia dei territori in gioco, come l'interferenza tra il fermento provocato da questa vicenda con gli eventi più propriamente politici accaduti negli stessi anni. Proprio dalle nuove diocesi, nondimeno, fin dai primi decenni della loro autonomia, venne un significativo apporto alla vita religiosa dell'isola e una incisiva presenza dei cattolici nella società siciliana, in proporzione certamente ben maggiore di quanto non seppero dare alcune delle diocesi di antica istituzione. Il potenziamento di disponibilità vocazionale, in particolare per il clero diocesano, e il contributo dato al movimento cattolico, all'impegno sociale e alla formazione spirituale e culturale del clero e del laicato. E cli rilievo è stato pure l'incremento di com1nittenza artistica a soggetto sacro7\ funzionale anche alla pro1nozione di antiche e nuove espressioni devozionali, in intin1a connessione con il variegato 111ondo della rei igione popolare. Le indagini storiografiche di questi ultimi anni ci permettono di conoscere orinai la Caltanissetla del vescovo Giovanni Guttadauro; la Noto del vescovo Giovanni Blandìni; la Caltagirone del vescovo Saverio Gerbino: negli anni del suo episcopato si formarono Mario e Luigi Sturzo; la diocesi di Acireale con il suo primo vescovo Gerlando Genuardi: autonoma dal 1872, già all'inizio del '900 diversi membri del suo clero vennero promossi all'episcopato. Quella che in origine, dunque, era stata una risoluzione politica del riforn1isn10 borbonico e una richiesta di autono1nia ecclesiastica,

7 (' È indubbian1ente uno degli aspelli che inerita 1naggiore a!lenzione di quanto non ne abbia avuto. Escn1p!ificativainenle, si veda il caso dei fratelli Vaccaro per Callagironc: V. LIBRANDO - A. M. FICARRA (curr.), Giuseppe, Francesco e A1ario Vaccaro pÌl!ori del XIX secolo, Ediprint, Siracusa 199 I.


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

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perseguita dalle nuove città demaniali a completamento di quella am111inistrativa, si è rivelata come un evento di considerevole spessore e di qualificante apporto alla vita ecclesiale e sociale della Sicilia. E Caltanissetta, tra le altre nuove diocesi, è da considerarsi il caso piÚ emblematico.


Gaetano Zito

348

Appendice

Copia ciel decreto esecutivo della bolla di erezione del vescovado cli Caltanissetta, cn1csso dal delegato apostolico Celestino Maria Coclc, arcivescovo di Patrasso, il 25 ottobre 1844 (ASV, S. C. Consistoria/is, Acta Congrcgationis Consistorialis, 1844, tom. 2째, l'f. 576-578).

[576r]Coclcslinus Maria Coclc etc. Visis Aposlolicis Litteris Ro1nac

cxpc첫itis sub Plun1bo octavo Kalcndas Iunii MDCCCXXXXIV inclpientibus Ecc!esiae Universali.\' H.cgio exequatur rohoratis, quibus Sanclissi111us Don1inus Nostcr Gregorius XVI

postulationibus, votisque Augustissin1i Regis Nostri F'erd첫1a11di li super novac Calatanisiadensis Cathcdralis cun1 Capitulo, et

Scn1inario crcctionc deJ-eJTe est dignatus, Nobisque cxccutione1n co111n1itlcrc Apostolicis Mandatis lubentissin10 ani1110, et qua par est hu111ilitate obsequcntcs, dcclaran1us, dcccrnin1us, et 1nandan1us, quae sequuntur. In prirnis Abbatia111 a Sancto Spiritu nuncupatan1, qua nunc Guillcln1us Moncada gauclct cu1n prirnu1n vacavcrit ex nunc pro lune suppressan1 cleclara111us. Iten1 Ecclcsiac Oppi di Calatanissettae sub ti tu lo Sanctae Mariae vulgo La Nova Collegialen1 titulun1 una cu1n cjus Capitulo excepta parochialitate cu1n juribus, honoribus, praerogativis, et privilegis supprcssun1 dcclararnus, oppiclu1n ipsun1 ad Civitatis

Episcopalis

honore111

evectun1,

Ecclesiarnque pracdictan1

in

Cathedrale1n sub code1n litulo Sanctac Mariae la Nova canonice erectan1 cun1 01nnibus honoribus, ac pracrogativis ceteranun Ecclesiarun1 Cathedraliun1, prout iussus in praclaudatis J_...itteris Apostolicis quoque declara1nus. Praecipi111us, et volun1us, ut univcrsa Dioecesis Calatanisiadcnsis, quan1 suffragancan1 Ecclesiae Metropolitanae Montis Regalis esse clcccrnin1us ex quindeciin oppidis, seu paracciis practcr Calatanissettarn jan1

111 Episcopalern Civitatcn1 evecta1n

constituatur, videlicct Calatanissetta, et aliis duodecin1 inter cctcra a Dioecesis AgrigcnLina sejunctis, quae vulgo Mussuineli, San Cataldo, Santa Caterina, Serradil~ilco,

Son1111atino, Delia, Sutcra, Can1pofranco, Acquaviva, Montedoro,

I3uonpcnsiero,

alias

Naduri,

e

Villalba.

Altero

divulso

a

Dioecesis

Cephaludensis, quod vulgo Vallclunga, et duobus a Dioecesis Nicosicnsi


La fonllazione llella lliocesi cli Caltanissetta

349

Hcrbitcnsi scparatis, quac vulgo Marianopoli, e R_csuttana nuncupantur, quae scxaginta sex 1nillia super nongenlos septuaginta sex hornines capiunt. Volumus deinde ut anteclicta Dioecesis eosden1 habcal fincs, quos territoriis 111e111oratorum oppidorum pubblicae et civiles ccnsua!cs tabulac tribuunt. Declaran1us practcrca Capitulun1 haclcnus Colegiale ad Capitulì Cathedralis dignitate111 evectum cu111 honoribus, privilegiis, et oneribus acque ac cctcra Capituli Cathedraliurn Ecclesiaruin in usu, et ex speciali gralia, ve] oneroso tilulo non quaesitis, Capitulun1 constituetur ex Dignilatibus quatuor, quac sunt Curionatus, seu Archipresbyteratus post Pontificalern pri1na; cui adnexa cura ani1narun1 rcn1anebit; Decanatus secunda, Cantoratus tertia, et Thcsaurariatus quarta, cx quindecim Canonicis, quatuorclecÌln sci!icct, quarun1 Canonicatus iidc1n crunt, qui antea in Statu Collegiali, decirnu1n quintun1 addentes ob sequenten1 rationcn1. Ex nuper n1e1noratis Apostolicis Littcris onus Nobis i111ponitur [576v] officiu111, et obbligationcs Canonici Theologi, et Poenitentiarii duabis pracbcndis injungendi, quac non sint dc jurc patronatus. Quandoquiden1 constare Nobis fecerunt, on1ncs pracbcndas, vix excepta qua fruitur hoclicrnus Canonicus Theologus Crispinus Natale, quae ornni te1npore praevio concursu collata J'uil jure patronatus subjcclas esse; idcirco utendas facultatibus Nobis concessis ut adarnussi1n sancita per Apostolicu111 Mandatun1 felicern sortiantur exitu1n novan1 Pracbcndan1 fundare, ac erigere necessariurn esse cluxin1us cun1 clolis assignatione ut infra prout pracscnti Nostro Decreto funda1nus, et erigi1nus, cui officiu1n, cl obligationcs Pacnitcntiarii injungin1us, rata, et finna rernanente pracbcnda Thcologali praedicti Natale. Mandan1us auten1 ut in vacationibus in postcrun1 praedicti duo Canonicalus non nisi praevio concursu servata fOnna canonicarun1 sanctionun1, et praeserti111 Bullae Benedicti Papae Xlii quac incipit J>ostoralis conferantur. Decernin1us quoquc ut beneficiali secundarii praedictae supprcssac Collcgialis Ecclesiae ad Cathedralis honoren1 evectae sint beneficiati resiclentialcs cjusdcn1 Cathedralis perinde ac ceteri 0111nes bencriciati rcsiclcnlialcs cctcrarun1 Cathcdraliuin, qui ex nunc, et in futurun1 Mansionarii nuncupabuntur. lnsigna

et

indu1nenta

choralia

Dignitatuin,

Canonicorun1,

et

Mansionarioru1n caclcn1 crunl pro dìversis anni te1nporibus, quae gestare soleni Dignitates, Canonici, et Mansionarii Cathcdraliun1 in Sicilia ultra Pharuin cxistcntiun1 in usu, et speciali gralia vcl titulo oneroso non concessa. Eorun1 usun1 praedictis Dignitatibus, Canonicis, et Mansionariis in sacris functionibus


Gaetano Zito

350

nedun1 in Cathcdrali Ecclcsia Calatanisiadensi, verun1 in 01nnibus ejusde111 Dioecesis locis indulgcn1us. Volumus autern ut extra Cathedrale1n licet in Dioecesi non nisi cun1 collcgialitcr convenerint vel eorum pars proprio Antistiti inservient. Eiden1 Capitulo facullatcm conccdimus condendi sibi

Staluta

Capitu!aria, du1nmodo a futuro Episcopo fucrint cxan1inata, et approbata, eaque 01nnia capitularitcr, quac a ccteris Capitulis fiunt per suffragia secreta statuendi, dun11nodo ad non11a1njuris non fcrantur a Canonicis inodernis in Sacris 1nini1ne constitutis, quod in posterurn evenire nequibit, cun1 juxta a Patribus Tridcntinis sancita Canonici Cathedralium in Sacris constituti, ve! saltcn1 infra Annun1 constitucndi sunt. Utcntcs porro facultatibus Nobis tributis pro hac prin1a vice conccdin1us ut pracbcndac Dignitatun1, Canonicoru1n,

et

retineantur a respectivis possessoribus, durn1nodo itenun

Mansionarioru111 111

possess1onern

in1n1ittantur sin1ul ac pracscns hoc Nostrun1 Decretun1 lectun1, et latu1n fuerit, et inJ矛路a lcgiti1na tcn1pora cora1n Nobis, vcl Nostro Subdelegalo corun1 qui dc jurc Fidei professionen1 cliciant. Quonian1 nova Calatanisiadensis Ecclesia [577rJ nondun1 de Pastore sit provisa, volurnus ut infra octicluun1 ab executione erectionis turn Ecclesiae cun1 Capituli, et captae possessionis per Canonicos Vicarius ad norn1an1 Tridentini a Capitolo lcgitirnc dcputctur sub pocna clevolutionis ut de jure. In posterun1 provisio et collatio prin1a Dignitatis, scu Curionatus alias Archiprcsbytcratus a_! Apostolicarn Seclcn1 in 0111nibus quornoclolibet eventuris vacationibus pertinebit. Canonicatus

Canonici

Theologi,

et

Poenitentiarii,

nec

non

beneficia

!\.1ansionariorun1 confcrcntur juxta pacta convcnta inter Apostolica1n Secle1n, et utriusquc Siciliac H_cgcn1, sicut cetcrac Prebenclae, quae libere collationis clicuntur, salvis Canonicatibus, et beneficiis residentialibus Mansionarioru1n qui vere sunt dc jurc patronatus, de qui bus nihil volun1us innovandun1. Canonicatus, et Mansionariatus vacantes providebuntur ut dc jurc. Manclarnus, ut per futuru1n Episcopun1 Calatanisscttac Scn1inariun1 pro Clcricis crigatur, et achninistrctur juxta Triclentinas Sanctiones. Ut aecles pro Episcopo, ejusque resiclentia, Curia, Archivio, et Serninario sint aptiores, et Ecclesiae Cathedrali

viciniorcs,

crit eligencli

Episcopi

Nobis

reterre cC

opportunioribus locis, quare cx nunc pro tunc reservan1us Nobis, aclhibita Regia potestate, decretutn te1Te pro executione, qua pendente Episcopus aptabit ve! Collegio Iesuitaru1n pro Episcopio uti,

ve! privatorurn aecles conclucere,

curantibus Nobis, ut a Regio Fisco pcnsio locatoribus solvatur. Interini volurnus


La fondazione della diocesi di Caltanissetta

351

proul in Iaudatis Apostolicis Littcris statuitur ut in Sen1inario Calatanisiadensi

qua1n pri1nu1n erigendo gratis alantur tot adolcscentes ad oppicla ab Agrigentina Diocccsi avulsa pcrtinentes, quot - ali - usque adhuc solitos fuissc.

Episcopus rctulerit Nobis reservantcs, adhibita Regia Potcstate fundos assignare, pro rcdditibus ad opus necessariis: salvis juribus ephcbicis eorundc111 oppidorun1 sicut antca se annuo cxa1nini subjiciendi pro obtinenclis gradibus acadernicis, et ingrcssu

111

Collegiurn

a

Sanctis

Augustina

et

Thon1a

nuncupatu1n, quorun1 clectio pracvio concursu, qui cura Antistitis Agrigentini

habebitur, Episcopi Calatanisscltac erit, rescrvantes Nobis unu1n ve! plura loca dcccrnere pro cisden1 in praefato Collegio prout acquius , et 1nelius judicabin1us. Quoad quinquc Annuas uncias, seu Sculata Ron1ana duoclecin1 ùistribui quolannis solilas in uno quoque oppido, scu Paraecia Agrigentina Dioccesis iis, qui a!iis praeeunt in scientia doctrinac christianac Nostrun1 crit efficcrc, ut ex rccldilibus parvorun1 Convcnturn, qui in Trinacria suppressi fÌJere sub dispositionc, et adn1inistrationc Augustissin1i Siciliarun1 Regis relictis, unicuiquc oppidorun1 seu paraccianun a pracdicta Agrigentina Dioccesi sejunctoru111, nedun1 Calntanisscltae Dioccesin1 veru1n, et alias [577v] Dioeceses conslituentiun1 assigncnlur. Itcn1 Nobis rescrvan1us uhi prirnurn Abbatian1 a Sancto Spiri tu vacavcrit cx cjus bonis, et redclitibus Ecclcsiae Cathcdrali Calntanisiaùensi, Capitulo pro Pracbenclarun1 st1pplc1ncnto,

Se1ninario,

Fahricae,

dotationcs assignarc, sive cuilibet clividcndi

bona,

et

Sacrario rcspectivas vcl

universa

Mensac

Episcopali adùicere cun1 onere i1nprendencli ad quos spectat dcsignntas in praefatis Apostolicis portiones. Interini volun1us, sicut curavin1us ut ex arca spoliorun1, et Sediun1 vacantiun1 Trinacriac unciae n1illac seu Sculata Rornnna bis n1illia quaùraginta Mcnsae Episcopali unciac centurn scu Scutatn bis ccntun1 quaclraginta Capitulo videlicet: unciae triginta tres cun1 tarcnis decen1 seu Scutata octogi11ta Canonico Paenitentiario, unciae quatuor cun1 tarenis viginti seu Scutata clece1n Canonico Theologo pro ejus praebendac suppleinenlo: rcliquae unciac sexaginta duae, et tarcni quindccin1 pro supplen1ento praehcndarurn cctcronun on1niun1 sivc Dignitatun1, sive Canonicoru1n pro aequali portione cxccptis Thcologo et Paenitcntiario, quorun1, Pacnitentiarun1 volurnus nunqua1n adn1ittenclun1 aJ participationen1 ùistributionu111 quotidianaru1n, et anniversariorun1, quae ut usqucn1odo salva ren1anebunt hodiernis posscssoribus, unciac biscentun1, seu Scutata quadrigcnla octoginta Serninario, unciae ccntun1 viginti super una111, scu


Gaetano Zito

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Scutata biscentun1 nonaginta, et obuli quaclraginta Fabricae, et Sacrario quatannis pro quarta parte singulis tribus Mensibus solvantur. Dcccrni1nus ta1nen, quod tcrtia pars supplementi hujusn1odi practer assignationcm hactcnus scrvatan1, nec non tcrtia pars novae dotis Pacnitentiarii pro distributionibus quotidianis assignctur. Salvis sc1nper bonis et redditibus, qui bus hactcnus Ecclesia praedicta fuit potila, et absque pracjducio pro hac pri1na vice supellectiliun1, quibus Augustissin1us Rex ean1 instrui curavit usque al su1nptus unciaru1n n1ille. Decernimus quoquc, quod instrurnenta on1nia, et Scripturac, quae in J\rchiviis, seu Cancellariis Agrigentinae, Nicosicnsis, et Ccphaludensis Dioeccsun1 praedictoru1n quindccin1 Oppidorun1, seu praeciarun1, quae novan1 Dioccesi1n Ca\atanisseltae constituunl fundaliones, legata, beneficia, officia cujuscun1que generis, et quo1nodocun1que rcspicentia a

respectivis

Ordinariis Ordinario Novae Cathedralis infra trcs Menscs a notificatione hujus Decreti Nostri paniculac, ve\ saltern eorum authenticac copiae trndantur. Volun1us clcn1un1, et 1nanda1nus ut in ccteris on1nibus praetcr rescrvata per praesens dccretu1n forsitan non previsis ea 0111nia, quae in saepe laudatis Litteris Aposlolicis

sancita

sunt,

scrvcntur,

et

executioni

de1nandentur.

Salvis

facultatibus previdcndi super dubiis, et quacstionibus forsitan [578r] in aclu publicationis, vel cffectu hujus cxccutorialis Decreti orituris, de quibus, quac, et prout de jure addendo, tninucndo, et rnutando pariter Nobis deccrnere rcservan1us. 1-Iacc omnia ab iis ad quos spectat sic observari in perpctuun1, et omni futuro te1npore volu1nus, clccernin1us, et sancin1us. In quoru1n fidcn1 praescntes n1anu Nostra, ejusque qui Nobis est a Sccretis,

nostro Sigillo

111unitas

subscripsin1us. Daba1nus Neapoli ex Acdibus Nostrae Rcsidentiac in Convento Sancti Antonii

ad

Tarsia111

die 25

Octobris

MDCCCXLIV.

Coclcstinus

Maria

Archicpiscopus Patraccn Dclcgatus Aposlolicus. Saccrclos Paschalis Coclc a Secrctis. V. Coclcstinus M.a Archiepiscopus Patraccn D. A.

l. + s. Concordat cu1n Originali Sacerdos Pascha!is Coc!e a Secretis 1

1

Le due firn1e sono autograre.


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Synaxis XV /l ( 1997) 353-372

VINCENZO MOSCA O. CARM., Alberto Patriarca di Gerusalemme. Tempo, vita, opera, Edizioni Carmelitane, Roma 1996, pp. 780.

Il primo interrogativo che il lettore si pone, prendendo fra le ma111 il voluminoso studio di V. Mosca su Alberto di Gerusalemme, riguarda il genere letterario dell'opera: agiografia, storia, teologia, diritto canonico ... ? Tuttavia, inan 1nano che procede nella lettura e intuisce lo sviluppo del disegno seguito dall'Autore, ci si accorge che la domanda perde di significato perché il volume, per dare una risposta ad un'istanza teologico-istituzionale (individuare l'aspetto genetico-evolutivo del carisma dei Carmelitani), è obbligato a ricostruire un periodo storico (secoli XII-XIII) fra i più densi di avvenimenti e di problematiche per la vita della società e della Chiesa: la nascita e Io sviluppo della canonistica co1ne scienza autono1na, l'affermarsi dcl papato all'interno di un ordinamento centralizzato della Chiesa, il sorgere di movimenti laicali non sempre rispettosi delle direttive della gerarchia, le ultime vicende del regno latino di Gerusalen11ne che segnano la fine delle crociate. Si tratla di una quadro slorico abbastanza ainpio, ricostruito atlraverso esaurienti

indicazioni bibliografiche e una ricca documentazione riportata

u1

fondo al volume. Nell'invito rivolto dal Vaticano II agli ordini religiosi di rinnovarsi, interpretando e osservando lo spirito e le finalilà proprie dei fondatori (Perfectae Caritatis, 2, EV 11706), lAutore trova I' imput per l'avvio della ricerca. Un compito non facile perché comporta


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l'individuazione del momento genetico dei Carmelitani e di colui che deve essere considerato il loro fondatore. Se è pacifico che l'ordine ha avuto origine in un gruppo di latini, giunti a Gerusalemme con le crociate che decisero di dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione sul monte Carmelo, non tutti sono d'accordo sulla individuazione del loro fondatore. Per motivi contingenti, legati alle difficoltà incontrate dal nascente ordine religioso nel secolo XIII, quando dalla Palestina si trasferì in Europa, si era voluto far credere che all'origine della esperienza carmelitana ci fosse il profeta Elia. Col tempo era stato fatto notare che non era possibile identificare il modello ideale con il fondatore. Se Elia poteva essere considerato il modello ideale al quale si ispirarono i pellegrini/soldati che iniziarono la loro esperienza di preghiera e di contemplazione sul monte Carmelo, non poteva essere ritenuto il fondatore del nascente ordine religioso. Due personaggi potevano essere considerati fondatori del nuovo ordine religioso: un pellegrino, chiamato B. dalle fonti, che sembra abbia preso l'iniziativa di riunire il primo nucleo di eremiti; Alberto, il patriarca <li Ge111salen1me che diede a questi ere1niti la prin1a regola. L'Autore opta per questa seconda ipotesi e nella sua opera cerca di ricostruire la figura e l'ambiente storico in cui questo personaggio

visse e operò per individuare gli clementi costitutivi del carisma dei Carmelitani e per tracciare il processo genetico evolutivo nel quale esso prese forma. La personalità di Alberto di Gerusalemme è molto complessa, essendosi forn1ata attraverso esperienze varie, vissute in diversi contesti sociali ed ecclesiali. Alberto Avogadro nacque nel 1150 a "Castrum Gualtieri" in Emilia; dopo aver compiuto gli studi a Parma, scelse la via del sacerdozio nella "vita comune e perfetta" del priorato di S. Michele a Porta Nuova della stessa città, una istituzione appartenente ai

Canonici regolari di S. Croce di Mortara. L'origine, l'ordinan1ento e la spiritualità dei canonici regolari sono noti. Il tern1ine "canonico" non va inteso nel significato attuale

di membro di un capitolo, ma in quello etimologico di "osservante di una regola)); pertanto i due tennini "canonico" e "regolare" s1 equivalgono e indicano una comunità di chierici che ha scelto un


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modello di vita religiosa. Mentre inizialmente i laici cercavano questo modello di vita nei monasteri, i chierici lo realizzarono nelle cattedrali con il vescovo o in altre chiese. Si trattava di un ideale religioso da vivere in armonia con il nlinistero pastorale o con gli uffici assegnati

dal vescovo. Alla primitiva regola, ispirata al modello agostiniano, che permetteva ai canonici regolari il possesso dei beni, al tempo della riforma gregoriana se ne sostituì una più rigorosa che avvicinò il

modello dei canonici a quello dei monaci. Poiché la città di Mortara sorgeva sulla "via francesca", quella cioè che percorrevano i pellegrini che andavano a Roma venendo dalla Francia o quelli che dall'Italia erano diretti a Compostela, i Canonici regolari di Mortara, fra le finalità proprie avevano quello di offrire ospitalità

e

assistenza

ai

pellegrini.

Nella

spiritualità

e

nell'ordinamento di questi canonici influirono non poco i grandi movimenti laicali dei secoli Xl-XII, che furono fra i protagonisti dei più consistenti tentativi di riforma, a partire dall'ideale evangelico (prima i patari, poi i valdesi, gli umiliati ... ). Alberto, dopo avere svolto l'ufficio di priore a Mortara, nel 1184 fu eletto vescovo di Bobbio, per essere trasferito l'anno successivo alla sede di Vercelli. Governò questa diocesi fino al 1205, anno in cui fu noininato patriarca di Gerusalen11ne.

Come vescovo e conte di Vercelli, Alberto si trovò al centro dei conflitti fra il papato e l'in1pcro; nut riuscì a guadagnarsi la stima sia

degli imperatori Federico I ed Enrico VI, sia dei papi Urbano III, Clemente III, Celestino III e Innocenzo III che Io ebbe fra i propri consiglieri e gli affidò incarichi di fiducia. Fra le molteplici attività svolte da Alberto, lAutore ne approfondisce due in particolare: la riforma degli statuti dei canonici di Biella (1194) e la consulenza data al papa Innocenzo III per definire l'ordinamento degli umiliati (1201), dopo la riconciliazione di questo movimento con la Chiesa; attività nelle quali dimostrò la sua abilità di legislatore, preludio alla vitae jòrmula che redigerà per il nascente ordine can11elitano co111c patriarca di Gerusalemine e legato papale. Forte delle esperienze che avevano segnato la sua vita di

religioso, di Vescovo e di abile uomo di governo, Alberto, eletto


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patriarca di Gerusalemme in uno dci momenti più difficili per le istituzioni fondate dai crociati, si trovò a dare ordinamento ad un folto nucleo di pellegrini/soldati che avevano deposto le armi per dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione sul monte Carmelo. Anche se non spetta a lui l'iniziativa di suscitare in queste persone il desiderio di consacrarsi a Dio nella contemplazione e nella penitenza, fu suo precipuo compito di discernere questo carisma e di disciplinarlo per renderlo operativo nella vitae formula da lui dettata. Nel documento - che l'Autore analizza in modo approfondito e puntuale - non è difficile riscontrare le molteplici istanze, sostenute in quegli an111 dai promotori della riforma della Chiesa: vivere l'esperienza dei profeti e di Gesù Cristo negli stessi luoghi nei quali avevano svolto la loro 1nissione, attuare l'ideale di una vita vere apostolica, capace di coniugare le esigenze della vita 1nonastica (silenzio, penitenza, preghiera, vita fraterna) e le attese di una società in 111ovì1nento (evangelizzazione, testin1onianza cristiana, n1inistero dell'accoglienza e della carità). Il nuovo ordine religioso, nei decenni successivi, fu chia1nato a superare non poche difficoltà derivanti dalle mutate condizioni sociali ed ecclesiali: la fine del regno latino di Gerusalemme obbligò i frati a lasciare definitiva1nente la Palestina per emigrare nelle regioni vicine e nell'Europa; con la proibizione del Concilio Lateranense IV (I 2 I 5) di fondare ordini religiosi con nuove regole, i Carmelitani prima furono costretti a lottare per la sopravvivenza, poi a difendere la propria identità. Fra le prime regioni nelle quali i Carmelitani si insediarono e si diffusero, dopo il forzato abbandono della Palestina, c'è la Sicilia, che nell'ullin10 decennio del secolo XI era stata riportata dai nonnanni alla fede cristiana e alla cultura occidentale. La seconda evangelizzazione della Sicilia si ebbe di fatto con l'azione congiunta degli ordini 1ncndicanti, fra i quali furono annoverati anche i Carn1clitani. Il loro apporto è stato notevole, se si pensa ai nu1nerosi conventi e chiese da loro fondati e alla preminenza che ha la devozione alla Madonna dcl Cannelo nella religiosità popolare siciliana.


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Lo studio di V. Mosca, nella misura in cui ci permette di individuare il carisma specifico dei Carmelitani e di ricostruire il suo momento genetico, ci può anche aiutare a comprendere l'apporto dato da quest'ordine religioso alla formazione della identità cristiana del popolo siciliano. Adolfo Longhitano

HÀRLE WILFR!ED, Dogmatik, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1995, pp. 719. Il docente di dogmatica della facoltà teologica evangelica di Marburgo ci presenta un manuale della sua materia. Presupponendo il percorso della teologia biblica e la conoscenza dell'evoluzione storica del pensiero cristiano, l'Autore si sforza di fornire una visione con1plessiva della fede cristiana. Tre ne sono le intenzioni fondamentali. Anzitutto si vogliono chiarire in modo accurato i concetti utilizzati. In secondo luogo si vuole illustrare quella tradizione biblica ed ecclesiastica da cui le nozioni principali della teologia sono sorte e si sono sviluppate. Sotto questo aspetto è evidente il primato attribuilo al pensiero luterano e agli sci 1tt1 confessionali del luteranesimo tedesco. Un terzo aspetto caratteristico è costituito dal tentativo di esporre la fede cristiana nell'odierno contesto culturale. Ed anche qui prevale una prospettiva germanica. La trattazione è suddivisa in quindici temi strettamente connessi. La parte introdulliva vuole spiegare natura e compiti della dogmatica di fronte ad una moderna concezione della scienza come sistema intellettuale coerente, metodicamente riflesso e cosciente della propria relatività. La pri1na parte è dedicata alla nozione di fede, alla rivelazione in Gesù Cristo come norma della fede, al mondo contemporaneo come contesto culturale della fede vissuta attualmente. Tale connotazione dell'atteggiamento cristiano più caratteristico deve accettare la fedeltà alle sue origini e alla sua evoluzione confessionale in una cultura che accentua la soggetlività e storicità dell'esperienza, ed è caratterizzata


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dal benessere economico, dall'ansia e dal desiderio di una vita compiuta. La seconda parte sviluppa la comprensione della realtà caratteristica della fede cristiana. Dopo aver individuato il rapporto tra Dio e il mondo, si espongono l'essere di Dio, la sua co1nunicazione 1n Cristo, la presenza ad opera dello Spirito. Le questioni relative al divino si compendiano nella teologia trinitaria. Se si considera poi la nozione del mondano, ne risultano i temi ulteriori della dogmatica: creazione, colpa, redenzione, con1pimento. I quindici temi fondamentali, in cui è facile riconoscere i trattati della più tradizionale teologia degli ultimi secoli, sono svolti secondo una serie interconnessa di prospettive. Le affermazioni più generali sono sviluppate in molti aspetti secondari e questi vengono ricondotti alle idee più sintetiche. Con questo procedimento, che ricorda molto varie forme della scolastica, l'Autore riesce ad articolare il dogma secondo molteplici prospettive. La ricchezza del dato biblico, le tensioni interne alla vita ecclesiastica, il confronto con l'esperienza u1nana di oggi costringono ad un continuo lavoro di analisi e di correlazione. L'idea base è fornita dalla Scrittura neotesta1nentaria: l'amore creativo, redentivo e consumatore di Dio. Il dogma nelle sue articolazioni interne, nella sua evoluzione storica e nella contingenza culturale odierna deve saper esprimere fedelmente e in modo nuovo l'antica dottrina dell'evangelo della grazia verso i peccatori. La scienza dei dogmi eviterà così di assolutizzare prospettive troppo marginali e storica1nente condizionate. E' molto interessante seguire ad esempio il percorso del l'Autore nelle questioni che per secoli hanno sembrato opporre le chiese cristiane d'occidente: il rapporto fede-opere, la predestinazione, i sacra1nenti, il sacerdozio universale e i 1ninistcri ordinati, la relazione chiesa-stato. Antiche contrapposizioni possono facihnente cadere, 1nentre si n1ostrano problemi essenziali e co1nuni a tutte le chiese. L'opera, nata da1l'insegnan1ento e rivolta ad insegnanti e studenti, presenta un percorso insien1e 1nolto articolato ed unitario. Si presta così ad una continua consultazione per ten1i e prospettive, fornendo punti di rifcri1nento molto circostanziati. Richian1a insien1e


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ad un continuo lavoro di appropriazione personale e di sviluppo ulteriore.

Roberto Osculati

JOHN ADNEY EMERTON (ed.), Congress Volume. Paris I 992 (Supplements to Vetus Testamentum LXI), E. J. Brill, Leiden - New York - Koln 1995, pp. VIII+357. Gli alti del XIV Congresso del!' /ntematimwl Organization for the Study of the Old Testament, che si era tenuto presso l'Università della Sorbona a Parigi, sono stati pubblicati con un certo ritardo soltanto nel 1995, come al solito dall'editore E. J. Brill di Leida (Olanda). Trattandosi di un'opera collettiva che affronta tanti temi tra loro diversi, è opportuno riferirne in nianiera sintetica i contenuti, ordinandoli secondo i loro orientamenti metodologici fondamentali. Nella relazione inaugurale il presidente A. Caquot (Parigi: Une co11tributio11 ougaritique à la préhistoire du titre divin Shadday, 1-12) ha privilegiato l'approccio comparativo, volendo onorare così la tradizione francese degli studi ugaritici. I testi ugaritici docun1entano un politeisn10, irnperniato sul contrasto e sulla co1nple1nentarietà di El e Baal, che era diffuso durante l'età del Bronzo nell'ambiente siropalestinesc. La Bibbia presenta invece un enoteismo nel quale un unico Dio assun1e i caratteri delle diverse divinilà precedenti. Una

tavoletta scoperta nel 1992 parla di una divinità Si già conosciuta da altri testi, che può mettersi in rapporto con il titolo divino Sidday del!' AT, applicato a Jahvè, e con gli sedim di cui si parla in Dt 32, 17 e Sai 106,37. L'indirizzo comparativo, che privilegia lo studio delle fonti extrabibliche, caratterizza altre sette delle complessive venti relazioni del congresso. J. J. Collins (Chicago: 171e origin of evi! in apocalyptic literature and the Dead Sea Scrol/s, pp. 25-38) precisa che l'apocalittica attestata a Qu111ran non può ridursi ad un genere letterario, ma neppure ad una sola corrente di pensiero. Per quanto


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riguarda l'origine del male, accanto alla concezione che lo fa derivare da forze sovrumane (Libro dei Vigilanti), si ha pure una visione di tipo dualistico derivata dall'ambiente persiano. Ancora diverso è il tipo di apocalittica presupposto in IV Esdra e II Baruch. P.-E. Dion (Toronto: Les Ara111ée11 du Moyen-Euphrate rw VIIJ" siècle à la lumière des inscriptions des maitres de Suhu et Mari, pp. 53-73) riferisce di alcune iscrizioni scoperte dagli archeologi iracheni nell'isola di 'Ana e a Seir Jar'a nel 1978-79 e pubblicate nel 1990. Risalenti al re Shamash-reshusur e a suo figlio Ninurta-Kudurri-usur (sec. VIII a. C.), possono presentare qualche contatto con le tradizioni patriarcali, con il ciclo di Balaam e con la figura di Bildad, uno degli amici di Giobbe. C. H. J. de Geus (Groningen: The city of 1vo1ne11: 1von1e11 's places in ancient Israelite cities, pp. 75-86) presenta il tentativo di reperire una evidenza archeologica nella planimetria delle abitazioni privale che possa riflettere una particolare attenzione alle esigenze della donna, in corrispondenza con il suo ruolo sociale. Secondo O. Keel (Fribourg, Suisse: Conce11tio11s religieuses tlo111ù1antes en Palestine/lsrai.!l entre 1750 et 900, pp. 119-135), utilizzando un abbondante materiale iconografico per buona parte ancora inedito, si può ripercorrere l'evoluzione del sistema simbolico religioso in Palestina dal 1750 al 900 e rilevare come le concezioni cananee, influenzate in parte da quelle egiziane, siano state recepite e purificate da Israele. Queste n1ostrano prin1a delle divinità con forti connotazioni sessuali, che poi cedono il posto ad una accentuazione del carattere guerriero, rispecchiando in ciò la generale trasformazione del sistema politico del paese. A. R. Millard (Liverpool: Back to the iron ber/: Og 's or Procrustes'?, pp. 193-203) sostiene che i carri di ferro (Gs 17,16.18; Gdc 1,19; 4,3.13), i coltelli di selce (Gs 5,2-3; cfr. Es 5,25) e il "mantello di Sennaar (=Babilonia) (Gs 7,21) appartengono storicamente al Tardo Bronzo, cioè alla stessa epoca a cui vengono attribuiti in questi testi biblici; questi contengono perciò delle informazioni storiche degne di fede . .I. C. de Moor (Kampen: Ugarit and Israelite origins, pp. 205-238) ipotizza che i Proto-israeliti devono essere stati degli abitanti della Transgiordania settentrionale "passati" (da qui si spiegherebbe l'etimologia di "ebrei", dalla


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radice 'br) nella Cisgiordania, dove hanno fondato nel sec. Xli dei piccoli villaggi agricoli tra le città-stato cananee. Qui essi avrebbero adottato il culto di El, il dio supremo dei cananei, che ha spodestato Baal prendendone in possesso la montagna sacra di Zaphon (=Bashan). A El si sostituirà Jahvè. Un riflesso di questo passaggio lo si avrebbe in Sai 68,2-25. Per E. Otto (Mainz: Rechtsreformen in Deutero110111hun xii-xxvi unti ùn Mittelassyrischen Kollex ller 1'afel J\ (KAB I), pp. 239-273) il codice deuteronomico (Dt 12-26) reinterpreta le prescrizioni del precedente Codice dell'alleanza (Es 20,22-23, 13), aggiornandolo - rignardo alle feste, al diritto e ali' ordinamento giudiziario a partire dalla legge della centralizzazione del culto. Ma in esso si ha pure l'influsso del Codice medio-assiro KA V I 00 (mass. K. A.), del quale l'Autore offre la traslitterazione e la traduzione. Passando ai testi biblici considerati in se stessi, si può distinguere

l'indirizzo storico-letterario, quello narratologico, quello storicodottrinale e quello più direttamente teologico. Per lapproccio storicoletterario, che include anche quello redazionale, si può co1ninciare con

J. Jcrcmias (Marburg: Die !lnftinge des Dodekapropheton: Hosea wul Amos, pp. 87-106) che tratta dei primi due profeti classici. Sebbene conte1nporanei, Amos ed Osea erano molto diversi; ma i tradenti, da cui ha avuto inizio la raccota dei dodici profeti minori, li hanno messo tra loro in relazione, già nel tempo che intercorre tra la caduta di Samaria (722 a. C.) e quella di Gerusalemme (587 a. C.). Dall'esame di Os 4,15; 8,14; Am 3,2; 8,9(10-17) si evidenzia che sono maggiori gli influssi di Osea, posto all'inizio della raccolta, sul libro di Amos che non viceversa. Z. Kallai (Jerusalem: The explicit and implicit in bihlical narrative, pp. 107-117), partendo dal sommario di Nm 33, sostiene che l'omissione di notizie particolari già note da altri passi biblici non significa che esse fossero ignorate dal!' Autore, ma se1nplicen1ente che non erano ritenute importanti per il nuovo contesto. Non si tratta di ignoranza, tna di una diversa intenzione del

redattore più recente. Questo principio si applica pure a Dt 1-3; Gs 112; 24, e a tutta l'opera del Cronista. C. Levin (Giittingen: Das System der zwolf Sttim.me Jsrae/s, pp. 163-178) sostiene che, mentre per M.


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Noth il sistema delle 12 tribù costituiva il caposaldo dell'ordinamento prestatale d'Israele, superato con l'istituzione della monarchia, esso è invece da considerare molto recente; si è formato nel tardo periodo postesilico, quando si aveva bisogno di questo schema per inquadrare idealmente il popolo di Dio. Esso è addirittura posteriore al Documento sacerdotale (P). P. Sacchi (Torino: Le Pentateuque, le Deutéronome et Spinoza, pp. 275-288) richiama l'attenzione sul fatto che se si tien più conto di quanto non si è fatto finora negli studi biblici, della nozione di "autore" suggerita dagli studi filologici, allora occorre attribuire allo stesso ideatore tutta la vasta opera che abbraccia insieme il Pentateuco e il complesso di Giosuè-Re. Essa, con esclusione del Deuteronomio, presenta una unità di concezione, ed ha avuto origine durante l'esilio. Con ciò non sr pregiudica l'utilizzazione di diverse fonti precedenti, ma si vuol sottolineare una diversa impostazione del problema dell'origine del Pentateuco, partendo dall'opera finale per la quale soltanto si può parlare di un vero "autore", che non sia un semplice redattore. Secondo J. Trebolle (Madrid: Histoire du texte des !ivres historiques et histoire de la co1n1Josition et {le la ré(faction deutéro11on1istes avec une publication prélùnùwire de 4Q48/a, "Apoc1yphe d'Élisée, pp. 327-342) certe differenze che si trovano tra la Settanta e il Testo Masoretico fanno pensare che il secondo ha apportato delle innovazioni rispetto al più antico testo ebraico presupposto nella traduzione greca dei Settanta. Questa valutazione guida T. nella pubblicazione preliminare dei frammenti ebraici del cosiddetto "Apocrifo di Eliseo" scoperto a Qumran (4Q481A), che corrisponde in qualche modo a 2Re 2,[ .. ]14J 6, ma in una fonna diversa del TM e rispetto ad esso più antica. Per H. G. M. Williamson (Oxford: lsaiah xi l l-16 ami the redaction o.f lsaiah i-xii, pp. 343-357) sembra che la redazione di Is 1-12 vi abbia voluto distinguere due sezioni antitetiche: la 1ninaccia nei cc. 2-5 (con eccezione di 4,2-6, che è più recente) e la promessa (cc. 6-12). In questa ipotesi si spiega che 11, I 1-12 è stato formulato in modo che si ottenesse il capovolgimento delle immagini di giudizio che si trovano in 5,25-26, e che d'altra parte 5,25-29 sia stato spostato qui dal suo posto originario che doveva trovarsi tra 9,7 e I 0,4.


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Due relazioni privilegiano l'approccio narratologico a1 testi biblici. Secondo 1. Briend (Paris: Du message au messager. Remarques sur I Rais xiii, pp. 13-24) la logica soggiacente al "racconto profetico" (quindi non leggenda, né parabola) di !Re 13 suggerisce che lo scopo della narrazione non è quello di mostrare se l'uomo di Dio è o no un vero profeta, ma di far vedere come l'oracolo dato all'inizio si realizzerà nonostante tutti gli ostacoli incontrati. J. L. Ska (Rame: Qualques exemples de sommaires proleptiques dans !es récits bibliques, pp. 315-326) si sofferma sul "sommario prolettico", consistente in una formula concisa che anticipa cd introduce la narrazione seguente. Caratteristico di tanti racconti biblici, lo si segnala in particolare in Gn 3,5 e in Rt 1,6; 2,3; 3,6. Due interventi di genere diverso si possono ricordare insieme, in quanto accomunati dall'approccio storico-dottrinale. A. A. Di Lella (Washington: Women in the Wisdom of Ben Sira and the Boole of" Judith: a sftf{ly in contrasts anll reversals, pp. 39-52) rileva come a fronte di una tendenza misogina del Siracide, che però si giustifica nella 1nenlalità do1ninante del suo te1npo, si può rilevare invece un grande apprezzamento per il ruolo pubblico e nazionale della donna nel libro di Giuditta. J. Loza (Jérusalem: Genèse xviii-xix: présence ou représentation tle Yahvé? Essai sur la critique littéraire et la signification du récit, pp. 179-192) distingue, nella concezione soggiacente a Gen 18-19, due diversi livelli: nell'aparizione dei "tre" ad Abramo inizialrnente si vedeva una rappresentazione corporativa dello stesso Jahvè, ma in un secondo 1nomento Jahvè è stato identificato con uno di loro, in modo che soltanto "due" compissero poi la distruzione di Sodoma. Solo due relazioni hanno avuto un interesse più direttamente teologico. Secondo S. Kreuzer (Wuppertal: Die Verbindung van Gottesherrsca(i und Konigtum Gol/es in Alten Testamenl, 145-161) due concetti della "signoria" e della "regalità" di Dio nell' AT devono essere in origine distinti, poiché il prin10 è usato in relazione ad un gruppo umano, mentre il secondo presuppone un pantheon ed esalta le prerogative del dio supremo nella creazione e nella natura. I due epiteti divini che vi corrispondono sono rispetlivan1ente adon e


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melek. Questo secondo titolo che era atrribuito a Jahvè nel culto gerosolimitano è stato per primo riferito alla sua regalità su Israele solo a partire da Isaia. Ma la vera fusione delle due prospettive si è compiuta nel dopoesilio, quando non c'era più la monarchia. W. H. Schmidt (Bonn: Erwiigungen zur Geschichte der Ausschliej3/ichkeit des a/ttestame11tliche11 G/aubens, pp. 289-314) nota come l'esclusività (dalla monolatria al monoteismo) con cui si propone la fede in Jahvè nell' AT si riflette in tanti testi di vario genere che si possono scaglionare in questo modo: I. tempo dell'esilio (P: Gn I; DeuteroIsaia: Is 43,10; 44,6, ecc.; Opera storica deuteronomistica: !Re 8,60; Dt 6,4s); 2. profeti classici (Ger 2, 13; Is 2, 17; Os 13,4; Am 2, I; 9, I ss, ecc.) e preci assi ci (I Re 18); 3. legislazione (Es 22, 19; 20,3; Dt 5,7); 4. testi narrativi (Gen 20,3.6s; 2,Sss; 6,7; 8,22; 16,l lss; 29,31s, ecc; Es 3, 14s; 19; 24). Una volta posto, questo principio teologico costituisce un impulso continuo a confrontarsi con le altre religioni, accogliendo da esse diversi influssi 1na senza confondersi con esse.

Ci auguriamo che questa sintesi del ricco volume, riproponendo i contenuti di quello che è il più importante appuntamento triennale degli studi veleroteslamentari, offra anche ai non addetti ai lavori

l'opportunità di cogliere gli orientamenti attualmente dominanti in questo campo. Antonino Minissale

PHILIPPE REYMOND, Dizionario di Ebraico e Aramaico biblici, Edizione italiana a cura di I.A. Soggin (coordinatore), F. Bianchi, M. Cimosa, G. Dciana, D. Garrone, A. Spreafico, Società Biblica Britannica & Forestiera, Roma 1995, pp. 497. L'attuale fioritura dello studio dell'ebraico biblico in Italia riceve certan1ente un nuovo i1npulso dalla traduzione, riveduta e

aggiornata, di questo Dizionario, pubblicato originalmente in francese nel 1991, congiuntamente dall'Editrice "du Cerf" (cattolica) e dalla "Société Biblique Française" (protestante) di Parigi. L'Autore,


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docente di Lingua ebraica all'Università di Ginevra, ha lavorato a partire dal 1970 al grande Hebriiisches und Aramiiisches Lexicon zum Alten Testament, diretto da L. Kiihler (Univ. di Zurigo) e W. Baumgartner (Univ. di Basilea), e pubblicato in quattro grossi fascicoli di complessive 1569 pagine negli anni 1967, 1974, 1983 e 1990, presso l'editore J. Brill di Leida (sigla: HAL). Di quest'opera tedesca, che rappresenta per il momento lo strumento più autorevole della lessicografia ebraica, è in corso di pubblicazione la traduzione in inglese, mentre è già uscito il V volu1ne dedicato alle parti in aran1aico dell' AT. L'ebraico non è una lingua difficile, cd è un peccato che per tanto te1npo ne sia slato trascurato l'insegna1nento nelle Facoltà teologiche e nei seminari. L'insistenza dcl Concilio Vaticano II sulla centralità della Scriltura nella vita della Chiesa comincia a far sentire i suoi effetti anche nella riscoperta dell'importanza delle lingue bibliche, tra le quali, dopo tutto, era più sacrificato l'ebraico, dal n101nento che per il greco c'era ahneno lo studio che se ne faceva nei licei oltre che nelle Facoltà di lettere. In realtà, solo lo studio della Bibbia nell'originale consente di cogliere le tante sfumature di concetti e di sentimenti racchiuse nel testo, che costituiscono una miniera inesauribile di scoperte e di approfondimento del suo 1nessaggio; esse non potranno rnai travasarsi del tutto in una traduzione dall'ebraico, fosse anche la più accurata. Anche i grandi dizionari non possono risolvere tutte le difficoltà interpretative dell'originale, e perciò tante volte, oltre a presentare una loro scelta, informano sulle varie proposte di interpretazione e di traduzione di un termine o di un'espressione. Ma nel nostro caso, trattandosi di un "piccolo" dizionario, si vuole offrire soltanto un prin10 orienta1nento per la traduzione, mentre per una n1aggiorc delucidazione l'Autore è spesso costretto a rin1andare sia ai con1111entari e sia allo stesso HAL. Questo Dizionario si divide in due parti, di cui la prima (pp. 2 I 458) è dedicata all'ebraico e la seconda (459-496) all'aramaico, cd elenca complessivamente 9911 lemmi, 9179 per l'ebraico e 732 per l'ara1naico. Una buona parte di queste cifre riguarda i non1i propri, che però qui non vengono tradotti, 1na sono acco1npagnati soltanto da


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una sigla: n(ome) (di) d(ivinità), fiu(me), l(ocalità), mont(e), pop(olo), pr(oprio), reg(ione), terr(itorio), tr(ibù). Se si prescinde da questi nomi propri, che qui raggiungono il numero di ben 2249 lemmi, la cifra precedente di 9911 si riduce a quella di 7462 vocaboli. In questa cifra sono pure inclusi i nu1nerosi casi di vocaboli on1onimi, cioè di radici simili (con le stesse consonanti) ma dal significato tanto diverso da far pensare che si tratti a!P origine di radici diverse. Questa omoni111ia è segnalata nel Dizionario aggiungendo alla sinistra del lemma il numero romano I, Il (662 casi), lii (104 casi), IV (24 casi). Si hanno inoltre casi con cinque (4 volte) e con sei (I volta) forme omonime. Il caso più eclatante è harus (1 oro, Il fosso/o, lii slitta per trebbiare, IV? mutilazione, V decisione, VI zelante, VII n. pr. m.). Come si può notare, la traduzione di ogni vocabolo è data di regola in corsivo, quando si ritiene di offrirne una equivalenza letterale, anche se variata a seconda dci diversi contesti; negli altri casi essa è indicata con i caratteri norn1ali, co1nc per far capire che si tratta di un significato indicato approssin1ativamente, per derivazione da quello che sembra il senso

più proprio del termine in questione. Per dare l'idea del metodo adottato nel noslro Dizionario, poss1a1no fare alcuni esempi, scegliendo proprio dei vocaboli molto comuni, che - considerata la limitatezza quantitativa del lessico ebraico sopra rilevata s1 caratlerizzano per una loro particolare polisemia. Il termine nefes che, secondo il computo della Concordanza di Even Shoshan, ricorre nell'AT 753 volte è trattato nel Dizionario seguendo questo schema: "!. gola; 2. collo; 3. soffio; 4. la persona, gli uoniini, qualcuno; 5. persona, jJersonalità, l'io; 6. vita; 7. a11in1a; 8. un morto, un de.fi111to" (p. 277). In questo caso, l'ordine dei significali, per ciascuno dei quali si ha l'aggiunta di qualche riferimento biblico, parte dal concetto più concreto per passare poi a quelli che ne sono i concetti più "astratti" derivati dal primo, secondo quello che si può presumere sia stata la logica stessa dell'antico pensiero ebraico. Una parola molto nota è 58/om (237 volte), per la quale di solito si dà come primo significato quello cli "pace"; ebbene, nel Dizionario questo significato viene soltanto al 4° posto secondo quest'ordine: I. prosperità; 2. benessere, sano e salvo; 3. forn1a di


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saluto; 4. pace; 5. benevolenza; 6. felicità (p. 429). Un altro termine polivalente e molto emblematico è dabar (1442 volte); esso è trattato così: I. parola ... Il senso del termine deve spesso essere reso in italiano a partire dal suo contesto: discorso, ordine, notizia, relazione, consiglio, promessa, lode, detto, comandamenti, parola di Dio; 2. affare ... ="caso" = avvenin1ento; 3. cosa; 4. in.odo (di agire); 4. causa, ragione" (p. 101 ). Si comprende bene come la scelta tra i diversi significati del sostantivo dipende ogni volta dal contesto, per cui esso, qualora sia accompagnato da un aggettivo, ne determina di riflesso anche la traduzione. Scegliamo a caso, sempre a proposito di dabar, il passo di Qo 1,8. Qui, se il sostantivo al plurale si traduce prima con "(tutte le) cose", l'aggettivo che segue yege'im si deve tradurre con "stancanti", 1nentre la TOB (tous /es 1110/s sunt usés) a cui pare che si riferisca nell'originale francese Reymond intende il primo termine co1ne "parola" e non "cosa'', ed allora l'aggettivo è tradotto con "logoro" (nell'ediz. orig. usé). Ma tenendo conto della complessità del pensiero di Qohelet che si espri1ne in una lingua scarna che forza a volte le diverse sfumature dei vocaboli usati, sembra preferibile il senso proposto di "tutte le cose" che, nel loro moto continuo cli cui si parla nel cap. I, restano inafferrabili per l'uo1no, e perciò sono "stancanti" per colui che volesse andare loro dietro, con l'occhio o con l'orecchio. Questa interpretazione è più in linea con il pri1no significalo che lo stesso Dizionario dà per l'aggettivo in questione (slanco). Naturalmente, sono molti i casi in cui la traduzione offerta viene data come dubbia (?), e ciò capita in particolare per i cosiddetti "real ia". Basti lesempio di due piante nominate insieme in Is 41, 19: lidhar è così "spiegato" (non tradotto): "specie di albero non ben determinata: ?olmo" (p. 447), mentre per il concomitante te'assur si dice: "specie di albero non ben determinata: ?cedro, ?pino, ?cipresso" (p. 446). La lessicografia ebraica una volta si basava soprattutto sulle antiche versioni greca e latina della Bibbia, che dipendevano entran1be dalla tradizione interpretativa giudaica, ma a partire dal secolo scorso si è imposto lo studio comparalo delle lingue semitiche, per cui si è fatto sempre di più ricorso alle scoperte dei testi accadici prima ed


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ugaritici dopo (dal 1928), senza trascurare il riferimento all'arabo parlato e letterario, all'aramaico, al siriaco e all'etiopico. Proprio l'inclusione di queste altre etimologie costituisce la caratteristica dei grandi vocabolari ebraici, che qui non viene fatta. Ma laltro grande vocabolario ebraico che è in cantiere sta nascendo in Inghilterra: DAVID J. A. CLINES,

The Dictionary of Classica! Hebrew. Voi. I: Aleph,

Sheffield Academic Press, Sheffield 1993, pp. 475 (850 lemmi, compresi i nomi propri, per la sola prima lettera dell'alfabeto ebraico); esso, oltre ad includere i materiali ebraici extrabiblici fino al 200 d.C., tiene conto della metodologia suggerita dai moderni sviluppi della sen1antica e della linguistica. Tornando al Rey1nond, possian10 dire in

conclusione che, per gli studenti che sono agli inizi e che sentono il gusto e la curiosità di "rifarsi" da sé la traduzione di un passo biblico, queslo Dizionario offre un buon servizio, anche perché riporta ainpia1nente le diverse fonne grammaticali dei sostantivi e dei verbi,

che di solito presentano le maggiori difficoltà "scolastiche" per una prima traduzione fresca e letterale dei testi. Antonino Minissale

JUTTA HAUSMANN, Studien zum Menschenbi/d der àlterrn Weisheit (Spr IOft), (Forschungen zum Alten Testament 7), J. C. Mohr (Paul

Siebeck), Tiibingen 1995, pp. 415.

In questo denso volume l'Autrice, docente dal 1994 ali' Accademia teologica luterana di Budapest, presenta il testo della tesi di

abilitazione

preparata

alla "Augustana

Hochschule"

di

Neuendcttclsau sotto la guida di H. D. PreuB. Si tratta di una accurata

analisi esegetica di tutto il libro dei Proverbi con l'esclusione dei cc. 1-9, che costituiscono la più recente delle collezioni in esso riunite, la

quale non si presenta on1ogenea con i rin1ancnti cc. 10-31: solo questi

in realtà rappresentano la tradizione sapienziale più antica e più caratteristica di tutto l'Antico Testan1ento. Il tenia-base di questa tradizione è qu1 giustan1ente identificato generican1ente con


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"l'immagine dell'uomo" che viene presupposta nei diversi proverbi, i quali per definizione non la presentano in una trattazione sisten1atica, ma fra1nmentaria e occasionale, che però possiede una certa coerenza

interna. Sarà per questo motivo che nel titolo si usa il plurale "Studi"; ma una certa omogeinità tematica c'è sicura1nente, ed essa viene ben

messa in evidenza dallo schema molto articolato che si segue nel volume. Questo infatti si divide in quattro parti complementari ed esaustive, che costituiscono una griglia molto appropriata al complesso contenuto dei Proverbi: I) Grnppi di persone considerale come figure tipiche: il saggio e lo stolto, il giusto e lempio, il diligente e il pigro, il ricco e il povero (pp. 9-104); II) Gruppi di persone con ruoli diversi: padre-madre-figlio, l'amico/il prossimo, il re, il ruolo della donna come moglie o come prostituta (pp. 105-167); Ili) Le diverse situazioni di vita: l'educazione, il cuore come simbolo di comprens10ne, emozione e responsabilità, la lingua, l'esperienza del dolore, l'uomo cattivo/il male, il legame del singolo con la comunità, Ia connessione tra l'azione e la sua conseguenza, futuro e speranza (il

rapporto con il tempo), l'uomo e la sua relazione con Dio (pp. 168279); IV) Gli ideali di vita del saggio: sapienza e giustizia, dominio dei senti1nenti e del con1porta1nento, la vita in contrasto con Ia lnorte, la

gioia, il benessere (pp. 280-346). La V parte, più breve delle precedenti, sintetizza gli elementi antropologici rilevati nel corso del lavoro e cerca di situarli nel contesto generale dell'AT (pp. 347-374). Il volume si chiude con la bibliografia che viene riunita in un'unico elenco alfabetico (pp. 375-392), con l'indice biblico (pp. 393-406), con quelli degli Autori citati (pp. 407-411) e degli argomenti (pp. 412-415). Forse sarebbe stato opportuno aggiungere un elenco dei più in1portanti tern1ini ebraici esaminati nel corso del lavoro, che

costituiscono di fatto il lessico sapienziale più caratteristico. Lo stile della trattazione è piano e ben articolato; alla fine di ogni paragrafo si aggiunge una specie di bilancio dc11e osservazioni

fatte, intitolato "Conseguenze", mentre ognuna delle quattro parti si chiude con un utile "Riepilogo". Ogni paragrafo inizia presentando in traduzione i proverbi più attinenti all'argon1ento di volta in volla trattato, offrendone una esegesi essenziale, nella quale si citano anche


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le posizioni presentate nei diversi commentari (in particolare Alonzo Schiikel/Vilchez Lindez, Barucq, Delitzsch, Gemser, Hamp, McKane, A. Meinhold, Oesterly, Pliiger, Rinngren, Scott, Strack, Toy, van der Weiden, Whybray, Wildeboer), e nelle più importanti monografie sui libri sapienziali in genere (per es. Bostriirn, Crenshaw, Delkurt, Gamrnie - Perdue, Gaspar, Gese, Hermisson, Lux, Murphy, Nel, Preufl, von Rad, D. Riimheld, Schrnid, Skladny, Westermann) o su alcuni temi particolari. Speciale attenzione è data ai paralleli extrabiblici, più a quelli egiziani (con frequenti rimandi agli egittologi .I. Assmann, Brunner, Brunner-Traut, Erman, Hornung, Lichtheim, Morenz), che non a quelli mesopotamici (con rimando alle opere di Alster, van Dijk, Gordon, Lambert); ma si fa pure riferimento ad Ugarit (Loretz) e ai proverbi della tribù africana dei Mossi (Naré). Per una valutazione più specifica della tendenza interpretativa dell'Autrice occorre richiamare prima i termini del dibattito che si è sviluppato negli studi veterotestamentari a proposito della letteratura sapienziale. Questa è stata considerata a volte co1ne un corpo estraneo alPinterno

dell' AT,

in

quanto

non

segue

l'in1postazione

più

caratteristica della fede dell'antico Israele, che sarebbe meglio rappresentata soltanto nelle tradizioni storiche e in quelle profetiche. In queste sta in primo piano Israele in quanto popolo, che fruisce di un particolare rapporto con Dio che l'ha

elello e

l'ha

salvato,

impegnandolo quindi nella fedeltà alla legge. Invece nel pensiero sapienziale si n1ette in pri1no piano l'individuo, considerato con1e responsabile dcl suo destino in base alle sue azioni che producono da se stesse gli effetti correspondenti e adeguati, nel bene e nel male, per una specie di connessione nascosta - ed iinmanente - che esiste tra l'azione umana e le sue conseguenze (il cosidetlo J"'un-ErgehenZ11sa1111nenha11g). Quest'ultimo punto è stato consideralo l'ele111ento più discri1ninante del pensiero sapienziale rispelto a quello profetico, che invece souolinea in inaniera più esplicita e più diretta l'intervento

libero cli Dio nella salvezza e nel giudizio. Ma la minore dipendenza del pensiero sapienziale da un esplicito riferimento al Dio dei profeti ha portato

spesso una certa tradizione

esegetica a sottovalutare

l'inportanza della sapienza nell'ambito dell'AT.


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Ma la Hausmann. nel par. 18, dedicato alla "connessione azione-conseguenza" (pp. 231-246), osserva giustamente che questa non è considerata in maniera così rigidamente i1nmanente da escludere il misterioso inserimento dell'iniziativa di Dio. Anzi s1 deve sottolineare con1e nei casi in cui si fa un riferimento a questo principio l'accento non è posto tanto nelle conseguenze meccanicamente ineluttabili delle azioni u111ane, ma nell'a1n1nonizione, che si vuol rivolgere indirettamente all'ascoltatore/lettore, perché eviti certi co1nporta111enti che, in base all'osservazione dell'esperienza, si sono ripetutamente rivelati come negativi. Questo esempio, che però riveste un'importanza centrale ed e1nble1natica nell'interpretazione globale della sapienza israelitica, fa ben comprendere con quanta circospezione si deve procedere nell'analisi di un libro come quello dei Proverbi, costituito da sentenze brevi e prive di un contesto logico appropriato, giacché quello attuale è secondario, dovuto spesso a una giustapposizione casuale. E 1' Aulrice, pur cercando di sviscerare i riferi1nenli in1pliciti del discorso, è attenta a 1nel1ere in evidenza anche il tono e lo slile dei diversi proverbi che così possono meglio rivelare la loro intenzionalità. Nell'insie1nc si cerca di evitare un dottrinarisn10 sche1nalico e rigido che in realtà è avulso dall'orizzonte dei loro autori. Ammesso tranquillamente che nella riflessione dei sapienti predomini la preoccupazione antropologica rispetto a quella teologica, come pure l'attenzione alla quotidianità invece che alla storia, si tratta di riconoscere legittimità teologica a questo particolare ambito del pensiero veterotestamentario nell'insieme della Bibbia Ebraica. Per quanto riguarda il Sitz ùn Leben originario, questa riflessione secondo lAutrice è nata non nell'ambiente popolare, ma in quello della classe do1ninante delle città, che era pure vicino all'agricoltura; n1a, con tutto ciò, secondo I' A. si deve riconoscere che una parte dei proverbi presuppone un'origine popolare (p. 364s). Una posizione equilibrata l'Autrice la mantiene pure a proposito della considerazione della donna in Pr 10-31 (pp. 148-167, dove però non si csa1nina il poe1na acroslico di 31,10-31, a parte l'unico cenno fattone a p. I 53). In coerenza con l'in1postazionc generale


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dell'insegnamento sapienziale, che tende a mettere in guardia di fronte ai pericoli che insidiano l'individuo nei vari ambiti della vita sociale, e tenendo conto che - come impone un ordinamento patriarcale della società del tempo - si tratta qui di un discorso rivolto ai maschi e non direttamente alle donne, si può capire come si mettono volentieri in evidenza più i possibili aspetti negativi che non quelli positivi che qualificano il rapporto uomo-donna (pp. 161-163). La pericolosità e i fastidi che provengono dalla donna si manifestano soprattutto nell'uso della parola, che può essere o troppo seducente o troppo noiosa (pp. 155-158). Un'altra osservazione in1portante che si fa sulla base dci paralleli

extrabiblici è che lo stile dell'insegnamento sapienziale rivela in Israele, rispetto a quello che si può osservare in Egitto e in Mesopotamia, una più spiccata attenzione alla libertà di giudizio dcl destinatario, che può far tesoro di esso solo reagendo con la sua

riflessione e con la sua decisione (p. 361). In conclusione si può dire che questo libro fa il punto sugli studi riguardanti Pr 10-31 e, pur essendo ben documentalo per i riferimanti t~1tli alla vasta letteratura secondaria che caratterizza queslo ca1npo,

rivela

nell'insieme

pensiero indipendente sfu1nature richiesle nell'esame di un pensiero i cui presupposti ideologici restano in fondo impliciti e inespressi. delP Autrice)

e

presentato

nei

con

dettagli le

un

necessarie

Antonino M;,1issale


Synaxis XV/l (1997) 373-377

NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO 1. Incontro con {'arcivescovo di Siracusa, Giuseppe Costanzo

Per mantenere vivo il legame del S. Paolo con le Chiese locali, a servizio delle quali opera, si è avviato da alcuni anni un periodico inconlro con i propri Vescovi. In tale prospettiva, per quest'anno accademico è stato invitato l'arcivescovo di Siracusa, Giuseppe Costanzo. Nell'incontro, svoltosi il I O gennaio 1997, al Triennio teologico ha proposto una riflessione su li laicato nella Chiesa, oggi. Nella riflessione di avvio e nel dibattito che ne è seguito è e1nersa con chiarezza sia la sua esperienza di pastore che il suo ruolo di già Assistente Generale dell' A.C.I. e di attuale Presidente della Commissione Episcopale per lApostolato dei Laici.

2. Licenziata in Teologia 1norale

Ila conseguito il grado accade1nico della Licenza in Teologia

morale, il 10 gennaio 1997: S. BALSAMO, Il riposo festivo nella società secolarizzata (relatore prof. M. Cascane)

3. Baccellieri in Teologia Hanno conseguito il grado accademico del Baccalaureato in Teologia, il I O gennaio 1997:


Notiziario dello Studio S. Paolo

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S. MAURO, Sequela e morale. Alcuni contributi dalla tradizione spirituale della Chiesa (relatore prof. S. Consoli) F. MESSINA, La memoria di Tutti i santi delle Chiese di Sicilia (relatore prof. G. Federico) E. M. SCAFARO, La legge e la grazia nel "Catechismo della Chiesa Cattolica" redatto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano Il (relatore prof. P. Buscemi) L. SETTEMBRE, Pastorale e mass-media. Alcune indicazioni dal Magistero di Giovanni Paolo II (relatore prof. S. Consoli)

4. Lectio conununis ciel li sen1estre La Lectio con11nunis progran1mata per il II semestre dai singoli corsi ha avuto i seguenti terni: al I propedeutico, guidata dal prof. Antonino Minissale, si è tenuta su Il rapporto anima e corpo; al II propedeutico, guidata dal prof. Giuseppe Ruggieri, su Verità e persona; al Triennio teologico, guidata dal prof. Maurizio Aliotta, su Cristologia e antropologia.

5. Disputatio L'annuale disputatio, in funzione della crescita dello Studio Teologico come comunità scientifica, si è tenuta il 27 febbraio 1997 su Teologia e scienza. L'argomento è stato inserito in un più an1pio percorso di fonnazione, avviato già dal l semestre con alcuni se1ninari scientifici e in connessione con il tema convegno. Dopo gli approfondimenti compiuti da alunni e professori su una specifica bibliografia fornita molto per tempo dal prof. Edoardo Benvenuto dell'Università di Genova, il momento conclusivo ha visto


Notiziario dello Studio S. Paolo

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il relatore rispondere alle domande sorte nei gruppi di studio e delineare l'attuale status questionis. 6. Convegno con l'Università Il periodico convegno organizzato dallo Studio Teologico S. Paolo, in collaborazione con l'Università degli Studi di Catania e con l'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo, è ormai biennale. Quest'anno si è tenuto il 17 e 18 aprile 1997, grazie anche al patrocinio offertoci dall'Azienda Autonoma Provinciale per l'Incremento Turistico di Catania. Il tema, Inizio e futuro del cosmo: linguaggi a conji'onto, nelle sue diverse articolazioni è stato affrontato da docenti dello Studio S. Paolo, da docenti del Dipartimento di Fisica dell'Università di Catania e da fisici venuti dalle Università di Napoli e di Barcellona.

7. Nomine Il vescovo di Nicosia, Pio Viga, nostro Moderatore, il 24 maggio 1997 è stato nominato da Giovanni Paolo II arcivescovo e metropolita di Monreale. Il prof. Michele Permisi, della diocesi di Caltagirone, nostro Docente incaricato di teologia dommatica e membro del Consiglio dello Studio, il 21 gennaio 1997 da Giovanni Paolo II è stato nominato Rettore dcli' Almo Collegio Capranica.

8. Rustica/io Momento a cui lo Studio Teologico annette particolare importanza, pnma della conclusione delle lezioni, è l'annuale rusticatio: occasione di fraternità tra studenti e professori, di conoscenza della nostra cultura e di incontro con una Chiesa locale.

Quest'anno si è tenuta il 13 maggio.


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Il S. Paolo ha fatto visita alla Chiesa di Nicosia: sia perché da tempo non

vi si andava, sia per un gesto di riconoscenza

al

Moderatore. Meta particolare è stata la città di Traina della quale, in particolare, è stato ricordato il periodo normanno. Traina è anche la sede dell'OASI Maria SS. Assunta. L'opera, fondata da don Luigi Fer!auto, da cira 40 anni è a servizio delle fasce deboli della società, ha sviluppato un servizio socio-sanitario al territorio di alto livello scientifico ed ora è tesa alla realizzazione del progetto "Città aperta".

9. Pubblicazioni La collana «Quaderni di Synaxis» si è mTicchita del volume n. 12. In collaborazione con le Edizioni San Paolo sono stati pubblicati gli atti del convegno tenuto dallo Studio Teologico, con l'Università degli Studi di Catania e con l'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo, su C'hiesa e vangelo nella culturo siciliana.

IO. Se1ninario interdiscipUnare li lavoro del seminario su La cultura del clero siciliano, coordinato dal prof. Gaetano Zito, è ormai in fase conclusiva. I contributi saranno editi su Synaxis XV /2.

11. lnformaUzzazione della Biblioteca La catalogazione dei libri della Biblioteca avviene ormai soltanto per via informatica, con il software CDS-ISIS. Diverse opere, inoltre, sono state acquistate nel fonnato CDRorn, tra esse: lopera omnia di S. Tommaso d'Aquino e il CLCLT -3. Ha già la connessione in Internet, al fine di permettere a docenti

e alunni la possibilità di effettuare ricerche bibliografiche in altre Biblioteche, e una sua casella di e-mail: basastsp@dimtel.nti.it


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12. Premio «Mons. Prof Santi Pesce» Gli cx-Fucini e l'Associazione dei Medici Cattolici di Catania, per i quali è stato a lungo guida spirituale, hanno voluto esprimere l'affetto e la riconoscenza per mons. Santi Pesce, nostro professore di Teologia dommatica negli ultimi anni della sua docenza, istituendo un premio alla sua memoria con una somma di Lit. 5.000.000. li premio consiste nel diritto, che hanno gli studenti del S. Paolo, di pubblicazione di una tesi di Licenza (o in subordine di Baccalaureato), in estratto, su Synaxis che, annua!Jnente, sarà segnalata

e ritenuta 1neritcvole dalla com1nissione sa1ninatrice. La pubblicazione riporterà la menzione del titolare del premio.



Finito cli s(anqiarc nel JllCSC cli (;i11g110 1007 dal!:.1 'f'ipolitografi;1 (;alntca Acireale



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